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lunedì 13 dicembre 2010

He's an impresario

Alla fine, in fondo, SB vorrebbe solo che lo amassimo. L'amore ci libererebbe. E allora amiamolo, e non pensiamoci più (sull'Unità.it; si commenta qui).

Durante un bagno di folla un quarantenne con problemi psichiatrici aggredisce Silvio Berlusconi, fratturandogli due denti e il setto nasale. È successo esattamente un anno fa – il13 dicembre 2009, e anche se per tutta la settimana seguente non parlammo d'altro, oggi facciamo perfino fatica a ricordarcene. Tranne Berlusconi: difficilmente può essersi dimenticato un anniversario tanto doloroso. È vero che in quegli istanti reagì con una rapidità formidabile, uscendo una seconda volta sul predellino e mostrando una smorfia sanguinante ai fotografi. Tanta prontezza nello strumentalizzare persino il proprio sangue, trasformando il povero Tartaglia in un emblema di quell'opposizione “capace solo di odiare”, portò molti sul web ad avanzare il sospetto che l'episodio fosse stato concertato.

In realtà il dolore e lo smacco per l'aggressione furono autentici. Berlusconi – lo si legge da qualche settimana su un dispaccio filtrato su wikileaks – riteneva di essere stato in pericolo di vita, o così almeno ne parlò all'ambasciatore americano: questione di centimetri, e la famigerata statuetta avrebbe potuto ucciderlo. Nei giorni successivi cadde in uno stato di depressione – se dobbiamo credere a Gianni Letta: e perché non credergli? Anche Letta ne sta parlando coi diplomatici americani. “È un impresario teatrale”, spiega Letta; “vuole che tutti lo amino”. Come dargli torto. Davvero, forse in quelle poche parole di un suo amico sincero c'è tutto quello che ci serve sapere su di lui.

Sabato, a quasi un anno di distanza, Berlusconi si è concesso l'ennesimo predellino milanese, apparendo nei pressi di un gazebo del Pdl. Un modo rapido e informale per togliere ai manifestanti del PD l'onore della prima posizione nei titoli del telegiornale. Ma anche la rivincita su Massimo Tartaglia (assolto in estate perché dichiarato incapace di intendere e di volere) e su tutti i rappresentanti del Partito dell'Odio e dell'Invidia: compresi quelli che domani cercheranno di metterlo in minoranza alle camere. Stavolta si è dimostrato abbastanza lucido: non ha promesso ai suoi fedeli miracoli contro i rifiuti o contro il cancro. Non ha affatto nascosto che i prossimi mesi saranno difficili, qualunque sia l'esito del voto di martedì. Sempre più deluso dello scarso amore con cui gli italiani lo ricambiano, Berlusconi crede comunque di poter vincere la conta di domani; sa di poter terminare la legislatura, pur con qualche difficoltà, e di avere buone carte per rivincere le elezioni e magari succedere a Napolitano al Quirinale. Per recuperare la fiducia dei parlamentari e degli elettori non gli mancano certo le risorse e gli strumenti: quello che in questa fase sembra averlo definitivamente abbandonato è l'entusiasmo: in fondo, chi glielo fa fare?

Non è una domanda così peregrina: in fondo gran parte dei problemi strutturali che sono venuti al pettine in questo periodo in Italia hanno radici assai più profonde del berlusconismo. Criminalità organizzata, corruzione, dissesto territoriale (giusto per fare alcuni esempi) sono tutti problemi che esistevano prima di lui e, ahinoi, esisteranno anche quando ce ne saremo liberati. Non è stato lui ad aver trasformato grandi aree del meridione in discariche, anche se non sta facendo molto per risolvere il problema; non dipende certo da lui la crisi finanziaria che ha messo in crisi l'area dell'euro.

Viceversa la sua determinazione a voler restare saldamente al potere, a legare alla sua immagine il destino dell'Italia proprio nel momento in cui questo destino non appare un granché roseo, è qualcosa su cui gli storici si interrogheranno a lungo. Certo, si potrebbe rispondere che lo fa per salvare i suoi interessi, mandando a monte i processi a suo carico e gratificandosi con tante leggine ad personam o ad aziendam. È una risposta razionale, ma non del tutto soddisfacente. Se si trattasse semplicemente di affari e processi, SB avrebbe potuto cedere da tempo la prima linea a qualche fedele di partito o a un membro della famiglia. Invece è ancora lì, stanco, ma non domo, già sui blocchi di partenza per la sua sesta campagna elettorale.

Forse sbagliamo nel cercare una risposta razionale a una determinazione così ostinata. Forse alla fine ha semplicemente ragione Letta: he's an impresario, tutto questo teatrino che ci allestito intorno è solo uno strumento per farsi amare. Lo scrisse anche in un libro, prontamente stampato da Mondadori subito dopo l'aggressione dell'anno scorso: L'Amore Vince Sempre Sull'Invidia E Sull'Odio. Pensavamo fosse uno slogan come un altro, neanche dei suoi migliori (un po' troppo lezioso), e invece è un programma sincero. Berlusconi non vuole semplicemente ottenere la maggioranza più uno dei seggi. Vuole che lo amiamo, e non ci lascerà liberi finché non ci avrà convinti, tutti, che è degno del nostro amore.

A questo punto ho una proposta. Amiamolo. So che non è semplice, ma se è tutto quello che vuole, accontentiamolo. È da anni che riempiamo quotidiani, programmi televisivi, monologhi teatrali, perfino blog di messaggi di odio per lui. Se invece cominciassimo a scoprire per lui qualche statua, a intitolargli un paio di piazze in vita a Firenze o a Bologna? Ma chiediamo pure alla Rai di dedicargli una fiction (a spese nostre, s'intende) in cui sconfigge i comunisti e porta in Italia la tv a colori. Se cominciassimo ad ammettere qua e là che in fondo è un brav'uomo, un po' mascalzone, ma tanto simpatico, forse l'ostinazione che a ottant'anni lo spinge ancora sui predellini verrebbe meno. E magari le prossime elezioni non sarebbero più un referendum pro e contro di lui. Certo, il ritiro di Berlusconi dalla politica non significherebbe la fine immediata del berlusconismo: quello è un fenomeno più profondo, e c'è già un'altra generazione di videoleader che scalda i motori. Però i problemi si risolvono uno alla volta. http://leonardo.blogspot.com