Verso il Romistan
Se poi mi chiedete del mio amico Arci – in effetti è parecchio che non se ne sente parlare – beh, se la passa alla grande. Una qualche agenzia interinale ha mandato per sbaglio il suo curriculum di inventore pazzo e psicotico all'Ufficio del Personale di una superpotenza mondiale, una a caso, e adesso è da qualche parte in un ufficio con l'aria condizionata a cospirare contro la Pace Universale. Valà che sotto sotto lo invidiate.
“Signori, bando ai preamboli. L'oggetto di questa riunione è il solito: si tratta di scatenare un conflitto regionale che faccia perdere tempo e risorse ai nostri competitori, magari attraverso la strumentalizzazione di qualche minoranza etnica indifesa. Mi pare che tocchi al sig. Arci”.
“Signori, signore, grazie sin d'ora per l'attenzione. La mia proposta di azione prevede il coinvolgimento dei Rom, un'etnia di origine indiana che vive in molti Paesi europei, talvolta ancora in stato seminomade. Vedi slide. I Rom sono stati oggetto di vari tentativi di assimilizzazione forzata e veri e propri pogrom, dal medioevo fino alla seconda guerra mondiale, quando i nazisti ne sterminarono mezzo milione. Oggi sono un'etnia in via di integrazione in tutti i Paesi dell'Europa occidentale, tranne l'Italia”.
“L'Italia è in Europa Occidentale?”
“Ancora per qualche tempo, sì. In Italia vive una cospicua minoranza Rom, che non ha i diritti civili e vive in condizioni di miseria senza paragoni. La loro aspettativa media di vita è quasi la metà di quella degli italiani autoctoni. Gran parte dei bambini non frequenta la scuola”.
“Ma chi l'avrebbe detto... voglio dire... gli italiani sembrano brave persone”.
“L'errore storico è precisamente questo: fare affidamento su un'astratta idea di “bontà” invece che su normative concrete. Gli italiani non sono un popolo feroce, ma non si sono mai preoccupati di dare la cittadinanza a chi vive sul proprio suolo. Ci sono Rom di terza o quarta generazione che non sono ancora cittadini: non hanno diritti, e nemmeno doveri. Il sospetto è che siano più utili come capri espiatori che come cittadini”.
“Ho capito: quando c'è crisi si fa la caccia al Rom. Come da noi, giù in....”
“In effetti i tempi sembrano maturi. Man mano che l'Italia scivola in una crisi strutturale, le leggende urbane sui Rom aumentano, propalate ad arte anche dalla stampa. Qualche campo nomadi brucia già e a Bruxelles qualche eurodeputato ha proposto di creare il reato di associazione famigliare Rom – o qualcosa del genere. Le mie proiezioni danno i primi pogrom seri tra 14 mesi solari”.
“Va bene, ma noi cosa c'entriamo? Mica operiamo per salvare i derelitti, noi”.
“Ci stavo giusto arrivando. Il problema dei Rom in Italia presenta connotati molto interessanti. I Rom si definiscono una nazione, ma in pratica sono apolidi. Alcuni dei loro rappresentanti si battono per trasformare questo paradosso in uno status giuridico. La mia proposta è di lanciare sul tavolo della trattativa una proposta ben più radicale: il Focolare Nazionale Rom”.
“FNR suona malissimo”.
“La sigla la possiamo cambiare. Ma insomma, la sostanza è la seguente: dopo le prime vere stragi, previste più o meno per l'estate '09, alcuni intellettuali Rom – opportunamente istruiti da noi – dovrebbero cominciare a diffondere l'idea che i Rom abbiano il diritto a un loro Stato, come tutti gli altri popoli sovrani”.
“Comincio a capire”.
“Questa idea affascinerà molti italiani, specie se hanno ancora le mani sporche di sangue dello zingaro sottocasa. In un colpo solo si liberano sia dei superstiti che dei sensi di colpa”.
“Geniale. Bisognava pensarci prima. Però...”
“Dove la mettiamo questa nazione? Ci ho pensato già io. In Italia assolutamente no, ci mancherebbe. Più lontano è meglio è”.
“Eh, ma non è mica tanto semplice. Bisogna cercare un posto con acqua e terra per milioni di persone, ma disabitato... non credo ce ne siano”.
“Signori, a volte mi pare che dimentichiate di essere persone fondamentalmente malvagie. Chi ha detto che occorre trovare un posto fertile? Una distesa di sassi andrà bene ugualmente, basta vendergliela come terra del latte e del miele”.
“Già, giusto”.
“E non è nemmeno necessario che sia disabitata – basta spazzare via quelli che ci abitano già. Ovviamente venderemo armi sia ai Rom che ai loro ospiti, per fair play”.
“Mi piace, mi piace”.
“Insomma, l'ideale è una terra aspra, già contesa tra qualche nazione importante, e con qualche risorsa che potrebbe interessare anche a noi che possiamo pagare in armi. Una terra così, concorderete, non è così difficile da trovare. Ma non bisogna dimenticare l'aspetto culturale – dev'essere un posto in cui i Rom siano già stati, magari qualche migliaio di anni fa, di modo che possa essere venduta come “la culla dei Rom”. Anche questo non è così difficile, visto che sono stati praticamente dappertutto. La mia proposta, comunque, è il Kashmir. Per almeno quattro motivi”.
“Numero uno...”
“I Rom provengono dall'India settentrionale. Pare che Rom derivi dal sanscrito ड़ोमब, pensate. Il Kashmir è più o meno da quelle parti. Qualche ritocco alle enciclopedie on line e ai libri sacri, e vedrete che non sarà difficile ribattezzare i Rom come “Popolo dei Kashmir”. Oppure potremmo ribattezzare il Kashmir: che ne dite di Romistan? Vabbè, a questi dettagli ci pensiamo dopo”.
“Numero due...”
“Risorse naturali. La seconda riserva d'acqua dolce mondiale. Non c'è bisogno che vi dica quanto sarà importante l'acqua nei prossimi cinquant'anni. Se la nazione che rappresentiamo diventa l'avvocato dei Rom in sede internazionale, buona parte di quell'acqua sarà nostra”.
“Per tacere della lana pregiata. Numero Tre...”
“Proprio a causa dell'acqua, e per patetiche beghe di irredentismo e rivincite a cricket, il Kashmir è oggi una terra già contesa da due potenze regionali nostre concorrenti, l'India e il Pakistan. Entrambe sono potenze nucleari, quindi sarà un atto umanitario offrire alla Nazione Rom del Kashmir la bomba atomica. Et voilà, ecco che per motivi umanitari abbiamo piazzato una nostra piazzaforte atomica in mezzo all'Asia”.
“Ma insomma, davvero lei si aspetta che India e Pakistan ci diano una striscia di Kashmir per un'altra etnia?”
“Bisognerà operare con una certa prudenza, all'inizio. Per esempio: si va dai pakistani (o dagli indiani, a scelta) con la proposta di ottenere dal Consiglio di Sicurezza Onu tutto il Kashmir... se accettano di ospitare il Focolare Nazionale Rom (capite anche voi che all'inizio “focolare” suona meglio). I pakistani, che al momento ne occupano solo 1/3, accettano, sperando di ottenere dall'Onu che l'India ceda gli altri 2/3. Questo potrebbe anche non accadere mai, ma nel frattempo cominciano ad arrivare i Rom, armati da noi e dagli italiani che hanno tanti sensi di colpa e armi da vendere”.
“Ma non hanno l'aria di un popolo bellicoso”.
“Gli insegneremo. Insomma, da cosa nasce cosa, a un dato momento i Rom iniziano a sparacchiare agli autoctoni. Gli autoctoni rispondono – è guerriglia. A questo punto i Rom dichiarano unilateralmente lo Stato del Romistan, noi lo riconosciamo, gli italiani pure... il gioco è fatto”.
“Ma non è un po' temerario... voglio dire... creando una piccola nazione su base etnica in una regione schiacciata tra due potenze regionali... non rischiamo di creare uno stato di guerriglia permanente?”
“Questa era il Motivo Numero Quattro, appunto”.
“Rimane da risolvere il problema di quelli che nel Kashmir ci abitano già”.
“Ma signori, noi non siamo qui per risolvere i problemi, noi siamo qui per trasformarli in problemi nuovi, più adatti al Nuovo Millennio. Gli abitanti del Kashmir oggi si sentono un po' indiani un po' pakistani – quando il Romistan avrà firmato la pace separata con entrambe le nazioni, non saranno né paki né indù. Non saranno più nulla. Potranno essere assimilati dai Rom”.
“E sei Rom non volessero?”
“Nascerà un altro minuscolo movimento nazionalista, per la gioia dei venditori di spillette, di foulard e di armi. Continueranno a fare la loro guerricciola per 60 anni, emozionando qualche intellettuale europeo, e alla fine magari otterranno qualche striscia di terra anche loro. Oppure li trapiantiamo tutti in un'altra regione ricca di risorse interessanti – non so, la Cecenia – e il gioco continua. Che ne dite?”
“Mah. Non credo di avere mai sentito una proposta geopolitica più insensata e criminale di questa. Dico, è incredibile”.
“Troppo buono”.
“Voglio dire, com'è che nessuno ci ha mai pensato prima?”
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mercoledì 28 maggio 2008
domenica 25 maggio 2008
Non vedi Napoli
In Italy for thirty years under the Borgias they had warfare, terror, murder and bloodshed but they produced Michelangelo, Leonardo da Vinci and the Renaissance. In Switzerland, they had brotherly love; they had five hundred years of democracy and peace and what did that produce? The cuckoo clock. Orson Wells, 1949.
Gomorra, di Matteo Garrone, 2008.
* Due ore d'inferno e manco si vede Napoli. Si vede Venezia.
* Non si vedono i camorristi. Quelli della tv, del cinema, i boss incravattati. Una scelta forte, perché nel libro c'erano. Qui sono scomparsi, lasciando giusto qualche mobile da lucidare mentre il loro impero cade a pezzi. Il re è nudo e si abbronza per l'inferno.
* Non si vedono conflitti a fuoco – nel senso che non li vedi, ti ci trovi dentro e basta. Si sente un gran baccano, fuori sparano, anzi no, sparano qui davanti a me, sparano a me. Tutti i colpi sono alle spalle. È la descrizione della battaglia quando ti ci trovi dentro: niente coraggio, niente eroismo, quello lo troverai al bar tra vent'anni se ne esci vivo.
* Non si vede Saviano, non si parla di Saviano. È una buona notizia per un popolo che non ha bisogno di eroi, ma di cento mille sceneggiature come queste. Per quelli che sotto le impalcature del monumento giornalistico a Saviano cominciavano a sentirsi un po' a disagio – anche perché non te li scoprono da vivo, i monumenti.
* Non si vede il reportage. Tutto è diventato fiction, senza smettere di essere fottuta verità. Io li odiavo, quelli che in una colonnina o una recensione si lasciavano sfuggire “tratto dal romanzo di Saviano”. Romanzo? Che romanzo? Ma l'hai aperto almeno? Basta averne lette trenta righe per sapere che non lo è. Bene, dopo due ore di film lo è diventato. Avevo letto un romanzo, anzi quattro romanzi, e non me ne ero accorto. Stupido io, o molto bravo Garrone.
* Palma o non palma, quanto è stato bravo Garrone? Lasciamo perdere l'attenzione maniacale per l'accompagnamento sonoro, le migliaia di quadri viventi, paesaggi e primi piani; l'occhio fermo sulle piaghe del mondo senza mai cadere (mai!) nel grottesco o nel didascalico, lasciamo pure stare tutto. Ma quanto sono bravi i suoi attori non professionisti? Quanto sono bravi i due guappi, quanto è bravo Simò che saluta Totò perché passa con gli scissionisti, e quant'è bravo Totò? Ce li aveva Rossellini dei ragazzi bravi così?
* E se il cinema italiano stesse entrando, così, di botto, in un'età dell'oro? Già un paio di film veramente buoni, quest'anno, e non è che gli americani ne abbiano fatti molti di più. Un taglio spietato che sta diventando la nostra specifica, un realismo ad oltranza mentre tutt'intorno continuano a rimasticare le stesse favolette. Io di mio avrei preferito nascere e morire in una di quelle svizzere ordinate che al massimo inventano l'orologio a cucù, ma se mi tocca un Nuovo Rinascimento pieno di ammazzamenti e opere d'arte, cercherò di farmelo piacere. Anche perché me lo sento dentro, in fondo. Non siamo milionari che cercano di sensibilizzare il pubblico medioborghese ai drammi del Terzo Mondo: noi siamo il Terzo Mondo che arriva, la punta dell'iceberg della munnezza che credevate si potesse smaltire premendo un bottone. Siamo sporchi e cattivi, ma non ci toglierete di mezzo così facilmente, po po po po po, po. Noi siamo dentro la Macchina, siamo il nano deforme che comincia a pedalare quando voi premete il bottone, e se non sappiamo leggere e scrivere in compenso appena nati già portiamo gli autocarri. Non ci potete capire. Solo i cinesi possono capirci. I cinesi ci dedicheranno dei musei, dopo averci mangiato fritti tutti quanti.
* Dico “noi”, ma senza sottotitoli era dura, quella lingua masticata in secoli di avvistamenti e ambasciate. Poi all'improvviso succede qualcosa: comincio a capire tutto. Miracolo? no. La scena si è spostata su una gang senegalese, y a d'gosses qui arrivent. I senegalesi li capisco meglio dei casertani.
* Cari amici che siete sicuri che sarà un capolavoro, come il libro, ma che di due ore di lucida disperazione questa settimana fareste volentieri a meno: provateci. Fate finta che sia un inno alla speranza, in fondo lo è. È un film sulla camorra, ma è anche un film sulla fine della camorra, che perde colpi, perde pezzi, perde tutto; che non riesce a pagare la pensione ai carcerati perché i boss devono giocare ai gangster, “fare punti, bum bum bum!”; la camorra che uccide i suoi figli perché si fa prima ad ammazzare che a insegnare il rispetto; che perde le maestranze perché persino i cinesi pagano meglio, che crollerà alla fine in un turbine di polvere grigia e bianca senza lasciare niente, neanche un ritornello neomelodico, niente: solo un cratere, che potrebbe venire buono per certi liquami radioattivi, oppure per costruire un mondo migliore. Migliore di com'è questo, non ha manco da esser difficile.
- Un ineluttabile romanzo di morte ambientato su un altro pianeta, il nostro (Giovane Cinefilo)
- Al posto del cuore c’è giusto un livido nero. (UnoDiPassaggio).
venerdì 23 maggio 2008
Qi denuncia chi
L'anno della Tigre di Carta
“Buongiorno, desidera?”
“Buongiorno, volevo fare una denuncia”.
“Sì, un attimo che accendo il terminale… è un furto?”
“No, veramente no”.
“Atto vandalico?”
“Io veramente ero venuto a denunciare… come si dice… scusi, sono poco pratico, sa? Un’in…”
“Un’intimidazione mafiosa!”
“No, no, un’immigrazione”.
“Ah”.
“Clandestina”.
“Sì, sì, ho capito”.
“Insomma, c’è questa persona qui che è un immigrato clandestino”.
“Sì”.
“E sono venuto a denunciarlo. Perché adesso è reato, no?”
“Ma questa persona, sa come si chiama?”
“Altroché”.
“Conosce il luogo dove abita, o dove lavora?”
“So tutto”.
“E ha ragionevoli argomenti per sostenere che si tratta di un immigrato clandestino?”
“Ne ho le prove”.
“Bene, lei ora mi dirà tutto, io verbalizzerò…”
“E andrete ad arrestarlo!”
“Se lo riterremo necessario”.
“Come necessario! Dovete farlo e basta! In Italia c’è… come si chiama… l’obbligatoria età”.
