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lunedì 31 gennaio 2011

Il lessico centrifugo di Silvio B.

Noi non siamo stati capaci di batterlo, Berlusconi, perché non abbiamo capito che Berlusconi sa parlare a questi e a quelli, guarda per esempio la lingua di Berlusconi. Postribolo. Turpe. Spregevole. Insufflare. Giuoco. Cribbio. Mi consenta. Lo vedi? Berlusconi sì che sa parlare al popolo.
La lingua centrifuga di Berlusconi (H1t#60) è on line sull'Unità.it e si commenta qui.

Ci si abitua a tutto, col tempo, e il giorno che Berlusconi a rete unificate mostrerà le chiappe ai giudici noi spegneremo la tv sbadigliando, ormai assuefatti. Nel frattempo la scorsa settimana si è limitato a telefonare in diretta a Gad Lerner rimproverandogli di condurre non una trasmissione ma un “postribolo”, e di farlo in modo “spregevole, turpe, ripugnante”. Diamo per scontato che l'intervento di Berlusconi sia stato estemporaneo, e che lui abbia usato nella foga le prime parole che gli venivano in mente; al limite se le sarà appuntate su un foglietto prima di prendere la linea. Non suonano comunque incredibilmente sue?

In effetti, chi altri in tv può permettersi, al colmo dello sdegno, di usare la parola “turpe”? Forse lo stesso presidente del Milan che si compiace di pronunciare “giuoco”, che si lamentava che qualcuno “insufflasse” notizie tendenziose ai quotidiani stranieri. Berlusconi del resto può dire quello che vuole, essendo il capo. Chiunque altro vada in tv, soprattutto sui suoi canali (cioè tutti, ormai), ha imparato da anni a limitarsi, a ridurre il proprio vocabolario a quelle mille, quelle cinquecento parole che sono più che sufficienti a vendere qualcosa a un “bambino di undici anni, neanche tanto intelligente” (da sempre il target ideale Mediaset). Quindi: non si dice “postribolo”, ma “bordello”, e meglio ancora “casino”; non “spregevole”, ma “stronzo”, che è effettivamente cosa spregevole, o “capra” quando si vogliono evitare grane legali. Eppure il Capo non parla proprio così. L'insipida neolingua televisiva l'ha imposta a tutti, tranne che a sé stesso.

Il fatto che B. parli strano non significa che parli difficile. Le sue stravaganze lessicali non appartengono al gergo grigio degli intellettuali di fine Novecento; non sono i soliti termini vacui o incomprensibili evasi dall'ambito accademico. Berlusconi pesca piuttosto nel melodramma ottocentesco, nel repertorio lessicale al tempo stesso magniloquente e popolare dei libretti d'opera e dei romanzi d'appendice. Gli arcaismi che sceglie o si lascia sfuggire diventano immediatamente comprensibili, grazie al contesto e alla sintassi sempre lineare. Quando dice “insufflare” capiamo tutti al volo cosa intende, anche se non abbiamo mai sentito la parola: la rarità del termine però aggiunge al messaggio qualcosa di più. È quel dettaglio dissonante che in un qualche modo rafforza la verosimiglianza della frase, e in gergo televisivo si direbbe che “fora”: attira l'attenzione di spettatori e commentatori, in nove casi su dieci finisce sui titoli dei giornali e a volte crea veri e propri tormentoni.

Due giorni prima dell'intemerata berlusconiana all'Infedele, sullo stesso canale Pier Luigi Bersani aveva confessato a Irene Bignardi di avere anche lui parlato 'difficile' in gioventù. Del resto il segretario PD si è fatto le ossa nel periodo delle "convergenze parallele", quando il linguaggio della politica era un idioletto comprensibile a pochi. Col tempo ha saputo rinnovarsi, eliminando i tecnicismi e cercando slogan tra i modi di dire della quotidianità. Lo sforzo di voler parlare a tutti c'è, non si può negare, ma non si può nemmeno fingere che non sia uno sforzo. Anche Veltroni, l'indomani, al Lingotto, ha regalato un altro dei suoi lunghissimi discorsi in cui è riuscito a parlare di tutto, inserendo aneddoti anche gustosi, ma in un italiano rigorosamente medio, un po' pedestre, mondato di ogni stravaganza. Insomma, mentre Veltroni e Bersani censurano consapevolmente il proprio dizionario nel tentativo di farsi capire da un non meglio identificato italiano medio, Berlusconi se ne frega e attacca ai lati, mescolando alto e basso, “turpe” e “coglione”, “postribolo” e “bunga bunga”. La differenza tra le due manovre assomiglia a quella tra certe fiction rai dove tutti (studenti, professori, bidelli) parlano lo stesso irrealistico italiano medio, appena appena impreziosito da qualche intonazione dialettale, e i feuilleton Mediaset con Garko e la Arcuri, che sfoggiano termini desueti come chincaglieria non sempre comprensibile, ma straordinariamente decorativa. Alla fine c'è un pubblico per entrambi i prodotti, ma il secondo sembra ancora il più popolare.

E la teoria qual è? Beh, forse Berlusconi ha vinto quando ci ha convinto che gli italiani stessero al centro, e che per raggiungerli avremmo dovuto rinunciare alle nostre parole difficili, tecniche, espressive. E mentre ci autocensuravamo alla ricerca del fantomatico Centro lui operava nel senso opposto, prosperando ai bordi, riuscendo nell'impossibile impresa di conciliare gli estremi, nazionalisti e leghisti, imprenditori e disoccupati, cattolici e puttanieri, mescolando barzellette e melodramma – una forza centrifuga che spingeva verso l'esterno, verso l'estremo, schiacciandoci al centro in una morsa. Se invece di seguire i suoi consigli avessimo ragionato sul suo linguaggio, chissà, forse oggi ci sarebbe rimasto qualche elettore in più. O almeno qualche parola in più, che è meglio di niente.http://leonardo.blogspot.com

venerdì 28 gennaio 2011

Che roba Contessa i cinesi

Io non voglio morire antiveltroniano, non voglio essere ricordato come uno che se la prendeva contro WV sempre e comunque, perciò adesso facciamo così: vi incollo una cosa che Veltroni ha detto sulle primarie di Napoli, vi spiego perché due righe così a me fanno venire l'ulcera, e poi mi spiegate se è un problema solo mio, se sono i miei soliti pregiudizi antiveltroniani, o se lui è davvero pessimo come sembra.

«Sul sito del Corriere della Sera ho visto file di cinesi che andavano a votare - o sono cinesi democratici o c'è qualcosa che non va. Se c'è una piccola ombra si vada sino in fondo, non può esserci».

Da che parte cominciare. Mettendo per esempio le mani avanti: anch'io ho forti dubbi su come siano andate le cose a Napoli. E, devo dire, non ho neanche dovuto consultare il pregevole sito del Corriere. Napoli non pretendo di conoscerla, ma ho leggiucchiato qualcosina in questi anni (Saviano soprattutto) e mi sono fatto l'idea che non sia ignota in città la prassi del voto di scambio (infatti non capisco bene da che pero sia caduto lo stesso Saviano). Ora, le primarie PD sono, per la loro stessa natura, le elezioni più esposte a infiltrazioni e mercimoni di ogni tipo: uno entra, lascia due spicci, mostra il documento, e vota. I controllori sono volontari del partito stesso. In una situazione del genere, “piccole ombre” si riscontrerebbero anche in un ridente paesello ai confini della Svizzera, figurati a Napoli con tutti i problemi della città e del suo PD. Non ci voleva molto insomma a immaginare come sarebbero andate le cose. Non ci voleva molto, eppure Veltroni fino a lunedì non se l'era immaginato. Aveva bisogno di vedere file di cinesi sul Corriere.

