I tre astensionismi
A poche ore dalla chiusura dei seggi non è sempre facile capire chi abbia vinto e chi no. Stavolta però c'è qualcuno che la sua vittoria la sta reclamando già da un giorno intero: l'Astensionista. Benché ancora lontano dalla conquista del 50% degli Aventi Diritto, l'astensionismo ha raggiunto in queste consultazioni un ragguardevole 33: un elettore su tre non ha votato. L'astensione, insomma, è il primo partito del Paese, una forza con la quale volenti o nolenti dobbiamo fare i conti. Il problema è che, come in tutti i partiti di massa, anche nell'Astensione ci sono diverse identità. Anche tu, che mi leggi e magari non sei andato a votare, che astensionista sei? In quale di queste categorie ti riconosci? (mi preme saperlo, perché alcuni astensionisti mi stanno sulle scatole, altri no).
L'astensionista mistico
Non sei un semplice non votante, tu sei un attivista dell'astensionismo. C'è gente che manco si è accorta che hanno aperto i seggi, tu al contrario sei stato tra i più attenti all'evolversi di una campagna elettorale che comunque ti faceva schifo sin dal primo giorno. Perché tu, alla politica, ci tieni da matti: è proprio per questo che non vai a votare. Così i politici lo capiranno, che lo spettacolo che stanno dando non è all'altezza del pubblico più evoluto. Tra tutte le schede che non sono entrate nell'urna, troveranno la tua non-scheda, astensionista mistico, e ne capiranno al volo il messaggio profondo: profondo ma abbastanza semplice da poter essere contenuto in un silenzio, qualcosa del tipo Adesso Basta, Andatevene Via Tutti. È facile riconoscere gli astensionisti mistici: in queste ore state festeggiando. Gli editoriali che escono stamattina su tutti i quotidiani, sulla Disaffezione della Gente per la Politica, sono dedicati a voi. Mentre aspettate che diventino gratuiti on line, vagolate sui social network festeggiando e teorizzando: quando saremo il 50% più uno, cosa accadrà? Già, cosa accadrà? Ve lo possiamo anche spiegare, visto che in altre nazioni già succede: un bel niente. Ci sarà qualche editoriale in più sulla Disaffezione della Gente, e dal giorno seguente chi ha vinto le elezioni governerà – sì, anche se è stato votato da una maggioranza della minoranza. Incredibile, vero? È che a voi vi han fatto male i referendum, vi han viziato. Vi siete convinti che qualsiasi baraccone democratico si può fermare nel modo più facile: stando a casa. No, non è così. Anche se ve ne andate, la partita continua. Mica potete portarvi via il pallone.
L'astensionista borghese
La vera novità di queste consultazioni. Forse il caos delle liste e la Santoriade hanno distolto l'attenzione da un fatto piuttosto inconsueto: su Corriere e sul Sole si sono levate voci favorevoli all'astensione. Un nome su tutti si è speso: Montezemolo. Ecco, questi non sono i soliti astensionisti da bar. Questa è gente seria o che almeno ci prova: manda messaggi precisi, sta poi a noi cercare di capirli. Io, lo ammetto, non sono così bravo a capire i borghesi, non è il mio mondo; in ogni caso la mia teoria è che Berlusconi abbia veramente disgustato i più. È un personaggio imbarazzante, va alle feste a Napoli, sorride alle minorenni e si fa fotografare con i villici, De Bortoli non può assolutamente consentire. Costoro, pur osteggiando ormai apertamente il berlusconismo, non possono appoggiare Bersani. Non funzionerebbe, anche se Bersani si spostasse ancora più al centro. Il Corriere non poteva far campagna per Bersani: avrebbe perso copie, senza che Bersani guadagnasse un solo voto. Bersani doveva far bene il suo mestiere, motivando un po' il suo bacino di elettori; nel frattempo Montezemolo e De Bortoli quel che potevano fare per demotivare il bacino berlusconiano lo avrebbero fatto. Purtroppo è stato poco. Ovvero: secondo me questi astensionisti borghesi non hanno vinto, non hanno convinto. Non sono stati decisivi al nord. Ora che è stato dimostrato che la quantità di elettori che il Corriere o Montezemolo sono capaci di alienare a Berlusconi è risibile, quest'ultimo potrà continuare a governare sudamericanamente, fregandosene dei richiami alla moderazione e alla sobrietà che vengono dalle cariatidi di via Solferino: del resto, insomma, chi se ne frega del Corriere quando possiedi Chi, Sorrisi e Panorama? La vera partita era quella, e secondo me l'ha vinta Berlusconi. Tanto per cambiare.
L'astensionista insicuro
Gli astensionisti mistici e gli astensionisti borghesi nei prossimi giorni canteranno vittoria, ma bluffano. Per essere rilevanti, hanno bisogno di fare massa col grosso dell'astensionismo italiano, rappresentato dagli insicuri. Quelli che a votare non ci vanno per dire “no”, ma per ribadire un più umile (ma anche più dignitoso) “non so”. Non sanno per chi votare, ma sul serio. Non si interessano di politica, è un reato? Non lo è. Non sanno chi c'è nelle liste; alcuni probabilmente non sanno nemmeno dove stanno le urne e gli orari di apertura. Oppure sanno tutte queste cose, ma non si fidano ugualmente del proprio giudizio: e allora cosa fanno? Lo affidano a noi, i votanti. Chi si astiene, da sempre, di rimette alle decisioni di chi non lo fa. La democrazia funziona più o meno così. Per questo non esiste, nella nostra Costituzione (e in nessuna altra, che io sappia) un quorum per le elezioni rappresentative. L'insicuro ha diritto a restare tale, ma la sua insicurezza non può pesare sul governo di una nazione.
Da quando è approdata al Suffragio Universale, l'Italia si vanta di avere una delle più alte affluenze alle urne al mondo, e quindi una delle più basse percentuali di astensionisti insicuri. Ognuno si vanta di quel che ha, ma bisogna riconoscere che il basso numero di insicuri non ha mai reso l'Italia una democrazia stabile e matura. È semplicemente successo che l'Italia del nord si trovasse sulla frontiera di un conflitto ideologico e geopolitico, Rossi contro Bianchi; due partiti massa che mobilitavano chierichetti e pionieri, pensionati e malati terminali. È semplicemente successo che l'Italia del centro-sud la compravendita di voti diventasse una delle poche risorse presenti sul territorio. Non siamo mai stati insicuri perché non ce lo potevamo permettere: dovevamo salvare il mondo, o trovare un posto fisso. L'insicurezza era un lusso del mondo libero: roba da americani. Poi un bel giorno gli americani si trovano in crisi e si rimettono a votare: ed ecco che Obama trionfa penetrando nella massa burrosa degli elettori indecisi con una lama retorica neanche troppo affilata. Noi invece arranchiamo, stiamo ancora scoprendo i brividi dell'incertezza.
Io me la prenderò sempre con gli astensionisti mistici e il loro preteso idealismo che si tiene lontano da qualsiasi attrito sulla realtà (un attrito diverso da quello del bambino che pesta i piedi); sfotterò garbatamente gli astensionisti borghesi – ammesso che esistano. Ma per gli astensionisti insicuri ho un grande rispetto. Quando voto, io voto anche per loro. Penso alle mie priorità, ma non dimentico le loro. E siccome vorrei che il mio voto fosse un po' più importante, sotto sotto preferirei che di astensionisti del genere ce ne fossero di più. Tanta gente che di politica non si cura, gente che preferisce le pagine dello sport o del gossip, ecco, se anche volessero disertare le urne un po' più spesso, io non ci troverei niente da dire. Ci vado io per voi, sul serio, vi potete fidare. Poi magari dopo dieci, vent'anni, trovate qualcuno che vi convince sul serio, e vi rifate vedere nei seggi: e a quel punto il baraccone democratico fa un salto di qualità, proprio come è successo con Obama. Ma in questa fase di berlusconismo crepuscolare, con la Lega che nel momento del trionfo non sa bene cosa promettere (il federalismo fiscale, sai che novità), col PD che deve ancora prender forma... sul serio, astenetevi, lasciate fare chi a questa robaccia si appassiona.
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martedì 30 marzo 2010
lunedì 29 marzo 2010
Il nostro carissimo Elmo
Ma voi ve lo immaginate, se questi leghisti... andassero al governo? Prima in qualche comune, poi nelle province e nelle regioni del Nord, e alla fine... a Roma? Impossibile? Ne siete così sicuri?
Ho una teoria#16, sull'Unita.it (si commenta di là).
Mio carissimo ELMO, (Elettore Medio Leghista Operaio), come stai?
In queste ore di incertezza elettorale non posso che pensare a te. Sono arrivati i primi dati sull'affluenza alle urne, e pare sia molto bassa. Questo potrebbe voler dire molte cose. Per esempio, che molti berlusconiani non credono più in Berlusconi. O che i Bersaniani (ma esistono?) non credono più in Bersani. Impossibile saperlo per ora.
Quello che invece è abbastanza certo è che tu, carissimo Elmo, stai per festeggiare. L'astensionismo di solito punisce i grandi partiti di governo che non riescono a mantenere le promesse (leggi PdL) o i grandi partiti di opposizione che non riescono ad attirare gli scontenti con alternative coerenti e convincenti (leggi PD). Ma se i due giganti crollano, a festeggiare sarai tu.
A meno che anche tu non abbia deciso di astenerti... ma via, questo è impossibile. Tu non sei davvero il tipo. Non sei uno di quelli che abboccano al primo venditore di fumo. Tu hai cose concrete per cui lottare. Il federalismo fiscale, per esempio. Quando finalmente sarete al potere, lo farete. Caccerete il milionario populista che ha vinto le elezioni promettendo di abolire la tassa più federale di tutte, l'ICI sulla prima casa e, maledizione, ha pure mantenuto la promessa. E quei treni che due anni fa portarono a nord i rifiuti di Napoli, quei treni non partiranno più. Chi fu a lasciarli passare? Stavolta la pagherà.
Caro Elmo, non credo che tu abbia bisogno di sollecitazioni per fare il tuo bravo dovere civico. Sono sicuro che tu sei stato tra i primi ad entrare nel seggio, per dare un messaggio chiaro, preciso, sicuro, da parte dei lavoratori del nord, contro tutti gli sprechi assurdi che macchinano a Roma. Il Po va in malora e quelli ancora pensano al Ponte sullo Stretto. Milano perde i suoi voli internazionali, e quelli ci tolgono i soldi dalle tasche per pagare i debiti di Alitalia e regalarla ai loro amici. I treni dei pendolari cascano a pezzi, e quelli pensano ad aumentare gli Eurostar, i Milano-Roma... ma la vedranno.
Prima o poi lo eleggerai, un Senatore o un Deputato, qualcuno che quell'Eurostar non lo prenderà per andare a far la bella vita. Salirà dritto a Montecitorio, e farà un mazzo a tutti quanti. Basta con gli sprechi! Chi ha regalato più di cento milioni di euro per ripianare il debito al Comune di Catania? E chi è questo Alemanno che per mantenere Roma ne chiede ogni anno cinquecento? Ogni volta che sei stanco e disilluso, carissimo Elmo, ricordati di loro. Ricordati che è per farla finita con gente come loro che tu hai cominciato a votare Lega, e che non smetterai, finché... finché non manderai a Roma, finalmente, un tuo Uomo.
Un Senatore Leghista, te lo immagini? Certo, i tempi non sembrano ancora maturi, eppure... come si fa a non sognarlo già, questo rude nordista che atterra su Roma Ladrona e la riduce a più miti consigli? A me soprattutto piace immaginarmelo mentre assalta il carrozzone che è la Rai, come un Dio del tuono, un muscoloso Thor che cala il suo martello sulle fiction in costume. Quanti denari buttati via, per ricostruzioni storiche idiote e propagandistiche! Basta! Se vogliono giocare alle principessine e ai cavalieri, che lo facciano coi soldi loro.
Caro Elmo, lo so, tu mi dai del sognatore – ma non sono il solo, e inoltre ho una teoria: ogni rivoluzione è stata un sogno, da piccola. Non resta che sognarla più forte, finché non si avveri. Sarà una questione di anni, forse di decenni, ma un giorno so che ce la farete. La Lega andrà al governo. E l'Italia (pardon, la Federazione Italiana) non sarà più la stessa.
In queste ore di incertezza elettorale non posso che pensare a te. Sono arrivati i primi dati sull'affluenza alle urne, e pare sia molto bassa. Questo potrebbe voler dire molte cose. Per esempio, che molti berlusconiani non credono più in Berlusconi. O che i Bersaniani (ma esistono?) non credono più in Bersani. Impossibile saperlo per ora.
Quello che invece è abbastanza certo è che tu, carissimo Elmo, stai per festeggiare. L'astensionismo di solito punisce i grandi partiti di governo che non riescono a mantenere le promesse (leggi PdL) o i grandi partiti di opposizione che non riescono ad attirare gli scontenti con alternative coerenti e convincenti (leggi PD). Ma se i due giganti crollano, a festeggiare sarai tu.
A meno che anche tu non abbia deciso di astenerti... ma via, questo è impossibile. Tu non sei davvero il tipo. Non sei uno di quelli che abboccano al primo venditore di fumo. Tu hai cose concrete per cui lottare. Il federalismo fiscale, per esempio. Quando finalmente sarete al potere, lo farete. Caccerete il milionario populista che ha vinto le elezioni promettendo di abolire la tassa più federale di tutte, l'ICI sulla prima casa e, maledizione, ha pure mantenuto la promessa. E quei treni che due anni fa portarono a nord i rifiuti di Napoli, quei treni non partiranno più. Chi fu a lasciarli passare? Stavolta la pagherà.
Caro Elmo, non credo che tu abbia bisogno di sollecitazioni per fare il tuo bravo dovere civico. Sono sicuro che tu sei stato tra i primi ad entrare nel seggio, per dare un messaggio chiaro, preciso, sicuro, da parte dei lavoratori del nord, contro tutti gli sprechi assurdi che macchinano a Roma. Il Po va in malora e quelli ancora pensano al Ponte sullo Stretto. Milano perde i suoi voli internazionali, e quelli ci tolgono i soldi dalle tasche per pagare i debiti di Alitalia e regalarla ai loro amici. I treni dei pendolari cascano a pezzi, e quelli pensano ad aumentare gli Eurostar, i Milano-Roma... ma la vedranno.
Prima o poi lo eleggerai, un Senatore o un Deputato, qualcuno che quell'Eurostar non lo prenderà per andare a far la bella vita. Salirà dritto a Montecitorio, e farà un mazzo a tutti quanti. Basta con gli sprechi! Chi ha regalato più di cento milioni di euro per ripianare il debito al Comune di Catania? E chi è questo Alemanno che per mantenere Roma ne chiede ogni anno cinquecento? Ogni volta che sei stanco e disilluso, carissimo Elmo, ricordati di loro. Ricordati che è per farla finita con gente come loro che tu hai cominciato a votare Lega, e che non smetterai, finché... finché non manderai a Roma, finalmente, un tuo Uomo.
Un Senatore Leghista, te lo immagini? Certo, i tempi non sembrano ancora maturi, eppure... come si fa a non sognarlo già, questo rude nordista che atterra su Roma Ladrona e la riduce a più miti consigli? A me soprattutto piace immaginarmelo mentre assalta il carrozzone che è la Rai, come un Dio del tuono, un muscoloso Thor che cala il suo martello sulle fiction in costume. Quanti denari buttati via, per ricostruzioni storiche idiote e propagandistiche! Basta! Se vogliono giocare alle principessine e ai cavalieri, che lo facciano coi soldi loro.
Caro Elmo, lo so, tu mi dai del sognatore – ma non sono il solo, e inoltre ho una teoria: ogni rivoluzione è stata un sogno, da piccola. Non resta che sognarla più forte, finché non si avveri. Sarà una questione di anni, forse di decenni, ma un giorno so che ce la farete. La Lega andrà al governo. E l'Italia (pardon, la Federazione Italiana) non sarà più la stessa.
giovedì 25 marzo 2010
Il rassegnatore
Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato.
Può effettivamente darsi che in un passato più o meno remoto io abbia ricevuto una formazione ideologica, e che la ostenti ancora con gli amici al bar, o in qualche blog che fa tanto alternativo, ma in classe no. Non si fa politica in classe. Neanche in cortile. Neanche nel parcheggio. Neanche a cento metri dal parcheggio. Una volta magari volevo cambiare il mondo, poi a un certo punto è come se il mondo mi abbia detto: Lascia Faccio Io! e abbia cominciato a restringersi, restringersi, al centro di tutto un bilocale più servizi, un unico posto fisso in tutto l'universo: la Cattedra. Ma è una sola! Aggrappati, aggrappati, tutto intorno è caos...
Scusate, non è niente.
Un po' di panico, poi passa.
Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato e non vorrei fare politica a scuola. Specie in tempo di elezioni, eh no. Io sono un pubblico ufficiale, credo nelle regole, insegno il rispetto per la Costituzione, finché si può, e se da domani si riparte con lo Statuto io insegnerò il rispetto per lo Statuto Albertino. E se dopodomani volete le XII tavole, perché no, viva i classici, ristudiamoci queste XII tavole. Sul serio, non è un problema. Volete che metta gli studenti non ariani in un banco a parte? Basta avvertire, mi mandate una circolare, io lo faccio. Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato. Sono tuttavia un po' preoccupato per questa cosa dei libri.
È successo che ieri non sono riuscito a entrare in Segreteria perché era ostruita da tre cataste di libri odorosi di tipografia (ah, l'odore della pressa). Si chiamano “Guida alla nuova scuola secondaria superiore”, e sono stati stampati dal Ministero dell'Istruzione. Sono da distribuire a tutti gli studenti di terza media, che l'anno prossimo vanno alle superiori. Dentro è spiegata per filo e per segno tutta la riforma Gelmini. Fantastico, no? Il Ministero che spiega la riforma ai ragazzi con un libro. Che è un regalo. Con dentro tanti schemi e disegnini. In quadricromia – certo, costa un po' di più, ma si tratta di informare sulle nuove scuole, vuoi fare economia su una cosa del genere? Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.
