Lo so, che è soltanto rock'n'roll
(ma mi piaaaaaaaace!)
Siamo qui, stiamo sudando i primi caldi dell'estate, siamo alle prese con un lavoro che non ci attira o con uno studio che ci deprime. La radio ci consola (o gli mp3), ma mentre ci facciamo cullare dalle note ci prende l'antico rimpianto: cosa ci facciamo qui? Alle prese con uno squallido futuro che non abbiamo mai desiderato? Noi che volevamo fare le rockstar, cantare su un palcoscenico davanti a decine di migliaia di persone (paganti)! Come abbiamo fatto a perderci per strada in questo modo?
Lo stesso pensiero, parecchi anni fa, colse Luciano impreparato. Era la prima di un'opera… importa dire quale? La solita, il tenore voleva farsi il soprano e il basso non era d'accordo. Per l'appunto basso e soprano stavano duettando, e dietro la quinta Luciano paziente aspettava, sudando l'impossibile. (Maledetti abiti di scena).
Da lì s'intravedeva la platea. I soliti visoni, le solite cariatidi sbadiglianti, fierissime di assistere a un evento culturale di quella portata (figurarsi, con quello che avevano pagato). Che noia. Che brutto mondo. Come ho fatto a finire qui? Io volevo fare la rockstar!
Il pensiero, appena appena formulato, lo stupì. Era stato proprio lui a pensarlo? Possibile? Lui era un grande artista, acclamato in tutto il mondo… eppure… sempre in giro per questi teatri, tutti uguali… con questa musica e questi abiti ridicoli… questo Ottocento protratto all'eternità… Tutto perché sono nato in provincia, lì studiare bel canto era il non-plus-ultra, ma fossi cresciuto a New York, a Londra… anche solo a Liverpool… gliela facevo vedere io, gliela facevo…
Ma era troppo tardi. Una volta impostata, la voce non si cambia più. È come un cerone che non riesci più a levarti di dosso, ti penetra sotto la pelle, diventa parte di te. Luciano non era ancora all'apice della fama, ma ci stava arrivando. Il suo manager gli aveva consigliato di ingrassare un po' ("il tenore pingue gode di maggior visibilità, lo capisci o no?")… Troppo tardi per i concerti da stadio…
"In scena!" Luciano si riscosse. Toccava a lui. Ma mentre si accingeva a stringere il soprano tra le braccia, ebbe il tempo per fare a sé stesso un solenne giuramento: Ingrasserò, e quando sarò il più grosso tenore del mondo organizzerò un concerto nella piazza più grande della mia città, e tutte le rockstar del mondo faranno a gara a cantare con me!
È da anni che non vado più al Pavarotti & Friends. Forse ho ricordi troppo belli, che non voglio inquinare. Ero piccolissimo, sarà stato l''84, o l''85. Per ottenere i biglietti, io e mia nonna avevamo piantato una grana con la mamma, che alla fine aveva acconsentito ad accompagnarci.
Lo spettacolo fu memorabile. Sin d'allora, P. sapeva stupire il mondo. Ricordo un'incredibile medley Vincerò / We are the champions con Freddy Mercury. Una fantastica Stairway to heaven con Robert Plant: il ritornello, in cui P. cantava "Mi meravigliaaaa!", faceva venire i brividi. Una spiritosissima versione di I love to love con Tina Charles:
Tina Charles: Oh, I love to love,
But my baby just loves to dance
Pavarotti: Amo l'amor
Ma il mio diletto ama sol danzar
Coro: get get get get down. Get get get get down,
Get get get get get get get, oooh! (Acuto)
Ricordo anche un grande duetto con George Michael, che però allora non potevo sopportare (odiavo le ragazzine). Ma che versi ispirati…
George: And I never gonna dance again
Guilty feet they've got no rhytm
Though it's easy to pretend
I know you're not a fool
I should have known better than to cheat a friend
And waste a chance that I've been given
So I never gonna dance again
The way I dance with you
Luciano: Oimé, e non danzero mai più
Nell'orma dei passi colposi
Finger già facile fu
Ma con te giammai!
Con te persi un amico che il fato mi dié
E nel pensier io mi torturo
So I never gonna dance again
Come danzai con te
Ma il numero che è rimasto scolpito nella mia memoria è quello con il grande Serge Gainsbourg. Certo, all'epoca non potevo neanche immaginare chi fosse, e certo mia madre e mia nonna non me l'avevano spiegato: eppure il fascino di quell'uomo magro, brutto, scavato, pallido, a fianco del tenore pingue e bronzeo… si guardano negli occhi, si sorridono, intonano un canto d'amore immortale…
Pavarotti: Deh! Ché t'amo, io t'amo, oh se t'amo!
Gainsbourg: Moi non plus
Pavarotti: O mio divino!
Gainsbourg: L'amour physique est sans issue
Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni
Tra le mie reni
Tu vieni e tu vai
Tra le mie reni
E poi… ti ritrai
Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens
Entre tes reins
Je vais et je viens
Et je me retiens…
Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)
Dolci ricordi. Ma è tempo di mettersi a sgobbare. Ho deciso che diventerò il più grande cliccatore del mondo, e quando lo sarò diventato, comprerò piazzale Novi Sad e ci farò un concerto tutti gli anni, duettando con chi mi pare. Che anche se stecco qualche volta, chi verrà mai a rimproverarmi? È per beneficienza… è solo rock'n'roll.
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi.
Noi no. Donate all'UNRWA.
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giovedì 31 maggio 2001
martedì 29 maggio 2001
Aspettando il G8
Quando si vota si è costretti a fare scelte nette, e ad assumersene le responsabilità. Questo mi piace, questo no, questo può ancora andare, questo proprio no. Non è così semplice: di solito ci piace conservare opinioni più sfumate.
