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Collaborazioni

mercoledì 10 settembre 2025

La fine delle competenze


Uno dei problemi coi riformatori – non nel senso di "carceri minorili", ma nel senso di quelle persone che vorrebbero riformare le cose – è che sono convinti che il mondo li giudicherà per la dimensione delle loro riforme. Non che abbiano quasi mai torto, ma questo li spinge inevitabilmente verso la superficie dei problemi, dove si possono fare gli interventi  più appariscenti. Invece di trascorrere anni frustranti a cercare di capire cosa non funziona dietro le quinte, e infine suggerire alcune variazioni efficaci che farebbero funzionare tutto meglio, con grande soddisfazione di chi lavora, col rischio che il pubblico nemmeno se ne accorga – ecco, no, meglio di no. Molto più consigliabile impiegare il tempo scandendo slogan roboanti, cambiando i nomi a questo o quel reparto (cambiare i nomi è il modo più efficace di dare l'impressione che si sta davvero cambiando qualcosa). Così si ricorderanno di te. 

Di Valditara ad esempio ci ricorderemo perché ha ripristinato la "maturità" (non si chiamava più così) e vietato gli smartphone a scuola: quest'ultima è una cosa a cui tiene molto. Nel senso che i ragazzi non li possono più portare? Beh, no, non esistono smartphone detector da piazzare all'ingresso degli istituti (e se esistessero, costerebbero; quindi non li compreremmo). Forse che Valditara ha approfittato di una qualche emergenza-smartphone per emanare una circolare che autorizza il personale scolastico a perquisire gli studenti tutte le mattine? No, vi rassicuro in tal senso, non potevamo prima e non cominceremo a perquisirli adesso, i vostri mostriciattoli, chi ve li tocca. E quindi ok, continueranno a portare il telefono in tasca, auspicabilmente spento o silenziato; ma se a un certo punto una sveglia suonasse, e un insegnante decidesse di sequestrare un dispositivo chiassoso, colpirne uno per educarne ventisei... forse che Valditara ha imposto agli istituti di comprare casseforti dove rinchiudere il corpo del delitto, in attesa che i genitori vengano a prelevarlo, dato che da Valditara in poi lo smartphone è teoricamente vietato? No, niente casseforti. Va bene, ma almeno si è capito che i ragazzi non potranno tirarlo fuori impunemente durante una lezione, neanche con la scusa della didattica, perché non si farà più didattica col telefono, vero? Valditara l'ha proibito recisamente, vero? Beh, no, nelle ultime comunicazioni ha ammesso che lo smarphone si possa usare a scopi didattici. Quindi, insomma, cos'è cambiato esattamente? Nulla, direte voi: sbagliato, è cambiata la reputazione di Valditara, ormai assurto alla statura di eroico salvatore della scuola grazie al quale, la prossima volta che qualche studente combinerà un casino con uno smartphone, la gente penserà che lui non c'entra, lui li aveva vietati, maledetti insegnanti che non fanno rispettare le circolari.

Se dalla facciata ci spostiamo un po' verso l'interno, notiamo come Valditara sia guidato, nella sua opera (contro)riformatrice, da un principio fondamentale: la centralità di Ernesto Galli Della Loggia, non in quanto pedagogo (non lo è), ma in quanto essere umano perfetto. Questa perfezione – che ritroviamo sottesa nell'incessante produzione saggistica dello stesso Ernesto Galli Della Loggia – non lo configura tanto come fine ultimo della Storia e/o della dialettica, alla Hegel insomma, quanto come obiettivo ideale a cui tendere, oserei dire idea platonica di italiano, formatosi a una scuola che non esiste più a causa dei malvagi sessantottini, finalmente sgominati. Se Galli Della Loggia è perfetto, il sistema scolastico che lo ha prodotto non può che essere il migliore di tutti i tempi; mentre le riforme che lo hanno modificato, impedendoci di assistere alla gemmazione di ulteriori Ernesti Galli Della Loggia, nient'altro che perniciose degenerazioni da abolire, nel tentativo forse impossibile ma comunque encomiabile di ritornare all'età dell'oro, dove "oro" – materiale senz'altro prezioso ma per certi versi ancora corruttibile – indica ovviamente e approssimativamente Ernesto Galli Della Loggia, lui sì forma perfetta e incorruttibile. Ora, per quanto tutto questo possa sembrarvi parecchio ridicolo, temo che possa fare breccia nella coscienza di molti miei colleghi. Alcuni sono della generazione di Galli Della Loggia, e quindi praticamente perfetti anche loro; e però a un passo dalla pensione, quindi a questo punto non vale la pena di preoccuparsene. Ma la maggior parte è venuta dopo, e per quanto tutta questa scuola sessantottina non l'abbiano mai vista (forse perché non è mai esistita), hanno più che una ragione di sentirsi delusi dalle riforme berlingueriane e post. Come chi a metà di un lavoro si rendesse conto di avere combinato un pasticcio tale che piuttosto di risolverlo converrebbe buttar tutto e ricominciare da capo, ovvero nel nostro caso da Gentile, o anche più su.


