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martedì 30 gennaio 2024

Alla presidente dei post-servi

L'Italia ha sospeso i fondi a Gaza,
tu no. 

Presidente Giorgia Meloni,

devo confessare che avevo basse aspettative, e tuttavia.

Da un tweet del suo ministro degli esteri di venerdì scorso (venerdì scorso!) scopro che l'Italia non sta più assolvendo ai suoi doveri di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese – gli aiuti all'UNRWA sono "congelati" non si sa bene da quando, forse da cento giorni. Nel frattempo la striscia di Gaza è stata quasi completamente rasa al suolo: le vittime dei bombardamenti e dei combattimenti sono più di ventimila, in gran parte civili (lo stesso esercito israeliano riconosce che Hamas è ancora operativo). Intere famiglie sono state spazzate via dalla guerra; gli israeliani ostacolano l'accesso di aiuti alimentari e sanitari a Gaza e venerdì abbiamo scoperto che comunque tra quegli aiuti nulla più viene dall'Italia.


Il blocco degli aiuti quindi sarebbe persino precedente al cosiddetto scandalo UNRWA, ovvero alla scoperta che alcuni dipendenti UNRWA avrebbero collaborato agli eccidi di Hamas del 7 ottobre scorso; il che sarebbe gravissimo se si potesse dimostrare. Senz'altro ci tiene molto il governo israeliano: probabilmente è un modo per spostare l'attenzione dalla sentenza preliminare della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, che rappresenta già una severa censura del comportamento assunto dall'esercito israeliano in questi mesi nei confronti della popolazione civile della Striscia. Ma prendendo anche per vero quel che avrebbero confessato dodici dipendenti su tredicimila (interrogati dall'intelligence israeliana e dallo Shin Bet); considerata la penetrazione capillare di Hamas nella società gazawi, un numero così esiguo di sospettati è quasi un'indiretta conferma dell'autonomia dell'UNRWA rispetto ad Hamas.

Insomma qualsiasi governo sovrano attenderebbe prima di prendere per fondate le accuse mosse da Israele all'UNRWA, ma per il nostro governo il problema non si pone: a quanto pare i fondi li avevamo sospesi già, molto prima che qualche nostro importante alleato ci imponesse di farlo. O forse ce l'hanno imposto prima, come fanno i padroni ai servi un po' rintronati e noi questo siamo evidentemente, presidente. Altri governi, in queste ore, stanno mostrando un atteggiamento meno servile e più consono alle rappresentanze democratiche di Paesi sovrani: la Spagna, l'Irlanda, non stanno sospendendo gli aiuti, nemmeno la Scozia: noi sì. 

Presidente Meloni: il sospetto di essere cittadino di un Paese che non stava facendo praticamente nulla per evitare un genocidio lo nutrivo anche prima di venerdì; ma non immaginavo in che misura lei, in che misura noi fossimo già complici. Il nostro sostegno a Israele, mai così esplicito, è un incoraggiamento a proseguire nella direzione in cui sta andando, e la direzione in cui sta andando non è solo quella di una catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza. È anche un disastro morale per Israele, e per la complessa e struggente storia che rappresenta.   

Presidente Meloni, so che senza essersi mai definita fascista, non è mai nemmeno riuscita a dichiararsi antifascista – nemmeno adesso che ormai ha vinto tutto quello che poteva vincere, e nessuno può più scavalcarla: nemmeno adesso. E va bene. I fascisti si sa, facevano i gradassi in tempo di pace; quando scoppia la guerra annusavano il vento per capire dove stesse passando il sedere del più forte, e lì si attaccavano. Lei in teoria non fa così, lei è post. 

Io, l'avrà capito, non ho nessun rispetto per il partito che lei dirige, per la storia che c'è dietro, per il suo Almirante e il suo Berlusconi. Il giorno in cui ha vinto le elezioni è per me uno dei momenti più bui della storia della Repubblica. E però anche in quel momento mi restava la curiosità: cos'avrebbe fatto una gregaria di formazione, nel momento in cui saliva sul gradino più alto? Avrebbe forse scoperto la sua personalità, svelato finalmente un pensiero autonomo, qualcosa di simile a una volontà propria? Quanto meno me l'auguravo, sarebbe stata una bella sorpresa per tutti. E invece non c'è niente da fare: eccola al postservizio dei primi che le hanno mostrato i muscoli. 

Io non sono veramente nessuno e questo mio sfogo non è un granché, ma confesso che mi piacerebbe che le mie parole in un qualche modo si scavassero un sentiero tra la selva retorica che la circonda, e la pungessero in una qualche regione dove altre persone hanno una coscienza. Lei i palestinesi li conosce, è stata a Betlemme; quando Renzi era al governo chiedeva i Due Stati per Due Popoli: ora vede un popolo affamare l'altro e gli dà una mano. E quando al prossimo comizio ciancerà di orgoglio nazionale, di sovranità e di altre sciocchezze, lo so che è impossibile, ma vorrei che un poco si vergognasse, sarebbe ora: per lei e per noi. Postservi, non siamo altro che postservi: il postpadrone ordina e lei ha già eseguito. 

lunedì 29 gennaio 2024

Benigni e la Shoahsploitation


Un giorno o l'altro, non necessariamente un Giorno del Ricordo, dovrei mettere per iscritto la mia annosa diffidenza nei confronti di La vita è bella. Ha a che vedere col concetto di Shoahsploitation, parola che mi sono inventato e non ne vado fiero, anche perché alla fine è inutile prendersela: se imponi un momento di approfondimento tutti gli anni in tutte le scuole è inevitabile che nascano prodotti che servono esattamente a questo – magari si può rimarcare che Benigni/Cerami sono stati tra i primi a capire che razza di mercato si stava aprendo. Cruciale fu l'incontro con Mihăileanu, che aveva già in mente il concept di Train de vie e pensava a Benigni un protagonista: forse non capiva di avere davanti anche un produttore abbastanza scafato che poteva copiargli l'idea. 

La mia diffidenza ha a che vedere con l'equivoco per cui quello che chiediamo a questi prodotti 'leggeri' a tema Shoah è uno spunto per parlare di Shoah a un'età in cui rischiamo di scioccare i bambini. Servono a questo. Il problema è che forse li scambiamo per punti d'accesso all'argomento, laddove manco ci provano: La vita è bella non "spiega" la Shoah, non introduce alla Shoah (neanche Train de vie, neanche Jojo Rabbit). Sono film che rimangono nei dintorni, raccontano episodi quasi sempre inventati intorno all'argomento, cercano di non risultare troppo depressivi o disturbanti e ti danno la sensazione che hai passato un paio d'ore a ricordare la Shoah. Nel frattempo i ragazzi crescono, un 27 gennaio dopo l'altro hanno effettivamente il tempo per imparare qualcosa, per cui alla fine qualcosa passa: è più liturgia che didattica, comunque.

Di tutti questi film La vita è bella è il più pervasivo, al punto che alla fine della scuola dell'obbligo i ragazzi rischiano di averlo già visto due o tre volte, di associare per sempre la faccia grulla di Benigni all'ebraismo, che già tante offese ha patito e sopravvivrà indubbiamente anche a questa, però forse il mio fastidio parte proprio da Benigni, e dal concetto del film, che non riesco ad accettare (non da un punto di vista morale, è proprio la sospensione dell'incredulità che non mi scatta): un padre che convince un bambino che Auschwitz è un gioco a premi. Questo pone tutta una serie di problemi.

a) Non si ingannano i bambini – cioè, succede spesso, ma costruirci sopra un film è discutibile. Proporre poi questo film ai bambini è proprio un corto circuito che m'infastidisce.

b) I bambini non sono mica deficienti, cioè come fai a credere che Auschwitz sia Takeshi's Castle (se tra l'altro non hai mai visto Takeshi's Castle). Davvero quel bambino non può crederci davvero, l'unica strategia che trovo per reggere la visione è immaginare che sia lui che sta prendendo suo padre per scemo, gli regga la candela perché altrimenti suo padre non potrebbe fare più il pagliaccio, e a quel punto gli prenderebbe la depressione.

c) Questa finzione dipende tutta appunto dalla capacità di Benigni di fare il pagliaccio. Tutto il film posa sulle spalle di questo tizio che manco fosse Charlie Chaplin, cioè se chiedevano a Charlie Chaplin lui probabilmente gli avrebbe detto no, guardate, neanche io riuscirei a rendere credibile una situazione del genere, e sono il più grande pagliaccio del mondo, ma se potessi fare un film del genere l'avrei fatto, e se non l'ho fatto c'è un motivo (anche Jerry Lewis all'ultimo momento ha bloccato tutto, vi ricordo). Benigni osa dove non ha osato Jerry Lewis, e il problema è che non è nemmeno il Benigni al top della forma, cioè per gran parte del film è il Benigni al minimo sindacale che ti ride in faccia e si aspetta che ridi anche tu per simpatia. 

d) L'idea del campo come concorso a premi mi sembra anacronistica, anche se capisco che in epoca di Squid Game possa ritornare interessante (e qui potremmo aprire una digressione su quanto sia disumano il concetto di concorso a premi, e in generale la gamification della realtà che proprio nei Paesi dove è più avanzata ha prodotto fiction come Battle Royale o Squid Game).