Io sono contento di non dover votare tutti i giorni, ed evito come la peste i sondaggini ormai imperanti sul web. Vedi la Repubblica di oggi: con un click puoi votare il segretario dei DS, curare i pedofili con non meglio precisati "farmaci", e rispondere all'interessante quesito: "Bastano le vittorie di Cipollini per risollevare un Giro noioso?"
Con questo tipo di sondaggi 'chiusi' (qualcuno ha già scelto le opzioni per te) è più facile farsi un'idea delle opinioni di chi pone i quesiti, piuttosto di quelle di chi sceglie di rispondere. Una caricatura piuttosto ridicola della democrazia.
È stata una triste sorpresa, perciò, trovare un simile sondaggio sul sito delle Tute bianche che si organizzano per il G8 di Genova. Ecco qui:
Siamo tornati dal Messico con la determinazione di seguire l'insegnamento zapatista del "Camminare domandando".
Bene, ci chiediamo adesso cosa dovremo fare a Genova nei giorni del G8. Piuttosto che risponderci da soli preferiamo rivolgere la domanda ai compagni di viaggio che abbiamo incontrato e che ancora dobbiamo incontrare.
Così il 26 maggio 2001 al Palazzo Ducale di Genova apriremo con 3 domande le nostre consultazioni:
1-E' giusto praticare la disobbedienza civile?
2-E' giusto esprimerla con l'invasione dei nostri corpi nelle zone off-limits?
3-E' giusto pensare a forme di autodifesa se la polizia cercherà di massacrarci e violerà palesemente i diritti umani?
Se i quesiti sono posti in questo modo, come si fa rispondere "no"? Certo che è giusto praticare la disobbedienza civile. Certo che la si può esprimere invadendo zone ingiustamente chiuse al pubblico. Certo che se i celerini si fanno avanti coi manganelli, bisogna difendersi. Dovrei quindi votare "sì". E avvallare un'altra guerriglia urbana.
È una responsabilità che non mi prendo. Odio questo tipo di sondaggi chiusi che ti mettono davanti il fatto compiuto. E rispondo così.
1: È giusto mandare a puttane un'opportunità di protesta e disobbedienza civile per giocare a fare i guerriglieri a Genova, Italia?
2: È utile cercare di oltrepassare una barriera soltanto perché è stata messa lì a bella posta?
3: È intelligente andare a cercare i manganelli proprio lì dove vi aspettano?
Genova, come il Global Forum a Napoli due mesi fa, è uno spettacolo annunciato. La polizia già si lecca i baffi. Il ministro in pectore degli interni della Casa delle Libertà (chiunque sia) non vede l'ora di far sentire che la musica è cambiata. È stato visto Fede dire "Gliela facciamo vedere noi…". Le tute bianche almeno sappiano che vanno a Genova a dar spettacolo per Fede.
Chi invece è molto critico nei confronti di tutto ciò che il G8 rappresenta, ma preferirebbe partecipare a una protesta civile, non solo correrà il rischio di trovarsi in mezzo a una battaglia che non vuole, ma dovrà anche patire la marginalizzazione da parte di stampa e tv.
Tanto per loro sono solo i soliti "giovanideicentrisociali"...
Quando si vota si è costretti a fare scelte nette, e ad assumersene le responsabilità. Questo mi piace, questo no, questo può ancora andare, questo proprio no. Non è così semplice: di solito ci piace conservare opinioni più sfumate.
Io sono contento di non dover votare tutti i giorni, ed evito come la peste i sondaggini ormai imperanti sul web. Vedi la Repubblica di oggi: con un click puoi votare il segretario dei DS, curare i pedofili con non meglio precisati "farmaci", e rispondere all'interessante quesito: "Bastano le vittorie di Cipollini per risollevare un Giro noioso?"
Con questo tipo di sondaggi 'chiusi' (qualcuno ha già scelto le opzioni per te) è più facile farsi un'idea delle opinioni di chi pone i quesiti, piuttosto di quelle di chi sceglie di rispondere. Una caricatura piuttosto ridicola della democrazia.
È stata una triste sorpresa, perciò, trovare un simile sondaggio sul sito delle Tute bianche che si organizzano per il G8 di Genova. Ecco qui:
Siamo tornati dal Messico con la determinazione di seguire l'insegnamento zapatista del "Camminare domandando".
Bene, ci chiediamo adesso cosa dovremo fare a Genova nei giorni del G8. Piuttosto che risponderci da soli preferiamo rivolgere la domanda ai compagni di viaggio che abbiamo incontrato e che ancora dobbiamo incontrare.
Così il 26 maggio 2001 al Palazzo Ducale di Genova apriremo con 3 domande le nostre consultazioni:
1-E' giusto praticare la disobbedienza civile?
2-E' giusto esprimerla con l'invasione dei nostri corpi nelle zone off-limits?
3-E' giusto pensare a forme di autodifesa se la polizia cercherà di massacrarci e violerà palesemente i diritti umani?
Se i quesiti sono posti in questo modo, come si fa rispondere "no"? Certo che è giusto praticare la disobbedienza civile. Certo che la si può esprimere invadendo zone ingiustamente chiuse al pubblico. Certo che se i celerini si fanno avanti coi manganelli, bisogna difendersi. Dovrei quindi votare "sì". E avvallare un'altra guerriglia urbana.
È una responsabilità che non mi prendo. Odio questo tipo di sondaggi chiusi che ti mettono davanti il fatto compiuto. E rispondo così.