“L’obbligatorietà dell’azione penale. Certo che lei è un esperto”.
“Grazie. Ho studiato legge, al mio Paese”.
“Anche a me sarebbe piaciuto, ma sa… famiglia numerosa”.
“Non me lo dica”.
“Veniamo al dunque. Lei si chiama?”
“Qi Demei. Q, i, staccato Demei scritto come si pronuncia”.
“Ah, perfetto. E di cognome?”
“Qi”.
“Qi Qi Demei?”
“No, solo Qi staccato Demei”.
“Aaaaaah, ho capito. Scusi, eh, ma con tutti questi cognomi stranieri uno non ci capisce più…”
“Ha tutta la mia comprensione”.
“Bene. Allora, Qi Demei, nato il”
“Tredici luglio 1974”.
“Anno della tigre!”
“Complimenti. Non mi dica che...”
“Sì, confesso, sono anch’io del 1974. Dunque, Qi Demei, nato il tredici luglio 1974 e residente a…”
“Ahem… scriva così: residente a Canton, Cina”.
“Quindi lei non risiede in Italia”.
“No. Però una denuncia la posso fare lo stesso, no? Voglio dire… Se fossi un turista e mi rubassero il portafogli…”
“Giusto. Allora: Qi Demei, nato il 13/7/74 e residente a Canton, Cina, in data 23/9 presente anno si recava nella caserma dei carabinieri di Campogalletti (MU) e segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di-”.
“Sì?”
“Lo chiedo a lei: rispondente al nome di?”
“Eh?”
“Questo immigrato clandestino, insomma, come si chiama?”
“Ah, lui! Si chiama Qi Demei”.
“Cognome?”
“Qi”.
“Kikidemei?”
“No, Qi staccato Demei”.
“Aaaaah. Tra l’altro è un nome che ho già sentito… sta a vedere che ha dei precedenti”.
“Ma veramente…”
“Aspetti. Anche lei si chiama Qi Demei”.
“Non lo nego”.
“Un caso di omonimia, capisco”.
“No, forse non ha capito. Sono sempre io. Sono venuto a denunciare me stesso. Sono un immigrato clandestino. Arrestatemi”.
“Beh… beh… non corriamo”
“C’è la cosa, l’obbligatorietà dell’azione penale”.
“Ma scusi, perché ci tiene così tanto a farsi arrestare?”
“Si metta nei miei panni. Io lavoro ai mercati, faccio il giro della provincia. Tutte le mattine la sveglia alle cinque. Con la pioggia e con la neve. Cinque anni così. Non sono abituato, in Cina studiavo legge. Sono stanco”.
“Poteva anche venire prima”.
“Prima mi avreste rimpatriato come clandestino. Ma adesso non potete”.
“Come sarebbe a dire che non possiamo?”
“Non potete, perché l’immigrazione clandestina è diventato un reato, e quindi mi dovrete processare”.
“E che sarà mai un processo”.
“Ma io ricorrerò in appello”.
“Non mi faccia ridere … voglio dire, se tutti gli immigrati clandestini ricorressero all’appello…”
“Sì? Vada avanti”.
“Si bloccherebbero tutti i tribunali italiani!”
“Questo non è un problema mio. Io sono un indiziato di reato, e come tale ho diritto a un giusto processo – ah, e siccome lavorando io reitero il mio reato, perché rubo il lavoro ai commercianti italiani, credo che mi dovrete mantenere voi, in una prigione o altrove. Le vostre prigioni le ho viste, e confrontate al sottoscala dove dormo non sono male”.
“Ma scoppiano”.
“Già. Probabilmente sarete costretti a mettermi fuori, e a trovarmi un lavoro in attesa del giudizio. Ora, si dà il caso che io abbia studiato i tempi della giustizia italiana. Direi che cinque, sei anni di vitto e lavoro assicurati non me li toglie nessuno”.
“Ma poi la manderanno a casa”.
“Chi lo sa? Nel frattempo sarà cambiato il governo, e faranno una sanatoria. A dire il vero tutto lascia pensare che la sanatoria arriverà molto prima. È un peccato, perché poi mi toccherà tornare ai mercati. Io li odio, i mercati”.
“Doveva fare l’avvocato”.
“è vero. Andiamo avanti, le va?”
“Dunque: Qi Demei... segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di...”
“Qi Demei. Faccia copia incolla”.
“…nato il 13/7 eccetera… residente a?”
“Via Garibaldi tre, è il campanello con gli ideogrammi nel citofono. Se vuole lascio anche il cellulare”.
“Lei comunque la fa troppo facile”.
“Le cose stanno così! Adesso che sapete dove trovarmi siete costretti ad arrestarmi”.
“Ma lei potrebbe anche non essere un vero clandestino”.
“Certo che sono un vero clandestino”.
“Eh, facile a dirsi. Ma può provarlo?”
“Altroché. Non ho nemmeno un documento”.
“Questa non è una prova, al massimo è una mancanza di prove”.
“Sta scherzando?”
“Chi mi assicura, per esempio, che lei non abbia distrutto il suo permesso di soggiorno? Cioè, si metta nei nostri panni. Dobbiamo metterci ad arrestare il primo venuto soltanto perché dice di non avere documenti?”
“Prima lo facevate”.
“Ma prima era facile, con un foglio di via, al limite un bel charter e via al paese natale. Ma se adesso dobbiamo arrestarvi e giudicarvi tutti, eh, hai voglia”.
“Quindi non verrete ad arrestarmi”.
“No, credo di no”.
“La solita Italia. Fatta una legge, trovato l’inganno”.
“Piano con le parole, eh? Altrimenti...”
“Altrimenti?”
“Ti arresto per vilipendio”.
“Perfetto! Cos’è il vilipendio?”
“Sono le offese”.
“Ah, bene. L’Italia è una distesa di giunchi appassiti che oscilla al vento osceno della stupidità”.
“Eh?”
“Era un’offesa alla tua nazione. Arrestami”.
“Era solo una licenza poetica. Al massimo una libera espressione di giudizio. Non ti arresto”.
“Italia merda. Arrestami”.
“Ti piacerebbe, eh? Non ti arresto”.
“Mi devi arrestare! È vilipendio! C’è l’obbligatorietà!”
“No, invece, è satira, non ti arresto”.
“Il presidente è un invertito nazista”.
“Satira, satira politica”.
“Ma va’!”
“Come no? Guarda, rido anche, ah ah ah”.
“Donne italiane tutte puttane”.
“Ih Ih Ih, che spasso”.
...
“Buongiorno, desidera?”
“Buongiorno, volevo fare una denuncia”.
“Sì, un attimo che accendo il terminale… è un furto?”
“No, veramente no”.
“Atto vandalico?”
“Io veramente ero venuto a denunciare… come si dice… scusi, sono poco pratico, sa? Un’in…”
“Un’intimidazione mafiosa!”
“No, no, un’immigrazione”.
“Ah”.
“Clandestina”.
“Sì, sì, ho capito”.
“Insomma, c’è questa persona qui che è un immigrato clandestino”.
“Sì”.
“E sono venuto a denunciarlo. Perché adesso è reato, no?”
“Ma questa persona, sa come si chiama?”
“Altroché”.
“Conosce il luogo dove abita, o dove lavora?”
“So tutto”.
“E ha ragionevoli argomenti per sostenere che si tratta di un immigrato clandestino?”
“Ne ho le prove”.
“Bene, lei ora mi dirà tutto, io verbalizzerò…”
“E andrete ad arrestarlo!”
“Se lo riterremo necessario”.
“Come necessario! Dovete farlo e basta! In Italia c’è… come si chiama… l’obbligatoria età”.
“L’obbligatorietà dell’azione penale. Certo che lei è un esperto”.
“Grazie. Ho studiato legge, al mio Paese”.
“Anche a me sarebbe piaciuto, ma sa… famiglia numerosa”.
“Non me lo dica”.
“Veniamo al dunque. Lei si chiama?”
“Qi Demei. Q, i, staccato Demei scritto come si pronuncia”.
“Ah, perfetto. E di cognome?”
“Qi”.
“Qi Qi Demei?”
“No, solo Qi staccato Demei”.
“Aaaaaah, ho capito. Scusi, eh, ma con tutti questi cognomi stranieri uno non ci capisce più…”
“Ha tutta la mia comprensione”.
“Bene. Allora, Qi Demei, nato il”
“Tredici luglio 1974”.
“Anno della tigre!”
“Complimenti. Non mi dica che...”
“Sì, confesso, sono anch’io del 1974. Dunque, Qi Demei, nato il tredici luglio 1974 e residente a…”
“Ahem… scriva così: residente a Canton, Cina”.
“Quindi lei non risiede in Italia”.
“No. Però una denuncia la posso fare lo stesso, no? Voglio dire… Se fossi un turista e mi rubassero il portafogli…”
“Giusto. Allora: Qi Demei, nato il 13/7/74 e residente a Canton, Cina, in data 23/9 presente anno si recava nella caserma dei carabinieri di Campogalletti (MU) e segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di-”.
“Sì?”
“Lo chiedo a lei: rispondente al nome di?”
“Eh?”
“Questo immigrato clandestino, insomma, come si chiama?”
“Ah, lui! Si chiama Qi Demei”.
“Cognome?”
“Qi”.
“Kikidemei?”
“No, Qi staccato Demei”.
“Aaaaah. Tra l’altro è un nome che ho già sentito… sta a vedere che ha dei precedenti”.
“Ma veramente…”
“Aspetti. Anche lei si chiama Qi Demei”.
“Non lo nego”.
“Un caso di omonimia, capisco”.
“No, forse non ha capito. Sono sempre io. Sono venuto a denunciare me stesso. Sono un immigrato clandestino. Arrestatemi”.
“Beh… beh… non corriamo”
“C’è la cosa, l’obbligatorietà dell’azione penale”.
“Ma scusi, perché ci tiene così tanto a farsi arrestare?”
“Si metta nei miei panni. Io lavoro ai mercati, faccio il giro della provincia. Tutte le mattine la sveglia alle cinque. Con la pioggia e con la neve. Cinque anni così. Non sono abituato, in Cina studiavo legge. Sono stanco”.
“Poteva anche venire prima”.
“Prima mi avreste rimpatriato come clandestino. Ma adesso non potete”.
“Come sarebbe a dire che non possiamo?”
“Non potete, perché l’immigrazione clandestina è diventato un reato, e quindi mi dovrete processare”.
“E che sarà mai un processo”.
“Ma io ricorrerò in appello”.
“Non mi faccia ridere … voglio dire, se tutti gli immigrati clandestini ricorressero all’appello…”
“Sì? Vada avanti”.
“Si bloccherebbero tutti i tribunali italiani!”
“Questo non è un problema mio. Io sono un indiziato di reato, e come tale ho diritto a un giusto processo – ah, e siccome lavorando io reitero il mio reato, perché rubo il lavoro ai commercianti italiani, credo che mi dovrete mantenere voi, in una prigione o altrove. Le vostre prigioni le ho viste, e confrontate al sottoscala dove dormo non sono male”.
“Ma scoppiano”.
“Già. Probabilmente sarete costretti a mettermi fuori, e a trovarmi un lavoro in attesa del giudizio. Ora, si dà il caso che io abbia studiato i tempi della giustizia italiana. Direi che cinque, sei anni di vitto e lavoro assicurati non me li toglie nessuno”.
“Ma poi la manderanno a casa”.
“Chi lo sa? Nel frattempo sarà cambiato il governo, e faranno una sanatoria. A dire il vero tutto lascia pensare che la sanatoria arriverà molto prima. È un peccato, perché poi mi toccherà tornare ai mercati. Io li odio, i mercati”.
“Doveva fare l’avvocato”.
“è vero. Andiamo avanti, le va?”
“Dunque: Qi Demei... segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di...”
“Qi Demei. Faccia copia incolla”.
“…nato il 13/7 eccetera… residente a?”
“Via Garibaldi tre, è il campanello con gli ideogrammi nel citofono. Se vuole lascio anche il cellulare”.
“Lei comunque la fa troppo facile”.
“Le cose stanno così! Adesso che sapete dove trovarmi siete costretti ad arrestarmi”.
“Ma lei potrebbe anche non essere un vero clandestino”.
“Certo che sono un vero clandestino”.
“Eh, facile a dirsi. Ma può provarlo?”
“Altroché. Non ho nemmeno un documento”.
“Questa non è una prova, al massimo è una mancanza di prove”.
“Sta scherzando?”
“Chi mi assicura, per esempio, che lei non abbia distrutto il suo permesso di soggiorno? Cioè, si metta nei nostri panni. Dobbiamo metterci ad arrestare il primo venuto soltanto perché dice di non avere documenti?”
“Prima lo facevate”.
“Ma prima era facile, con un foglio di via, al limite un bel charter e via al paese natale. Ma se adesso dobbiamo arrestarvi e giudicarvi tutti, eh, hai voglia”.
“Quindi non verrete ad arrestarmi”.
“No, credo di no”.
“La solita Italia. Fatta una legge, trovato l’inganno”.
“Piano con le parole, eh? Altrimenti...”
“Altrimenti?”
“Ti arresto per vilipendio”.
“Perfetto! Cos’è il vilipendio?”
“Sono le offese”.
“Ah, bene. L’Italia è una distesa di giunchi appassiti che oscilla al vento osceno della stupidità”.
“Eh?”
“Era un’offesa alla tua nazione. Arrestami”.
“Era solo una licenza poetica. Al massimo una libera espressione di giudizio. Non ti arresto”.
“Italia merda. Arrestami”.
“Ti piacerebbe, eh? Non ti arresto”.
“Mi devi arrestare! È vilipendio! C’è l’obbligatorietà!”
“No, invece, è satira, non ti arresto”.
“Il presidente è un invertito nazista”.
“Satira, satira politica”.
“Ma va’!”
“Come no? Guarda, rido anche, ah ah ah”.
“Donne italiane tutte puttane”.
“Ih Ih Ih, che spasso”.
...
martedì 20 maggio 2008
Gioventù bruciacchiate
Dopo di noi, sempre più giungla
“Ah, guarda, io non so come fai a fare il mestiere che fai. Come fai?”
Non lo so.
“Cioè, insegnante. Io non ce la farei mai”.
E io non farei mai il carabiniere, così siamo pari.
“Alle medie, poi. Coi ragazzi che ci stanno adesso. Dev'essere una jungla. Come si fa?”
Spiegamelo tu. Sei appena tornato da una missione in Afganistan e mi guardi come se il pazzo fossi io. Ma ti rendi conto.
“Ogni giorno ne senti una nuova. Ma quella ragazza, hai sentito? che arriva in classe, si mette a ridere... il prof avrà pensato a un caso di ridarola, come ai nostri tempi”.
I nostri tempi.
“Macchè, le convulsioni! Aveva tirato del crack! Nell'intervallo”.
Sì, è seccante. D'altro canto, ti ricordi Cantelmi?
“Come no, adesso fa l'assicuratore! È sempre il solito stronzo! Ma cosa c'entra Cantelmi?”
Ti passava l'hascisc negli spogliatoi, ai nostri tempi.
“Ma va'!”
Ti dico che me lo ricordo.
“Ma forse ad allenamento... ma a scuola no! l'hascisc a scuola, sei fuori?”
Proprio perché non sono fuori, proprio perché non ci sono mai stato, quell'odore lo sento solo ai concerti e a certi cantoni di strada; e ogni volta mi viene in mente lo spogliatoio e la faccia da culo di Cantelmi, e non è il tipo di madeleine che uno s'inventa a posteriori, per cui...
“E comunque era maria...”
Era hascisc, dai.
“Ma vuoi mettere col crack? Ma hai presente cos'è il crack? Ci sono i cristalli d'ero dentro, dipendenza al primo tiro!”
