E poi Luca di Montezuma
Sull'elicottero atzeco, i fondi devolverà...
(Elio e le Storie Tese, calciatore mondiale, 1990).
Un giorno Montezemolo – ed è l'unico aneddoto che mi viene in mente su di lui, mi spiace – un giorno Montezemolo venne a Modena in treno.
La cosa non vi stupisce di certo, perché Montezemolo a Modena ci lavora: è presidente di un paio di fabbriche d'automobili, ed è stato anche presidente della locale lega industriali; inoltre, a Modena si fermano treni molto importanti, perché anche se non è una città molto grande, pure è conosciuta in tutto il mondo per i suoi motori e i suoi tenori.
Sarà poi il fatto che da noi i motori sono molto importanti, e se vince Schumacher non è una sciocchezza, è ossigeno per fabbriche e fabbrichette nel giro di chilometri, fatto sta che preferiamo pensare a Modena come la città sulla via Emilia, o sulla A1, o a quaranta minuti dal Bologna International Airport. E tendiamo a sottovalutare il mezzo industriale più antico, confortevole e sicuro: il treno.
C'è anche un'altra cosa, ed è che Modena, vista dal treno, è (era) la città più brutta del mondo, una cosa da vergognarsi.
Da farci un set di fantascienza sul dopobomba. Da farci un set di un documentario sul dopo-boom economico. Da bendare gli amici mentre si arriva in stazione ("adesso chiudete gli occhi, che c'è una sorpresa"). Da scendere a Reggio Emilia per non sfigurare con le preppies parmensi.
"Ah, ma sei di Veggio? Cvedevo di avevti visto scendeve a Modena!"
"No, io… ho degli amici laggiù".
"Incantevole Veggio, vevo? Un gioiellino! Invece Modena è così tetva!"
Da nascondersi.
Sin dall'inizio del secolo c'era qualcosa che non andava: lo skyline, la luce, le cattive vibrazioni, chi lo sa? Uno dei primi resoconti ferroviari è del 1914: Ardengo Soffici viaggia da Firenze a Parigi e annota sul suo blog (Arlecchino, Vallecchi, 1914):
Modena
Non l'ho mai vista, e non me ne importa. Me la immagino brutta (quantunque certe fronti di edifici e certi campanili che vedo di qui mi faccian pensare che forse m'inganno) e popolata d'imbecilli.
Grazie, Ardengo. E dire che ti sei perso tutta la rivoluzione industriale: le fonderie, le torrefazioni. O se le hai viste, erano ancora fresche d'intonaco e non potevano essere più brutte di tanto.
Quando arriva Luca Cordero di Montezemolo, ottant'anni dopo, l'industria ha già passato da un pezzo il suo zenit, e anche il nadir, l'azimut e tutto, in pratica è un cumulo di rottami sotto i rampicanti. No, ma avete presente le prime scene di Full Monty? Ecco. La ruggine è il colore dominante. Questo andrebbe benissimo a Bologna, dove i Beni Culturali prescrivono granata ovunque, dai muri ai parcometri (se metti fuori un tendaggio d'altro colore, ti fanno la multa). Ma Modena è giallastra, al limite gialloblu. E ha un rapporto irrisolto con le sue fonderie. Non le servono più, ma non osa far piazza pulita. La città è diventata grande grazie a loro, e chissà quanto sarebbe potuta diventare grande se loro a un certo punto non fossero servite più. Negli anni '50 si facevano piani regolatori incredibili: due, tre, quattrocentomila residenti. Seh, tutti a cercar parcheggio in Piazza Grande in Cinquecento, magari.
Poi, lentamente, inesorabilmente, qualche settore smise di tirare, i meridionali smisero di venir su a tirarsi il collo, subentrarono neri e magrebini, ma tutto sommato subentrarono in minor quantità, e pian piano le fonderie smantellarono. Modena non ha mai superato i duecentomila abitanti, hinterland compreso (se Cognento o Tre Olmi voi li chiamate hinterland).
Nello stesso periodo, sempre gradualmente, sempre inesorabilmente, Modena ha cominciato a menarsela che è città d'arte e di cultura, una capitale nel cuore dell'Europa (in effetti ci furono dei duchi spodestati che tennero corte qua per un secolo e mezzo, ma era un ripiego), e i motori, e i tenori, e l'aceto balsamico, e c'è altro? Un rosso frizzante che Giacobazzi tentò di mettere in lattina e spacciarlo agli americani come fosse soda (non andò bene). Formaggio, prosciutto, trattori, figurine Panini, ceramiche e maglieria in provincia, Tetrapak. Io so che a Modena si fa anche il correttore automatico per Windows, quello che se scrivo Maserati lui ripete macerati. Ma le fonderie, chi se le ricorda più. Cancellate dalla memoria storica. Non fosse che ti tocca di passare di lì, ogni volta che arrivi in treno.
È a quel punto che arriva (in treno) Luca Cordero di Montezemolo: e nessuno sa ancora che sarà presidente della Fiat, per i più è il compagno di Edvige Fenech e l'uomo che ha chiamato Maifredi sulla panchina della Juventus. Arriva, scende dalla scaletta, saluta gli industriali modenesi che sono onorati di averlo per presidente, e sbotta: ma insomma, questa città dai finestrini è davvero orrenda! Che figura ci facciamo?
Poi, siccome è uomo d'azione, nei mesi successivi spiana un po' di Maserati e fa costruire un grattacielo ultimo modello, con in cima un tridente. Così quando arrivate a Modena, le prime cose che vedete sono l'Ipercoop, la Ghirlandina e il Tridente. Qualcosa vorrà dire di sicuro, ma io non so cosa.
Nel frattempo è riuscito anche a vincere un po' di Gran Premi, bisogna rendergliene atto: e bisogna rendersi conto che un po' di economia qui intorno sta appeso a una pole position: e poi vi chiedete se Schumacher si annoia a vincere. Chiedete agli operai di Maranello, nelle loro rosse tutine alle sette del mattino, se si annoiano.
Nel frattempo l'amministrazione si è decisa a spianare tutto lo spianabile. Via le rovine post-industriali. Via il set cinematografico. Terra bruciata. Ora se salite sul cavalcavia della Crocetta, vi trovate sopra un'immensa terra di nessuno, un paesaggio lunare. Ci starebbe un altro centro storico. Cosa ci faranno? So che c'è un bando. E una volta che cercavo casa lì intorno (ma l'affitto costa ognor tantissimo), mi hanno parlato di un museo del motore. Insomma, il solito trantran culturale. Musei, esposizioni, monumenti. Cultura. Passato.
Tutte cose preziosissime, per carità, che ci fanno sentire più ricchi, più nobili. E in effetti siamo tutti un po' più nobili, noi del terziario avanzato. Ma nobili spiantati.
Finché arriva questo Luca di Montezuma, e capisci subito dal cognome che dei nobili spiantati lui è il Re, e che è venuto apposta per spianare tutto l'anticame che è rimasto e che non serve a niente, magari per organizzare un parco a tema.
Adesso, per una serie d'intrigate circostanze che non conosco, questo nobile cognome è diventato l'uomo più potente d'Italia, o forse il secondo. Detto fra noi, lo invidiate? Io non ci riesco. Cosa starà facendo in questo momento? si starà studiando con attenzione i problemi, le cifre, i bilanci, la congiuntura, da quell'uomo serio che adesso è. E mi chiedo se non gli è venuto in mente di quella volta che venne in missione in una piccola città, e la prima cosa che vide era una giungla di ruggine e di rampicanti, e ci voleva solo qualcuno venuto da un po' più lontano ad aver il coraggio di dire: basta, è una schifezza, ruspate su tutto e non se ne parli più.
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lunedì 31 maggio 2004
venerdì 28 maggio 2004
Ribadito che sono un pirla, rendo omaggio a tutte le persone sincere, oneste, che in questi mesi hanno speso un po' del loro tempo prezioso a edificarmi. Le vostre lezioni di vita sono sempre qui, in un angolo del mio cuore
(Karaoke esistenziale, ciak! 18)
(Karaoke esistenziale, ciak! 18)
Camminan di bolina al freddo di prima mattina legnosi nei pastrani come talpe dentro brache di fustagno | Vi ricordate la cattura di Saddam? Gli rodeva eccome, a quelli che un giorno sì e l'altro pure ripetevano la litania: avete fatto la guerra - dite voi - per cacciare un dittatore ed ecco, non siete stati neppure capaci di prenderlo. Vedrete che non lo prenderanno mai. O se lo prenderanno, lo ammazzeranno subito per non farlo parlare. E invece toh: l'hanno preso vivo. Ma niente paura: subito in rete è apparsa la materia prima su cui costruire le solite teorie complottarde. Ma siete sicuri che sia proprio Saddam? E poi: ma sono stati proprio gli americani a prenderlo? Non saranno stati i curdi, magari per far loro un dispetto? Trascurando il fatto che i curdi sono alleati degli americani. |
occhi crepati, vene aguzze maculati denti neri di tabacco barbe di setola e allumina anche l'alba che li coglie livida di bardolino porta rispetto e fa un inchino | ah, un'altra cosa: adesso che hanno restituito il corpo di Fabrizio Quattrocchi tu e i tuoi amichetti potreste esibirvi con un nuovo show e fargli una bella anestesia per rivelare al mondo che a) è stato ucciso dalla CIA; b) è ancora vivo; c) non è mai esistito alcun Fabrizio Quattrocchi. Dura è dura, ma è una vita che ti stai allenando per questo, no ? Come no, non mi dire che tutte le gratuite assurdità che hai scritto su Nick Berg le hai scritte solo per tuo sollazzo personale ? Sarebbe perverso. |
Accolita di rancorosi settimini cuspidi e tignosi persi nella vita come dentro una corrida intrappolati tra melassa e baraonda | Perchè indignarsi e sorprendersi, Mixumb? Non sai che la frustrazione può portare a stati di alterazione mentale. C scrive su quotidiani, pubblica libri, viaggia spesso all'estero per lavoro e ha anche aperto un blog. L ha aperto un blog. Se tu fossi L. (o una parte di L), Mixumb, non saresti un pò astioso nei confronti di C ? Non dedicheresti qualche ora della tua giornata a chiederti:"perchè lui si ed io no ?" Non decideresti di assumere posizioni, anche ideologiche, differenti e contrastanti con quelle di C ? E forse non lo faresti nel tentativo di farti notare come suo antagonista e raccogliere qualche briciola della sua popolarità? |
Accolita di rancorosi gelosi, avvelenati, sospettosi incazzosi dentro casa compagnoni fuori in strada ci intendiam solo tra noi! ringhiosi che rimangon sempre soli gli ingrati se ne vanno noi restiamo e ci teniamo la ragione | Cucù! Bugia! Questi sono post seguenti a quella tua affermazione, caro al Sadr. Nada! Riprova! Affermasti che non si potevano mettere su Blogspot, e infatti pooi ti sbugiardarono dicendoti che invece si, si poteva, e tu, scivoloso come sempre, te le rigirasti farfugliando che si, certo, ma poi si bloccano e danno problemi. e insomma--. Come tuo solito. E io continuavo da mesi a replicare su blogspot dove i titolari tenevano tranquillamente i commenti. Il resto dei tuoi link è successivo e sono arzigogoli tuoi di cui non mi frega una cippa. La tua prima affermazione sui commenti era un'altra. Lo sai. sei in malafede. Sì, è un'accusa. |
La baraonda s'alza allegra come l'onda e tutto sprofonda nel nettare del vin brulè alla morte fan la corte ebbri di guai inguaiati dalle femmine inchiodati sulla croce e ruggiscon di Rancor | |
RANCOR! | anche perchè io sono calmo e buono, ma se incontra qualcuno un po' più fumino di me e gli fa un pezzo del genere quello lo prende e gliela insegna lui, l'educazione. a forza di schiaffi. e prima o poi capita, se continua a fare quei pezzi. |
RANCOR! | Chissà quanto è orgoglioso delle sue parole questo campione della disonestà intellettuale coniugata con una spocchiosa maleducazione. Facesse il carpentiere, con tutto il rispetto per i carpentieri, i danni sarebbero limitati. Il guaio è che di mestiere insegna ai ragazzini, che sono con tutta probabilità le vere vittime di questo scempio, a meno di non essere di fronte ad un Dr. Jekyll e Mr. Hyde della bassa modenese. |
Musso, Musso liscio e busso passa appresso carica a bastoni cala l'asso piglia, strozzo | Non cadrò nella trappola di dimostrarti quanto sarei capace di comportarmi come tu mi accusi di essermi comportato |
smazza il mazzo Cavallaro fuman trinciato forte Joe Zarlingo fa le carte bestemmia in mezzo ai denti tira a fottere i compari | Tiè il lecca lecca, faccio finta di niente e ti lascio le tue bugiette da quattro soldi Comunque io ragioni, se proprio vuoi metterla su questo piano, ti sotterro; sia per commenti che per accessi. |
cirrotici, diabetici nemici dei dottori sputan sulla terra dove andranno? | Il sonno della ragione produce weblog. Piscialetto e ignoranti, però. |
accolita di rancorosi settimini cuspidi e tignosi persi nelle vita come dentro una corrida intrappolati tra melassa e baraonda | Zero. Il silenzio dei blog matitina rossa e manganello sul caso delle foto false all’Espresso dà la cifra esatta della coerenza e della credibilità dei loro tenutari. Siate seri. Datevi al varietà. |
Accolita di rancorosi camerati ruvidi e grinzosi accaniti nel lavoro sparagnini col web hosting, spendaccioni col provider, demoni rapaci sputan sulla terra dove andranno? | qui stiamo parlando delle tue accuse fasulle a Israele di aver usato armi chimiche nei Territori, accuse a cui non crede nemmeno l'Autorità Nazionale Palestinese. E tu non saresti antisraeliano, o forse sì ma solo un pochino? Leo, guardiamo in faccia la dura realtà: tu sei più antisraeliano di Arafat. E pure più bugiardo di lui, che è tutto dire. E quel che è peggio, tu che vorresti dare del 'nazista' agli altri, per sostenere le tue calunnie antisraeliane ti servi di una fonte antisemita. Una volta messo di fronte all'evidenza, da quel piccolo bugiardo che sei, continui a negare : |
(Vinicio Capossela, Accolita di rancorosi, da Il ballo di San Vito, 1996) | (Un nutrito stuolo di celebrati web-writers che ha meglio da fare che prendersela con me, che non mi fila per niente). |
giovedì 27 maggio 2004
King David Objectively
Per esempio, a Rozzano l’altro giorno c’era Strelnik ed era fuori. Ma se dico fuori non dico per scherzo, non pensate al solito pezzo sui blog che si sballano al venerdì sera, no, io dico seriamente. Se a un certo punto mi ha preso in disparte e mi ha detto qualcosa come:
“Tu sei la mia oggettività”.
Siam messi bene, devo aver risposto.
Strel, ma se tu lo sapessi, che tipo è la tua oggettività, e cosa non s’inventa per campare. E gli ottani che disperde – se tutti disperdessero benzene ai ritmi della tua oggettività, altro che guerra in Iraq, altro che golpe in Venezuela. E credi che tenga i limiti di sicurezza in tangenziale, la tua oggettività? Che abbia il Modello Unico in ordine? Che non compri scarpe handmade in Vietnam?
Per dirti - è una cazzatina - ma per dirtela: la tua oggettività certe volte va alla coop e al bancone orto-frutta non si mette il guanto. Sovrappensiero, si mette a tastare le albicocche così, nature, la tua oggettività.
Se poi da dietro sente una vocina dire: “Giovanotto, il guanto!”, si volta ed è una vecchietta col cestino, la tua oggettività si vergogna un po’ e chiede scusa.
Se invece si volta, e scopre che la vocina apparteneva a un tappo baffuto di color molto olivastro, la tua oggettività si vergogna uguale, ma non dice niente, e dentro di sé pensa: ma tornatene a casa tua a infibularti le congiunte, talebano di staminchia.
Insomma, Strel, è il puro amor di verità che mi urge a notificarti: oggettivamente, la tua oggettività è uno stronzo. Tante belle parole, ma poca sostanza. E nessuna coerenza. Io mi dissocio. Anche tu, pensaci.
E se non eri Strelnik, se eri un altro, chiedo scusa, anch’io forse ero un po’ fuori l’altra sera a Rozzano.
Per esempio, a Rozzano l’altro giorno c’era Strelnik ed era fuori. Ma se dico fuori non dico per scherzo, non pensate al solito pezzo sui blog che si sballano al venerdì sera, no, io dico seriamente. Se a un certo punto mi ha preso in disparte e mi ha detto qualcosa come:
“Tu sei la mia oggettività”.
Siam messi bene, devo aver risposto.
Strel, ma se tu lo sapessi, che tipo è la tua oggettività, e cosa non s’inventa per campare. E gli ottani che disperde – se tutti disperdessero benzene ai ritmi della tua oggettività, altro che guerra in Iraq, altro che golpe in Venezuela. E credi che tenga i limiti di sicurezza in tangenziale, la tua oggettività? Che abbia il Modello Unico in ordine? Che non compri scarpe handmade in Vietnam?
Per dirti - è una cazzatina - ma per dirtela: la tua oggettività certe volte va alla coop e al bancone orto-frutta non si mette il guanto. Sovrappensiero, si mette a tastare le albicocche così, nature, la tua oggettività.
Se poi da dietro sente una vocina dire: “Giovanotto, il guanto!”, si volta ed è una vecchietta col cestino, la tua oggettività si vergogna un po’ e chiede scusa.
Se invece si volta, e scopre che la vocina apparteneva a un tappo baffuto di color molto olivastro, la tua oggettività si vergogna uguale, ma non dice niente, e dentro di sé pensa: ma tornatene a casa tua a infibularti le congiunte, talebano di staminchia.
Insomma, Strel, è il puro amor di verità che mi urge a notificarti: oggettivamente, la tua oggettività è uno stronzo. Tante belle parole, ma poca sostanza. E nessuna coerenza. Io mi dissocio. Anche tu, pensaci.
E se non eri Strelnik, se eri un altro, chiedo scusa, anch’io forse ero un po’ fuori l’altra sera a Rozzano.
mercoledì 26 maggio 2004
È tutta colpa di…
Come leggevo l'altro ieri sulla pubblicità di scientology, "il problema non sei tu", il problema sono gli altri. È tutta colpa loro, maledetti. Ma "gli altri" chi? La redazione di Leonardo, riunita qui sotto l'abbaino, ha deciso che è ora di tirare fuori i nomi.
È tutta colpa di… Giacomo Leopardi
Grandissimo poeta, per carità. Lo abbiamo tutti studiato nel primo quadrimestre della quinta superiore, analizzando la distanza tra "pessimismo storico" e "pessimismo cosmico". Detto per inciso, sarebbe interessante analizzare la statistica dei suicidi, se per caso in quel periodo non fa una curva.
Non è questo, tuttavia, che mi porta stasera su Leopardi. E' che mi stavo giusto chiedendo: cos'è quell'istinto che ci spinge a sorridere agli sconosciuti per strada, siano essi bianchi, neri, gialli, musulmani, indù, normodotati o dawn, purché inferiori ai quattro anni di età? Cosa spinge passanti burberi e inmusoniti come il sottoscritto a piegare il labbro all'insù e sfoderare gli incisivi? Un marziano penserebbe che abbiamo fame. Sarà questo? Abbiamo fame?
O è solo un cenno di ringraziamento agli unici esseri umani che non possono farci del male? Insomma, cos'è? O per meglio dire: di chi è la colpa?
Per quanto frughi nella mia memoria, l'unica cosa che mi viene in mente è Leopardi, più precisamente la prof che volle leggerci tutte le Ricordanze e attirò la nostra attenzione sui seguenti versi:
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Parafrasando (molto alla larga): quando ero bambino, nessuno mi odiava, tutti mi sorridevano e mi volevano bene, scusavano i miei errori, l'invidia taceva, e perfino "le cose" mi sorridevano, perfino "il mondo" mi dava la destra soccorrevole e s'inchinava davanti a me. Come si fa a non rimpiangere un periodo così?
E per forza poi ti senti defraudato, quando le donzelle smettono di sorriderti, "le cose" cominciano ad andarti storto, il "mondo" lo senti premere da dietro e sei fortunato se l'invidia si mette solo a bisbigliare. Insomma, siamo tutti dei piccoli re spodestati, da quando abbiamo compiuto quattro anni e nessuno sconosciuto, per strada, ci si fila più.
E allora che facciamo? Ci mettiamo scrivere poesie sull'infinita vanità del tutto? No, peggio: ci vendichiamo sulle piccole predi incolpevoli e inermi. E così ci tramandiamo la delusione, di generazione in generazione.
Così ogni volta che io sorrido a un pupo ed egli a me di rimando, sento il Leopardi che è in me ghignare: ridi, ridi, mostriciattolo, vedrai che bella esistenza ti stiamo preparando. Vedrai che stuolo di malevoli. Vedrai che vil borgo dannato. Vedrai che gente zotica. Vedrai, ih ih, vedrai. C'è questo ghigno, in ogni mio sorriso a un innocente.
E... ed è tutta colpa sua, del malvagio Conte Leopardi.
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
In parziale discolpa, devo dire che il suo blog era molto interessante, anche se non ha mai voluto mettere i commenti.
Come leggevo l'altro ieri sulla pubblicità di scientology, "il problema non sei tu", il problema sono gli altri. È tutta colpa loro, maledetti. Ma "gli altri" chi? La redazione di Leonardo, riunita qui sotto l'abbaino, ha deciso che è ora di tirare fuori i nomi.
È tutta colpa di… Giacomo Leopardi
Grandissimo poeta, per carità. Lo abbiamo tutti studiato nel primo quadrimestre della quinta superiore, analizzando la distanza tra "pessimismo storico" e "pessimismo cosmico". Detto per inciso, sarebbe interessante analizzare la statistica dei suicidi, se per caso in quel periodo non fa una curva.
Non è questo, tuttavia, che mi porta stasera su Leopardi. E' che mi stavo giusto chiedendo: cos'è quell'istinto che ci spinge a sorridere agli sconosciuti per strada, siano essi bianchi, neri, gialli, musulmani, indù, normodotati o dawn, purché inferiori ai quattro anni di età? Cosa spinge passanti burberi e inmusoniti come il sottoscritto a piegare il labbro all'insù e sfoderare gli incisivi? Un marziano penserebbe che abbiamo fame. Sarà questo? Abbiamo fame?