1: È giusto mandare a puttane un'opportunità di protesta e disobbedienza civile per giocare a fare i guerriglieri a Genova, Italia?
2: È utile cercare di oltrepassare una barriera soltanto perché è stata messa lì a bella posta?
3: È intelligente andare a cercare i manganelli proprio lì dove vi aspettano?
Genova, come il Global Forum a Napoli due mesi fa, è uno spettacolo annunciato. La polizia già si lecca i baffi. Il ministro in pectore degli interni della Casa delle Libertà (chiunque sia) non vede l'ora di far sentire che la musica è cambiata. È stato visto Fede dire "Gliela facciamo vedere noi…". Le tute bianche almeno sappiano che vanno a Genova a dar spettacolo per Fede.
Chi invece è molto critico nei confronti di tutto ciò che il G8 rappresenta, ma preferirebbe partecipare a una protesta civile, non solo correrà il rischio di trovarsi in mezzo a una battaglia che non vuole, ma dovrà anche patire la marginalizzazione da parte di stampa e tv.
Tanto per loro sono solo i soliti "giovanideicentrisociali"...
lunedì 28 maggio 2001
Dai webdesigners ci guardi Iddio
Da una sommaria ricognizione sui siti editoriali 'di marca', direi che il premio Strabico & Epilettico 2001 se lo becca www.rcs.it.
Perché tante animazioni? Perché far scorrere banner in sensi divergenti? Perché, perché, perché. Il webdesigner avrà pensato che è molto cool. E chi siamo noi per smentirlo?
Del resto si sa, un'immagine vale mille parole, anche se è un migliaio di volte più pesante (e un'animazione? ne varrà diecimila?). Vedi per esempio le immagini che identificano i target delle collane RCS. "Sonzogno" è una signora in deshabillé stesa sul letto: perfetta. "Fabbri" è un bambino su una sedia troppo grande, con in mano un libro troppo grande. Un po' triste, ma azzeccato.
Donna, sogna ad occhi aperti nei tuoi momenti di relax con un Sonzogno rosa .
Bambino, preparati a diventare grande e pedante con un bel manuale Fabbri.
E donne e bambini sono sistemati.
Un'altra domanda sciocca. Se vuoi pubblicare un'intervista a un autore, puoi inserirla:
1. Come un leggerissimo file di testo,
2. Come un pesante file audio (così potrai sentire con le tue orecchie gli immancabili "mmmmbeh", "ciooooè…").
3. Come un pesantissimo file video (così potrai vedere con i tuoi occhi un'immagine minuscola e sgranata dell'autore che rimane immobile mentre dice: "mmmmbeh", "ciooooè…").
Qual è la soluzione più cool? La terza, indubbiamente.
Lontani i tempi in cui internet sembrava annunciare la rivincita della scrittura contro audio e video. Ci muniremo tutti di iperconnessioni e bande larghe e scaricheremo le ultime notizie in mpeg video. Sperando che alla fine la telecronista si metta nuda. (Perché, detto tra noi, gli mpeg mi sanno sempre un po' di porno)
venerdì 25 maggio 2001
Cercasi libri gai (ma amabili) per ore liete
C'è stata la Fiera del libro di Torino e improvvisamente si sono scoperte dieci, cento, mille case editrici on line.
Dice il proverbio: se l'idea è buona, significa che è venuta già in mente a qualcun altro. (Ma sarà poi così buona l'idea?)
Dice un altro proverbio, coniato per l'occasione: c'è solo un individuo più buffo e triste dell'aspirante scrittore, ed è l'aspirante editore. Ora cerchiamo conferma. Vedi per esempio il sito www.ilcuratore.it. La veste grafica non è neanche male (ma questo non è un punto a favore: la grafica piace agli allocchi).
Apre finalmente al pubblico ilCuratore.it, una nuova realtà editoriale nata dall'idea e l'impegno di giovani che intendono offrire agli autori il supporto necessario per poter pubblicare e promuovere i propri testi
Eh, questi giovani… quante idee, quanti impegni… Alla voce "publicarsi un libro" (con una b sola, ma passi), c'informiamo meglio sulla filosofia dell'operazione:
Il popolo di aspiranti scrittori non cessa di stupire per creatività e mole di volumi prodotta ogni anno. Ma come fare a pubblicare?
Le strade sono molte e non tutte facili. Ai giorni nostri il libro soffre di una perdita di identità gravissima, è a disagio sul proprio terreno, la comunicazione, a causa dell’”aggressione” degli altri massmedia.
Alberoni, Zecchi, Ceronetti, non potrebbero trovare parole migliori. Ma in fondo il panorama non è così sconfortante:
Il rapporto che c’era e c’è tutt’oggi tra il libro e il lettore però non è cambiato; con il libro si instaura una relazione intensa, ricca di emozioni che nessun altro mezzo di comunicazione è mai riuscito a sostituire.
I lettori sono diminuiti notevolmente ma quelli che non hanno perso il rapporto uono-libro [uono?] sono diventati molto più attenti e scrupolosi. I nuovi lettori amano i romanzi e i racconti, la poesia ha perso terreno ed è rientrata nella categoria dei libri di “nicchia”.
Da questa amara constatazione, ilCuratore trae le premesse per una dichiarazione di poetica, cinica quanto si vuole, ma non scevra d'orgoglio. Come sarà, dunque, questo futuro libro "fai da te"?
“Il fai da te” dovrà basarsi su testi gai e amabili capaci di prefigurare al lettore alcune ore liete in compagnia del Vostro libro. Testi unici, nuovi tipi di scrittura senza ritenersi importanti e senza dare peso alla propria importanza.