Quando sono riprese le lezioni in settembre ho spiegato ai miei studenti di terza che era un momento importante per loro, che dovevano scegliere la loro scuola, il loro futuro, era la prima volta che erano chiamati a una scelta del genere.
E loro: “Sì, vabbè. Quali sono le opzioni?”
E io: “Ehm... ancora non si sanno bene, anche perché c'è una riforma in corso, e quindi... può darsi che qualcosa cambi... comunque tra un po' arriverà un bel libretto che stampa tutti gli anni la Provincia, con tutte le scuole e tutti gli orari delle scuole, vedrete...”
A dicembre è arrivata una lettera della Provincia: Caro insegnante, si ricorda quel bel libretto che facevamo tutti gli anni per orientare gli studenti di terza? Ci hanno tagliato i fondi, non lo faremo più. Organizzavamo anche degli incontri. Non li organizzeremo più. In sostanza: si arrangi.
Nel frattempo in tv il mio ministro diceva che la Riforma era pronta. Gli studenti mi chiedevano: Allora, come saranno le scuole il prossimo anno? Io non lo sapevo. Bisogna aspettare che pubblichino la riforma, spiegavo. E loro: ma la Gelmini ha detto che è pronta. E io: sì, ma sul sito non c'è ancora niente, bisogna avere un po' di pazienza, comunque ho una buona notizia: il termine per presentare la domanda è posposto di un mese. Wow. Ma il mese passò in un soffio e la riforma non era ancora pronta. Però sui giornali la Gelmini diceva che era pronta. Ma sul sito non c'era niente. Solo un bel pdf colorato con dei quadri orari che forse erano definitivi e forse no. E il termine fu posposto a un altro mese.
E fu dicembre, e fu gennaio. Vennero i genitori a ritirare le pagelle, ci chiesero insomma, a che scuola superiore devono iscriverci i nostri figli? Perché non ce lo dite? Volete mantenere la suspense fino all'ultimo? “Eppure in tv hanno detto che”... noi non sapevamo cosa dire: non ci era ancora arrivato niente di definitivo. La riforma era sempre in discussione, sospesa da qualche parte tra Camera Senato Consiglio di Stato e quant'altro. Ma la faccia davanti a questo ritardo non ce la mettevano i deputati o i senatori o i consiglieri. Ce la mettevo io.
Alla fine recuperai il vecchio consiglio della Provincia e spiegai a genitori e ragazzi che era il caso di arrangiarsi: dare un'occhiata ai siti delle scuole, chiedere ad amici e conoscenti, fidarsi un po'. Non è proprio il migliore consiglio da dare a chi sta scegliendo il proprio futuro, ma si sa, un insegnante, quando si rassegna, diventa un insegnante di rassegnazione. E gli studenti imparano: all'inizio mordono il freno, fanno i ribelli, ma se il loro adulto di riferimento china la testa, dopo un po' la chinano anche loro, è una questione d'imprintig. Alla fine l'ultima scadenza arrivò, e quasi tutti avevano scelto. Un po' alla cieca, ma chi non è un po' cieco nella vita. Pensate alle case editrici, che hanno stampato centinaia di migliaia di libri di testo per milioni di euro senza sapere quali saranno i programmi dell'anno prossimo. Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.
Potrei dare la colpa a questo o quello, ma diciamoci la verità: questa è una crisi seria. Una così non l'hanno vista i nostri genitori. I nostri nonni forse, e strinsero la cinghia. Dobbiamo stringerla pure noi. Bisogna tagliare. Anche la scuola? Magari sì, anche la scuola. Troppi insegnanti, troppi bidelli, troppi libri... a proposito di libri.
Proprio il giorno in cui è scaduto il termine, e gli studenti mi hanno consegnato i moduli firmati, le affrettate ipoteche sul loro futuro in un mondo che ogni giorno sembra un poco più difficile; proprio il giorno in cui sono andato a portare i moduli in segreteria, non sono riuscito a passare, perché la porta era ostruita da queste cataste di libri nuovi, odorosi e fragaranti, e mi sono chiesto, cosa sono? Libri nuovi gratis, per chi? Studenti in difficoltà? “Prenda pure, professore, sono da distribuire in terza”. In terza... Costituzioni gratis? Opuscoli sull'Aids, sulla droga, sull'alcolismo? Tante cose ci servirebbero.
Guardo di sfuggita il titolo: Guida alla nuova scuola second... Guida alla nuova scuola secondaria? A fine marzo? Ne apro uno. Lo riconosco dai disegnini: è lo stesso pdf che stava sul sito del Ministero tre mesi fa. Ho pure provato a proiettarlo in classe. Certo, adesso che è stampato potranno tutti sfogliarlo... per la verità internet ce l'hanno tutti ormai, l'indirizzo del sito glielo avevo dato. Però, si sa, l'odore della carta... Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.
Non insegno matematica, così non ho proprio le idee chiare. Il libro ha 128 pagine in quadricromia. Distribuito gratis a tutti gli studenti di terza media di tutta Italia, quanti sono? Mezzo milione? Quanto hanno speso al Ministero? Per un libro che a settembre magari sarebbe servito, ma ormai... quante cattedre si potevano salvare? Quanti insegnanti precari si potevano salvare? Eh, però non è giusto pensare solo agli insegnanti e mai ai tipografi. Salve. Sono l'insegnante rassegnato.
Domani entrerò in classe e distribuirò ai miei studenti un libro che ho promesso in settembre, che sarebbe servito fino alla settimana scorsa, e che adesso è solo un pacchettino di carta odorosa e inutile. Loro non mi ringrazieranno, i pacchettini di carta negli zainetti pesano.
Forse mi chiederanno: ma perché è arrivato adesso? Ma non è uguale al pdf? Ma a cosa serve ormai? Ma non è un bello spreco? Chi è che butta via i soldi dei nostri genitori così? E io non potrò dir loro niente, perché non mi viene una sola risposta che non sia politica, e la politica no, siamo anche sotto elezioni, la politica no.
Mi piace pensare che in realtà non mi chiederanno niente. Incasseranno il pacchettino, cercheranno se c'è qualche disegno carino da copiare sulla Smemo, saggeranno la carta per capire se ci viene un filtro, ma non mi chiederanno niente. Perché ormai hanno imparato – magari è la sola cosa quest'anno, ma hanno imparato – a rassegnarsi. E l'hanno imparato da me. Salve.
Sono l'insegnante
Può effettivamente darsi che in un passato più o meno remoto io abbia ricevuto una formazione ideologica, e che la ostenti ancora con gli amici al bar, o in qualche blog che fa tanto alternativo, ma in classe no. Non si fa politica in classe. Neanche in cortile. Neanche nel parcheggio. Neanche a cento metri dal parcheggio. Una volta magari volevo cambiare il mondo, poi a un certo punto è come se il mondo mi abbia detto: Lascia Faccio Io! e abbia cominciato a restringersi, restringersi, al centro di tutto un bilocale più servizi, un unico posto fisso in tutto l'universo: la Cattedra. Ma è una sola! Aggrappati, aggrappati, tutto intorno è caos...
Scusate, non è niente.
Un po' di panico, poi passa.
Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato e non vorrei fare politica a scuola. Specie in tempo di elezioni, eh no. Io sono un pubblico ufficiale, credo nelle regole, insegno il rispetto per la Costituzione, finché si può, e se da domani si riparte con lo Statuto io insegnerò il rispetto per lo Statuto Albertino. E se dopodomani volete le XII tavole, perché no, viva i classici, ristudiamoci queste XII tavole. Sul serio, non è un problema. Volete che metta gli studenti non ariani in un banco a parte? Basta avvertire, mi mandate una circolare, io lo faccio. Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato. Sono tuttavia un po' preoccupato per questa cosa dei libri.
È successo che ieri non sono riuscito a entrare in Segreteria perché era ostruita da tre cataste di libri odorosi di tipografia (ah, l'odore della pressa). Si chiamano “Guida alla nuova scuola secondaria superiore”, e sono stati stampati dal Ministero dell'Istruzione. Sono da distribuire a tutti gli studenti di terza media, che l'anno prossimo vanno alle superiori. Dentro è spiegata per filo e per segno tutta la riforma Gelmini. Fantastico, no? Il Ministero che spiega la riforma ai ragazzi con un libro. Che è un regalo. Con dentro tanti schemi e disegnini. In quadricromia – certo, costa un po' di più, ma si tratta di informare sulle nuove scuole, vuoi fare economia su una cosa del genere? Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.
Quando sono riprese le lezioni in settembre ho spiegato ai miei studenti di terza che era un momento importante per loro, che dovevano scegliere la loro scuola, il loro futuro, era la prima volta che erano chiamati a una scelta del genere.
E loro: “Sì, vabbè. Quali sono le opzioni?”
E io: “Ehm... ancora non si sanno bene, anche perché c'è una riforma in corso, e quindi... può darsi che qualcosa cambi... comunque tra un po' arriverà un bel libretto che stampa tutti gli anni la Provincia, con tutte le scuole e tutti gli orari delle scuole, vedrete...”
A dicembre è arrivata una lettera della Provincia: Caro insegnante, si ricorda quel bel libretto che facevamo tutti gli anni per orientare gli studenti di terza? Ci hanno tagliato i fondi, non lo faremo più. Organizzavamo anche degli incontri. Non li organizzeremo più. In sostanza: si arrangi.
Nel frattempo in tv il mio ministro diceva che la Riforma era pronta. Gli studenti mi chiedevano: Allora, come saranno le scuole il prossimo anno? Io non lo sapevo. Bisogna aspettare che pubblichino la riforma, spiegavo. E loro: ma la Gelmini ha detto che è pronta. E io: sì, ma sul sito non c'è ancora niente, bisogna avere un po' di pazienza, comunque ho una buona notizia: il termine per presentare la domanda è posposto di un mese. Wow. Ma il mese passò in un soffio e la riforma non era ancora pronta. Però sui giornali la Gelmini diceva che era pronta. Ma sul sito non c'era niente. Solo un bel pdf colorato con dei quadri orari che forse erano definitivi e forse no. E il termine fu posposto a un altro mese.
E fu dicembre, e fu gennaio. Vennero i genitori a ritirare le pagelle, ci chiesero insomma, a che scuola superiore devono iscriverci i nostri figli? Perché non ce lo dite? Volete mantenere la suspense fino all'ultimo? “Eppure in tv hanno detto che”... noi non sapevamo cosa dire: non ci era ancora arrivato niente di definitivo. La riforma era sempre in discussione, sospesa da qualche parte tra Camera Senato Consiglio di Stato e quant'altro. Ma la faccia davanti a questo ritardo non ce la mettevano i deputati o i senatori o i consiglieri. Ce la mettevo io.
Alla fine recuperai il vecchio consiglio della Provincia e spiegai a genitori e ragazzi che era il caso di arrangiarsi: dare un'occhiata ai siti delle scuole, chiedere ad amici e conoscenti, fidarsi un po'. Non è proprio il migliore consiglio da dare a chi sta scegliendo il proprio futuro, ma si sa, un insegnante, quando si rassegna, diventa un insegnante di rassegnazione. E gli studenti imparano: all'inizio mordono il freno, fanno i ribelli, ma se il loro adulto di riferimento china la testa, dopo un po' la chinano anche loro, è una questione d'imprintig. Alla fine l'ultima scadenza arrivò, e quasi tutti avevano scelto. Un po' alla cieca, ma chi non è un po' cieco nella vita. Pensate alle case editrici, che hanno stampato centinaia di migliaia di libri di testo per milioni di euro senza sapere quali saranno i programmi dell'anno prossimo. Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.
Potrei dare la colpa a questo o quello, ma diciamoci la verità: questa è una crisi seria. Una così non l'hanno vista i nostri genitori. I nostri nonni forse, e strinsero la cinghia. Dobbiamo stringerla pure noi. Bisogna tagliare. Anche la scuola? Magari sì, anche la scuola. Troppi insegnanti, troppi bidelli, troppi libri... a proposito di libri.
Proprio il giorno in cui è scaduto il termine, e gli studenti mi hanno consegnato i moduli firmati, le affrettate ipoteche sul loro futuro in un mondo che ogni giorno sembra un poco più difficile; proprio il giorno in cui sono andato a portare i moduli in segreteria, non sono riuscito a passare, perché la porta era ostruita da queste cataste di libri nuovi, odorosi e fragaranti, e mi sono chiesto, cosa sono? Libri nuovi gratis, per chi? Studenti in difficoltà? “Prenda pure, professore, sono da distribuire in terza”. In terza... Costituzioni gratis? Opuscoli sull'Aids, sulla droga, sull'alcolismo? Tante cose ci servirebbero.
Guardo di sfuggita il titolo: Guida alla nuova scuola second... Guida alla nuova scuola secondaria? A fine marzo? Ne apro uno. Lo riconosco dai disegnini: è lo stesso pdf che stava sul sito del Ministero tre mesi fa. Ho pure provato a proiettarlo in classe. Certo, adesso che è stampato potranno tutti sfogliarlo... per la verità internet ce l'hanno tutti ormai, l'indirizzo del sito glielo avevo dato. Però, si sa, l'odore della carta... Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.
Non insegno matematica, così non ho proprio le idee chiare. Il libro ha 128 pagine in quadricromia. Distribuito gratis a tutti gli studenti di terza media di tutta Italia, quanti sono? Mezzo milione? Quanto hanno speso al Ministero? Per un libro che a settembre magari sarebbe servito, ma ormai... quante cattedre si potevano salvare? Quanti insegnanti precari si potevano salvare? Eh, però non è giusto pensare solo agli insegnanti e mai ai tipografi. Salve. Sono l'insegnante rassegnato.
Domani entrerò in classe e distribuirò ai miei studenti un libro che ho promesso in settembre, che sarebbe servito fino alla settimana scorsa, e che adesso è solo un pacchettino di carta odorosa e inutile. Loro non mi ringrazieranno, i pacchettini di carta negli zainetti pesano.
Forse mi chiederanno: ma perché è arrivato adesso? Ma non è uguale al pdf? Ma a cosa serve ormai? Ma non è un bello spreco? Chi è che butta via i soldi dei nostri genitori così? E io non potrò dir loro niente, perché non mi viene una sola risposta che non sia politica, e la politica no, siamo anche sotto elezioni, la politica no.
Mi piace pensare che in realtà non mi chiederanno niente. Incasseranno il pacchettino, cercheranno se c'è qualche disegno carino da copiare sulla Smemo, saggeranno la carta per capire se ci viene un filtro, ma non mi chiederanno niente. Perché ormai hanno imparato – magari è la sola cosa quest'anno, ma hanno imparato – a rassegnarsi. E l'hanno imparato da me. Salve.
Sono l'insegnante
martedì 23 marzo 2010
Mamma! Mamma!
Il male banale
(Riveduto e corretto, e sempre attuale).
Monsignore, è un grandissimo onore per me averLa qui.
Prego, s'accomodi.
(Lara, vammi a prendere i ferri buoni. C'è il Monsignore!)
Colgo l'occasione per confessarLe che l'altro giorno ho goduto di un piacere autentico, e d'intensità rara, leggendo l'ultimo intervento del suo caro amico cardinale contro la pillola assassina. Soprattutto là dove dice
Mi sono anche permesso di riportarla sul forum della FOdCA, che mi onoro di rappresentare. La conosce? La Federazione Odontoiatriche Cattoliche. Qui è meglio fare una lastra.
(Lara, vammi a preparare una lastra).
Beh, in effetti non è molto conosciuta, la Fodca. Potremmo essere molte di più... sapesse quante professioniste non si attentano a uscire allo scoperto, difendere la loro fede... Ma Lei c'insegna che bisogna dare l'esempio. Adesso stringa. Ma no, non fa male. Appena un po' di fastidio, che sarà mai... Stringa, su. Ecco, abbiamo fatto. Un attimo che il computer rielabora l'immagine.
Vede, io credo che il cardinale abbia colto l'essenza del problema. Invece di tirare fuori la bufala della pillola pericolosa per le madri, una cosa a cui, diciamolo, non crede nessuno... no, il punto è esattamente quello: la banalizzazione. Con la Ru486 abortire non diventerà più pericoloso o meno assassino. Ma sarà una cosa facile, alla portata di tutti, in una parola: banale. E' questo l'abisso morale che si spalanca davanti a noi. Lara, questa immagine arriva o no?
Ah, ecco.
Eh, beh, capisco che le facesse male a masticarci sopra. C'è una carie che si è infiltrata sotto l'otturazione. E ce n'è già un'altra... qui, vede? Sotto il colletto. Ma da quand'è che non ci vediamo?
Monsignore, è un discorso che abbiamo fatto spesso. Caffè, fumo, zuccheri tra un pasto e l'altro... non sono amici dei suoi denti. Poi è inutile che Se la prenda con me. In tre anni è la quarta volta che rivediamo quell'otturazione. Le dico con tutta franchezza che a questo punto la maggioranza dei miei colleghi Glielo avrebbero già devitalizzato - se non cavato via, semplicemente. Ma noi della Federazione Odontotecniche Cattoliche abbiamo una concezione diversa. Lara, per favore, preparami dieci cc di zertyupol.
Monsignore, so che potrà capirmi. Lei ha un problema col Suo dente. Banalizzando, si potrebbe affermare che si tratti di un paio di carie. Ma io e Lei sappiamo che il problema non coinvolge soltanto lo smalto: esso penetra la dentina e il cemento e raggiunge l'essenza, come dire? spirituale del Suo premolare. Banalmente, io potrei raschiarle via l'ennesima macchia scura; molti miei colleghi laicisti lo farebbero, ben contenti di rivederla tornare poi di qui a pochi mesi. Ecco, noi della Fodca abbiamo deciso di lavorare in un'altro modo. Lara, per favore, allaccia le cinghie al Monsignore.
