La Giornata della Memoria sta per
compiere vent’anni, almeno in Italia (fu istituita nel 2000), e la
sensazione è che qualcosa non abbia del tutto funzionato. Eppure non
si può negare l’impegno, sia sui media che a scuola. Prendiamo un
ragazzo nato nel 2000: quest’anno si diploma. Probabilmente ha
sentito parlare di campi di sterminio già alle scuole primarie. Di
film sull’argomento potrebbe averne visti più di un paio (alcuni
già due volte: La vita è bella, Schindler’s List).
E poi visite d’istruzione; incontri coi testimoni; libri
consigliati, libri imposti dagli insegnanti… un ragazzo che si
diploma quest’estate dovrebbe aver avuto molte più di un’occasione
per meditare “che questo è stato”, come scriveva Primo Levi. Un
ragazzo del genere dovrebbe anche aver sviluppato una certa
refrattarietà al negazionismo e al nazismo.
Un ragazzo, appunto, dovrebbe.
In occasione della Giornata 2019 un
istituto demoscopico ha scoperto che
solo il 2% tra i ragazzi italiani tra i 16 e i 18 anni hanno letto un
libro sulla Shoah. È un dato sconcertante,
soprattutto per chi in questi giorni sia passato in una libreria e
abbia dato un’occhiata all’angolo dei ragazzi (o young adult,
l’industria editoriale adesso li chiama così). Ogni anno escono
titoli nuovi sull’argomento: memoriali o fiction, romanzi o testi
illustrati per i più giovani. Il fenomeno è talmente percepibile
che se su amazon.it, se scrivo “libri shoah”, il navigatore
completa con “libri shoah per bambini”. Insomma l’editoria ci
crede molto, nella Giornata. Forse, viene il sospetto, ci crede
troppo; al punto da generare nei giovani lettori una reazione di
rigetto?
La Shoah-spiegata-ai-ragazzi ormai è
diventata un genere letterario (non necessariamente gradito ai
ragazzi, come del resto tutto ciò che viene imposto a scuola).
Prendiamo un testo di classe terza secondaria di primo grado, Storie
senza confini della Zanichelli. È un’antologia pensata per i
lettori di 13-14 anni. Alla Shoah dedica un intero capitolo,
intitolato “Il coraggio di ricordare”. Quasi un decimo di tutto
il volume. La prima lettura è presentata così: “Alex ha undici
anni e da alcuni mesi vive da solo nel ghetto ebraico di Varsavia”.
Il secondo è tratto dalla novelization di Arrivederci ragazzi
di Louis Malle: i protagonisti sono collegiali, hanno più o meno la
stessa età dei lettori. Seguono due lettere di Anna Frank,
praticamente il minimo sindacale. Un brano tratto da La valigia di
Hana, la storia (vera) di una coetanea di Anna deportata e uccisa
nel campo di Theresienstadt; e poi all’improvviso Primo Levi: la
fulminante poesia che introduce Se questo è un uomo. Dopo
venti pagine, è il primo testo in cui non si parla di ragazzini; il
primo in cui un adulto si rivolge ad adulti.
Ma è solo un breve intermezzo. Segue
un testo intitolato Quando Hitler rubò il coniglio rosa,
tratto dall’omonimo libro autobiografico di Judith Kerr. Il
coniglio del titolo è ovviamente un giocattolo dei protagonisti, che
hanno 9 e 12 anni e devono sacrificarlo durante la fuga e la
deportazione. Insomma, più che una Shoah-spiegata-ai-ragazzi, fin
qui è una Shoah vissuta dai ragazzi. I brani successivi
confermano il sospetto: ce n’è uno di Enzo Biagi su David
Rubinowicz. “un ragazzino di dodici anni, figlio di un lattaio
scomparso nell’autunno del 1942”; poi il brano più impegnativo
della sezione: di nuovo Primo Levi con una delle pagine più intense
della Tregua, quella dedicata al piccolo Hurbinek, “un
figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni
circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva
nome”. Levi è di gran lunga il miglior prosatore contenuto in
questa sezione dell’antologia; ma non sembra un caso che di tanti
passi suoi sia stato scelto uno dei pochi in cui al centro della
scena c’è un bambino.
La Shoah di cui si parla in questo
libro di testo assomiglia a una moderna crociata dei fanciulli;
sembra che nei campi siano finiti soltanto bambini o preadolescenti.
Gli unici adulti degni di rilievo sono genitori o fratelli.
La strategia dei curatori è chiara, e
rivela in controluce una concezione abbastanza pessimistica della
sensibilità di un tredicenne contemporaneo: l’unico modo che
avrebbe per comprendere l’orrore della Shoah è l’empatia nei
confronti delle vittime, ed esclusivamente le vittime che gli
somigliano, meglio ancora se coetanee o un po’ più giovani. Anche
lui avrebbe potuto essere Alex, Anna Frank, Hana, David Rubinowicz:
anche a lui i nazisti avrebbero potuto rubare il coniglio rosa. Che
poi a tredici anni i ragazzi siano ancora così attaccati alle
esperienze dell’infanzia, così poco interessati alle storie degli
adulti, è una nozione smentita da altre sezioni della stessa
antologia, per esempio quella dedicata alla narrativa di genere
avventuroso o alla fantascienza (i protagonisti preadolescenti,
viceversa, sembrano una caratteristica tipica del genere fantasy).