Alla luce del suo sbigottimento, forse bisogna rileggere lo storico dibattito interno, tra chi vuole le primarie-sempre-e-comunque e quei noiosi che invece sollevano obiezioni. Questi ultimi sono spesso dipinti come malvagi uomini-apparato decisi a trasformare il PD in una dinastia di burocrati. E magari alcuni sono proprio così. Ma non potrebbero essercene molti altri semplicemente in grado di immaginare che succeda quello che a Napoli è successo? E davvero lui, Veltroni, non ne è in grado? Ora si stupisce che votino i cinesi, lui che seguendo i disinteressati consigli del caro zio Giuliano Ferrara ha propalato per anni la fola del Partito-leggero-senza-tessera? Va bene, la tessera è roba vecchia, ma Veltroni non ci ha mai spiegato con cosa l'avrebbe sostituita, quale sistema avremmo usato per tenere lontano dalle primarie infiltrati o venditori di voti all'incanto. L'importante era che il PD uscisse dal Novecento e si sottraesse al potere dei temibili signori delle tessere. Ma sul serio bastava stracciare il cartoncino e tutto il clientelismo sarebbe svanito come al neve al sole? Sul serio? Viene il sospetto che sì, che lo abbia pensato sul serio. Fino a lunedì.

Poi d'un tratto, oplà! - la scoperta dell'alba. Sono andati a votare dei cinesi. Ma dai. Come lo ha scoperto? Ha degli osservatori? Magari si è fatto una passeggiata per qualche quartiere di Napoli, non dico mica quelli brutti che sarebbe populismo, non so, una capatina al Vomero, boh. No, lui ha visto le file di cinesi... sul sito del Corriere. Lui così specifico, così preciso e settoriale quando si tratta di informarti su come passa il suo tempo libero, che libri legge e che film guarda, quando si tratta di politica, politica dal basso, quella che sarebbe il suo mestiere in questo preciso momento – niente, lui ha solo visto qualche immagine sul sito, proprio come me e te e chiunque altro, che a questo punto potremmo fargli da consulente, a Veltroni, e davvero non saremmo molto peggiori di quelli che lo consigliano in questo momento. Cosa dirti, onorevole: è il tuo partito, e tu sei in lizza per la leadership, non dico che tu debba avere uno staff di gente che ti tiene informata 7x24 sul territorio, ma almeno far finta di averla; ecco, magari evitare di render noto a tutti che le cose di Napoli le impari per ultimo, sull'organo d'informazione dei milanesi rintronati.

Ma non è neanche questo il peggio, vero? Il peggio lo sapete qual è. I cinesi.

Veltroni vede, diciamola come va detta, delle facce gialle, e trae una conclusione: o ci sono decine, forse addirittura dozzine di democratici cinesi, oppure... elementare Walter, se hanno gli occhi a mandorla non possono essere veri militanti del partito-leggero-leggero, che non ti fa le tessere ma una sbirciatina al colore della pelle te la dà. Ma spiegati meglio, caro aspirante leader democratico che ti riempi la bocca di Gandhi e Martin Luther King, spiega: davvero non potrebbero esserci democratici cinesi, anzi, democratici residenti in Italia di origine cinese a Napoli, terza città più popolosa d'Italia, terra d'immigrazione? Magari sono venuti a mettere una croce proprio perché tu, due anni fa, parlavi di voler dare il voto agli immigrati, il che magari sulle terrazze romane suona come una boutade buona per un titolo di giornale o un'apertura di tg, ma per un napoletano di origine cinese è una cosa importante, una cosa che gli cambia la vita, il riconoscimento di un diritto, un'apertura sul futuro: ma forse appunto tu ne parlavi come di ipotesi di scuola, chissà se hai mai discusso con un solo abitante italiano di origine cinese, uno arrivato qui in qualsiasi momento dagli anni Novanta al 2011, o magari qualcuno che in Italia ci è nato, e ce ne sono di maggiorenni già: e tu dov'eri mentre le nostre metropoli cambiavano colore, a scrivere libri sul futuro o sugli anni di piombo? E guardarsi un po' più attorno? Di tutti i motivi banalissimi per cui si potevano mettere in dubbio le primarie di Napoli, tu hai scelto la peggiore: il pregiudizio etnico nei confronti di una minoranza.

Il dramma della sinistra da salotto si misura tutto qui: nella distanza tra la retorica veltroniana (uguaglianza, solidarietà, aggiungete sostantivi astratti a caso) e la reazione stizzita del lettore del Corriere che vede facce gialle e si spaventa: hai visto che roba, Contessa, a Napoli fanno votare i cinesi. E il bello è che le hai volute tu, le primarie senza tessera, le primarie senza regole, le primarie tana-libera-tutti, le primarie portatevi gli amici da casa. Ma non avevi pensato ai cinesi. Già, ma del resto come potevi pensarci.

Ecco, adesso per favore ditemi che esagero, che ho capito male, che Veltroni è molto meglio di così. Scrivetemelo. Massacratemi. Ditemi che non ho capito niente, che il meccanismo delle primarie come lo aveva progettato lui era a prova di bomba, che sui cinesi non ho colto l'ironia, ditemi per favore che Veltroni è una risorsa, una speranza per tutta la sinistra. Ditemi che mi sbaglio. Non voglio morire antiveltroniano.

giovedì 27 gennaio 2011

Presidente, lei è buffo

“Avete offeso al di là del possibile la signora Nicole Minetti, che invece è una splendida persona intelligente preparata seria. Si è laureata col massimo dei voti: 110 e lode. Si è pagata gli studi lavorando. È di madrelingua inglese e svolge un'importante e apprezzato lavoro con tutti gli ospiti internazionali della Regione”
Berlusconi a Gad Lerner, 24 gennaio.

“C'è un limite a tutto non me ne frega un cazzo se lui è il presidente del consiglio e cioè .... Un vecchio e basta
Io non mi faccio pigliare per il culo così.. si sta comportando da pezzo di merda. [...]
Perché uno che fa così è un pezzo di merda. Perché lui mi ha tirato nei casini in una maniera che solo dio lo sa.... In cui non ci sarei finita neanche se mettevo tutto l'impegno. Gli ho parato il culo e non si può permettere di fare così”.

Nicole Minetti, due settimane prima.

Non è che la stiamo prendendo un po' seriamente, questa cosa del Papi che sbrocca? Voglio dire, lo so che è grave, la situazione; ma è davvero così seria?
Con tutta la stima che posso nutrire per Lerner, io se fossi in lui starei soffrendo di una fortissima forma di esprit d'escalier: perché ho perso tempo ad arricciare il naso e a fare l'offeso, quando dovevo semplicemente ridergli in faccia? Non la risata che minimizza: la risata che seppellisce. Non sarebbe stata la risposta migliore? Altro che "cafone": presidente, lei è un uomo buffo. Fine. C'è davvero molto altro da aggiungere?