Se ora Lei non avvertirà la solita sensazione di intorpidimento alla mascella, c'è un motivo. Quello che Le ho iniettato non è un sedativo. Viceversa, è qualcosa che L'aiuterà a sentire meglio quello che sto per farLe. Perché alla Sua età, Monsignore, non vorrei mai che perdesse i sensi mentre... apra la bocca, da bravo, ecco. Dicevo, ma può sentirmi? NON VORREI MAI CHE LEI PERDESSE I SENSI MENTRE LE TRAPANO UN PREMOLARE SENZA ANESTESIA. No, non provi a chiudere la bocca mentre ho il trapano in mano. Non ci provi davvero. Si concentri su qualcosa. Su quello che Le sto dicendo, magari. Ora riprendo. C'è parecchio lavoro da fare qui dentro, lo sa.
Vede, quello che è successo a noi dentisti negli ultimi 50 anni, gli enormi progressi fatti in tutte le direzioni, ma soprattutto nella terapia del dolore, hanno in qualche modo degradato l'essenza morale della nostra professione. Noi dentisti sappiamo nell'intimo della nostra coscienza che il migliore nemico della carie è la prevenzione: una dieta corretta, l'astensione dalla nicotina e via dicendo. Ma d'altro canto è molto più lucroso curare i milioni di carie figlie delle cattive abitudini che ci guardiamo bene dal combattere. Tanto più che levarsi una carie, o un dente intero, è diventato sempre più facile e indolore... in una parola: banale. Ora, noi della Fodca abbiamo deciso che non può più essere così. Siamo ancora poche, è vero, ma decise a dare l'esempio. Lara, tieniGli stretta la fronte, così. Ecco, adesso va meglio.
Comincia a vedere le stelline? Non si spaventi, a questo livello è normale. Ma ci pensi bene: ha mai vissuto un'esperienza del genere nella sua vita? Pensa che potrà mai scordarSela? No, non muova la testa, mi risponda roteando le orbite. Bene. Ogni volta che scarterà un cioccolatino, che Si accenderà una sigaretta, lei Si ricorderà di questo dolore. Questa è la vera cura contro le carie, mi capisce? Quella non facile, non banale, quella che coinvolge il paziente anche sul piano spirituale. Noi Odontoiatriche Cattoliche ci crediamo fermamente. Ora se vuole può urlare.
Lara, hai notato che urlano tutti la stessa cosa? Che vorrà dire?
Mamma, mamma, come se il dolore più lancinante fosse un segreto tra noi e chi ci ha dato la vita. O forse è solo la sillaba più facile da pronunciare.
Si sciacqui, Monsignore: abbiamo finito.
(Riveduto e corretto, e sempre attuale).
Monsignore, è un grandissimo onore per me averLa qui.
Prego, s'accomodi.
(Lara, vammi a prendere i ferri buoni. C'è il Monsignore!)
Colgo l'occasione per confessarLe che l'altro giorno ho goduto di un piacere autentico, e d'intensità rara, leggendo l'ultimo intervento del suo caro amico cardinale contro la pillola assassina. Soprattutto là dove dice
la Ru486 banalizza l’aborto perché l’idea di pillola è associata a gesti semplici, che portano un sollievo immediatoSi', quando una citazione mi piace davvero, la imparo a memoria. Adesso apra la bocca, per cortesia.
Mi sono anche permesso di riportarla sul forum della FOdCA, che mi onoro di rappresentare. La conosce? La Federazione Odontoiatriche Cattoliche. Qui è meglio fare una lastra.
(Lara, vammi a preparare una lastra).
Beh, in effetti non è molto conosciuta, la Fodca. Potremmo essere molte di più... sapesse quante professioniste non si attentano a uscire allo scoperto, difendere la loro fede... Ma Lei c'insegna che bisogna dare l'esempio. Adesso stringa. Ma no, non fa male. Appena un po' di fastidio, che sarà mai... Stringa, su. Ecco, abbiamo fatto. Un attimo che il computer rielabora l'immagine.
Vede, io credo che il cardinale abbia colto l'essenza del problema. Invece di tirare fuori la bufala della pillola pericolosa per le madri, una cosa a cui, diciamolo, non crede nessuno... no, il punto è esattamente quello: la banalizzazione. Con la Ru486 abortire non diventerà più pericoloso o meno assassino. Ma sarà una cosa facile, alla portata di tutti, in una parola: banale. E' questo l'abisso morale che si spalanca davanti a noi. Lara, questa immagine arriva o no?
Ah, ecco.
Eh, beh, capisco che le facesse male a masticarci sopra. C'è una carie che si è infiltrata sotto l'otturazione. E ce n'è già un'altra... qui, vede? Sotto il colletto. Ma da quand'è che non ci vediamo?
Monsignore, è un discorso che abbiamo fatto spesso. Caffè, fumo, zuccheri tra un pasto e l'altro... non sono amici dei suoi denti. Poi è inutile che Se la prenda con me. In tre anni è la quarta volta che rivediamo quell'otturazione. Le dico con tutta franchezza che a questo punto la maggioranza dei miei colleghi Glielo avrebbero già devitalizzato - se non cavato via, semplicemente. Ma noi della Federazione Odontotecniche Cattoliche abbiamo una concezione diversa. Lara, per favore, preparami dieci cc di zertyupol.
Monsignore, so che potrà capirmi. Lei ha un problema col Suo dente. Banalizzando, si potrebbe affermare che si tratti di un paio di carie. Ma io e Lei sappiamo che il problema non coinvolge soltanto lo smalto: esso penetra la dentina e il cemento e raggiunge l'essenza, come dire? spirituale del Suo premolare. Banalmente, io potrei raschiarle via l'ennesima macchia scura; molti miei colleghi laicisti lo farebbero, ben contenti di rivederla tornare poi di qui a pochi mesi. Ecco, noi della Fodca abbiamo deciso di lavorare in un'altro modo. Lara, per favore, allaccia le cinghie al Monsignore.
Se ora Lei non avvertirà la solita sensazione di intorpidimento alla mascella, c'è un motivo. Quello che Le ho iniettato non è un sedativo. Viceversa, è qualcosa che L'aiuterà a sentire meglio quello che sto per farLe. Perché alla Sua età, Monsignore, non vorrei mai che perdesse i sensi mentre... apra la bocca, da bravo, ecco. Dicevo, ma può sentirmi? NON VORREI MAI CHE LEI PERDESSE I SENSI MENTRE LE TRAPANO UN PREMOLARE SENZA ANESTESIA. No, non provi a chiudere la bocca mentre ho il trapano in mano. Non ci provi davvero. Si concentri su qualcosa. Su quello che Le sto dicendo, magari. Ora riprendo. C'è parecchio lavoro da fare qui dentro, lo sa.
Vede, quello che è successo a noi dentisti negli ultimi 50 anni, gli enormi progressi fatti in tutte le direzioni, ma soprattutto nella terapia del dolore, hanno in qualche modo degradato l'essenza morale della nostra professione. Noi dentisti sappiamo nell'intimo della nostra coscienza che il migliore nemico della carie è la prevenzione: una dieta corretta, l'astensione dalla nicotina e via dicendo. Ma d'altro canto è molto più lucroso curare i milioni di carie figlie delle cattive abitudini che ci guardiamo bene dal combattere. Tanto più che levarsi una carie, o un dente intero, è diventato sempre più facile e indolore... in una parola: banale. Ora, noi della Fodca abbiamo deciso che non può più essere così. Siamo ancora poche, è vero, ma decise a dare l'esempio. Lara, tieniGli stretta la fronte, così. Ecco, adesso va meglio.
Comincia a vedere le stelline? Non si spaventi, a questo livello è normale. Ma ci pensi bene: ha mai vissuto un'esperienza del genere nella sua vita? Pensa che potrà mai scordarSela? No, non muova la testa, mi risponda roteando le orbite. Bene. Ogni volta che scarterà un cioccolatino, che Si accenderà una sigaretta, lei Si ricorderà di questo dolore. Questa è la vera cura contro le carie, mi capisce? Quella non facile, non banale, quella che coinvolge il paziente anche sul piano spirituale. Noi Odontoiatriche Cattoliche ci crediamo fermamente. Ora se vuole può urlare.
Lara, hai notato che urlano tutti la stessa cosa? Che vorrà dire?
Mamma, mamma, come se il dolore più lancinante fosse un segreto tra noi e chi ci ha dato la vita. O forse è solo la sillaba più facile da pronunciare.
Si sciacqui, Monsignore: abbiamo finito.
lunedì 22 marzo 2010
Come può uno scoglio
Arginare il mare?
A occhio non mi sembra che sia andata così bene (Ho una teoria #15, sull'Unità.it. Si commenta di là).
Al Popolo della Libertà stavolta la ciambella non è riuscita col buco. Certo, nessuno si aspettava davvero un milione di persone in uno spazio che può contenerne un decimo. Ma per reggere il confronto con le altre manifestazioni di questi giorni, la sua piazza San Giovanni avrebbe almeno dovuto riempirsi, e così non è stato. Le foto dall'alto non lasciano molti dubbi: perfino i tg e la stampa filo-berlusconiana rischiano di commettere un autogol, se insisteranno in questi giorni su una rappresentazione dei fatti troppo distante dal reale. Il monopolio televisivo non significa più controllo totale sulle immagini: le foto viaggiano via Facebook e via mail, e anche il più accanito fan di Berlusconi non può accettare che gli si venda per un milione una piazza di cinquantamila.
Questo non significa naturalmente che S. B. non possa contare ancora sulla più efficace macchina di produzione del consenso mai messa insieme nella storia d'Italia (di fronte a cui veline e cinegiornali del Ventennio impallidiscono ulteriormente). Però anche questa macchina ha i suoi limiti, e li conosciamo. È imbattibile quando si tratta di aggregare il consenso dei telespettatori e portarli alle urne, ma ha sempre fatto una gran fatica a riempire le piazze. Oggi persino i gruppetti spontanei nati su Facebook riescono a organizzare cortei più riusciti di quelli del Popolo della Libertà. La cosa non sarebbe poi così importante; non è in piazza che si vincono le elezioni, e Berlusconi lo sa. Ma allora perché insiste a voler sforzare la sua macchina proprio nel terreno che gli è meno favorevole?
Due settimane fa mi chiedevo, piuttosto incautamente, se Berlusconi ci tenesse davvero a vincere queste amministrative. Mi sembrava svogliato, sulla difensiva. Addirittura rifiutava il ruolo di onnipresente capolista, a cui ci aveva abituato negli ultimi anni, che si votasse per Bruxelles o per Bisceglie. Non ci voleva molto a immaginare che il giocatore esperto fiutasse la sconfitta, e preferisse non firmarla. I fatti delle ultime due settimane hanno smentito la mia teoria in modo spettacolare. Addirittura la prima pagina di “Libero” di sabato presentava un trionfante Berlusconi a pugno chiuso, e come unico titolo un cubitale, nostalgico VINCERE. Insomma, non avevo capito niente, e il minimo che possa fare è ammetterlo.
A mia discolpa posso dire che gli avvenimenti di questi quindici giorni devono aver sorpreso anche Berlusconi e i suoi più intimi collaboratori. Ci si aspettava che il PdL arrivasse alle elezioni come un partito compatto – magari non ancora del tutto amalgamato, ma efficiente: non l'armata brancaleone che litiga fino all'ultimo sui posti in lista e inciampa nelle beghe procedurali. È a questo danno d'immagine che Berlusconi ha cercato di rimediare con una prova di forza organizzativa: una grande piazza da riempire in quindici giorni. Una mossa imprudente, da imprenditore più che da politico. Risucchiato suo malgrado nei gorghi della campagna elettorale per rimediare a un deficit organizzativo, S.B. ha reagito impulsivamente da venditore consumato, tirando fuori l'unico oggetto che negli ultimi vent'anni si è rassegnato a piazzarci: sé stesso. Richiamando a Roma tutti i notabili di partito ha accettato di personalizzare anche queste elezioni (che, per le loro dimensioni locali, sono le meno adatte al suo protagonismo). Ma spingere sul pedale dell'organizzazione, proprio mentre questa mostrava i suoi limiti, è un grosso azzardo, anche per un giocatore come lui. Una sfida a sé stesso e ai suoi uomini. Lui è senz'altro all'altezza della sfida; i suoi uomini, lo si è visto, no. Il flop di piazza San Giovanni mostra in controluce tutti i limiti di un partito mai nato che fatica a tesserare i suoi elettori, e non riesce a uscire dall'ingombrante ombra del Capo.
Poco male, in fondo Berlusconi vince anche da solo. O no? Bisogna riconoscere che fin qui la riduzione della dialettica politica alla polemica tra berlusconiani e antiberlusconiani ha pagato. Ogni volta che è riuscito ad attirare i riflettori su di sé, aizzando i suoi oppositori, Berlusconi ci ha fatto arrabbiare, ma ha portato a casa un risultato. Forse andrà così anche stavolta: forse gli spot generosamente elargiti dai telegiornali gli basteranno per riportare alle urne una percentuale decisiva in qualche regione, quanto basta per poter gridare alla vittoria. Insomma, forse c'è della logica, dietro questo sussulto di protagonismo.
E magari invece no: forse è solo il riflesso condizionato dell'Uomo del Fare, che nemmeno quando il luogo e il tempo non gli sono favorevoli è capace di restare sugli spalti a guardare i pasticci combinati dai suoi uomini. Dirigenti come lui sono spesso programmati inconsciamente per circondarsi di collaboratori mediocri (i più capaci rischiano di oscurare l'astro del capo: fuori Capello, dentro Tabarez). Sarà proprio la loro incapacità a sollecitare l'intervento diretto del Capo. Forse ha indovinato tutto il misterioso dj che tra mille canzoni da far intonare al capocomico La Russa ha scelto proprio Battisti: Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi... Berlusconi vorrebbe, non vorrebbe, sa che forse stavolta non gli conviene, ma alla fine lo chiamano e non può sottrarsi. Come può uno scoglio arginare il mare? Anche se non vuole, torna già a volare. Le discese ardite, e le risalite... Vedremo come andrà l'atterraggio.
A occhio non mi sembra che sia andata così bene (Ho una teoria #15, sull'Unità.it. Si commenta di là).
Al Popolo della Libertà stavolta la ciambella non è riuscita col buco. Certo, nessuno si aspettava davvero un milione di persone in uno spazio che può contenerne un decimo. Ma per reggere il confronto con le altre manifestazioni di questi giorni, la sua piazza San Giovanni avrebbe almeno dovuto riempirsi, e così non è stato. Le foto dall'alto non lasciano molti dubbi: perfino i tg e la stampa filo-berlusconiana rischiano di commettere un autogol, se insisteranno in questi giorni su una rappresentazione dei fatti troppo distante dal reale. Il monopolio televisivo non significa più controllo totale sulle immagini: le foto viaggiano via Facebook e via mail, e anche il più accanito fan di Berlusconi non può accettare che gli si venda per un milione una piazza di cinquantamila.
Questo non significa naturalmente che S. B. non possa contare ancora sulla più efficace macchina di produzione del consenso mai messa insieme nella storia d'Italia (di fronte a cui veline e cinegiornali del Ventennio impallidiscono ulteriormente). Però anche questa macchina ha i suoi limiti, e li conosciamo. È imbattibile quando si tratta di aggregare il consenso dei telespettatori e portarli alle urne, ma ha sempre fatto una gran fatica a riempire le piazze. Oggi persino i gruppetti spontanei nati su Facebook riescono a organizzare cortei più riusciti di quelli del Popolo della Libertà. La cosa non sarebbe poi così importante; non è in piazza che si vincono le elezioni, e Berlusconi lo sa. Ma allora perché insiste a voler sforzare la sua macchina proprio nel terreno che gli è meno favorevole?
Due settimane fa mi chiedevo, piuttosto incautamente, se Berlusconi ci tenesse davvero a vincere queste amministrative. Mi sembrava svogliato, sulla difensiva. Addirittura rifiutava il ruolo di onnipresente capolista, a cui ci aveva abituato negli ultimi anni, che si votasse per Bruxelles o per Bisceglie. Non ci voleva molto a immaginare che il giocatore esperto fiutasse la sconfitta, e preferisse non firmarla. I fatti delle ultime due settimane hanno smentito la mia teoria in modo spettacolare. Addirittura la prima pagina di “Libero” di sabato presentava un trionfante Berlusconi a pugno chiuso, e come unico titolo un cubitale, nostalgico VINCERE. Insomma, non avevo capito niente, e il minimo che possa fare è ammetterlo.
A mia discolpa posso dire che gli avvenimenti di questi quindici giorni devono aver sorpreso anche Berlusconi e i suoi più intimi collaboratori. Ci si aspettava che il PdL arrivasse alle elezioni come un partito compatto – magari non ancora del tutto amalgamato, ma efficiente: non l'armata brancaleone che litiga fino all'ultimo sui posti in lista e inciampa nelle beghe procedurali. È a questo danno d'immagine che Berlusconi ha cercato di rimediare con una prova di forza organizzativa: una grande piazza da riempire in quindici giorni. Una mossa imprudente, da imprenditore più che da politico. Risucchiato suo malgrado nei gorghi della campagna elettorale per rimediare a un deficit organizzativo, S.B. ha reagito impulsivamente da venditore consumato, tirando fuori l'unico oggetto che negli ultimi vent'anni si è rassegnato a piazzarci: sé stesso. Richiamando a Roma tutti i notabili di partito ha accettato di personalizzare anche queste elezioni (che, per le loro dimensioni locali, sono le meno adatte al suo protagonismo). Ma spingere sul pedale dell'organizzazione, proprio mentre questa mostrava i suoi limiti, è un grosso azzardo, anche per un giocatore come lui. Una sfida a sé stesso e ai suoi uomini. Lui è senz'altro all'altezza della sfida; i suoi uomini, lo si è visto, no. Il flop di piazza San Giovanni mostra in controluce tutti i limiti di un partito mai nato che fatica a tesserare i suoi elettori, e non riesce a uscire dall'ingombrante ombra del Capo.