O è solo un cenno di ringraziamento agli unici esseri umani che non possono farci del male? Insomma, cos'è? O per meglio dire: di chi è la colpa?
Per quanto frughi nella mia memoria, l'unica cosa che mi viene in mente è Leopardi, più precisamente la prof che volle leggerci tutte le Ricordanze e attirò la nostra attenzione sui seguenti versi:
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Parafrasando (molto alla larga): quando ero bambino, nessuno mi odiava, tutti mi sorridevano e mi volevano bene, scusavano i miei errori, l'invidia taceva, e perfino "le cose" mi sorridevano, perfino "il mondo" mi dava la destra soccorrevole e s'inchinava davanti a me. Come si fa a non rimpiangere un periodo così?
E per forza poi ti senti defraudato, quando le donzelle smettono di sorriderti, "le cose" cominciano ad andarti storto, il "mondo" lo senti premere da dietro e sei fortunato se l'invidia si mette solo a bisbigliare. Insomma, siamo tutti dei piccoli re spodestati, da quando abbiamo compiuto quattro anni e nessuno sconosciuto, per strada, ci si fila più.
E allora che facciamo? Ci mettiamo scrivere poesie sull'infinita vanità del tutto? No, peggio: ci vendichiamo sulle piccole predi incolpevoli e inermi. E così ci tramandiamo la delusione, di generazione in generazione.
Così ogni volta che io sorrido a un pupo ed egli a me di rimando, sento il Leopardi che è in me ghignare: ridi, ridi, mostriciattolo, vedrai che bella esistenza ti stiamo preparando. Vedrai che stuolo di malevoli. Vedrai che vil borgo dannato. Vedrai che gente zotica. Vedrai, ih ih, vedrai. C'è questo ghigno, in ogni mio sorriso a un innocente.
E... ed è tutta colpa sua, del malvagio Conte Leopardi.
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
In parziale discolpa, devo dire che il suo blog era molto interessante, anche se non ha mai voluto mettere i commenti.
martedì 25 maggio 2004
Sono schizzato (e non mi piaccio così)
Docteur Jekyll un jour a compris
Que c’était Mister Hyde que l’on amait en lui
Mr, Hyde, ce salaud…
In effetti, la pubblicità al Blogrodeo avrei dovuto farla prima, non dopo.
Qui volevo semplicemente salutare tutti quelli che non ho fatto in tempo, o non mi sono accorto che c’erano: chiedo scusa, in queste occasioni io arrivo sempre un poco imbarazzato.
E non è colpa di nessuno – o è colpa mia – ma mi sembra di non essere quello che dovrei: quando qualcuno mi chiede: “ma sei tu quello lì”, vorrei tanto rispondere: “no, mi sono lasciato a casa”, perché in effetti è così.
Io, non so se si è notato, scrivo troppo (don’t try this at home).
Col tempo tutta questa scrittura che mi esce, principalmente di notte, ha cominciato a sviluppare una personalità tutta sua, e ormai dice apertamente cose che non direi, e ragiona in modi in cui non ragiono. Dovete pensare a una specie di Mr Hyde – anzi, dovete pensare a un finale della storia dove Mr Hyde e il Dr Jekyll decidono che possono venirsi incontro e condurre una pacifica convivenza. E così Dr Jekyll sgobba tutto il santo giorno, e verso il tramonto Mr. Hyde sale in soffitta e si mette a lavorare al pezzo. Voi di solito leggete Hyde, ma alle feste vi beccate Jekyll, che secondo me non rende bene.
“Allora, mi raccomando, ricordati di salutarmi questo e quello, e non dimenticarti di quest’altro”.
“Ma se c’è qualcuno che mi odia?”
“Ma no, fidati, sono tutti carini, vedrai. Tranquillo”.
“Ma se si accorgono che io non ho letto il loro ultimissimo pezzo?”
“Ma non è grave… tu comunque ti sei un po’ preparato, no?”
“…”
“Non hai letto niente? Da quand’è che non vai su Internet?”
“…”
“Cioè, tu non leggi i blog? Ma dove vivi, scusa? mi spieghi cosa fai tutto il santo giorno?”
“Il succo d’arancia”.
“Eh?”
“Ti piace quello che ho preso?”
“Sì, non male”.
“L’ho pagato io”.
“Ah sì?”
“E ti piace la nuova sistemazione? Ti trovi bene?”
“Mah, ti dirò, un po’ sacrificata, ma pittoresca, le tegole fanno molto Arkangel (ah, mi raccomando, salutamela)”.
“La pago io, tegole e tutto”.
“Tu?”
“Non c’è niente da ridere”.
“Tu ti guadagni da vivere?”
“Sì”.
“Con… con quello che fai di giorno?”
“Sì”.
“Ma scusa, come fai a lavorare di giorno se di notte io…”
“Ecco, di questo infatti dovremmo parlare”.
“Sì, sì, adesso però va, si è fatto tardi. Mi raccomando, casual ma non troppo. Non ostentare. Non strafare. Sorridi a tutti Non dirne troppe delle tue… Ma quindi, insomma, tu lavori”.
"Sì".
"Ma non lavori tanto, dai".
"Dipende dai periodi. In questo periodo sì, lavoro tanto".
“Dev’essere molto interessante… chissà quante storie che sai. Una volta bisogna che me ne racconti”.
“Signor Hyde?”
“Sì?”
“Cortesemente, fatti dare in …”.
“Ma come ti permetti! Io sono un blog stimato, sai! Sai quanto faccio di accessi!”
“A blog stimato, mi bevi un litro e mezzo di succo d’arancia a notte, ti sei mai chiesto da dove viene? E soprattutto…”
“Sì?”
“Ti sei mai chiesto dove va a finire?”
“Non capisco. Senti, adesso scusa, sto cercando l’ispirazione, è un momento molto delicato, per cui se vuoi scusarmi…”
“Sì: tu hai il momento delicato, io vado in bagno. Spero solo che non fai tardi come l’ultima volta”.
“No, vedrai, questa è un’idea semplice semplice. Tremila battute massimo”.
“Sicuro?”
“Un’oretta, non di più”.
“Le conosco, le tue orette”.
“Giuro”.
“Di cosa parli?”
“Non te lo posso dire, scusa”.
Gli venisse qualcosa, aveva un pezzo su D’Alema. Quando addenta D’Alema non lo molla, è più forte di lui. E io ci avevo la sveglia alle sei, ci avevo.
Mr Hyde, ce salaud
a fait la peau
la peau
de Docteur Jekyll
Docteur Jekyll un jour a compris
Que c’était Mister Hyde que l’on amait en lui
Mr, Hyde, ce salaud…
In effetti, la pubblicità al Blogrodeo avrei dovuto farla prima, non dopo.
Qui volevo semplicemente salutare tutti quelli che non ho fatto in tempo, o non mi sono accorto che c’erano: chiedo scusa, in queste occasioni io arrivo sempre un poco imbarazzato.
E non è colpa di nessuno – o è colpa mia – ma mi sembra di non essere quello che dovrei: quando qualcuno mi chiede: “ma sei tu quello lì”, vorrei tanto rispondere: “no, mi sono lasciato a casa”, perché in effetti è così.
Io, non so se si è notato, scrivo troppo (don’t try this at home).
Col tempo tutta questa scrittura che mi esce, principalmente di notte, ha cominciato a sviluppare una personalità tutta sua, e ormai dice apertamente cose che non direi, e ragiona in modi in cui non ragiono. Dovete pensare a una specie di Mr Hyde – anzi, dovete pensare a un finale della storia dove Mr Hyde e il Dr Jekyll decidono che possono venirsi incontro e condurre una pacifica convivenza. E così Dr Jekyll sgobba tutto il santo giorno, e verso il tramonto Mr. Hyde sale in soffitta e si mette a lavorare al pezzo. Voi di solito leggete Hyde, ma alle feste vi beccate Jekyll, che secondo me non rende bene.
“Allora, mi raccomando, ricordati di salutarmi questo e quello, e non dimenticarti di quest’altro”.
“Ma se c’è qualcuno che mi odia?”
“Ma no, fidati, sono tutti carini, vedrai. Tranquillo”.
“Ma se si accorgono che io non ho letto il loro ultimissimo pezzo?”
“Ma non è grave… tu comunque ti sei un po’ preparato, no?”
“…”
“Non hai letto niente? Da quand’è che non vai su Internet?”
“…”
“Cioè, tu non leggi i blog? Ma dove vivi, scusa? mi spieghi cosa fai tutto il santo giorno?”
“Il succo d’arancia”.
“Eh?”
“Ti piace quello che ho preso?”
“Sì, non male”.
“L’ho pagato io”.
“Ah sì?”
“E ti piace la nuova sistemazione? Ti trovi bene?”
“Mah, ti dirò, un po’ sacrificata, ma pittoresca, le tegole fanno molto Arkangel (ah, mi raccomando, salutamela)”.
“La pago io, tegole e tutto”.
“Tu?”
“Non c’è niente da ridere”.
“Tu ti guadagni da vivere?”
“Sì”.
“Con… con quello che fai di giorno?”
“Sì”.
“Ma scusa, come fai a lavorare di giorno se di notte io…”
“Ecco, di questo infatti dovremmo parlare”.
“Sì, sì, adesso però va, si è fatto tardi. Mi raccomando, casual ma non troppo. Non ostentare. Non strafare. Sorridi a tutti Non dirne troppe delle tue… Ma quindi, insomma, tu lavori”.
"Sì".
"Ma non lavori tanto, dai".
"Dipende dai periodi. In questo periodo sì, lavoro tanto".
“Dev’essere molto interessante… chissà quante storie che sai. Una volta bisogna che me ne racconti”.
“Signor Hyde?”
“Sì?”
“Cortesemente, fatti dare in …”.
“Ma come ti permetti! Io sono un blog stimato, sai! Sai quanto faccio di accessi!”
“A blog stimato, mi bevi un litro e mezzo di succo d’arancia a notte, ti sei mai chiesto da dove viene? E soprattutto…”
“Sì?”
“Ti sei mai chiesto dove va a finire?”
“Non capisco. Senti, adesso scusa, sto cercando l’ispirazione, è un momento molto delicato, per cui se vuoi scusarmi…”
“Sì: tu hai il momento delicato, io vado in bagno. Spero solo che non fai tardi come l’ultima volta”.
“No, vedrai, questa è un’idea semplice semplice. Tremila battute massimo”.
“Sicuro?”
“Un’oretta, non di più”.
“Le conosco, le tue orette”.
“Giuro”.
“Di cosa parli?”
“Non te lo posso dire, scusa”.
Gli venisse qualcosa, aveva un pezzo su D’Alema. Quando addenta D’Alema non lo molla, è più forte di lui. E io ci avevo la sveglia alle sei, ci avevo.
Mr Hyde, ce salaud
a fait la peau
la peau
de Docteur Jekyll
lunedì 24 maggio 2004
Il post qui sotto è sb... è sb...
Il post che è qui sotto parla di elezioni europee nel 2000, che ci sono state. Come mi avverte il buon Franco, nel 2000 ci furono le amministrative, con Berlusconi che andava in panfilo.
Le europee, è vero, furono nel 1999.
Potrei correggerlo, ma in fondo mi piace anche così: sbagliato.
Scusate.
Il post che è qui sotto parla di elezioni europee nel 2000, che ci sono state. Come mi avverte il buon Franco, nel 2000 ci furono le amministrative, con Berlusconi che andava in panfilo.
Le europee, è vero, furono nel 1999.
Potrei correggerlo, ma in fondo mi piace anche così: sbagliato.
Scusate.
Sparring partner, ovvero
L'uomo a rimorchio
Ogni giorno è buono per imparare qualcosa su sé stessi. Così chissà, forse stasera D'Alema sta imparando. Chi lo sa.
Sto parlando di D'Alema, l'uomo che quattro anni fa fece un grave errore.
No, non dico la bicamerale. Quella fu una colossale sciocchezza, ma risale al 1997.
Non dico neanche l'idea di subentrare a Prodi coi voti di Cossiga e Mastella – quella di primo acchito sembrava una cazzata, ma chissà, col senno del poi avrebbe anche potuto rivelarsi un magistrale colpo di genio.
(Invece era proprio una cazzata, ma nel 1998 come faceva a saperlo?)
La cosa veramente grave, invece, fu nel 2000, durante una campagna elettorale europea, proprio come quella in cui siamo oggi. Berlusconi diceva male del governo in carica – e che altro poteva far? Oltre ad aver pessimamente governato (secondo lui), non aveva nemmeno il consenso degli italiani. Perciò sfidava D'Alema a vincere le Europee: altrimenti si sarebbe dovuto dimettere.
Si trattava, naturalmente, di un colpo basso da campagna elettorale: se dici "no" puoi sembrare timoroso di perdere; se dici "sì", poi rischi davvero di perdere. Cosa avrebbe dovuto fare D'Alema? Probabilmente avrebbe dovuto ignorare la cosa, ricordando che le elezioni europee non sono elezioni parlamentari, che non bisogna confondere i ruoli e ridurre ogni consultazione in un sondaggio, ecc.
Invece D'Alema accettò.
Questo fu molto grave, per vari motivi.
– Fu molto grave, perché trasformando le elezioni europee in un sondaggio sulla popolarità del governo, D'Alema incoraggiò gli elettori italiani a curarsi poco dei candidati che mandavano a Bruxelles. Vecchio equivoco duro a morire, che Bruxelles non conti niente: mentre negli ultimi anni Bruxelles sta diventando più importante di Roma. È a Bruxelles che si scrivono le normative che a Roma diventano progetti di legge e poi subito leggi, perché "ci si deve adeguare alla normativa europea". Se mangiamo o no mais OGM, è a Bruxelles che si decide. Se privatizziamo o no acqua e servizi, è perché a Bruxelles se ne discute. Per cui, quando si vota per Bruxelles, si dovrebbe pensare a Bruxelles. Non alla popolarità di Massimo D'Alema.
– Fu molto grave, perché D'Alema dimostrò di avere più o meno la stessa idea di democrazia di Berlusconi, e cioè: la democrazia è una sfida tra due o tre personaggi importanti che una volta ogni due o tre anni sondano la propria popolarità mediante "elezioni". Incidentalmente, queste "elezioni" eleggono anche deputati, senatori, sindaci, europarlamentari, ma questo è un effetto collaterale. L'essenziale è il dato sulla popolarità del boss di destra o del boss di sinistra.
– Fu molto grave, infine, perché quelle elezioni D'Alema le perse. Le avesse vinte, almeno. Con una bella vittoria si sarebbe forse guadagnato quella "investitura popolare" che secondo alcuni non aveva. In politica a volte il fine giustifica i mezzi… ma non vinse.
Perse, e anche male.
E uno si chiede anche: perché? Qualche sondaggista ce l'avrai anche tu, no? E te l'avrà detto, che rischiavi di perdere, no? Ti avrà almeno detto che qualche rischio c'era, che insomma non valeva la pena di accettare una sfida, no? No?
Tutto questo è grave, ma non è la cosa gravissima.
D'Alema aveva fatto una scommessa, e aveva perso. Poteva fregarsene. Poteva ostentare la più bella faccia tosta del mondo e dire che non si dimetteva, perché le elezioni europee non sono elezioni parlamentari, e non bisogna confondere i ruoli e ridurre ogni consultazione in un sondaggio, ecc.
Invece D'Alema si dimise. Sportivamente. Il popolo l'aveva mandato a casa? Aveva votato per mandarlo a casa? No. Il popolo aveva votato per Bruxelles. Ma D'Alema aveva fatto una scommessa con Berlusconi, e aveva perso, perciò andava a casa. Un grande sportivo, D'Alema. Un pessimo politico. Ma lui non lo sa.
Non l'ha mai capito – e chi sono io, tutto sommato, per spiegarglielo.
Però chissà, stasera mi illudo che potrebbe essere la sera giusta…
Stamattina era probabilmente di ottimo umore, D'Alema. Mettiamo che abbia sfogliato un quotidiano a colazione, uno solo perché oggi è festa. L'Unità no, perché mangiarsi il fegato. Il Riformista no, perché gli spiega che pensa e lui non ne ha bisogno. Mettiamo la Repubblica. Lo hanno messo a pagina 2, che è pur sempre una bella soddisfazione:
"Siamo al 33 per cento". Ma non basta . L'ha detto dal palco della Fiera lanciando l'allarme: questa lista e questo simbolo non sono ancora al centro della campagna elettorale". […] Sulla carta il centrosinistra vince dappertutto. […] "Guardate Bari, persino qui prendiamo il sindaco". Poi piega i fogli. "basta, altrimenti mi monto la testa". Anche perché il voto locale non è in cima ai suoi pensieri, la partita più grande si gioca alle Europee, il "referendum" sul listone e tutti i suoi leader, primi fra tutti Romano Prodi e lo stesso D'Alema. Il loro asse s'indebolisce o si rafforza in base a quel risultato.
Avete capito bene che cosa sono le europee, nel 2004, per D'Alema? L'occasione di scegliere europarlamentari capaci e competenti? Chissà, può darsi. Ma prima di tutto, le europee sono un "referendum" sul listone. Cioè su di lui, perché lui è uno dei leader (a proposito, perché leader? Perché uno che di solito vince le elezioni? Ne ha mai vinta una in vita sua?)
E poi, avete capito quali sono gli strumenti di D'Alema, nel 2004? Quattro anni dopo il suo grande errore, D'Alema va alla Convention dell'Ulivo a sbandierare sondaggi. Ma chi glieli ha fatti? Spero non sia stato lo stesso sondaggista che lo ha incoraggiato a giocarsi Palazzo Chigi alle Europee nel 2000. Spero che almeno abbia cambiato sondaggista, perché il resto non è affatto cambiato. Sempre una fiducia cieca nei sondaggi, sia quelli che paga (e che di solito gli dicono quello che piacerebbe a lui), sia quelli che si fanno su tutti gli italiani, e che in gergo si chiamano "elezioni" (in questo caso, "amministrative" ed "europee").
È talmente sicuro dei suoi numeri e dei suoi sondaggi, D'Alema, che addirittura provoca:
D'Alema provoca l'avversario, sventola un ipotetico 38% del listone che contrapposto a un virtuale 19% di Forza Italia provocherebbe una crisi di governo, "è chiaro che Berlusconi cade".
Chiaro a chi? A ma, per esempio, no. C'è una qualche norma che ha stabilito che se Forza Italia perde tot alle europee, "Berlusconi cade"? Oppure è Berlusconi che decide di cadere per questioni di opportunità – ve l'immaginate? Berlusconi che decide di abbandonare qualcosa per ragioni d'opportunità? Ha mai abbandonato Mediaset? Ha mai rinunciato a qualche cosa? Oppure… è una sfida? È questo, Massimo? Stai lanciando una sfida a Berlusconi? Perché si sa, Berlusconi è uno sportivo, uno che sta alle regole, uno che sa perdere (uno come te, insomma)…
A questo punto D'Alema si è letto, si è piaciuto, ed è arrivato a pagina 5, dove ci sono le "reazioni". Qui deve avere avuto un soprassalto. Pare proprio che Berlusconi non ci stia. Non ha risposto niente. Ha mandato avanti il maggiordomo, quell'antipatico, che detta ai giornalisti questa cosa:
"Si illude la sinistra se pensa che dopo il 13 giugno si interrompa la legislatura", detta Gianfranco Fini, "a parte che le elezioni andranno bene, il problema non me lo pongo […]. Questo è un governo di legislatura, devono aspettare altri due anni per andare alle urne".
Ma che antipatici. E per niente sportivi. E così supponenti. E allora a cosa serve, scusa? A cosa serve giocare, se gli altri non ci stanno? A che serve scoprirsi pacifisti senza sé e senza ma (dopo aver votato, qualche mese fa, il rifinanziamento), visto che "i sondaggi" chiedono questo, se poi dall'altra parte c'è Berlusconi che adesso dei "sondaggi" se ne frega bellamente e fa quello che gli pare?
C'è che Berlusconi è, con tutti i suoi problemi, un animale politico che dà retta ai sondaggi solo quando i sondaggi danno in testa lui: altrimenti non li degna di uno sguardo. Adesso che Nassiryia lo ha messo al muro, ha reagito come un animale ferito, ma ha reagito bene: si è inventato funzionario dell'Onu, ha incontrato in due giorni Annan e Bush, si è "assunto le responsabilità". Tutte puttanate, e lo sappiamo: però che energia, che fantasia. Berlusconi non è uno che va a rimorchio delle esigenze della gente: è uno che se le inventa, le esigenze della gente, che indirizza, che dirige. E un leader politico dovrebbe saper far questo.
D'Alema, invece, resta l'esempio di una sinistra che si crede "moderata" solo perché va a rimorchio di qualsiasi maggioranza individuata dai sondaggi: ieri la missione di pace andava abbastanza bene, e si votava il rifinanziamento: oggi si muore, c'è la guerra, i sondaggi dicono "no", e allora che ci facciamo lì? Se il suo sondaggista scoprisse domani che l'80% degli italiani vuole instaurare la dittatura del proletariato, D'Alema si precipiterebbe da Bertinotti a pianificare l'assalto al palazzo d'Inverno.
("Massimo, ma questa idea della vivoluzione… ma sei sicuvo?"
"Sicuro… ho fatto un sondaggio, diciamo".
"Non so… non mi sembva una cosa molto democvatica…"
"Ma sì che è democratica, la democrazia è la maggioranza, e la maggioranza sono i sondaggi, per cui…"
"Ma se poi pevdiamo?"
"Noi? Perdiamo? Mi hai mai visto perdere?")
D'Alema è così. Schiavo dei sondaggi. Peggio di Berlusconi (che è padrone dei sondaggi). In effetti, D'Alema è un prodotto di Berlusconi e del berlusconismo. Il miglior avversario che B. poteva augurarsi: pensa esattamente come lui, ma è meno ricco e ha sondaggisti meno bravi. Perciò non può che perdere.
Questo, Berlusconi lo sa. Lo sappiamo un po' tutti. D'Alema no. Ed è inutile spiegarglielo, chi siamo noi per spiegarglielo? Deve arrivarci da solo.
Ma chissà, stasera ha tutti gli elementi: ha gettato il guanto della sfida, e gli hanno riso in faccia. Era pronto a gustarsi la sua vendetta, tenuta in fresco per quattro anni… e ci hanno sputato sopra. Così m'illudo che chissà, potrebbe essere la sera giusta.