E bravo Curatore. Stavo quasi per inviarti la mia autobiografia in tre tomi, poi ho cambiato idea. Anche perché, volendo essere pignoli (e io voglio sempre) a te sfuggono persino le acca nel verbo avere (Chi invece a fretta e vuole veder scritto su una copertina il proprio nome può giocare il tutto per tutto magari trovando sponsor per la pubblicazione o investendo su se stesso...).
Me la prendo tanto coi "giovani", come se i siti dei grandi editori fossero immuni da pacchianate… già… i grandi editori. La prossima settimana ci faccio un giro.
Altri siti sull'argomento (ma sulla seretà non mi pronuncio)
martedì 22 maggio 2001
4 frecce
Lavorare nove ore, e poi beccarsi una riunione, una di quelle dove si decide il futuro. Il mio. Figurarsi.
Che c'è stavolta? I volontari non vogliono più formazione, X vuole un rimborso, Y ha portato gli scontrini, il dipartimento forse non pagherà, il presidente darà le dimissioni a giugno e ci tiene a farlo sapere, così ci prepariamo.
Io però non ho cenato, e ho pranzato a tonno in scatola. Mi devo far dire le cose due volte e fortuna che c'è chi me le spiega. In giornata dovevo fare questo e quello, invece niente – prendersi più impegni come alibi per non concludere nulla. E tu, che se poi non ti scrivo qualcosa di carino t'incazzi?
(Siamo poi sicuri che qualcuno qui (o anche altrove) abbia veramente bisogno di me? Sparire no, mi sembrerebbe di fare uno sgarbo a qualcuno: ma sarebbe una gran perdita? Francamente).
Ho solo voglia di sprofondare sul divano, Berlusconi offrirà qualche suo film qualsiasi, aprirò una birra e sonnecchierò aspettando la Nedda che è andata a un concerto degli Arab Strap a San Martino Spino. Le ho prestato l'atlante stradale.
"Perché non vieni anche tu?"
"Perché ho una riunione e poi mi addormento".
Lei ed Elisa hanno preso a chiamarmi "Quattro Frecce", perché quando torno tardi (o non torno affatto) piace a loro immaginarmi addormentato nel mio abitacolo su una corsia di sicurezza, le quattro frecce di emergenza lampeggianti nel buio e nella pioggia.
Questo in realtà non è mai successo, ma è una bella metafora. Perché mi viene sempre sonno nella vita? Elle aurait voulu ne plus vivre, ou continuellement dormir… Oui, c'est moi, comme d'abitude,
La Nedda arriva verso le tre, reca due vasi di fiori che ha sottratto a chissà quale pensionata della Bassa: domani mattina sarà tutta colpa degli albanesi, in che mondo viviamo? Belle piante, se stavolta riusciremo a non farle morire. Mi spiega che la birra da noi costa troppo, ma in caraffa un po' meno, così ne ha prese solo due. Per me ha portato un enorme cartone con scritto "W.C.". Me lo lascia in camera ed è la prima cosa che vedrò aprendo gli occhi domattina.
Stanotte mi sono svegliato d'un tratto senza fiato. Nel sonno avevo smesso di respirare. Alcuni neonati muoiono così.
Lavorare nove ore, e poi beccarsi una riunione, una di quelle dove si decide il futuro. Il mio. Figurarsi.
Che c'è stavolta? I volontari non vogliono più formazione, X vuole un rimborso, Y ha portato gli scontrini, il dipartimento forse non pagherà, il presidente darà le dimissioni a giugno e ci tiene a farlo sapere, così ci prepariamo.
Io però non ho cenato, e ho pranzato a tonno in scatola. Mi devo far dire le cose due volte e fortuna che c'è chi me le spiega. In giornata dovevo fare questo e quello, invece niente – prendersi più impegni come alibi per non concludere nulla. E tu, che se poi non ti scrivo qualcosa di carino t'incazzi?
(Siamo poi sicuri che qualcuno qui (o anche altrove) abbia veramente bisogno di me? Sparire no, mi sembrerebbe di fare uno sgarbo a qualcuno: ma sarebbe una gran perdita? Francamente).
Ho solo voglia di sprofondare sul divano, Berlusconi offrirà qualche suo film qualsiasi, aprirò una birra e sonnecchierò aspettando la Nedda che è andata a un concerto degli Arab Strap a San Martino Spino. Le ho prestato l'atlante stradale.
"Perché non vieni anche tu?"
"Perché ho una riunione e poi mi addormento".
Lei ed Elisa hanno preso a chiamarmi "Quattro Frecce", perché quando torno tardi (o non torno affatto) piace a loro immaginarmi addormentato nel mio abitacolo su una corsia di sicurezza, le quattro frecce di emergenza lampeggianti nel buio e nella pioggia.
Questo in realtà non è mai successo, ma è una bella metafora. Perché mi viene sempre sonno nella vita? Elle aurait voulu ne plus vivre, ou continuellement dormir… Oui, c'est moi, comme d'abitude,
La Nedda arriva verso le tre, reca due vasi di fiori che ha sottratto a chissà quale pensionata della Bassa: domani mattina sarà tutta colpa degli albanesi, in che mondo viviamo? Belle piante, se stavolta riusciremo a non farle morire. Mi spiega che la birra da noi costa troppo, ma in caraffa un po' meno, così ne ha prese solo due. Per me ha portato un enorme cartone con scritto "W.C.". Me lo lascia in camera ed è la prima cosa che vedrò aprendo gli occhi domattina.