Ecco, è quello che ci raccontavano i vecchi della maria. Stessi discorsi.
“E poi era roba tra maschi! Cioè, neanche uno stronzo come Cantelmi avrebbe passato dell'hascisc a una ragazzina, cose da...”
Cantelmi forse no, ma tu l'hai fatto.
“Ma che sei sc...”
Predotti Annakatia.
“A vabbè, se adesso stiamo a contare pure l'Annacacca... io dicevo le ragazzine”.
Pure lei se ne tornava in classe con certi accessi di ridarola. Io mica capivo, eh. Ci ho messo qualche anno a ricostruire.
“Ma non era mica una ragazzina, dai... una ripetente”.
Quindici anni.
“Sì, ma fisicamente, eh... fisicamente...”
Oggi finiresti sul giornale, per una cosa del genere. Negli anni Ottanta i cronisti avevano altro da fare. C'erano le brigate rosse e l'anonima sarda, una babygang che spacciava alle medie era meno interessante. Non esisteva nemmeno la parola babygang.
“Ma non abbiamo mai fatto male a nessuno! Questi di adesso sono degli animali, distruggono le scuole! Hai sentito il liceo a Modena? Migliaia d'euro di danni, 'sti stronzetti. Che se me ne trovassi uno tra le mani, io...”
Medie statali di Ravarino, 15 settembre 1987.
“Eh?”
Avevano appena intonacato. La notte del primo giorno di scuola dei vandali con bomboletta riempiono di scritte le quattro pareti. Qualcosa come dieci milioni di danni. Non si è mai saputo chi sia stato.
“Ah cazzo, mi ricordo... quando uscì sulla prima del Carlino... che cagata addosso”.
Puoi ben dirlo.
“Ma quindi tu sapevi... ma chi te l'ha detto?”
C'ero anch'io, deficiente, ero quello che andò a comprare le bombolette il sabato pomeriggio, a Modena col motron.
“C'eri tu? Ma tu eri un secchione”.
Si vede che cominciava a starmi stretta la parte.
“Ma dai! Che roba! E gli altri chi erano? Che non mi ricordo proprio più niente, sai”.
Parisini Antonio.
“Poveretto. Hai saputo...”
Come no, un infarto a trent'anni, ci penso ogni volta che mi sento il cuore.
“Tranquillo che a te non capita”.
E chissà. Giarola Sandro.
“L'ingegnere!”
Secondo me non si è mica laureato, sai.
“Conta poco, suo padre gli ha messo già un po' d'azienda in mano. Vabbè, al massimo se ci scoprono l'avvocato ce lo paga lui”.
Mi sa che il reato è passato in prescrizione. E poi tu sei un eroe di guerra. Ma insomma, questi afgani?
“Son brutti. Ma nei carabinieri non si sta male. Voglio dire, c'è disciplina. Non è come a scuola”.
E dagli.
“Nel senso che... se io dico a un sottoposto Fermati, lui si ferma. A scuola non si ferma mai nessuno”.
Io mi fermavo, a volte.
“Io no. Nei carabinieri il comandante lo rispettano. A scuola gli insegnanti sono sempre degli sfigati... mica per offendere, eh...”
Il rispetto si conquista, ovunque vai.
“Ma a scuola ti possono fare qualsiasi cosa, e non puoi neanche toccarli! Ho sentito che l'ultima moda è che gli studenti ti prendono la targa! La tua l'han presa?”
Sì, certo.
“Cioè, qualcuno ti ha detto che...”
Un giorno uno mi ha chiesto, davanti a tutti: prof, lei per caso guida una pegiò tale targata ecc.? Sapeva anche il numero di telaio, a momenti. Sai, io poi lavoro in un paesone.
“E a uno così, se gli dai un brutto voto, cosa ti fa?”
Mah, spero niente.
“Ma ce l'hai un garage?”
Lo sto cercando. E poi ho esteso l'assicurazione agli atti vandalici. Ma voglio dire, è il mio mestiere. Se fossi un muratore potrei cadere da un'impalcatura.
“Noi però non eravamo così. Non avremmo mai minacciato un professore col numero di targa... è una cosa mafiosa, veramente”.
Ma l'auto di Farella, te la ricordi?
“Oddio, Farella! Ma tu sei pericoloso! Ma come fai a ricordarti dopo tutti questi anni Farella!”
L'inchiostro di certi brutti voti trapassa dal registro all'anima.
“Farella! Adesso io stanotte non dormirò, perché mi hai fatto venire in mente Farella!”
Certi momenti muti alla lavagna durano tutta la vita, forse non sono ancora passati.
“Con la sua Alfasud scassata! Coi deflettori di cartone!”
Glieli avevi rotti tu, no?
“No, fu Borotti, il figlio del tabaccaio... sta in Venezuela, adesso. Import Export”.
Dicono tutti così. La fiancata comunque, quella l'hai fatta tu. Col cacciavite a stella che ti trovarono nello zaino.
“Ancora 'sta storia, oh. Nooo! Come ve lo devo dire. Il cacciavite mi serviva perché avevo un problema col seimarce. Secondo me fu il povero Parisini”.
Certo, lui di sicuro non può smentire.
“Glielo dissi pure al Preside, di controllare il graffio, che i cacciaviti a stella non sono buoni per rovinare le fiancate, sono meglio quelli piatti”.
Eri già un esperto.
“Ma sì, perché avevo fatto la fiancata della supplente di francese, l'anno prima... ma con lei era un altro discorso... era una t...”
Va bene, i deflettori no e la fiancata no. Ma la pisciata, almeno. Prenditi le tue responsabilità.
“Ma sol che non scherzi! Ma ti pare? I maschi pisciano in piedi”.
Vuoi dire che...
“Fu lei, fu l'Annacacca! Avevamo rotto il deflettore per entrare, stavamo fumando... fu accidentale! Lo sai com'era l'Annacacca, quando cominciava a ridere...”
Si pisciò adosso nell'Alfasud del più stronzo dei prof di matematica. Era il 1986.
“Che sagoma, l'Annaka. Ma che fine ha fatto?”
Commessa. Sposata. Due figli.
“Due bambini! Li hai visti?”
Uno ce l'ho in classe. Non è proprio una cima, eh.
“E ti credo! Vengono su sempre più cretini”.
Non lo so. È difficile fare un confronto, stabilire dei parametri.
“E non rispettano più nessuno! Ci vuol coraggio per metterne ancora al mondo!”
Dai, ce la faremo.
“Mah”.
Sei stato in Afganistan, di cosa ti preoccupi?
“Là era deserto, duro, ma... allo stesso tempo semplice. Non so se mi spiego".
Sì.
“Qui è peggio, qui è una giungla”.
L'ho già sentito dire.
“Ah, guarda, io non so come fai a fare il mestiere che fai. Come fai?”
Non lo so.
“Cioè, insegnante. Io non ce la farei mai”.
E io non farei mai il carabiniere, così siamo pari.
“Alle medie, poi. Coi ragazzi che ci stanno adesso. Dev'essere una jungla. Come si fa?”
Spiegamelo tu. Sei appena tornato da una missione in Afganistan e mi guardi come se il pazzo fossi io. Ma ti rendi conto.
“Ogni giorno ne senti una nuova. Ma quella ragazza, hai sentito? che arriva in classe, si mette a ridere... il prof avrà pensato a un caso di ridarola, come ai nostri tempi”.
I nostri tempi.
“Macchè, le convulsioni! Aveva tirato del crack! Nell'intervallo”.
Sì, è seccante. D'altro canto, ti ricordi Cantelmi?
“Come no, adesso fa l'assicuratore! È sempre il solito stronzo! Ma cosa c'entra Cantelmi?”
Ti passava l'hascisc negli spogliatoi, ai nostri tempi.
“Ma va'!”
Ti dico che me lo ricordo.
“Ma forse ad allenamento... ma a scuola no! l'hascisc a scuola, sei fuori?”
Proprio perché non sono fuori, proprio perché non ci sono mai stato, quell'odore lo sento solo ai concerti e a certi cantoni di strada; e ogni volta mi viene in mente lo spogliatoio e la faccia da culo di Cantelmi, e non è il tipo di madeleine che uno s'inventa a posteriori, per cui...
“E comunque era maria...”
Era hascisc, dai.
“Ma vuoi mettere col crack? Ma hai presente cos'è il crack? Ci sono i cristalli d'ero dentro, dipendenza al primo tiro!”
Ecco, è quello che ci raccontavano i vecchi della maria. Stessi discorsi.
“E poi era roba tra maschi! Cioè, neanche uno stronzo come Cantelmi avrebbe passato dell'hascisc a una ragazzina, cose da...”
Cantelmi forse no, ma tu l'hai fatto.
“Ma che sei sc...”
Predotti Annakatia.
“A vabbè, se adesso stiamo a contare pure l'Annacacca... io dicevo le ragazzine”.
Pure lei se ne tornava in classe con certi accessi di ridarola. Io mica capivo, eh. Ci ho messo qualche anno a ricostruire.
“Ma non era mica una ragazzina, dai... una ripetente”.
Quindici anni.
“Sì, ma fisicamente, eh... fisicamente...”
Oggi finiresti sul giornale, per una cosa del genere. Negli anni Ottanta i cronisti avevano altro da fare. C'erano le brigate rosse e l'anonima sarda, una babygang che spacciava alle medie era meno interessante. Non esisteva nemmeno la parola babygang.
“Ma non abbiamo mai fatto male a nessuno! Questi di adesso sono degli animali, distruggono le scuole! Hai sentito il liceo a Modena? Migliaia d'euro di danni, 'sti stronzetti. Che se me ne trovassi uno tra le mani, io...”
Medie statali di Ravarino, 15 settembre 1987.
“Eh?”
Avevano appena intonacato. La notte del primo giorno di scuola dei vandali con bomboletta riempiono di scritte le quattro pareti. Qualcosa come dieci milioni di danni. Non si è mai saputo chi sia stato.
“Ah cazzo, mi ricordo... quando uscì sulla prima del Carlino... che cagata addosso”.
Puoi ben dirlo.
“Ma quindi tu sapevi... ma chi te l'ha detto?”
C'ero anch'io, deficiente, ero quello che andò a comprare le bombolette il sabato pomeriggio, a Modena col motron.
“C'eri tu? Ma tu eri un secchione”.
Si vede che cominciava a starmi stretta la parte.
“Ma dai! Che roba! E gli altri chi erano? Che non mi ricordo proprio più niente, sai”.
Parisini Antonio.
“Poveretto. Hai saputo...”
Come no, un infarto a trent'anni, ci penso ogni volta che mi sento il cuore.
“Tranquillo che a te non capita”.
E chissà. Giarola Sandro.
“L'ingegnere!”
Secondo me non si è mica laureato, sai.
“Conta poco, suo padre gli ha messo già un po' d'azienda in mano. Vabbè, al massimo se ci scoprono l'avvocato ce lo paga lui”.
Mi sa che il reato è passato in prescrizione. E poi tu sei un eroe di guerra. Ma insomma, questi afgani?
“Son brutti. Ma nei carabinieri non si sta male. Voglio dire, c'è disciplina. Non è come a scuola”.
E dagli.
“Nel senso che... se io dico a un sottoposto Fermati, lui si ferma. A scuola non si ferma mai nessuno”.
Io mi fermavo, a volte.
“Io no. Nei carabinieri il comandante lo rispettano. A scuola gli insegnanti sono sempre degli sfigati... mica per offendere, eh...”
Il rispetto si conquista, ovunque vai.
“Ma a scuola ti possono fare qualsiasi cosa, e non puoi neanche toccarli! Ho sentito che l'ultima moda è che gli studenti ti prendono la targa! La tua l'han presa?”
Sì, certo.
“Cioè, qualcuno ti ha detto che...”
Un giorno uno mi ha chiesto, davanti a tutti: prof, lei per caso guida una pegiò tale targata ecc.? Sapeva anche il numero di telaio, a momenti. Sai, io poi lavoro in un paesone.
“E a uno così, se gli dai un brutto voto, cosa ti fa?”
Mah, spero niente.
“Ma ce l'hai un garage?”
Lo sto cercando. E poi ho esteso l'assicurazione agli atti vandalici. Ma voglio dire, è il mio mestiere. Se fossi un muratore potrei cadere da un'impalcatura.
“Noi però non eravamo così. Non avremmo mai minacciato un professore col numero di targa... è una cosa mafiosa, veramente”.
Ma l'auto di Farella, te la ricordi?
“Oddio, Farella! Ma tu sei pericoloso! Ma come fai a ricordarti dopo tutti questi anni Farella!”
L'inchiostro di certi brutti voti trapassa dal registro all'anima.
“Farella! Adesso io stanotte non dormirò, perché mi hai fatto venire in mente Farella!”
Certi momenti muti alla lavagna durano tutta la vita, forse non sono ancora passati.
“Con la sua Alfasud scassata! Coi deflettori di cartone!”
Glieli avevi rotti tu, no?
“No, fu Borotti, il figlio del tabaccaio... sta in Venezuela, adesso. Import Export”.
Dicono tutti così. La fiancata comunque, quella l'hai fatta tu. Col cacciavite a stella che ti trovarono nello zaino.
“Ancora 'sta storia, oh. Nooo! Come ve lo devo dire. Il cacciavite mi serviva perché avevo un problema col seimarce. Secondo me fu il povero Parisini”.
Certo, lui di sicuro non può smentire.
“Glielo dissi pure al Preside, di controllare il graffio, che i cacciaviti a stella non sono buoni per rovinare le fiancate, sono meglio quelli piatti”.
Eri già un esperto.
“Ma sì, perché avevo fatto la fiancata della supplente di francese, l'anno prima... ma con lei era un altro discorso... era una t...”
Va bene, i deflettori no e la fiancata no. Ma la pisciata, almeno. Prenditi le tue responsabilità.
“Ma sol che non scherzi! Ma ti pare? I maschi pisciano in piedi”.
Vuoi dire che...
“Fu lei, fu l'Annacacca! Avevamo rotto il deflettore per entrare, stavamo fumando... fu accidentale! Lo sai com'era l'Annacacca, quando cominciava a ridere...”
Si pisciò adosso nell'Alfasud del più stronzo dei prof di matematica. Era il 1986.
“Che sagoma, l'Annaka. Ma che fine ha fatto?”
Commessa. Sposata. Due figli.
“Due bambini! Li hai visti?”
Uno ce l'ho in classe. Non è proprio una cima, eh.
“E ti credo! Vengono su sempre più cretini”.
Non lo so. È difficile fare un confronto, stabilire dei parametri.
“E non rispettano più nessuno! Ci vuol coraggio per metterne ancora al mondo!”
Dai, ce la faremo.
“Mah”.
Sei stato in Afganistan, di cosa ti preoccupi?
“Là era deserto, duro, ma... allo stesso tempo semplice. Non so se mi spiego".
Sì.
“Qui è peggio, qui è una giungla”.
L'ho già sentito dire.
giovedì 15 maggio 2008
Beneath the blue suburbian skies
Dopo di noi, la jungla
Allora, mettiamo che io stia cercando una casa in una cittadina che stavolta non vi dico, tanto l'ho già chiamata per nome altre volte.
Devo dire che andar per case è divertente. Di solito capisci che non le comprerai già dal portone; ugualmente ti fai un giro in una zona che magari conoscevi poco, getti uno sguardo da una finestra insolita, le stanze sono tutte vuote e ti metti lì a pensare a dove si accuccerebbe un bambino e dove si rintanerebbe un adolescente. Vivi un sacco di vite possibili; alla fine ti dicono il prezzo, tu fai il possibile per non ridergli in faccia, tanti saluti, la faremo sapere.