Ogni sera è buona per imparare qualcosa su sé stessi, dopotutto.
L'uomo a rimorchio
Ogni giorno è buono per imparare qualcosa su sé stessi. Così chissà, forse stasera D'Alema sta imparando. Chi lo sa.
Sto parlando di D'Alema, l'uomo che quattro anni fa fece un grave errore.
No, non dico la bicamerale. Quella fu una colossale sciocchezza, ma risale al 1997.
Non dico neanche l'idea di subentrare a Prodi coi voti di Cossiga e Mastella – quella di primo acchito sembrava una cazzata, ma chissà, col senno del poi avrebbe anche potuto rivelarsi un magistrale colpo di genio.
(Invece era proprio una cazzata, ma nel 1998 come faceva a saperlo?)
La cosa veramente grave, invece, fu nel 2000, durante una campagna elettorale europea, proprio come quella in cui siamo oggi. Berlusconi diceva male del governo in carica – e che altro poteva far? Oltre ad aver pessimamente governato (secondo lui), non aveva nemmeno il consenso degli italiani. Perciò sfidava D'Alema a vincere le Europee: altrimenti si sarebbe dovuto dimettere.
Si trattava, naturalmente, di un colpo basso da campagna elettorale: se dici "no" puoi sembrare timoroso di perdere; se dici "sì", poi rischi davvero di perdere. Cosa avrebbe dovuto fare D'Alema? Probabilmente avrebbe dovuto ignorare la cosa, ricordando che le elezioni europee non sono elezioni parlamentari, che non bisogna confondere i ruoli e ridurre ogni consultazione in un sondaggio, ecc.
Invece D'Alema accettò.
Questo fu molto grave, per vari motivi.
– Fu molto grave, perché trasformando le elezioni europee in un sondaggio sulla popolarità del governo, D'Alema incoraggiò gli elettori italiani a curarsi poco dei candidati che mandavano a Bruxelles. Vecchio equivoco duro a morire, che Bruxelles non conti niente: mentre negli ultimi anni Bruxelles sta diventando più importante di Roma. È a Bruxelles che si scrivono le normative che a Roma diventano progetti di legge e poi subito leggi, perché "ci si deve adeguare alla normativa europea". Se mangiamo o no mais OGM, è a Bruxelles che si decide. Se privatizziamo o no acqua e servizi, è perché a Bruxelles se ne discute. Per cui, quando si vota per Bruxelles, si dovrebbe pensare a Bruxelles. Non alla popolarità di Massimo D'Alema.
– Fu molto grave, perché D'Alema dimostrò di avere più o meno la stessa idea di democrazia di Berlusconi, e cioè: la democrazia è una sfida tra due o tre personaggi importanti che una volta ogni due o tre anni sondano la propria popolarità mediante "elezioni". Incidentalmente, queste "elezioni" eleggono anche deputati, senatori, sindaci, europarlamentari, ma questo è un effetto collaterale. L'essenziale è il dato sulla popolarità del boss di destra o del boss di sinistra.
– Fu molto grave, infine, perché quelle elezioni D'Alema le perse. Le avesse vinte, almeno. Con una bella vittoria si sarebbe forse guadagnato quella "investitura popolare" che secondo alcuni non aveva. In politica a volte il fine giustifica i mezzi… ma non vinse.
Perse, e anche male.
E uno si chiede anche: perché? Qualche sondaggista ce l'avrai anche tu, no? E te l'avrà detto, che rischiavi di perdere, no? Ti avrà almeno detto che qualche rischio c'era, che insomma non valeva la pena di accettare una sfida, no? No?
Tutto questo è grave, ma non è la cosa gravissima.
D'Alema aveva fatto una scommessa, e aveva perso. Poteva fregarsene. Poteva ostentare la più bella faccia tosta del mondo e dire che non si dimetteva, perché le elezioni europee non sono elezioni parlamentari, e non bisogna confondere i ruoli e ridurre ogni consultazione in un sondaggio, ecc.
Invece D'Alema si dimise. Sportivamente. Il popolo l'aveva mandato a casa? Aveva votato per mandarlo a casa? No. Il popolo aveva votato per Bruxelles. Ma D'Alema aveva fatto una scommessa con Berlusconi, e aveva perso, perciò andava a casa. Un grande sportivo, D'Alema. Un pessimo politico. Ma lui non lo sa.
Non l'ha mai capito – e chi sono io, tutto sommato, per spiegarglielo.
Però chissà, stasera mi illudo che potrebbe essere la sera giusta…
Stamattina era probabilmente di ottimo umore, D'Alema. Mettiamo che abbia sfogliato un quotidiano a colazione, uno solo perché oggi è festa. L'Unità no, perché mangiarsi il fegato. Il Riformista no, perché gli spiega che pensa e lui non ne ha bisogno. Mettiamo la Repubblica. Lo hanno messo a pagina 2, che è pur sempre una bella soddisfazione:
"Siamo al 33 per cento". Ma non basta . L'ha detto dal palco della Fiera lanciando l'allarme: questa lista e questo simbolo non sono ancora al centro della campagna elettorale". […] Sulla carta il centrosinistra vince dappertutto. […] "Guardate Bari, persino qui prendiamo il sindaco". Poi piega i fogli. "basta, altrimenti mi monto la testa". Anche perché il voto locale non è in cima ai suoi pensieri, la partita più grande si gioca alle Europee, il "referendum" sul listone e tutti i suoi leader, primi fra tutti Romano Prodi e lo stesso D'Alema. Il loro asse s'indebolisce o si rafforza in base a quel risultato.
Avete capito bene che cosa sono le europee, nel 2004, per D'Alema? L'occasione di scegliere europarlamentari capaci e competenti? Chissà, può darsi. Ma prima di tutto, le europee sono un "referendum" sul listone. Cioè su di lui, perché lui è uno dei leader (a proposito, perché leader? Perché uno che di solito vince le elezioni? Ne ha mai vinta una in vita sua?)
E poi, avete capito quali sono gli strumenti di D'Alema, nel 2004? Quattro anni dopo il suo grande errore, D'Alema va alla Convention dell'Ulivo a sbandierare sondaggi. Ma chi glieli ha fatti? Spero non sia stato lo stesso sondaggista che lo ha incoraggiato a giocarsi Palazzo Chigi alle Europee nel 2000. Spero che almeno abbia cambiato sondaggista, perché il resto non è affatto cambiato. Sempre una fiducia cieca nei sondaggi, sia quelli che paga (e che di solito gli dicono quello che piacerebbe a lui), sia quelli che si fanno su tutti gli italiani, e che in gergo si chiamano "elezioni" (in questo caso, "amministrative" ed "europee").
È talmente sicuro dei suoi numeri e dei suoi sondaggi, D'Alema, che addirittura provoca:
D'Alema provoca l'avversario, sventola un ipotetico 38% del listone che contrapposto a un virtuale 19% di Forza Italia provocherebbe una crisi di governo, "è chiaro che Berlusconi cade".
Chiaro a chi? A ma, per esempio, no. C'è una qualche norma che ha stabilito che se Forza Italia perde tot alle europee, "Berlusconi cade"? Oppure è Berlusconi che decide di cadere per questioni di opportunità – ve l'immaginate? Berlusconi che decide di abbandonare qualcosa per ragioni d'opportunità? Ha mai abbandonato Mediaset? Ha mai rinunciato a qualche cosa? Oppure… è una sfida? È questo, Massimo? Stai lanciando una sfida a Berlusconi? Perché si sa, Berlusconi è uno sportivo, uno che sta alle regole, uno che sa perdere (uno come te, insomma)…
A questo punto D'Alema si è letto, si è piaciuto, ed è arrivato a pagina 5, dove ci sono le "reazioni". Qui deve avere avuto un soprassalto. Pare proprio che Berlusconi non ci stia. Non ha risposto niente. Ha mandato avanti il maggiordomo, quell'antipatico, che detta ai giornalisti questa cosa:
"Si illude la sinistra se pensa che dopo il 13 giugno si interrompa la legislatura", detta Gianfranco Fini, "a parte che le elezioni andranno bene, il problema non me lo pongo […]. Questo è un governo di legislatura, devono aspettare altri due anni per andare alle urne".
Ma che antipatici. E per niente sportivi. E così supponenti. E allora a cosa serve, scusa? A cosa serve giocare, se gli altri non ci stanno? A che serve scoprirsi pacifisti senza sé e senza ma (dopo aver votato, qualche mese fa, il rifinanziamento), visto che "i sondaggi" chiedono questo, se poi dall'altra parte c'è Berlusconi che adesso dei "sondaggi" se ne frega bellamente e fa quello che gli pare?
C'è che Berlusconi è, con tutti i suoi problemi, un animale politico che dà retta ai sondaggi solo quando i sondaggi danno in testa lui: altrimenti non li degna di uno sguardo. Adesso che Nassiryia lo ha messo al muro, ha reagito come un animale ferito, ma ha reagito bene: si è inventato funzionario dell'Onu, ha incontrato in due giorni Annan e Bush, si è "assunto le responsabilità". Tutte puttanate, e lo sappiamo: però che energia, che fantasia. Berlusconi non è uno che va a rimorchio delle esigenze della gente: è uno che se le inventa, le esigenze della gente, che indirizza, che dirige. E un leader politico dovrebbe saper far questo.
D'Alema, invece, resta l'esempio di una sinistra che si crede "moderata" solo perché va a rimorchio di qualsiasi maggioranza individuata dai sondaggi: ieri la missione di pace andava abbastanza bene, e si votava il rifinanziamento: oggi si muore, c'è la guerra, i sondaggi dicono "no", e allora che ci facciamo lì? Se il suo sondaggista scoprisse domani che l'80% degli italiani vuole instaurare la dittatura del proletariato, D'Alema si precipiterebbe da Bertinotti a pianificare l'assalto al palazzo d'Inverno.
("Massimo, ma questa idea della vivoluzione… ma sei sicuvo?"
"Sicuro… ho fatto un sondaggio, diciamo".
"Non so… non mi sembva una cosa molto democvatica…"
"Ma sì che è democratica, la democrazia è la maggioranza, e la maggioranza sono i sondaggi, per cui…"
"Ma se poi pevdiamo?"
"Noi? Perdiamo? Mi hai mai visto perdere?")
D'Alema è così. Schiavo dei sondaggi. Peggio di Berlusconi (che è padrone dei sondaggi). In effetti, D'Alema è un prodotto di Berlusconi e del berlusconismo. Il miglior avversario che B. poteva augurarsi: pensa esattamente come lui, ma è meno ricco e ha sondaggisti meno bravi. Perciò non può che perdere.
Questo, Berlusconi lo sa. Lo sappiamo un po' tutti. D'Alema no. Ed è inutile spiegarglielo, chi siamo noi per spiegarglielo? Deve arrivarci da solo.
Ma chissà, stasera ha tutti gli elementi: ha gettato il guanto della sfida, e gli hanno riso in faccia. Era pronto a gustarsi la sua vendetta, tenuta in fresco per quattro anni… e ci hanno sputato sopra. Così m'illudo che chissà, potrebbe essere la sera giusta.
Ogni sera è buona per imparare qualcosa su sé stessi, dopotutto.
venerdì 21 maggio 2004
La Striscia
Vogliamo spiegare, ogni tanto, che cos'è la Striscia di Gaza? Perché tanti non sanno cos'è. Non è una questione di pregiudizi, antisemiti o antipalestinesi: è proprio che nessuno te lo spiega mai. La questione palestinese non l'abbiamo studiata a scuola: l'abbiamo imparata lentamente, per irradiazione televisiva. Finché, dopo anni che sentiamo parlare di Striscia di Gaza, siamo convinti di aver capito cos'è. Ma cos'è?
Sono in una casa nuova e non ho libri con me. Vado su Internet. Se voglio sapere cos'è successo ieri nella Striscia, lo imparo in dieci minuti. Fonti israeliane, palestinesi, europee, usa, arabe, posso scegliere la campana che voglio.
Ma se voglio semplicemente sapere cos'è la Striscia di Gaza, dove vado? Finisce che mi ritrovo sul sito della Lonely Planet.
La striscia di Gaza è davvero una striscia. È lunga, più o meno, 50 km., ed è larga circa 8. Allora ho fatto questo paragone (correggetemi se sbaglio): ritagliate il litorale da Rimini a Marina di Ravenna, dalla spiaggia fin dove le discoteche cedono posto alla campagna: questa, fisicamente, è una striscia simile a quella di Gaza.
Avete ritagliato? Avete immaginato? Bene. Ora recintate il tutto e rovesciateci dentro un milione e ducentomila persone. Secondo voi ci stanno? In effetti la Striscia di Gaza è una delle zone più densamente popolate della terra. Ed è paradossale, perché pur essendo una terra fertile, con un clima relativamente mite, la Striscia è circondata dal deserto. Da una parte il Sinai (Egitto). Dall'altra il Negev (Israele). In mezzo, schiacciati contro il mare, un milione e duecentomila palestinesi. E qualche migliaio di israeliani (seimila, credo), che Sharon ha promesso di ritirare. L'ha promesso varie volte.
La densità di popolazione non è omogenea. Nella Striscia ci sono città, villaggi, e zone meno popolate. E poi ci sono gli insediamenti degli israeliani. Uno è sulla spiaggia; un altro è proprio nel mezzo della Striscia, sull'unica strada che la attraversa. Perciò, abitare nella Striscia di Gaza non significa avere sempre il diritto di attraversarla. La strada è controllata dai coloni – per motivi di sicurezza. Controllano i semafori. Mi rendo conto che raccontata così sembra uno scherzo.
Tutta la storia sembra uno scherzo. Ci fu un Dio che prese un popolo fuori dall'Egitto e gli promise una terra di abbondanza e felicità. Ma gli anni passavano, il popolo girava in tondo nel deserto, e questo Dio trovava sempre nuovi pretesti per arrabbiarsi con loro e tergiversare. Durò quarant'anni: poi Dio dovette scoprire il bluff. La famosa terra promessa era la Palestina. La Palestina? Una terra promessa?
Magari a quel tempo, chissà, era una terra più dolce, dal clima più mite, rigogliosa d'alberi di frutto – come sarebbe la striscia di Gaza, se gli israeliani non avessero tagliato tanti alberi per motivi di sicurezza. Ma molti passi della Bibbia suggeriscono che già allora fosse un paese di sabbia e pietre. Pietre, soprattutto. Ce n'è da tutte le parti (più in Cisgiordania che nella Striscia). Sono bianche, e sembrano fatte apposta per essere raccolte e tirate in testa a qualcuno. Uno dei primi eroi nazionali del popolo ebraico, Davide, comincia la sua carriera così: tirando in testa una pietra a un filisteo molto più grosso di lui, e armato di tutto punto, Golia.
Ironia della Scrittura: i Filistei abitavano proprio nella zona della Striscia. Golia, gigante sbruffone, è l'inventore della deterrenza: grande e grosso e ben armato, chi oserà sconfiggerlo? Di contro Davide, ragazzino impavido, inventa la guerra asimmetrica: afferra una pietra e coglie di sorpresa l'avversario. Ancora oggi, in Palestina, c'è chi si barda di tutto punto, con gli ultimi preparati della tecnologia, e spera di fare arretrare il nemico. E c'è chi continua a tirare pietre – e le pietre, lo concedo, possono uccidere. Ma intanto Golia ha fatto dei progressi impressionanti. Ha carri armati, bulldozer, jet, persino l'arma atomica. Ha i satelliti. Può demolire le case dei suoi nemici – a volte lo fa. Può assassinare i loro capi con operazioni mirate – ogni tanto lo fa. In effetti, non c'è limite a quello che Golia può fare. E questo è un grosso problema, per Golia.
Lia (che conosce e parla della Striscia molto meglio di me) ha usato la parola genocidio. Non sono d'accordo. Golia ha tutto quello che serve per organizzare un genocidio: ha i moventi, ha le vittime, ha le armi. L'episodio di ieri è significativo: a un pilota è 'scappata' una strage. Non sono ironico: gli è 'scappata' davvero. Quando hai continuamente addosso armi micidiali, è fatale che ogni tanto scappi un colpo. Ma Golia non vuole davvero eliminare i palestinesi. Potrebbe farlo. Ne ha raccolti un milione e ducentomila in un immenso campo profughi all'aria aperta. Ma non lo fa. Forse, davvero, non sa cosa fare. Cosa farebbe Golia senza Davide? Dovrebbe iniziare a pensare ai suoi problemi. All'economia in crisi, alla corruzione, alle tensioni interne tra aschenaziti e sefarditi, tra ricchi e poveri, tra laici e integralisti, russi e americani, generali e uomini di pace. Un Paese nato col sogno dell'autosufficienza – nel deserto. Sempre questa antica fede, che dal deserto potesse scorrere il latte e il miele, magari con le colture idroponiche. È una tragica illusione. La verità è che non c'è abbastanza acqua per tutti, che i palestinesi devono cedere i pozzi e calare di numero. In un modo o nell'altro, occorre che calino di numero.
Dal '67 quando è iniziata l'occupazione dei territori palestinesi, il primo pensiero dell'esercito israeliano e dell'élite politica è stato come avere il massimo di terra e acqua con il minimo di popolazione palestinese. La soluzione di annettere semplicemente la terra popolata dai palestinesi avrebbe creato problemi demografici, paura che la maggioranza degli ebrei trova insostenibile.
Così il piano Alon del partito laburista proponeva l'annessione del 35-40 per cento dei territori con un ruolo anche della Giordania o qualche forma di autonomia per il resto del paese, dove sarebbero stati confinati i palestinesi. Questo sembrava un compromesso necessario. Sembrava allora inconcepibile ripetere la soluzione della guerra di Indipendenza del '48, quando la terra fu liberata dagli arabi con espulsioni di massa. La seconda soluzione, caldeggiata da Sharon, voleva di più. (da una vecchia intervista a Tanya Reinhart)
Intanto, Davide morde. Con tutta l'energia della disperazione. C'è chi sostiene che i palestinesi siano così feroci perché hanno libri di lettura pieni di odio razziale. E se non fosse in malafede sarebbe commovente, questa fiducia tutta occidentale nella potenza dei libri di lettura. Non è perché sono profughi, si considerano profughi da due o tre generazioni: non è perché sono assediati al loro interno da una minoranza blindata che controlla le vie di scorrimento; non è perché vivono addosso al mare ma non possono andarci (credo che a molti ragazzini basterebbe questo, per odiare). No. Sono i libri di lettura pagati coi fondi dell'Unione Europea, che incitano alla jihad. Uno scandalo, sì, d'accordo.
Un'altra cosa che si sente dire, è che se continuano a morire bambini è soprattutto colpa loro, dei palestinesi, che li portano sempre nei luoghi dei bombardamenti. Vorrei ripetere ancora una volta i dati del problema: una striscia di 50 km. per 8 con un milione e 200.000 abitanti. Una popolazione giovane (il tasso di natalità è molto alto). E a volte, bombardamenti in due fasi: colpisci un primo obiettivo, aspetti che arrivino soccorritori e curiosi, e poi colpisci di nuovo. I bambini sono selvaggi, maledettamente curiosi. Forse è vero: i palestinesi ne fanno troppi. Perché non si lasciano estinguere?
Tutto questo non è un genocidio, anche se fa mille volte più notizia di un genocidio (pensate a quante volte avete sentito parlare di Gaza e quante volte del Ruanda). È uno stillicidio, una tortura. C'è un prigioniero indomito, che sbraita e morde, e c'è un carceriere che potrebbe finirlo in qualsiasi momento, ma non vuole, e si morde le mani. Il prigioniero non ha nessuna speranza. Nessuno gli ha mai offerto più di quello che ha già: l'amministrazione della Striscia, cioè del suo carcere. A un certo punto l'idea è sembrata persino accettabile, ma poi il carceriere ha ricominciato a tirare sul prezzo: non te la do tutta, te ne do soltanto il 90%, come osi rifiutare il 90% della tua cella, ingrato?
Dividere il deserto in percentuali; occupare le piccole oasi e regalare sabbia e pietre. Promettere, blandire, bombardare. E il prigioniero morde ancora.
Perdonate il cinismo. È da anni che vorrei parlare della striscia di Gaza con equilibrio e con pietà. Ma ognuno ha dei limiti, e la striscia è un mio grosso limite. Probabilmente non dovevo andarci. Sicuramente non dovevo passarci in un giorno solo, un giorno in cui hanno cercato di mostrarci tutto, e ci chiedevano di ricordare tutto, e di parlarne quando saremmo tornati, e io non capivo niente. Avevo una fame isterica e mal di denti – un banale mal di denti occidentale, da mangiatore di salumi, e un'anziana palestinese in una tenda mi offriva pane cotto sulla pietra. Potevo solo sentirmi piccolo e inutile, di fronte a una pazzia che è troppo più grande di me.
Io non sono Rachel Corrie, decisamente (leggete lei, non me). Non riuscirò mai a scrivere della Striscia con equilibrio. Equilibrio? Dovrei insegnare l'educazione ai palestinesi, agli israeliani? Israeliani, per favore, non segregate i palestinesi, ricordate la vostra storia. Profughi della Striscia, per favore, allontanate i fanatici religiosi che vi promettono l'impossibile ed eleggete capi meno corrotti, convivete serenamente cogli israeliani nella terra che vi è rimasta: cinquanta chilometri per otto. No. Mi dispiace, non posso entrare nella testa di chi è da quarant'anni carcerato o carceriere; non ho piani per salvare il mondo. Se io fossi un palestinese sarei un pazzo fanatico, se fossi un israeliano piloterei un elicottero e mi partirebbe un colpo. Non per merito mio sono nato in un altro Paese, così aspetto che tutto questo passi. Nessun equilibrio è per sempre, credo. Dovrei pregare, ma non un Dio che promette latte e miele e mantiene sabbia e pietre. Così perdonatevi se quel che scrivo vi fa arrabbiare: se voi sapete di chi è la colpa io stanotte vi invidio. Dico onestamente.
Vogliamo spiegare, ogni tanto, che cos'è la Striscia di Gaza? Perché tanti non sanno cos'è. Non è una questione di pregiudizi, antisemiti o antipalestinesi: è proprio che nessuno te lo spiega mai. La questione palestinese non l'abbiamo studiata a scuola: l'abbiamo imparata lentamente, per irradiazione televisiva. Finché, dopo anni che sentiamo parlare di Striscia di Gaza, siamo convinti di aver capito cos'è. Ma cos'è?