Beh alla fine forse ce l'ho fatta, ho messo per iscritto quasi tutti i problemi che ho con la Vita è bella, senza nemmeno toccare l'annoso problema dei carri armati, che quando finalmente arrivano, sono quelli americani. Ma davvero mi sembra l'ultimo dei problemi, anche gli americani qualche campo l'hanno liberato. Ne approfitto per dire che per quanto m'infastidisca La vita è bella, forse funziona meglio di altri prodotti pensati per la scuola e più nobili, come La tregua di Rosi che in teoria non ha niente che non va e in pratica non gira, non saprei dire il perché, io alla fine quando vedo che un film non gira non lo guardo più e dopo un po' mi dimentico il perché.

sabato 27 gennaio 2024

Prima ricordare


Vorrei rassicurare chi se ne preoccupasse sul fatto che io oggi, 27 gennaio, parlerò ai miei studenti della Shoah, che è "lo sterminio del popolo ebraico". A seconda del tempo e dei mezzi che avrò a disposizione, ricorderò "le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati". I virgolettati sono ovviamente presi dagli articoli 1 e 2 della legge 211 del 20 luglio 2000, che istituiva la Giornata della memoria. E basta.

Non paragonerò la Shoah ad altre stragi passate, future o presenti; non emetterò un giudizio su chi pensa che basta farsi fotografare ad Auschwitz per lavar via l'antisemitismo disseminato qua e là per anni; non approfitterò per entrare in polemica con governanti che non hanno ancora del tutto rinnegato il loro Almirante (e il loro Mussolini). Come ho scritto altre volte, sono convinto che la Shoah sia un evento assolutamente eccezionale, per modalità e per dimensioni. Non sono del tutto sicuro che il modo migliore di studiarlo sia la liturgia scolastica della Giornata, per come si è evoluta in questi 24 anni, ma se c'è un evento storico che merita almeno di essere ricordato un giorno all'anno, credo che si tratti questo. E la legge è molto chiara, quindi la osservo. Anche qui sopra, per oggi eviterò di entrare in esplicita polemica con chi non accetta altri paragoni con la Shoah tranne i propri.

Poi ovviamente l'anno è fatto di altri 365 giorni (è bisestile), e da domani fino al 26 gennaio 2025 ci sarà tempo per qualsiasi altra riflessione – talvolta stimolata da studenti che di quel che succede qua fuori sentono parlare, sia a casa sia sullo smartphone, così che se pensate che io abbia mai la tentazione di incitarli a boicottaggi o lotta armata ebbene è l'esatto contrario: mi tocca smentire tante storie deformate, leggende metropolitane, savi di Sion e quant'altro. Per cui di fronte all'eterno dibattito: è ammissibile paragonare la Shoah ad altri fenomeni? La mia risposta oggi è che per stabilirlo come minimo prima dobbiamo capire cos'è stata la Shoah, percepire la sua eccezionalità: prima studiare, poi paragonare.  

Questo è il modo in cui passerò il 27 gennaio al lavoro e in questo spazio. Altri hanno deciso diversamente, e ne approfitteranno per manifestare contro Israele. È una scelta che non condivido, ma non posso nemmeno fare nulla per impedirla. Con buona pace di chi in questi casi se la prende, la legge dice semplicemente che dobbiamo ricordare degli avvenimenti. Non proibisce a nessuno di istituire paragoni (anche sballati), né di manifestare per altre cause che hanno più o meno a che fare con la Shoah. Un'eventuale legge che includesse questi divieti sarebbe, temo, incostituzionale: tutti infatti hanno "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione", articolo 21. Poi certo, magari non sarà sempre così, specie coi riformatori costituzionali che girano oggigiorno. Ma per quest'anno è andata, inutile prendersela. Specie in un giorno così importante, con tante cose più gravi da ricordare.

(Vabbe' alla fine un po' di polemica forse l'ho fatta, mi dispiace, sono umano).

venerdì 26 gennaio 2024

Dante potrebbe offendervi, attenzione

Dicevamo qualche giorno fa: sul Post qualcuno ha denunciato "il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie" che sarebbero "una costante" nella letteratura italiana che compare sui manuali scolastici. Questo mi ha fatto arrabbiare, un po' più del necessario, per motivi che sto ancora cercando di spiegarmi. Nel frattempo le autrici hanno ribadito che era una provocazione, avremmo dovuto farci una risata, ecc. Ora non m'interessa ribattere punto per punto che no, i manuali non sono fatti così, la letteratura a scuola non si insegna così. Galatea Vaglio su Valigiablu lo ha fatto, e mi sembra che possa bastare. 

Vorrei riflettere su un piano diverso: cosa porta persone non stupide, non incolte, scrittrici, laureate, a produrre un tipo di testo del genere, una specie di parodia in cui una serie di autori e personaggi di epoche molto lontane dalla nostra vengono fotografati nella situazione che possa apparire più scorretta a un lettore contemporaneo? E cosa porta centinaia di lettori altrettanto colti e sensibili ad apprezzare il testo? Potrebbe essere semplicemente una pagina divertente e scritta bene, ma credo che ci sia di più: è una di quelle pagine che prima o poi su internet qualcuno doveva scrivere, come se troppo forte fosse l'esigenza di certi lettori di leggerla. Che tipo di lettori?

Nel pezzo c'è una "doverosa precisazione" in cui spiegano che non vogliono assolutamente cancellare Dante o Ariosto – ci mancherebbe – ma promuovere "uno sforzo di consapevolezza": il che poi implica che questa consapevolezza sui manuali non ci sia, e che a scuola gli insegnanti non si sforzino in tal senso. Questa è una delle cose che mi ha fatto più arrabbiare (cioè secondo voi esorto i ragazzini a trattare le coetanee come le trattava Nastagio degli Onesti?), ma effettivamente se vado a controllare nei manuali per la scuola media, non è che trabocchino di avvertenze sul fatto che Dante e Ariosto vivessero in epoche diverse con morali molto diverse che potrebbero risultare offensive ai giovani lettori. Quel tipo di disclaimer che la Disney sta mettendo su certi vecchi film, ecco, nei libri di scuola ancora non ci sono, è come se li dessimo per scontati perché insomma, Disney+ è alla portata del telecomando di qualsiasi bambino, mentre Dante deve per forza passare attraverso la mediazione di un insegnante. Insomma tutto dipende dall'insegnante e non posso escludere che ne esistano di quelli che approfittano dell'episodio di Paolo e Francesca per esortare i giovani alla continenza. Voglio sperare che non siano in tanti. Forse alla fine avevo torto ad arrabbiarmi così tanto, perché a loro modo le autrici segnalavano un problema: manuali e insegnanti dovrebbero essere più attenti a fornire, per ogni autore, il contesto storico. E però.

E però non mi pare che le autrici stiano chiedendo questo tipo di contestualizzazione. Anzi il loro "sforzo di consapevolezza" va verso l'esatto opposto: personaggi e autori vengono strappati dai rispettivi contesti storici e trattati da contemporanei (altrimenti come faremmo a scandalizzarcene?): ci viene proposto di riconoscere in Orlando il Vasco Rossi di Colpa d'Alfredo, in Leopardi un incel. 

Il mio fastidio forse nasce da qui: ho un problema con chi ostenta intolleranza per il passato, come se non fosse la terra più straniera di tutte. A Dante credo si debba lo stesso rispetto che dobbiamo all'indigeno dell'Amazzonia: non gli spieghiamo che i suoi usi e i suoi costumi sono sbagliati; anche quando ci ripugnano dobbiamo accettare che sono il risultato di un adattamento al suo ambiente, di una civiltà la cui complessità potrebbe sfuggirci. Se leggiamo Dante, tra le altre cose è per imparare cose su di lui e sul mondo in cui ha vissuto; un mondo interessante anche solo perché era diverso dal nostro. Di sicuro non leggiamo Dante per spiegargli che si sbaglia, e che avrebbe dovuto comportarsi come ci comportiamo noi. Né per sentirci migliori di lui. O lo facciamo?