Poco male, in fondo Berlusconi vince anche da solo. O no? Bisogna riconoscere che fin qui la riduzione della dialettica politica alla polemica tra berlusconiani e antiberlusconiani ha pagato. Ogni volta che è riuscito ad attirare i riflettori su di sé, aizzando i suoi oppositori, Berlusconi ci ha fatto arrabbiare, ma ha portato a casa un risultato. Forse andrà così anche stavolta: forse gli spot generosamente elargiti dai telegiornali gli basteranno per riportare alle urne una percentuale decisiva in qualche regione, quanto basta per poter gridare alla vittoria. Insomma, forse c'è della logica, dietro questo sussulto di protagonismo.
E magari invece no: forse è solo il riflesso condizionato dell'Uomo del Fare, che nemmeno quando il luogo e il tempo non gli sono favorevoli è capace di restare sugli spalti a guardare i pasticci combinati dai suoi uomini. Dirigenti come lui sono spesso programmati inconsciamente per circondarsi di collaboratori mediocri (i più capaci rischiano di oscurare l'astro del capo: fuori Capello, dentro Tabarez). Sarà proprio la loro incapacità a sollecitare l'intervento diretto del Capo. Forse ha indovinato tutto il misterioso dj che tra mille canzoni da far intonare al capocomico La Russa ha scelto proprio Battisti: Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi... Berlusconi vorrebbe, non vorrebbe, sa che forse stavolta non gli conviene, ma alla fine lo chiamano e non può sottrarsi. Come può uno scoglio arginare il mare? Anche se non vuole, torna già a volare. Le discese ardite, e le risalite... Vedremo come andrà l'atterraggio.
sabato 20 marzo 2010
Il senso di Marcello per la sòla
Insomma, questo capitolo inedito di Pasolini, Dell'Utri ce l'ha oppure no? Prima diceva di sì, che l'avrebbe mostrato alla tal fiera del libro antico. Adesso sostiene di no: l'ha solo visto, ma non ha fatto in tempo a comprarlo. I critici fanno appelli. Veltroni porta il caso in Parlamento. E dopotutto perché no, è giusto indagare, è giusto volerci veder chiaro. Però non si può fare a meno di riflettere sull'uomo che ha aperto il caso. L'uomo che ha annunciato alla stampa di possedere un inedito di Pasolini prima ancora di averlo acquistato. Marcello Dell'Utri. Si possono dire molte cose di lui, nessuna bella. Concentriamoci però su una delle meno brutte: è un bibliofilo. Laddove uomini del suo medesimo rango spendono e spandono per le femmine, Dell'Utri spende e spande per rettangoli di carta rilegati su un lato. Un vizio più di nicchia, ma comunque non sconosciuto presso i notabili di destra (ricordo anni fa la tragedia di un intellettuale postfascista che durante una causa di separazione aveva lasciato in ostaggio alla moglie una biblioteca personale con qualcosa come quindicimila tomi; e la tipa glieli buttava via. Vanitas vanitatum e tutto il resto).
I bibliofili non sono tutti uguali, proprio come gli altri puttanieri. Ci sono quelli che apprezzano le cose antiche, quelli che vorrebbero mettere le mani su qualcosa che nessuno ha mai toccato (sì, è paradossale, ma è così), quelli che cercano l'insolito, quelli che hanno fiuto per i pezzi autentici... Dell'Utri non è tra questi. Ci sono anche quelli che sembrano pronti a farsi rifilare qualsiasi sòla, e poi non vedono l'ora di vantarsene in giro. Dell'Utri è più probabilmente tra questi, come l'episodio dei diari di Mussolini dovrebbe aver abbondantemente dimostrato. O no?
In breve: c'erano in giro alcune agendine attribuite a Benito Mussolini, in cui il dittatore tanto amato dagli italiani svelava un lato più umano (e figurati), oltre a lamentarsi delle bieche leggi razziali che aveva appena fatto emanare. Queste agendine avevano provato a rifilarle un po' a tutti: Feltrinelli, Panorama, L'Espresso, e chissà quanti altri. Sapevano di sòla da molto lontano. Perché, rifletteteci, chiunque sarebbe felice di trovare diari inediti di Mussolini (finalmente materiale nuovo per le dispense in edicola); però quando il grafologo ti dice no, lo storico ti dice no, il linguista ti dice no, insomma, alla fine è no. Puoi credere a tutto, ma devi per forza credere a un Mussolini che fa errori di quinta elementare? Ehi, non stiamo mica parlando di un pittorucolo, di un bohemien alla Hitler, o di un seminarista alla Stalin: Benito aveva fatto l'insegnante, prima di diventare un instancabile giornalista. Uno che con la sua firma ti fa vendere il giornale: quando durante la Grande Guerra non aveva più potuto mandare corsivi al Popolo d'Italia, le vendite erano crollate di botto. Un polemista non raffinato ma efficace: uno scrittore prima di tutto; divenuto poi - gli scherzi del destino! - dittatore di un popolo analfabeta. Uno così, con le manie di grandezza del caso, non indulge a errori di ortografia nella scrittura privata. Un ex socialista che di Marx non si era mai fidato troppo, ma era cresciuto a pane e Nietzsche: uno così non sbaglia a scrivere il nome di Nietzsche sui suoi diari. Se poi sbaglia anche a scrivere la data di nascita di sé stesso, insomma, no. Non è il vero Mussolini. E poi è plausibile scrivere tutte quelle pagine di diario senza introdurre un solo dato che gli storici non conoscessero già, neanche il cognome di un'amante inedita di Ciano, niente di niente, solo che gli dispiace tanto per i poveri Ebrei che sta facendo interdire dai pubblici uffici? Insomma, nessuno si sentiva di comprarle, 'ste agendine.
Poi un giorno arriva Marcello Dell'Utri, con una specie di scritta in sovraimpressione COMPRO QVALSIASI SOLA A QVALSIASI PREZZO, e fa lo scoop.
La cosa fantastica è che ci crede ancora: ogni tanto qualche cronista cattivello ritira fuori la storia e lui conferma: li sto rileggendo, penso proprio che siano autentici, ne esce fuori un Mussolini molto umano, ha perso la guerra perché era troppo buono. Va bene.
A questo punto mettetevi nella testa di un falsario d'Italia: uno che piazzando una sòla del genere ci campa per degli anni. E volete che non ci provi? Non bisogna nemmeno sforzarsi. Qual è lo scrittore più chiacchierato del Novecento? Ha scritto incompiuti? C'è da qualche parte un riferimento a un capitolo mancante? Benissimo. Che macchina da scrivere usava? Con un po' di fortuna è ancora in commercio. La carta si trova. Addirittura si sa già cosa doveva contenere il capitolo: scottanti retroscena su Mattei. Si conosce addirittura il libro che Pasolini stavasaccheggiando usando come fonte. Capite: Mattei morto ammazzato in circostanze misteriose, Pasolini pure, prime pagine assicurate, Dell'Utri compra sicuro. Ti piace vincere facile? Vendi un falso Pasolini a Marcello Dell'Utri.
In realtà non si può escludere che da qualche parte quel capitolo ci sia - i parenti e i curatori dicono di no, Carla Benedetti sembra più per il sì, io non me ne intendo e proprio non lo so. Ma che a Dell'Utri possano avere mostrato l'originale... a Dell'Utri si rifilano le sòle, per definizione. Perché lui, anche se non lo ammetterà, cerca proprio quelle: cerca il Mussolini più umano, il Pasolini che non è mai esistito. L'equivalente bibliofilo di andare a donne e ritrovarsi a trans. Senza riuscire ad ammettere che ti ci ritrovi perché è esattamente quello che cercavi, ti piace più il finto del vero, hai il gusto della sòla, e che male c'è? Piace a tutti. Si chiama fiction. (Massimo rispetto allo scrittore che ha buttato giù un capitolo finto di Petrolio, non vedo l'ora di leggerlo; spero che oltre Dell'Utri prenda in giro anche Pasolini, che la prima lettera di ogni paragrafo componga la scritta F O R Z A C A L V I N O, cose del genere).
I bibliofili non sono tutti uguali, proprio come gli altri puttanieri. Ci sono quelli che apprezzano le cose antiche, quelli che vorrebbero mettere le mani su qualcosa che nessuno ha mai toccato (sì, è paradossale, ma è così), quelli che cercano l'insolito, quelli che hanno fiuto per i pezzi autentici... Dell'Utri non è tra questi. Ci sono anche quelli che sembrano pronti a farsi rifilare qualsiasi sòla, e poi non vedono l'ora di vantarsene in giro. Dell'Utri è più probabilmente tra questi, come l'episodio dei diari di Mussolini dovrebbe aver abbondantemente dimostrato. O no?
In breve: c'erano in giro alcune agendine attribuite a Benito Mussolini, in cui il dittatore tanto amato dagli italiani svelava un lato più umano (e figurati), oltre a lamentarsi delle bieche leggi razziali che aveva appena fatto emanare. Queste agendine avevano provato a rifilarle un po' a tutti: Feltrinelli, Panorama, L'Espresso, e chissà quanti altri. Sapevano di sòla da molto lontano. Perché, rifletteteci, chiunque sarebbe felice di trovare diari inediti di Mussolini (finalmente materiale nuovo per le dispense in edicola); però quando il grafologo ti dice no, lo storico ti dice no, il linguista ti dice no, insomma, alla fine è no. Puoi credere a tutto, ma devi per forza credere a un Mussolini che fa errori di quinta elementare? Ehi, non stiamo mica parlando di un pittorucolo, di un bohemien alla Hitler, o di un seminarista alla Stalin: Benito aveva fatto l'insegnante, prima di diventare un instancabile giornalista. Uno che con la sua firma ti fa vendere il giornale: quando durante la Grande Guerra non aveva più potuto mandare corsivi al Popolo d'Italia, le vendite erano crollate di botto. Un polemista non raffinato ma efficace: uno scrittore prima di tutto; divenuto poi - gli scherzi del destino! - dittatore di un popolo analfabeta. Uno così, con le manie di grandezza del caso, non indulge a errori di ortografia nella scrittura privata. Un ex socialista che di Marx non si era mai fidato troppo, ma era cresciuto a pane e Nietzsche: uno così non sbaglia a scrivere il nome di Nietzsche sui suoi diari. Se poi sbaglia anche a scrivere la data di nascita di sé stesso, insomma, no. Non è il vero Mussolini. E poi è plausibile scrivere tutte quelle pagine di diario senza introdurre un solo dato che gli storici non conoscessero già, neanche il cognome di un'amante inedita di Ciano, niente di niente, solo che gli dispiace tanto per i poveri Ebrei che sta facendo interdire dai pubblici uffici? Insomma, nessuno si sentiva di comprarle, 'ste agendine.
Poi un giorno arriva Marcello Dell'Utri, con una specie di scritta in sovraimpressione COMPRO QVALSIASI SOLA A QVALSIASI PREZZO, e fa lo scoop.
La cosa fantastica è che ci crede ancora: ogni tanto qualche cronista cattivello ritira fuori la storia e lui conferma: li sto rileggendo, penso proprio che siano autentici, ne esce fuori un Mussolini molto umano, ha perso la guerra perché era troppo buono. Va bene.
A questo punto mettetevi nella testa di un falsario d'Italia: uno che piazzando una sòla del genere ci campa per degli anni. E volete che non ci provi? Non bisogna nemmeno sforzarsi. Qual è lo scrittore più chiacchierato del Novecento? Ha scritto incompiuti? C'è da qualche parte un riferimento a un capitolo mancante? Benissimo. Che macchina da scrivere usava? Con un po' di fortuna è ancora in commercio. La carta si trova. Addirittura si sa già cosa doveva contenere il capitolo: scottanti retroscena su Mattei. Si conosce addirittura il libro che Pasolini stava
In realtà non si può escludere che da qualche parte quel capitolo ci sia - i parenti e i curatori dicono di no, Carla Benedetti sembra più per il sì, io non me ne intendo e proprio non lo so. Ma che a Dell'Utri possano avere mostrato l'originale... a Dell'Utri si rifilano le sòle, per definizione. Perché lui, anche se non lo ammetterà, cerca proprio quelle: cerca il Mussolini più umano, il Pasolini che non è mai esistito. L'equivalente bibliofilo di andare a donne e ritrovarsi a trans. Senza riuscire ad ammettere che ti ci ritrovi perché è esattamente quello che cercavi, ti piace più il finto del vero, hai il gusto della sòla, e che male c'è? Piace a tutti. Si chiama fiction. (Massimo rispetto allo scrittore che ha buttato giù un capitolo finto di Petrolio, non vedo l'ora di leggerlo; spero che oltre Dell'Utri prenda in giro anche Pasolini, che la prima lettera di ogni paragrafo componga la scritta F O R Z A C A L V I N O, cose del genere).
giovedì 18 marzo 2010
Non di solo Santoro
Certo, anch'io ritengo che un capo del governo, in uno Stato democratico, non telefona a dirigenti o controllori perché tolgano di mezzo programmi tv che non gli piacciono. E tuttavia. Il pezzo che segue è un enorme tuttavia (se non avete tempo da perdere, Falsoidillio è succinto ed efficace).
Foruncoli e cancrene
Tuttavia a volte mi pare che l'ossessione di Berlusconi per i talk show sia un po' esagerata. Fossi uno dei suoi cicisbei proverei a dirglielo: ma di che ti preoccupi? Hai mai perso un'elezione per Floris o Santoro? No, fidati, nemmeno una. E sono il primo a pensare che la tv i voti li sposta. Ma non quella tv. Io penso alla tv che guardano tutti: al tg5, al tg1; credo pure che, in qualche modo contorto, anche Striscia e i reality di prima serata movimentino voti (Busi comunque è fuori dai giochi); e poi non bisogna sottovalutare quei programmini che di voti non ne spostano, ma se li tengono tutti bene stretti, senza perderne nemmeno uno, come ad esempio il telegiornalino di Emilio Fede... ecco, a proposito, come sta il ragazzo? io se fossi Berl. mi preoccuperei più per la salute di Fede che per l'orazione settimanale di Travaglio. Quelli che guardano Travaglio li darei per persi: non si può piacere a tutti, uno dei segreti di Berlusconi è che non ci ha mai provato. (Si è sempre contentato di sedurre il cinquantadue e irritare il 48 per cento).
Tuttavia quando Berlusconi afferma che "non c'è nessuna televisione europea dove ci sono questi pollai" [dove per “pollai” si intendono i vari talk show di centrosinistra] non ha tutti i torti. Anche Vespa e Santoro a suo modo sono anomalie. Un mese fa Santoro scrisse una bella lettera a Travaglio rivendicando addirittura un primato 'strategico' del talk su altre trasmissioni che si limitano a fare reportage, come Report. A mio modesto avviso anche ad Annozero erano i reportage a fare la differenza, non i battibecchi, ma evidentemente Santoro non è del mio parere e ci crede ancora (nel 2010...) al Battibecco come strumento di lotta politica, di informazione, di chennesò: a punto di rimbrottare Travaglio che di battibeccare con i soliti pupazzi era stanco. Nel resto del mondo non credo che vada così: nel resto del mondo il talk è una forma d'intrattenimento, non di giornalismo d'inchiesta. Nel resto del mondo civile i pollai esistono, ma fanno i pollai; mentre i rami del parlamento fanno i rami del parlamento. In Italia c'è confusione tra le due cose, e Santoro in questa confusione ci ha prosperato. Producendo a tratti ottima televisione, ma anche cose imbarazzanti (come l'ultima, demenziale puntata di Annozero sulla droga, per la quale rimando a Malvestite).
Tuttavia c'è qualcosa di più esagerato dell'ossessione di Berlusconi per Santoro (e Floris) ed è la nostra ossessione per l'ossessione di Berlusconi per Santoro (e Floris). O in generale per l'ultima malefatta di B. in ordine di tempo. Per esempio, quando abbiamo scoperto che Berlusconi andava ai compleanni delle minorenni siamo diventati tutti femministi. Tutti. Subito. La settimana scorsa ci accorgiamo che il vecchio porco ha problemi con timbri e firme e diventiamo degli appassionati di timbri e firme (il che è ancora meno credibile della frenesia femminista di un anno fa). E adesso tocca difendere Santoro. Di cosa stiamo parlando, in realtà? Di un sintomo. Uno fra tanti. Mettiamo che Berlusconi sia un'orribile malattia degenerativa che colpisce le democrazie immature. Fingiamo che questa malattia abbia numerosi sintomi: perdita della vista e dell'udito, schizofrenia e paranoia, gli arti vanno in cancrena, e sul naso qualche orribile foruncolo. Ecco, mi sembra che noi stiamo fissando un po' troppo il foruncolo. Il foruncolo poi non è mai uno solo: ne spuntano diversi; grosso modo ce n'è sempre uno più grande degli altri che attira l'attenzione di noi medici antiberlusconiani. Per esempio, l'anno scorso di questi giorni scoppiò il foruncolo del gallismo: tutti a vedere Videocracy e Il corpo delle donne. Poi il foruncolo rientrò (in concomitanza col ritrovamento di foruncoli trans su governatori di centrosinistra), e sembrò scoppiare quello mafioso: Berlusconi era colluso con la mafia, quindi improvvisamente ci ricordammo di essere tutti grandi ammiratori di Falcone e Borsellino. Il che è vero, tra parentesi, ma... fermi tutti, Berlusconi ha fatto chiudere Santoro! E Floris! è un attacco al pluralismo. Va bene, mettiamoci pure a criticare l'attacco al pluralismo dell'informazione televisiva di uno che ha il monopolio della suddetta da vent'anni. Continuiamo a strizzare foruncoli a un malato terminale; a pretendere rispetto delle regole da uno che le regole se l'è mangiate digerite e cagate da tempo; a chiedere l'intervento di un arbitro (il presidente della Repubblica, o la magistratura) che sovverta un risultato che è stato comprato anni fa. Un antiberlusconismo così superficiale è perfettamente complementare al berlusconismo: è quel tipo di rancore che lo stesso Berlusconi nutre con un dosaggio sapiente di arroganza e faccia tosta. L'importante è che le prime cinque o sei pagine dei quotidiani parlino di lui: dei foruncoli e non della cancrena.