Sono in una casa nuova e non ho libri con me. Vado su Internet. Se voglio sapere cos'è successo ieri nella Striscia, lo imparo in dieci minuti. Fonti israeliane, palestinesi, europee, usa, arabe, posso scegliere la campana che voglio.
Ma se voglio semplicemente sapere cos'è la Striscia di Gaza, dove vado? Finisce che mi ritrovo sul sito della Lonely Planet.
La striscia di Gaza è davvero una striscia. È lunga, più o meno, 50 km., ed è larga circa 8. Allora ho fatto questo paragone (correggetemi se sbaglio): ritagliate il litorale da Rimini a Marina di Ravenna, dalla spiaggia fin dove le discoteche cedono posto alla campagna: questa, fisicamente, è una striscia simile a quella di Gaza.
Avete ritagliato? Avete immaginato? Bene. Ora recintate il tutto e rovesciateci dentro un milione e ducentomila persone. Secondo voi ci stanno? In effetti la Striscia di Gaza è una delle zone più densamente popolate della terra. Ed è paradossale, perché pur essendo una terra fertile, con un clima relativamente mite, la Striscia è circondata dal deserto. Da una parte il Sinai (Egitto). Dall'altra il Negev (Israele). In mezzo, schiacciati contro il mare, un milione e duecentomila palestinesi. E qualche migliaio di israeliani (seimila, credo), che Sharon ha promesso di ritirare. L'ha promesso varie volte.
La densità di popolazione non è omogenea. Nella Striscia ci sono città, villaggi, e zone meno popolate. E poi ci sono gli insediamenti degli israeliani. Uno è sulla spiaggia; un altro è proprio nel mezzo della Striscia, sull'unica strada che la attraversa. Perciò, abitare nella Striscia di Gaza non significa avere sempre il diritto di attraversarla. La strada è controllata dai coloni – per motivi di sicurezza. Controllano i semafori. Mi rendo conto che raccontata così sembra uno scherzo.
Tutta la storia sembra uno scherzo. Ci fu un Dio che prese un popolo fuori dall'Egitto e gli promise una terra di abbondanza e felicità. Ma gli anni passavano, il popolo girava in tondo nel deserto, e questo Dio trovava sempre nuovi pretesti per arrabbiarsi con loro e tergiversare. Durò quarant'anni: poi Dio dovette scoprire il bluff. La famosa terra promessa era la Palestina. La Palestina? Una terra promessa?
Magari a quel tempo, chissà, era una terra più dolce, dal clima più mite, rigogliosa d'alberi di frutto – come sarebbe la striscia di Gaza, se gli israeliani non avessero tagliato tanti alberi per motivi di sicurezza. Ma molti passi della Bibbia suggeriscono che già allora fosse un paese di sabbia e pietre. Pietre, soprattutto. Ce n'è da tutte le parti (più in Cisgiordania che nella Striscia). Sono bianche, e sembrano fatte apposta per essere raccolte e tirate in testa a qualcuno. Uno dei primi eroi nazionali del popolo ebraico, Davide, comincia la sua carriera così: tirando in testa una pietra a un filisteo molto più grosso di lui, e armato di tutto punto, Golia.
Ironia della Scrittura: i Filistei abitavano proprio nella zona della Striscia. Golia, gigante sbruffone, è l'inventore della deterrenza: grande e grosso e ben armato, chi oserà sconfiggerlo? Di contro Davide, ragazzino impavido, inventa la guerra asimmetrica: afferra una pietra e coglie di sorpresa l'avversario. Ancora oggi, in Palestina, c'è chi si barda di tutto punto, con gli ultimi preparati della tecnologia, e spera di fare arretrare il nemico. E c'è chi continua a tirare pietre – e le pietre, lo concedo, possono uccidere. Ma intanto Golia ha fatto dei progressi impressionanti. Ha carri armati, bulldozer, jet, persino l'arma atomica. Ha i satelliti. Può demolire le case dei suoi nemici – a volte lo fa. Può assassinare i loro capi con operazioni mirate – ogni tanto lo fa. In effetti, non c'è limite a quello che Golia può fare. E questo è un grosso problema, per Golia.
Lia (che conosce e parla della Striscia molto meglio di me) ha usato la parola genocidio. Non sono d'accordo. Golia ha tutto quello che serve per organizzare un genocidio: ha i moventi, ha le vittime, ha le armi. L'episodio di ieri è significativo: a un pilota è 'scappata' una strage. Non sono ironico: gli è 'scappata' davvero. Quando hai continuamente addosso armi micidiali, è fatale che ogni tanto scappi un colpo. Ma Golia non vuole davvero eliminare i palestinesi. Potrebbe farlo. Ne ha raccolti un milione e ducentomila in un immenso campo profughi all'aria aperta. Ma non lo fa. Forse, davvero, non sa cosa fare. Cosa farebbe Golia senza Davide? Dovrebbe iniziare a pensare ai suoi problemi. All'economia in crisi, alla corruzione, alle tensioni interne tra aschenaziti e sefarditi, tra ricchi e poveri, tra laici e integralisti, russi e americani, generali e uomini di pace. Un Paese nato col sogno dell'autosufficienza – nel deserto. Sempre questa antica fede, che dal deserto potesse scorrere il latte e il miele, magari con le colture idroponiche. È una tragica illusione. La verità è che non c'è abbastanza acqua per tutti, che i palestinesi devono cedere i pozzi e calare di numero. In un modo o nell'altro, occorre che calino di numero.
Dal '67 quando è iniziata l'occupazione dei territori palestinesi, il primo pensiero dell'esercito israeliano e dell'élite politica è stato come avere il massimo di terra e acqua con il minimo di popolazione palestinese. La soluzione di annettere semplicemente la terra popolata dai palestinesi avrebbe creato problemi demografici, paura che la maggioranza degli ebrei trova insostenibile.
Così il piano Alon del partito laburista proponeva l'annessione del 35-40 per cento dei territori con un ruolo anche della Giordania o qualche forma di autonomia per il resto del paese, dove sarebbero stati confinati i palestinesi. Questo sembrava un compromesso necessario. Sembrava allora inconcepibile ripetere la soluzione della guerra di Indipendenza del '48, quando la terra fu liberata dagli arabi con espulsioni di massa. La seconda soluzione, caldeggiata da Sharon, voleva di più. (da una vecchia intervista a Tanya Reinhart)
Intanto, Davide morde. Con tutta l'energia della disperazione. C'è chi sostiene che i palestinesi siano così feroci perché hanno libri di lettura pieni di odio razziale. E se non fosse in malafede sarebbe commovente, questa fiducia tutta occidentale nella potenza dei libri di lettura. Non è perché sono profughi, si considerano profughi da due o tre generazioni: non è perché sono assediati al loro interno da una minoranza blindata che controlla le vie di scorrimento; non è perché vivono addosso al mare ma non possono andarci (credo che a molti ragazzini basterebbe questo, per odiare). No. Sono i libri di lettura pagati coi fondi dell'Unione Europea, che incitano alla jihad. Uno scandalo, sì, d'accordo.
Un'altra cosa che si sente dire, è che se continuano a morire bambini è soprattutto colpa loro, dei palestinesi, che li portano sempre nei luoghi dei bombardamenti. Vorrei ripetere ancora una volta i dati del problema: una striscia di 50 km. per 8 con un milione e 200.000 abitanti. Una popolazione giovane (il tasso di natalità è molto alto). E a volte, bombardamenti in due fasi: colpisci un primo obiettivo, aspetti che arrivino soccorritori e curiosi, e poi colpisci di nuovo. I bambini sono selvaggi, maledettamente curiosi. Forse è vero: i palestinesi ne fanno troppi. Perché non si lasciano estinguere?
Tutto questo non è un genocidio, anche se fa mille volte più notizia di un genocidio (pensate a quante volte avete sentito parlare di Gaza e quante volte del Ruanda). È uno stillicidio, una tortura. C'è un prigioniero indomito, che sbraita e morde, e c'è un carceriere che potrebbe finirlo in qualsiasi momento, ma non vuole, e si morde le mani. Il prigioniero non ha nessuna speranza. Nessuno gli ha mai offerto più di quello che ha già: l'amministrazione della Striscia, cioè del suo carcere. A un certo punto l'idea è sembrata persino accettabile, ma poi il carceriere ha ricominciato a tirare sul prezzo: non te la do tutta, te ne do soltanto il 90%, come osi rifiutare il 90% della tua cella, ingrato?
Dividere il deserto in percentuali; occupare le piccole oasi e regalare sabbia e pietre. Promettere, blandire, bombardare. E il prigioniero morde ancora.
Perdonate il cinismo. È da anni che vorrei parlare della striscia di Gaza con equilibrio e con pietà. Ma ognuno ha dei limiti, e la striscia è un mio grosso limite. Probabilmente non dovevo andarci. Sicuramente non dovevo passarci in un giorno solo, un giorno in cui hanno cercato di mostrarci tutto, e ci chiedevano di ricordare tutto, e di parlarne quando saremmo tornati, e io non capivo niente. Avevo una fame isterica e mal di denti – un banale mal di denti occidentale, da mangiatore di salumi, e un'anziana palestinese in una tenda mi offriva pane cotto sulla pietra. Potevo solo sentirmi piccolo e inutile, di fronte a una pazzia che è troppo più grande di me.
Io non sono Rachel Corrie, decisamente (leggete lei, non me). Non riuscirò mai a scrivere della Striscia con equilibrio. Equilibrio? Dovrei insegnare l'educazione ai palestinesi, agli israeliani? Israeliani, per favore, non segregate i palestinesi, ricordate la vostra storia. Profughi della Striscia, per favore, allontanate i fanatici religiosi che vi promettono l'impossibile ed eleggete capi meno corrotti, convivete serenamente cogli israeliani nella terra che vi è rimasta: cinquanta chilometri per otto. No. Mi dispiace, non posso entrare nella testa di chi è da quarant'anni carcerato o carceriere; non ho piani per salvare il mondo. Se io fossi un palestinese sarei un pazzo fanatico, se fossi un israeliano piloterei un elicottero e mi partirebbe un colpo. Non per merito mio sono nato in un altro Paese, così aspetto che tutto questo passi. Nessun equilibrio è per sempre, credo. Dovrei pregare, ma non un Dio che promette latte e miele e mantiene sabbia e pietre. Così perdonatevi se quel che scrivo vi fa arrabbiare: se voi sapete di chi è la colpa io stanotte vi invidio. Dico onestamente.
giovedì 20 maggio 2004
Il ritorno dell'amico Frankie?
Qui ci sono 50 cose che non tornano nel filmato di Berg (in inglese, via Giavasan, e grazie).
Qui c'è un altro bel catalogo di dubbi e interrogativi in italiano.
A questo punto io non voglio dire che non credo al filmato della decapitazione di Berg: dico soltanto che dovremmo capovolgere il problema. E cioè: non siamo più noi a dover dimostrare che è un falso, ma è chi ci crede e chi lo ha usato come strumento di propaganda a dover dimostrare che è autentico. Per ora si sono limitati a spiattellarlo in prima pagina con tutta l'evidenza possibile. Ma se dobbiamo credere a quello che vediamo, il video di Berg è soltanto una sequenza sgranata di immagini in digitale, con tagli e numerose incoerenze.
L'anno scorso, di questi giorni, mi capitò di tirare fuori la storia di Frankie, un vecchio fotomontaggio che alla Repubblica prendono ancora sul serio (l'ho rivisto di recente sul Venerdì). Nella serie piuttosto lunga e invereconda di messaggi che ne seguì su gnueconomy, ce ne fu uno curiosamente serio e argomentato, che oggi sono andato a rileggermi. Dice una cosa profondamente giusta: da quando le immagini sono digitali, hanno perso ogni aura di autenticità. Una foto digitale è fatta per essere modificata, ricombinata, distorta. A questo punto, dobbiamo cominciare a ragionare in questo modo: ogni immagine è falsa, fino a prova contraria. Non dobbiamo più preoccuparci di trovare i fake (falsi). Sono gli autori o gli editori che devono trovare altre prove convincenti che le loro foto non sono fake.
In realtà stiamo già cominciando a ragionare così, senza rendercene conto. Quando hanno cominciato a pubblicare le avventure illustrate della soldatessa England, io ho subito pensato a un montaggio. Possibile che comparisse sempre la stessa personcina, in pose e smorfie così innaturali? E ci ho creduto veramente solo quando la soldatessa, intervistata ha detto: sì, c'ero quando sono state scattate le foto (e mi sono pure divertita).
Barthes, studiando la Retorica degli avvocati antichi, parlava di "prove estrinseche", per indicare una serie di argomenti che non entravano nel discorso vero e proprio dell'oratore; non venivano verbalizzati, ma esibiti, sotto forma di oggetti, corpi del reato: per es., un coltello sporco di sangue. La fotografia, da quando esiste, è scivolata con un po' di leggerezza tra le "prove estrinseche": oggetti autoevidenti, da esibire e commentare.
Con la grafica digitale l'immagine smette di essere autoevidente. Entra definitivamente nel caotico insieme dei segni arbitrari, combinabili, significanti. Entra nel linguaggio, cioè. Benvenuta. Ma adesso servono altre prove estrinseche, altri oggetti autoevidenti, altri corpi del reato. Come li troviamo?
(Qui sotto allego il commento su Gnu. Spero che il Francesco che lo ha scritto mi perdonerà).
attorno a quelle due immagini di genova ci sarebbe tanto da dire. prima di tutto è “filologicamente” scorretto chiamarle “fotografie”. sarò pedante, ma “fotografia” significa “scritto con la luce”. mi sembra chiarificatrice riguardo tale concetto, l’idea che aveva della fotografia fox-talbot (uno dei suoi padri): anzichè disegnare a mano i paesaggi (probabilmente non era il suo forte), voleva trovare il modo di fissare sulla carta ciò che la luce proiettava attraversando il foro di una “camera obscura”. non mi addentrerò in noiosi dettagli tecnici, ma nel suo procedimento (più o meno inventò la negativa) l’intervento chimico si limitava a “fissare” ciò che la luce aveva disegnato. l’introduzione delle tecniche di elaborazione digitale dell’immagine sposta l’azione su altri elementi: dai pixel ai retini tipografici della quadricromia (ben diversi dai sali d’argento) attraverso il passaggio dell’immagine nel computer. ed è questo questo mezzo che rende modificabile a proprio piacimento anche la singola unità di base dell’immagine: il pixel. si apre un nuovo universo di possibilità, ben differente da quello della fotografia tradizionale, in cui il ritocco, i montaggi e le elaborazioni erano si possibili, ma molto complessi e di dubbia efficacia, al punto da richiedere la mano di un artista e determinando comunque una più o meno evidente perdita di qualità tecnica dell’immagine finale. la facilità di elaborazione fino ai minimi termini è in sostanza l’essenza stessa dell’immagine digitale. ciò porta a riconsiderare la possibilità di rappresentazione della realtà mediante immagini digitalizzate. anzi, di fronte ad un immagine di questo tipo si deve partire dall’idea che essa NON rappresenti affatto la realtà, ma è una sua elaborazione, che al più potrà raccontare il vero, ma assolutamente NON potrà esserne testimone. secondo ferdinando scianna, la “fotografia mostra, ma non dimostra”. si potrebbe aggiungere che l’immagine digitale racconta, ma non mostra nè tantomeno può dimostrare. pertanto, l’uso di una qualsiasi immagine digitale a scopo informativo, senza che si sia premesso ed evidenziato tale concetto, è di per se stesso un indice di malafede. e se pensiamo che ormai tutti i quotidiani usano solo immagini digitali…
Qui ci sono 50 cose che non tornano nel filmato di Berg (in inglese, via Giavasan, e grazie).
Qui c'è un altro bel catalogo di dubbi e interrogativi in italiano.
A questo punto io non voglio dire che non credo al filmato della decapitazione di Berg: dico soltanto che dovremmo capovolgere il problema. E cioè: non siamo più noi a dover dimostrare che è un falso, ma è chi ci crede e chi lo ha usato come strumento di propaganda a dover dimostrare che è autentico. Per ora si sono limitati a spiattellarlo in prima pagina con tutta l'evidenza possibile. Ma se dobbiamo credere a quello che vediamo, il video di Berg è soltanto una sequenza sgranata di immagini in digitale, con tagli e numerose incoerenze.
L'anno scorso, di questi giorni, mi capitò di tirare fuori la storia di Frankie, un vecchio fotomontaggio che alla Repubblica prendono ancora sul serio (l'ho rivisto di recente sul Venerdì). Nella serie piuttosto lunga e invereconda di messaggi che ne seguì su gnueconomy, ce ne fu uno curiosamente serio e argomentato, che oggi sono andato a rileggermi. Dice una cosa profondamente giusta: da quando le immagini sono digitali, hanno perso ogni aura di autenticità. Una foto digitale è fatta per essere modificata, ricombinata, distorta. A questo punto, dobbiamo cominciare a ragionare in questo modo: ogni immagine è falsa, fino a prova contraria. Non dobbiamo più preoccuparci di trovare i fake (falsi). Sono gli autori o gli editori che devono trovare altre prove convincenti che le loro foto non sono fake.
In realtà stiamo già cominciando a ragionare così, senza rendercene conto. Quando hanno cominciato a pubblicare le avventure illustrate della soldatessa England, io ho subito pensato a un montaggio. Possibile che comparisse sempre la stessa personcina, in pose e smorfie così innaturali? E ci ho creduto veramente solo quando la soldatessa, intervistata ha detto: sì, c'ero quando sono state scattate le foto (e mi sono pure divertita).
Barthes, studiando la Retorica degli avvocati antichi, parlava di "prove estrinseche", per indicare una serie di argomenti che non entravano nel discorso vero e proprio dell'oratore; non venivano verbalizzati, ma esibiti, sotto forma di oggetti, corpi del reato: per es., un coltello sporco di sangue. La fotografia, da quando esiste, è scivolata con un po' di leggerezza tra le "prove estrinseche": oggetti autoevidenti, da esibire e commentare.
Con la grafica digitale l'immagine smette di essere autoevidente. Entra definitivamente nel caotico insieme dei segni arbitrari, combinabili, significanti. Entra nel linguaggio, cioè. Benvenuta. Ma adesso servono altre prove estrinseche, altri oggetti autoevidenti, altri corpi del reato. Come li troviamo?
(Qui sotto allego il commento su Gnu. Spero che il Francesco che lo ha scritto mi perdonerà).
attorno a quelle due immagini di genova ci sarebbe tanto da dire. prima di tutto è “filologicamente” scorretto chiamarle “fotografie”. sarò pedante, ma “fotografia” significa “scritto con la luce”. mi sembra chiarificatrice riguardo tale concetto, l’idea che aveva della fotografia fox-talbot (uno dei suoi padri): anzichè disegnare a mano i paesaggi (probabilmente non era il suo forte), voleva trovare il modo di fissare sulla carta ciò che la luce proiettava attraversando il foro di una “camera obscura”. non mi addentrerò in noiosi dettagli tecnici, ma nel suo procedimento (più o meno inventò la negativa) l’intervento chimico si limitava a “fissare” ciò che la luce aveva disegnato. l’introduzione delle tecniche di elaborazione digitale dell’immagine sposta l’azione su altri elementi: dai pixel ai retini tipografici della quadricromia (ben diversi dai sali d’argento) attraverso il passaggio dell’immagine nel computer. ed è questo questo mezzo che rende modificabile a proprio piacimento anche la singola unità di base dell’immagine: il pixel. si apre un nuovo universo di possibilità, ben differente da quello della fotografia tradizionale, in cui il ritocco, i montaggi e le elaborazioni erano si possibili, ma molto complessi e di dubbia efficacia, al punto da richiedere la mano di un artista e determinando comunque una più o meno evidente perdita di qualità tecnica dell’immagine finale. la facilità di elaborazione fino ai minimi termini è in sostanza l’essenza stessa dell’immagine digitale. ciò porta a riconsiderare la possibilità di rappresentazione della realtà mediante immagini digitalizzate. anzi, di fronte ad un immagine di questo tipo si deve partire dall’idea che essa NON rappresenti affatto la realtà, ma è una sua elaborazione, che al più potrà raccontare il vero, ma assolutamente NON potrà esserne testimone. secondo ferdinando scianna, la “fotografia mostra, ma non dimostra”. si potrebbe aggiungere che l’immagine digitale racconta, ma non mostra nè tantomeno può dimostrare. pertanto, l’uso di una qualsiasi immagine digitale a scopo informativo, senza che si sia premesso ed evidenziato tale concetto, è di per se stesso un indice di malafede. e se pensiamo che ormai tutti i quotidiani usano solo immagini digitali…
mercoledì 19 maggio 2004
Scuola di tortura
Fuori di polemica, vorrei dire: che gli americani facciano uso di tortura non è un grosso scoop. In effetti, è come se lo avessimo sempre saputo. In effetti, lo sapevamo già.
Bastava un po’ di memoria – perché sì, d’accordo, dobbiamo ricordarci l’11 settembre, ma anche quello che è successo prima. E fino a tre anni fa l’11 settembre era l’anniversario del golpe cileno: uno dei tanti promossi dall’amministrazione USA in Sudamerica al tempo della dottrina Kissinger.
Sono cose talmente risapute, che a uno non viene più in mente di farci un post. Ma siccome un sacco di gente si comporta come se fosse davvero nata l’11 settembre, come se tutto quello che è successo prima non avesse importanza, ogni tanto giova ricordarlo: tanti dittatori e torturatori sudamericani si sono giovati del know how statunitense. Cito dalla mailing list di Attac (e ringrazio):
"La School of the Americas è all´origine dei fatti di Abu Ghraib.
La SOA, fondata a Panama nel 1946, fu una scuola di addestramento di truppe latinoamericane finanziata dagli Stati Uniti con lo scopo di 'promuovere la stabilità in America Latina'.
Tra i suoi "laureati" uscirono i torturatori e dittatori più famosi del continente latinoamericano: i dittatori argentini Viola e Galtieri, i panamensi Noriega e Torríjos, il peruviano Alvarado e l'ecuadoregno Rodriguez... In tutto, 11 presidenti, 40 ministri della Difesa e 75 comandanti in capo delle Forze Armate.
Nella SOA si formarono oltre 60.000 poliziotti e soldati provenienti da 18 paesi dell'America Latina. Gli stessi furono poi utilizzati nei golpe militari e nelle repressioni che ebbero luogo in Cile, Argentina, El Salvador, Guatemala, Perù, Colombia..."