Mettiamola così. È noto che da quando su internet siamo tutti diventati i promoter di noi stessi, l'esigenza di esibire le nostre virtù è cresciuta in modo geometrico. Dobbiamo tutti dimostrare di essere in grado di sconfiggere le ingiustizie, o almeno di segnalarle; e siccome non sempre la cronaca ci provvede di ingiustizie fresche di giornata (e comunque la gara a chi le segnala per primo è molto serrata) ripiegare sui libri di Storia diventa un'alternativa comoda e a costi irrisori. Praticamente tutto quello che è successo prima del 2018 è discutibile, qualsiasi manuale è già un libro nero dei crimini dell'uomo bianco. Razzismi, prevaricazioni, femminicidi a ogni pagina. Prima o poi qualcuno doveva denunciare il sessismo di Boccaccio o di Petrarca, era inevitabile: e infatti non è stato evitato. Ovviamente non per cancellarli, no. Per far discutere, questo sì. Creare un po' di attenzione – e chi sono io per giudicare, davvero.

Si tratta di una mossa facile, ma forse più pericolosa di quel che sembra, perché... ma lo avete capito chi c'è là fuori? 

Ci sono gli studenti.

Quelli veri, quelli giovani. Voi siete woke per modo di dire: eravate svegli/sveglie anche venti anni fa. Siete andati tutti a scuola, e per quanto possa essere stato mediocre il vostro insegnante, difficilmente vi ha minacciato di andare all'inferno se commettevate adulterio perché l'Inferno dantesco lo prevedeva. Questa cosa che scrittori di epoche diverse risentano di sistemi di valori molto diversi, l'avete sempre saputa. Fingere all'improvviso di accorgersene, di dover denunciare le pagine più tossiche, può far nascere un'accesa discussione, che è il motivo per cui si scrivono le cose. Ma accendere una discussione del genere in un ambiente dove passano gli studenti, è come lanciare fuochi artificiali a un benzinaio. Voi non volete veramente cancellare Dante e Ariosto, ho capito. Magari gli volete ancora un po' di bene, a quei due. Volete solo provocare una conversazione. Ma là fuori non c'è gente che vuole conversare: c'è gente che vuole leggere meno, o leggere altre cose, più attuali, più facili. Loro Dante e Ariosto non li hanno ancora letti, e se c'è in giro una clausola per non leggerli più, perché non dovrebbero attaccarcisi?   

E non perché siano giovinastri deficienti tutti droga play e netflix – o forse sì, ma la loro ansia cancellatoria ha ragioni molto più serie delle vostre. Tutti gli organismi viventi tendono a minimizzare gli sforzi, e gli studenti sono organismi molto viventi. Potrebbe essere uno dei motivi per cui negli ultimi anni la prima domanda che si fa un giovane lettore davanti a un testo non è più "cosa sta cercando di dirmi questo testo", ma "c'è qualcosa in questo testo che potrebbe offendere me? o qualche altra minoranza sensibile?" Perché se c'è qualcosa, anche solo una parola, il problema è finito: il testo si cancella e si passa ad altro. Io capisco ormai che la parola con la N non sia più presentabile, ma immaginate di leggere una pagina dell'Autobiografia di Malcolm X a una classe che sonnecchia, quand'ecco che echeggia la parola con la N e li vedi svegliarsi di botto, scandalizzati: ehi, ma cosa stiamo leggendo? In realtà niente, non hanno letto niente. Hanno sentito solo la parola N risuonare nel silenzio. Hanno antenne per queste cose, che non percepiscono ciò che noi percepiamo con gli altri cinque sensi. L'indignazione è il sesto senso: riescono a indignarsi per quel che c'è scritto su un libro senza neanche averlo aperto, a volte appena dopo averlo intravisto dalla vetrina della libreria, sono incredibili. 

Non ditemi che un po' non li invidiate. Una certa cultura cancellatoria può anche nascere dall'ansia che i giovani provano di fronte allo scibile umano: quanti libri bisognerebbe leggere prima di capirci qualcosa, non possiamo cominciare a buttarne via un po'? (continua) 

martedì 23 gennaio 2024

Un sostegno per Galli della Loggia


Gli ultimi articoli che Ernesto Galli della Loggia sta mandando al Corriere, sulla scuola italiana e in particolare sulla questione dell'inclusione, sono davvero una fotografia spietata di uno dei principali problemi del sistema educativo nazionale. 

Ovvero Ernesto Galli della Loggia. 

È un grosso problema. 

Che un personaggio così continui a scrivere pezzi su realtà che non conosce, inanellando strafalcioni; che il Corriere gliene pubblichi; che i lettori ne parlino come se si trattasse di cosa seria, ecco questo è un enorme problema culturale di cui non ci preoccupiamo abbastanza. Più in generale, un sistema educativo che produce tromboni del genere, che li alimenta, che li lascia prosperare appollaiati su qualche cattedra, a contatto con giovani studenti e ricercatori di cui immaginiamo l'imbarazzo; un sistema educativo che a un certo punto non riesce a dire no, dai Ernesto basta, non è la tua cosa, sei patetico, qualche anno fa hai scritto che volevi la pedana in mezzo alle aule, non conosci nemmeno la normativa di sicurezza, abbi pietà di noi, abbi pietà di te stesso. 

In cosa stiamo sbagliando? Quali catene di errori didattici, pedagogici, di selezione del personale, hanno portato Ernesto Galli della Loggia a convincersi, e a convincere almeno la redazione del Corriere, di poter parlare di scuola con cognizione di causa? Siamo stati troppo inclusivi con uno che non ce la poteva fare, o non lo siamo stati abbastanza? Magari non siamo riusciti a orientarlo verso il percorso più confacente alle sue capacità, chi lo sa se in lui non covasse un valentissimo idraulico, o un fenomenale allevatore di capre nane tibetane. Non ce ne siamo accorti e ben ci sta, adesso ce lo troviamo a spiegare la scuola agli insegnanti. Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare fa i corsi di formazione agli insegnanti, chi non riesce a fare i corsi di formazione propone riforme scolastiche sul Corriere.

Ora penserete che esagero, ma è già da due articoli che parla di BES e non sa di cosa sta parlando. È convinto che sia "prevista per gli allievi con disabilità BES la presenza per un massimo di 18 ore settimanali – il monte ore di lavoro standard nella scuola – di un cosiddetto insegnante di sostegno". Peccato che i BES non siano disabili; e che la normativa non preveda che siano affiancati da insegnanti di sostegno. Galli della Loggia confonde disabili e BES, ha letto un libro ma forse lo ha letto in fretta, è convinto che al massimo chi ha un insegnante di sostegno lo possa avere per 18 ore e indovinate: neanche questo è vero. Dopodiché ce ne sarebbe da discutere, su come cerchiamo di includere i disabili, i DSA, e i BES; su tutti gli errori che abbiamo fatto e che faremo; ma finché ne parla Galli della Loggia è come se impallasse l'obiettivo con lo spettacolo della sua insipienza.

Questa capra nana tibetana si è persa un grande allevatore?

Da altre parti fanno in un modo diverso, dice GdL – e ottengono risultati migliori in termini di inclusività? Non lo sa, del resto capirlo è difficile anche per gli specialisti. Se c'è tutta questa inclusione, borbotta, perché aumentano i casi di "body shaming"? Mah, se avessi mai studiato sociologia potresti ipotizzare che ciò accada per il solito motivo per cui quando si fa sensibilizzazione su un reato, aumentano le denunce relative a quel reato. Quando da bambino tentavano di strofinarmi i testicoli su un palo io non sapevo che si trattasse di molestie e non denunciavo nessuno. Oggi ci sono denunce, ma nessuno nella mia scuola prova a strofinarti su un palo, non sanno neanche come si fa: e appena ci provano, gli spieghi che ai vigili la cosa interessa e che potrebbero parlarne ai loro genitori, e la smettono. Secondo me si sta meglio oggi, poi per carità servirebbero statistiche serie, io non le trovo. In Francia spendono molto più per queste cose, e malgrado questo ogni tanto una banlieue va a fuoco. In Italia mi aspettavo che succedesse verso il 2000, credevo che patissimo il solito ritardo verso un Paese che percepisco come più civile e organizzato, ma a quanto pare no. Non abbiamo il problema delle pistole come negli USA e nemmeno un grandissimo problema di coltelli come in UK. Non mi azzarderei a dire che siamo meno razzisti e più inclusivi, ma non siamo per ora la peggiore scuola che può capitare a chi ha problemi sociali, educativi o linguistici.