La scorsa settimana, in un momento in cui era il vecchio porco a ostentare un po' di buonumore, Gianfranco Fini ha fatto una dichiarazione che dimostra da sola perché Gianfranco Fini non potrà essere mai molto di più di Gianfranco Fini: “Berlusconi è l'unico che si diverte”, ha detto. O almeno così hanno riportato i giornali. Nello stesso giorno, centinaia di migliaia di italiani stavano accorrendo golosi a scaricare il pdf delle intercettazioni generosamente messo a disposizione da dagospia. Dobbiamo immaginarli tutti schifati e arricciati come Lerner? Possiamo supporre che si stessero divertendo, e non poco, a spiare un po' di conversazioni tra eunuchi di corte e ballerine del ventre?

Io per lo meno lo voglio ammettere, e voi pensate di me quel che vi pare: mi sto divertendo. Non è che passo il tempo a informarmi sulle mitomanie della Macrì o sulle strategie mediatiche di Signorini; però ogni tanto mi sparo un'intercettazione, mi faccio una risata e mi tiro un po' su col morale, faccio male a qualcuno? Posso smettere quando voglio. Ma vi ricordate di cosa si discuteva in tv e nei bar, neanche un mese fa? L'ultimatum di Marchionne, la sconfitta degli operai e l'inversione di rotta verso il medioevo post-industriale, una cosa che se ci ripenso mi viene la depressione. E non ho il diritto invece, rincasando stanco eccetera eccetera, di tirarmi un po' su con l'infinita barzelletta del bunga bunga? Ma sì, è una storia patetica, sì, a suo modo tragica, va bene, ma comica soprattutto; c'è un po' di sesso che non guasta, ma è un sesso bizzarro e soprattutto goffissimo che riscatta tanta nostra mediocrità. È una storia che mette d'accordo il moralista col voyeur, il che è molto comodo, visto che molto spesso si tratta della stessa persona: e poi, insomma, il giorno in cui ci si accorge che l'Imperatore è nudo dovrebbe sempre essere un giorno di festa. E qui ci starebbe bene una citazione da Bachtin, il carnascialesco medievale, la celebrazione del mondo alla rovescio con il re nudo che si prende gli sputi della plebe, ma non si trova in versione pdf e poi insomma fottiamoci anche di Bachtin, oggi sono uscite altre intercettazioni, nunc est bibendum.

Una volta ci lamentavamo che ci fosse troppa satira intorno alla politica italiana, non si prendeva nulla sul serio. Poi abbiamo cominciato a dire che Berlusconi toglieva lavoro ai comici (anche licenziandoli, ma soprattutto surclassandoli sul campo). Adesso siamo al punto per cui qualsiasi sua devianza senile va seriosamente sviscerata e interpretata come un attacco alla dignità della donna, al prestigio delle istituzioni... non dico non sia vero, ma tagliamola un po' più corta: è un vecchio matto, che si atteggia a maiale fuori tempo massimo, due anni fa sosteneva di non aver mai pagato una donna e adesso saltano fuori conti a sette cifre; va messo fuori gioco per il bene di tutti. Messaggio chiaro e preciso, forse l'unico che abbiamo la possibilità di veicolare ai suoi elettori.

Una sana risata in faccia è anche quella che si meritano Rondolino, Velardi e gli altri vecchi arnesi che in questo sanissimo carnevale vedono l'avvento di un'era oscura, la fine della privacy, lo Stato di polizia, la DDR con le spie in tutte le soffitte e le atlete steroidizzate dalla sessualità incerta. Cari signori, sì, può darsi che alla procura di Milano ci siano messi d'impegno a smerdare il premier. Sì, può darsi che il potere giudiziario abbia un po' sbordato. Sono quei piccoli squilibri che succedono in uno Stato di diritto che è andato da puttane non da oggi, e c'è andato anche grazie a voi. Voi che avete cercato accordi con la belva, quando aveva già esibito a tutti i suoi canini; voi che lo avete legittimato, ripetendo come un mantra che andava-battuto-alle-elezioni mentre si pappava tutto l'etere audiovisivo e vi regalava pure qualche briciola; voi che alle elezioni poi vi presentavate regolarmente con programmi confusi e candidati tristi; signori, diteci una buona volta se quando pensavate di poterlo sconfiggere col fair play eravate in cattiva fede o semplicemente, tragicamente fessi. Berlusconi, sarebbe gentile se cercaste di mettervelo in testa, non ha preso il potere in modo democratico, ma con la prevaricazione e la frode; il suo consenso, che è un dato con cui fare i conti, se lo è conquistato da una posizione di monopolio mediatico che non gli avrebbe nemmeno consentito di candidarsi, a quelle elezioni a cui voi pensavate, ah ah, di poterlo battere (con la forza delle idee di Velardi, con la comunicatività di Rondolino, certo, come no, era spacciato). Signori, è inutile, non saranno le regole che non ha mai rispettato a mandarlo a casa. Sarà il generale Demenza Senile, a cui poi faremo un monumento; ma non scorderemo di scolpire in bassorilievo nel piedistallo i profili di chi gli ha spianato la strada, i cronisti che hanno scoperto Noemi e continuato a setacciare il mondo-escort mentre voi con l'aria di chi la sapeva lunga ripetevate che Berlusconi non sarebbe caduto per qualche squinzia; e i magistrati e i semplici spioni che lo hanno messo sotto pressione, fino al punto di avere sempre più bisogno di festini balordi e sempre meno collaboratori in grado di soddisfarlo; fino a ritrovarsi, pensateci bene, a fare affidamento su Fede o Lele Mora, rifletteteci bene: su Lele Mora. Qualche anno fa mi capitò di scrivere che Berlusconi ormai aveva trionfato su tutto e tutti poteva essere sconfitto soltanto da sé stesso. È successo, ora brindiamo. Sì, nel crollo qualcuno si farà male. Sì, il futuro si preannuncia fosco. Ma bisogna proprio avere gravi pesi sulla coscienza per non riuscire a godersi lo spettacolo del rudere che viene giù.

mercoledì 26 gennaio 2011

Cattolaico

Se io non fossi cattolico, di un pronunciamento dei vescovi sulle maialate di Berlusconi non saprei francamente che farmene. Non lo avrei atteso con impazienza per una settimana; non avrei nemmeno perso troppo tempo a leggerlo quando alla fine è uscito, con tante cose interessanti che ci sono in giro. Giusto un'occhiata, per curiosità antropologica. Si tratta del parere dei responsabili di una comunità religiosa nei confronti di un uomo politico che professa di appartenere a quella comunità ma non ne rispetta, platealmente, i costumi. Una questione di coerenza, insomma. Ma anche se non fossi cattolico, non avrei bisogno di ricorrere alla morale cristiana per accusare Berlusconi di incoerenza – ovvero di non fare, mai, quello che promette di fare: non aspetterei certo che fosse un cardinale a citarmi un articolo della Costituzione. Per cui, se non fossi cattolico, mi sentirei imbarazzato coi miei compagni laici che sventolano le critiche di Bagnasco a caratteri di scatola sui loro quotidiani, ennesima dimostrazione di quanto sia difficile essere veramente laici in Italia.