Sabato c'è stata la manifestazione antiberlusconiana per il rispetto delle regole. Anche se è probabilmente stata un successo, io trovo pochi motivi per festeggiare. Quel giorno era in programma un'altra mobilitazione che è passata del tutto in secondo piano. Una mobilitazione per la scuola pubblica.
La scuola non ha il pubblico dei talk show di Santoro (e Floris). È un'istituzione con cui ha a che fare la maggioranza degli italiani e – ciò che è più importante – la totalità degli italiani di domani. Poi, incidentalmente, è il settore dove lavoro io. A me in realtà dispiace venir qui a rovesciare frustrazioni che almeno dovrei cercare di rivestire di ironia o letteratura, ma devo dire che questo settore sta cadendo a pezzi, a vista d'occhio. Fino a un paio di anni fa era la solita scuola italiana con tanti problemi ma un cuore grande così. Poi ci sono stati i tagli delle cattedre. Prima se ne sono andati via i più giovani, quelli che erano appena approdati al ruolo. Poi sono caduti i colleghi stanchi, quelli coi problemi di salute. Quest'estate ci lascerà anche qualche senatore, quelli indistruttibili che però saranno pensionati con la forza. I buchi che lasciano non vengono riempiti. Le supplenze non vengono nominate. Le classi restano a volte in mezzo a un corridoio, ad aspettare qualcuno che nessuno ha chiamato (il preside ha altro da fare, postdatare assegni per forniture di cancelleria, cose così), anche solo un bidello che comunque è stato tagliato pure lui. A settembre gli insegnanti superstiti tentavano di metterci una pezza, ma era abbastanza chiaro che si trattava di regalare ore di lavoro gratis alla Gelmini. Adesso c'è molta stanchezza in giro: non si fanno più progetti, non si va in gita. Nel mezzo di tutta questa confusione ci sono meravigliose lavagne elettroniche interattive regalate dal ministero che nessuno sa usare (gli insegnanti più giovani non sono stati più assunti dal ministero). Nel frattempo la Gelmini è riuscita a strascicare la sua miracolosa Riforma della Scuola Superiore a un punto che gli studenti, che dovevano scegliere in gennaio, non sanno ancora che scuola frequenteranno in settembre. Tutto questo sta succedendo in tutte le vostre scuole, in tutte le vostre città. E mi chiedo: ma non si perdono le elezioni così? Non si perdono perché stai rovinando un anno scolastico a milioni di ragazzi in tutta Italia, e i genitori se ne accorgono? No? Si perdono perché sospendi un talk show?
Questo è lo smantellamento della scuola pubblica. Non è un foruncolo: questa è la cancrena. Questa è la perdita della vista, della capacità di guardare avanti, a quelli che verranno dopo di noi, anzi, ci sono già (ché noi il nostro tempo ormai l'avremmo anche già avuto). Ce ne preoccupiamo? Tanto per fare un esempio concreto: oggi Repubblica, organo dell'antiberlusconismo ponderato, cosa aveva in prima pagina? Il foruncolo (“Berlusconi all'attacco del Csm”, nientemeno. Ci dev'essere un cassetto a Repubblica dove tengono i titoli buoni per tutte le stagioni) A pagina due? Foruncolo. Tre, cinque, sei, sette: foruncolo (a pag. 4 pubblicità di abbigliamento). Sulla scuola neanche un trafiletto, neanche un corsivo nella pagina delle opinioni, e sì che ieri Intravaia aveva ben reso la situazione. Evidentemente non è una priorità. La priorità è Santoro (e Floris), quando tra quindici anni rischiamo di avere un pubblico medio che non riuscirà nemmeno a leggere i titoli delle trasmissione di Santoro (e Floris).
Il problema qui non è essere o no antiberlusconiani. Il punto è esserlo davvero, lasciando perdere le provocazioni e i foruncoli quotidiani che infastidiscono, sì, ma non possono distrarci. Su un quotidiano antiberlusconiano ci dovrebbero essere due pagine di scuola tutti i giorni. Le storie ci sono dappertutto, non ci vogliono segugi a trovarle: date un'occhiata ai blog, c'è un istituto a Genova dove i prof si pagano le fotocopie? Intervistarli subito, perché il vero berlusconismo è questo. Le scuole. La sanità. La protezione civile. I rifiuti. E poi sì, le telefonate intimidatorie e le pressioni al Csm. Ma non confondiamo foruncoli e cancrena.
Foruncoli e cancrene
Tuttavia a volte mi pare che l'ossessione di Berlusconi per i talk show sia un po' esagerata. Fossi uno dei suoi cicisbei proverei a dirglielo: ma di che ti preoccupi? Hai mai perso un'elezione per Floris o Santoro? No, fidati, nemmeno una. E sono il primo a pensare che la tv i voti li sposta. Ma non quella tv. Io penso alla tv che guardano tutti: al tg5, al tg1; credo pure che, in qualche modo contorto, anche Striscia e i reality di prima serata movimentino voti (Busi comunque è fuori dai giochi); e poi non bisogna sottovalutare quei programmini che di voti non ne spostano, ma se li tengono tutti bene stretti, senza perderne nemmeno uno, come ad esempio il telegiornalino di Emilio Fede... ecco, a proposito, come sta il ragazzo? io se fossi Berl. mi preoccuperei più per la salute di Fede che per l'orazione settimanale di Travaglio. Quelli che guardano Travaglio li darei per persi: non si può piacere a tutti, uno dei segreti di Berlusconi è che non ci ha mai provato. (Si è sempre contentato di sedurre il cinquantadue e irritare il 48 per cento).
Tuttavia quando Berlusconi afferma che "non c'è nessuna televisione europea dove ci sono questi pollai" [dove per “pollai” si intendono i vari talk show di centrosinistra] non ha tutti i torti. Anche Vespa e Santoro a suo modo sono anomalie. Un mese fa Santoro scrisse una bella lettera a Travaglio rivendicando addirittura un primato 'strategico' del talk su altre trasmissioni che si limitano a fare reportage, come Report. A mio modesto avviso anche ad Annozero erano i reportage a fare la differenza, non i battibecchi, ma evidentemente Santoro non è del mio parere e ci crede ancora (nel 2010...) al Battibecco come strumento di lotta politica, di informazione, di chennesò: a punto di rimbrottare Travaglio che di battibeccare con i soliti pupazzi era stanco. Nel resto del mondo non credo che vada così: nel resto del mondo il talk è una forma d'intrattenimento, non di giornalismo d'inchiesta. Nel resto del mondo civile i pollai esistono, ma fanno i pollai; mentre i rami del parlamento fanno i rami del parlamento. In Italia c'è confusione tra le due cose, e Santoro in questa confusione ci ha prosperato. Producendo a tratti ottima televisione, ma anche cose imbarazzanti (come l'ultima, demenziale puntata di Annozero sulla droga, per la quale rimando a Malvestite).
Tuttavia c'è qualcosa di più esagerato dell'ossessione di Berlusconi per Santoro (e Floris) ed è la nostra ossessione per l'ossessione di Berlusconi per Santoro (e Floris). O in generale per l'ultima malefatta di B. in ordine di tempo. Per esempio, quando abbiamo scoperto che Berlusconi andava ai compleanni delle minorenni siamo diventati tutti femministi. Tutti. Subito. La settimana scorsa ci accorgiamo che il vecchio porco ha problemi con timbri e firme e diventiamo degli appassionati di timbri e firme (il che è ancora meno credibile della frenesia femminista di un anno fa). E adesso tocca difendere Santoro. Di cosa stiamo parlando, in realtà? Di un sintomo. Uno fra tanti. Mettiamo che Berlusconi sia un'orribile malattia degenerativa che colpisce le democrazie immature. Fingiamo che questa malattia abbia numerosi sintomi: perdita della vista e dell'udito, schizofrenia e paranoia, gli arti vanno in cancrena, e sul naso qualche orribile foruncolo. Ecco, mi sembra che noi stiamo fissando un po' troppo il foruncolo. Il foruncolo poi non è mai uno solo: ne spuntano diversi; grosso modo ce n'è sempre uno più grande degli altri che attira l'attenzione di noi medici antiberlusconiani. Per esempio, l'anno scorso di questi giorni scoppiò il foruncolo del gallismo: tutti a vedere Videocracy e Il corpo delle donne. Poi il foruncolo rientrò (in concomitanza col ritrovamento di foruncoli trans su governatori di centrosinistra), e sembrò scoppiare quello mafioso: Berlusconi era colluso con la mafia, quindi improvvisamente ci ricordammo di essere tutti grandi ammiratori di Falcone e Borsellino. Il che è vero, tra parentesi, ma... fermi tutti, Berlusconi ha fatto chiudere Santoro! E Floris! è un attacco al pluralismo. Va bene, mettiamoci pure a criticare l'attacco al pluralismo dell'informazione televisiva di uno che ha il monopolio della suddetta da vent'anni. Continuiamo a strizzare foruncoli a un malato terminale; a pretendere rispetto delle regole da uno che le regole se l'è mangiate digerite e cagate da tempo; a chiedere l'intervento di un arbitro (il presidente della Repubblica, o la magistratura) che sovverta un risultato che è stato comprato anni fa. Un antiberlusconismo così superficiale è perfettamente complementare al berlusconismo: è quel tipo di rancore che lo stesso Berlusconi nutre con un dosaggio sapiente di arroganza e faccia tosta. L'importante è che le prime cinque o sei pagine dei quotidiani parlino di lui: dei foruncoli e non della cancrena.
Sabato c'è stata la manifestazione antiberlusconiana per il rispetto delle regole. Anche se è probabilmente stata un successo, io trovo pochi motivi per festeggiare. Quel giorno era in programma un'altra mobilitazione che è passata del tutto in secondo piano. Una mobilitazione per la scuola pubblica.
La scuola non ha il pubblico dei talk show di Santoro (e Floris). È un'istituzione con cui ha a che fare la maggioranza degli italiani e – ciò che è più importante – la totalità degli italiani di domani. Poi, incidentalmente, è il settore dove lavoro io. A me in realtà dispiace venir qui a rovesciare frustrazioni che almeno dovrei cercare di rivestire di ironia o letteratura, ma devo dire che questo settore sta cadendo a pezzi, a vista d'occhio. Fino a un paio di anni fa era la solita scuola italiana con tanti problemi ma un cuore grande così. Poi ci sono stati i tagli delle cattedre. Prima se ne sono andati via i più giovani, quelli che erano appena approdati al ruolo. Poi sono caduti i colleghi stanchi, quelli coi problemi di salute. Quest'estate ci lascerà anche qualche senatore, quelli indistruttibili che però saranno pensionati con la forza. I buchi che lasciano non vengono riempiti. Le supplenze non vengono nominate. Le classi restano a volte in mezzo a un corridoio, ad aspettare qualcuno che nessuno ha chiamato (il preside ha altro da fare, postdatare assegni per forniture di cancelleria, cose così), anche solo un bidello che comunque è stato tagliato pure lui. A settembre gli insegnanti superstiti tentavano di metterci una pezza, ma era abbastanza chiaro che si trattava di regalare ore di lavoro gratis alla Gelmini. Adesso c'è molta stanchezza in giro: non si fanno più progetti, non si va in gita. Nel mezzo di tutta questa confusione ci sono meravigliose lavagne elettroniche interattive regalate dal ministero che nessuno sa usare (gli insegnanti più giovani non sono stati più assunti dal ministero). Nel frattempo la Gelmini è riuscita a strascicare la sua miracolosa Riforma della Scuola Superiore a un punto che gli studenti, che dovevano scegliere in gennaio, non sanno ancora che scuola frequenteranno in settembre. Tutto questo sta succedendo in tutte le vostre scuole, in tutte le vostre città. E mi chiedo: ma non si perdono le elezioni così? Non si perdono perché stai rovinando un anno scolastico a milioni di ragazzi in tutta Italia, e i genitori se ne accorgono? No? Si perdono perché sospendi un talk show?
Questo è lo smantellamento della scuola pubblica. Non è un foruncolo: questa è la cancrena. Questa è la perdita della vista, della capacità di guardare avanti, a quelli che verranno dopo di noi, anzi, ci sono già (ché noi il nostro tempo ormai l'avremmo anche già avuto). Ce ne preoccupiamo? Tanto per fare un esempio concreto: oggi Repubblica, organo dell'antiberlusconismo ponderato, cosa aveva in prima pagina? Il foruncolo (“Berlusconi all'attacco del Csm”, nientemeno. Ci dev'essere un cassetto a Repubblica dove tengono i titoli buoni per tutte le stagioni) A pagina due? Foruncolo. Tre, cinque, sei, sette: foruncolo (a pag. 4 pubblicità di abbigliamento). Sulla scuola neanche un trafiletto, neanche un corsivo nella pagina delle opinioni, e sì che ieri Intravaia aveva ben reso la situazione. Evidentemente non è una priorità. La priorità è Santoro (e Floris), quando tra quindici anni rischiamo di avere un pubblico medio che non riuscirà nemmeno a leggere i titoli delle trasmissione di Santoro (e Floris).
Il problema qui non è essere o no antiberlusconiani. Il punto è esserlo davvero, lasciando perdere le provocazioni e i foruncoli quotidiani che infastidiscono, sì, ma non possono distrarci. Su un quotidiano antiberlusconiano ci dovrebbero essere due pagine di scuola tutti i giorni. Le storie ci sono dappertutto, non ci vogliono segugi a trovarle: date un'occhiata ai blog, c'è un istituto a Genova dove i prof si pagano le fotocopie? Intervistarli subito, perché il vero berlusconismo è questo. Le scuole. La sanità. La protezione civile. I rifiuti. E poi sì, le telefonate intimidatorie e le pressioni al Csm. Ma non confondiamo foruncoli e cancrena.
lunedì 15 marzo 2010
Prete, sposa te stesso
(D: Cosa c'è peggio di un prete pedofilo?)
(R: un prete pedofilo sposato).
(R: un prete pedofilo sposato).
Ho una teoria #14, sull'Unità.it. Si commenta di là.
Vedremo mai preti cattolici sposati? Difficile. Probabilmente non esiste nessun piano segreto della Chiesa cattolica per “abolire il celibato in 50 anni”, come titolava la Repubblica venerdì scorso. Qualche giorno prima il cardinale Schoenborn, arcivescovo di Vienna, aveva ammesso che dietro ai numerosi casi di abusi sessuali commessi da preti potrebbe esserci un problema di educazione, e che il tema del celibato andrebbe forse ridiscusso. Una mezza ammissione prontamente smentita: niente matrimonio per i preti, né tra 50 anni né mai.
In effetti c'è una buona dose di ingenuità nel considerare il matrimonio una soluzione al problema della pedofilia. Molti dei 'mostri' che la cronaca ci ha messo davanti negli ultimi anni erano regolarmente sposati, con mogli che non sospettavano o che a volte erano complici (come nel memorabile caso di Marcinelle). Se è vero che i preti che hanno commesso abusi sono una percentuale straordinariamente alta (quasi il 4%, secondo il cardinale Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero), è anche vero che per il bambino c'è sempre un posto meno sicuro del seminario: la propria casa. Gran parte degli abusi sessuali su minori vengono commessi entro le mura domestiche, da genitori, parenti, amici di famiglia.
Chi propone di risolvere il problema sposando i preti non fa che sostituire un'istituzione forse in crisi (il celibato sacerdotale) con un'altra (il matrimonio) che in crisi è sicuramente. Un prete sposato sarebbe al riparo dalle “tentazioni” (per usare il gergo cattolico), o dalle pulsioni devianti (per usarne uno laico). Basta guardarsi intorno per rammentare che purtroppo le cose vanno diversamente. Il matrimonio è un impegno che si contrae con la propria coscienza. Proprio come il voto sacerdotale. Chi viola il secondo, perché dovrebbe sentirsi obbligato dal primo?
Gli esponenti del Clero cattolico che in questi giorni si lamentano di essere il bersaglio di un “sensazionalismo mediatico” hanno insieme torto e ragione. Hanno torto, perché i numeri da loro stessi ammessi sono veramente sensazionali: quattro preti pedofili su cento non sono pochi, sono un'emergenza. Hanno ragione, perché circoscrivere alla Chiesa cattolica il problema degli abusi sessuali è riduttivo, e forse dipende da una scelta editoriale deliberata. Nei Paesi dove altre confessioni cristiane sono radicate come il cattolicesimo in Italia o in Irlanda, la percentuale di pastori protestanti accusati dei medesimi abusi è altrettanto alta, anche se (lamentano i vescovi), fa meno scalpore... Può darsi che la struttura piramidale della Chiesa cattolica renda in un qualche modo più spettacolari le accuse ai membri di quest'ultima: un oscuro pastore di provincia scoperto ad allungare le mani resta una triste storia di provincia; un pretino cattolico trovato nella medesima situazione evoca la complicità di Benedetto XVI (tanto peggio se poi quest'ultimo ha un fratello che dirigeva un coro in modo un po' manesco).