Galli della Loggia è convinto che il sistema non funzioni – il che potrebbe anche essere vero, è la famosa storia dell'orologio rotto, e come purtroppo è ormai di prammatica si lamenta perché qualcuno gli sta dando del nazista. Sarà successo, su internet a cercare bene qualcuno che ti dia del nazista lo trovi sempre (io poi ho qualche riserva sull'opportunità di spianare Gaza, immaginate, ormai son Mengele redivivo). Ma la maggior parte dei commentatori gli stanno semplicemente facendo notare che rinunciare all'inclusività, che era uno dei fiori all'occhiello del sistema educativo nazionale, non può che essere un progetto reazionario. Com'è evidente anche solo dal fatto che un opinionista di area liberale scriva di questi problemi per quattro fitte colonne e non tocchi neanche di striscio l'aspetto economico – come se non avesse capito, alla fine, che è un problema di soldi. O davvero non l'ha capito? Non ci credo. Non posso credere ai liberali che non parlano di economia. 

GdL nota che nella maggior parte dei casi l'insegnante di sostegno non ha "preparazione specifica" e non vede l'ora di accedere ad altre classi di concorso. Da ciò non si può che dedurre che la carriera dell'insegnante di sostegno è poco appetibile. E lo sarà finché non ci investiremo di più. Tutto qui. È veramente tutto qui. Magari non sei un nazista, ma almeno cerca di essere un liberale e scrivi: l'inclusività ha dei costi sociali che non ci vogliamo più permettere. Abbiamo altre priorità. Non da oggi, non da ieri. L'altro ieri, diciamo intorno al 2009, la scuola pubblica è stata macellata da un governo che doveva rastrellare fondi e che l'ha messa in ginocchio; e non si è più ripresa. La società che aveva espresso l'esigenza di una scuola inclusiva esiste ancora, anzi quell'esigenza la sente sempre di più; dislessia e discalculia vengono diagnosticate sempre più spesso, il che è un bene perché prima si rovinavano infanzie a casaccio; i ragazzi coi cognomi non italiani aumentano geometricamente e in certe realtà sono ormai la maggioranza; però i fondi per farla davvero, quella scuola inclusiva, quelli se li è bruciati Tremonti – e nessun governo successivo li ha recuperati. 

La scuola ormai si sta mangiando da sola, sta divorando i suoi organi ancora sani per far funzionare altri organi che non sempre servono a molto (ad es. l'Invalsi, che spende milioni ogni anno per dirci cose che ci dice già l'Ocse-Pisa). Prima o poi si arriverà a un punto di non ritorno e viene il sospetto che Galli della Loggia serva a questo: a pungolare il pachiderma per vedere se è ancora vivo o se altre specie necrofaghe possono cominciare a spolparlo. La scuola pubblica è stata ferita a morte; ha continuato ad andare avanti, per inerzia o per tigna; ma ora? Non ce la fa, garrisce l'avvoltoio, non ce la può fare. Che qualcuno lo prenda come un accigliato segnale d'allarme è abbastanza buffo. No, è il segnale che i privatizzatori del settore educativo possono farsi avanti, spolpare il personale e le competenze, e lasciare gli scarti a qualcuno che se ne occuperà a bassissimo costo. I bianchi borghesi avranno una scuola più pulita, magari con gli armadietti americani e i laboratori finlandesi; i poveracci con la pelle scura si radicalizzeranno un po' più spesso come accade in altri Paesi che consideriamo più civili; i disabili e i problematici finiranno in qualche Cottolengo che riporterà al centro della vita sociale le istituzioni cattoliche. Amen.

lunedì 22 gennaio 2024

I classici sono tossici?


(Premessa sul Post è comparsa una Storia tossica della letteratura italiana, che malgrado il titolo intrigante non è scritta da un tossico appassionato di letteratura italiana, e nemmeno è intossicante in sé. Si tratta invece di un atto di accusa contro la letteratura italiana per come la presenterebbero le antologie scolastiche, dove "il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie" sarebbero "una costante". È una lettura molto avvilente per chi quelle antologie le ha lette davvero, alcune le ha amate, molte ne ha usate, insomma per chi a scuola ci lavora. Ma da che pulpito parlo? Ecco, qua sotto spiego da che pulpito; si vedrà che non è un granché).

Forse perché cresciuto in una casa dove libri ce n'erano, non tantissimi e non buonissimi, ma nemmeno così pochi, ho sin dall'inizio concepito la lettura come una sfida: i grandi non credono che io sia in grado di leggere 'sti tomazzi, io invece ci provo e (mica sempre) ci riesco. Con gli anni mi è rimasta questa tensione agonistica, per cui se devo scegliere cosa leggere, mediamente cerco ancora tomazzi che rappresentino una sfida, quelle robe che restano incomplete anche dopo duemila pagine, roba così. (Da giovane mi sono laureato in letteratura su un tizio che non sapeva letteralmente scrivere, per cui si arrangiava con le macchie d'inchiostro). Per contro gli scrittori viventi non mi dicono quasi mai molto: le rare volte in cui ci incoccio mi sale appunto quella tensione agonistica per cui una voce nel mio cervello comincia a dirmi: ah ma questo l'avrei scritto pure io (col terribile corollario: e perché non l'ho scritto?) e mi guasta un po' il piacere della lettura, ragion per cui preferisco continuare a leggere libri freak o non leggere proprio. 

C'è il problema che nel frattempo mi sono trovato un posto nella scuola pubblica, di modo che il mio preciso mestiere sarebbe convincere i ragazzini a leggere: la mia missione, anche. Questo credo sia il mio più grande imbarazzo professionale: non il fatto che sono un disastro a compilare il registro o che ci metto secoli a correggere i compiti e millenni a consegnare i programmi; tutta questa disastrosità scompare di fronte al fatto che dovrei far leggere i miei studenti e mah, probabilmente sono la persona sbagliata per farlo. 

C'è da dire che nulla è così cambiato rispetto a quando ero giovane io come la letteratura per ragazzi; negli anni Settanta/Ottanta c'erano classici consolidati che erano parte del paesaggio, Verne, Stevenson, Dickens, Twain, coi quali mi ero trovato abbastanza bene proprio perché li avevo affrontati presto con quella famosa tensione agonistica che diventava indispensabile quando si cercava di capire storie ambientate ancora nell'Ottocento senza ancora avere tanti strumenti culturali. E per quanto ogni tanto io ci provi, a suggerire libri così, mi rendo conto che tutto è troppo cambiato. 

La letteratura per ragazzi è esplosa, dagli anni Novanta in poi; è il segmento di mercato più interessante e funziona in un modo tutto suo che faccio fatica a capire. Quel che ho capito è che il fatto stesso che la scuola sproni gli studenti a leggere ha prodotto un vero e proprio sottogenere di libri fatti apposta per essere consigliati dagli insegnanti. Ce n'è per tutti i gusti e per tutti i problemi: se vuoi parlare di bullismo c'è uno, dieci, centomila libri sul bullismo (a occhio ne vedo uno nuovo ogni volta che passo in libreria), se vuoi parlare di mafia c'è il libro che spiega ai giovani la mafia, la disabilità, la shoah, il terrorismo, la guerra in Ucraina, persino quell'altra guerra che Zuck preferirebbe non nominassi, ecc. Tutta roba che dovrei consigliare, e a volte lo faccio; purché non mi si chieda di leggerne. Non è il mio genere, ecco, ogni volta che sfoglio trovo tutto un po' troppo semplice, ma è semplice per me e ormai si è assodato che io sono il tipo di lettore sbagliato. In generale mi fido dei colleghi. 