Se non fossi cattolico, probabilmente sarei portato a considerare la Chiesa cattolica italiana come una forza ostile, che pretende di condizionare la mia vita e di usare i miei soldi per cose che non m'interessano. Dunque la criticherei, che si schieri con Berlusconi o no: e mi concentrerei in particolare sui danni concreti che mi arrecano questi amministratori del “perdono religioso” che – se non fossi cattolico – non sarei sicuro di aver capito cos'è, ma da lontano mi sembrerebbe simile a un'estorsione: ogni volta che commette un peccato, Berlusconi deve rimediare: a novembre Ruby raccontò del bunga bunga, i fondi alle scuole cattoliche furono raddoppiate, il problema rientrò; oggi si è scoperto che il bunga bunga è una complessa struttura di lenocinio organizzato, e, coincidenza, Calderoli ha sgravato la Chiesa di un po' di ICI. Insomma, cos'è questo perdono? Una medicina che non guarisce, una pacchia per i farmacisti; o un'infamia che in qualsiasi momento posso rimettere in giro, e allora davvero non ci sono altre parole per definirlo: è un ricatto.

D'altro canto, se non fossi cattolico, non è che potrei mettermi a eccepire sul comportamento di un'associazione privata, chiamata Chiesa cattolica, che amministra ai suoi fedeli qualcosa che secondo me non esiste; finché la cosa resta all'interno della scatola, tra maggiorenni consenzienti, non mi riguarderebbe. Mi preoccuperei di criticare la Chiesa, il più aspramente possibile,  per quello che dalla scatola esce; per i danni concreti che la Chiesa mi fa (mi tocca pagare anche la parte di ICI dei preti perché Berlusconi non sa gestire il suo pisello?), non per il suo funzionamento interno, che da non cattolico, probabilmente non capirei, ma nemmeno m'interesserebbe. La comunione, ad esempio. Se non fossi cattolico, quella cialda di torrone non mi direbbe molto, e non perderei tempo a stabilire a chi tocca o a chi no: è una cerimonia religiosa, un fatto privato, o piuttosto comunitario, ma di una comunità di cui non farei parte. Probabilmente non conoscerei neanche bene le regole, a meno che nel mio tempo libero io non mi dilettassi coi tomi di diritto canonico (ok, Malvino può intervenire, gli altri però zitti). Se io non fossi cattolico mi sentirei a disagio nell'entrare in una discussione su chi ha diritto di mettersi in fila davanti a un uomo vestito con paramenti religiosi per mangiare un Dio in cui non crederei. Se non fossi cattolico.

Se fossi cattolico sarei molto imbarazzato per la tolleranza mostrata anche stavolta dai Vescovi nei confronti di un uomo politico che profana la mia, la nostra fede. Anche perché non ci metterei molto a capire che questa tolleranza ha un prezzo; qualche altro peccatore non se la potrebbe permettere, Berlusconi sì (ma sempre coi soldi miei). E allora farei mie ancora una volta le parole di un sacerdote marsicano: "che differenza c’è tra una prostituta che vende il corpo per danaro ed una chiesa che, sempre per danaro, svende l’anima?" Tanto vale ricominciare a vendere indulgenze, dovrebbe esserci mercato, e in fondo era più democratico fra' Teztel con la sua macchinetta mangiasoldi ("appena entra la monetina, la tua anima se ne va in purgatorio") di questi cardinali moderni che sono più cari dei diamanti (e durano molto meno).

Però se fossi cattolico, questo sarebbe il mio giudizio politico, non morale. Se fossi cattolico chiederei con tutta la voce che ho che i Vescovi, le mie guide, prendano una posizione più decisa nei confronti di Berlusconi in quanto governante, per gli oggettivi danni che esso mi arreca; ma non avrei comunque diritto di giudicare Berlusconi in quanto uomo – intendo in quanto anima – perché questo tipo di giudizio non spetta a me, e di sicuro non tocca a me scagliare la prima pietra. Io non posso sapere se il Silvio Berlusconi di questi giorni, che inveisce al telefono e si affida ai peggiori tra i suoi cicisbei, non sia nel suo intimo pentito delle sue azioni (e parole, pensieri, omissioni). Se fossi cattolico, quindi totalmente fiducioso nella misericordia di Dio e rispettoso del libero arbitrio, io non potrei escludere in linea di principio che Berlusconi abbia in questo momento la coscienza più pulita di quella di un bambino: tutti possono pentirsi, anche lui, e tutti possono confessarsi e riconciliarsi con Dio, purché abbiano un sacerdote a portata di mano, e lui ne ha di sicuro.

Se fossi cattolico troverei fastidiosi i non cattolici che pretendono di entrare nel merito e di spiegarmi perché a Berlusconi non dovrebbe essere impartita l'Eucarestia, ad esempio perché è divorziato ecc. Anche da cattolico non smetterei di essere me stesso, ovvero un maniaco delle discussioni bizantine, per cui m'impelagherei volentieri nel merito della discussione: tecnicamente Berlusconi è divorziato, sì, ma può essersene pentito e aver chiesto e ottenuto la riconciliazione; si è risposato, ma di quello si è pentito sicuramente, e un sacerdote può averlo assolto; in questo momento vive solo, e anche se ha una fidanzata, questo non significa che in seguito a un pentimento essi abbiano deciso di comportarsi in maniera retta e pia. È chiaro che al 99% le cose non stanno così, ma non sta a me dimostrarlo, non sta a me giudicare un fratello nella fede. Se Berlusconi è spergiuro mentre si confessa, commette un peccato mortale e ne pagherà le conseguenze in termini di vita eterna: conseguenze che io, se fossi cattolico, prenderei mortalmente sul serio. Però resterebbero fatti suoi, l'unica cosa che mi potrei permettere di fare sarebbe pregare per lui. Infine, se fossi cattolico le persone che meno sopporterei sarebbero proprio i giudici non autorizzati, i moralisti troppo lesti a levare le pagliuzze dagli occhi altrui, insomma i farisei.

Cattolico o no, a questo punto sarei più o meno la stessa persona: rispetterei l'individuo, le comunità e lo Stato, ma ci terrei molto a tenere separate le tre cose. Non vorrei pagare per gli errori di altri individui, né per quelli di comunità religiose cui non appartengo; gli errori dello Stato invece sarei rassegnato a pagarli, ma proprio per questo motivo pretenderei una classe dirigente che ne facesse il meno possibile.

Ne consegue che, se fossi cattolico, e incontrassi il me stesso non cattolico, ci discuterei serenamente e mi troverei abbastanza d'accordo con lui. Questo è interessante. Non credo si tratti di terzismo, anzi, mi pare che ne sia l'esatto contrario: non si tratta di trovare uno stupido mezzo tra due versioni dei fatti (Berlusconi non è né un vecchio porco né un grande statista, ma... uno statista mediocre un po' porcello?), quanto di riuscire a entrare nel problema da entrambe le estremità. Credo che essere laici potrebbe consistere in questo: avere un'idea (qualsiasi idea), e saperla impugnare anche a rovescio. Non fosse che per tenersi in esercizio. Insomma, questo metodo bipolare che mi sono ritrovato, mi piace, mi sembra che mi funzioni, ne sono moderatamente soddisfatto. Potrà sembrarvi un disagio schizoide, ecco, probabilmente è il minimo disagio necessario per far parte di una civiltà a caso, questa.

martedì 25 gennaio 2011

Chi se ne andrà per primo

[Dieci anni fa, quando nacque, mai e poi mai questo blog si sarebbe immaginato di essere oggi ancora qui a pubblicare più o meno le stesse cose. Eppure è successo, bisogna accettarlo, aggrapparsi all'idea che tutta questa roba non è andata interamente sprecata, che qualcuno se ne ricorderà, certo non fino al 3754, ma alla fine poi cosa dovrebbe fregare a noialtri della gente del 3754, con le loro idee religiose un po' balzane e i loro gusti musicali discutibili. Questo era un pezzo dello scorso aprile]:

Più grandi di J.