Sia detto per inciso: oggi, maggio 2005, in Colombia sono attualmente presenti un migliaio di «consiglieri» e «istruttori» militari americani. Chi "addestrano"? Milizie mercenarie. Per fare che? Per sconfinare in Venezuela, dove c'è un governo inviso agli USA (c'è anche tanto petrolio). Ne avete sentito parlare? Date un’occhiata a Pfaall: 1, 2, 3
"Nel 1996 il governo Usa è stato costretto a rendere pubblici sette dei manuali di addestramento della scuola che contenevano, tra l'altro, consigli relativi alle tecniche di interrogatorio, al ricatto, alla tortura, all'uccisione, all'arresto dei parenti dei testimoni.
Nel 1984 la scuola si trasferì a Fort Benning, in Georgia, USA e il 31 dicembre 2000 venne chiusa per essere riaperta il 17 genaio 2001 sotto il nome di "Istituto dell'Emisfero Occidentale per la Cooperazione alla Sicurezza - Western Hemisphere Institute for Security Cooperation (WHISC)".
Oggi, negli Stati Uniti, cittadini e attivisti per i diritti umani ne chiedono la chiusura incondizionata e stanno promuovendo una campagna di pressione sul Congresso americano.
Un interesante commento su questa scuola si trova su The Guardian"
Tutto questo non rende gli USA un demonio, non rende Bush o Nixon uguali a Hitler. Non c’è dubbio che Bush e Nixon siano stati leader di una grande democrazia. Ma quando c’era da torturare, hanno torturato e hanno insegnato a torturare.
L’America è una grande democrazia di uomini liberi, come Atene, come Roma. È anche una grande potenza imperialista, come fu Atene e come fu Roma. E come loro è fondata sulla violenza e sulla schiavitù. Il nostro modello di sviluppo è fondato sulla violenza e sulla schiavitù. Solo che pensavamo di poter dislocare la schiavitù in regioni lontane, nel Terzo Mondo remoto, negli scantinati senza finestre. Non sarà così facile: cinque miliardi contro un miliardo scarso, oggettivamente, non è facile.
La dottrina Bush ce la ricordiamo benissimo: è tutta in quella semplice frase: "Il tenore di vita degli americani non è in discussione". Il "tenore di vita" è la chiave di tutto. Il "tenore di vita" è la democrazia. Il "tenore di vita" è il petrolio a pochi dollari. Il "tenore di vita" è la schiavitù, il lavoro minorile, lo stato carcerario, le milizie paramilitari, la società del controllo.
Così, se volete sapere perché i nostri uomini combattono e muoiono, io vi propongo: per il "tenore di vita". Degli americani. (E anche per il nostro, ci mancherebbe).
Fuori di polemica, vorrei dire: che gli americani facciano uso di tortura non è un grosso scoop. In effetti, è come se lo avessimo sempre saputo. In effetti, lo sapevamo già.
Bastava un po’ di memoria – perché sì, d’accordo, dobbiamo ricordarci l’11 settembre, ma anche quello che è successo prima. E fino a tre anni fa l’11 settembre era l’anniversario del golpe cileno: uno dei tanti promossi dall’amministrazione USA in Sudamerica al tempo della dottrina Kissinger.
Sono cose talmente risapute, che a uno non viene più in mente di farci un post. Ma siccome un sacco di gente si comporta come se fosse davvero nata l’11 settembre, come se tutto quello che è successo prima non avesse importanza, ogni tanto giova ricordarlo: tanti dittatori e torturatori sudamericani si sono giovati del know how statunitense. Cito dalla mailing list di Attac (e ringrazio):
"La School of the Americas è all´origine dei fatti di Abu Ghraib.
La SOA, fondata a Panama nel 1946, fu una scuola di addestramento di truppe latinoamericane finanziata dagli Stati Uniti con lo scopo di 'promuovere la stabilità in America Latina'.
Tra i suoi "laureati" uscirono i torturatori e dittatori più famosi del continente latinoamericano: i dittatori argentini Viola e Galtieri, i panamensi Noriega e Torríjos, il peruviano Alvarado e l'ecuadoregno Rodriguez... In tutto, 11 presidenti, 40 ministri della Difesa e 75 comandanti in capo delle Forze Armate.
Nella SOA si formarono oltre 60.000 poliziotti e soldati provenienti da 18 paesi dell'America Latina. Gli stessi furono poi utilizzati nei golpe militari e nelle repressioni che ebbero luogo in Cile, Argentina, El Salvador, Guatemala, Perù, Colombia..."
Sia detto per inciso: oggi, maggio 2005, in Colombia sono attualmente presenti un migliaio di «consiglieri» e «istruttori» militari americani. Chi "addestrano"? Milizie mercenarie. Per fare che? Per sconfinare in Venezuela, dove c'è un governo inviso agli USA (c'è anche tanto petrolio). Ne avete sentito parlare? Date un’occhiata a Pfaall: 1, 2, 3
"Nel 1996 il governo Usa è stato costretto a rendere pubblici sette dei manuali di addestramento della scuola che contenevano, tra l'altro, consigli relativi alle tecniche di interrogatorio, al ricatto, alla tortura, all'uccisione, all'arresto dei parenti dei testimoni.
Nel 1984 la scuola si trasferì a Fort Benning, in Georgia, USA e il 31 dicembre 2000 venne chiusa per essere riaperta il 17 genaio 2001 sotto il nome di "Istituto dell'Emisfero Occidentale per la Cooperazione alla Sicurezza - Western Hemisphere Institute for Security Cooperation (WHISC)".
Oggi, negli Stati Uniti, cittadini e attivisti per i diritti umani ne chiedono la chiusura incondizionata e stanno promuovendo una campagna di pressione sul Congresso americano.
Un interesante commento su questa scuola si trova su The Guardian"
Tutto questo non rende gli USA un demonio, non rende Bush o Nixon uguali a Hitler. Non c’è dubbio che Bush e Nixon siano stati leader di una grande democrazia. Ma quando c’era da torturare, hanno torturato e hanno insegnato a torturare.
L’America è una grande democrazia di uomini liberi, come Atene, come Roma. È anche una grande potenza imperialista, come fu Atene e come fu Roma. E come loro è fondata sulla violenza e sulla schiavitù. Il nostro modello di sviluppo è fondato sulla violenza e sulla schiavitù. Solo che pensavamo di poter dislocare la schiavitù in regioni lontane, nel Terzo Mondo remoto, negli scantinati senza finestre. Non sarà così facile: cinque miliardi contro un miliardo scarso, oggettivamente, non è facile.
La dottrina Bush ce la ricordiamo benissimo: è tutta in quella semplice frase: "Il tenore di vita degli americani non è in discussione". Il "tenore di vita" è la chiave di tutto. Il "tenore di vita" è la democrazia. Il "tenore di vita" è il petrolio a pochi dollari. Il "tenore di vita" è la schiavitù, il lavoro minorile, lo stato carcerario, le milizie paramilitari, la società del controllo.
Così, se volete sapere perché i nostri uomini combattono e muoiono, io vi propongo: per il "tenore di vita". Degli americani. (E anche per il nostro, ci mancherebbe).
martedì 18 maggio 2004
La Legge di Mario e la Legge di Beppe
E poi ho pensato: ma mi passerà un bel giorno questo senso d'irrealtà, quest’aria da apprendista eterno? E quando? A trent’anni non sarebbe l’ora? E i miei colleghi, qui intorno, quanto ci hanno messo a prender l’aria da colleghi? Perché a loro è venuta proprio naturale. Ma a me?
Nel primo posto dove ho lavorato – oh, non è stato troppissimo tempo fa – ho imparato due leggi fondamentali: la legge di Mario e la legge di Beppe.
Mario era un bancario. Uno bravo. Un po’ avanti con gli anni, ma sempre in fibrillo. Sempre sul ferro caldo. E diceva al mio collega (con l’aria da collega): “Primo: renditi indispensabile; secondo: detta le condizioni”. Questa è la legge di Mario. Legge in due tempi. Nel primo tempo c’è da farsi un culo quadro, che dico, romboidale. Correr di qua, di là. Poi, un bel giorno, crack! la scossa di assestamento. Qualcuno scoprirà di non poter più fare a meno del tuo culo romboidale. Da lì in poi, è in discesa. E vivrete felici ever after.
(“Mo Dio, Leonardo, un culo romboidale! Ma son cose da scrivere?”
“Uffa, mamma, sempre a leggermi il blog”).
Il mio collega annuiva, poi succedeva sempre qualche imprevisto: un tubo rotto, un corto circuito. E mi dicevano di andare a chiamare Beppe.
Beppe era uno che sapeva fare qualsiasi cosa, ma con calma, eh? Che non ci corre mica dietro nessuno. E una volta, mentre lo aiutavo a satinare una superficie o a montare degli impianti o che ne so, mi spiegò la sua legge. Ricordo che stava per aggiungere qualcosa, un tocco d’artista, ma poi si trattenne, perché… “Le cose non vanno fatte troppo bene, sennò poi ti chiedono sempre di farle”. Questa è la legge di Beppe.
Adesso, se tu lavori, se ora magari ti trovi nel posto di lavoro, lo sai meglio di me quanti Beppe e quanti Mario ti trovi attorno, e quante volte nella giornata usi la legge di Beppe e quante volte la legge di Mario, come il tabacco e il caffè, i tuoi carburanti miscelati per tirare avanti.
E abbiamo parlato di lavoro: ma non è la stessa cosa in amore? E non è la stessa cosa coi blog?
E dimmelo tu cosa dovrei fare: Beppe? Mario? Sapessi quante volte ci ho provato: ma resto sempre sospeso in mezzo, con quel vago retrosenso di pirla che non va via.
E poi ho pensato: ma mi passerà un bel giorno questo senso d'irrealtà, quest’aria da apprendista eterno? E quando? A trent’anni non sarebbe l’ora? E i miei colleghi, qui intorno, quanto ci hanno messo a prender l’aria da colleghi? Perché a loro è venuta proprio naturale. Ma a me?
Nel primo posto dove ho lavorato – oh, non è stato troppissimo tempo fa – ho imparato due leggi fondamentali: la legge di Mario e la legge di Beppe.
Mario era un bancario. Uno bravo. Un po’ avanti con gli anni, ma sempre in fibrillo. Sempre sul ferro caldo. E diceva al mio collega (con l’aria da collega): “Primo: renditi indispensabile; secondo: detta le condizioni”. Questa è la legge di Mario. Legge in due tempi. Nel primo tempo c’è da farsi un culo quadro, che dico, romboidale. Correr di qua, di là. Poi, un bel giorno, crack! la scossa di assestamento. Qualcuno scoprirà di non poter più fare a meno del tuo culo romboidale. Da lì in poi, è in discesa. E vivrete felici ever after.
(“Mo Dio, Leonardo, un culo romboidale! Ma son cose da scrivere?”
“Uffa, mamma, sempre a leggermi il blog”).
Il mio collega annuiva, poi succedeva sempre qualche imprevisto: un tubo rotto, un corto circuito. E mi dicevano di andare a chiamare Beppe.
Beppe era uno che sapeva fare qualsiasi cosa, ma con calma, eh? Che non ci corre mica dietro nessuno. E una volta, mentre lo aiutavo a satinare una superficie o a montare degli impianti o che ne so, mi spiegò la sua legge. Ricordo che stava per aggiungere qualcosa, un tocco d’artista, ma poi si trattenne, perché… “Le cose non vanno fatte troppo bene, sennò poi ti chiedono sempre di farle”. Questa è la legge di Beppe.
Adesso, se tu lavori, se ora magari ti trovi nel posto di lavoro, lo sai meglio di me quanti Beppe e quanti Mario ti trovi attorno, e quante volte nella giornata usi la legge di Beppe e quante volte la legge di Mario, come il tabacco e il caffè, i tuoi carburanti miscelati per tirare avanti.
E abbiamo parlato di lavoro: ma non è la stessa cosa in amore? E non è la stessa cosa coi blog?
E dimmelo tu cosa dovrei fare: Beppe? Mario? Sapessi quante volte ci ho provato: ma resto sempre sospeso in mezzo, con quel vago retrosenso di pirla che non va via.
lunedì 17 maggio 2004
Il caso Al Zarkawi – Nick Berg fa pensare. (Poi al lunedì mattina voi avreste anche voglia di pensare ad altro, mi rendo conto).
Seguono due paragrafi di dietrologia spicciola. Chi non ama la dietrologia può tranquillamente saltare.
Lasciamo stare le riserve di Al Jazeera, ovviamente sono di parte. A detta loro, e di molti altri blog (per un repertorio vedi Lia) non è una vera decapitazione, non c’è abbastanza sangue (io non lo so, il filmato non l’ho visto). Secondo loro, se volesse dimostrare di essere Zarkawi non si mostrerebbe incappucciato. E poi perché non zoppica, se ha una gamba sola? Perché ha un accento egiziano, se viene dalla Giordania? Inoltre forse è già morto in Afganistan, Zarkawi (anche Bin Laden, se è per questo).
Invece per George W. Bush, un’altra fonte un po’ di parte, la decapitazione di Berg è la prova che Zarkawi opera ancora, ed è quindi l’anello di collegamento tra Saddam Hussein e Bin Laden. “Quest’uomo”, dice George, “andava avanti e indietro dall’Iraq prima che arrivassimo noi” (Zarqawi, was in and out of Baghdad prior to our arrival, for example). Tutto vero, come abbiamo visto. George omette di dire che almeno tre volte il Pentagono gli propose di farla finita con lui, e lui (o chi per lui) disse di no. Ma lasciamo stare anche questo.
Poi ci sono le testimonianze del padre, ma sanno forse i padri cosa combinano i figli? Che Berg possa aver aiutato un terrorista giordano a controllare la sua e-mail all’università di Oklahoma può essere una pura coincidenza. È meno chiaro cos’abbia combinato Berg in Iraq. Aveva lavorato anche ad Abu Ghraib – ma la ditta per cui aveva lavorato non è registrata in Pennsylvania. Ma soprattutto: in marzo Berg era già stato arrestato dagli americani (l’FBI aveva avvisato il padre), che lo avevano rilasciato il 6 aprile. Berg era stato trattenuto insieme a giordani, siriani, iraniani accusati di aver penetrato l’Iraq illegalmente. Gli americani smentiscono: per loro Berg era stato fermato dalla polizia irachena. Mercoledì la sua salma è tornata negli USA: ai genitori non è stato concesso di vederla.
Troppo intelligente (per me)
Questi sono tutti piccoli fatti, che ognuno può rimontare come crede. Con un blog si possono costruire complotti di tutti i gusti e le dimensioni. Invece io volevo fare un ragionamento a valle. Lasciamo perdere i complotti e gli indizi. Diamo tutto per buono. Accettiamo che il “Numero Due” di Al Quaeda abbia barbaramente decapitato un prigioniero, e diffuso il video su internet. E veniamo in Italia. Il discorso che volevo fare è su certi quotidiani che vanno di moda adesso. Li chiamano: “Quotidiani intelligenti”, e io mi sono spesso chiesto il perché.
La spiegazione che mi sono dato è questa: data come premessa (a) che gli intelligenti sono la minoranza della popolazione (ma è davvero così scontato?), e la premessa (b) che questi giornali non se li fila nessuno, si formula l’ipotesi (c) che per leggerli bisogna essere persone davvero intelligenti.
A questo punto uno si aspetta pagine densissime, articoli con rimandi a pie’ di pagina, citazioni da Kant e Heidegger. Fortunatamente le cose non stanno così. I “Quotidiani intelligenti” sono molto più ariosi, di lettura tutto sommato scorrevole. Un sacco di rubrichine simpatiche dove si parla del più e del meno (magari più del meno che del più), un sacco di tormentoni divertenti, qualche editoriale trombone, ma tutto sommato più breve della media della produzione giornalistica nazionale. E allora cosa c’è di tanto “intelligente” in questi qui? Il modo in cui succhiano sovvenzioni statali? Bastasse questo, saremmo il popolo più intelligente del mondo.
Il caso Zarkawi-Berg ci dà una parziale spiegazione. Uno si potrebbe aspettare che un “quotidiano intelligente” non si fermasse all’esibizione del filmato, ma che tentasse di scavare un po’ intorno: in fondo basta curiosare un po’ su Internet, anche copiando, come ho fatto io.
Invece no. I “Quotidiani intelligenti” si soffermano sull’orrore, sulle barbarie. E raccomandano la visione integrale del video. Sul serio. Bisogna vederlo tutto per capire, dicono. Per dire, se uno a metà della decapitazione si stanca, avrà capito la barbarie solo a metà. No, deve farsi forza e capire per intero. Antonio Polito, direttore del Riformista:
Consigliamo a tutti di guardare il video della decapitazione dell'ostaggio americano, che circola su Internet. Bisogna guardare in faccia l'orrore, anche se non è degno dell'umanità degli occhi che lo guardano. Quella testa mozzata a fatica, con tutto il lavorio fisico che comporta, e il tempo che ci vuole, e l'abisso in cui sprofonda un po' alla volta, nella più odiosa delle torture, la vittima, è in fin dei conti la ragione per cui l'Occidente è in guerra con il terrorismo islamico.
Tutto questo mi ricorda un film. No, non Arancia meccanica, no.
Un film apparso nelle sale italiane verso Pasqua, quel film che andava visto perché mostrava finalmente la crocefissione di Nostro Signore “as it was”, “com’era veramente”. Col sottointeso: se non l’hai ancora vista, come fai a capire quanto deve aver sofferto? Bisogna tenere gli occhi sbarrati su legnate, fustigazione, chiodi ribattuti, costole tirate e incrinate: sennò “non puoi capire”.
La stessa cosa con Nick Berg: finché non vedi il suo collo mozzato, “non puoi capire” quanto sia cattivo l’Islam. Ma sul serio. È inutile che leggi giornali, studi la storia, navighi su Internet… sciocchezze. Devi guardare. Se non guardi, non hai capito. Pacifisti e antiamericani guardino quel video, poi decidano qual è il problema del mondo.
Di colpo mi metto a ricordare a tutti i film splatter che “bisognava guardare” quand’ero ragazzino, e non valeva coprirsi gli occhi con le dita: se non guardavi ogni sgozzamento a occhi spalancati, non eri un uomo. Soltanto così potevi “capire” veramente.
E poi, ancora più a ritroso, nell’infanzia, ricordo i primi libri che ho sfogliato. Erano pieni di figure. Infatti erano per bambini. A quei tempi si pensava che “le figure” fossero per “i bambini”, e le parole per gli adulti. Si pensava che la Bibbia non fosse adatta alla tua età, e allora ti davano “la Bibbia a fumetti”. Col tempo si cresceva, e le illustrazioni si diradavano. Crescere significava passare dall’immagine alla parola. Riuscire a capire le parole, e non solo le immagini. Non solo, ma riuscire ad associare emozioni anche alle parole.
Per cui, se sono adulto e mi dicono che Gesù Cristo è morto in croce per i miei peccati, io dovrei riuscire a commuovermi senza “vedere” i chiodi, senza “vedere” il sangue, senza per forza contare le frustrate…
…e se mi dicono che da qualche parte un fanatico ha tagliato la testa a qualcuno con una sega circolare, io dovrei riuscire a inorridire senza vedere una sola immagine. Dovrebbero bastarmi le parole, le nude parole: “tagliato la testa”, “sega circolare”. Se fossi un adulto.
Ma per i quotidiani intelligenti non basta. Per Giuliano Ferrara, non basta. Devo guardare. Fino all’ultimo, sennò non capisco. Per Filippo Facci, addirittura, dovrei guardare e riguardare tutti i giorni, sennò rischio di dimenticarmi:
Immagini come i corpi precipitati dalle Twin Towers o le teste mozzate - nostra opinione - andrebbero riguardate ogni mattino perchè possano scuoterci come l'acqua gelida del lavandino, prima che ci si rivesta all'occidentale e si torni a pascolare l'orticello quotidiano che riteniamo immune; l'ufficio, il weekend, l'assicurazione da pagare, le rate alla Enzo Biagi, la Domenica Sportiva, il nostro giornalismo impiegatizio.
E allora forse ho capito cosa sono i Quotidiani Intelligenti – e i giornalisti intelligenti.
Sono giornali che confondono “la visione” con la “comprensione”? No.
Sono voyeuristi in buona fede che non capiscono la differenza tra “occhio” e “cervello”? macché.
Sono ingenuotti che non hanno capito che un’immagine digitale è arbitraria quanto una parola, se non di più? No, figuriamoci.
Sono, semplicemente, persone convinte di essere quello che pretendono di essere: intelligenti.
E siccome loro sono intelligenti, noi siamo dei cretini.
E siccome siamo cretini, dei bambinoni, inutile convincerci con i discorsi, le parole. No. Immagini, ci vogliono. Il Gesù Cristo Splatter. La storia del Medio Oriente a fumetti. Questo, ci vuole.
E sangue, sangue come se piovesse. Sangue vero, possibilmente, finto in mancanza di niente. Altrimenti non “capiamo”. Altrimenti non ci “commuoviamo”.
Buon lunedì da un blog che scrive molte parole e ruba banda per pochissime immagini, di solito senza sangue e teste rotte o mozzate. Buona settimana da un blog poco intelligente.
Seguono due paragrafi di dietrologia spicciola. Chi non ama la dietrologia può tranquillamente saltare.
Lasciamo stare le riserve di Al Jazeera, ovviamente sono di parte. A detta loro, e di molti altri blog (per un repertorio vedi Lia) non è una vera decapitazione, non c’è abbastanza sangue (io non lo so, il filmato non l’ho visto). Secondo loro, se volesse dimostrare di essere Zarkawi non si mostrerebbe incappucciato. E poi perché non zoppica, se ha una gamba sola? Perché ha un accento egiziano, se viene dalla Giordania? Inoltre forse è già morto in Afganistan, Zarkawi (anche Bin Laden, se è per questo).
Invece per George W. Bush, un’altra fonte un po’ di parte, la decapitazione di Berg è la prova che Zarkawi opera ancora, ed è quindi l’anello di collegamento tra Saddam Hussein e Bin Laden. “Quest’uomo”, dice George, “andava avanti e indietro dall’Iraq prima che arrivassimo noi” (Zarqawi, was in and out of Baghdad prior to our arrival, for example). Tutto vero, come abbiamo visto. George omette di dire che almeno tre volte il Pentagono gli propose di farla finita con lui, e lui (o chi per lui) disse di no. Ma lasciamo stare anche questo.