Ieri per esempio un tale ci aveva promesso “un pezzo di villetta praticamente in centro”. Alééééé! E un superattico no? Andiamo a vedere. Per essere in centro, non è in centro. È in uno di quei quadranti residenziali degli anni Settanta che hanno un certo effetto su di me, perché in luoghi simili vivevano quasi tutti i miei compagni delle elementari : casetta, cortile, un'aiuola, due ciliegi, un garage, e da qualche parte quell'uccello che fa sempre cuu-cuuu (io vivevo sopra un'officina sulla statale, vroooom! Vrooom!) Tutto questo percuote il mio cuore come la promessa di un'estate infinita, il calcetto per strada, le ragazze che saltano su piste di gesso...
“E poi, ci tengo a dirlo, è una zona italiana al cento per cento”.
“Eh, già”.
“Perché sa, adesso c'è tanta gente che scappa dal centro... senza voler discriminare nessuno, però... sta diventando una jungla”.
Fanno tutti così. Forse è colpa mia, che se mi chiedono “lei è di qui”, rispondo di no. In realtà sono nato a 15 km di distanza, in centro ci abito e ci lavoro, però non glielo dico: e il risultato è che cercano di vendermi una via di brutte casette anni Settanta come il quartiere fortificato sudafricano, sospeso tra le bidonville.
“Una jungla, una jungla”.
La principale emergenza criminalità in centro sono gli scippi in bicicletta. Giusto ieri però leggevo che è stata debellata: si trattava di un 15enne albanese che siccome in quattro mesi ha scippato 25 donne, è stato battezzato dal Resto Del Carlino “scippatore seriale”. Qui c'è tutto lo stile dei giornali locali: se in zona non c'è un assassino seriale, e nemmeno uno straccio di stupratore seriale, ci arrangiamo con lo scippatore; sarà seriale pure lui. Così non si rischia di confonderlo con gli scippatori episodici, quelli occasionali: voglio dire, se mi scappa di acciuffare una borsetta in piazza mica sono uno scippatore seriale, no? Il RdC descrive anche il suo “modus operandi”:
Una strategia diabolica, anche se per scippare una vecchina in bicicletta non me ne verrebbero in mente altre. (Il frontale? Farsi investire e fingere un malore?)
Nel frattempo il venditore ci ha fatto vedere il piano terra. L'unica vera finestra è a affacciata a nord, e sbarrata da inferriate. “Però è molto luminoso e tranquillo... siamo tutti tranquilli, qui...”
Il figlio del vicino di casa sta suonando la batteria. Non è neanche male, dai.
“Perché senza essere razzisti, è inutile nasconderlo, quando poi arriva il rumeno, o il cinese... anche se è uno tranquillo anche lui, eh? Però il valore cambia”.
Dalla strada vedo passare una Ritmo rossa – non avesse la vecchia targa nera, penserei che è stata reimmatricolata da un fanatico del vintage. Invece no: è una Ritmo del 1981, e non stona nell'insieme. E a quel punto mi viene veramente da ridere, però non posso! E non posso neanche rifarmi gli zigomi e presentarmi alla porta con una valigetta piena di Yuan, ma Dio sa quanto mi piacerebbe.
“Buongiolno signole, ho visto sua blutta casa in qualtiele di vecchie case in cemento, abitato da anziani signoli italiani, sì? Io so che essele in vendita”.
“Ma veramente noi... non per essere razzisti, ma abbiamo deciso di fare del nostro quartiere cadente il baluardo della razza ariana, e quindi...”
“Io ho qui tlecento subito”.
“Affare fatto. Lunga vita al Presidente Mao”.
“Plesidente Mao molto”.
“Sì, piace molto anche a noi”.
C'era una via così nel paese dove abitavo. Avevo un paio di amici lì. In realtà era la via più sicura del mondo, siccome contava ben due residenti agli arresti domiciliari. Un bel risparmio per i carabinieri di ronda: due firme al prezzo di una. Però, ripensandoci, col senno della maggiore età, una via di 500 m. con due arresti domiciliari ha da essere un record. Cioè, che infanzia ho vissuto? Uno spacciava droga, l'altro droga più armi. Tutti italiani, eh, ci mancherebbe. Gente tranquilla. Solo i cani, un po' mordaci.
Invece adesso sto in centro, in affitto. Anche qui, ci avevano spiegato, “siamo tutti italiani”. Tranne un interno che restava sempre sfitto. Un bel giorno è arrivata la famiglia magrebina, col passeggino: la jungla che avanza! Io ci speravo da sempre, che arrivasse quel momento in cui si insediano gli stranieri e i prezzi crollano. Ma l'affitto non me l'hanno mica abbassato, anzi. E, scommetto, neanche ai magrebini.
Non per fare il razzista: io lavoro a scuola e quando lavoro per me le razze non esistono. Lo dico anche ai ragazzi. Gli dico che hanno fatto un esperimento molto complicato (hanno mappato il genoma, vabbè)... e hanno scoperto che le razze veramente non esistono. Ma se compro casa è chiaro che penso a tutto. M'interessa l'orientamento, il verde, il posto macchina, e m'interessa pure il colore della pelle dei vicini. Non andrei mai a vivere sopra una friggitoria cinese. Non andrei mai a vivere in un condominio con altre cinque famiglie tutte curde o cingalesi. Quindi in generale sì, preferirei vicini italiani. Non per essere razzista, anche se forse un po' lo sono.
Ma per lo stesso motivo preferirei non avere vicini poveri, e non c'è un motivo al mondo per cui la povertà debba rimanere a lungo fuori da un quartiere così dimesso. Cioè, guardatevi, girate ancora in Ritmo. Oppure vi prendete un SUV della Kia, ma a chi la raccontate? Queste vecchie case non troppo grandi e non troppo luminose, che vi verranno libere quando vi muore il nonno o la zia, non le rivenderete agli italiani – almeno finché la povertà non li avrà ripresi, questi fighetti illetterati nipoti di contadini, quindi chissà, quel giorno forse non è così lontano. Ma a quel punto il posto dello scippatore seriale albanese se lo sarà preso uno scippatore seriale di Quartirolo, e a me che differenza fa? Seriamente, che differenza fa? Le razze non esistono. Esistono ricchezza e povertà, e c'è capitato di vivere un decennio in cui la pelle scura è un indicatore di pezze al culo. Tutto qui.
E a proposito di culo, o proprietari: lo volete capire che state appoggiando con troppa sicumera il vostro su un'enorme bolla immobiliare? Parlo almeno del paese mio, dove per un quartiere del genere ti propongono prezzi assurdi, buffoneschi, catartici, dirompenti, esagerati, folli, gargantueschi, hollywoodiani, insensati, jenniferlopeziani, kafkiani, luculliani, massicci, notevoli, oppressivi, pazzeschi, quasariani, roboanti, strabilianti, temerari, unici, viziati, watussiani, xenofobi y zarri.
Un po' vi compatisco: vi hanno raccontato sin dalla culla che tutto era vanità, fuorché il mattone. Le maglierie potevano chiudere, la lira sprofondare, l'oro arrugginire, ma il mattone sarebbe cresciuto sempre. Sempre. Bastava mettere su quattro pareti e un tetto, e tutti avrebbero fatto la fila per comprartelo.
Adesso sospendono i cantieri. Ne ho visti: metton su le impalcature, poi si fermano. Nessuno ha più voglia di comprare: e voi fate pure i difficili. Valà che ve lo sognate pure voi, il cinese con la valigetta. Però anche i cinesi hanno i loro problemi, adesso.
Allora, mettiamo che io stia cercando una casa in una cittadina che stavolta non vi dico, tanto l'ho già chiamata per nome altre volte.
Devo dire che andar per case è divertente. Di solito capisci che non le comprerai già dal portone; ugualmente ti fai un giro in una zona che magari conoscevi poco, getti uno sguardo da una finestra insolita, le stanze sono tutte vuote e ti metti lì a pensare a dove si accuccerebbe un bambino e dove si rintanerebbe un adolescente. Vivi un sacco di vite possibili; alla fine ti dicono il prezzo, tu fai il possibile per non ridergli in faccia, tanti saluti, la faremo sapere.
Ieri per esempio un tale ci aveva promesso “un pezzo di villetta praticamente in centro”. Alééééé! E un superattico no? Andiamo a vedere. Per essere in centro, non è in centro. È in uno di quei quadranti residenziali degli anni Settanta che hanno un certo effetto su di me, perché in luoghi simili vivevano quasi tutti i miei compagni delle elementari : casetta, cortile, un'aiuola, due ciliegi, un garage, e da qualche parte quell'uccello che fa sempre cuu-cuuu (io vivevo sopra un'officina sulla statale, vroooom! Vrooom!) Tutto questo percuote il mio cuore come la promessa di un'estate infinita, il calcetto per strada, le ragazze che saltano su piste di gesso...
“E poi, ci tengo a dirlo, è una zona italiana al cento per cento”.
“Eh, già”.
“Perché sa, adesso c'è tanta gente che scappa dal centro... senza voler discriminare nessuno, però... sta diventando una jungla”.
Fanno tutti così. Forse è colpa mia, che se mi chiedono “lei è di qui”, rispondo di no. In realtà sono nato a 15 km di distanza, in centro ci abito e ci lavoro, però non glielo dico: e il risultato è che cercano di vendermi una via di brutte casette anni Settanta come il quartiere fortificato sudafricano, sospeso tra le bidonville.
“Una jungla, una jungla”.
La principale emergenza criminalità in centro sono gli scippi in bicicletta. Giusto ieri però leggevo che è stata debellata: si trattava di un 15enne albanese che siccome in quattro mesi ha scippato 25 donne, è stato battezzato dal Resto Del Carlino “scippatore seriale”. Qui c'è tutto lo stile dei giornali locali: se in zona non c'è un assassino seriale, e nemmeno uno straccio di stupratore seriale, ci arrangiamo con lo scippatore; sarà seriale pure lui. Così non si rischia di confonderlo con gli scippatori episodici, quelli occasionali: voglio dire, se mi scappa di acciuffare una borsetta in piazza mica sono uno scippatore seriale, no? Il RdC descrive anche il suo “modus operandi”:
dopo aver individuato le proprie vittime, generalmente donne anziane a bordo di biciclette, le avvicinava da tergo, anch’egli a bordo di una bicicletta, e, con mossa repentina, asportava le borse riposte incautamente nei cestini, per poi fuggire.
Una strategia diabolica, anche se per scippare una vecchina in bicicletta non me ne verrebbero in mente altre. (Il frontale? Farsi investire e fingere un malore?)
Nel frattempo il venditore ci ha fatto vedere il piano terra. L'unica vera finestra è a affacciata a nord, e sbarrata da inferriate. “Però è molto luminoso e tranquillo... siamo tutti tranquilli, qui...”
Il figlio del vicino di casa sta suonando la batteria. Non è neanche male, dai.
“Perché senza essere razzisti, è inutile nasconderlo, quando poi arriva il rumeno, o il cinese... anche se è uno tranquillo anche lui, eh? Però il valore cambia”.
Dalla strada vedo passare una Ritmo rossa – non avesse la vecchia targa nera, penserei che è stata reimmatricolata da un fanatico del vintage. Invece no: è una Ritmo del 1981, e non stona nell'insieme. E a quel punto mi viene veramente da ridere, però non posso! E non posso neanche rifarmi gli zigomi e presentarmi alla porta con una valigetta piena di Yuan, ma Dio sa quanto mi piacerebbe.
“Buongiolno signole, ho visto sua blutta casa in qualtiele di vecchie case in cemento, abitato da anziani signoli italiani, sì? Io so che essele in vendita”.
“Ma veramente noi... non per essere razzisti, ma abbiamo deciso di fare del nostro quartiere cadente il baluardo della razza ariana, e quindi...”
“Io ho qui tlecento subito”.
“Affare fatto. Lunga vita al Presidente Mao”.
“Plesidente Mao molto”.
“Sì, piace molto anche a noi”.
C'era una via così nel paese dove abitavo. Avevo un paio di amici lì. In realtà era la via più sicura del mondo, siccome contava ben due residenti agli arresti domiciliari. Un bel risparmio per i carabinieri di ronda: due firme al prezzo di una. Però, ripensandoci, col senno della maggiore età, una via di 500 m. con due arresti domiciliari ha da essere un record. Cioè, che infanzia ho vissuto? Uno spacciava droga, l'altro droga più armi. Tutti italiani, eh, ci mancherebbe. Gente tranquilla. Solo i cani, un po' mordaci.
Invece adesso sto in centro, in affitto. Anche qui, ci avevano spiegato, “siamo tutti italiani”. Tranne un interno che restava sempre sfitto. Un bel giorno è arrivata la famiglia magrebina, col passeggino: la jungla che avanza! Io ci speravo da sempre, che arrivasse quel momento in cui si insediano gli stranieri e i prezzi crollano. Ma l'affitto non me l'hanno mica abbassato, anzi. E, scommetto, neanche ai magrebini.
Non per fare il razzista: io lavoro a scuola e quando lavoro per me le razze non esistono. Lo dico anche ai ragazzi. Gli dico che hanno fatto un esperimento molto complicato (hanno mappato il genoma, vabbè)... e hanno scoperto che le razze veramente non esistono. Ma se compro casa è chiaro che penso a tutto. M'interessa l'orientamento, il verde, il posto macchina, e m'interessa pure il colore della pelle dei vicini. Non andrei mai a vivere sopra una friggitoria cinese. Non andrei mai a vivere in un condominio con altre cinque famiglie tutte curde o cingalesi. Quindi in generale sì, preferirei vicini italiani. Non per essere razzista, anche se forse un po' lo sono.
Ma per lo stesso motivo preferirei non avere vicini poveri, e non c'è un motivo al mondo per cui la povertà debba rimanere a lungo fuori da un quartiere così dimesso. Cioè, guardatevi, girate ancora in Ritmo. Oppure vi prendete un SUV della Kia, ma a chi la raccontate? Queste vecchie case non troppo grandi e non troppo luminose, che vi verranno libere quando vi muore il nonno o la zia, non le rivenderete agli italiani – almeno finché la povertà non li avrà ripresi, questi fighetti illetterati nipoti di contadini, quindi chissà, quel giorno forse non è così lontano. Ma a quel punto il posto dello scippatore seriale albanese se lo sarà preso uno scippatore seriale di Quartirolo, e a me che differenza fa? Seriamente, che differenza fa? Le razze non esistono. Esistono ricchezza e povertà, e c'è capitato di vivere un decennio in cui la pelle scura è un indicatore di pezze al culo. Tutto qui.
E a proposito di culo, o proprietari: lo volete capire che state appoggiando con troppa sicumera il vostro su un'enorme bolla immobiliare? Parlo almeno del paese mio, dove per un quartiere del genere ti propongono prezzi assurdi, buffoneschi, catartici, dirompenti, esagerati, folli, gargantueschi, hollywoodiani, insensati, jenniferlopeziani, kafkiani, luculliani, massicci, notevoli, oppressivi, pazzeschi, quasariani, roboanti, strabilianti, temerari, unici, viziati, watussiani, xenofobi y zarri.
Un po' vi compatisco: vi hanno raccontato sin dalla culla che tutto era vanità, fuorché il mattone. Le maglierie potevano chiudere, la lira sprofondare, l'oro arrugginire, ma il mattone sarebbe cresciuto sempre. Sempre. Bastava mettere su quattro pareti e un tetto, e tutti avrebbero fatto la fila per comprartelo.
Adesso sospendono i cantieri. Ne ho visti: metton su le impalcature, poi si fermano. Nessuno ha più voglia di comprare: e voi fate pure i difficili. Valà che ve lo sognate pure voi, il cinese con la valigetta. Però anche i cinesi hanno i loro problemi, adesso.
martedì 13 maggio 2008
tramare nell'Ombra
Salve, sono Walter Veltroni, il vostro Presidente del Consiglio Ombra.