DAL NOSTRO INVIATO - SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo 'laico' del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.

“Cos'è che avrebbe detto, l'elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m'intendo molto di queste cose...”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose... non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti...”
“L'incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent'anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell'oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l'idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio... mah, senz'altro nei suoi inni il padre è visto come un'entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l'abbandono durante l'infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all'incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell'Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l'ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d'Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto... pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko...”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone...”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra...”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All'inizio però la sua posizione è ambigua. C'è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch'io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un'altra dice l'esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all'inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all'espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti...”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un'espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l'acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: "Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..." peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose: pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d'Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell'ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l'Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Persiane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un'educazione musicale classica, e all'inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa... Un incidente, mi pare”.
“Sull'autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C'è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell'incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c'è una teoria per tutti”.
“Non c'è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è...”
“Anche l'invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell'epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di riciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente... non m'intendo molto di musica classica, sa...”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po'. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all'ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l'erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.

Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un'epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L'Osservatore Romano, 10/4/2010.

Siamo più famosi di Gesù adesso. Non so chi se ne andrà per primo, se il rock'n'roll o il Cristianesimo
John Lennon, 1965.

Per il prestigio dell'Italia nel mondo

[Oggi, o domani, a seconda del fuso, questo blog compie dieci anni. La redazione, colta da una certa vertigine, cerca di esorcizzare il fantasma del tempo perduto dimostrando che qualche vecchio pezzo è ancora vagamente leggibile, vagamente attuale. Questo per esempio è la semplice sbobinatura di un vertice internazionale della mafia tenutosi nel dicembre 2009 in un luogo che non posso dirvi (però c'è una piazza molto grande)]:


Cugghiuni+Business

DON PIPPO: Bacio le mani a voi tutti.
Illustrissimi, se siete venuti oggi qui, chi da Mazara, chi da Sidney, chi da Nuovaiorche... è per discutere di qualcosa che sta veramente a cuore a tutti noi, ed è il prestigio dell'Organizzazione.

Ora, illustrissimi, guardiamoci in faccia. Io vado ormai per i cinquanta, almost fifty year old, e sono tra i più vecchi qui. Eppure anch'io, credetemi, non sono mai stato un compare con la coppola e la lupara, che va in giro per i vichi a chiedere “rispetto”...(risate). Quello è cinema, ormai, ed è giusto lasciarlo al cinema... noi non siamo tagliagole, siamo uomini d'affari, e quando parliamo di prestigio, di rispetto, ne parliamo come uomini d'affari, che sanno quanto sia importante, nel mondo degli affari, questo concetto.

Illustrissimi, la nostra Organizzazione ha avuto negli anni degli alti e dei bassi, che non vi riassumo... ma anche nei momenti più difficili, ha potuto contare su qualcosa di inestimabile, qualcosa che non è mai venuto meno... come chiamarlo? “Made in Italy”, se vi va... insomma, nel nostro ambiente essere italiano ha sempre fatto la differenza. Un po' come con le femmine, sì, italians do it better (risatine). Qui c'è gente che viene da tutto il mondo, per esempio don Giggi se non sbaglio adesso sta a... Shenzen, ho detto bene? Che non molti sanno dove sta sul mappamondo, ebbene è una città di sette milioni di abitanti, una Nuovaiorche in mezzo alla Cina, che manco i pechinesi sanno dov'è a momenti... noi invece lo sappiamo, e ci abbiamo don Giggi che fa affari lì. Per dire i cugghiuni che abbiamo – cioè, sicuramente ce li ha don Giggi. Bravo don Giggi (applausi).

Ma anche don Giggi mi deve fare la cortesia di riconoscere che tutti i suoi cugghiuni non sarebbero serviti a niente senza il prestigio che gli derivava dall'essere italiano, dal fatto che quando sei italiano nel mondo degli affari tutti, tutti ti stanno a sentire: le triadi, la Yakuza, i pirati somali, Al Qaeda, tutti quando tocca a noi parlare si stanno zitti e ci fanno parlare, perché siamo l'Organizzazione più famosa del mondo e questa fama, questo prestigio, i filme a Hollivud, ce li siamo conquistati sul campo, col sudore e col sangue nostro e degli infamoni che abbiamo mandato al Creatore (ovazione).

Illustrissimi, io non so quanti di voi facciano affari con la moda... io ci ho lavorato un po', lo sapete... e mi viene spontaneo il paragone. Cioè, anche nel mondo della moda, fino a dieci anni fa, essere italiani faceva veramente la differenza. C'era Armani, c'era Valentino, ma c'erano anche certi inculati qualunque che comunque potevano contare sul rispetto e sul prestigio che gli derivava da un cacchio di cognome italiano. E poi cos'è successo. Ma lo sapete anche voi cos'è successo. Che i grandi vecchi sono invecchiati un po' di più, e i giovani inculati invece di darsi da fare si sono addormentati sugli allori. Non hanno fatto ricerca, non hanno fatto innovazione, hanno stampato il loro bel cognome italiano sul profumo e sulla mutanda, e hanno pensato che tutti in America o in Cina o in India avrebbero fatto sempre la fila per comprarsi il parfum o la mutanda italiana. Un po' di soldi li hanno anche fatti (ne abbiamo fatto più noi taroccandogli profumi e mutande, ma questo è un altro discorso), però nel medesimo hanno perso il loro prestigio. E ora nessuno li rispetta più come stilisti, al massimo come venditori di mutande. Ecco, illustrissimi, io mi sono posto questo problema: non è che corriamo il rischio di finire così? (brusio) Lo so, non è piacevole essere paragonati a degli inculati (risatine), però sul serio, io ho la sensazione che il problema c'è. Ed è una sensazione che è diventata più forte qualche mese fa, quando ne ho parlato con don Christopher, di Wellington, Nuova Zelanda. È qui alla mia destra.

DON CHRISTOPHER: Bacio le mani a voi tutti illustrissimi.

DON PIPPO: Ebbasta con queste formalità, andiamo. Allora, Don Chris è una persona formidabile, che ho avuto il piacere di conoscere in tenera età, anche perché, se non sbaglio, ti ho tenuto a battesimo, no?

DON CHRISTOPHER: Era la prima Comunione.

DON PIPPO: Vabbè, vabbè. Don Christopher ha trent'anni ed è il delegato dell'Organizzazione per la macroreggione Oceania – Sudest asiatico. Segno evidente che i cugghiuni ce li ha anche lui, mmm? Ecco, due mesi fa è stato a un summit internazionale a Wellington a... Koala Lumpur, dico bene? Eh, Malesia, quei posti lì. Ma spiegalo tu, che te ne intendi meglio.