Stanotte mi sono svegliato d'un tratto senza fiato. Nel sonno avevo smesso di respirare. Alcuni neonati muoiono così.
lunedì 21 maggio 2001
venerdì 18 maggio 2001
Il bello dell'Europa sono le piccole differenze (J. Travolta)
Il grande attore che ci siamo persi
Inutile buttarsi giù. Prendiamoci una vacanza. Facciamo finta che non siamo qui, che non siamo italiani. È più facile di quanto non possa sembrare. Per esempio, l'altro ieri ho stappato una birra e ho messo su France2.
C'era un talkshow. France2 trasmette da un universo parallelo, un po' più elegante, ma anche un po' più globalizzato, che si chiama: Francia.
Io è da anni che ci rifletto, ma non sono ancora riuscito a capire se la Francia è davanti o dietro a noi. Può sembrare una domanda oziosa, ma…prendi una cosa a caso… Berlusconi. È una pura "storia italiana", impresentabile e incomprensibile in Europa, o invece è il destino globale della politica, fagocitata dall'economia e dallo spettacolo? Forse l'Europa scaccerà Berlusconi. Forse invece nasceranno tanti piccoli Berlusconi in tutti i paesi, destinati a eguagliare e a superare la versione italiana, il che vorrebbe dire che l'Italia è all'avanguardia, come già fu all'avanguardia nell'inventare ed esportare, ehm, il fascismo. (Nel parlamento europeo del '94 Berlusconi era un reietto, nessun grande partito europeo voleva accoglierlo. Oggi è al vertice del PPE, il grande partito moderato…)
Ma io l'altra sera non volevo pensarci: guardavo France2; c'era un appassionante dibattito su Loft Story. Loft Story sarebbe poi Il Grande Fratello, se non c'infilano un gioco di parole i francesi non sono contenti. Per molti mesi gli opinionisti avevano ritenuto impossibile un'edizione francese del format, che avrebbe costituito una violazione dei Diritti dell'Uomo. Una ragazza francese mi aveva spiegato che era stato più o meno vietato per legge. Beh, si vede che no. E ora su France2 la polemica contro l'incivile trasmissione imperversa, anche perché Loft Story va in onda su un altro canale.
Un dibattito sul Grande Fratello! Che malinconia! Mi sentivo ringiovanito di nove mesi, un'eternità. E che tenerezza questi francesi che opponevano le loro misere opinioni d'intellettuali alla corazzata del format internazionale… Io, da questa parte dello schermo, lo sapevo già che la battaglia era persa. Ma in quell'universo parallelo, chissà…
(Fantasticavo anche su come potesse essere il Taricone francese… un po' più stiloso, ma ugualmente palestrato, e abbonato ai Cahiers du cinema… magari magrebino da parte di padre).
Già mi abbandonavo alle fantasticherie quando una frase del conduttore mi ha riportato alla realtà: "… e poi la maggioranza non è per forza una qualità. Ricordiamo che Hitler è andato al governo coi voti della maggioranza". Vecchio argomento antidemocratico, già sentito. Hitler… il Grande Fratello. Questa settimana un gruppo di studiosi ha provato che "la vita sessuale di Hitler era disastrosa". (Come avranno fatto?). Era anche un guardone. Il Grande Fratello… Hitler… Mussolini… Berlus… no, maledizione! Non voglio pensarci! Non sono qui! Sono in Francia!
Poi, all'improvviso, il dibattito su Loft story è cessato: i francesi sono passati a un altro argomento. Una giornalista si è messa a raccontare l'ultima su Bernard Tapie.
Bernard Tapie, non so se ne avete mai sentito parlare, è un personaggio veramente particolare. Per un poco è stato anche definito il Berlusconi francese. Per forza: un faccendiere che faceva politica e vinceva la Coppa Campioni (contro il Milan che protestava per un riflettore spento). Poi però le cose si sono complicate. Il nostro Berlusconi ha vinto le elezioni, quello parallelo è andato in galera, ha letto Il conte di Montecristo, è uscito e si è messo a fare l'attore. Prima ha recitato nella parte di Jack Nicholson in una versione teatrale del Nido del cuculo. Poi ci ha preso gusto e si è messo a fare film e fiction in tv. Insomma, sembra che sia bravo. Non ha mai studiato recitazione ma, si difende lui, quella la studia chi non ha sufficienti esperienze di vita. Mentre lui di esperienza ne ha, in lungo e in largo.
Io guardavo, sovrappensiero; sul tavolo giaceva ancora "Una Storia Italiana", ormai sgualcita, con le foto di B. cantante, urbanista, ammiraglio, salvatore della patria. Quanta vita. Quante esperienze. E di colpo ho capito che grande attore ci siamo persi, noi italiani. Perché non abbiamo voluto mandarlo in galera? Altro che Bernard Tapie, altro che Gassman. La "Storia italiana" l'avremmo vista a teatro, o in tv, avrebbe polverizzato Celentano e il Grande Fratello, ci avremmo fatto un dibattito e saremmo stati tutti contenti. Oppure al cinema, e la palma d'oro non gliel'avrebbe tolta nessuno (Moretti? Pouah!): una bella rivincita su Tapie, che lì gioca in casa.
E invece no. In Francia è tutto spettacolo, da noi tutta realtà. Ma è lo spettacolo che imita la realtà, o viceversa? Non si sa. È un grande format internazionale, come il Grande Fratello: in ogni Paese lo riadattano un po'. La versione francese è più chic. Quella italiana è un kolossal catastrofico. Quale delle due avrà più successo? Temo di saperlo.
Il grande attore che ci siamo persi
Inutile buttarsi giù. Prendiamoci una vacanza. Facciamo finta che non siamo qui, che non siamo italiani. È più facile di quanto non possa sembrare. Per esempio, l'altro ieri ho stappato una birra e ho messo su France2.