Per quel che mi capita di vedere dalla cattedra, il preadolescente di
oggi è ancora un ragazzo ansioso di crescere ed essere ammesso
finalmente nel mondo degli adulti: i bamboleggiamenti di certi autori
li allontanano. E allo stesso tempo, i conigli rosa funzionano:
inserire bambini sulla scena dello sterminio è garanzia di riuscita.
Uno dei film sulla Shoah di maggior successo negli ultimi anni (e più
richiesti dai ragazzi con cui lavoro) è Il bambino dal pigiama a
righe. Raccontando la storia di un bambino ad Auschwitz, Benigni
vinse un Oscar. Ma l’esempio più famoso resta probabilmente la
bambina di Schindler’s List. Nel bel mezzo di un monumentale
film sulla Shoah in un rigoroso bianco e nero, Stephen Spielberg
inserisce un cappuccetto rosso, un elemento di fiaba. È quasi
una strizzata d’occhio allo spettatore adulto: le scene che hai
visto fin qui non ti hanno commosso perché sono troppo affollate,
troppo drammatiche, troppo vere. Per farti scendere una lacrima ti
serve qualcosa di intimo: hai bisogno di fissarti su un solo
personaggio, anche soltanto per pochi secondi. Va bene, ecco qui una
bambina in un cappottino rosso, ora puoi commuoverti. Si commuove
anche il protagonista, un nazista sulla via della redenzione. Mi
domando se quello che abbiamo fatto, nelle scuole, dopo Schindler’s
list non sia una infinita ripetizione del trucco di Spielberg:
ecco un bambino che non aveva fatto niente ed è finito ad Auschwitz,
eccone un altro, eccone un altro ancora. Sempre con le migliori
intenzioni – del resto sono così pochi i trucchi che funzionano,
era destino che ne abusassimo.
Ma a proposito di Schindler’s
list, c’è un’altra bambina che mi torna spesso in mente,
un’apparizione ancora più fugace del cappottino rosso: è la
biondina col foulard, che mentre gli ebrei di Cracovia si incolonnano
a piedi per entrare nel ghetto, grida “Andate via, giudei”,
lanciando palle di fango. Tutto qui, di lei non sappiamo nient’altro.
È forse l’unica volta in tutto il film che l’antisemitismo non è
impersonificato da burocrati o ufficiali nazisti. Proprio per questo
è quella che più mi spaventa, e mi torna in mente anche a mesi di
distanza dalla Giornata, quando tv o social mi mettono davanti la
deriva razzista degli italiani e dei loro governanti. Capisco che a
Spielberg interessasse di più raffigurare le vittime del popolo
ebraico, e i nazisti loro carnefici, ma è un peccato che non ci
siano film altrettanto potenti che parlino di quella bambina: di cosa
l’ha portata a comportarsi così, di cosa l’ha trasformata in una
piccola aguzzina occasionale. Avremmo molto bisogno di film
del genere a scuola. La Giornata della Memoria che troviamo sui libri
di testo o in film dall’approccio volutamente ingenuo come La
vita e bella è consolatoria: ci spinge a riconoscerci nelle
vittime e a trovare assurda la violenza dei carnefici. Ma la Giornata
non è stata istituita per farci sentire buoni, ingenui e oppressi.
La Giornata serve a ricordarci che dentro di noi c’è anche la
possibilità di diventare oppressori, torturatori, assassini. Come
sono stati i nostri avi – anche i loro crimini dobbiamo ricordare,
e non soltanto l’angoscia delle vittime. Altrimenti c’è il
rischio che la Giornata diventi un momento di rimozione, il momento
in cui tutti noi diventiamo Alex, Anna Frank, Hana, David Rubinowicz,
e ci dimentichiamo di far parte di un popolo (di un'umanità) che
quei bambini li consegnava ai carnefici.
Wow, mi hai fatto male.
RispondiEliminaÈ terribilmente vero quello che dici. Da un lato ci chiediamo "cosa avrei fatto io se mi fossi trovato dalla parte dei tedeschi?", dall'altro voglio chiedermi ogni giorno cosa devo fare io di fronte alla deriva razzista che sta prendendo la contemporaneità.
Secondo me c'è un errore: la frase dovrebbe essere scritta così:
RispondiEliminaSolo il 2% tra i ragazzi italiani tra i 16 e i 18 anni hanno letto un libro.
Ottima riflessione
RispondiEliminaStanno uscendo molti libri, fumetti e altro per spiegare ai bambini anche sotto gli 8 anni. A scuola delle mie figlie, primaria, è un continuo. A me non piace, per più di un motivo.
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