Poi ci sono le testimonianze del padre, ma sanno forse i padri cosa combinano i figli? Che Berg possa aver aiutato un terrorista giordano a controllare la sua e-mail all’università di Oklahoma può essere una pura coincidenza. È meno chiaro cos’abbia combinato Berg in Iraq. Aveva lavorato anche ad Abu Ghraib – ma la ditta per cui aveva lavorato non è registrata in Pennsylvania. Ma soprattutto: in marzo Berg era già stato arrestato dagli americani (l’FBI aveva avvisato il padre), che lo avevano rilasciato il 6 aprile. Berg era stato trattenuto insieme a giordani, siriani, iraniani accusati di aver penetrato l’Iraq illegalmente. Gli americani smentiscono: per loro Berg era stato fermato dalla polizia irachena. Mercoledì la sua salma è tornata negli USA: ai genitori non è stato concesso di vederla.
Troppo intelligente (per me)
Questi sono tutti piccoli fatti, che ognuno può rimontare come crede. Con un blog si possono costruire complotti di tutti i gusti e le dimensioni. Invece io volevo fare un ragionamento a valle. Lasciamo perdere i complotti e gli indizi. Diamo tutto per buono. Accettiamo che il “Numero Due” di Al Quaeda abbia barbaramente decapitato un prigioniero, e diffuso il video su internet. E veniamo in Italia. Il discorso che volevo fare è su certi quotidiani che vanno di moda adesso. Li chiamano: “Quotidiani intelligenti”, e io mi sono spesso chiesto il perché.
La spiegazione che mi sono dato è questa: data come premessa (a) che gli intelligenti sono la minoranza della popolazione (ma è davvero così scontato?), e la premessa (b) che questi giornali non se li fila nessuno, si formula l’ipotesi (c) che per leggerli bisogna essere persone davvero intelligenti.
A questo punto uno si aspetta pagine densissime, articoli con rimandi a pie’ di pagina, citazioni da Kant e Heidegger. Fortunatamente le cose non stanno così. I “Quotidiani intelligenti” sono molto più ariosi, di lettura tutto sommato scorrevole. Un sacco di rubrichine simpatiche dove si parla del più e del meno (magari più del meno che del più), un sacco di tormentoni divertenti, qualche editoriale trombone, ma tutto sommato più breve della media della produzione giornalistica nazionale. E allora cosa c’è di tanto “intelligente” in questi qui? Il modo in cui succhiano sovvenzioni statali? Bastasse questo, saremmo il popolo più intelligente del mondo.
Il caso Zarkawi-Berg ci dà una parziale spiegazione. Uno si potrebbe aspettare che un “quotidiano intelligente” non si fermasse all’esibizione del filmato, ma che tentasse di scavare un po’ intorno: in fondo basta curiosare un po’ su Internet, anche copiando, come ho fatto io.
Invece no. I “Quotidiani intelligenti” si soffermano sull’orrore, sulle barbarie. E raccomandano la visione integrale del video. Sul serio. Bisogna vederlo tutto per capire, dicono. Per dire, se uno a metà della decapitazione si stanca, avrà capito la barbarie solo a metà. No, deve farsi forza e capire per intero. Antonio Polito, direttore del Riformista:
Consigliamo a tutti di guardare il video della decapitazione dell'ostaggio americano, che circola su Internet. Bisogna guardare in faccia l'orrore, anche se non è degno dell'umanità degli occhi che lo guardano. Quella testa mozzata a fatica, con tutto il lavorio fisico che comporta, e il tempo che ci vuole, e l'abisso in cui sprofonda un po' alla volta, nella più odiosa delle torture, la vittima, è in fin dei conti la ragione per cui l'Occidente è in guerra con il terrorismo islamico.
Tutto questo mi ricorda un film. No, non Arancia meccanica, no.
Un film apparso nelle sale italiane verso Pasqua, quel film che andava visto perché mostrava finalmente la crocefissione di Nostro Signore “as it was”, “com’era veramente”. Col sottointeso: se non l’hai ancora vista, come fai a capire quanto deve aver sofferto? Bisogna tenere gli occhi sbarrati su legnate, fustigazione, chiodi ribattuti, costole tirate e incrinate: sennò “non puoi capire”.
La stessa cosa con Nick Berg: finché non vedi il suo collo mozzato, “non puoi capire” quanto sia cattivo l’Islam. Ma sul serio. È inutile che leggi giornali, studi la storia, navighi su Internet… sciocchezze. Devi guardare. Se non guardi, non hai capito. Pacifisti e antiamericani guardino quel video, poi decidano qual è il problema del mondo.
Di colpo mi metto a ricordare a tutti i film splatter che “bisognava guardare” quand’ero ragazzino, e non valeva coprirsi gli occhi con le dita: se non guardavi ogni sgozzamento a occhi spalancati, non eri un uomo. Soltanto così potevi “capire” veramente.
E poi, ancora più a ritroso, nell’infanzia, ricordo i primi libri che ho sfogliato. Erano pieni di figure. Infatti erano per bambini. A quei tempi si pensava che “le figure” fossero per “i bambini”, e le parole per gli adulti. Si pensava che la Bibbia non fosse adatta alla tua età, e allora ti davano “la Bibbia a fumetti”. Col tempo si cresceva, e le illustrazioni si diradavano. Crescere significava passare dall’immagine alla parola. Riuscire a capire le parole, e non solo le immagini. Non solo, ma riuscire ad associare emozioni anche alle parole.
Per cui, se sono adulto e mi dicono che Gesù Cristo è morto in croce per i miei peccati, io dovrei riuscire a commuovermi senza “vedere” i chiodi, senza “vedere” il sangue, senza per forza contare le frustrate…
…e se mi dicono che da qualche parte un fanatico ha tagliato la testa a qualcuno con una sega circolare, io dovrei riuscire a inorridire senza vedere una sola immagine. Dovrebbero bastarmi le parole, le nude parole: “tagliato la testa”, “sega circolare”. Se fossi un adulto.
Ma per i quotidiani intelligenti non basta. Per Giuliano Ferrara, non basta. Devo guardare. Fino all’ultimo, sennò non capisco. Per Filippo Facci, addirittura, dovrei guardare e riguardare tutti i giorni, sennò rischio di dimenticarmi:
Immagini come i corpi precipitati dalle Twin Towers o le teste mozzate - nostra opinione - andrebbero riguardate ogni mattino perchè possano scuoterci come l'acqua gelida del lavandino, prima che ci si rivesta all'occidentale e si torni a pascolare l'orticello quotidiano che riteniamo immune; l'ufficio, il weekend, l'assicurazione da pagare, le rate alla Enzo Biagi, la Domenica Sportiva, il nostro giornalismo impiegatizio.
E allora forse ho capito cosa sono i Quotidiani Intelligenti – e i giornalisti intelligenti.
Sono giornali che confondono “la visione” con la “comprensione”? No.
Sono voyeuristi in buona fede che non capiscono la differenza tra “occhio” e “cervello”? macché.
Sono ingenuotti che non hanno capito che un’immagine digitale è arbitraria quanto una parola, se non di più? No, figuriamoci.
Sono, semplicemente, persone convinte di essere quello che pretendono di essere: intelligenti.
E siccome loro sono intelligenti, noi siamo dei cretini.
E siccome siamo cretini, dei bambinoni, inutile convincerci con i discorsi, le parole. No. Immagini, ci vogliono. Il Gesù Cristo Splatter. La storia del Medio Oriente a fumetti. Questo, ci vuole.
E sangue, sangue come se piovesse. Sangue vero, possibilmente, finto in mancanza di niente. Altrimenti non “capiamo”. Altrimenti non ci “commuoviamo”.
Buon lunedì da un blog che scrive molte parole e ruba banda per pochissime immagini, di solito senza sangue e teste rotte o mozzate. Buona settimana da un blog poco intelligente.
venerdì 14 maggio 2004
La porta si aprì lenta:
mio padre venne a prendermi,
io avevo nove anni.
Stava innanzi a me, così alto:
i suoi occhi azzurri ardevano,
la sua voce era di ghiaccio.
Disse: “Ho avuto una visione,
e la mia fede, sai, è forte:
devo fare quello che mi è stato detto”.
Così ci avviammo al monte,
io di corsa, lui al passo,
con la scure d’oro al fianco.
Gli alberi si fecero radi,
il lago uno specchietto,
ci fermammo a bere vino:
Buttò via la bottiglia,
(si infranse in un minuto)
e mise le sue mani sulle mie.
Io forse vidi un’aquila,
oppure un avvoltoio,
non l'ho deciso mai.
Mio padre alzò un altare,
non mi guardava neanche,
sapeva che non sarei fuggito.
E voi, che alzate altri altari
per altri figli ancora,
non dovete farlo più.
Un piano non è una visione,
nessuno vi ha tentato,
né un dèmone, ne un Dio:
Voi che state innanzi a loro
con lame consumate,
non c’eravate ancora,
quando giacqui sul monte,
e la sua mano tremava
per la bellezza di una Parola.
Tu che ora mi dici fratello,
perdonami se chiedo:
chi ti ha detto che lo sono?
Se tutto torna cenere
ti ucciderò, se devo,
ti aiuterò, se posso.
Se tutto torna cenere
ti aiuterò, se devo,
ti ucciderò, se posso.
E pietà per le nostre uniformi:
uomini di pace, o uomini di guerra,
ogni pavone ha la sua ruota.
Karaoke esistenziale, Ciak! 17
Leonard Cohen, Story of Isaac, da Songs from a room, 1969.
mio padre venne a prendermi,
io avevo nove anni.
Stava innanzi a me, così alto:
i suoi occhi azzurri ardevano,
la sua voce era di ghiaccio.
Disse: “Ho avuto una visione,
e la mia fede, sai, è forte:
devo fare quello che mi è stato detto”.
Così ci avviammo al monte,
io di corsa, lui al passo,
con la scure d’oro al fianco.
Gli alberi si fecero radi,
il lago uno specchietto,
ci fermammo a bere vino:
Buttò via la bottiglia,
(si infranse in un minuto)
e mise le sue mani sulle mie.
Io forse vidi un’aquila,
oppure un avvoltoio,
non l'ho deciso mai.
Mio padre alzò un altare,
non mi guardava neanche,
sapeva che non sarei fuggito.
E voi, che alzate altri altari
per altri figli ancora,
non dovete farlo più.
Un piano non è una visione,
nessuno vi ha tentato,
né un dèmone, ne un Dio:
Voi che state innanzi a loro
con lame consumate,
non c’eravate ancora,
quando giacqui sul monte,
e la sua mano tremava
per la bellezza di una Parola.
Tu che ora mi dici fratello,
perdonami se chiedo:
chi ti ha detto che lo sono?
Se tutto torna cenere
ti ucciderò, se devo,
ti aiuterò, se posso.
Se tutto torna cenere
ti aiuterò, se devo,
ti ucciderò, se posso.
E pietà per le nostre uniformi:
uomini di pace, o uomini di guerra,
ogni pavone ha la sua ruota.
Karaoke esistenziale, Ciak! 17
Leonard Cohen, Story of Isaac, da Songs from a room, 1969.
giovedì 13 maggio 2004
Questo sì che è un Numero Due
Al Quaeda, sapete, mi ricorda un telefilm.
Per la precisione, un vecchio telefilm inglese, delirante e paranoide, in cui il protagonista era tenunto prigioniero da una misteriosa organizzazione, che faceva capo a un misterioso Numero Uno.
Il Numero Uno non si vedeva mai. Ma in ogni puntata il protagonista doveva sconfiggere un Numero Due diverso. Ora, avete fatto caso a quanti Numeri Due ha Al Quaeda? A quante volte vi è stato annunciato l’arresto “del Numero Due” di Al Quaeda? Io ho perso il conto.
Alcuni di questi Numeri Due sono personaggi veramente singolari, proprio come nel telefilm. Prendi il Mullah Omar, un guercio in grado di seminare l’esercito USA in… motocicletta. L’anno scorso il vero Numero Due era Saddam Hussein (questo almeno l’hanno preso). Due mesi fa era il medico personale di Bin Laden (quello che gli cambia le flebo della dialisi, per capirci), e gli americani stavano mettendo a fuoco e fiamme un pezzo di Afganistan, per braccarlo. Non se ne è più saputo niente. (Resta il dubbio: adesso chi le cambia, le flebo, al Numero Uno?)
A partire da ieri, il posto di Numero Due di Al Quaeda spetta di fatto ad Al Zarkawi, l’uomo che nei giorni di massima esposizione mediatica dello scandalo di Abu Ghraib, ha pensato bene di decapitare un americano in diretta con una sega circolare. Giusto per ricordare la differenza tra “barbarie” e “democrazia”: quest’ultima tortura, sì, ma poi chiede scusa. Vuoi mettere con Zarkawi? Il suo snuff è un bel regalo agli ideologi e agli avvoltoi di area neocon: in Italia, non a caso, lo spaccia nelle edicole Giuliano Ferrara.
Così, finalmente anche questo Numero Due avrà in Occidente l’attenzione che ha cercato di attirare in tutti i modi. Perché giudicare Zarkawi per una testa mozzata è giusto, ma come dire, lievemente riduttivo. Se fosse davvero colpevole di tutte le stragi che si è attribuito nei mesi scorsi (compresa la nostra Nassiryia), Zarkawi sarebbe il responsabile della morte di 700 persone. La maggior parte di queste vittime – curioso – non sono americane. Per dirla con Beppe Caravita, “Zarkawi ha compiuto stragi contro la Croce Rossa, l'Onu, forse i Carabinieri italiani, sinagoghe e ambasciata inglese di Istambul, folle di pacifici mussulmani sciiti e non ha mai colpito un solo obbiettivo militare americano”.
Cito Caravita perché Zarkawi è un suo vecchio pallino. È da mesi che raccoglie informazioni . Questo pezzo mio è solo una volgarizzazione di quello che trovate sul suo blog: chi lo conosce già, può fare a meno di leggermi, per oggi. Gli altri sono comunque invitati a risalire alle fonti.
E dunque, questo Zarkawi sarebbe il “luogotenente di Al Quaeda in Iraq”. Ma chi l’ha detto? E come fa a saperlo? Cosa sappiamo davvero di Al Quaeda?
Molto poco. Per questo continuiamo a torturare i prigionieri a Guantanamo e nei teatri di guerra: mica perché siamo sadici. No: torturiamo perché ci servono ancora molte informazioni. Ma dunque è dalle rivelazioni di qualche “pentito” che abbiamo scoperto che Zarkawi è il Numero Due?
No. In realtà, dalle informazioni di cui disponiamo, sembra emergere il contrario: Zarkawi è un cane sciolto che non gode dell’effettivo appoggio di questa organizzazione (ammesso che “questa organizzazione” esista…)
Basta osservare con attenzione. All’inizio di quest’anno Zarkawi scrive una lettera pubblica a Bin Laden, informandolo (e informandoci) sulle strategie da prendere in Iraq. In 17 cartelle, Zarkawi “chiede l’aiuto dell’organizzazione e suggerisce di colpire gli sciiti per suscitare la guerra civile in Iraq”. Ora, è chiaro che se chiedi una mano ad Al Quaeda, non sei un pezzo grosso di Al Quaeda.
Comunque non sei nemmeno, come direbbe il nostro illuminato leader, un povero beduino. Zarkawi non si limita a chiedere aiuto: agisce. Marzo comincia con le stragi di Bagdad e Karbala. Con quello che è successo in seguito, può darsi che ce ne siamo dimenticati, ma è stato il giorno più sanguinoso in Iraq da quando “è finita la guerra”. 130 vittime e migliaia di feriti tra gli Sciiti. Zarkawi rivendica le stragi. Al Quaeda, però, lo sconfessa. Qualsiasi cosa sia Al Quaeda, ben due comunicati, ritenuti “credibili”, rinnegano il massacro degli sciiti. E allora capite che c’è qualcosa che non va, se oggi sentiamo parlare di Zarkawi come “luogotenente di Bin Laden”.
Anche perché fino a ieri i giornali, perfino italiani, non la pensavano così. Sul Corriere: Un suo ex compagno sostiene che in realtà Al Zarkawi è «un oppositore di Al Qaeda». La BBC riporta lo stralcio di un interrogatorio ai membri di una cellula filo-Zarkawi in Germania, secondo cui il loro leader si rivolgeva soprattutto “ai giordani che non volevano entrare in Al Qaeda”. (“Questo”, nota la BBC, “è in conflitto con le informazioni di fonte americana”).
Zarkawi stesso è giordano. Dopo una carriera fallita di venditore di vhs, aveva riscoperto il Corano e la Jihad andando a combattere i sovietici sul fronte afgano – la grande incubatrice del fanatismo islamico. Quando torna in Giordania è già un attivista, e come tale viene incarcerato. Nel 2000 è libero grazie a un’amnistia. Bel colpo di fortuna. Anche perché a quel punto Zarkawi torna in Afganistan e diventa subito un pezzo grosso. Fonda “un proprio campo d’addestramento a Herat riservato solo a giordani o palestinesi”. Beh, in fondo che ci vuole per addestrare dei fanatici? Un po’ di Corano, qualche kalashnikov, metri di bandiera israeliana da calpestare… e armi chimiche. Sì, in Afganistan Zarkawi addestra i suoi ragazzi con le armi chimiche e biologiche. Fonte: The Washington Institute for Near East Policy (sempre grazie a Caravita, naturalm).
A un certo punto c’è un incidente: Zarkawi resta ferito a una gamba. Gliela amputano a Bagdad. No, momento.
Io pensavo che ci fosse una guerra al Terrorismo, da quelle parti. Pensavo che i terroristi fossero braccati nelle caverne. Invece questo piglia su dall’Afganistan, attraversa l’Iran e arriva in Iraq. Continuando nel frattempo a coordinare gruppi di terroristi che vanno a combattere in Israele? E tutto questo, badate bene, con una gamba sola, perché l’altra è da amputare. E siamo nella prima metà del 2002, tra campagna d’Afganistan e guerra in Iraq. Come diavolo ha fatto? Gli ha dato un passaggio il Mullah Omar in side-car? Scherzo, ma non sarebbe il caso. Che guerra al terrore è, se gli addestratori dei terroristi se ne vanno in giro indisturbati nel teatro delle operazioni?
Ma il bello è che Zarkawi non è affatto passato inosservato. No, gli americani sanno bene che è lì. E infatti, quando Colin Powell e compagnia pretenderanno di dimostrare al mondo che ci sono contatti tra Saddam Hussein e Bin Laden, una prova determinante sarà proprio la presenza a Bagdad del signor Zarkawi.
In seguito Zarkawi passa per la Giordania e la Siria, dove collabora con gli Hezbollah (il che, da parte del futuro massacratore degli sciiti iracheni è un po’ sorprendente). Raccoglie armi chimiche e convenzionali, flirta coi curdi, commissiona l’assassinio di un ufficiale USA, torna in Iraq. Ma attenzione, nel “Northern Iraq”. Cioè nella zona curda, sotto la no fly zone, che anche prima della guerra non era controllata da Saddam Hussein. Qui Zarkawi continua a tramare indisturbato. Non inosservato, però. Per due volte il Pentagono chiede alla Casa Bianca il permesso di eliminare il pericoloso terrorista, che sta progettando attentati all’arma chimica in Europa. Anche in quel caso, Zarkawi non si limita a “progettare”. Nel gennaio del 2003 a Londra viene scoperta una cellula del gruppo di Zarkawi. Sei terroristi con un piccolo laboratorio chimico. Per la terza volta il Pentagono propone alla Casa Bianca un raid contro la base di Zarkawi. E per la terza volta la Casa Bianca nicchia. Perché? Secondo le autorità militari, “l’amministrazione temeva che un attacco alla base terroristica avrebbe rischiato di ridimensionare gli argomenti a favore di una guerra contro Saddam” (mia pessima traduzione di questa frase: the administration feared destroying the terrorist camp in Iraq could undercut its case for war against Saddam.
In pratica, nel 2003 Zarkawi era in Iraq, e produceva armi di distruzione di massa. E sembrava anche determinato a usarle contro l’Occidente. Ma Bush e soci preferiscono non bombardarlo, perché avrebbe distolto l’attenzione da Saddam. Bella guerra al terrore, complimenti.
Ma se Zirkawi era il tramite tra Bin Laden e Saddam – e disponeva di quantitativi anche modesti di WMD – perché gli americani l’hanno risparmiato? È davvero una bella domanda.
Quando scoppia la guerra, la base viene finalmente bombardata, ma è troppo tardi. Zarkawi è già in giro a organizzare la sua “resistenza”. Come abbiamo già notato, è un “resistente” molto particolare, che fa più vittime fra la popolazione che tra le forze occupanti. Per Caravita, è come se Garibaldi avesse voluto fare l’Italia massarando la maggioranza dei suoi abitanti. Un patriota così, a chi conviene?
Una guerra civile (a meno di un genocidio) porterebbe alla separazione in tre stati, di cui quello sunnita senza dubbio il più povero. Gli interessi politici di un eventuale movimento di liberazione dell'Irak sono quindi esattamente opposti alla tesi di questo signore. Gli interessi di un dominatore esterno, invece, coincidono perfettamente...
All’inizio di questa settimana, quando tutti gli occhi dell’occidente erano puntati sui giochetti sadomaso di una ragazzina in divisa verde, Zirkawi è tornato alla sua prima vocazione: commerciante di vhs. La decapitazione mediante sega circcolare andrà molto forte nel mercato medio-orientale, ma incontra anche il gusto degli avvoltoi nostrani. E ancora una volta viene da chiedersi: ma a chi giova? Per i terroristi islamici è fondamentale avere martiri da ricordare, possibilmente morti nel modo più cruento possibile. Adesso anche i fondamentalisti di casa nostra hanno un martire del genere. E chi gliel’ha fornito? Il Numero Due, Zirkawi. Bel lavoro, Numero Due.
Ma forse (termina Caravita) sono tutte coincidenze. Noi italiani siamo così dietrologi alle volte. Meglio andare a dormire, chissà che domani non salti fuori un Numero Due diverso. Nel frattempo buonanotte, bambini.
Ovunque voi siate.
Al Quaeda, sapete, mi ricorda un telefilm.
Per la precisione, un vecchio telefilm inglese, delirante e paranoide, in cui il protagonista era tenunto prigioniero da una misteriosa organizzazione, che faceva capo a un misterioso Numero Uno.