Ciò detto, ho notato che alla fine anche a me capita di discutere in classe di bullismo, di mafia, di disabilità, di terrorismo e di tutto il resto; e mi capita soprattutto nell'ora più strana della settimana, l'ora di letteratura. Un'ora che alle medie non è previsto che ci sia, alcuni colleghi legittimamente ne fanno a meno (altri invece ne fanno due o tre a settimana, sì, facciamo un po' quel che ci pare). È comunque prevista da tutti i manuali scolastici, che ormai la mettono in un volume a parte, e come molte cose previste dai manuali scolastici ha sorpassato quasi indenne tutte le riforme dal '68 in poi; nel primo anno c'è ancora la mitologia, Omero, Virgilio, i cicli carolingi e bretoni; dal secondo ci si cimenta con la storia della letteratura italiana senza risparmiarsi nemmeno Sao ke kelle terre; si legge un po' di Dante, avendo tempo pure Petrarca e un molto ripulito Boccaccio. Nel terzo anno si arriva ai giorni nostri passando dai Promessi Sposi – tutto questo con gran scorno dei colleghi delle superiori che continuano a ripeterci di lasciar perdere, non ne vale la pena, poi arrivano che odiano già Dante e i Promessi Sposi, vogliamo essere noi a far loro odiare Dante e i Promessi Sposi, sennò che ci stiamo a fare. Devo dire che li capisco; ogni tanto penso a mio padre che mollò l'Avviamento perché c'era un maestro che insisteva col latino e a Sozzigalli (MO), nel mentre che cominciava a ragionare col fratello di mettere su un'officina di autoriparazioni, mio padre non vedeva l'esigenza di perfezionare le declinazioni – a volte mi sembra di essere quel maestro, che perde tempo a far recitare Dante ad alunni che stanno riflettendo se valga la pena di mettere su un'analoga autofficina quando tornano in Pakistan. Non credo che l'insegnamento della letteratura sia indispensabile nella scuola secondaria di primo grado; anch'io ricordo di averne fatta pochissima e forse è il motivo per cui in seguito la letteratura italiana mi sembrò un terreno vergine e appassionante; l'unico motivo per cui insisto a farla è che sennò qualche genitore si lamenterebbe – no, aspetta, allora ci sono due motivi; il secondo motivo per cui insisto a farla è che è meglio insegnare una cosa che conosci che ti piace che altre cose che non conosci molto o che t'annoiano – no, aspetta, allora di motivi ce ne sono tre; il terzo motivo è che l'ora di letteratura è quella in cui alla fine riusciamo a parlare di qualsiasi cosa, compreso il problema del giorno. 


Ovvero: c'è stato quel momento in cui si parlava dappertutto di violenza di genere, e non è che si potesse far finta di niente – anche perché dal ministero ci chiedevano il Minuto di Silenzio – e a quel punto probabilmente avrei dovuto cercare un brano nell'antologia che parlasse di violenza di genere, in quel modo semplice e piano in cui ne parlano tutti i testi di quell'antologia che mi fa morire di noia; e se non c'era (in effetti non ne ho trovato) avrei potuto cercare qualche brano in uno dei libri per ragazzi di adesso, e fotocopiarlo, senonché ci hanno chiuso la fotocopiatrice del plesso (giuro), per cui meglio di no. Mentre ci riflettevo, è arrivata l'ora di letteratura in cui di legge di Paolo e Francesca (cioè del femminicidio più famoso della letteratura italiana, e di un fatto di cronaca che aveva intrigato tutte le corti del Duecento) e così abbiamo avuto l'occasione di ragionare su quel verso tremendo, Amor che a nullo amato amar perdona, e sull'idea terribile che sottende: la pretesa che l'Amore del cuore eletto debba essere necessariamente contraccambiato; abbiamo riflettuto sul fatto che questa idea, che rifletteva il modo di sentire della sua generazione, Dante la mette in bocca a un'anima dannata che sta cercando inutilmente di alleviare la sua colpa, o di spostarla su qualcun altro, proprio come tu che appena ti faccio notare che non si lanciano le palline di gomma mi punti il dito sul compagno che te l'ha appena lanciata e fossi io Dante vi manderei anche voi due all'inferno assieme, abbracciati per l'eternità a lanciarvi quella pallina, e vediamo se la troviamo divertente. 

Abbiamo parlato di possessività, abbiamo notato quanto Dante sia imbarazzato e sgomento durante l'episodio, perché l'altro colpevole su cui punta il dito Francesca è proprio la Letteratura, e Dante da giovane leggeva e scriveva precisamente le cose che hanno portato Francesca a conoscere i dubbiosi disiri; insomma come oggi si dà la colpa alla trap, nel Duecento si dava la colpa al Dolce Stilnovo e il primo ad ammettere che qualche colpa l'arte potrebbe avercela è proprio Dante Alighieri, Francesca è un rimorso che morsica al punto che non gli resta che svenire. E poi ovviamente abbiamo parlato di quanto ancora oggi sia forte questa idea della possessività – se io ti amo devi riamarmi, prima o poi lo farai – e di quanto alligni in noi stessi. Ma anche del fatto che oggi nessuno ti manderebbe all'inferno per un bacio o poco più, e che alla fine chi uccide 'per amore' Dante lo manda in un luogo assai più freddo e terribile dell'inferno (Caina attende chi a vita ci spense): ovvero, nel Trecento questo poeta aveva sulla questione idee più avanzate di quelle che avevamo fino a una generazione fa, quando a un marito che uccide per corna ancora si riconoscevano le attenuanti 'd'onore'. 

Abbiamo parlato di tutto questo leggendo una ventina di versi di un poeta di sette secoli fa, la letteratura italiana ci consente questo. Dante, Boccaccio, Manzoni, Leopardi, sono autori che non mi stanco di rileggere in classe e ogni volta mi sembra di trovarci qualcosa di nuovo, mi sembra di trovare un parola interessante sul problema di cui stanno parlando tutti. Probabilmente è un'illusione scaturita dalla mia attitudine di lettore intensivo: leggo pochi testi, ma li leggo tanto e alla fine mi sembra di trovarci di tutto, una pareidolia culturale. Probabilmente qualsiasi testo abbastanza complesso è in grado di illuderci della stessa cosa; già con le Avventure di Pinocchio le possibilità sembrano infinite. E però ci sono anche altri libri che queste possibilità non ce le danno; ne ho visti in giro, non saprei definirli, ma ho la sensazione che molti di questi libri sia possibile trovarli negli scaffali della letteratura per ragazzi; libri che ti parlano in modo molto semplice di mafia, ma di mafia e basta; di guerra, ma solo di una guerra; di bullismo, ma come se fosse l'unico problema al mondo; di terrorismo, ma appena cambia il terrorismo non ti dicono più niente di utile, sono già da buttare via. Magari mi sbaglio, magari la mia diffidenza è basata soltanto sulla stanchezza... (continua)

domenica 21 gennaio 2024

Agnese non si guarda (ma succede)

21 gennaio: Sant'Agnese, vergine ma patrona dei bordelli (IV secolo).

Dominichino, Martirio di Sant'Agnese
(In effetti è un po' un bordello).

Prete e prostituta, la coppia impossibile: non possono toccarsi, come Gesù e Maddalena, eppure si completano. Entrambi sono sterili (nel medioevo si credeva – si fingeva di credere - che la specializzazione professionale della prostituta la rendesse incapace di generare); uno raccoglie le confessioni, l'altra gli sfoghi. Entrambi custodiscono la Regola su cui è posata da secoli la civiltà cattolica romana, e che si riassume in una sola magica parola (quella che faceva uscire dai gangheri Lutero): Indulgenza. La Prostituta gestisce il peccato, il Prete amministra il perdono. Siccome ci guadagnano entrambi, il minimo è che si coprano a vicenda...

Ci ho messo un po' per trovare la patrona delle sex worker. Non sono cose che si raccontano al primo tizio che si improvvisa agiografo; serve un minimo di apprendistato, saper leggere tra le righe. Agnese di Roma, che andò incontro al suo martirio giovanissima per sua propria volontà, è considerata patrona "delle vergini, delle fidanzate, dei giardinieri, dei tricologi e dell'Ordine della Santissima Trinità", perlomeno dall'Ente Turismo di Reggio Calabria. Secondo Famiglia Cristiana è protettrice "della castità, dei giardinieri, degli ortolani". All'Aquila però hanno l'aria di sapere qualcosa in più, anche se col tempo hanno voluto dimenticarsene. Il 21 gennaio per loro è la festa delle malelingue. Perché le maldicenze avessero bisogno di una festa, sin dal Medioevo, non è tanto chiaro, ma qua e là si ammette che in un primo momento le malelingue fossero sostanzialmente le malmaritate: donne ai margini della società, talvolta linguacciute ma soprattutto scontente di come la società, dopo averle sfruttate, le manteneva ai margini. Il termine indicava tutte le donne che non si potevano considerare né mogli fedeli né vedove né suore, e in molti casi diventava un eufemismo per ex prostitute. Gente che conosceva i segreti di tutti i maschi in città, e – attraverso i maschi – anche di tutte le signore. È plausibile che la collettività si aspettasse da loro un minimo di riserbo, e lo comprasse in cambio di vitto e alloggio, presso l'ospedale e monastero di Sant'Agnese. In occasione però della festa della santa, le malmaritate potevano uscire, magari imbattersi in qualche vecchia conoscenza: e parlarne male. Ma perché di tutte le sante proprio la candida Agnese, martire a tredici anni, molto spesso raffigurata in compagnia di un tenero agnellino? 

