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mercoledì 21 settembre 2011

Meglio triumviri che niente

Sei matto a metterti con quei due, dicono, non capisci niente, loro non rispetteranno le tue scelte, bestia, non avranno nessun rispetto per te, cretino, lo capisci che se vai con loro passerai tutto il tempo a litigare? Ma resta qui a casa con noi che ti vogliamo bene, ti facciamo tanti regali, tante sorprese, stavamo giusto scegliendo un set nuovo di coltelli


Sì vabbe', insomma, ho una teoria (#91): il Pd non ha bisogno di alleati (per litigare). Si legge e si commenta, indovinate un po', sull'Unità.it

Quando qualche giorno fa il triangolo Bersani-Di Pietro-Vendola ha preso forma, abbiamo assistito a un fenomeno che potremmo definire paradossale se non fosse, in realtà, abbastanza ricorrente: diversi esponenti del PD, alcuni perfino della maggioranza, hanno espresso il loro dissenso, o perlomeno il loro scarso entusiasmo, nei confronti dell'iniziativa del segretario. Walter Veltroni ha richiamato esplicitamente l'Unione, quella caotica alleanza di dieci partiti, guidata da Romano Prodi, che nel 2006 sconfisse Berlusconi (visti i margini ristrettissimi sarebbe più corretto dire che pareggiò) ma non riuscì a dare al Paese un governo stabile.

Il dissenso, sia ben chiaro, è legittimo, e mostra la distanza tra il PD e altri partiti in cui discutere apertamente delle scelte del leader non è semplicemente concesso. Invece nel PD il dibattito c'è, non è mai troppo – al limite ci si potrebbe domandare se le divisioni ai vertici rispecchiano reali posizioni nella base, ovvero: questa fobia per l'Unione è condivisa dagli elettori? Gli attivisti che si sono dati da fare fino a pochi giorni fa nelle feste di paese, quelli che stanno raccogliendo firme per il referendum antiporcellum, gli elettori delle primarie, insomma, il popolo democratico condivide questo terrore di ripetere la famigerata alleanza a dieci (anche se stavolta gli alleati sarebbero soltanto tre, e tutto sommato già abbastanza rodati)?

Io direi di no, anche se non ho nessun serio titolo per rispondere. Sono soltanto un blogger, il mio parere vale quanto il vostro: in ogni caso a occhio i partiti di Vendola e Di Pietro mi sembrano gli alleati naturali del PD, quelli meno indigesti (se non addirittura simpatici) all'elettore democratico medio. A differenza di Casini, che alla travagliata storia del centrosinistra dall'Ulivo in poi è sempre rimasto estraneo, e di cui non siamo ancora riusciti a dimenticarci i trascorsi berlusconiani: ecco, un'alleanza con lui sarebbe molto più difficile da digerire per l'elettore democratico che ho in mente io (e forse anche per quello che ha in mente Civati). Ma magari ho in mente l'elettore sbagliato.

Cosa c'è dunque di paradossale nel fatto che qualche dirigente del PD paventi il ritorno di un'accozzaglia stile Unione? Il fatto è che chi critica l'alleanza con Vendola e Di Pietro teme che essa possa annacquare le proposte del partito e nuocere alla sua leadership. E proprio per questo motivo, per salvare questa eventuale leadership del PD... si criticano apertamente proprio le scelte del leader, dimostrando una volta ancora che il PD non ha nessun bisogo di allearsi con qualcuno per poi litigare. No, ci riesce benissimo da solo.

Questo paradosso non ha niente di nuovo: lo abbiamo visto in opera da quando è nato il PD. Per Veltroni, che trionfò alle primarie del 2007, il partito doveva ambire a diventare la forza egemone del centrosinistra, rifiutando alleanze e ricatti dei vari cespugli, emarginandoli anche a costo di essere sconfitto alle prime elezioni (come infatti avvenne). Quello che avrebbe perso in quantità, il nuovo partito lo avrebbe dovuto guadagnare in compattezza. Ma fu proprio qui che Veltroni perse la vera scommessa: lo si vide con chiarezza quando, a pochi mesi dalla sconfitta elettorale, il partito decise di astenersi alla Camera su un caso spinoso e cruciale come quello dell'alimentazione forzata a Eluana Englaro. 

L'episodio dimostrò definitivamente a molti elettori del PD – tra cui il sottoscritto – che il nuovo partito non riusciva a trovare una sintesi tra le sue nature, esattamente come l'Unione: non era meno eterogeneo, non era più compatto: era solo più piccolo
Ma al suo interno, tra uno Scalfarotto e una Binetti, continuava a esserci più o meno la stessa inconciliabile distanza che ai tempi dell'Unione c'era tra un deputato della Margherita e uno di Rifondazione. Cosa avevamo perso? Verdi e comunisti erano stati cacciati dal parlamento: l'arco parlamentare si era inclinato vistosamente verso il centrodestra. Cosa avevamo guadagnato? Me lo sto ancora chiedendo.

È passato qualche anno. Il PD mi sembra relativamente migliorato: ha guadagnato qualche punto nei sondaggi e ha perso per strada la Binetti. Continua a essere diviso in correnti, che non vogliono essere chiamate così (vecchio vezzo del PCI) ma che in sostanza portano avanti progetti divergenti. E non c'è niente di male, purché scontri e alleanze non si consumino nei corridoi di una segreteria o di un loft, ma alla luce del sole, davanti agli attivisti ai quali, grazie alle primarie, dovrebbe spettare l'ultima parola. Io, ripeto, sono semplicemente un blogger e non pretendo di spiegare ai vertici del partito quello che la base pensa. Quel che penso io è che il PD le prossime elezioni potrebbe vincerle, alleato con chiunque o perfino da solo, purché riuscisse a proporre a un blocco sociale preciso un programma semplice con priorità ben definite. Questo programma è oggettivamente difficile scriverlo a tre mani, specie se due delle mani sono quelle di Vendola e Di Pietro. Ma non è affatto detto che sia più semplice da scrivere se invece le mani fossero quelle di Veltroni, Renzi e D'Alema (per tacere di Casini). Se si tratta di litigare, di dividersi, di non arrivare a una sintesi, il PD può fare benissimo da solo, e lo ha abbondantemente dimostrato in questi anni. http://leonardo.blogspot.com