I sacerdoti – cattolici, protestanti, ortodossi – sono evidentemente una categoria a rischio. Una percentuale non irrilevante è portata a commettere abusi sessuali sui minori. Non a causa del voto di celibato (che protestanti e ortodossi non osservano), ma perché, banalmente, la loro vocazione consente loro di interagire con molti bambini, in una posizione di potere, e godendo della fiducia delle famiglie e della comunità. Questo era vero soprattutto fino alla metà del secolo scorso, quando alle Chiese era ancora appaltata in blocco l'istruzione, anche attraverso quel luogo concentrazionario che era il collegio. Lì è probabile che l'abuso sessuale venisse praticato in modo sistematico: che fosse impartito e vissuto come un trapasso di potere e di coscienza. Questo spiegherebbe anche il fatto che la maggior parte delle accuse riguardino fatti avvenuti ormai più di venti anni fa. Quindi l'emergenza è già in via di soluzione? In un certo senso sì. Ironicamente (secondo questa mia teoria) ciò che tirerà fuori dai guai la Chiesa è proprio un suo nemico giurato: l'istruzione laica, che mettendosi tra i preti e i bambini forse non ha messo i secondi al sicuro, ma almeno ha messo i primi al riparo dalle tentazioni. Non è un caso che oggi i 'mostri' che più spesso arrivano in prima pagina siano educatori o insegnanti (anche se quasi mai le accuse nei loro confronti si rivelano fondate... ma questo è un altro discorso).
In effetti c'è una buona dose di ingenuità nel considerare il matrimonio una soluzione al problema della pedofilia. Molti dei 'mostri' che la cronaca ci ha messo davanti negli ultimi anni erano regolarmente sposati, con mogli che non sospettavano o che a volte erano complici (come nel memorabile caso di Marcinelle). Se è vero che i preti che hanno commesso abusi sono una percentuale straordinariamente alta (quasi il 4%, secondo il cardinale Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero), è anche vero che per il bambino c'è sempre un posto meno sicuro del seminario: la propria casa. Gran parte degli abusi sessuali su minori vengono commessi entro le mura domestiche, da genitori, parenti, amici di famiglia.
Chi propone di risolvere il problema sposando i preti non fa che sostituire un'istituzione forse in crisi (il celibato sacerdotale) con un'altra (il matrimonio) che in crisi è sicuramente. Un prete sposato sarebbe al riparo dalle “tentazioni” (per usare il gergo cattolico), o dalle pulsioni devianti (per usarne uno laico). Basta guardarsi intorno per rammentare che purtroppo le cose vanno diversamente. Il matrimonio è un impegno che si contrae con la propria coscienza. Proprio come il voto sacerdotale. Chi viola il secondo, perché dovrebbe sentirsi obbligato dal primo?
Gli esponenti del Clero cattolico che in questi giorni si lamentano di essere il bersaglio di un “sensazionalismo mediatico” hanno insieme torto e ragione. Hanno torto, perché i numeri da loro stessi ammessi sono veramente sensazionali: quattro preti pedofili su cento non sono pochi, sono un'emergenza. Hanno ragione, perché circoscrivere alla Chiesa cattolica il problema degli abusi sessuali è riduttivo, e forse dipende da una scelta editoriale deliberata. Nei Paesi dove altre confessioni cristiane sono radicate come il cattolicesimo in Italia o in Irlanda, la percentuale di pastori protestanti accusati dei medesimi abusi è altrettanto alta, anche se (lamentano i vescovi), fa meno scalpore... Può darsi che la struttura piramidale della Chiesa cattolica renda in un qualche modo più spettacolari le accuse ai membri di quest'ultima: un oscuro pastore di provincia scoperto ad allungare le mani resta una triste storia di provincia; un pretino cattolico trovato nella medesima situazione evoca la complicità di Benedetto XVI (tanto peggio se poi quest'ultimo ha un fratello che dirigeva un coro in modo un po' manesco).
I sacerdoti – cattolici, protestanti, ortodossi – sono evidentemente una categoria a rischio. Una percentuale non irrilevante è portata a commettere abusi sessuali sui minori. Non a causa del voto di celibato (che protestanti e ortodossi non osservano), ma perché, banalmente, la loro vocazione consente loro di interagire con molti bambini, in una posizione di potere, e godendo della fiducia delle famiglie e della comunità. Questo era vero soprattutto fino alla metà del secolo scorso, quando alle Chiese era ancora appaltata in blocco l'istruzione, anche attraverso quel luogo concentrazionario che era il collegio. Lì è probabile che l'abuso sessuale venisse praticato in modo sistematico: che fosse impartito e vissuto come un trapasso di potere e di coscienza. Questo spiegherebbe anche il fatto che la maggior parte delle accuse riguardino fatti avvenuti ormai più di venti anni fa. Quindi l'emergenza è già in via di soluzione? In un certo senso sì. Ironicamente (secondo questa mia teoria) ciò che tirerà fuori dai guai la Chiesa è proprio un suo nemico giurato: l'istruzione laica, che mettendosi tra i preti e i bambini forse non ha messo i secondi al sicuro, ma almeno ha messo i primi al riparo dalle tentazioni. Non è un caso che oggi i 'mostri' che più spesso arrivano in prima pagina siano educatori o insegnanti (anche se quasi mai le accuse nei loro confronti si rivelano fondate... ma questo è un altro discorso).
martedì 9 marzo 2010
Alle mie quotidiane verginelle
(An English version)
Con tanto affetto
Buonasera, chi scrive queste righe non è il solito autore del blog Leonardo, bensì Silvio Berlusconi. Cioè io. Sì, sono Silvio.
Prevedo la vostra domanda: come fa Berlusconi ad avere accesso al blog Leonardo? Esattamente nello stesso modo in cui ho avuto accesso ai lotti di Milano2, a Telemilano, a certi fondi che poi sono diventati la Fininvest, alla Mediaset, alla Rai, alla Telecom, a tutto quanto: omissis. Rassegnatevi, probabilmente ho anche la password del vostro blog. Salvo che scrivere sul vostro blog non è divertente. Neanche su Leonardo non è che ci venga così spesso. A volte di notte mi intrufolo negli articoli già scritti, storpio un congiuntivo qua, piazzo un accento sbagliato là, ciò è meglio del sesso.
Stasera però ho deciso di scrivervi una letterina perché vi stimo, cari lettori di Leonardo, e vorrei spiegarvi meglio cosa sta succedendo. Tutta questa fregola procedurale degli ultimi giorni, vi dirò la verità, mi ha un po' colpito. A leggere un po' in giro si direbbe che io abbia fatto un golpe. Il che ci starebbe anche, salvo che l'ho fatto più o meno vent'anni fa. Devo rifarvi il riassunto? Ho occupato una posizione dominante nell'etere televisivo e soprattutto nel mercato della pubblicità audiovisiva; poi ho creato un partito e ho usato tv e giornali per farmi pubblicità, pompando emergenze farlocche come la criminalità. Quando c'erano problemi pagavo chi c'era da pagare, oppure stiracchiavo il processo fino alla proscrizione. Non si contano gli abusi che ho praticato, eppure tutto questo nel giro di una settimana sta passando in secondo piano, rispetto al crimine che avrei commesso, emanando... udite udite... un decreto attuativo. Golpe!
Ma ci siete con la testa?
Ma vi rendete conto che io vi sto fottendo da anni, e che continuerò a farlo? Vi ho rubato l'etere, vi ho rubato l'immaginario, ho preso i vostri sogni e li ho bombati di silicone; vi ho preso i giornali, la scuola, la ricerca! Vi ho succhiato l'anima! E continuerò, perché è divertente! Ma voi vi lamentate perché entrando non mi sono messo le pattine. Poi sareste quelli intelligenti, voi.
Ma sul serio pensate che io quella leggina l'abbia fatta scrivere perché voglio vincere ad ogni costo? Io? Ad ogni costo? Vincere cosa, le amministrative? Io sono il Presidente del Milan, ho messo insieme cinque champions e tre intercontinentali, secondo voi m'interessa un buon piazzamento in Mitropa? Non-me-ne-può-fregar-di-meno delle Amministrative, è chiaro? Anzi, volete sapere la verità? Ci terrei che le vincesse il Pd. Non tutte, ma un bel po'. In effetti sto facendo sponda con Pierluigi.
È un brav'uomo il Pierluigi, abbiamo lo stesso segno zodiacale. Ma soprattutto in questa fase abbiamo interessi in comune. Lui deve dimostrare di saper tirare quella zattera della Medusa che è il Pd (s'intende che in Italia può sopravvivere soltanto l'opposizione che io lascio sopravvivere, ok?) Io per conto mio devo sistemare tutta una serie di beghe interne, purgare il partito, avvelenare i pozzi a Fini, questo genere di cose. Per cui figuratevi se mi può interessare la vittoria della Polverini. A me. La Polverini. Finiana, sindacalista e racchia – ma per chi m'avete preso? Guardate, se fosse per me darei una mano anche a Penati, anche se contro CL a Milano l'è dura. Ma se cascasse il Robertino con tutto il Pirellone, io non ci spenderei nemmeno una lacrima, state pur tranquilli. Quelli devono capire chi comanda, cioè io. Son convinti di poter fare a meno di me da un momento all'altro – di avere la loro rete alternativa coi vescovi, le ausl, la compagnia, le opere... potessi stenderli con un colpo solo, ma credete che non lo farei? Però devo agire con discrezione. Comunque più di così per Penati non posso fare.
Perché, vi chiederete, cos'ho fatto per Penati... Ma insomma, su. L'ho rimesso in gara, col decreto. Adesso sì che può vincere, se siete abbastanza incazzati con me da andare a votarlo. Prima no. Non si può vincere a tavolino in politica, fidatevi. Ma avete capito com'è fatta l'Italia? Vabbè, vi spiego. Ci sono venti regioni. I presidenti delle Regioni contano un sacco. Ma solo se vanno d'accordo coi presidenti delle Province e coi sindaci dei capoluoghi importanti – sennò ciccia, restano chiusi nel palazzo cinque anni a deliberare a vuoto. Adesso voi immaginatevi Penati presidente della Lombardia a tavolino. Gli viene in mente – non so – di riorganizzare le ausl. Va a parlarne con chi, con la Moratti? Gli ride in faccia la Letizia, al Penati. Uè, Penati, cos'è che vuoi fare? Per conto di chi? Me m'ha eletto il popolo sovrano, e te? Vuoi che ne parliamo in una stanza io te e Podestà? Tempo sprecato, non trovi? Da' retta, torna al Pirellone a guardare il tramonto.
Adesso non crediate che io non capisca il discorso procedure. Lo so che sono importanti. Ma c'è anche la sostanza, e la sostanza è che se lasciate il Penati per cinque anni su una poltrona inutile, si deprime lui e vi deprimete anche voi. E io non ve lo posso permettere, sapete? Ho bisogno anche di voi. Ho bisogno di un nemico scattante, che ogni tanto minacci di vincere qualche elezione seria – giusto le amministrative, perché le altre elezioni m'interessano. Scusate, eh! Se le veline e le odontotecniche preferiscono andare a Bruxelles piuttosto che nel Consiglio Comunale di Abbiategrasso. Comunque, se non vincete ogni tanto, il corpo elettorale mi s'ammoscia. Ho bisogno del Pericolo Rosso da sventolare ogni tanto ai miei elettori. C'è bisogno di spiegarvelo? Evidentemente sì.
Allora, la situazione prima di venerdì era questa: senza decreto, la Bonini e il Penati avrebbero avuto le loro vittorie di Pirro. I miei uomini si sarebbero messi a urlare in tutti i giornali e i telegiornali che al popolo era stato tolto un diritto (per una volta magari non avevano neanche torto. Gli togliete un diritto per un timbro?) A voi sarebbe venuta la depressione due ore dopo i festeggiamenti. Lo sapete perché? Perché voi è da anni che sapete di vivere in un regime. Non fate che ripetere, regime!, regime!, regime! Siamo all'ottocentesimo posto per il rispetto dei diritti di sarcazzo. Molto bene. Ma poi dovevate spiegare ai francesi o ai tedeschi che razza di regime sia quello dove vi lasciano vincere elezioni a tavolino per una questione di firme e timbri. Vi rendete conto? Senza questo decreto, sareste rimasti senza argomenti! E vi lamentate pure.
Pensate che io stia giocando sporco? Ma voi non avete nemmeno idea... ma credete che i vostri uomini siano immacolati? Pierluigi? Di Pietro? Sentite, ma avete idea di che mercato ci sia intorno alla composizione delle liste? I radicali – il più pulito c'ha la rogna – hanno fatto presente che le firme di Formigoni erano state autenticate prima che la lista fosse chiusa. Scandalo! Come no! Allora, se io avessi voluto veramente giocare sporco, avrei fatto così: prima vi lasciavo vincere a tavolino, poi un bel ricorso. Dieci, cento bei ricorsi... Andiamo a vedere quante autentiche hanno il timbro giusto con la data giusta, dai, andiamo. Andiamo da Di Pietro. Ehi, a proposito, se a Bologna Errani vince il terzo mandato cosa succede? Perché eh, c'è una legge che dice che non si può, cosa faccio? Non la impugno? Potete impugnarle solo voi? Andiamo a vedere i Radicali, su – quelli che nel 1994 per raccogliere le firme di un referendum si fecero votare una proroga su misura? Ma non capite che quelli conoscono il regolamento a menadito perché sono anni che lo fottono da dietro e da davanti? E voi vi fate dare lezioni di procedura dai... Radicali? Da Miss Disobbediente Civile Bonino? Dove per disobbedienza civile s'intende soltanto disobbedire alle leggi che non piacciono alla Bonino; se a un Berlusconi salta il ticchio di interpretare a modo suo una normativa elettorale un po' ambigua... scandalo! Però poi pretendete di vivere sotto un regime. Allora, decidetevi: se è un regime potrò ben interpretare le normative come mi va. Mi sembra il minimo. Se è un regime dovete rovesciarmi, altro che attaccarvi alle procedure. Pinochet non l'hanno mica sollevato perché si era sbagliato coi timbri.
Lo so che non mi rovescerete mai. È questo il bello. Siete meravigliosi gattini che affilano le unghiette sulla Costituzione. Quanto vi riempie quella Costituzione, è una cosa incredible. Io vi fotto i figli e voi vi lamentate perché non ho usato un timbro tondo. Allora torno a fottervi il cane a voi a fiaccolare perché sulla firma mancava l'autentica. E poi pensate che l'anomalia sia io. Io sono quello che dà un senso alla vostra vita, altroché. Adesso è tutto ok, non capite? Ho fatto la leggina cattiva cattiva e voi potete iscrivervi al gruppo su facebook anti-leggina cattiva cattiva. Se esce il sole potete pure uscire in piazza. A lamentarvi con me? No, macché, ve la prenderete col vecchietto. Siete adorabili. Secondo voi il vecchietto doveva trovare una manifesta incostituzionalità in un decreto attuativo. Ma lo capite che ci sono i giudici per questo? Ovviamente loro me la casseranno. Ovviamente io griderò ai miei elettori che è tutto un complotto dei giudici contro di me. Sono tutti schemi lungamente riprovati in allenamento, dovreste saperli a memoria, ormai. Ma ogni volta che vi fotto, come dire, sembra sempre la prima volta.
Forse è per quello che non riesco a stancarmene.
Grazie per l'attenzione,
Vostro
SB.
Con tanto affetto
Buonasera, chi scrive queste righe non è il solito autore del blog Leonardo, bensì Silvio Berlusconi. Cioè io. Sì, sono Silvio.
Prevedo la vostra domanda: come fa Berlusconi ad avere accesso al blog Leonardo? Esattamente nello stesso modo in cui ho avuto accesso ai lotti di Milano2, a Telemilano, a certi fondi che poi sono diventati la Fininvest, alla Mediaset, alla Rai, alla Telecom, a tutto quanto: omissis. Rassegnatevi, probabilmente ho anche la password del vostro blog. Salvo che scrivere sul vostro blog non è divertente. Neanche su Leonardo non è che ci venga così spesso. A volte di notte mi intrufolo negli articoli già scritti, storpio un congiuntivo qua, piazzo un accento sbagliato là, ciò è meglio del sesso.
Stasera però ho deciso di scrivervi una letterina perché vi stimo, cari lettori di Leonardo, e vorrei spiegarvi meglio cosa sta succedendo. Tutta questa fregola procedurale degli ultimi giorni, vi dirò la verità, mi ha un po' colpito. A leggere un po' in giro si direbbe che io abbia fatto un golpe. Il che ci starebbe anche, salvo che l'ho fatto più o meno vent'anni fa. Devo rifarvi il riassunto? Ho occupato una posizione dominante nell'etere televisivo e soprattutto nel mercato della pubblicità audiovisiva; poi ho creato un partito e ho usato tv e giornali per farmi pubblicità, pompando emergenze farlocche come la criminalità. Quando c'erano problemi pagavo chi c'era da pagare, oppure stiracchiavo il processo fino alla proscrizione. Non si contano gli abusi che ho praticato, eppure tutto questo nel giro di una settimana sta passando in secondo piano, rispetto al crimine che avrei commesso, emanando... udite udite... un decreto attuativo. Golpe!
Ma ci siete con la testa?
Ma vi rendete conto che io vi sto fottendo da anni, e che continuerò a farlo? Vi ho rubato l'etere, vi ho rubato l'immaginario, ho preso i vostri sogni e li ho bombati di silicone; vi ho preso i giornali, la scuola, la ricerca! Vi ho succhiato l'anima! E continuerò, perché è divertente! Ma voi vi lamentate perché entrando non mi sono messo le pattine. Poi sareste quelli intelligenti, voi.
Ma sul serio pensate che io quella leggina l'abbia fatta scrivere perché voglio vincere ad ogni costo? Io? Ad ogni costo? Vincere cosa, le amministrative? Io sono il Presidente del Milan, ho messo insieme cinque champions e tre intercontinentali, secondo voi m'interessa un buon piazzamento in Mitropa? Non-me-ne-può-fregar-di-meno delle Amministrative, è chiaro? Anzi, volete sapere la verità? Ci terrei che le vincesse il Pd. Non tutte, ma un bel po'. In effetti sto facendo sponda con Pierluigi.