C'era un talkshow. France2 trasmette da un universo parallelo, un po' più elegante, ma anche un po' più globalizzato, che si chiama: Francia.
Io è da anni che ci rifletto, ma non sono ancora riuscito a capire se la Francia è davanti o dietro a noi. Può sembrare una domanda oziosa, ma…prendi una cosa a caso… Berlusconi. È una pura "storia italiana", impresentabile e incomprensibile in Europa, o invece è il destino globale della politica, fagocitata dall'economia e dallo spettacolo? Forse l'Europa scaccerà Berlusconi. Forse invece nasceranno tanti piccoli Berlusconi in tutti i paesi, destinati a eguagliare e a superare la versione italiana, il che vorrebbe dire che l'Italia è all'avanguardia, come già fu all'avanguardia nell'inventare ed esportare, ehm, il fascismo. (Nel parlamento europeo del '94 Berlusconi era un reietto, nessun grande partito europeo voleva accoglierlo. Oggi è al vertice del PPE, il grande partito moderato…)
Ma io l'altra sera non volevo pensarci: guardavo France2; c'era un appassionante dibattito su Loft Story. Loft Story sarebbe poi Il Grande Fratello, se non c'infilano un gioco di parole i francesi non sono contenti. Per molti mesi gli opinionisti avevano ritenuto impossibile un'edizione francese del format, che avrebbe costituito una violazione dei Diritti dell'Uomo. Una ragazza francese mi aveva spiegato che era stato più o meno vietato per legge. Beh, si vede che no. E ora su France2 la polemica contro l'incivile trasmissione imperversa, anche perché Loft Story va in onda su un altro canale.
Un dibattito sul Grande Fratello! Che malinconia! Mi sentivo ringiovanito di nove mesi, un'eternità. E che tenerezza questi francesi che opponevano le loro misere opinioni d'intellettuali alla corazzata del format internazionale… Io, da questa parte dello schermo, lo sapevo già che la battaglia era persa. Ma in quell'universo parallelo, chissà…
(Fantasticavo anche su come potesse essere il Taricone francese… un po' più stiloso, ma ugualmente palestrato, e abbonato ai Cahiers du cinema… magari magrebino da parte di padre).
Già mi abbandonavo alle fantasticherie quando una frase del conduttore mi ha riportato alla realtà: "… e poi la maggioranza non è per forza una qualità. Ricordiamo che Hitler è andato al governo coi voti della maggioranza". Vecchio argomento antidemocratico, già sentito. Hitler… il Grande Fratello. Questa settimana un gruppo di studiosi ha provato che "la vita sessuale di Hitler era disastrosa". (Come avranno fatto?). Era anche un guardone. Il Grande Fratello… Hitler… Mussolini… Berlus… no, maledizione! Non voglio pensarci! Non sono qui! Sono in Francia!
Poi, all'improvviso, il dibattito su Loft story è cessato: i francesi sono passati a un altro argomento. Una giornalista si è messa a raccontare l'ultima su Bernard Tapie.
Bernard Tapie, non so se ne avete mai sentito parlare, è un personaggio veramente particolare. Per un poco è stato anche definito il Berlusconi francese. Per forza: un faccendiere che faceva politica e vinceva la Coppa Campioni (contro il Milan che protestava per un riflettore spento). Poi però le cose si sono complicate. Il nostro Berlusconi ha vinto le elezioni, quello parallelo è andato in galera, ha letto Il conte di Montecristo, è uscito e si è messo a fare l'attore. Prima ha recitato nella parte di Jack Nicholson in una versione teatrale del Nido del cuculo. Poi ci ha preso gusto e si è messo a fare film e fiction in tv. Insomma, sembra che sia bravo. Non ha mai studiato recitazione ma, si difende lui, quella la studia chi non ha sufficienti esperienze di vita. Mentre lui di esperienza ne ha, in lungo e in largo.
Io guardavo, sovrappensiero; sul tavolo giaceva ancora "Una Storia Italiana", ormai sgualcita, con le foto di B. cantante, urbanista, ammiraglio, salvatore della patria. Quanta vita. Quante esperienze. E di colpo ho capito che grande attore ci siamo persi, noi italiani. Perché non abbiamo voluto mandarlo in galera? Altro che Bernard Tapie, altro che Gassman. La "Storia italiana" l'avremmo vista a teatro, o in tv, avrebbe polverizzato Celentano e il Grande Fratello, ci avremmo fatto un dibattito e saremmo stati tutti contenti. Oppure al cinema, e la palma d'oro non gliel'avrebbe tolta nessuno (Moretti? Pouah!): una bella rivincita su Tapie, che lì gioca in casa.
E invece no. In Francia è tutto spettacolo, da noi tutta realtà. Ma è lo spettacolo che imita la realtà, o viceversa? Non si sa. È un grande format internazionale, come il Grande Fratello: in ogni Paese lo riadattano un po'. La versione francese è più chic. Quella italiana è un kolossal catastrofico. Quale delle due avrà più successo? Temo di saperlo.
mercoledì 16 maggio 2001
Ma a volte, credetemi, bisogna avere il coraggio di essere banali. Sì, la sinistra perde perché non è banale. Oppure perché è troppo banale. Oppure perché è a metà tra questi due estremi, o anche a metà tra la metà e uno di qusti due estremi, ed è per questo che la sinistra perde. Se ci fosse il doppio turno... A proposito, figlioli, ai turni di tombola mi dicono che non vi si vede più, che storia è questa? Volete cambiare il mondo, e poi saltate i turni a tombola?