DON CHRISTOPHER: Era un meeting internazionale di dealer, promosso dall'organizzazione leader del mercato indonesiano-malesiano.

DON PIPPO: Un mercato che vale...

DON CHRISTOPHER: Mah, approssimativamente... qualche centinaia di miliardi di euro.

DON PIPPO: Ecco, no, perché secondo me c'è ancora chi è rimasto ai tigrotti di Sandokan con l'anello al naso... qualcuno crede che vivono sulle giunche in quei posti lì, altro che giunche, non so se sapete che il grattacielo più alto del mondo ce l'hanno i malesiani, e i malesiani che vivono nel grattacielo più alto del mondo secondo voi non pippano? Pippano, pippano, hanno bisogno di colombiana anche loro. Quindi è evidente che è un mercato che c'interessa.

DON CHRISTOPHER: Noi abbiamo il know-how, però non siamo i più convenienti.

DON PIPPO: Perché ci piace fare le cose per bene. Però adesso io non è che vogliamo annoiarvi coi tigrotti della Malesia. Vorrei solo che don Cristopher ci raccontasse com'è andata a Kuala Lumpur.

DON CRISTOPHER: E' stata un'esperienza allucinante. Allora, io premetto che sono nato a Wellington, NZ e di cose italiane ho davvero poca esperienza... sarà anche un limite mio, però... i giornali italiani li leggo poco e... li capisco poco. Quindi arrivo nell'albergo senza sapere niente, è un albergo in mano all'organizzazione locale e quindi mi devo fidare, do il nome, entro in camera e mi trovo accucciate sul letto due bambine cambogiane che non arrivavano a vent'anni. In due, voglio dire. (Espressioni di disapprovazione e genuino disgusto).

DON PIPPO: E cos'hai fatto a quel punto.

DON CRISTOPHER: Mah, quello che avrebbe fatto chiunque di voi illustrissimi. Sono immediatamente uscito dalla stanza, e dal lounge ho telefonato che così non andava, non andava assolutamente, che non avevano capito con chi stavano trattando, e che venissero a riprendersi le tipe immediatamente (Bravo! Così!) Si sono scusati, hanno detto che non sarebbe più successo, e che era una questione di cinque minuti. Io ho aspettato dieci, e poi sono risalito nella stanza

DON PIPPO: E cos'hai trovato.

DON CRISTOPHER: Un transessuale tailandese (risate).

DON PIPPO: No, no, signori... illustrissimi volevo dire illustrissimi, no, qui non c'è niente da ridere. Un meeting per discutere di business importanti, e ti trattano così... come un maniaco sessuale... adesso, ma lo vedete don Cristopher? A me sembra un ragazzo a modo, elegante, colto, parla anche un bellissimo italiano anche se in Italia non c'è mai stato... ma cos'è questa cosa che improvvisamente se un italiano va a un meeting lo trattano da maniaco sessuale? Quand'è cominciata questa cosa (mormorii)? Signori, guardate che il problema sta qui. È un problema di prestigio.

DON CHRISTOPHER: Sì, e se posso dire la mia...

DON PIPPO: Ma certo, dilla, dilla

DON CHRISTOPHER: E' anche un problema di business.

DON PIPPO: Ma soprattutto è un problema di business. E infatti, poi, il meeting com'è andato?

DON CHRISTOPHER: Non mi hanno praticamente fatto parlare (mormorii di disapprovazione). C'erano dealer filippini e colombiani. C'era pure un rappresentante peruviano e lo hanno fatto parlare. C'erano un paio di triadi della zona di Canton, che fra parentesi, don Giggi, le porto gli omaggi del signor Xu Chang.

DON PIPPO: Ora faccio l'avvocato del diavolo: magari tu sei un ragazzo, dovevamo mandare uno più anziano, affidabile...

DON CHRISTOPHER: Don Pippo, io sono a disposizione dell'Organizzazione, però vi devo dire che lì ero il più vecchio. Tutti sotto i trenta. È un mercato molto dinamico.

DON PIPPO: Forse che non sai bene le lingue...

DON CHRISTOPHER: Please, don Pippo. Ho una laurea a Princeton in lingue orientali, e mi mandate a dei meeting con gente che non ha la licenza elementare. I colombiani si esprimevano in spagnolo e a gesti, e la commessa l'hanno vinta loro.

DON PIPPO: E allora, Don Chris, spiegaci 'sto fatto a tutti quanti. Com'è che non ti hanno fatto parlare.

DON CHRIS: Mi hanno tenuto per ultimo prima del coffee-break e mi hanno chiesto... io non so se dirlo, don Pippo.

DON PIPPO: Dillo, Chris. È importante.

DON CHRIS: ...se sapevo qualche funny joke.

DON PIPPO: Qualche barzelletta.

DON CHRIS: Di quelle sporche.

DON PIPPO: The nasty ones.

DON CHRIS: Mi facevano ammicchi, risatine... l'ospite mi ha chiesto se mi era piaciuta la “sorpresa in camera”... eccetera.

DON PIPPO: Illustrissimi, io non so... qui abbiamo un caso che secondo me è molto più grave di un affare perso. Abbiamo dei fetentoni, venuti su dal niente, in Paesi che fino a trent'anni fa le cartine geografiche avevano schifo a rappresentare... uomini di nulla che il mestiere lo imparano dai film che hanno fatto su di noi... e di colpo ci trattano da pagliacci. Da maniaci. Ora io mi chiedo: magari la colpa è nostra. Magari sono i nostri uomini che non si meritano più il rispetto dei loro genitori. Vedo Don Christopher, a cui l'organizzazione ha pagato gli studi migliori, un ragazzo elegante, di cultura, capace, e mi dico: magari non ho capito niente, magari è un povero cugghiune che non sa farsi rispettare. Ma me lo dovete dire anche voi: pensate che il problema sia don Chris? Pensate che non meriti il rispetto del mondo del business?

(Silenzio)

E allora, visto che siamo tutti uomini d'onore, qui, me lo dovete dire con franchezza: quello che è capitato a don Chris in Malesia è un caso isolato? O non sono successe cose del genere anche a voi, in giro per il mondo, negli ultimi mesi?

(Brusii)

E insomma, signori, secondo voi qual è il problema? In pochi mesi gli uomini dell'Organizzazione più rispettata in assoluto del mondo diventano dei pagliacci. E perdono gli affari, perché è sempre di questo che stiamo parlando, di affari. Allora vi chiedo: secondo voi cos'è successo negli ultimi mesi? Rimango in ascolto.

DON CALOGERO: Don Pippo, posso parlare?

DON PIPPO: Ci mancherebbe, ne hai facoltà.

DON CALOGERO: Don Pippo, noi siamo giovani, ma comunque maggiorenni e vaccinati, e quindi si è capito dov'è che si vuole andare a parare. Però, don Pippo, io vengo dalla Sicilia, non so se si ricorda, quell'isola triangolare...

DON PIPPO: Don Calò, questa ironia...

DON CALOGERO: Mi lasci finire, don Pippo, perché io vi ho ascoltato e vi ho anche capito, don Pippo, e lo so che c'è un problema. Insomma, è su tutti i giornali.

DON PIPPO: Di tutto il mondo.