Il Numero Uno non si vedeva mai. Ma in ogni puntata il protagonista doveva sconfiggere un Numero Due diverso. Ora, avete fatto caso a quanti Numeri Due ha Al Quaeda? A quante volte vi è stato annunciato l’arresto “del Numero Due” di Al Quaeda? Io ho perso il conto.
Alcuni di questi Numeri Due sono personaggi veramente singolari, proprio come nel telefilm. Prendi il Mullah Omar, un guercio in grado di seminare l’esercito USA in… motocicletta. L’anno scorso il vero Numero Due era Saddam Hussein (questo almeno l’hanno preso). Due mesi fa era il medico personale di Bin Laden (quello che gli cambia le flebo della dialisi, per capirci), e gli americani stavano mettendo a fuoco e fiamme un pezzo di Afganistan, per braccarlo. Non se ne è più saputo niente. (Resta il dubbio: adesso chi le cambia, le flebo, al Numero Uno?)
A partire da ieri, il posto di Numero Due di Al Quaeda spetta di fatto ad Al Zarkawi, l’uomo che nei giorni di massima esposizione mediatica dello scandalo di Abu Ghraib, ha pensato bene di decapitare un americano in diretta con una sega circolare. Giusto per ricordare la differenza tra “barbarie” e “democrazia”: quest’ultima tortura, sì, ma poi chiede scusa. Vuoi mettere con Zarkawi? Il suo snuff è un bel regalo agli ideologi e agli avvoltoi di area neocon: in Italia, non a caso, lo spaccia nelle edicole Giuliano Ferrara.
Così, finalmente anche questo Numero Due avrà in Occidente l’attenzione che ha cercato di attirare in tutti i modi. Perché giudicare Zarkawi per una testa mozzata è giusto, ma come dire, lievemente riduttivo. Se fosse davvero colpevole di tutte le stragi che si è attribuito nei mesi scorsi (compresa la nostra Nassiryia), Zarkawi sarebbe il responsabile della morte di 700 persone. La maggior parte di queste vittime – curioso – non sono americane. Per dirla con Beppe Caravita, “Zarkawi ha compiuto stragi contro la Croce Rossa, l'Onu, forse i Carabinieri italiani, sinagoghe e ambasciata inglese di Istambul, folle di pacifici mussulmani sciiti e non ha mai colpito un solo obbiettivo militare americano”.
Cito Caravita perché Zarkawi è un suo vecchio pallino. È da mesi che raccoglie informazioni . Questo pezzo mio è solo una volgarizzazione di quello che trovate sul suo blog: chi lo conosce già, può fare a meno di leggermi, per oggi. Gli altri sono comunque invitati a risalire alle fonti.
E dunque, questo Zarkawi sarebbe il “luogotenente di Al Quaeda in Iraq”. Ma chi l’ha detto? E come fa a saperlo? Cosa sappiamo davvero di Al Quaeda?
Molto poco. Per questo continuiamo a torturare i prigionieri a Guantanamo e nei teatri di guerra: mica perché siamo sadici. No: torturiamo perché ci servono ancora molte informazioni. Ma dunque è dalle rivelazioni di qualche “pentito” che abbiamo scoperto che Zarkawi è il Numero Due?
No. In realtà, dalle informazioni di cui disponiamo, sembra emergere il contrario: Zarkawi è un cane sciolto che non gode dell’effettivo appoggio di questa organizzazione (ammesso che “questa organizzazione” esista…)
Basta osservare con attenzione. All’inizio di quest’anno Zarkawi scrive una lettera pubblica a Bin Laden, informandolo (e informandoci) sulle strategie da prendere in Iraq. In 17 cartelle, Zarkawi “chiede l’aiuto dell’organizzazione e suggerisce di colpire gli sciiti per suscitare la guerra civile in Iraq”. Ora, è chiaro che se chiedi una mano ad Al Quaeda, non sei un pezzo grosso di Al Quaeda.
Comunque non sei nemmeno, come direbbe il nostro illuminato leader, un povero beduino. Zarkawi non si limita a chiedere aiuto: agisce. Marzo comincia con le stragi di Bagdad e Karbala. Con quello che è successo in seguito, può darsi che ce ne siamo dimenticati, ma è stato il giorno più sanguinoso in Iraq da quando “è finita la guerra”. 130 vittime e migliaia di feriti tra gli Sciiti. Zarkawi rivendica le stragi. Al Quaeda, però, lo sconfessa. Qualsiasi cosa sia Al Quaeda, ben due comunicati, ritenuti “credibili”, rinnegano il massacro degli sciiti. E allora capite che c’è qualcosa che non va, se oggi sentiamo parlare di Zarkawi come “luogotenente di Bin Laden”.
Anche perché fino a ieri i giornali, perfino italiani, non la pensavano così. Sul Corriere: Un suo ex compagno sostiene che in realtà Al Zarkawi è «un oppositore di Al Qaeda». La BBC riporta lo stralcio di un interrogatorio ai membri di una cellula filo-Zarkawi in Germania, secondo cui il loro leader si rivolgeva soprattutto “ai giordani che non volevano entrare in Al Qaeda”. (“Questo”, nota la BBC, “è in conflitto con le informazioni di fonte americana”).
Zarkawi stesso è giordano. Dopo una carriera fallita di venditore di vhs, aveva riscoperto il Corano e la Jihad andando a combattere i sovietici sul fronte afgano – la grande incubatrice del fanatismo islamico. Quando torna in Giordania è già un attivista, e come tale viene incarcerato. Nel 2000 è libero grazie a un’amnistia. Bel colpo di fortuna. Anche perché a quel punto Zarkawi torna in Afganistan e diventa subito un pezzo grosso. Fonda “un proprio campo d’addestramento a Herat riservato solo a giordani o palestinesi”. Beh, in fondo che ci vuole per addestrare dei fanatici? Un po’ di Corano, qualche kalashnikov, metri di bandiera israeliana da calpestare… e armi chimiche. Sì, in Afganistan Zarkawi addestra i suoi ragazzi con le armi chimiche e biologiche. Fonte: The Washington Institute for Near East Policy (sempre grazie a Caravita, naturalm).
A un certo punto c’è un incidente: Zarkawi resta ferito a una gamba. Gliela amputano a Bagdad. No, momento.
Io pensavo che ci fosse una guerra al Terrorismo, da quelle parti. Pensavo che i terroristi fossero braccati nelle caverne. Invece questo piglia su dall’Afganistan, attraversa l’Iran e arriva in Iraq. Continuando nel frattempo a coordinare gruppi di terroristi che vanno a combattere in Israele? E tutto questo, badate bene, con una gamba sola, perché l’altra è da amputare. E siamo nella prima metà del 2002, tra campagna d’Afganistan e guerra in Iraq. Come diavolo ha fatto? Gli ha dato un passaggio il Mullah Omar in side-car? Scherzo, ma non sarebbe il caso. Che guerra al terrore è, se gli addestratori dei terroristi se ne vanno in giro indisturbati nel teatro delle operazioni?
Ma il bello è che Zarkawi non è affatto passato inosservato. No, gli americani sanno bene che è lì. E infatti, quando Colin Powell e compagnia pretenderanno di dimostrare al mondo che ci sono contatti tra Saddam Hussein e Bin Laden, una prova determinante sarà proprio la presenza a Bagdad del signor Zarkawi.
In seguito Zarkawi passa per la Giordania e la Siria, dove collabora con gli Hezbollah (il che, da parte del futuro massacratore degli sciiti iracheni è un po’ sorprendente). Raccoglie armi chimiche e convenzionali, flirta coi curdi, commissiona l’assassinio di un ufficiale USA, torna in Iraq. Ma attenzione, nel “Northern Iraq”. Cioè nella zona curda, sotto la no fly zone, che anche prima della guerra non era controllata da Saddam Hussein. Qui Zarkawi continua a tramare indisturbato. Non inosservato, però. Per due volte il Pentagono chiede alla Casa Bianca il permesso di eliminare il pericoloso terrorista, che sta progettando attentati all’arma chimica in Europa. Anche in quel caso, Zarkawi non si limita a “progettare”. Nel gennaio del 2003 a Londra viene scoperta una cellula del gruppo di Zarkawi. Sei terroristi con un piccolo laboratorio chimico. Per la terza volta il Pentagono propone alla Casa Bianca un raid contro la base di Zarkawi. E per la terza volta la Casa Bianca nicchia. Perché? Secondo le autorità militari, “l’amministrazione temeva che un attacco alla base terroristica avrebbe rischiato di ridimensionare gli argomenti a favore di una guerra contro Saddam” (mia pessima traduzione di questa frase: the administration feared destroying the terrorist camp in Iraq could undercut its case for war against Saddam.
In pratica, nel 2003 Zarkawi era in Iraq, e produceva armi di distruzione di massa. E sembrava anche determinato a usarle contro l’Occidente. Ma Bush e soci preferiscono non bombardarlo, perché avrebbe distolto l’attenzione da Saddam. Bella guerra al terrore, complimenti.
Ma se Zirkawi era il tramite tra Bin Laden e Saddam – e disponeva di quantitativi anche modesti di WMD – perché gli americani l’hanno risparmiato? È davvero una bella domanda.
Quando scoppia la guerra, la base viene finalmente bombardata, ma è troppo tardi. Zarkawi è già in giro a organizzare la sua “resistenza”. Come abbiamo già notato, è un “resistente” molto particolare, che fa più vittime fra la popolazione che tra le forze occupanti. Per Caravita, è come se Garibaldi avesse voluto fare l’Italia massarando la maggioranza dei suoi abitanti. Un patriota così, a chi conviene?
Una guerra civile (a meno di un genocidio) porterebbe alla separazione in tre stati, di cui quello sunnita senza dubbio il più povero. Gli interessi politici di un eventuale movimento di liberazione dell'Irak sono quindi esattamente opposti alla tesi di questo signore. Gli interessi di un dominatore esterno, invece, coincidono perfettamente...
All’inizio di questa settimana, quando tutti gli occhi dell’occidente erano puntati sui giochetti sadomaso di una ragazzina in divisa verde, Zirkawi è tornato alla sua prima vocazione: commerciante di vhs. La decapitazione mediante sega circcolare andrà molto forte nel mercato medio-orientale, ma incontra anche il gusto degli avvoltoi nostrani. E ancora una volta viene da chiedersi: ma a chi giova? Per i terroristi islamici è fondamentale avere martiri da ricordare, possibilmente morti nel modo più cruento possibile. Adesso anche i fondamentalisti di casa nostra hanno un martire del genere. E chi gliel’ha fornito? Il Numero Due, Zirkawi. Bel lavoro, Numero Due.
Ma forse (termina Caravita) sono tutte coincidenze. Noi italiani siamo così dietrologi alle volte. Meglio andare a dormire, chissà che domani non salti fuori un Numero Due diverso. Nel frattempo buonanotte, bambini.
Ovunque voi siate.
mercoledì 12 maggio 2004
Ciao, astensionista.
Sì, dico proprio a te. Ricordi?
No, probabilmente no. È passato così tanto tempo, e abbiamo avuto così tante cose da fare. Tante proteste, tante marce, tanti scioperi, tante riunioni. Così magari stasera sei stanco, stressato (è un brutto periodo), vai su Internet, e c'è uno che ti dà dell'astensionista. Ma come. Ma perché. Ma in che senso.
Scusa, hai ragione. È che io sono un po' malato. Come... hai presente il protagonista del Signore degli Anelli, quello che ha una ferita che gli duole una volta all'anno? Ecco. Così, per 364 giorni all'anno io sto relativamente bene. Mi vedi anche in giro, ai cortei, alle assemblee, ci salutiamo.
Tutto regolare, insomma. Ma poi c'è quel giorno in cui mi duole la ferita, e il mondo mi sembra informe e grigio. Quel giorno non vedo più volti amici, e neanche il tuo mi sembra amico. In quel giorno tu sei, e resti, l'astensionista.
Quel giorno è il 13 maggio, da tre anni in qua.
Tre anni fa - non te lo ricordi - si votava il futuro di questo Paese. Tu ti sei astenuto, e hai mandato Berlusconi al governo. Sì. Sei stato tu. Provami il contrario, se ci riesci.
Sei stato tu, e il bello è che lo sapevi. Conoscevi perfettamente Berlusconi e il berlusconismo, eri un vero esperto. Sapevi chi era e cos'avrebbe fatto. Magari potevano sfuggirti i dettagli, il digitale terrestre piuttosto che la Cirami, ma il quadro d'insieme ti era chiaro. E lo hai accettato. Perché? È da tre anni che mi chiedo il perché.
La risposta che di solito mi davo è: perché sei un duro, tu. Perché non cedi ai compromessi, tu. E non ti turi mai il naso: guai. E t'invidiavo anche un po'. Tutta questa forza, questa dirittura morale, com'è che tu l'avevi e io no? Com'è che io avevo paura per le scuole, la giustizia, la sanità, l'informazione, e tu no? Com'è che io avevo paura per il futuro (anche nel senso del mio futuro piccolo piccolo), e tu no?
Poi è passato il tempo: Berlusconi si è impegnato a confermare tutte le peggio ipotesi su di lui. Ci ha anche aggiunto una sequela di gaffes incredibili, un tocco di surrealismo non del tutto prevedibile (e che ci ha aiutato a convivere con lui, in fondo). E intanto, tu, cosa facevi?
Mi riempivi la mail di invettive indignate contro la Cirami, la Gasparri, la Moratti. M'invitavi alla manifestazione, al corteo, allo sciopero. In fondo, lo devo anche a te se mi sono dato un po' da fare, in questi anni. Se non fosse stato per la tua forza d'animo, il tuo coraggio, la tua coerenza, mi sarei impantofolato del tutto. Invece sono qui, povero ma bello, nervoso, scattante. Che dire: grazie.
Tu continui a trovare nuove pietre di scandalo. Ma lo sapete che la Moratti voleva abolire Darwin dalle scuole medie? Ma lo sapete che volevano abolire l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori? Ma lo sapete che per loro il peer to peer è peggio della tortura? Ma lo sapete che la legge sulla fecondazione assistita è il ritorno al Medioevo? Ma lo sapete che il digitale terrestre è una truffa? Eccetera, in ordine sparso. Se non ci fossi tu che tieni il conto. Davvero, bisogna solo ringraziarti per la tua energia, e qualsiasi altro giorno lo farei.
Ma domani è il tredici maggio, e il tredici maggio io vedo solo grigio e nero, e il nero sei tu. Sei tu che hai votato Berlusconi. Sei tu che hai voluto la Cirami, la Gasparri, la Moratti. Sei tu che mi hai messo in questa merda.
Io però non ce l'ho con te. Dico, non si può tenere il broncio per tre anni. È andata così, inutile recriminare. E insomma, astensionista, come stai?
La famiglia, bene?
E il lavoro?
Io? Beh, lo sai, un lavoro l'ho perso, ma pazienza. Io un lavoro lo trovo quando voglio. La famiglia è un po' in ritardo, naturalmente. Ma ci arriveremo. Tanto ormai il peggio è passato, no? Si vede la luce in fondo al tunnel. Ora un primo scossone con europei e amministrative. E poi, tra due anni, si vota compatti, vero? Massì, lo sai anche tu che voteremo compatti. Mica perché te lo ha ordinare un Bertinotti. Mica perché ti ha supplicato un Fassino. No. Tu resti un uomo tutto d'un pezzo, non ti fai ordinare ne supplicare da nessuno. Ma voterai compatto. Perché?
Era tutto previsto. Era previsto che ti astenessi nel 2001, perché eri stanco dell'Ulivo al governo. Ed è prevedibile che andrai a votare nel 2006, perché anche l'indignazione permanente ti ha stancato.
Nel frattempo, il tuo omologo speculare - l'astensionista di destra - si sta già preparando a cambiare le sorti del Paese, non andando a votare per Berlusconi (o Fini) nel 2006. Perché malgrado tutte le promesse, Berlusconi dopo un po' stanca. Anche se abbassasse davvero le tasse, stancherebbe ugualmente, come stanca qualsiasi prodotto, anche il detersivo che lava più bianco: bisogna provare qualcos'altro.
Così, comincio a pensare questa cosa di voi astensionisti: che lo stimolo che vi permette di cambiare il futuro dell'Italia (compresa il mio) non sia la vostra indiscutibile integrità morale, ma una più borghese propensione ad annoiarsi in fretta. L'alternanza è questa: la possibilità di cambiare canale, anche solo per vedere cosa c'è. Peccato che si possa cambiare solo ogni cinque anni. Ma se si votasse tutti gli anni, probabilmente ogni anno avremmo una maggioranza diversa. Sarebbe divertente, no?
Questa è l'alternanza. Questa è la democrazia. Un'enorme intelligenza collettiva che non sa che strada prendere ma deve pur stare in piedi, e si sostiene basculando sulle solite posizioni: dest', sinist', dest', sinist'. Perché improvvisamente nel maggio 2004 si sono scoperte le torture ad Abu Ghraib? Perché le informazioni sono fuggite proprio oggi? Perché il pachiderma, dopo essersi spinto un po' troppo a dest', sente il bisogno istintivo di riequilibrarsi a sinist'. Ancora un colpetto, fuori Blair, fuori Bush, viva l'Onu, e poi ricomincerà il movimento verso dest'. Uno, due. Uno, due.
Tutto questo, a prescindere dalle ideologie. A prescindere dalla Ragion di Stato. A prescindere dal fatto che la guerra sia stata una cosa buona o una porcata. Molto più semplicemente, Bush ha stancato. Berlusconi ha stancato. Non per i danni che hanno fatto, ma perché li hanno già fatti, e adesso vorremmo vedere qualcosa d'altro. Qualcosa di completamente diverso, se c'è. (Se non c'è, ci accontentiamo di Kerry e Prodi, l'importante è cambiar canale).
Ecco, sarà perché vedo grigio, ma secondo me tu sei un po' così, astensionista. Ce l'hai tanto col padrone delle Tv, ma alla fine in politica ti comporti da telespettatore. Tutta la tua famosa forza morale, la eserciti solo pigiando il telecomando. E il bello è che puoi pigiarlo una volta sola ogni cinque anni.
Tre anni fa io ti chiedevo per pietà di non far vincere Berlusconi. Ti chiedevo di pensare anche al mio futuro, ma non al sole dell'avvenire: al futuro quotidiano della gente come me. Un pensiero molto egoistico, prepolitico, forse. Io avevo paura di piccole cose private, tu avevi paura di ritrovarti per altri cinque anni davanti alle repliche di Prodi e D'Alema. No, non ce l'ho con te. Tanto più che dobbiamo essere uniti, ora.
Ma per un giorno, un solo giorno all'anno, quando il cielo si fa grigio e questi tre anni sembrano solo un incubo assurdo, questa cosa te la devo dire, astensionista. Devo dire quel che penso di te. Devo dirti che sono d'accordo, quando dici che Berlusconi non è il vero problema. Hai perfettamente ragione, come al solito.
Il vero problema sei tu.
Sì, dico proprio a te. Ricordi?
No, probabilmente no. È passato così tanto tempo, e abbiamo avuto così tante cose da fare. Tante proteste, tante marce, tanti scioperi, tante riunioni. Così magari stasera sei stanco, stressato (è un brutto periodo), vai su Internet, e c'è uno che ti dà dell'astensionista. Ma come. Ma perché. Ma in che senso.
Scusa, hai ragione. È che io sono un po' malato. Come... hai presente il protagonista del Signore degli Anelli, quello che ha una ferita che gli duole una volta all'anno? Ecco. Così, per 364 giorni all'anno io sto relativamente bene. Mi vedi anche in giro, ai cortei, alle assemblee, ci salutiamo.
Tutto regolare, insomma. Ma poi c'è quel giorno in cui mi duole la ferita, e il mondo mi sembra informe e grigio. Quel giorno non vedo più volti amici, e neanche il tuo mi sembra amico. In quel giorno tu sei, e resti, l'astensionista.
Quel giorno è il 13 maggio, da tre anni in qua.
Tre anni fa - non te lo ricordi - si votava il futuro di questo Paese. Tu ti sei astenuto, e hai mandato Berlusconi al governo. Sì. Sei stato tu. Provami il contrario, se ci riesci.
Sei stato tu, e il bello è che lo sapevi. Conoscevi perfettamente Berlusconi e il berlusconismo, eri un vero esperto. Sapevi chi era e cos'avrebbe fatto. Magari potevano sfuggirti i dettagli, il digitale terrestre piuttosto che la Cirami, ma il quadro d'insieme ti era chiaro. E lo hai accettato. Perché? È da tre anni che mi chiedo il perché.
La risposta che di solito mi davo è: perché sei un duro, tu. Perché non cedi ai compromessi, tu. E non ti turi mai il naso: guai. E t'invidiavo anche un po'. Tutta questa forza, questa dirittura morale, com'è che tu l'avevi e io no? Com'è che io avevo paura per le scuole, la giustizia, la sanità, l'informazione, e tu no? Com'è che io avevo paura per il futuro (anche nel senso del mio futuro piccolo piccolo), e tu no?
Poi è passato il tempo: Berlusconi si è impegnato a confermare tutte le peggio ipotesi su di lui. Ci ha anche aggiunto una sequela di gaffes incredibili, un tocco di surrealismo non del tutto prevedibile (e che ci ha aiutato a convivere con lui, in fondo). E intanto, tu, cosa facevi?
Mi riempivi la mail di invettive indignate contro la Cirami, la Gasparri, la Moratti. M'invitavi alla manifestazione, al corteo, allo sciopero. In fondo, lo devo anche a te se mi sono dato un po' da fare, in questi anni. Se non fosse stato per la tua forza d'animo, il tuo coraggio, la tua coerenza, mi sarei impantofolato del tutto. Invece sono qui, povero ma bello, nervoso, scattante. Che dire: grazie.
Tu continui a trovare nuove pietre di scandalo. Ma lo sapete che la Moratti voleva abolire Darwin dalle scuole medie? Ma lo sapete che volevano abolire l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori? Ma lo sapete che per loro il peer to peer è peggio della tortura? Ma lo sapete che la legge sulla fecondazione assistita è il ritorno al Medioevo? Ma lo sapete che il digitale terrestre è una truffa? Eccetera, in ordine sparso. Se non ci fossi tu che tieni il conto. Davvero, bisogna solo ringraziarti per la tua energia, e qualsiasi altro giorno lo farei.