(Tratto da: 1994, Fuga da Modena
"Carte di Comunicazione", anno 1994)
"Ed è per questo che la sinistra perde"
A nessuno piace perdere, però uno ci si abitua. Sin da bambino. Se tutti tifano Juve, tu grida ad alta voce che tifi il Torino (la squadra più sventurata del mondo). Innamorati della ragazza più carina della città. Fatti comunista in una famiglia democristiana, e viceversa: poi, se al liceo sono tutti comunisti, fatti ben notare come cattolico praticante. E via così. Sarai sempre dalla parte sbagliata, con la gran consolazione che è sempre colpa tua. Dipende solo da te.
Te collocò la provvida
sventura tra gli oppressi…
Ma che provvida sventura, mi faccia il piacere. Mi ci sono collocato da solo, perché mi piace starci. Gli oppressi sotto sotto si sa che hanno ragione, e in più tutto un orizzonte di speranze che gli oppressori neanche si sognano.
Forse la fine dell'adolescenza (che prima finisce meglio è) è proprio questo: scoprire (1) che a fare gli oppressi ci si rimette davvero, e (2) che in realtà più di tanto non possiamo scegliere da che parte stiamo. Ed ecco qui. Quand'ero ragazzino trovavo insopportabile (ma in fondo divertente) l'egemonia democristiana. Leggevo Cuore e mi divertivo un mondo. Oggi forse sono grande perché ho capito che sotto Berlusconi ci sarà poco da divertirsi. Pagheremo caro, e pagheremo tutti. Pagherà soprattutto chi aveva in mente un'Italia diversa da quella di B. E c'è ben poco da fare, se non assistere, un poco sgomenti, allo smantellamento di ogni residuo di società civile. Sperando che non duri cinque anni. Però potrebbe durare anche di più.
Chiunque si professi "di sinistra" dovrebbe essere allenata a questa sensazione. Pensiamo al '94. (Oppure andiamo a riprenderci La giornata di uno scrutatore, ambientata da Calvino 40 anni prima: un'identica lucida disperazione).
Eccoci ora alle prese coll'eterna, rancorosa domanda: dove abbiamo sbagliato?
Mah, forse non abbiamo sbagliato niente. Abbiamo soltanto perso, perché gli altri erano più forti.
Prendo nota della domanda della Pizia:
E' forse la mia un'inerzia che un'intero 'gruppo' di persone condivide? posso definire questo gruppo come giovani (25-45) sinistrorsi di medio-alto livello culturale e appena benestanti? e per sinistrorsi COSA si intende? Qual'e' la nostra idea di societa'? di scuola? di famiglia? di lavoro? di cultura? quali diritti e quali doveri riconosciamo? quali le liberta' fondamentali? quanto e' importante il denaro, il successo, l'aggiornamento tecnologico e via dicendo?
Forse l'inerzia, mia, della sinistra, dei miei amici che ascolto, e' che sentiamo che qualcosa non funziona, ma non sappiamo bene cosa sia...
Cara Pizia, a me non piace ragionare per generazioni. Trovo che, benché in tutte le generazioni sia possibile trovare persone intelligenti, le generazioni prese in sé siano tutte stupide. E sentirmi apparentato con dei 40enni mi gela il sangue…
Comunque d'accordo, fingiamo un momento che quello dei "sinistrorsi di medio-alto livello culturale" sia un gruppo sociale omogeneo. Ammettiamo anche che esso si ritrovi con un sacco di idee confuse. Siamo sicuri che sia proprio per questo motivo "che la sinistra perde"?
Perché, forse che gli altri (i vincitori) hanno le idee chiare su quello che vogliono? Non credo.
Diciamoci la verità. Noi sinistrorsi, noi ex tifosi del Torino, sempre in minoranza in famiglia, in classe, ovunque, noi che odiavamo Craxi e odiamo Berlusconi (e a stento mandavamo giù anche D'Alema)… noi siamo sempre pronti a farci un esame di coscienza, un autocritica, e a dirci: È colpa nostra. È il nostro modo di consolarci. Siamo all'opposizione, sì, ma perché lo abbiamo scelto (strategia Bertinotti).
E invece no.
Noi non abbiamo nessuna responsabilità.
Noi non perdiamo perché abbiamo scelto di perdere. Perdiamo perché noi, sinistrorsi di medio-alto livello culturale, siamo pochi e non contiamo niente. Siamo un target ben definito, ma minoritario, irrisorio. Una nicchia di mercato.
E infatti Berlusconi non si è nemmeno dato la pena di conquistarci. Gli operai, gli imprenditori, le massaie, i pensionati si meritavano uno slogan. Ma noi no. Si dava per scontato per chi avremmo votato, e che comunque non avremmo fatto mucchio. (Anche a prescindere di chi per dispettoso si è astenuto, o ha scelto un qualche partitello esotico che garantisse meglio la sconfitta).
Personalmente sono stanco, stanco ancora prima di iniziare, dell'autocolpevolismo di quanti ora faranno gara a spiegarci "che la sinistra ha perso perché…". (E il Manifesto, Pizia, sarà sempre in prima fila in questo gioco). Abbiamo sbagliato a demonizzare Berlusconi? O non lo abbiamo demonizzato abbastanza? ecc.. La sinistra potrà anche aver sbagliato qualcosa. Anche noi potremo aver sbagliato qualcosa. Ma temo che sia inutile, ormai, cercare di darsi importanza in questo modo. Il fatto è che abbiamo proprio perso. E non è dipeso da noi. Mi dispiace.
martedì 15 maggio 2001
(Ieri Blogspot non funzionava.
Inoltre, la mia opel posteggiata in luogo insolito al risveglio si è trovata bersagliata da qualcosa come una quarantina di piccioni incontinenti.