I siti locali stanno cominciando a usare le AI,
già trovare qualcosa di sensato su Internet era difficile prima, ma ora

Prudenzio racconta che prima di farla sgozzare in quanto rea confessa di cristianesimo, il crudele giudice aveva stabilito che Agnese fosse esposta nuda fuori da un bordello presso l'Agone (stadio) di Domiziano. Lo stadio oggi è piazza Navona, e dove stava il bordello sorge la chiesa, appunto, di Sant'Agnese in Agone. Scendendo nella cripta potete leggerlo coi vostri occhi: Ingressa agnes hunc turpitudinis locum angelum domini praeparatum invenit. Quando Agnese entrò in questo luogo di turpitudine, trovò l'angelo mandato da Dio. L'angelo non veniva a salvarle la vita, ma la verginità. I frequentatori del postribolo non avevano il coraggio di guardarla: Sant'Ambrogio scrive chiaramente che Agnese era minorenne. L'unico uomo che osa rivolgerle un'occhiata viene abbagliato dall'angelo come un fulmine e cade stecchito. Forse è già morto: senonché Agnese, pregando il Signore, ottiene gli sia restituita la vista e la vita. 

In seguito Agnese viene messa al rogo, anche stavolta nuda; ma le fiamme si aprono e i capelli le crescono per nasconderne la nudità (ecco perché è patrona dei tricologi, e si invoca più in generale quando ci si pettina). Infine viene sgozzata da un legionario, perché in un modo o nell'altro per essere una giovane martire doveva morire, e un supplizio simile a quello riservato agli agnelli pasquali per questa ragazzina sembrava il finale più congruo. Ai genitori appare poi consolatrice in sogno proprio con un agnello in grembo – ma torniamo un attimo al postribolo. Che il primo miracolo di Agnese, la vergine per eccellenza (sin dalla radice greca del nome, Haghne, purezza), sia rivolto a un guardone che non riesce a impedirsi di dare un'occhiatina, è già indizio di quella doppiezza che ha caratterizzato la sua carriera di santa. 

Sant'Agnese in gloria (Nicolò Stefano Traverso, a Nostra Signora del Carmine, Genova)

Agnese, vergine purissima, in un bordello però c'era stata, e tanto bastava per considerarla patrona ufficiosa delle professioniste. Anche la versione tardomedievale della sua leggenda, fissata da un Iacopo di Varazze che quella sera era in vena, prevede che Agnese faccia risorgere un aspirante cliente, ragazzo scapestrato ma di buona famiglia che si era già invaghito di lei. Iacopo, lo si intuisce, ha in mente le brigate dei giovinastri dei suoi tempi; da buon vescovo ci tiene a eliminare ogni ambiguità, per cui Agnese ottiene la resurrezione del ragazzo soltanto perché è costretta dal padre di quest'ultimo, un prefetto; e il figlio del prefetto, una volta risorto, rinnega subito gli dei e dichiara la sua fede in Cristo. A me piace però la versione di Prudenzio, in cui il tizio è semplicemente un tale che non resiste e dà un'occhiata, e la santa una ragazzina che domanda a Dio: vabbe', ma cos'avrà poi fatto di male? Mi ha guardata, voglio dire, può succedere.

sabato 20 gennaio 2024

I giovani dinosauri



I video che Tsahal sta lasciando filtrare al pubblico internazionale sono qualcosa di incredibile, e rispondono a una domanda che forse non mi ero ancora fatto: cosa succederebbe ai nostri figli se improvvisamente la guerra scoppiasse, adesso, e il prossimo balletto di Tictoc lo girassero al fronte. C'è un senso di impunità, d'accordo, un'arroganza istituzionalizzata spacciata ormai per carattere nazionale. Ma soprattutto c'è proprio l'ignoranza dei vent'anni, li avete avuti tutti vent'anni. Ringraziate che nessuno in quel momento vi ha convinto della necessità di partecipare a un genocidio. Può darsi che nel caso vi sareste sparati anche voi una posa di dinosauro; magari è un modo per non prendersi sul serio, o fingere che è un gioco, o non impazzire, perlomeno non subito, non del tutto; diciamo impazzire con criterio. Può persino darsi che nei ranghi ci sia qualche psicologo che li consiglia in tal senso. (Ho sempre questo timore che Gaza ci stia mostrando il nostro futuro).

giovedì 18 gennaio 2024

Il vescovo e sua moglie

18 gennaio: San Volusiano, vescovo ammogliato di Tours (432-507)

Su Volusiano, o meglio su sua moglie, gira da secoli una diceria che con questo piccolo pezzo vorrei contribuire a smontare: non c'è infatti nessun vero motivo per sostenere che la moglie fosse bisbetica e gli rendesse la vita difficile. È il classico luogo comune da barzelletta, che è rimasto appiccicato alla coppia, perché? Non è così difficile capire il perché. Visto che era impossibile negare che Volusiano fosse ammogliato, i cronisti ritenevano giusto lasciar intendere ai lettori che il matrimonio non fosse che una fonte di fastidio; l'idea di un prelato felicemente sposato infastidiva, soprattutto dopo che la Chiesa cominciò a insistere sul celibato ecclesiastico (ma ci sarebbero voluti altri cinque secoli). Ai tempi di Volusiano, la moglie di un vescovo non era una figura così rara. Il secondo concilio di Cartagine tollerava esplicitamente la nomina di vescovi e papi coniugati, purché osservassero la continenza. 

Il mancato celibato era spesso indizio di vocazioni tardive, e in effetti dalla corrispondenza con l'amico Sidonio Apollinare abbiamo la sensazione che Volusiano abbia preso i voti abbastanza tardi, dopo una giovinezza passata sostanzialmente a godersi il patrimonio famigliare. La vocazione pastorale, più che a una crisi esistenziale, potrebbe essere stata causata dal fatto che si stava liberando un posto da vescovo proprio a Tours. Il predecessore di Volusiano era suo zio, Perpetuo; così come il predecessore di Perpetuo era stato suo zio, Eustachio. Insomma la diocesi era un'eredità famigliare, che però piomba sulle spalle di Volusiano proprio nel momento più difficile: l'Impero Romano d'Occidente è caduto, la Gallia centrale è contesa tra Visigoti e Franchi. Siccome i Visigoti di Alarico II sono cristiani di confessione ariana, e i Franchi di Clodoveo si sono appena convertiti al cristianesimo niceno, è anche una guerra di religione, e il seggio di Volusiano (vescovo niceno in una zona controllata dai Visigoti) non è il più comodo. Difatti viene esiliato a Tolosa, e dopo la sconfitta di Vouillé (in cui Alarico sarebbe stato ucciso dallo stesso Clodoveo) deportato nella Spagna visigota. Perlomeno così scrive lo storico concittadino, Gregorio, mentre per il Martirologio romano Volusiano è decapitato dai Visigoti a Pamiers, sul lato ancora francese dei Pirenei: la sua testa sarebbe conservata nella cattedrale di Foix. Non è chiaro cosa sia successo alla moglie. 

Che quest'ultima avesse un carattere bisbetico, i cronisti lo deducono unicamente (e arbitrariamente) da una lettera inviata da un collega, Ruricio di Limoges. Volusiano probabilmente aveva condiviso qualche preoccupazione sulla sua situazione di vescovo del credo sbagliato nella città sbagliata. Ruricio gli risponde che "non deve temere il nemico da fuori chi ne ha già uno in casa". Sembra una neanche troppo velata esortazione a non temere i Franchi: il vero nemico ce l'ha già in casa (e in effetti la testa gliel'hanno tagliata i Visigoti). Nei secoli però ha preso forma questa diceria per cui Ruricio stesse alludendo alla moglie di Volusiano e al brutto carattere di lei. Ora, che il vescovo di Limoges rispondesse alle preoccupazioni del vescovo di Tours su un'invasione scrivendogli: preoccupati piuttosto della nemica che ti trovi in casa, ecco, lo trovo abbastanza improbabile. 