Forse mi conoscete già per La scoperta dell'Alba e Acqua calda, che sorpresa!
Oggi vi parlo del Consiglio d'Amministrazione Rai, che tra qualche mese dovrebbe dimettersi ed essere rimpiazzato secondo i criteri previsti dalla Legge Gasparri.
Questa legge al Governo Ombra non piace, perché è illiberale. Anzi, è proprio una legge truffa, diciamolo. Quando Gasparri la propose, noi ci opponemmo con tutte le forze, perché eravamo all'opposizione.
Qualche anno dopo siamo andati al governo, con un programma che prevedeva la modifica della legge Gasparri. Però non l'abbiamo modificata.
C'erano altre priorità, e comunque il nostro ministro, Gentiloni, ci stava lavorando... finché a febbraio è cascato il governo.
Coincidenza, è caduto proprio quando ho fatto sapere che il PD correva da solo. Così la legge Gasparri è rimasta al suo posto, già.
In seguito ho perso le elezioni - provatele a vincere voi, con la concentrazione mediatica che c'è in Italia - e sono diventato Presidente Ombra, come sapete.
Ora sto chiedendo alla nuova maggioranza, per cortesia, di non nominare il CDA Rai secondo la legge illiberale che in due anni non abbiamo modificato. E se glielo chiedo cortesemente, chissà, magari ci stanno. Insomma, ce provo.
Però la linea è disturbata... ci sono come delle risate in sottofondo... Hallo? Hallo?
Forse mi conoscete già per La scoperta dell'Alba e Acqua calda, che sorpresa!
Oggi vi parlo del Consiglio d'Amministrazione Rai, che tra qualche mese dovrebbe dimettersi ed essere rimpiazzato secondo i criteri previsti dalla Legge Gasparri.
Questa legge al Governo Ombra non piace, perché è illiberale. Anzi, è proprio una legge truffa, diciamolo. Quando Gasparri la propose, noi ci opponemmo con tutte le forze, perché eravamo all'opposizione.
Qualche anno dopo siamo andati al governo, con un programma che prevedeva la modifica della legge Gasparri. Però non l'abbiamo modificata.
C'erano altre priorità, e comunque il nostro ministro, Gentiloni, ci stava lavorando... finché a febbraio è cascato il governo.
Coincidenza, è caduto proprio quando ho fatto sapere che il PD correva da solo. Così la legge Gasparri è rimasta al suo posto, già.
In seguito ho perso le elezioni - provatele a vincere voi, con la concentrazione mediatica che c'è in Italia - e sono diventato Presidente Ombra, come sapete.
Ora sto chiedendo alla nuova maggioranza, per cortesia, di non nominare il CDA Rai secondo la legge illiberale che in due anni non abbiamo modificato. E se glielo chiedo cortesemente, chissà, magari ci stanno. Insomma, ce provo.
Però la linea è disturbata... ci sono come delle risate in sottofondo... Hallo? Hallo?
lunedì 12 maggio 2008
Il re dei can per l'aia
Lo Stato di Travaglio
Mettiamo che io fossi il Presidente del Senato di uno Stato... non come l'Italia, uno Stato democratico; mettiamo che accendendo la tv trovassi un giornalista male informato che mi dà del mafioso. Beh, senz'altro mi arrabbierei. E poi convocherei una conferenza stampa per smentire le affermazioni del giornalista. Ah, non mi tratterrei dal querelare il giornalista: la legge me ne dà il diritto, e lo stesso rispetto che nutro per la carica che rivesto me lo imporrebbe. E siccome sono stato diffamato in diretta tv, chiederei (e otterrei facilmente) uno spazio televisivo analogo per argomentare meglio la mia smentita. Questo, se fossi il Presidente del Senato di uno Stato democratico; non dell'Italia, che pare sia una dittatura. L'avreste detto mai?
In questa Italia dispotica, c'è un solo canale (Rai3), un solo presentatore, (Fazio) e un solo giornalista che ha il diritto di parlare (Travaglio), infangando ogni carica dello Stato che gli capiti a tiro... senza possibilità di contraddittorio! Cioè, vi rendete conto? Se il povero Schifani vuole difendersi, non può! Ne è prova che non ha ancora ufficialmente smentito le dichiarazioni di Travaglio, né lo ha denunciato. Probabilmente vorrebbe farlo, ma in tv nessuno è disposto a inquadrarlo: tutti temono Travaglio e il suo diabolico potere, evidentemente. Giusto su qualche giornale clandestino, o tra i marosi del World Wide Web trovi qualche temerario disposto a difenderlo, ma con esiti abbastanza scarsi. Stamattina, per esempio, Filippo Facci ha fatto quel che ha potuto su Macchianera. Onestamente pensavo che la seconda carica dello Stato si meritasse qualcosa di meglio… ma giudicate un po’ voi.
Mettiamo che io fossi il Presidente del Senato di uno Stato... non come l'Italia, uno Stato democratico; mettiamo che accendendo la tv trovassi un giornalista male informato che mi dà del mafioso. Beh, senz'altro mi arrabbierei. E poi convocherei una conferenza stampa per smentire le affermazioni del giornalista. Ah, non mi tratterrei dal querelare il giornalista: la legge me ne dà il diritto, e lo stesso rispetto che nutro per la carica che rivesto me lo imporrebbe. E siccome sono stato diffamato in diretta tv, chiederei (e otterrei facilmente) uno spazio televisivo analogo per argomentare meglio la mia smentita. Questo, se fossi il Presidente del Senato di uno Stato democratico; non dell'Italia, che pare sia una dittatura. L'avreste detto mai?
In questa Italia dispotica, c'è un solo canale (Rai3), un solo presentatore, (Fazio) e un solo giornalista che ha il diritto di parlare (Travaglio), infangando ogni carica dello Stato che gli capiti a tiro... senza possibilità di contraddittorio! Cioè, vi rendete conto? Se il povero Schifani vuole difendersi, non può! Ne è prova che non ha ancora ufficialmente smentito le dichiarazioni di Travaglio, né lo ha denunciato. Probabilmente vorrebbe farlo, ma in tv nessuno è disposto a inquadrarlo: tutti temono Travaglio e il suo diabolico potere, evidentemente. Giusto su qualche giornale clandestino, o tra i marosi del World Wide Web trovi qualche temerario disposto a difenderlo, ma con esiti abbastanza scarsi. Stamattina, per esempio, Filippo Facci ha fatto quel che ha potuto su Macchianera. Onestamente pensavo che la seconda carica dello Stato si meritasse qualcosa di meglio… ma giudicate un po’ voi.
Sul serio: che dobbiamo fare con Marco Travaglio? Perché vedete, quelle di Marco Travaglio non sono «opinione diverse»: sono piccole e grandi falsità mischiate a omissioni, ciò che nell’insieme forma una cosa che si chiama propaganda. Che sia per se stesso, o per i suoi amici, è propaganda. E che dovremmo fare? Si sbaglia in ogni caso. Se te ne occupi fai il suo gioco vanesio e legittimante, oltretutto perdi un sacco di tempo perché la quantità di cose appunto false e omissive da lui dette è talmente clamorosa da rischiar di consumare, solo per replicargli e smentire, tutto il tuo tempo e tutti i tuoi articoli. Se invece non te ne occupi, viceversa, c’è il rischio che il silenzio passi per assenso e dunque s'insinui come una droga che dia subito assuefazione, talchè lui, per farsi notare e fare sempre più il fenomeno, ogni volta alzi la dose delle cretinate che scrive e che ripete a pappagallo. Che fare, dunque? | Questo è solo un preambolo astioso, ma vedrete che nel prossimo paragrafo Facci confuterà le accuse di Travaglio, una per una, con dati alla mano. |
Va considerato peraltro che l’ego pubblico del ragazzo è talmente devastante da farlo esser fuori casa sette giorni su sette: presentazioni di libri suoi, libri di altri, spettacoli teatrali, girotondi, kermesse satiriche, comizi di Grillo, convegni organizzati da circoli culturali o da banche, soprattutto talk-show illiberali sinchè non lo invitano, questo secondo uno schema nondimeno brutale: se l’invitano deve poter dire qualsiasi cosa di questo regime, sennò è la prova che il regime c’è; se non l’invitano, beh, vuol dire che il regime c’è definitivamente. | Beh, anche qui non è ancora entrato nel merito, però non ha tutti i torti, dai, ormai Travaglio è onnipresente. Ma... le accuse a Schifani? |
A proposito: Biagi è stato cacciato. Non è vero, è documentalmente provato che è falso, niente di serio prova il contrario: ma a lui e altri lo ripetono sperando che la cosa passi in cavalleria. | Biagi? E Biagi che c'entra? Dai, Facci, la polemica su Biagi un'altra volta. Oggi bisogna difendere il Presidente del Senato da un'accusa pesantissima! |
Propaganda? I signori conduttori, nel dubbio, lo invitano. Travaglio oltretutto alza gli ascolti perché attira sia i descolarizzati & frustrati che lo amano (target Di Pietro) sia quelli che lo detestano e allora lo guardano come si guarda, dicendo «che schifo », un gatto spiaccicato sull’autostrada. | Di Pietro comunque è laureato in giurisprudenza con 108/110, eh. Sbaglia spesso i congiuntivi, ma quando parlo anch'io. Comunque si parlava di Schifani. |
Nel frattempo il terzo gode: si chiami Santoro, Fazio o chi volete. Che ci vuole: è sufficiente dissociarsi con una formuletta. L’ha fatto l’altro giorno Fabio Fazio, tutto contento e finto preoccupato, anche un po' viscido, perché Travaglio è uno che fa comunque rumore e che fa parlare della tua trasmissione. | Sì, effettivamente Fazio è un po' il re della doppiezza... volevo dire della dissimulazione onesta... ma parliamo di Schifani. |
Travaglio ha detto cose orrende del neo presidente del Senato, Renato Schifani, estraendo dal cappello alcune remote frequentazioni tra lui e altra gente che è stato indagata per mafia 18 anni dopo. | EVVAI! FINALMENTE!!! FALLO NERO!!! |
Più in generale, a Travaglio non par vero di potersi auto-associare a giornalisti come Lirio Abbate (persona seria, minacciata dalla mafia, ma essenzialmente cronista come Travaglio non è mai veramente stato) | Ma insomma, Abbate conferma? Perché più del valore del giornalista Travaglio, c'interesserebbe sapere se Schifani ha frequentato mafiosi o no. |
come Roberto Saviano, l’autore di Gomorra che ad Annozero, qualche settimana fa, in confronto, ha fatto sembrare Travaglio come un figurino patetico e impiccato ai suoi verbalini. Minacce mafiose: conoscendolo, è la medaglia cui Travaglio ambirebbe maggiormente. E una bella scorta, magari. Perché lui è libero e il regime vuole ucciderlo, mentre non siamo prigionieri e non ci fila nessuno: lo schema, involuto, è questo. | Sì, sì, va be', viva Saviano, ma Schifani ha frequentato dei mafiosi o no? Cosa dice esattamente Abbate? |
Da capo: che fare, dunque? Non se ne uscirà, di questo passo. La logica degli ascolti e la vanità di questo addetto stampa della Magistratura italiana presto ce lo mostrerà anche alla ‘Prova del cuoco’ ad accusare Giuliano Ferrara di essere grasso (la sfottò per difetti fisici è una sua ossessione, da fascistello che è) o a spiegare che la lobby dei tacchini natalizi era chiaramente citata nel Piano di Rinascita nazionale caro a Licio Gelli. | Prova del cuoco? Giuliano Ferrara? Licio Gelli? Mi sembra di vedere un cane menato in mezzo all'aia. Facci! C'è un presidente del Senato da difendere da accuse infamanti! |
Perché un altro punto, e ve lo dice uno che i verbali giudiziari li ha letti e masticati per vent’anni, è che Travaglio non è uno appunto che ha «opinioni diverse», Travaglio è un cialtrone. | Sarà anche un cialtrone, ma... insomma, Schifani ha frequantato dei mafiosi o no? |
Marco Travaglio è un grandissimo cialtrone inviso a qualsiasi persona intellettualmente onesta e minimamente informata. E’ la faziosità pura, la riproposizione dei passaggi di alcune sentenze al posto di altri, di certi verbali al posto di altri, di certi avversari al posto di altri. E’ l’enfasi delle sentenze di condanna e in caso di assoluzione è la sottolineatura delle parti che la condanna auspicavano. E’ l’invenzione di status giuridici inesistenti (prescritto al posto di non colpevole, soprattutto) o è la citazione dell’articolo articolo 530 come «insufficienza di prove» anziché «assoluzione perchè il fatto non sussiste». | Sì, sì, sì, ma Schifani? |
E’ dire «in nessun paese del mondo avviene che» anche se non è vero, sapendo che nessuno o quasi andrà a controllare: vedasi il caso delle intercettazioni telefoniche, o del celebre conflitto di interessi, che negli Usa sarebbe tranquillamente tollerato come ha ripetuto Al Gore di recente. | "Sarebbe tollerato?" Ci pigli per il culo? |
Più in generale, Marco Travaglio è un fracco di balle di cui nessuno si accorge perché lui è così «documentato» che nessuno si prende la briga di controllare, tantomeno conduttori e direttori e caporedattori. Per anni Travaglio ha attribuito a Paolo Borsellino la citazione di una telefonata tra Mangano e Dell’Utri dove si parlava di droga: appreso che questa telefonata non è mai esistita, lui ha continuato a citarla. | Vabbè, la storia è nota: Mangano al telefono parlava di "cavalli"; quando ne parlava con Inzerillo si trattava di carichi di droga, quando ne parlava con Dell'Utri, si trattava di cavalli veri. Dettagli suggestivi, ma... Schifani? |
Travaglio ha scritto balle contro Mediaset e Fdeele Confalonieri: condannato, ma non lo sa nessuno. Ha scritto balle contro Cesare Previti: condannato, ma non lo sa nessuno. E pochi sanno degli errori materiali (chiedete a Giuseppe Ayala) e pochi sanno dei casi di omonimia di cui ha dovuto scusarsi (chiedete a Pierferdinando Casini, Giuseppe Fallica e Antonio Socci) e pochi sanno soprattutto delle tantissime sciocchezze e omissioni che nessuno sta neppure a smentire. All’ultimo Annozero Travaglio ha detto che Grillo non può essersi arricchito con l’antipolitica perché i 4 milioni di euro da lui dichiarati, in realtà, sono del 2005, e cioè di quanto i vaffanculo day neppure li faceva. Non è vero, sono i redditi denunciati l’anno scorso: ma a lui basta dirlo. | Comincio a capire lo schema: se Travaglio ha scritto tante balle, sarà anche una balla quella dei contatti mafiosi di Schifani. Un po' tortuoso, però: non si faceva prima a dimostrare che Schifani non ha avuto contatti coi mafiosi? |
Al V-day di qualche settimana fa Travaglio ha tuonato contro i finanziamenti pubblici all’editoria e ha detto che anche l’Unità percepisce contributi «come tutti i giornali italiani»: e non è vero, perché la sua l’Unità percepisce più contributi di tutti in quanto stampa politica come tantissimi altri giornali non sono. Se vai suo internet e cerchi l’ultimo articolo di Travaglio contro Gianni Alemanno, nei sindaco di Roma, trovi le accuse più incredibili contro di lui ma neppure la citazione del dettaglio che è stato assolto. Sempre assolto. | Non è vero che l'Unità prende contributi perché... ne prende di più? Che razza di argomento è? e soprattutto: cosa c'entra con Schifani? |