Vedi l'esame di "maturità". Io non ne capisco molto, non è mai stato il mio campo (mentre tra breve lo diventerà), ma quello che ho percepito negli anni è la grande stanchezza dei colleghi, mobilitati per un'esperienza più rituale che didattica. Vengono al pettine in questo caso certe parole d'ordine male introiettate: ad esempio, dopo aver parlato per tanto tempo di competenze, dopo averle introdotte nella didattica, a un certo punto si arriva all'esame e ci si dovrebbe arrendere a un'evidenza fisica: si tratta di un intervallo di tempo in cui uno studente si troverà davanti a insegnanti che gli faranno delle domande, e lui dovrebbe rispondere. Come mille e più anni fa: l'esame orale è tutto qua, potremmo anche decidere di farne a meno ma il pubblico ci tiene, i giornalisti ci tengono, e quindi rieccoci qui a fare delle domande e aspettarci delle risposte – sì, ma le competenze in tutto questo? Come le accerti, come le valuti, insomma dove sono queste sacrosante competenze nel momento in cui un candidato si siede, come mille anni fa, e dei professori gli fanno delle domande?

"Ma vedo che hai fatto un percorso di alternanza scuola/lavoro che prevedeva l'assistenza dei clienti nel..."

"Sì, ho servito a un bar-tabaccheria".

"E cosa hai imparato?"

"Bisogna premere un tasto IVA diverso per le brioches e i giornali".

Competenza! 

Oppure forse no, ma non mi pare che nessuno abbia le idee più chiare. Il grande equivoco, che si trascina da anni, è che "competenza" sia, tra le tante cose, una specie di euforia interdisciplinare che consentirebbe al candidato di collegare gli argomenti di materie diverse. Questa illusione – che conosco meglio, perché ha contagiato subito anche l'esame di licenza media – imparentata con l'idea che studiare sia sostanzialmente ridurre qualsiasi cosa a una "mappa" con cerchi e freccine, con gli anni si è trasformata in un incubo, gli argomenti essendo un numero finito e i collegamenti un numero ancora più limitato. È nato un vero e proprio mercato delle tesine interdisciplinari, su internet ne trovi tantissime e hai un bel da dire allo studente di non cercarle o addirittura comprarle, ben presto te li trovi davanti a collegare cose di cui in classe non hanno mai sentito parlare, oppure tutti con gli stessi quattro argomenti, la Grande Guerra, la Bomba Atomica, salvo che ad esplodere al temine di alcuni pomeriggi sono le mie colleghe e dopo otto ore posso capirle. 

I riformatori sono corsi ai ripari con soluzioni sempre più barocche, ad esempio i "materiali", una serie di oggetti (fotografie o altri manufatti) che fino a quest'anno venivano esibiti al candidato, il quale doveva trarne ispirazione per imbastire un colloquio interdisciplinare. Un'idea teatrale, che proposta a lezione potrebbe anche essere divertente (tu hai studiato Pirandello, io ti metto in mano un sasso, collegami il sasso a Pirandello), che trasformava il colloquio orale in un'improvvisazione in cui il tizio che si è preparato, legittimamente, sulla clorofilla e il colonialismo si trova in mano una foto di piazza Tienammen e deve in tot secondi imbastire un discorso che lo porti da quella foto alla clorofilla passando per il colonialismo – questa sarebbe la competenza, una competenza in chiacchiere che forse se vendi al mercato è davvero importante, e per carità c'è ancora bisogno di validi venditori al mercato (li saluto, so che ci seguono). Tutto pur di non ammettere nemmeno a sé stessi che quello che stai facendo (domande agli studenti) è la stessa cosa che si faceva mille più anni fa – certo ora non li interroghi più sugli scoliasti o le glosse, adesso vanno di moda cerchietti e freccine, ma sono sempre gli stessi cerchietti e le stesse freccine, non è che lo studente possa più di tanto inventarsene di diverse, col rischio che poi a te insegnante-giudice non piacciano. Forse a un certo punto qualcuno ha pensato che la scuola avrebbe dovuto essere più stimolante, più creativa, e in tanti ambiti lo è diventata: ma un esame orale è un esame orale; puoi truccarlo finché ti pare, ma in sostanza si tratta sempre di fare al candidato tot domande e aspettarsi tot risposte. Forse a un certo punto speravamo di avere trovato qualche idea rivoluzionaria, ma nella pratica fin qui si sono rivelate per lo più espedienti buffi. 

A questo punto arriva Galli Della Loggia, convinto di dover emendare a decenni di sessantottismo spinto, sei politici e altri abomini: e suggerisce di ripartire non già da zero – che sarebbe un bel po' in là, ma da Galli Della Loggia: e la cosa in un qualche modo non dispiace neanche a chi lo detesta. Meno insegnanti in giro a giugno e luglio, caccia via – e se andasse male, sapremmo anche a chi dare la colpa, ha un nome e un cognome.

1 commento:

  1. Quanto m'inquieta quella tesina. È come se la scuola fosse risiko, e la carta obiettivo fosse renzi.

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