È un brav'uomo il Pierluigi, abbiamo lo stesso segno zodiacale. Ma soprattutto in questa fase abbiamo interessi in comune. Lui deve dimostrare di saper tirare quella zattera della Medusa che è il Pd (s'intende che in Italia può sopravvivere soltanto l'opposizione che io lascio sopravvivere, ok?) Io per conto mio devo sistemare tutta una serie di beghe interne, purgare il partito, avvelenare i pozzi a Fini, questo genere di cose. Per cui figuratevi se mi può interessare la vittoria della Polverini. A me. La Polverini. Finiana, sindacalista e racchia – ma per chi m'avete preso? Guardate, se fosse per me darei una mano anche a Penati, anche se contro CL a Milano l'è dura. Ma se cascasse il Robertino con tutto il Pirellone, io non ci spenderei nemmeno una lacrima, state pur tranquilli. Quelli devono capire chi comanda, cioè io. Son convinti di poter fare a meno di me da un momento all'altro – di avere la loro rete alternativa coi vescovi, le ausl, la compagnia, le opere... potessi stenderli con un colpo solo, ma credete che non lo farei? Però devo agire con discrezione. Comunque più di così per Penati non posso fare.
Perché, vi chiederete, cos'ho fatto per Penati... Ma insomma, su. L'ho rimesso in gara, col decreto. Adesso sì che può vincere, se siete abbastanza incazzati con me da andare a votarlo. Prima no. Non si può vincere a tavolino in politica, fidatevi. Ma avete capito com'è fatta l'Italia? Vabbè, vi spiego. Ci sono venti regioni. I presidenti delle Regioni contano un sacco. Ma solo se vanno d'accordo coi presidenti delle Province e coi sindaci dei capoluoghi importanti – sennò ciccia, restano chiusi nel palazzo cinque anni a deliberare a vuoto. Adesso voi immaginatevi Penati presidente della Lombardia a tavolino. Gli viene in mente – non so – di riorganizzare le ausl. Va a parlarne con chi, con la Moratti? Gli ride in faccia la Letizia, al Penati. Uè, Penati, cos'è che vuoi fare? Per conto di chi? Me m'ha eletto il popolo sovrano, e te? Vuoi che ne parliamo in una stanza io te e Podestà? Tempo sprecato, non trovi? Da' retta, torna al Pirellone a guardare il tramonto.
Adesso non crediate che io non capisca il discorso procedure. Lo so che sono importanti. Ma c'è anche la sostanza, e la sostanza è che se lasciate il Penati per cinque anni su una poltrona inutile, si deprime lui e vi deprimete anche voi. E io non ve lo posso permettere, sapete? Ho bisogno anche di voi. Ho bisogno di un nemico scattante, che ogni tanto minacci di vincere qualche elezione seria – giusto le amministrative, perché le altre elezioni m'interessano. Scusate, eh! Se le veline e le odontotecniche preferiscono andare a Bruxelles piuttosto che nel Consiglio Comunale di Abbiategrasso. Comunque, se non vincete ogni tanto, il corpo elettorale mi s'ammoscia. Ho bisogno del Pericolo Rosso da sventolare ogni tanto ai miei elettori. C'è bisogno di spiegarvelo? Evidentemente sì.
Allora, la situazione prima di venerdì era questa: senza decreto, la Bonini e il Penati avrebbero avuto le loro vittorie di Pirro. I miei uomini si sarebbero messi a urlare in tutti i giornali e i telegiornali che al popolo era stato tolto un diritto (per una volta magari non avevano neanche torto. Gli togliete un diritto per un timbro?) A voi sarebbe venuta la depressione due ore dopo i festeggiamenti. Lo sapete perché? Perché voi è da anni che sapete di vivere in un regime. Non fate che ripetere, regime!, regime!, regime! Siamo all'ottocentesimo posto per il rispetto dei diritti di sarcazzo. Molto bene. Ma poi dovevate spiegare ai francesi o ai tedeschi che razza di regime sia quello dove vi lasciano vincere elezioni a tavolino per una questione di firme e timbri. Vi rendete conto? Senza questo decreto, sareste rimasti senza argomenti! E vi lamentate pure.
Pensate che io stia giocando sporco? Ma voi non avete nemmeno idea... ma credete che i vostri uomini siano immacolati? Pierluigi? Di Pietro? Sentite, ma avete idea di che mercato ci sia intorno alla composizione delle liste? I radicali – il più pulito c'ha la rogna – hanno fatto presente che le firme di Formigoni erano state autenticate prima che la lista fosse chiusa. Scandalo! Come no! Allora, se io avessi voluto veramente giocare sporco, avrei fatto così: prima vi lasciavo vincere a tavolino, poi un bel ricorso. Dieci, cento bei ricorsi... Andiamo a vedere quante autentiche hanno il timbro giusto con la data giusta, dai, andiamo. Andiamo da Di Pietro. Ehi, a proposito, se a Bologna Errani vince il terzo mandato cosa succede? Perché eh, c'è una legge che dice che non si può, cosa faccio? Non la impugno? Potete impugnarle solo voi? Andiamo a vedere i Radicali, su – quelli che nel 1994 per raccogliere le firme di un referendum si fecero votare una proroga su misura? Ma non capite che quelli conoscono il regolamento a menadito perché sono anni che lo fottono da dietro e da davanti? E voi vi fate dare lezioni di procedura dai... Radicali? Da Miss Disobbediente Civile Bonino? Dove per disobbedienza civile s'intende soltanto disobbedire alle leggi che non piacciono alla Bonino; se a un Berlusconi salta il ticchio di interpretare a modo suo una normativa elettorale un po' ambigua... scandalo! Però poi pretendete di vivere sotto un regime. Allora, decidetevi: se è un regime potrò ben interpretare le normative come mi va. Mi sembra il minimo. Se è un regime dovete rovesciarmi, altro che attaccarvi alle procedure. Pinochet non l'hanno mica sollevato perché si era sbagliato coi timbri.
Lo so che non mi rovescerete mai. È questo il bello. Siete meravigliosi gattini che affilano le unghiette sulla Costituzione. Quanto vi riempie quella Costituzione, è una cosa incredible. Io vi fotto i figli e voi vi lamentate perché non ho usato un timbro tondo. Allora torno a fottervi il cane a voi a fiaccolare perché sulla firma mancava l'autentica. E poi pensate che l'anomalia sia io. Io sono quello che dà un senso alla vostra vita, altroché. Adesso è tutto ok, non capite? Ho fatto la leggina cattiva cattiva e voi potete iscrivervi al gruppo su facebook anti-leggina cattiva cattiva. Se esce il sole potete pure uscire in piazza. A lamentarvi con me? No, macché, ve la prenderete col vecchietto. Siete adorabili. Secondo voi il vecchietto doveva trovare una manifesta incostituzionalità in un decreto attuativo. Ma lo capite che ci sono i giudici per questo? Ovviamente loro me la casseranno. Ovviamente io griderò ai miei elettori che è tutto un complotto dei giudici contro di me. Sono tutti schemi lungamente riprovati in allenamento, dovreste saperli a memoria, ormai. Ma ogni volta che vi fotto, come dire, sembra sempre la prima volta.
Forse è per quello che non riesco a stancarmene.
Grazie per l'attenzione,
Vostro
SB.
lunedì 8 marzo 2010
Bisogna saper pppp
Stavolta vince mica.
Il bello è che lo sa.
Il brutto è che gli sta bene.
Ho una teoria #13, con un argomento inedito: Berlusconi!
Si commenta di là.
Si commenta di là.
Il capo si è fatto sentire. Dopo aver lasciato per mesi il suo nuovo partito in balia di galoppini riottosi e pasticcioni, all'ultimo momento è intervenuto a salvarlo dall'inevitabile figuraccia. Il PdL si presenterà alle elezioni in Lazio e in Lombardia, malgrado non abbia rispettato le regole: si presenterà, perché il capo ha voluto così, e quel che il capo vuole è legge, pardon, decreto attuativo. Ma vincerà? Non è detto. La mobilitazione democratica degli ultimi giorni potrebbe riportare alle urne una parte dell'elettorato di sinistra fin qui tiepido nei confronti del PD. Il capo probabilmente ha calcolato anche questo. Ma forse la cosa non lo preoccupa più di tanto.
Ho una teoria: forse stavolta a Berlusconi non dispiacerebbe perdere un po'. O al limite pareggiare – il che equivale a una sconfitta, quando ormai si possiede il campo e buona parte degli arbitri. I pasticci di Lazio e Lombardia non sono semplici casi di disorganizzazione, ma indizi del cupio dissolvi, della neanche tanto inconfessabile voglia di autodistruzione che circola al vertice del PdL. Vittorio Feltri già da un po' parla di partito da rifare, di sconfitta probabile; ne parla col tono sgamato a cui erano abituati i lettori di Libero, salvo che ora scrive su un quotidiano della famiglia Berlusconi. Il Giornale non ha pudore a definire il PdL come un “partito di matti” (Sallusti, 1/3/10), a indicare la necessità di un “azzeramento” dopo le elezioni. Una purga del genere sarebbe difficile da somministrare in caso di vittoria; viceversa, una sconfitta la renderebbe inevitabile. Lo stesso decreto salva-liste avrebbe un senso simbolico: Polverini e Formigoni devono capire che è solo la benevolenza del capo a tenerli ancora in gioco a Roma e Milano. Un'umiliazione per i sottoposti più riottosi (e per le regole della democrazia, il che non guasta mai). L'obiettivo stavolta non sarebbe tanto vincere, quanto liberarsi di quei planetoidi che ruotano intorno al re-sole del PdL sulle orbite più eccentriche: i finiani, gli uomini di Formigoni, e chissà quante altre meteore invisibili dalla nostra distanza.
Certo, immaginare un Berlusconi che sappia perdere, che addirittura programmi di farlo, richiede un certo sforzo d'immaginazione. L'uomo non ha mai mostrato molta sportività nelle sconfitte: non si contano le occasioni in cui ha lamentato i brogli, i golpe, i riflettori spenti che impedivano al suo partito o alla sua squadra la meritata vittoria. È vero, quando gioca non sa perdere. Ma a volte semplicemente non gioca. Si disinteressa del risultato, si mostra distratto e incostante (come ben sanno i tifosi rossoneri); si smarca al punto che la sconfitta finale non sarà attribuile a lui, ma ai collaboratori che non hanno saputo servirlo. Può darsi che qualche sondaggio riservato gli abbia fatto capire che non è nemmeno il caso di sporcarsi le mani: qualche spot lo girerà, una leggina salva-ritardatari l'ha fatta scrivere, ma il suo nome stavolta non è stampato in cima alle liste. Meglio non rovinare l'immagine di eterno vincente. Probabilmente non ruberà la scena ai candidati: quando è il turno dei perdenti, il capo cede volentieri la ribalta ai sottoposti.
Le amministrative sono le consultazioni più sacrificabili. Storicamente sono sempre state le più difficili per il centrodestra, i cui avversari godono di un maggior radicamento nelle amministrazioni locali. E allora tanto vale non spendersi più di tanto, anche perché si è già visto cosa accade al centosinistra quando gli si lascia vincere le amministrative.
Accadde nel 2005: Berlusconi governava da quattro anni, quando il suo consenso fu bruscamente messo in discussione da un risultato che sembrava storico. Tutte le regioni d'Italia, fatta eccezione per le roccaforti del lombardoveneto e della Sicilia (e per il piccolo Molise) passarono all'Unione, rinata sulle ceneri dell'Ulivo. Il risultato soffiò sul centrosinistra un'insidiosa ventata di ottimismo. La candidatura (non proprio freschissima) di Romano Prodi non incontrò ulteriori ostacoli; il progetto del PD, viceversa, rimase bloccato; il complicato sistema di alleanze DS-Margherita-cespugli tutto sommato sembrava funzionare. Per qualche tempo Berlusconi sembrò l'uomo del passato. A rileggerle, certe analisi del periodo, suonano surreali: si parla di un leader ormai avviato sulla via del tramonto; di un centrodestra smarrito, incapace di trovare un successore all'altezza. Il sostanziale pareggio dell'anno successivo fu una doccia fredda per molti: cos'era successo? Semplicemente, Berlusconi aveva deciso che voleva tornare a vincere. Cosa che nel 2007 non gli riuscì per poco, e che gli capitò comunque due anni più tardi. La sconfitta del 2005 gli era servita per riorganizzare idee e risorse, mentre nell'Unione ci si accomodava sugli allori. Oggi come ieri, una vittoria alle amministrative potrebbe portarci a ripetere lo stesso errore: illudere i militanti e i vertici del PD che si può vincere così, senza esagerare col rinnovamento, piazzando ai soliti posti i soliti uomini (la candidatura di Errani alla presidenza della regione Emilia è tuttora a rischio annullamento), confidando nella stanchezza dell'avversario, nel suo cupio dissolvi. Ma Berlusconi ormai dovremmo conoscerlo: proprio quando sembra spacciato, si rialza più arzillo che mai. È un vecchio pugile che ha bisogno di prendere qualche botta ogni tanto per sentire l'adrenalina e ricordarsi che è sul ring. Ma una botta non fa primavera: ben altro ci vorrà per mandarlo al tappeto una volta per tutte.
Ho una teoria: forse stavolta a Berlusconi non dispiacerebbe perdere un po'. O al limite pareggiare – il che equivale a una sconfitta, quando ormai si possiede il campo e buona parte degli arbitri. I pasticci di Lazio e Lombardia non sono semplici casi di disorganizzazione, ma indizi del cupio dissolvi, della neanche tanto inconfessabile voglia di autodistruzione che circola al vertice del PdL. Vittorio Feltri già da un po' parla di partito da rifare, di sconfitta probabile; ne parla col tono sgamato a cui erano abituati i lettori di Libero, salvo che ora scrive su un quotidiano della famiglia Berlusconi. Il Giornale non ha pudore a definire il PdL come un “partito di matti” (Sallusti, 1/3/10), a indicare la necessità di un “azzeramento” dopo le elezioni. Una purga del genere sarebbe difficile da somministrare in caso di vittoria; viceversa, una sconfitta la renderebbe inevitabile. Lo stesso decreto salva-liste avrebbe un senso simbolico: Polverini e Formigoni devono capire che è solo la benevolenza del capo a tenerli ancora in gioco a Roma e Milano. Un'umiliazione per i sottoposti più riottosi (e per le regole della democrazia, il che non guasta mai). L'obiettivo stavolta non sarebbe tanto vincere, quanto liberarsi di quei planetoidi che ruotano intorno al re-sole del PdL sulle orbite più eccentriche: i finiani, gli uomini di Formigoni, e chissà quante altre meteore invisibili dalla nostra distanza.
Certo, immaginare un Berlusconi che sappia perdere, che addirittura programmi di farlo, richiede un certo sforzo d'immaginazione. L'uomo non ha mai mostrato molta sportività nelle sconfitte: non si contano le occasioni in cui ha lamentato i brogli, i golpe, i riflettori spenti che impedivano al suo partito o alla sua squadra la meritata vittoria. È vero, quando gioca non sa perdere. Ma a volte semplicemente non gioca. Si disinteressa del risultato, si mostra distratto e incostante (come ben sanno i tifosi rossoneri); si smarca al punto che la sconfitta finale non sarà attribuile a lui, ma ai collaboratori che non hanno saputo servirlo. Può darsi che qualche sondaggio riservato gli abbia fatto capire che non è nemmeno il caso di sporcarsi le mani: qualche spot lo girerà, una leggina salva-ritardatari l'ha fatta scrivere, ma il suo nome stavolta non è stampato in cima alle liste. Meglio non rovinare l'immagine di eterno vincente. Probabilmente non ruberà la scena ai candidati: quando è il turno dei perdenti, il capo cede volentieri la ribalta ai sottoposti.
Le amministrative sono le consultazioni più sacrificabili. Storicamente sono sempre state le più difficili per il centrodestra, i cui avversari godono di un maggior radicamento nelle amministrazioni locali. E allora tanto vale non spendersi più di tanto, anche perché si è già visto cosa accade al centosinistra quando gli si lascia vincere le amministrative.
Accadde nel 2005: Berlusconi governava da quattro anni, quando il suo consenso fu bruscamente messo in discussione da un risultato che sembrava storico. Tutte le regioni d'Italia, fatta eccezione per le roccaforti del lombardoveneto e della Sicilia (e per il piccolo Molise) passarono all'Unione, rinata sulle ceneri dell'Ulivo. Il risultato soffiò sul centrosinistra un'insidiosa ventata di ottimismo. La candidatura (non proprio freschissima) di Romano Prodi non incontrò ulteriori ostacoli; il progetto del PD, viceversa, rimase bloccato; il complicato sistema di alleanze DS-Margherita-cespugli tutto sommato sembrava funzionare. Per qualche tempo Berlusconi sembrò l'uomo del passato. A rileggerle, certe analisi del periodo, suonano surreali: si parla di un leader ormai avviato sulla via del tramonto; di un centrodestra smarrito, incapace di trovare un successore all'altezza. Il sostanziale pareggio dell'anno successivo fu una doccia fredda per molti: cos'era successo? Semplicemente, Berlusconi aveva deciso che voleva tornare a vincere. Cosa che nel 2007 non gli riuscì per poco, e che gli capitò comunque due anni più tardi. La sconfitta del 2005 gli era servita per riorganizzare idee e risorse, mentre nell'Unione ci si accomodava sugli allori. Oggi come ieri, una vittoria alle amministrative potrebbe portarci a ripetere lo stesso errore: illudere i militanti e i vertici del PD che si può vincere così, senza esagerare col rinnovamento, piazzando ai soliti posti i soliti uomini (la candidatura di Errani alla presidenza della regione Emilia è tuttora a rischio annullamento), confidando nella stanchezza dell'avversario, nel suo cupio dissolvi. Ma Berlusconi ormai dovremmo conoscerlo: proprio quando sembra spacciato, si rialza più arzillo che mai. È un vecchio pugile che ha bisogno di prendere qualche botta ogni tanto per sentire l'adrenalina e ricordarsi che è sul ring. Ma una botta non fa primavera: ben altro ci vorrà per mandarlo al tappeto una volta per tutte.
venerdì 5 marzo 2010
Il '900 è la nuova Bibbia
Nella puntata precedente: a causa di una riforma a caso, nelle scuole italiane si studia parecchio la Storia contemporanea e poco o nulla quella antica. Rimane da stabilire se sia un male.