Ma domani è il tredici maggio, e il tredici maggio io vedo solo grigio e nero, e il nero sei tu. Sei tu che hai votato Berlusconi. Sei tu che hai voluto la Cirami, la Gasparri, la Moratti. Sei tu che mi hai messo in questa merda.
Io però non ce l'ho con te. Dico, non si può tenere il broncio per tre anni. È andata così, inutile recriminare. E insomma, astensionista, come stai?
La famiglia, bene?
E il lavoro?
Io? Beh, lo sai, un lavoro l'ho perso, ma pazienza. Io un lavoro lo trovo quando voglio. La famiglia è un po' in ritardo, naturalmente. Ma ci arriveremo. Tanto ormai il peggio è passato, no? Si vede la luce in fondo al tunnel. Ora un primo scossone con europei e amministrative. E poi, tra due anni, si vota compatti, vero? Massì, lo sai anche tu che voteremo compatti. Mica perché te lo ha ordinare un Bertinotti. Mica perché ti ha supplicato un Fassino. No. Tu resti un uomo tutto d'un pezzo, non ti fai ordinare ne supplicare da nessuno. Ma voterai compatto. Perché?
Era tutto previsto. Era previsto che ti astenessi nel 2001, perché eri stanco dell'Ulivo al governo. Ed è prevedibile che andrai a votare nel 2006, perché anche l'indignazione permanente ti ha stancato.
Nel frattempo, il tuo omologo speculare - l'astensionista di destra - si sta già preparando a cambiare le sorti del Paese, non andando a votare per Berlusconi (o Fini) nel 2006. Perché malgrado tutte le promesse, Berlusconi dopo un po' stanca. Anche se abbassasse davvero le tasse, stancherebbe ugualmente, come stanca qualsiasi prodotto, anche il detersivo che lava più bianco: bisogna provare qualcos'altro.
Così, comincio a pensare questa cosa di voi astensionisti: che lo stimolo che vi permette di cambiare il futuro dell'Italia (compresa il mio) non sia la vostra indiscutibile integrità morale, ma una più borghese propensione ad annoiarsi in fretta. L'alternanza è questa: la possibilità di cambiare canale, anche solo per vedere cosa c'è. Peccato che si possa cambiare solo ogni cinque anni. Ma se si votasse tutti gli anni, probabilmente ogni anno avremmo una maggioranza diversa. Sarebbe divertente, no?
Questa è l'alternanza. Questa è la democrazia. Un'enorme intelligenza collettiva che non sa che strada prendere ma deve pur stare in piedi, e si sostiene basculando sulle solite posizioni: dest', sinist', dest', sinist'. Perché improvvisamente nel maggio 2004 si sono scoperte le torture ad Abu Ghraib? Perché le informazioni sono fuggite proprio oggi? Perché il pachiderma, dopo essersi spinto un po' troppo a dest', sente il bisogno istintivo di riequilibrarsi a sinist'. Ancora un colpetto, fuori Blair, fuori Bush, viva l'Onu, e poi ricomincerà il movimento verso dest'. Uno, due. Uno, due.
Tutto questo, a prescindere dalle ideologie. A prescindere dalla Ragion di Stato. A prescindere dal fatto che la guerra sia stata una cosa buona o una porcata. Molto più semplicemente, Bush ha stancato. Berlusconi ha stancato. Non per i danni che hanno fatto, ma perché li hanno già fatti, e adesso vorremmo vedere qualcosa d'altro. Qualcosa di completamente diverso, se c'è. (Se non c'è, ci accontentiamo di Kerry e Prodi, l'importante è cambiar canale).
Ecco, sarà perché vedo grigio, ma secondo me tu sei un po' così, astensionista. Ce l'hai tanto col padrone delle Tv, ma alla fine in politica ti comporti da telespettatore. Tutta la tua famosa forza morale, la eserciti solo pigiando il telecomando. E il bello è che puoi pigiarlo una volta sola ogni cinque anni.
Tre anni fa io ti chiedevo per pietà di non far vincere Berlusconi. Ti chiedevo di pensare anche al mio futuro, ma non al sole dell'avvenire: al futuro quotidiano della gente come me. Un pensiero molto egoistico, prepolitico, forse. Io avevo paura di piccole cose private, tu avevi paura di ritrovarti per altri cinque anni davanti alle repliche di Prodi e D'Alema. No, non ce l'ho con te. Tanto più che dobbiamo essere uniti, ora.
Ma per un giorno, un solo giorno all'anno, quando il cielo si fa grigio e questi tre anni sembrano solo un incubo assurdo, questa cosa te la devo dire, astensionista. Devo dire quel che penso di te. Devo dirti che sono d'accordo, quando dici che Berlusconi non è il vero problema. Hai perfettamente ragione, come al solito.
Il vero problema sei tu.
martedì 11 maggio 2004
Qwerty e Qzerty non vanno d’accordo
(né ora né mai*)
E Dio vide che l’Uomo cresceva e si moltiplicava, e scambiava informazioni alla velocità della luce o quasi, e disse: così in fretta non mi diverto, perciò vi manderò qualche terremoto e inondazione, e inoltre metterò in commercio tastiere di tipo diverso, e passeranno migliaia di anni prima che tutti si mettano d’accordo su quale usare… (Gen. 96, 45…)
Le mie dita non suonano più chitarre, ma mi danno da mangiare. Banale, ma è così.
Tutto il giorno hanno lavorato su Mac, che è come toccare una persona straniera. Si accarezza circospetta, sempre sulla difensiva, e si sbaglia sempre dove più e banale e previsto. Il punto è virgola e la virgola è un punto e virgola. E l’assurdità di dover usare due dita per una cifra. E quante scorciatoie da re-imparare, quanti automatismi da rifare. E quant’è ridicola, la nostra abilità di cliccatori. Mettimi davanti uno strumento diverso, e non so più fare niente.
Torno a casa e c’è la mia, grande, comoda, tranquilla: le lettere sbiadite, tanto le dita non sanno leggere. Ma si ritrovano a casa, mi attirano in scorciatoie che hanno imparato da sole (senza nemmeno spiegarmele), accarezzano la loro amata di sempre. E sono pronte.
Ma non hanno niente da scrivere. Cioè, quasi niente. Giusto un pensierino, una stronzatina, meno che niente, era meglio niente.
Certe sere succede.
(*) per non parlar di Azerty, quel fighetto parigino.
(né ora né mai*)
E Dio vide che l’Uomo cresceva e si moltiplicava, e scambiava informazioni alla velocità della luce o quasi, e disse: così in fretta non mi diverto, perciò vi manderò qualche terremoto e inondazione, e inoltre metterò in commercio tastiere di tipo diverso, e passeranno migliaia di anni prima che tutti si mettano d’accordo su quale usare… (Gen. 96, 45…)
Le mie dita non suonano più chitarre, ma mi danno da mangiare. Banale, ma è così.
Tutto il giorno hanno lavorato su Mac, che è come toccare una persona straniera. Si accarezza circospetta, sempre sulla difensiva, e si sbaglia sempre dove più e banale e previsto. Il punto è virgola e la virgola è un punto e virgola. E l’assurdità di dover usare due dita per una cifra. E quante scorciatoie da re-imparare, quanti automatismi da rifare. E quant’è ridicola, la nostra abilità di cliccatori. Mettimi davanti uno strumento diverso, e non so più fare niente.
Torno a casa e c’è la mia, grande, comoda, tranquilla: le lettere sbiadite, tanto le dita non sanno leggere. Ma si ritrovano a casa, mi attirano in scorciatoie che hanno imparato da sole (senza nemmeno spiegarmele), accarezzano la loro amata di sempre. E sono pronte.
Ma non hanno niente da scrivere. Cioè, quasi niente. Giusto un pensierino, una stronzatina, meno che niente, era meglio niente.
Certe sere succede.
(*) per non parlar di Azerty, quel fighetto parigino.
lunedì 10 maggio 2004
Avendo sentito dire che adesso noi blog siamo i trendsetters (ma forse è già troppo tardi), volevo approfittarne per rifarmi delle mie frustrazioni sull’uomo più ricco di Gates: per annunciare, insomma, che Ikea è definitivamente Out. E mi sembra che siamo tutti d’accordo.
Allora potrei tirare la mazzata finale, e aggiungere: non è mai stato In, e credo che vi troverei ugualmente d’accordo, ma direi una bugia, e voi sareste contenti di credermi. No, c’è ancora in giro qualche portaciddì, qualche cassettino portaspezie in compensato. No, la lavagnetta magnetica resta sempre un oggetto simpatico. No, c’è stato un periodo in cui trovavamo a casa degli amici la mensola per libri paraboloide e pensavamo: però, figata. Insomma, un conto è il trendsetting, un conto è il revisionismo. Quello i blog non lo fanno… ehm, beh, almeno stasera a me non va di farlo. Perché insomma, io certe cose le ho viste. Ho visto i cassettini in compensato in casa di gente rispettabile, laureati, laureandi, architetturandi, e sarà stato il 1998, massimo 1999. Ho visto Fight Club, nel 1999, e ho sogghignato quando Ed Norton sfoglia il catalogo Ikea al gabinetto, l’allusione masturbatoria colpiva sul vivo. E poi ho visto anche i famosi bastimenti in fiamme dalle parti di Orione, ma da vicino, sapete, non furono un granché, preferisco concentrarmi sull’Ikea. Fu un grande fenomeno di fascinazione collettiva, vi sentite di negarlo? Non vendevano truciolato, chiunque è in grado di venderti truciolato, loro vendevano stile di vita (sapessero fare i mobili come fanno i cataloghi). E noi abbiamo comprato.
A volte, bisogna dirlo, abbiamo comprato perché non avevamo scelta. Quando arrivò in Italia, Ikea puntò tutto sulla liberazione del Giovane e della Giovane. il cartello che a quei tempi andava per la maggiore era una duecavalli in camporella (giornali sui finestrini). Titolo: Non è ora di andare a vivere da soli? Probabilmente già allora la risposta di molti ventenni italiani fu: “No, perché?” Ma per altri era ora, decisamente. Quando io uscii di casa, non pensavo davvero ai mobili Ikea, non perché mi fossi accorto di quanto fossero brutti, ma perché credevo di non potermeli permettere. Pensavo di dover volare più basso, genere mercatoni di provincia. Ma nel giro di un mese mi resi conto di una cosa: solo Ikea capiva i miei problemi.
Se la mia stanza era lunga 1mt.60 x 3, era impossibile farci stare un letto e una scrivania, per tacer dell’armadio. Ergo, serviva un letto a soppalco, ma singolo. Adesso non so, ma vi garantisco che nel 1999 non li vendeva nessuno. Solo l’Ikea. Gli altri avevano letti a castello per bambino: perfetto, esco da casa dei miei e mi ritrovo nel reparto infanzia del mobilificio. Era come fare la spesa da single: umiliante.
E allora, quello che trovai da Ikea non era il fascino per il compensato svedese. Non ero così idiota, nemmeno nel ’99, e neanche voi. Quello che trovai a Casalecchio era rispetto. Rispetto per la mia situazione di ventenne-e-qualcosa-single-andato-ad-abitare-in-un-cesso-di-un-metro-e-mezzo-per-tre. Gli altri avevano solo sorrisi di commiserazione e lettini della Barbie. L’Ikea aveva un letto a soppalco singolo, grigio, anonimo, alto il giusto per non sembrare infantile. E ce l’ha ancora, esposto con tutto l’occorrente per trasformare lo spazio sottostante in uno studiolo, un guardaroba, un harem con tappeti e cuscini, una palestra da bodybuilding, un loft. Presi un giorno di malattia per andarlo a prendere con la macchinina, e quando arrivai scoprii che non l’avevano, e piantai una grana finché non me lo diedero lo stesso, e bestemmiai in svedese per farlo stare dentro la macchinina, e ripartii sgommando e cantando
I think I’m on another planet with you, with you
Ce l’avevo fatta. Ero autonomo. Avevo un letto tutto mio. Io, e il mio soppalco, non avevamo più bisogno di nessuno (anche se avessimo avuto bisogno, di qualcuno, non ci sarebbe più stato spazio, né sulla macchinina, né nella stanza, né sul soppalco). Eravamo liberi, indipendenti, autonomi, automuniti.
Giunto a casa, l’amara delusione. Il foglio delle istruzioni – sapete come sono fatti, no? Niente parole, solo disegni – mostrava chiaramente due persone che montavano il letto. Un ragazzo e una ragazza – per colmo dell’umiliazione. Bussai alla Fra’.
“Fra’”
“Sì?”
“Fra’, io pensavo di farcela da solo, ma nel disegno…”
“Che c’è?”
“C’è anche una donna, vedi”.
“Una donna?”
“Ha i capelli lunghi”.
In due riuscimmo a montare il soppalco, anche se demolimmo tutto il resto della stanza. Su quel soppalco ho passato gli anni più assurdi della mia vita. Al mattino, quando suonava la sveglia, mi alzavo – le grucce appese sotto la rete mi salutavano gnigolando – e mi sembrava di essere il capitano di un vascello in rotta verso l’ignoto. Perché ero lì? Ero saggio? Ero responsabile? Ero un idiota? Se lo sarà chiesto mille volte anche Cristoforo Colombo.
Allora, chi lo sa, forse il motivo per cui oggi Ikea non ci piace più, è che la generazione che è uscita di casa alla fine dei Novanta ormai ha passato il guado, si è sistemata, e ha bisogno di mobili più solidi, più personali, meno giovanili, che ne so? Ora a Casalecchio mi pare che puntino di più sugli adolescenti che vogliono rifarsi la cameretta. E mi pare giusto. Ikea è una specie di evoluzione del lego: ti monti le cose da solo, le ricombini, poi ti annoi, smonti tutto e compri un’altra scatola. Va bene.
Una cosa che invece non capisco è il laminato bianco, che quest’anno va molto. Io ho sempre odiato il laminato bianco, ma perché? Ne ho parlato con due miei amici, e condividevano. Poi ci siamo resi conto di una cosa: avevamo in comune un’infanzia in una zona industriale.
Probabilmente in Svezia queste cose non se le immaginano neanche. Devono avere tutto lo spazio per mettere le fabbriche da una parte e le casette dall’altra, tutte belle col loro giardino e il tetto spiovente per la neve. Ma in Emilia è successo tutto in modo così convulso. La gente si è messa a costruire fabbrichette, capannoni in cemento, e sopra, o di fianco, ci ha costruito il suo appartamento. Così si teneva il lavoro in casa. E in casa, per evitare confusione, mobili di noce massiccio. Invece giù, nell’ufficio, schifezze di laminato bianco.
Noi siamo cresciuti giocando col lego, ma anche con le scrivanie di laminato bianco, digitando numeri assurdi sulle calcolatrici da tavolo di papà, e a volte partiva il rullo della carta e non si fermava più. Poi, crescendo, può darci che ci torni un po’ di nostalgia per il lego, come per i cartoni giapponesi: ma il laminato bianco è il rovescio della medaglia, il mondo brutto che vorremmo esserci lasciati alle spalle per sempre, anche se ci ha dato da mangiare per così tanto tempo.
D’altro canto, al noce massiccio non ci siamo senz’altro arrivati, e forse non abbiamo intenzione di arrivarci mai.
E allora – dove siamo? (Ammiraglio, d’accordo, una terra l’abbiamo trovata. Ma che terra è?)
Allora potrei tirare la mazzata finale, e aggiungere: non è mai stato In, e credo che vi troverei ugualmente d’accordo, ma direi una bugia, e voi sareste contenti di credermi. No, c’è ancora in giro qualche portaciddì, qualche cassettino portaspezie in compensato. No, la lavagnetta magnetica resta sempre un oggetto simpatico. No, c’è stato un periodo in cui trovavamo a casa degli amici la mensola per libri paraboloide e pensavamo: però, figata. Insomma, un conto è il trendsetting, un conto è il revisionismo. Quello i blog non lo fanno… ehm, beh, almeno stasera a me non va di farlo. Perché insomma, io certe cose le ho viste. Ho visto i cassettini in compensato in casa di gente rispettabile, laureati, laureandi, architetturandi, e sarà stato il 1998, massimo 1999. Ho visto Fight Club, nel 1999, e ho sogghignato quando Ed Norton sfoglia il catalogo Ikea al gabinetto, l’allusione masturbatoria colpiva sul vivo. E poi ho visto anche i famosi bastimenti in fiamme dalle parti di Orione, ma da vicino, sapete, non furono un granché, preferisco concentrarmi sull’Ikea. Fu un grande fenomeno di fascinazione collettiva, vi sentite di negarlo? Non vendevano truciolato, chiunque è in grado di venderti truciolato, loro vendevano stile di vita (sapessero fare i mobili come fanno i cataloghi). E noi abbiamo comprato.
A volte, bisogna dirlo, abbiamo comprato perché non avevamo scelta. Quando arrivò in Italia, Ikea puntò tutto sulla liberazione del Giovane e della Giovane. il cartello che a quei tempi andava per la maggiore era una duecavalli in camporella (giornali sui finestrini). Titolo: Non è ora di andare a vivere da soli? Probabilmente già allora la risposta di molti ventenni italiani fu: “No, perché?” Ma per altri era ora, decisamente. Quando io uscii di casa, non pensavo davvero ai mobili Ikea, non perché mi fossi accorto di quanto fossero brutti, ma perché credevo di non potermeli permettere. Pensavo di dover volare più basso, genere mercatoni di provincia. Ma nel giro di un mese mi resi conto di una cosa: solo Ikea capiva i miei problemi.
Se la mia stanza era lunga 1mt.60 x 3, era impossibile farci stare un letto e una scrivania, per tacer dell’armadio. Ergo, serviva un letto a soppalco, ma singolo. Adesso non so, ma vi garantisco che nel 1999 non li vendeva nessuno. Solo l’Ikea. Gli altri avevano letti a castello per bambino: perfetto, esco da casa dei miei e mi ritrovo nel reparto infanzia del mobilificio. Era come fare la spesa da single: umiliante.
E allora, quello che trovai da Ikea non era il fascino per il compensato svedese. Non ero così idiota, nemmeno nel ’99, e neanche voi. Quello che trovai a Casalecchio era rispetto. Rispetto per la mia situazione di ventenne-e-qualcosa-single-andato-ad-abitare-in-un-cesso-di-un-metro-e-mezzo-per-tre. Gli altri avevano solo sorrisi di commiserazione e lettini della Barbie. L’Ikea aveva un letto a soppalco singolo, grigio, anonimo, alto il giusto per non sembrare infantile. E ce l’ha ancora, esposto con tutto l’occorrente per trasformare lo spazio sottostante in uno studiolo, un guardaroba, un harem con tappeti e cuscini, una palestra da bodybuilding, un loft. Presi un giorno di malattia per andarlo a prendere con la macchinina, e quando arrivai scoprii che non l’avevano, e piantai una grana finché non me lo diedero lo stesso, e bestemmiai in svedese per farlo stare dentro la macchinina, e ripartii sgommando e cantando
I think I’m on another planet with you, with you
Ce l’avevo fatta. Ero autonomo. Avevo un letto tutto mio. Io, e il mio soppalco, non avevamo più bisogno di nessuno (anche se avessimo avuto bisogno, di qualcuno, non ci sarebbe più stato spazio, né sulla macchinina, né nella stanza, né sul soppalco). Eravamo liberi, indipendenti, autonomi, automuniti.
Giunto a casa, l’amara delusione. Il foglio delle istruzioni – sapete come sono fatti, no? Niente parole, solo disegni – mostrava chiaramente due persone che montavano il letto. Un ragazzo e una ragazza – per colmo dell’umiliazione. Bussai alla Fra’.
“Fra’”
“Sì?”
“Fra’, io pensavo di farcela da solo, ma nel disegno…”
“Che c’è?”
“C’è anche una donna, vedi”.
“Una donna?”
“Ha i capelli lunghi”.
In due riuscimmo a montare il soppalco, anche se demolimmo tutto il resto della stanza. Su quel soppalco ho passato gli anni più assurdi della mia vita. Al mattino, quando suonava la sveglia, mi alzavo – le grucce appese sotto la rete mi salutavano gnigolando – e mi sembrava di essere il capitano di un vascello in rotta verso l’ignoto. Perché ero lì? Ero saggio? Ero responsabile? Ero un idiota? Se lo sarà chiesto mille volte anche Cristoforo Colombo.
Allora, chi lo sa, forse il motivo per cui oggi Ikea non ci piace più, è che la generazione che è uscita di casa alla fine dei Novanta ormai ha passato il guado, si è sistemata, e ha bisogno di mobili più solidi, più personali, meno giovanili, che ne so? Ora a Casalecchio mi pare che puntino di più sugli adolescenti che vogliono rifarsi la cameretta. E mi pare giusto. Ikea è una specie di evoluzione del lego: ti monti le cose da solo, le ricombini, poi ti annoi, smonti tutto e compri un’altra scatola. Va bene.
Una cosa che invece non capisco è il laminato bianco, che quest’anno va molto. Io ho sempre odiato il laminato bianco, ma perché? Ne ho parlato con due miei amici, e condividevano. Poi ci siamo resi conto di una cosa: avevamo in comune un’infanzia in una zona industriale.
Probabilmente in Svezia queste cose non se le immaginano neanche. Devono avere tutto lo spazio per mettere le fabbriche da una parte e le casette dall’altra, tutte belle col loro giardino e il tetto spiovente per la neve. Ma in Emilia è successo tutto in modo così convulso. La gente si è messa a costruire fabbrichette, capannoni in cemento, e sopra, o di fianco, ci ha costruito il suo appartamento. Così si teneva il lavoro in casa. E in casa, per evitare confusione, mobili di noce massiccio. Invece giù, nell’ufficio, schifezze di laminato bianco.
Noi siamo cresciuti giocando col lego, ma anche con le scrivanie di laminato bianco, digitando numeri assurdi sulle calcolatrici da tavolo di papà, e a volte partiva il rullo della carta e non si fermava più. Poi, crescendo, può darci che ci torni un po’ di nostalgia per il lego, come per i cartoni giapponesi: ma il laminato bianco è il rovescio della medaglia, il mondo brutto che vorremmo esserci lasciati alle spalle per sempre, anche se ci ha dato da mangiare per così tanto tempo.
D’altro canto, al noce massiccio non ci siamo senz’altro arrivati, e forse non abbiamo intenzione di arrivarci mai.
E allora – dove siamo? (Ammiraglio, d’accordo, una terra l’abbiamo trovata. Ma che terra è?)