Il celibato per i sacerdoti sarebbe stato imposto dalla Chiesa d'Occidente solo nel XI secolo, in seno alla lunga riforma che per comodità chiamiamo gregoriana. Una riforma che ai tempi incontrò il favore di gran parte dei fedeli, proprio perché andava a colpire gli interessi delle grandi famiglie che continuavano a ereditare vescovadi e parrocchie come fossero feudi. Che il celibato non fosse già allora una scelta di vita facile lo dimostra il fatto che il primo dossier sugli abusi sessuali del clero sia stato compilato proprio nello stesso periodo. Un probabile effetto collaterale fu la selezione dei giovani che non si sentivano particolarmente attirati dal matrimonio e in generale dal sesso femminile: la repulsione nei confronti di quest'ultimo era spesso considerata il segno di una chiamata al sacerdozio.  

Oggi la situazione è molto diversa: la Chiesa cattolica continua a patire una crisi di vocazione che presto o tardi la costringerà a rimuovere il celibato, o più probabilmente a conferire più importanza alla figura dei diaconi, che questo obbligo non l'hanno mai avuto. Insomma non è detto che rivedremo mai la moglie di un vescovo – ma la moglie di un diacono importante, quella sì. E soprattutto non ci sono seri impedimenti storici o scritturali alla nomina di diaconesse. 

domenica 14 gennaio 2024

Verso Rephidim

Gennaio è sempre il mese più duro, e il riscaldamento globale a quanto pare non aiuta. Mi rendo conto abbastanza tardi di aver cresciuto, negli anni della pandemia, un germoglio di speranza che le guerre degli ultimi mesi hanno seccato. In una situazione di emergenza avevo visto persone di ogni genere e fede approdare su un terreno comune: accettare che esisteva un problema e adottare le misure suggerite dalla comunità scientifica per contenerlo e risolverlo. Ho visto capi del governo grillini rinnegare i novax, ho visto liberali chiedere i vaccini obbligatori e gratuiti, ho visto Big Pharma concederli. Chi rifiutava tutto questo, rifiutava la realtà condivisa e quindi oggettiva. Non è che rimpiango gli anni della mascherina, ma l'oggettività sì, molto. 

Ora vivo in mondi separati come gli universi cinematici. Twitter, il tanto bistrattato Twitter, acquistato da un ereditiere sudafricano che appena glielo chiedono sospende gli account filopalestinesi, per paradosso e per la prima volta è diventato il posto che frequento più volentieri, come una piazza di gente che potrebbe essere caricata da un momento all'altro e proprio per questo non ha tempo da perdere. Si parla della Corte di giustizia dell'Aja, si depreca l'arroganza imperialista di chi bombarda lo Yemen (e intanto interrompe i rifornimenti all'Ucraina). Su Facebook invece sono tutti preoccupati perché la Cortellesi ha parlato di Biancaneve e a quanto pare ne ha parlato in termini irriguardosi (cinquantenni che piagnucolano Non Toglieteci le Fiabe), non lo so, non riesco a interessarmi al problema, sarà un problema mio? Sui quotidiani italiani, se vinco il fastidio di aprirli, trovo riferimenti all'orrore della guerra, ma datati ancora al sette ottobre dell'anno scorso che per carità, è stato un giorno terribile: non dico che sia passato molto tempo, ma sono morte altre ventimila persone (più di cento giornalisti) che sembrano non contare. 

Gennaio è il mese più difficile: mi ricorda che esiste un futuro e che non c'è un motivo razionale per immaginarlo migliore, se niente intorno a me sta migliorando. Gli osservatori che dopo il 7 ottobre si sono calcati l'elmetto in testa per non vedere un genocidio, quando se lo toglieranno? Più passa il tempo e più quell'elmetto diventa complicato da sollevare. È sempre il complesso di Enrico IV: possiamo dire che la fatica con cui si accetta la realtà è direttamente proporzionale al tempo che si perde prima di accettarla. Si arriva a un punto X in cui la fatica è troppa e l'elmetto non si stacca più: chi si è ingannato per troppo tempo non ha nessun motivo – nemmeno razionale – per ammetterlo. Valeva per la pandemia, per il riscaldamento globale, e vale per Gaza, una trappola che gli israeliani si sono costruiti da soli, e nella quale nel momento X hanno dovuto cadere perché l'alternativa era ammettere un errore troppo grande. 


Sono al mondo da abbastanza tempo da ricordare una situazione simile – vent'anni fa, il dibattito sull'invasione dell'Iraq polarizzò un'opinione che si poteva ancora definire "pubblica". L'Esportazione della democrazia e le Armi di distruzione di massa divennero dogmi di fede: chi non ci credeva, un terrorista. Se è già successo, significa che a un certo punto è finito; ecco, è interessante, nessuno si ricorda davvero quando è finito. Credo che il clima sia cambiato intorno alle elezioni di midterm del 2006, una data che nessuno definisce storica: i Democratici ottennero per breve tempo la maggioranza al Congresso, Bush Jr cadde in disgrazia, le guerre al terrore non cessarono ma scivolarono sotto altri titoli in prima pagina, insomma la tensione si attenuò. Un po' di osservatori ebbe il tempo e lo spazio per alzare l'elmetto nella speranza che non sarebbero stati presi a pietrate. Non furono presi a pietrate. Oggi nei libri c'è scritto che l'Iraq non nascondeva armi di distruzione di massa, e che l'esportazione della democrazia fu un pretesto. Più di un milione di vittime sono morte, la maggior parte irachene e invano, ma l'oggettività si è in qualche modo salvata. Si salverà anche stavolta? Vorrei dire di sì, ma guardo fuori ed è gennaio. 

E non c'è più tempo. Il punto X si avvicina, se non è già alle nostre spalle. Chi ha distrutto la Striscia non può essere perdonato dal mondo che l'ha portato alla sbarra all'Aja; ne può perdonare sé stesso. Non ha alternativa che continuare a credere in quello che sta facendo, e siccome quello che sta facendo somiglia molto a un genocidio, i suoi amici non hanno alternativa che proporre di eliminare il termine dalle conversazioni. La guerra continuerà – nessuno prevede che cessi nei prossimi mesi, e gli elmetti resteranno molto ben calcati sulle teste di molte persone troppo leste a infilarli. Netanyahu, in teoria molto criticato in patria per le sue responsabilità nella crisi, sembra più saldo che mai, ma se anche dovesse cadere non si capisce come qualcun altro al suo posto potrebbe trarre Israele dal pasticcio senza che si veda di cosa si è sporcato le mani, e quanto. Al punto che davvero, nei loro panni un'escalation con l'Iran comincerebbe a sembrarmi una soluzione. Dopodiché dovremmo tutti accettare che da qualche anno è scoppiato un conflitto di dimensioni mondiali, il terzo da quando abbiamo cominciato a contarli. È pazzesco ritrovarsi a sperare nei nervi saldi degli iraniani, o a simpatizzare per gli Houthi che con la loro piccola pirateria stanno dando una lezione di diritto internazionale a maestri arroganti e incapaci. 

Nel frattempo fa sempre più caldo, le elezioni americane di novembre somigliano per ora a un salto nel vuoto, in fondo al quale è molto difficile immaginare che la situazione si calmi, che gli elmetti comincino ad allentarsi. Non dico che non voglio sperarci, ma oggettivamente non capisco perché non dovrebbe andare peggio di qui ai prossimi mesi, e questo nel medio termine coinvolge anche me. Per quanto ancora mi sarà consentito scrivere cose su Israele che mi sembrano ragionevoli, ma che in parlamento non sono difese da nessun parlamentare, che ormai non si possono leggere più in nessun quotidiano serio (ritrovarsi a leggere il Fatto, per me, è pure peggio che sperare negli ayatollah). Se tutti intorno a me si stanno radicalizzando, suppongo che da fuori l'unico radicalizzato sembri io. E non sono neanche l'unico, ma per quanto tempo ancora sarò tollerato? Ho passato anni a scrivere su piattaforme che ora sono in balia di milionari capricciosi e ricattabili che possono cancellarmi con un clic. Cosa ci sarà scritto nei libri tra qualche anno: magari quelle cose brutte che si raccontavano nel medioevo sugli eretici? che la gente come me inneggiava allo stupro etnico e pasteggiava a bambini. Certo, non sarà più un mio problema. Il pensiero mi dà comunque fastidio – chiedo scusa, è gennaio, è sempre stata dura per me.

venerdì 12 gennaio 2024

Il santo guappo

12 gennaio: San Bernardo di Corleone (1605-1667), spadaccino e poi frate cappuccino.

http://www.sanbernardodacorleone.org/tratti-di-storia.html

Uno le prova tutte, per rendere i Promessi Sposi interessanti in classe: io per esempio cercavo sempre di far notare che si tratta pur sempre di una storiaccia di mafia, con le gang armate che minacciano i poveretti mentre lo Stato è distratto o connivente. Quel che ancora non sapevo è che uno dei personaggi più interessanti – l'unico che nasce guappo e muore santo – è ispirato a un santo vero, nato, di tutti i posti del mondo, proprio a Corleone oggi in provincia di Palermo, nel 1605. 