Il fatto è che il nostro precisino sa essere tremendamente impreciso: ogni volta alza la posta dell’invettiva, abbassa l’asticella del target e tutto il resto è regime: magari citando e ricitando Montanelli. Quando un Montanelli redivivo, oggi, a uno come Travaglio, gli rilascerebbe sul sedere un bel verbale a forma di tacco. | Usare i morti è sempre facile: non possono smentire, neanche loro. C'è da dire che finché era vivo Montanelli lavorava con Travaglio, non con Facci. Ma ho uno scoop: se Montanelli fosse vivo mi preparerebbe il caffè ogni mattina, perché sono un gran figo, mentre Enzo Biagi mi massaggia la schiena. |
Poi ci sono quelli, stupidi o in malafede, che dicono: però le cose che Travaglio ha detto su Schifani sono vere. | Ecco, tutto qui: sarò stupido o in malafede, ma voglio sapere se Schifani frequentava dei mafiosi o no. Le tue risse da condominio con Travaglio falle pure su AnnoZero, tanto cambio canale. |
E invece sono irrilevanti, pretestuose e nondimeno, per come presentate, false. | Oh, ecco. Spiegaci il perché |
Sono irrilevanti perché stiamo parlando di persone che Renato Schifani ha frequentato 30 anni fa (nel 1979) e che solo 18 anni dopo sono state riconosciute come mafiosi: basti che gli dei di Travaglio, i magistrati, non hanno mai interrogato né accusato Schifani per questa faccenda. | Quindi se 30 anni fa Schifani avesse frequentato davvero dei mafiosi non sarebbe grave? E poi non è chiaro: 18 anni più tarsi cosa è stato scoperto? Che erano appena entrati nella mafia o erano già affiliati nel nel 1978 quando si vedevano con Schifani? Io non lo so, perché non ho il libro, ma tu che ce l'hai, perché non lo scrivi? Perché i magistrati non se ne sono mai accorti? Ma i magistrati sono gli dei di Travaglio, non i tuoi. E se si fossero sbagliati? |
Inoltre il libro piuttosto vecchiotto da cui Travaglio ha copiato le sue accuse, diversamente da come indegnamente fatto da Fabio Fazio, riporta la questione in maniera corretta: | e cioè? Quindi il libro ce l'hai? Perché non citi almeno due righe? |
tanto che Schifani il libro non l’ha mai querelato. | Ma se per questo non sta querelando neanche Travaglio! Cosa dobbiamo pensare? |
Ecco perché è particolarmente odioso che Travaglio cerchi di ripararsi dietro Lirio Abbate, autore del libro e ottimo cronista già minacciato dalla mafia: «Devono avere il coraggio di dire che Abbate è un mascalzone» ha infatti detto Travaglio da Fazio. Ma Abbate non è un mascalzone, e Travaglio invece sì, perché mente. | Non è mica tanto chiaro, sai. Abbate dice il vero, Travaglio lo cita, eppure mente. Ma su cosa? |
Travaglio, in trasmissione, ha dolosamente citato le amicizie di Schifani come se corrispondessero a una notizia, a una rivelazione che tutti nascondono tranne lui: «I giornalisti non scrivono che Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi perché non lo vuole né la destra né la sinistra, ma io faccio il giornalista, devo raccontarlo» ha detto in tv l’ultimo giornalista sulla Terra. | Effettivamente è curioso che ne parli solo lui. Vien da pensare che gli altri non lo sappiano, o preferiscano non parlarne. |
I giornalisti normali, in effetti, non hanno tirato fuori una vicenda che è vecchia, penalmente irrilevante e già pubblicata più volte: vicenda che ora Travaglio si è reinventato per trasformarla in una vaga primizia che ha spolverato con lombrichi e muffe prima di coprirsi infine con Lirio Abbate | Ah, non ne parlavano perché era roba vecchia e penalmente irrilevante. Lui invece la tira fuori, e in questo modo mente. Mah. |
e questo solo perché Schifani è diventato presidente del Senato. | Scusa se è poco, eh. Fino all'altro ieri era una faccia in tv, adesso è la seconda carica dello Stato, se tu fossi un giornalista capiresti che in questi casi ti rivoltano anche i cassetti, e se ci trovano muffe di vent'anni fa è comunque uno scoop... aspetta, ma tu sei un giornalista... |
In questo quadro c’è ancora chi fa spallucce se si reclama un contraddittorio: inteso come possibilità di spiegare al pubblico le malizie di un disonesto professionale. In questo quadro, secondo Travaglio e secondo un imbarazzatissimo Antonio Padellaro, direttore de l’Unità, dovrebbe essere Schifani a fornire spiegazioni: siamo alla follia. | Ma non chiedete tutti la stessa cosa? Un contraddittorio servirà a Schifani per spiegarsi, no? Che problema c'è? Ah, già, dimenticavo, esiste un solo canale tv (Rai3), un solo conduttore (Fazio) e un solo giornalista con diritto di parola (Travaglio) |
Travaglio deve ancora fornire spiegazioni, detto tra parentesi, circa l’episodio che lo rese noto: la volta ossia che andò da Luttazzi a sostenere riga per riga tutte le accuse che dipingevano Berlusconi come un mafioso. Quelle accuse sono cadute tutte | ...in prescrizione, dai. O perché ha cambiato la legge. Ci prendi per fessi? |
ma lui non si è mai scusato. | Si capisce. Dovrebbe dire così: "Scusatemi, credevo che avesse corrotto i tali giudici, ma il processo è andato in prescrizione e quindi mi sbagliavo..." |
Ha continuato a riportare ogni singola accusa nei suoi libri. Tutte. Dicendo magari che le indagini sono state archiviate, sì, «ma con motivazioni durissime». In natura esiste qualcosa del genere: si chiama scarabeo stercorario. Nel giornalismo italiano si chiama Marco Travaglio. | Bella chiusa. Mi resta solo un dubbio: Schifani aveva frequentazioni mafiose o no? Possibile che in diecimila battute non sei riuscito a dire di no?Adesso è colpa mia se comincio a sospettare che sì? |
giovedì 8 maggio 2008
Israele va alla Fiera
L'ospite difficile
Invitato come Ospite d'Onore presso la fiera del libro di una città al di là del mare, lo Stato d'Israele ebbe qualche difficoltà a prenotare un volo in business. Siccome i posti sul corridoio (che tradizionalmente prediligeva) erano già tutti prenotati, si rassegnò a un posto con il finestrino, perché in fin dei conti lo Stato d'Israele nei casi di difficoltà si comporta esattamente come chiunque altro: si adatta.
Però a tutto c'è un limite, e decisamente quel signore barbuto e sudato che a pochi minuti dal decollo si piantò davanti a lui blaterando insulti incomprensibili lo stava oltrepassando. Dai suoi insulti, e dai mugugni dei vicini passeggeri che sembravano capirlo, lo Stato d'Israele intuì che lo volevano far fuori, come al solito. Per fortuna era già accorsa un'hostess biondina, che con qualche imbarazzo spiegò che si era trattato di un increscioso caso di overbooking: insomma, la stessa poltroncina era stata venduta a due clienti diversi.
“Io però l'ho comprata prima”, azzardò lo Stato d'Israele.
In un inglese stentato il signore barbuto obiettò che questo era tutto da dimostrare, e che comunque in quella poltroncina si era seduto prima lui, anche se poi era dovuto alzarsi per andare ad allungare il bagaglio a mano ai suoi cugini che sedevano qualche fila più dietro.
Insomma, sono circondato, constatò lo Stato d'Israele: ma se pensano di avere a che fare con un rinunciatario, si sbagliano e non di poco... “Gli affari privati del signore non m'interessano: io questo posto l'ho comprato, mi appartiene, e non mi sposterete di qui con le cannonate”. Questo fiero discorso sembrava aver fatto il suo effetto sulla hostess, senonché il barbuto reagì semplicemente ripetendolo con una foga un po' barbara e riprovevole: anche lui aveva comprato quel posto, quindi apparteneva anche a lui, e anche lui non si sarebbe smosso a cannonate, tanto più che non era solo, ma viaggiava in compagnia!
Questo riferimento neanche tanto velato alla condizione di solitudine dello Stato d'Israele non ottenne l'effetto desiderato: invece di perdersi d'animo, lo Stato reagì invertendo l'argomento.
“In effetti ho notato che viaggiate in compagnia. Quanti siete?”
“Quindici. E non cederemo”.
“Lo vede, signora hostess? Loro hanno dunque il diritto di avere quindici posti, e io neanche uno? Dico, se questa non è prepotenza, se non è prevaricazione, cos'è? Lungi da me richiamare i tristi fantasmi del mio passato, ma...”
Appena ebbe sentito l'espressione tristi fantasmi del passato, l'hostess si volatilizzò spiegando che andava a parlarne col comandante, e nessuno la vide più in quella corsia per tutta la durata nel viaggio. Ne arrivò invece un'altra, un po' più energica, che non volendo perdere altro tempo (l'aereo era già sulla pista) convinse più o meno bruscamente il passeggero barbuto ad accomodarsi un momento nella classe turistica, in attesa che fossero ultimate le procedure di decollo. Lo Stato d'Israele festeggiò silenziosamente un'altra vittoria della sua proverbiale ostinazione, e non appena l'aereo ebbe completato la virata, celebrò la conquista della business concedendosi una meritata pennichella.
“Ma guarda che maleducato, questo bianco! A momenti il suo schienale mi arriva alle ginocchia”.
La frase penetrò il cuore sensibile dello Stato d'Israele come una lama nel burro. Bianco? Lo avevano chiamato bianco! Se solo avessero saputo la sua storia... tutti quegli anni in cui i bianchi gli avevano dato la caccia... e adesso il bianco era lui? Che razza di ingiustizia era questa? Forse era meglio far finta di niente... ah, no! Il passato aveva dimostrato cosa succede a far finta di niente anche solo per dieci o vent'anni! No, bisognava reagire alle provocazioni: colpo su colpo.
“Mi scusi, sono lo Stato d'Israele”.
“Non me ne frega niente”.
“Il suo tono è piuttosto irrispettoso”.
“Lo schienale del suo sedile sulle mie ginocchia lo è altrettanto”.
“Ma è un mio diritto abbassare lo schienale! Se solo avesse dato un occhiata all'opuscolo...”
“Sì, sì... prima si prende il posto di mio zio, e poi...”
“Ecco, ho capito. Il problema non è che ho abbassato lo schienale...”
“Veramente sì. Non riesco a stendere le gambe”.
“No, il vero problema è che non sono suo zio! A suo zio lo avrebbe lasciato fare, vero?”
“Io e mio zio c'intendiamo, ma non è questo il punto”.
“Il punto è precisamente questo. Lei riconosce a mio zio un diritto che non riconosce a me. Per lei io ho meno diritti di suo zio, sono un passeggero di serie B. È così che stanno le cose?”
“Al massimo è lei che ha trattato mio zio come un passeggero di serie B. Perché gli ha rubato il posto?”
“Io non ho rubato assolutamente niente! Moderi i termini! Questo posto è mio. L'ho acquistato prima di suo zio!”
Nel frattempo, in classe turistica, la hostess stava cercando di spiegare al famoso zio che il suo usurpatore, lo Stato d'Israele, non era sostanzialmente cattivo.
“Ha vissuto braccato per anni e anni, con l'incubo di essere eliminato”.
“Ma questo non gli dà diritto a prendere il mio posto e...”
“Bisogna capirlo”.
“Veramente lo capite tutti benissimo. Sono io che non parlo bene la vostra lingua. Perché nessuno fa un po' di fatica per capire me? Pensa che riuscirà a trovarmi un altro posto di là?”
“Senta, le farò una confidenza: la nostra business non è un granché. I sedili hanno il velluto spelacchiato, e cigolano alle vibrazioni. Qui in turistica potrebbe persino trovarsi meglio..”
“Ma ho tutta la famiglia di là... Se la turistica è così bella, perché non ci viene il tizio bianco? Tra l'altro in mezzo ai miei parenti non deve passarsela così bene”.
In effetti il viaggio si stava rivelando un incubo. Lo Stato d'Israele aveva già da tempo abbandonato ogni speranza di dormire un po' – ma non per questo aveva rialzato lo schienale: ormai era una questione di principio. Nelle ore seguenti fu un continuo litigio per queste e altre misere questioni di principio, che culminarono col passaggio del carrello bevande. Lo Stato d'Israele era praticamente astemio, ma si concedette ugualmente un'abbondante razione di vodka quando si rese conto che la comitiva di barbuti non poteva toccare alcol per via di certe loro ottuse superstizioni. A quel punto però, già un po' alticcio, venne quasi alle mani con un ragazzino che da due file dietro lo stava bersagliando con piccole palline di cibo non koscher.
“Ma si vergogni! Mettere le mani addosso a un bambino!”
“Vergognatevi voi, ad allevare figli così maleducati”.
Anche stavolta avevano ragione entrambi; purtroppo una ragione, divisa per due, è uguale a due torti. È una regola aritmetica che vale soprattutto negli ambienti ristretti (carlinghe di aeroplani, condomini, marciapiedi e piste ciclabili, strisce fertili tra il deserto e il mare). I barbuti finsero di redarguire il bambino; quel che fecero in realtà fu piazzare lui e il suo cuginetto di otto anni nella posizione strategica migliore per continuare i lanci; lanci che lo Stato d'Israele sopportò stoicamente, limitandosi a proferire qualche minaccia ogni tanto, in attesa che la razione di proiettili immondi finisse. Ma non finiva mai! Quelli continuavano! Chi li riforniva? Lo Stato ebbe un brivido: i quindici parenti dello Zio barbuto stavano mettendo insieme i loro rifiuti affinché i monelli potessero disporre di una riserva illimitata! Una dozzina di adulti regrediti a monelli! In pratica, di tutte le strategie di resistenza, aveva vinto quella più infantile! A un certo punto, con la coda dell'occhio, allo Stato d'Israele parve di vedere che anche un passeggero non barbuto, un bianco come lui, stava porgendo il suo vassoio ai ragazzini con aria divertita! Ma quindi era vero, ce l'avevano tutti con lui! Possibile? Fortuna che l'aeroplano era pressurizzato, altrimenti non avrebbero esitato a buttarlo fuori! Ma cosa aveva fatto di male, a parte aver fatto valere i suoi diritti? Perché doveva sempre pagare lui per tutti gli errori?
“Mi scusi...”
Si riscosse dal momentaneo torpore. Era lo Zio. Era venuto in Business a vendicarsi! Lo Stato si alzò di scatto, ma ebbe un lieve capogiro.
“No, no, vengo solo a dire che... io non credo che il posto è suo, però... quello che succede adesso qui mi vergogna molto. La mia famiglia mi vergogna molto. Si comportano tutti da ragazzini”.
“E lei li rimproveri”.
“L'ho già fatto. Non mi ascoltano. Dicono che sono debole”.
“Non hanno il senso del rispetto”.
“Perché mi hanno visto cedere. Mi hanno visto lasciare il posto a lei e adesso non mi considerano più il capofamiglia. Danno tutti retta a quell'idiota di mio fratello, due file indietro a destra, lo vede?”
“Il tizio con la barbetta corta?”
“Un fanatico vero. Dice che bisogna aprire il portellone e buttarla giù”.
“Mio dio, ma siete pazzi!”
“Tranquillo, crede che lo faranno? Non sanno nemmeno che non si può aprire il portello. È solo una scena per far vedere che è... come si dice... intransigente. Perché vede, noi siamo fatti così: se cediamo su una cosa, perdiamo tutto il rispetto. Io ho ceduto il posto e ho ceduto il rispetto. Può capire questa cosa?”
Lo Stato d'Israele la capiva molto bene, ma non lo disse.
“Ora vorrei stringere la mano a lei, ma i miei parenti...”