DON CALOGERO: Insomma, il vecchio è fatto pazzo di viagra, sragiona, va alle feste di minorenni, ammicca alla regina Elisabetta, fa il cugghiune con Michelle... le abbiamo viste tutti queste cose. Siamo venuti per parlare di questo?

DON PIPPO: E per trovare una soluzione. Perché questo vecchio fatto pazzo di viagra, come dite voi don Calò, è diventato il rappresentante del made in Italy nel mondo, e questo fatto ci danneggia, ci danneggia molto, ci fa perdere qualche milione di euro al giorno, don Calò, e noi come organizzazione, abbiamo sciolto creaturine nell'acido per molto meno.

DON CALOGERO: E con questo cosa mi volete dire, don Pippo, che dobbiamo sciogliere pure a lui?

DON PIPPO: Naturalmente no...

DON CALOGERO: Perché non si può fare! E ci sono accordi precisi!

DON PIPPO: Gli accordi, don Calò, gli accordi... se poi li andiamo a vedere... li avrebbe dovuti rispettare lui per primo... mentre se mi ricordo bene, per esempio, il 41bis...

DON CALOGERO: Don Pippo, con tutto il permesso... ma che minchia ci frega del 41bis a noi... di quei mammasantissima in isolamento, coi loro pizzini medievali... ma che se ne stiano a farsi i loro criptogrammi colla bibbia, cosa minchia ce ne dovrebbe fregare a noi... io sto parlando business, come voi. Ospedali. Cantieri. Sto parlando di cose tangibili, come... il ponte sopra il cacchio di stretto (risate). Sì! Perché qui c'è gente che non crede nell'innovazione, nel coraggio per i progetti che sfidano il... voi volete tornare ai pastori coi pizzini, è questo...

DON PIPPO: Don Calò, io non dubito... in Sicilia siete tutti avvedutissimi uomini d'onore, e se avete voluto sostenere il... papiminchia (risatine) senz'altro ci avevate il vostro interesse. Però qui proprio perché non siamo medievali, bisogna cominciare a vedere la cosa globalmente, e globalmente il papiminchia è, per lo stato attuale dei nostri affari, un rugosissimo e puntuto pruno su per il pertugio del culo. (Risate e applausi) Ragione per cui la quale... ragione per cui la quale... è tempo di discutere un'exit strategy.

DON CALOGERO: La fate facile, voi.

DON PIPPO: E insomma, don Calò, siamo nel duemilaenove, non ci sono mica più i comunisti, andiamo. Un po' di alternanza fa bene a tutti. Pensate che ho votato Obama anch'io, sì, quella melanzana, mi piaceva e me lo sono votato, embè? Non lo riuscite a trovare un altro partito da votare?

DON CALOGERO: Ma non è una questione... voi forse siete assenti dall'Italia da un po' di tempo, don Pippo, e non avete presente... cioè noi i distretti elettorali in Sicilia li controlliamo abbastanza bene e ci possiamo inventare un partito anche domani, ma lui vince in Lombardia, in Veneto, perché le elezioni qui si vincono con le televisioni, e le ha tutte lui.

DON PIPPO: Un altro buon motivo per ridimensionarlo un po'... ma non c'è anche Murdoch? Possiamo fare pressione...

DON CALOGERO: Murdoch in Italia non ha lo spessore...

DON PIPPO: Ho capito. Insomma, è diventato più potente di noi.

DON CALOGERO: Don Pippo, purtroppo sì.

DON PIPPO: Però noi non è che possiamo starcene qui a ridacchiare mentre lui ci sputtana tutto il prestigio degli italiani all'estero. Qui dobbiamo cominciare, se non altro con gli avvertimenti. Chissà, può anche darsi che da quell'orecchio ci senta.

DON CALOGERO: E' molto rintronato.

DON PIPPO: Questo lo vediamo. Cominciamo a fargli pressione. Qualche infamone che lo tira dentro a un'inchiesta... non riusciamo a trovarne uno?

DON CALOGERO: Don Pippo, io di infamoni ne trovo a centinaia, voi dite e io ve li preparo. Ma dovete capire che il papiminchia, come lo chiamate voi, sul piano processuale ha due cugghiuni degni dei meglio nostri.

DON PIPPO: E vabbè, di cosa lo avranno mai accusato? Corruzione, falso in bilancio, briciole... tiratelo dentro in una strage terroristica. Non avete delle stragi a mano?

DON CALOGERO: Qualcuna... ma roba vecchia... primi anni Novanta.

DON PIPPO: Perfetto. Tiratelo dentro. Vediamo come reagisce.

DON CALOGERO: Ma don Pippo, sono cose vecchie, di quando ancora comandavano i pastori, coi loro pizzini incomprensibili, e quindi nessuno sa veramente come sono andate le cose... voglio dire che a sparare una cosa del genere...

DON PIPPO: Sì?

DON CALOGERO: Noi per assurdo potremmo anche azzeccare una verità.

DON PIPPO: Una verità? Noi?

DON CALOGERO: Potrebbe anche darsi.

DON PIPPO: E vabbè, don Calogero, una verità, in mezzo a tante bugie, che differenza farà mai?

DON CALOGERO: Voi disponete, don Pippo.

DON PIPPO: Dunque, se siamo d'accordo, io passerei al secondo punto all'ordine del giorno, che è: riscaldamento globale. Allora, io non so se sapete la cifra che ogni anno stanziavamo globalmente agli istituti di ricerca perché minimizzassero il problema, bene, soldi buttati via, ormai è chiaro che i ghiacci si sciolgono, ci crede anche quell'omminicchio di George W. Bush. Dunque io proporrei di risparmiare quella cifra e investirla in energie rinnovabili... è inutile che facciate quella faccia, è business, bisogna pensare anche ai nipoti, e qui se la California va sott'acqua ci perdiamo triliardi di fatturato, insomma il mondo è una cosa troppo complessa per lasciarla salvare ai governi, bisogna che ci si metta la mafia e che ci si metta seriamente...

lunedì 24 gennaio 2011

Il Nordest in mano ai maestrini

Ti dicono quali film non andare a vedere al cinema;
(tanto tu comunque non ci vai)
quali libri non puoi prendere in prestito in una biblioteca
(non li conoscevi, ma adesso li cercherai in libreria);
quali non puoi leggere a scuola...
(vorrà dire che li leggerai a casa, con più calma).
Sono i nuovi censori, sono tra noi. 

E sono anche più fessi del solito. Sull'Unita.it si parla degli occhialuti maestrini di Lega e PdL. Il pezzo si commenta qui.

Carissimo ELMO (Elettore Leghista Medio Operaio), ti scrivo perché vorrei che mi togliessi una curiosità. Ma tu il nuovo film di Placido sul bandito Vallanzasca, ecco, se il tuo partito non avesseproposto di boicottarlo, lo saresti andato a vedere?