All'inizio si chiamava Filippo Latino ed era il quinto figlio di un calzolaio. Scopre molto presto che le lame sono più interessanti di tacchi e tomaie: però questa abilità, acquisita forse dai soldati della guarnigione nei pressi, non la sfrutta per delinquere, ma la mette a disposizione della cittadinanza svolgendo la sua attività di "sciurtiere" (guardiano pubblico) in modi creativi. Ad esempio si traveste da mietitore per sorprendere e mettere in fuga i soldati della guarnigione spagnola che chiedevano il pizzo ai mietitori veri. A 19 anni ha già salvato una ragazza da un molestatore, qualcuno lo chiama la miglior lama di Sicilia: e questo, proprio come nei film western, richiama le teste calde, tra cui un certo Vito Canino da Palermo (forse assoldato da qualche altro facinoroso a cui lo sciurtiere aveva mozzato un dito). Dunque questo Vito se ne va in giro per Corleone dicendo che è venuto a sfidare Filippo. 

Filippo nell'occasione non sembra mostrare quella "caldizza ch'avia in mettiri manu a la spata quandu era provocatu", che sarà poi messa per iscritto al processo. Esita; forse si rende conto di trovarsi all'imbocco di una strada a senso unico: anche se vincesse il duello, poi ce ne sarebbe un altro, e un altro, e un altro, fino alla sconfitta. La carriera dello spadaccino del popolo non ha altri sbocchi che una morte violenta. Così, una volta sconfitto il palermitano (che resterà disabile), Filippo si rifugia nel convento di Caltanissetta. Come noterà Manzoni, è anche il sistema più pratico di evitare la giustizia secolare, o almeno di rallentarla. Filippo verrà ammesso nell'ordine dei Cappuccini solo sette anni più tardi, col nome di Bernardo. Per il resto della vita si dedicherà alle mansioni più umili della vita conventuale, in cucina e in infermeria, anche perché non imparerà mai a leggere (lo stesso Gesù gli sarebbe apparso per convincerlo a desistere da ogni tentativo in tal senso). Tra i miracoli piccoli e grandi che gli vengono attribuiti, uno è indicativo: la capacità di indovinare nell'espressione di chi gli passa vicino un desiderio di vendetta. Forse era un'abilità che aveva acquisito già da spadaccino, la capacità di riconoscere in quelli che lo sfidavano l'impulso assassino. 

Una cosa che forse attirò Manzoni è che Bernardo, pur rinunciando alla spada, non può rinnegare del tutto il carattere che lo ha portato a impugnarla: diversi episodi della sua vita lasciano capire che sotto al saio continuava a dibattersi un guappo, un tizio irruente che non riesce a tacere e che almeno una volta (dopo una rispostaccia data a un confratello) Bernardo avrebbe punito accostando alle labbra un tizzone ardente. Ai novizi che studiano per diventare sacerdoti promette di intercedere in alto, però in cambio esige un pizzo di almeno 15 messe; 30 nei casi più difficili ("D'accordo, fra Bernardo, purché siamo promossi, poi tutte le messe che vuoi"). Quando il convento è sconvolto da un'epidemia di influenza, e Bernardo sembra rimasto l'unico frate in grado di assistere i confratelli, per evitare il contagio si rivolge a San Francesco in un modo completamente originale: lo sequestra. Si infila la statuetta nel saio e lo minaccia: "Tu resti qui dentro finché non sono guarito". Quando capita un terremoto, invece di mettersi al sicuro si piazza davanti al tabernacolo e fa la voce grossa davanti al Santissimo: "Piano Signore, piano! Usateci misericordia! La voglio, questa grazia, la voglio!" Dio forse si spaventa un po', il terremoto si placa, Bernardo di Corleone è stato fatto santo.

mercoledì 10 gennaio 2024

Impiccato, sventrato e squartato

11 gennaio: Beato William Carter (1548-1584) tipografo impiccato, sventrato e squartato. 

L'incisione si riferisce a Thomas Anderson,
che subì lo stesso supplizio un secolo dopo.

Non so voi ma ogni volta che io leggo qualche Passione antica e m'imbatto in lunghe sequenze di torture – spesso inferte a un singolo martire – tendo a recepirle con un certo scetticismo, non solo nei confronti di un Dio che dovrebbe rifar crescere gli arti mutilati, ma anche al sadismo dei torturatori: che senso ha tutto questo scuoiare e sbudellare? Dai, è impossibile, secondo me se la raccontavano; tanto nessuno poteva più andare a controllare. Al di sopra delle differenze in materia di fede, torturatori e torturati avevano lo stesso interesse a riportare le testimonianze più sanguinose possibili: ai pagani premeva ribadire che la disobbedienza all'imperatore costava carissimo; per i cristiani, tutta questa violenza andava a maggior gloria di Dio (e del martiri che trionfavano eroicamente sul dolore fisico). Questo materiale andava poi incontro al gusto di chi ascoltava, leggeva e a volte trascriveva: per secoli le Passiones sono state la forma di intrattenimento più vicina ai film dell'orrore – ed è buffo pensare che venissero lette nei monasteri durante la mensa. Però insomma è una violenza soprattutto letteraria: qualcuno sarà pure stato torturato, ma molti meno, e in modi assai meno spettacolari. Così tendo a pensarla io, ma poi mi imbatto in un caso come quello di William Carter, e rabbrividisco.

William Carter è un tipografo inglese di epoca elisabettiana, che essendo rimasto fedele alla Chiesa cattolica nel 1584 decide di stampare clandestinamente il Trattato sullo scisma di Gregory Martin. Quest'ultimo, morto due anni prima in Francia, era stato il primo traduttore cattolico della Bibbia in lingua inglese. In un paragrafo del suo Trattato aveva espresso la fiducia nel fatto che "la speranza cattolica avrebbe trionfato, e la pia Giuditta trucidato Oloferne". Secondo le intenzioni dell'autore probabilmente Giuditta rappresentava la Chiesa cattolica e Oloferne quella anglicana; gli inquisitori inglesi, in una fase di forte tensione tra Inghilterra e Spagna, decidono di leggervi un invito a decapitare nel sonno la regina Elisabetta e quando riescono a identificare lo stampatore, lo condannano per alto tradimento, l'imputazione riservata a chi tenta di uccidere il monarca. 

Ora, sin dal Medioevo la pena prevista per i colpevoli di tentato regicidio era "l'impiccagione, lo sventramento e lo squartamento", castigo che viene impartito pubblicamente a Londra tra il 10 e l'11 gennaio del 1584. Non è una leggenda medievale, la prassi non si discosta da quella documentata in altri casi: lo stampatore fu effettivamente appeso al collo, ma con l'accortezza di evitare la frattura della spina dorsale e la morte per soffocamento: poi spostato su un tavolo e castrato nel modo più doloroso possibile (il pubblico doveva capire in qualsiasi momento che il condannato era ancora vivo e cosciente). Veniva quindi eviscerato ed era costretto a osservare il rogo delle sue interiora. Solo a quel punto poteva essere decapitato: seguiva lo squartamento, che significava davvero divisione del corpo in quattro parti, esposte poi in luoghi diversi della città a monito per i sudditi. Questo è davvero successo, non se l'è inventato un propagandista antipagano o un monaco un po' morboso: l'ultimo condannato a impiccagione, sventramento e squartamento cadde nel 1788, la pena sarebbe stata abolita solo un secolo dopo. Quanto a me, pare che credere nella violenza degli uomini mi costi più fatica che credere alla bontà di un Dio.