“Capisco. Fa lo stesso”.
“Mi dispiace ancora per tutto”.
“Non importa, tra pochi minuti siamo arrivati”.
Certe volte lo Stato d'Israele ha la sensazione di impazzire: insomma, possibile che tutti ce l'abbiano davvero con lui? Altre volte pensa che non è lui a essere pazzo, anzi, lui è uno Stato tutto sommato razionale. È il mondo che è pazzo e continua a prendersela con lui per i motivi più futili e assurdi. Poi razionalmente si rende conto che questo è un classico pensiero da soggetto paranoide, e si riscuote. È il problema di chi vive un po' isolato: alla lunga si rimane un po' impigliati dentro i fili dei soliti pensieri che si annodano e si rincorrono.
Nei prossimi giorni lo Stato d'Israele è ospite a Torino: se passate di lì, ascoltatelo: e almeno salutatelo, anche da parte mia.
Invitato come Ospite d'Onore presso la fiera del libro di una città al di là del mare, lo Stato d'Israele ebbe qualche difficoltà a prenotare un volo in business. Siccome i posti sul corridoio (che tradizionalmente prediligeva) erano già tutti prenotati, si rassegnò a un posto con il finestrino, perché in fin dei conti lo Stato d'Israele nei casi di difficoltà si comporta esattamente come chiunque altro: si adatta.
Però a tutto c'è un limite, e decisamente quel signore barbuto e sudato che a pochi minuti dal decollo si piantò davanti a lui blaterando insulti incomprensibili lo stava oltrepassando. Dai suoi insulti, e dai mugugni dei vicini passeggeri che sembravano capirlo, lo Stato d'Israele intuì che lo volevano far fuori, come al solito. Per fortuna era già accorsa un'hostess biondina, che con qualche imbarazzo spiegò che si era trattato di un increscioso caso di overbooking: insomma, la stessa poltroncina era stata venduta a due clienti diversi.
“Io però l'ho comprata prima”, azzardò lo Stato d'Israele.
In un inglese stentato il signore barbuto obiettò che questo era tutto da dimostrare, e che comunque in quella poltroncina si era seduto prima lui, anche se poi era dovuto alzarsi per andare ad allungare il bagaglio a mano ai suoi cugini che sedevano qualche fila più dietro.
Insomma, sono circondato, constatò lo Stato d'Israele: ma se pensano di avere a che fare con un rinunciatario, si sbagliano e non di poco... “Gli affari privati del signore non m'interessano: io questo posto l'ho comprato, mi appartiene, e non mi sposterete di qui con le cannonate”. Questo fiero discorso sembrava aver fatto il suo effetto sulla hostess, senonché il barbuto reagì semplicemente ripetendolo con una foga un po' barbara e riprovevole: anche lui aveva comprato quel posto, quindi apparteneva anche a lui, e anche lui non si sarebbe smosso a cannonate, tanto più che non era solo, ma viaggiava in compagnia!
Questo riferimento neanche tanto velato alla condizione di solitudine dello Stato d'Israele non ottenne l'effetto desiderato: invece di perdersi d'animo, lo Stato reagì invertendo l'argomento.
“In effetti ho notato che viaggiate in compagnia. Quanti siete?”
“Quindici. E non cederemo”.
“Lo vede, signora hostess? Loro hanno dunque il diritto di avere quindici posti, e io neanche uno? Dico, se questa non è prepotenza, se non è prevaricazione, cos'è? Lungi da me richiamare i tristi fantasmi del mio passato, ma...”
Appena ebbe sentito l'espressione tristi fantasmi del passato, l'hostess si volatilizzò spiegando che andava a parlarne col comandante, e nessuno la vide più in quella corsia per tutta la durata nel viaggio. Ne arrivò invece un'altra, un po' più energica, che non volendo perdere altro tempo (l'aereo era già sulla pista) convinse più o meno bruscamente il passeggero barbuto ad accomodarsi un momento nella classe turistica, in attesa che fossero ultimate le procedure di decollo. Lo Stato d'Israele festeggiò silenziosamente un'altra vittoria della sua proverbiale ostinazione, e non appena l'aereo ebbe completato la virata, celebrò la conquista della business concedendosi una meritata pennichella.
“Ma guarda che maleducato, questo bianco! A momenti il suo schienale mi arriva alle ginocchia”.
La frase penetrò il cuore sensibile dello Stato d'Israele come una lama nel burro. Bianco? Lo avevano chiamato bianco! Se solo avessero saputo la sua storia... tutti quegli anni in cui i bianchi gli avevano dato la caccia... e adesso il bianco era lui? Che razza di ingiustizia era questa? Forse era meglio far finta di niente... ah, no! Il passato aveva dimostrato cosa succede a far finta di niente anche solo per dieci o vent'anni! No, bisognava reagire alle provocazioni: colpo su colpo.
“Mi scusi, sono lo Stato d'Israele”.
“Non me ne frega niente”.
“Il suo tono è piuttosto irrispettoso”.
“Lo schienale del suo sedile sulle mie ginocchia lo è altrettanto”.
“Ma è un mio diritto abbassare lo schienale! Se solo avesse dato un occhiata all'opuscolo...”
“Sì, sì... prima si prende il posto di mio zio, e poi...”
“Ecco, ho capito. Il problema non è che ho abbassato lo schienale...”
“Veramente sì. Non riesco a stendere le gambe”.
“No, il vero problema è che non sono suo zio! A suo zio lo avrebbe lasciato fare, vero?”
“Io e mio zio c'intendiamo, ma non è questo il punto”.
“Il punto è precisamente questo. Lei riconosce a mio zio un diritto che non riconosce a me. Per lei io ho meno diritti di suo zio, sono un passeggero di serie B. È così che stanno le cose?”
“Al massimo è lei che ha trattato mio zio come un passeggero di serie B. Perché gli ha rubato il posto?”
“Io non ho rubato assolutamente niente! Moderi i termini! Questo posto è mio. L'ho acquistato prima di suo zio!”
Nel frattempo, in classe turistica, la hostess stava cercando di spiegare al famoso zio che il suo usurpatore, lo Stato d'Israele, non era sostanzialmente cattivo.
“Ha vissuto braccato per anni e anni, con l'incubo di essere eliminato”.
“Ma questo non gli dà diritto a prendere il mio posto e...”
“Bisogna capirlo”.
“Veramente lo capite tutti benissimo. Sono io che non parlo bene la vostra lingua. Perché nessuno fa un po' di fatica per capire me? Pensa che riuscirà a trovarmi un altro posto di là?”
“Senta, le farò una confidenza: la nostra business non è un granché. I sedili hanno il velluto spelacchiato, e cigolano alle vibrazioni. Qui in turistica potrebbe persino trovarsi meglio..”
“Ma ho tutta la famiglia di là... Se la turistica è così bella, perché non ci viene il tizio bianco? Tra l'altro in mezzo ai miei parenti non deve passarsela così bene”.
In effetti il viaggio si stava rivelando un incubo. Lo Stato d'Israele aveva già da tempo abbandonato ogni speranza di dormire un po' – ma non per questo aveva rialzato lo schienale: ormai era una questione di principio. Nelle ore seguenti fu un continuo litigio per queste e altre misere questioni di principio, che culminarono col passaggio del carrello bevande. Lo Stato d'Israele era praticamente astemio, ma si concedette ugualmente un'abbondante razione di vodka quando si rese conto che la comitiva di barbuti non poteva toccare alcol per via di certe loro ottuse superstizioni. A quel punto però, già un po' alticcio, venne quasi alle mani con un ragazzino che da due file dietro lo stava bersagliando con piccole palline di cibo non koscher.
“Ma si vergogni! Mettere le mani addosso a un bambino!”
“Vergognatevi voi, ad allevare figli così maleducati”.
Anche stavolta avevano ragione entrambi; purtroppo una ragione, divisa per due, è uguale a due torti. È una regola aritmetica che vale soprattutto negli ambienti ristretti (carlinghe di aeroplani, condomini, marciapiedi e piste ciclabili, strisce fertili tra il deserto e il mare). I barbuti finsero di redarguire il bambino; quel che fecero in realtà fu piazzare lui e il suo cuginetto di otto anni nella posizione strategica migliore per continuare i lanci; lanci che lo Stato d'Israele sopportò stoicamente, limitandosi a proferire qualche minaccia ogni tanto, in attesa che la razione di proiettili immondi finisse. Ma non finiva mai! Quelli continuavano! Chi li riforniva? Lo Stato ebbe un brivido: i quindici parenti dello Zio barbuto stavano mettendo insieme i loro rifiuti affinché i monelli potessero disporre di una riserva illimitata! Una dozzina di adulti regrediti a monelli! In pratica, di tutte le strategie di resistenza, aveva vinto quella più infantile! A un certo punto, con la coda dell'occhio, allo Stato d'Israele parve di vedere che anche un passeggero non barbuto, un bianco come lui, stava porgendo il suo vassoio ai ragazzini con aria divertita! Ma quindi era vero, ce l'avevano tutti con lui! Possibile? Fortuna che l'aeroplano era pressurizzato, altrimenti non avrebbero esitato a buttarlo fuori! Ma cosa aveva fatto di male, a parte aver fatto valere i suoi diritti? Perché doveva sempre pagare lui per tutti gli errori?
“Mi scusi...”
Si riscosse dal momentaneo torpore. Era lo Zio. Era venuto in Business a vendicarsi! Lo Stato si alzò di scatto, ma ebbe un lieve capogiro.
“No, no, vengo solo a dire che... io non credo che il posto è suo, però... quello che succede adesso qui mi vergogna molto. La mia famiglia mi vergogna molto. Si comportano tutti da ragazzini”.
“E lei li rimproveri”.
“L'ho già fatto. Non mi ascoltano. Dicono che sono debole”.
“Non hanno il senso del rispetto”.
“Perché mi hanno visto cedere. Mi hanno visto lasciare il posto a lei e adesso non mi considerano più il capofamiglia. Danno tutti retta a quell'idiota di mio fratello, due file indietro a destra, lo vede?”
“Il tizio con la barbetta corta?”
“Un fanatico vero. Dice che bisogna aprire il portellone e buttarla giù”.
“Mio dio, ma siete pazzi!”
“Tranquillo, crede che lo faranno? Non sanno nemmeno che non si può aprire il portello. È solo una scena per far vedere che è... come si dice... intransigente. Perché vede, noi siamo fatti così: se cediamo su una cosa, perdiamo tutto il rispetto. Io ho ceduto il posto e ho ceduto il rispetto. Può capire questa cosa?”
Lo Stato d'Israele la capiva molto bene, ma non lo disse.
“Ora vorrei stringere la mano a lei, ma i miei parenti...”
“Capisco. Fa lo stesso”.
“Mi dispiace ancora per tutto”.
“Non importa, tra pochi minuti siamo arrivati”.
Certe volte lo Stato d'Israele ha la sensazione di impazzire: insomma, possibile che tutti ce l'abbiano davvero con lui? Altre volte pensa che non è lui a essere pazzo, anzi, lui è uno Stato tutto sommato razionale. È il mondo che è pazzo e continua a prendersela con lui per i motivi più futili e assurdi. Poi razionalmente si rende conto che questo è un classico pensiero da soggetto paranoide, e si riscuote. È il problema di chi vive un po' isolato: alla lunga si rimane un po' impigliati dentro i fili dei soliti pensieri che si annodano e si rincorrono.
Nei prossimi giorni lo Stato d'Israele è ospite a Torino: se passate di lì, ascoltatelo: e almeno salutatelo, anche da parte mia.
mercoledì 7 maggio 2008
aridatece Brancaleone
Il lombardo alla prima Crociata
Uno dei meriti del governo Prodi (per ora dimenticati) è che ci ha fatto uscire dall'Iraq. Una guerra che gli italiani non avevano voluto, che nemmeno Berlusconi aveva voluto – salvo imbarcarsi all'ultimo momento con un piccolo contingente quando credeva che l'alleato avesse già vinto, secondo un classico schema all'italiana che ci aveva regalato già tante luminose pagine di Storia nel Novecento.
Invece la guerra non era finita; alcuni soldati italiani sono caduti, dando (quel che è peggio) la sensazione di essere caduti per niente. Anche per questo nel 2006 Berlusconi ha perso di misura le elezioni; al suo posto è subentrato Prodi, che come prevedeva il programma della sua coalizione ha ritirato le truppe. In questo modo non solo ha evitato altre stragi di soldati italiani, ma ha anche allontanato lo spettro di una ritorsione dei terroristi islamici sul nostro Paese.
Quest'ultimo, mi rendo conto, non è un argomento molto elegante: gli spettri non dovrebbero minacciare nessuno, in fondo se cedo al terrore il terrore ha vinto. Già. Personalmente faccio quel che posso ogni giorno per non cedere al terrore; però se fossi il capo del governo di una sottile penisola allungata nel Mediterraneo, credo che il problema dovrei pormelo. L'Italia è diventata, negli ultimi vent'anni, un Paese 'anche' islamico: non è una novità, se è successo a Inghilterra Francia e Spagna prima di noi, era fatale che capitasse anche noi. Però l'Italia non ha ancora avuto la sua strage terroristica islamica, come l'Inghilterra e la Spagna; e nemmeno la guerriglia di seconda generazione tipica della Francia. Probabilmente è una questione di tempo: nel lungo termine le cose spiacevoli tendono ad accadere. Nel frattempo, se non è dignitoso arrendersi agli spettri, non è nemmeno ragionevole stuzzicarli. Per farla breve: Prodi fece proprio bene a tirarci fuori dall'Iraq. Già. Ma è anche per questo che poi il PD ha perso le elezioni. Perché?
È il problema di chi risolve i problemi: una volta che li hai fatti sparire, non c'è più bisogno di te. L'Iraq era già da tempo scivolato nelle pagine interne dei giornali: col ritiro del contingente è scomparso definitivamente. La campagna elettorale si è giocata tutta sulla politica interna: del resto Veltroni non aveva un altro ritiro da promettere (l'Afganistan è un caso molto diverso). Il solito errore politico di Prodi: ostinarsi a cercare di risolvere i problemi, invece di gestirli. Bastava fare, per dire, come col conflitto di interessi: c'è gente che vota a sinistra da vent'anni in attesa che lo risolvano, ma se lo risolvono poi c'è il rischio che la stessa gente scopra altre priorità, che magari voti a destra, e quindi è meglio procrastinare, no?
Questo la destra lo ha capito da un pezzo. I problemi non si risolvono, i problemi si cavalcano. Prendi la Paura, per esempio: perché dovrebbe essere considerata un problema? In realtà la Paura è la soluzione a un'altro problema, e cioè: perché mai la gente dovrebbe votare per noi? Se smettessero di avere paura comincerebbero a uscire la sera, conoscere altra gente, sviluppare pericolose tendenze materialiste... meglio in casa, a guardare i filmati degli attentati terroristici islamici. Già, se non fosse che questi maledetti terroristi islamici non attentano mai. Ma insomma, tutte queste cellule in sonno, cosa aspettano a svegliarsi? Che a Roma mettano su una metropolitana decente, come a Londra o Madrid? Hai voglia. È frustrante: tocca pescare dalla cronaca nera, che però alla lunga stufa; anche perché per ogni criminale magrebino o rom ne trovi un paio di italiani, e questo è abbastanza imbarazzante. A questo punto arrivano Calderoli e Borghezio: due stuzzicatori di spettri un po' ruspanti, ma abbastanza efficaci.