Secondo me no. Non lo dico per snobismo, guarda –  si può dire di tutto di Michele Placido, tranne che faccia film per snob. Il fatto è che non mi pare che i leghisti vadano molto al cinema in generale. Almeno è l'unica spiegazione per il colossale flop di Barbarossa, ti ricordi? Sì, quel film in costume per il quale Bossi si fece dare da Roma un milione e seicentomila euro, che il regista Martinelli spese più che altro in Romania perché maestranze e figuranti rom costano meno (è la globalizzazione, Elmo, che ci vuoi fare, anche i portachiavi della Padania sono made in China). A quel film Bossi ci teneva tantissimo, è lo stesso Berlusconi a confessarlo in una celebre telefonata ad Angelo Saccà: “c'è Bossi che mi sta facendo una testa tanto con questo cavolo... di fiction di Barbarossa”. Ai tempi del lancio Martinelli si diceva sicuro di riempire le sale. Bossi (che fa una comparsata) vi ordinò: "andatelo a vederlo come se andaste a votare", ma tu e i tuoi compari non è che siate accorsi in massa, eh? Magari state solo aspettando che arrivi in tv, e francamente non vi biasimo.
Quello che non capisco è il tuo deputato, quel Davide Cavallotto, che pretende di farvi stare fuori dai cinema quando neanche Bossi è riuscito a farvici entrare. Lasciamo stare il senso dell'operazione, questo rigurgito moralista per cui i film sui banditi offenderebbero le vittime (per fortuna che queste idee non vengono agli americani, altrimenti non avremmo avuto il Padrino, Scarface, Goodfellas, Casino, Donnie Brasco...) Lasciamo anche stare che se ne parli proprio nella settimana in cui i tuoi rappresentanti si mostrano impermeabili ad altri moralismi (hai sentito che una delle bionde ospiti di Berlusconi era accreditata come "fidanzata con Renzo Bossi"?) Ma che senso ha proporre il boicottaggio delle sale a elettori e simpatizzanti che comunque di solito nelle sale non ci vanno?
È un po' come quando a Roma scioperano i tassisti, che a momenti nessuno se ne accorge, se mi passi il paragone. Anzi, forse è peggio. Perché lo sai come funziona coi film: l'importante è che se ne parli, anche male. Michele Placido questo meccanismo lo conosce bene, e di solito appena c'è la possibilità di fare un po' di polemica sui giornali non si tira indietro. Basta poco, sai: un'intervista in più agli attori, che invece di restare relegata alla pagina degli spettacoli si ritrova un titolo in prima: ed ecco che l'annunciato boicottaggio diventa un trucco per staccare qualche migliaio di biglietti in più al botteghino. Insomma, caro Elmo, secondo me un boicottaggio del genere è un autogol. Un po' come la storia dei libri proibiti nelle biblioteche veneziane. Ma è vero che li tolgono?

Lascia che ti racconti anche questa storia. Dunque, ti ricordi di Battisti, il terrorista? Qualche settimana fa non si parlava d'altro, il governo italiano fece fuoco e fiamme, sembrava che dovessimo interrompere i rapporti commerciali col Brasile. Poi, come succede in questi casi, non c'è più stato nulla di cui parlare: bisognava inventarsi qualcosa di nuovo. A questo punto un assessore veneziano del PdL, l'ex missino Speranzon, ha chiesto ufficialmente alle biblioteche comunali di ritirare dagli scaffali le opere degli scrittori che nel 2004 firmarono un appello per la scarcerazione di Battisti (che a quel tempo era stato arrestato in Francia). Non tutti questi scrittori escludono che Battisti possa aver commesso dei crimini, ma hanno forti dubbi sulla regolarità dei processi a cui non partecipò (l'Italia è uno dei pochi Paesi in cui si può processare qualcuno in contumacia). Che ci vuoi fare, Elmo, non c'è solo Berlusconi a nutrire dubbi sulla giustizia italiana. Ma lasciamo stare. Certo, è ben triste che proprio a Venezia qualcuno proponga una specie di Indice dei Libri Proibiti. Persino ai tempi della Controriforma, quando a Roma aprire il libro sbagliato poteva portarti al rogo, gli intellettuali più scomodi cercavano riparo dall'Inquisizione presso la Serenissima.
Ma lasciamo perdere anche il passato. Il punto è: anche se i bibliotecari toglieranno dagli scaffali i libri incriminati (tra cui quelli di Roberto Saviano), che risultato si otterrà? Certo nessun danno agli scrittori, che sui libri prestati in biblioteca non guadagnano più un centesimo. Anzi, il boicottaggio  costringerà qualche lettore in più a comprarseli in libreria. Senza tener conto, anche in questo caso, dell'effetto boomerang: gli scrittori, come puoi immaginare, sono tipi sensibili, che non vedono l'ora di sentirsi un po' perseguitati da qualcuno per scrivere ai giornali, organizzarsi, trasformare una polemica in un'altra occasione per farsi leggere - a pagamento, visto che i volumi in biblioteca non si troveranno più.  È quello che stanno facendo in questi giorni, appunto. Massimo Carlotto, uno degli scrittori incriminati (il solo aggettivo "incriminati" secondo me vale qualche centinaio di copie in più), ha replicato a Speranzon facendo notare che nel bel mezzo di tutte queste polemiche il Veneto è diventato la regione italiana con i maggiori interessi economici in Brasile. Carissimo Elmo, non so se tu Carlotto l'abbia mai letto. È un ottimo giallista, nato a Padova, che racconta il Nordest di oggi come pochi sanno fare. Se non ne avevi mai sentito parlare, adesso lo hai sentito: se avevi letto già qualche suo libro, sono abbastanza convinto che nessun assessore del tuo partito ti convincerà a smettere con questo o altri sgangherati boicottaggi.

Nel frattempo, l'assessore regionale all'istruzione Elena Donazzan (PdL anche lei, con un debole per i caduti di Salò) si è fatta viva. Non la sentivamo più da quando pensò di regalare a tutti gli studenti veneti una Bibbia a spese dei contribuenti. Adesso invece ha chiesto ai presidi di rimuovere dalle biblioteche scolastiche i libri degli autori maledetti - sì, sempre quelli dell'appello pro-Battisti. Così magari rimarrà più spazio per i libri che fa stampare lei, pieni di strafalcioni e scopiazzati da wikipedia. O i cd "europeisti" distribuiti a spese della Regione e contenenti inni neofascisti.

Insomma, caro Elmo, cosa stanno diventando i tuoi dirigenti? Da quand'è che hanno cominciato a pretendere di spiegarti quale film puoi vedere e quali no, quali libri puoi leggere e quali no? Una volta non era così, una volta i leghisti erano i ribelli, i berlusconiani si riempivano la bocca della parola libertà. Ma quella era la prima generazione. Adesso tocca alla generazione dei maestrini, dei censori occhialuti, e non si può dire che siano altrettanto simpatici. E la prossima? I bambini che nascono oggi, e magari cresceranno in una Padania federale con le bandiere verdi, e i libri giusti sugli scaffali e i film giusti in tv, non sentiranno anche loro il bisogno di ribellarsi un po'? Pensa ai bambini di Adro, col Sole delle Alpi griffato su tutti i banchi: non toglierà ai monelli la voglia di inciderla col temperino? Non c'è il rischio che poi crescendo venga loro a noia? Che vadano a sporcarsi i piedi nelle aiuole per il gusto di infangare il vessillo che quel furbacchione del sindaco ha voluto disegnare anche nello zerbino? E se scoprono che c'è una lista di libri proibiti, non faranno la corsa per procurarseli? Faccio per dire, è solo una mia teoria. http://leonardo.blogspot.com