Col tuo stile Novecento
In questa immagine ho accostato due personaggi che si sono rumorosamente fatti spazio nel nostro immaginario negli ultimi mesi: Emanuele Filiberto Savoia e l'avatar Na'vi di Jake Sully. Uno crede alla sua Cultura, alla sua Religione, l'altro rinnega tutto quanto e si proietta nel futuro. Apparentemente.
In realtà se smonti Jake Sully ci trovi una quantità impressionante di riferimenti storici alla contemporaneità (11/9, Vietnam) e alla Storia 'antica' (antica per gli americani: per noi europei Pocahontas è già “moderna”, ma ci siamo capiti). E se smonti Emanuele? Bella domanda, qualcuno dovrebbe provarci... no, seriamente: c'è davvero una Storia, un passato, dietro Emanuele Filiberto? Quando dice che crede nella sua “cultura”, di cosa sta parlando? Della Storia d'Italia, dei Savoia, della tradizione greco-latina, di quella giudaico-cristiana, del cattolicesimo post tridentino, di cosa?
Io ho il sospetto che non stia parlando di niente. Al limite di sé stesso, che è molto poco. Per Emanuele Filiberto, e per quelli come lui, “credere nella propria cultura” è pura tautologia, Racine est Racine. Si crede nella propria cultura perché? Perché è la nostra. E di cosa è fatta? Di noi. Ma noi chi siamo? Quelli che credono. In cosa? Nella nostra cultura. E ci si ferma qui. Se smonti Emanuele Filiberto ci trovi il vuoto che è condizione necessaria di ogni cassa di risonanza. Persino quegli aspetti potenzialmente storici (il cognome “Savoia”) vengono all'istante destoricizzati: fino a dicembre se pensavo “Savoia” immaginavo lo Statuto Albertino, Teano, Vittorio Veneto, l'Impero Etiope, l'otto settembre... adesso mi viene in mente Pupo.
Questi due ritratti però simboleggiano anche le mie idee sull'ora di Storia. Quello che mi ha fatto amare la Storia sin da bambino è lo stesso fascino che soggioga Jake Sully: la scoperta di un mondo diverso. La Storia è la scoperta dell'Altro da sé. E la più bella di tutte è la Storia Antica, perché gli Antichi erano veramente diversi da noi. Non extraterrestri, ma quasi. Diciamo che finché non si potranno studiare forme di vita extraterrestri a scuola, l'ora di Storia Antica sarà la cosa che si avvicina di più al concetto. Gli Antichi si comportavano in modi veramente strani. Non portavano pantaloni, il che a otto anni è già abbastanza sbalorditivo – si può fondare un Impero senza portare i pantaloni? Sacrificavano animali a Dei capricciosi. Non avevano l'alcol per disinfettare ma avevano già la metafisica. Costruivano piramidi e non avevano l'acqua corrente. Il passato è un pianeta stranissimo. La Storia secondo me dovrebbe insegnare soprattutto questo: a mettere da parte il buonsenso, a pensare che le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso, a ragionare sull'Altro. A mettere del distacco tra noi e noi, perché questo distacco alla fine ci servirà anche quando vorremo riportare l'obiettivo su di noi - così come Avatar alla fine ci parla più di noi e dei nostri sogni di qualsiasi vacua canzoncina identitaria.
Invece ho paura che la nuova Storia sia un'esperienza culturale nel senso che ha la parola per Emanuele Filiberto: un ragionamento su Sé Stesso che si definisce Sé Stesso in quanto crede in Sé Stesso. La battaglia non è tanto tra Storia Contemporanea e Storia Antica, ma tra una riflessione su di Sé e una riflessione sull'Altro. Oggi vogliamo tutti le radici, siamo maniaci di radici. Però sotto sotto sappiamo quanto sia limitato questo radicamento. Può darsi che ci sia in noi ancora qualcosa di greco-romano, ma le radici più grosse e interessanti sono sempre quelle che affiorano a terra. E quindi siamo molto preoccupati che si studi il Novecento. Chi non conosce il Novecento non avrà futuro. Non se lo merita... Tra i nuovi testi di terza media a cui ho dato un'occhiata ce ne sono alcuni che si rifanno alla definizione hobsbawmiana di Secolo Breve, per cui non partono nemmeno dalla Belle Epoque – quella è roba da tredicenni – ma dal 1914. A questo punto, perché continuiamo a chiamarla ora di Storia? Chiamiamola ora di Novecento. Se a settembre cominci dall'attentato di Sarajevo, a febbraio più o meno sarai negli anni Quaranta, e da lì in poi è persino discutibile che sia ancora Storia.
In effetti potrebbe trattarsi di... geografia! Ed ecco che la bistrattata Cenerentola dell'istruzione media arriva al ballo su un cocchio dorato trainato dai nuovi programmi scolastici. In cosa consiste in fondo la geografia di seconda e terza media? Lo studio dell'Europa e poi dei continenti extraeuropei, e quindi? Per buona metà si tratterà della cara vecchia geografia umana: sarà quindi inevitabile una serie di excursus sui processi di formazione delle nazioni, che risalgano almeno al postcolonialismo e al dopoguerra... bingo! Metà del libro di geografia e di quello di Storia contengono le stesse nozioni. Roba che sui libri c'è sempre stata, ma prima si studiava sincronicamente e si snobbava in quanto “geografia”; ora diventa invece importantissima perché è “Storia del Novecento” - però rischia di finire tutta concentrata negli ultimi mesi, perché prima bisogna fare i lager (e i gulag! Solženicyn obbligatorio!)
Il Novecento è la nuova Bibbia. Perché vogliamo che la Storia non parli degli altri (dell'Impero Ching o Moghul, di Tamerlano o Eliogabalo o Gregorio Nazianzeno), ma soltanto di noi stessi; ed è più facile trovare tracce di noi stessi nel secolo che è appena passato. L'Ottocento ha un senso soltanto perché contiene qualche anticipazione di quello che verrà, Marx e Darwin e poco altro. Ma il Novecento è il romanzo che tutti devono conoscere a memoria per avere qualche straccio di speranza in società – i nuovi Promessi Sposi, il filmone con i titoli in eleganti glifi art-déco, che comincia con una fragorosa scena di guerra di massa, un nucleo centrale imperniato sulla nascita dei totalitarismi, un'altra grande scena bellica piena di imprevisti... e un secondo tempo ricco di suspense, dove si aspetta a occhi sbarrati una terza guerra che non arriva mai (arrivano invece abbracci e strette di mano un po' deludenti). Ma insomma tutto sembra finire bene... quando sui titoli di coda crollano le torri e tutto si riapre. Il Novecento è questo qui, e ognuno deve rispecchiarcisi, allo stesso modo in cui i Padri Pellegrini si rispecchiavano in Vangelo e Pentateuco, chiamando le figlie Rebecca ed Ester, e sforzandosi di trovare saggezza quotidiana in un libro di Proverbi scritto dall'altra parte del mondo tremila anni prima. Così noi continuiamo a discutere di Muri e Guerre Fredde, a paventare il '29 e sognare il '68, a ridurre tutto ad Hitlerum, a fiutare lo Spirito di Monaco ogni volta che non si bombarda con prontezza. Abbiamo la scusante che il Novecento è comunque più vicino a noi. Anche se in fondo, poi.
Se leggete queste righe probabilmente siete nati nel Novecento, anche se ne siete usciti vivi (congratulazioni). Ma ne siete usciti. Non è più il vostro secolo. I bambini che cominciano a studiare la Storia quest'anno (dal Big Bang o dai dinosauri) hanno otto anni. Vuole dire che sono nati nel Due. Il Muro di Berlino non lo hanno mai visto: persino il loro papà ne ha un ricordo molto vago. Ma per un qualche motivo siamo convinti che sia roba loro; che non possano arrivare a 14 anni senza saperne qualcosa; che tra il Muro e il Vallo di Adriano sia quest'ultimo a dover cadere. Chi lo sa. Forse la Guerra Fredda non è poi così importante. C'è stata: ha visto lo scontro di due superpotenze; ha segnato la nostra vita, ma appunto: era la nostra. Ogni anno che passa diventa sempre più difficile spiegare ai nuovi nati cosa fosse la cortina di ferro, perché i missili stessero sottoterra (ci stanno ancora), il senso della lotta tra il mondo libero e il mondo uguale. Si ha la sensazione di annoiare i cuccioli con le vecchie diatribe dei nonni. Tante recriminazioni di vecchi e nessun vero mistero: nessuna piramide, nessuna resurrezione, missili sottoterra e nessuno li tira fuori. Poco spazio da riempire con la fantasia.
Alcuni si rassegnano, e si affezionano ai sogni dei nonni: qualche anno più tardi li vediamo in piazza che hanno imparato a salutare a braccio teso, o pugno chiuso, missione compiuta: il cucciolo è stato novecentizzato.
Col tuo stile Novecento
In questa immagine ho accostato due personaggi che si sono rumorosamente fatti spazio nel nostro immaginario negli ultimi mesi: Emanuele Filiberto Savoia e l'avatar Na'vi di Jake Sully. Uno crede alla sua Cultura, alla sua Religione, l'altro rinnega tutto quanto e si proietta nel futuro. Apparentemente.
In realtà se smonti Jake Sully ci trovi una quantità impressionante di riferimenti storici alla contemporaneità (11/9, Vietnam) e alla Storia 'antica' (antica per gli americani: per noi europei Pocahontas è già “moderna”, ma ci siamo capiti). E se smonti Emanuele? Bella domanda, qualcuno dovrebbe provarci... no, seriamente: c'è davvero una Storia, un passato, dietro Emanuele Filiberto? Quando dice che crede nella sua “cultura”, di cosa sta parlando? Della Storia d'Italia, dei Savoia, della tradizione greco-latina, di quella giudaico-cristiana, del cattolicesimo post tridentino, di cosa?
Io ho il sospetto che non stia parlando di niente. Al limite di sé stesso, che è molto poco. Per Emanuele Filiberto, e per quelli come lui, “credere nella propria cultura” è pura tautologia, Racine est Racine. Si crede nella propria cultura perché? Perché è la nostra. E di cosa è fatta? Di noi. Ma noi chi siamo? Quelli che credono. In cosa? Nella nostra cultura. E ci si ferma qui. Se smonti Emanuele Filiberto ci trovi il vuoto che è condizione necessaria di ogni cassa di risonanza. Persino quegli aspetti potenzialmente storici (il cognome “Savoia”) vengono all'istante destoricizzati: fino a dicembre se pensavo “Savoia” immaginavo lo Statuto Albertino, Teano, Vittorio Veneto, l'Impero Etiope, l'otto settembre... adesso mi viene in mente Pupo.
Questi due ritratti però simboleggiano anche le mie idee sull'ora di Storia. Quello che mi ha fatto amare la Storia sin da bambino è lo stesso fascino che soggioga Jake Sully: la scoperta di un mondo diverso. La Storia è la scoperta dell'Altro da sé. E la più bella di tutte è la Storia Antica, perché gli Antichi erano veramente diversi da noi. Non extraterrestri, ma quasi. Diciamo che finché non si potranno studiare forme di vita extraterrestri a scuola, l'ora di Storia Antica sarà la cosa che si avvicina di più al concetto. Gli Antichi si comportavano in modi veramente strani. Non portavano pantaloni, il che a otto anni è già abbastanza sbalorditivo – si può fondare un Impero senza portare i pantaloni? Sacrificavano animali a Dei capricciosi. Non avevano l'alcol per disinfettare ma avevano già la metafisica. Costruivano piramidi e non avevano l'acqua corrente. Il passato è un pianeta stranissimo. La Storia secondo me dovrebbe insegnare soprattutto questo: a mettere da parte il buonsenso, a pensare che le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso, a ragionare sull'Altro. A mettere del distacco tra noi e noi, perché questo distacco alla fine ci servirà anche quando vorremo riportare l'obiettivo su di noi - così come Avatar alla fine ci parla più di noi e dei nostri sogni di qualsiasi vacua canzoncina identitaria.
Invece ho paura che la nuova Storia sia un'esperienza culturale nel senso che ha la parola per Emanuele Filiberto: un ragionamento su Sé Stesso che si definisce Sé Stesso in quanto crede in Sé Stesso. La battaglia non è tanto tra Storia Contemporanea e Storia Antica, ma tra una riflessione su di Sé e una riflessione sull'Altro. Oggi vogliamo tutti le radici, siamo maniaci di radici. Però sotto sotto sappiamo quanto sia limitato questo radicamento. Può darsi che ci sia in noi ancora qualcosa di greco-romano, ma le radici più grosse e interessanti sono sempre quelle che affiorano a terra. E quindi siamo molto preoccupati che si studi il Novecento. Chi non conosce il Novecento non avrà futuro. Non se lo merita... Tra i nuovi testi di terza media a cui ho dato un'occhiata ce ne sono alcuni che si rifanno alla definizione hobsbawmiana di Secolo Breve, per cui non partono nemmeno dalla Belle Epoque – quella è roba da tredicenni – ma dal 1914. A questo punto, perché continuiamo a chiamarla ora di Storia? Chiamiamola ora di Novecento. Se a settembre cominci dall'attentato di Sarajevo, a febbraio più o meno sarai negli anni Quaranta, e da lì in poi è persino discutibile che sia ancora Storia.
In effetti potrebbe trattarsi di... geografia! Ed ecco che la bistrattata Cenerentola dell'istruzione media arriva al ballo su un cocchio dorato trainato dai nuovi programmi scolastici. In cosa consiste in fondo la geografia di seconda e terza media? Lo studio dell'Europa e poi dei continenti extraeuropei, e quindi? Per buona metà si tratterà della cara vecchia geografia umana: sarà quindi inevitabile una serie di excursus sui processi di formazione delle nazioni, che risalgano almeno al postcolonialismo e al dopoguerra... bingo! Metà del libro di geografia e di quello di Storia contengono le stesse nozioni. Roba che sui libri c'è sempre stata, ma prima si studiava sincronicamente e si snobbava in quanto “geografia”; ora diventa invece importantissima perché è “Storia del Novecento” - però rischia di finire tutta concentrata negli ultimi mesi, perché prima bisogna fare i lager (e i gulag! Solženicyn obbligatorio!)
Il Novecento è la nuova Bibbia. Perché vogliamo che la Storia non parli degli altri (dell'Impero Ching o Moghul, di Tamerlano o Eliogabalo o Gregorio Nazianzeno), ma soltanto di noi stessi; ed è più facile trovare tracce di noi stessi nel secolo che è appena passato. L'Ottocento ha un senso soltanto perché contiene qualche anticipazione di quello che verrà, Marx e Darwin e poco altro. Ma il Novecento è il romanzo che tutti devono conoscere a memoria per avere qualche straccio di speranza in società – i nuovi Promessi Sposi, il filmone con i titoli in eleganti glifi art-déco, che comincia con una fragorosa scena di guerra di massa, un nucleo centrale imperniato sulla nascita dei totalitarismi, un'altra grande scena bellica piena di imprevisti... e un secondo tempo ricco di suspense, dove si aspetta a occhi sbarrati una terza guerra che non arriva mai (arrivano invece abbracci e strette di mano un po' deludenti). Ma insomma tutto sembra finire bene... quando sui titoli di coda crollano le torri e tutto si riapre. Il Novecento è questo qui, e ognuno deve rispecchiarcisi, allo stesso modo in cui i Padri Pellegrini si rispecchiavano in Vangelo e Pentateuco, chiamando le figlie Rebecca ed Ester, e sforzandosi di trovare saggezza quotidiana in un libro di Proverbi scritto dall'altra parte del mondo tremila anni prima. Così noi continuiamo a discutere di Muri e Guerre Fredde, a paventare il '29 e sognare il '68, a ridurre tutto ad Hitlerum, a fiutare lo Spirito di Monaco ogni volta che non si bombarda con prontezza. Abbiamo la scusante che il Novecento è comunque più vicino a noi. Anche se in fondo, poi.
Se leggete queste righe probabilmente siete nati nel Novecento, anche se ne siete usciti vivi (congratulazioni). Ma ne siete usciti. Non è più il vostro secolo. I bambini che cominciano a studiare la Storia quest'anno (dal Big Bang o dai dinosauri) hanno otto anni. Vuole dire che sono nati nel Due. Il Muro di Berlino non lo hanno mai visto: persino il loro papà ne ha un ricordo molto vago. Ma per un qualche motivo siamo convinti che sia roba loro; che non possano arrivare a 14 anni senza saperne qualcosa; che tra il Muro e il Vallo di Adriano sia quest'ultimo a dover cadere. Chi lo sa. Forse la Guerra Fredda non è poi così importante. C'è stata: ha visto lo scontro di due superpotenze; ha segnato la nostra vita, ma appunto: era la nostra. Ogni anno che passa diventa sempre più difficile spiegare ai nuovi nati cosa fosse la cortina di ferro, perché i missili stessero sottoterra (ci stanno ancora), il senso della lotta tra il mondo libero e il mondo uguale. Si ha la sensazione di annoiare i cuccioli con le vecchie diatribe dei nonni. Tante recriminazioni di vecchi e nessun vero mistero: nessuna piramide, nessuna resurrezione, missili sottoterra e nessuno li tira fuori. Poco spazio da riempire con la fantasia.
Alcuni si rassegnano, e si affezionano ai sogni dei nonni: qualche anno più tardi li vediamo in piazza che hanno imparato a salutare a braccio teso, o pugno chiuso, missione compiuta: il cucciolo è stato novecentizzato.