Il primo due anni fa sfoggiò in tv una maglietta satirica nei confronti del profeta Maometto. È una lunga storia, che più o meno conoscete e su cui non vorrei attardarmi, anche perché su questo blog se ne discusse molto. Ai tempi ero contrario alla divulgazione indiscriminata delle famose vignette olandesi: la libertà di espressione invocata da molti mi sembrava tutt'al più un pretesto per una provocazione nei confronti di chi ha il solo torto di professare una religione. Qui però non voglio discutere di questo, perché non è più questo il punto; perlomeno non lo è più da quando Calderoli mostrò quella maglietta e a Bengasi intorno al consolato italiano la polizia libica lasciò undici morti. Senza voler attribuire direttamente la responsabilità di quelle morti a Calderoli, devo dire che per me quei morti fanno la differenza: forse prima Calderoli aveva qualche diritto per fare il buffone con una maglietta poco divertente in diretta Rai, ma non dopo una tragedia simile. E infatti lui stesso smise di sfoggiarla, e si dimise persino da ministro: molto bene. Ma allora perché rinominarlo?
Sono passati due anni, e di quei morti qui in Italia forse ci siamo dimenticati: altrove è più difficile. Personalmente ritengo comprensibile che qualche esponente libico e della Lega Araba abbia manifestato disappunto per la probabile nomina di Calderoli a ministro. Sarà anche un'ingerenza nei nostri affari interni, ma spiegate a un non-italiano questo mistero: se Calderoli dopo l'incidente non era più degno di rappresentare l'Italia, perché lo dovrebbe essere due anni dopo? Cos'è cambiato nel frattempo, forse che gli undici morti sono meno morti? L'unica spiegazione è che il prossimo governo ha deciso di essere meno rispettoso nei confronti dell'Islam: lo si può dire in un modo un po' più fiorito, ma la cruda sostanza è questa. Borghezio la condisce però con tutte le spezie a sua disposizione. Sentite qua:
La domanda che mi faccio è: ma il famoso elettore della Lega Nord più-intelligente-di-quanto-non-pensiate-voi-intellettuali, quando legge queste sparate (e le leggerà), non si sente fumare le palle? Perché un conto è essere dipinto dal Capo come un partigiano in sonno sempre pronto a tirare fuori il Fucile; sono battute, e si sa. Ma arruolarsi alle Crociate è un altro conto. Non si tratta semplicemente di sparacchiare Roma Ladrona: tirare fuori le Crociate in un contesto del genere significa mettersi contro non solo una dozzina di Paesi affacciati sul nostro stesso mare, ma anche i magrebini che ci fanno il pieno di benzina. Quella di Borghezio è una terapia d'urto: è chiaro che se le cellule in sonno del terrorismo islamico non le risvegli così, significa che per loro non c'è più niente da fare. Ma questa sarebbe una brutta notizia soltanto per Borghezio.
Se invece nei prossimi mesi qualche magrebino commetterà una pazzia, Borghezio & co. avranno già il seggio assicurato alle prossime elezioni. Sì, probabilmente qualche poverò cristiano dovrà morire per questo, ma l'Italia (e la Padania) non si fanno mica gratis.
Sono stato un po' lungo, stanotte? Scusate. Faccio il riassunto: negli ultimi mesi la minaccia del terrorismo islamico (anche grazie al ritiro delle truppe in Iraq operato dal governo Prodi) era molto sbiadita, al punto da rischiare di scomparire. Pericolo evitato: grazie al probabile ritorno di Calderoli nel governo, e ai simpatici discorsi di Borghezio, qualche milione di islamici in Italia e nel mondo si sono ricordati che l'Italia li odia. Se tra questo milione ce n'è un paio in grado di preparare un'autobomba, l'emergenza terrorismo islamico ripartirà alla grande! Naturalmente a quel punto Borghezio passerà come uno che ha precorso i tempi, che vedeva già da lontano là dove gli altri distoglievano lo sguardo.
Uno dei meriti del governo Prodi (per ora dimenticati) è che ci ha fatto uscire dall'Iraq. Una guerra che gli italiani non avevano voluto, che nemmeno Berlusconi aveva voluto – salvo imbarcarsi all'ultimo momento con un piccolo contingente quando credeva che l'alleato avesse già vinto, secondo un classico schema all'italiana che ci aveva regalato già tante luminose pagine di Storia nel Novecento.
Invece la guerra non era finita; alcuni soldati italiani sono caduti, dando (quel che è peggio) la sensazione di essere caduti per niente. Anche per questo nel 2006 Berlusconi ha perso di misura le elezioni; al suo posto è subentrato Prodi, che come prevedeva il programma della sua coalizione ha ritirato le truppe. In questo modo non solo ha evitato altre stragi di soldati italiani, ma ha anche allontanato lo spettro di una ritorsione dei terroristi islamici sul nostro Paese.
Quest'ultimo, mi rendo conto, non è un argomento molto elegante: gli spettri non dovrebbero minacciare nessuno, in fondo se cedo al terrore il terrore ha vinto. Già. Personalmente faccio quel che posso ogni giorno per non cedere al terrore; però se fossi il capo del governo di una sottile penisola allungata nel Mediterraneo, credo che il problema dovrei pormelo. L'Italia è diventata, negli ultimi vent'anni, un Paese 'anche' islamico: non è una novità, se è successo a Inghilterra Francia e Spagna prima di noi, era fatale che capitasse anche noi. Però l'Italia non ha ancora avuto la sua strage terroristica islamica, come l'Inghilterra e la Spagna; e nemmeno la guerriglia di seconda generazione tipica della Francia. Probabilmente è una questione di tempo: nel lungo termine le cose spiacevoli tendono ad accadere. Nel frattempo, se non è dignitoso arrendersi agli spettri, non è nemmeno ragionevole stuzzicarli. Per farla breve: Prodi fece proprio bene a tirarci fuori dall'Iraq. Già. Ma è anche per questo che poi il PD ha perso le elezioni. Perché?
È il problema di chi risolve i problemi: una volta che li hai fatti sparire, non c'è più bisogno di te. L'Iraq era già da tempo scivolato nelle pagine interne dei giornali: col ritiro del contingente è scomparso definitivamente. La campagna elettorale si è giocata tutta sulla politica interna: del resto Veltroni non aveva un altro ritiro da promettere (l'Afganistan è un caso molto diverso). Il solito errore politico di Prodi: ostinarsi a cercare di risolvere i problemi, invece di gestirli. Bastava fare, per dire, come col conflitto di interessi: c'è gente che vota a sinistra da vent'anni in attesa che lo risolvano, ma se lo risolvono poi c'è il rischio che la stessa gente scopra altre priorità, che magari voti a destra, e quindi è meglio procrastinare, no?
Questo la destra lo ha capito da un pezzo. I problemi non si risolvono, i problemi si cavalcano. Prendi la Paura, per esempio: perché dovrebbe essere considerata un problema? In realtà la Paura è la soluzione a un'altro problema, e cioè: perché mai la gente dovrebbe votare per noi? Se smettessero di avere paura comincerebbero a uscire la sera, conoscere altra gente, sviluppare pericolose tendenze materialiste... meglio in casa, a guardare i filmati degli attentati terroristici islamici. Già, se non fosse che questi maledetti terroristi islamici non attentano mai. Ma insomma, tutte queste cellule in sonno, cosa aspettano a svegliarsi? Che a Roma mettano su una metropolitana decente, come a Londra o Madrid? Hai voglia. È frustrante: tocca pescare dalla cronaca nera, che però alla lunga stufa; anche perché per ogni criminale magrebino o rom ne trovi un paio di italiani, e questo è abbastanza imbarazzante. A questo punto arrivano Calderoli e Borghezio: due stuzzicatori di spettri un po' ruspanti, ma abbastanza efficaci.
Il primo due anni fa sfoggiò in tv una maglietta satirica nei confronti del profeta Maometto. È una lunga storia, che più o meno conoscete e su cui non vorrei attardarmi, anche perché su questo blog se ne discusse molto. Ai tempi ero contrario alla divulgazione indiscriminata delle famose vignette olandesi: la libertà di espressione invocata da molti mi sembrava tutt'al più un pretesto per una provocazione nei confronti di chi ha il solo torto di professare una religione. Qui però non voglio discutere di questo, perché non è più questo il punto; perlomeno non lo è più da quando Calderoli mostrò quella maglietta e a Bengasi intorno al consolato italiano la polizia libica lasciò undici morti. Senza voler attribuire direttamente la responsabilità di quelle morti a Calderoli, devo dire che per me quei morti fanno la differenza: forse prima Calderoli aveva qualche diritto per fare il buffone con una maglietta poco divertente in diretta Rai, ma non dopo una tragedia simile. E infatti lui stesso smise di sfoggiarla, e si dimise persino da ministro: molto bene. Ma allora perché rinominarlo?
Sono passati due anni, e di quei morti qui in Italia forse ci siamo dimenticati: altrove è più difficile. Personalmente ritengo comprensibile che qualche esponente libico e della Lega Araba abbia manifestato disappunto per la probabile nomina di Calderoli a ministro. Sarà anche un'ingerenza nei nostri affari interni, ma spiegate a un non-italiano questo mistero: se Calderoli dopo l'incidente non era più degno di rappresentare l'Italia, perché lo dovrebbe essere due anni dopo? Cos'è cambiato nel frattempo, forse che gli undici morti sono meno morti? L'unica spiegazione è che il prossimo governo ha deciso di essere meno rispettoso nei confronti dell'Islam: lo si può dire in un modo un po' più fiorito, ma la cruda sostanza è questa. Borghezio la condisce però con tutte le spezie a sua disposizione. Sentite qua:
Le terribili minacce che giungono da Tripoli [? Quali terribili minacce?] dimostrano che avevo visto giusto indicando la Libia come regista della strategia di invasione delle coste meridionali del nostro Paese. Per fortuna grazie agli elettori, vi sarà finalmente nel nuovo governo la presenza significativa dei crociati della Lega Nord, in grado di combattere fermamente il pericolo del terrorismo jihadista ed i suoi palesi e occulti sostenitori. L'Italia, grazie anche alla Padania, è un grande Paese e non si farà intimidire da chi semina sentimenti di odio contro di noi, contro la nostra religione e contro la nostra civiltà.
La domanda che mi faccio è: ma il famoso elettore della Lega Nord più-intelligente-di-quanto-non-pensiate-voi-intellettuali, quando legge queste sparate (e le leggerà), non si sente fumare le palle? Perché un conto è essere dipinto dal Capo come un partigiano in sonno sempre pronto a tirare fuori il Fucile; sono battute, e si sa. Ma arruolarsi alle Crociate è un altro conto. Non si tratta semplicemente di sparacchiare Roma Ladrona: tirare fuori le Crociate in un contesto del genere significa mettersi contro non solo una dozzina di Paesi affacciati sul nostro stesso mare, ma anche i magrebini che ci fanno il pieno di benzina. Quella di Borghezio è una terapia d'urto: è chiaro che se le cellule in sonno del terrorismo islamico non le risvegli così, significa che per loro non c'è più niente da fare. Ma questa sarebbe una brutta notizia soltanto per Borghezio.
Se invece nei prossimi mesi qualche magrebino commetterà una pazzia, Borghezio & co. avranno già il seggio assicurato alle prossime elezioni. Sì, probabilmente qualche poverò cristiano dovrà morire per questo, ma l'Italia (e la Padania) non si fanno mica gratis.
Sono stato un po' lungo, stanotte? Scusate. Faccio il riassunto: negli ultimi mesi la minaccia del terrorismo islamico (anche grazie al ritiro delle truppe in Iraq operato dal governo Prodi) era molto sbiadita, al punto da rischiare di scomparire. Pericolo evitato: grazie al probabile ritorno di Calderoli nel governo, e ai simpatici discorsi di Borghezio, qualche milione di islamici in Italia e nel mondo si sono ricordati che l'Italia li odia. Se tra questo milione ce n'è un paio in grado di preparare un'autobomba, l'emergenza terrorismo islamico ripartirà alla grande! Naturalmente a quel punto Borghezio passerà come uno che ha precorso i tempi, che vedeva già da lontano là dove gli altri distoglievano lo sguardo.
martedì 6 maggio 2008
Le nuove notti bianche
Hai una sigaretta?
Uno ci prova anche, a buttarsi a destra, ma come si fa? Hai voglia a parlare di ritirata strategica, di resa allo spirito dei tempi... giusto il tempo di accendere il microfono a Gianfranco Fini e patatrac. Il più grande statista del secolo (quando tace) ha colpito ancora.
"Quel gruppo che si definisce neonazista va punito, ma quello che accade a Torino è più grave". A Torino, se ve lo chiedete, per ora hanno bruciato solo due bandiere israeliane (2) e una bandiera USA (1), ma se Fini insiste, chissà.
È morto Nicola Tommasoli. Per il presidente della Camera la sua vita valeva meno di tre drappi azzurri e bianchi. Per il presidente della Camera ammazzare di botte un cristiano per una sigaretta è meno grave di bruciare un'effigie per ragioni ideologiche. Questo non sa nemmeno che per la legge italiana i "futili motivi" sono un'aggravante.
Ma forse sono un'aggravante solo per gli albanesi e i rom - i visi pallidi, invece, se proprio devono ammazzare, lo facciano per un futile motivo; così nessuno li strumentalizzerà. "Hai una sigaretta?" Ci sono città in Italia dove un viso non pallido questa domanda non osa nemmeno rivolgerla. In queste città girano facce pulite e belle giacche che fanno paura. Gente che ti squadra come nessun marocchino o tunisino ha mai osato squadrarti. Li allevano così. Li pascolano così. Volpacchiotti eleganti, utili a spaventare i roditori.
Poi un giorno allentano il guinzaglio - giusto di quel poco che basta perché facciano una cazzata più cazzata del solito - ed ecco che scatta la caccia alla volpe. Tutti in bella vista a cacciare i Cattivi, per primo il Sindaco, naturalmente. E via che si va, finché c'è Allarme Criminalità c'è speranza.
Uno ci prova anche, a buttarsi a destra, ma come si fa? Hai voglia a parlare di ritirata strategica, di resa allo spirito dei tempi... giusto il tempo di accendere il microfono a Gianfranco Fini e patatrac. Il più grande statista del secolo (quando tace) ha colpito ancora.
"Quel gruppo che si definisce neonazista va punito, ma quello che accade a Torino è più grave". A Torino, se ve lo chiedete, per ora hanno bruciato solo due bandiere israeliane (2) e una bandiera USA (1), ma se Fini insiste, chissà.
È morto Nicola Tommasoli. Per il presidente della Camera la sua vita valeva meno di tre drappi azzurri e bianchi. Per il presidente della Camera ammazzare di botte un cristiano per una sigaretta è meno grave di bruciare un'effigie per ragioni ideologiche. Questo non sa nemmeno che per la legge italiana i "futili motivi" sono un'aggravante.
Ma forse sono un'aggravante solo per gli albanesi e i rom - i visi pallidi, invece, se proprio devono ammazzare, lo facciano per un futile motivo; così nessuno li strumentalizzerà. "Hai una sigaretta?" Ci sono città in Italia dove un viso non pallido questa domanda non osa nemmeno rivolgerla. In queste città girano facce pulite e belle giacche che fanno paura. Gente che ti squadra come nessun marocchino o tunisino ha mai osato squadrarti. Li allevano così. Li pascolano così. Volpacchiotti eleganti, utili a spaventare i roditori.
Poi un giorno allentano il guinzaglio - giusto di quel poco che basta perché facciano una cazzata più cazzata del solito - ed ecco che scatta la caccia alla volpe. Tutti in bella vista a cacciare i Cattivi, per primo il Sindaco, naturalmente. E via che si va, finché c'è Allarme Criminalità c'è speranza.
sabato 3 maggio 2008
...ma prego, figuratevi
Io sono a spasso fino a lunedì; se però nel frattempo volete votarmi su Panorama.it, fate pure, non mi offendo.