Al lavoro mi è sanguinato il naso senza preavviso su camicia e jeans, rendendomi disgustoso ai miei colleghi per otto ore.
Ai jeans si è anche scucita la cerniera.
E poi che altro? Ah, sì, era lunedì, 14 maggio 2001)
La trasmissione tv più stupida dell'anno non è Domenica In, non è Sanremo. Com'era facile immaginare, anche stavolta vincono le maratone elettorali.
Lo spettacolo più inutile
Non è questione di rai o mediaset. Non sto a lamentarmi perché Ferrara ha fatto l'imbecille coi fogliettini o Mentana si è preso gioco di un rappresentante di lista calvo. Considerato che nessuno aveva niente da dire, c'è da rimproverarli? Tanto valeva portarsi le ballerine.
E invece no, ci tenevano tanto a darci gli exit poll. Gli exit poll!
(Non infierisco sul min. Bianco che in diretta ha parlato di "exit polls").
Da quanti anni sappiamo che gli exit poll non ci azzeccano mai? Fossi un esperto abacus, me li terrei per me, e poi direi al giornalista avido e impaziente i primi numeri che mi vengono in mente. Pur che siano diversi dai dati exit poll Avrei più probabilità di indovinare. E non è escluso che all'abacus si comportino così davvero. (E chi li paga?)
Per poi assistere a un paio d'ore di prevedibilissime schermaglie su chi ci crede e chi no. È chiaro che chi sta vincendo dirà "Ho vinto" e chi sta perdendo "Aspettiamo"…
E il contorno di giornalisti irritatissimi per il ritardo dei seggi. Volevano dare subito i risultati e nessuno li aveva. Da qualche parte si stava ancora votando, addirittura. Tutta colpa del ministro. E dagli al ministro che ha impedito ai giornalisti una bella diretta spettacolare. Quelli della rai erano i più carogna. Avevano già fiutato il vento. Che brutta gente.
Ma anche se le elezioni fossero terminate in orario. Anche se gli exit poll fossero attendibili. Anche se i giornalisti tv fossero professionali… Insomma, anche se le veglie elettorali tv fossero ben fatte, esse rimarrebbero pur sempre uno spettacolo stupido. Intrinsecamente stupido. Che senso ha farsi venire l'ansia per delle proiezioni statistiche quando tra ventiquattr'ore tutti sapremo i dati reali? Lo trovate emozionante? Spettacolare?
Ecco, probabilmente la risposta è questa. La veglia elettorale dovrebbe essere uno spettacolo, una sacra rappresentazione, un rito. La democrazia che si manifesta, prima dietro il velame di offuscate proiezioni, poi all'alba nella sua completezza. Sarà così. Ma in Italia resta uno spettacolo osceno. Sarà per il basso livello sia degli officianti, sia giornalisti che politici. Due classi di privilegiati che si legittimano a vicenda.
Ma il primato di oscenità resta ai politici della Casa (delle libertà). Giubilare per i risultati è comprensibile (si trattava solo di exit poll, ma passi). Stizzirsi perché i dati non si conciliano con quelli dei loro sondaggi privati è già sintomo di arrogante ottusità. Se le proiezioni avessero continuato a smentirli, avrebbero cominciato a gridare al broglio, complice il caos dei seggi. Stavano già minacciando di farlo.
Io lo sapevo che dovevo andare a letto presto. È stato Riccardo a rovinarmi. "Dai, ci diamo solo un'occhiata. Sono curioso per Democrazia Europea…"
Democrazia europea… pffff.
Inoltre, la mia opel posteggiata in luogo insolito al risveglio si è trovata bersagliata da qualcosa come una quarantina di piccioni incontinenti.
Al lavoro mi è sanguinato il naso senza preavviso su camicia e jeans, rendendomi disgustoso ai miei colleghi per otto ore.
Ai jeans si è anche scucita la cerniera.
E poi che altro? Ah, sì, era lunedì, 14 maggio 2001)
La trasmissione tv più stupida dell'anno non è Domenica In, non è Sanremo. Com'era facile immaginare, anche stavolta vincono le maratone elettorali.
Lo spettacolo più inutile
Non è questione di rai o mediaset. Non sto a lamentarmi perché Ferrara ha fatto l'imbecille coi fogliettini o Mentana si è preso gioco di un rappresentante di lista calvo. Considerato che nessuno aveva niente da dire, c'è da rimproverarli? Tanto valeva portarsi le ballerine.
E invece no, ci tenevano tanto a darci gli exit poll. Gli exit poll!
(Non infierisco sul min. Bianco che in diretta ha parlato di "exit polls").
Da quanti anni sappiamo che gli exit poll non ci azzeccano mai? Fossi un esperto abacus, me li terrei per me, e poi direi al giornalista avido e impaziente i primi numeri che mi vengono in mente. Pur che siano diversi dai dati exit poll Avrei più probabilità di indovinare. E non è escluso che all'abacus si comportino così davvero. (E chi li paga?)
Per poi assistere a un paio d'ore di prevedibilissime schermaglie su chi ci crede e chi no. È chiaro che chi sta vincendo dirà "Ho vinto" e chi sta perdendo "Aspettiamo"…
E il contorno di giornalisti irritatissimi per il ritardo dei seggi. Volevano dare subito i risultati e nessuno li aveva. Da qualche parte si stava ancora votando, addirittura. Tutta colpa del ministro. E dagli al ministro che ha impedito ai giornalisti una bella diretta spettacolare. Quelli della rai erano i più carogna. Avevano già fiutato il vento. Che brutta gente.
Ma anche se le elezioni fossero terminate in orario. Anche se gli exit poll fossero attendibili. Anche se i giornalisti tv fossero professionali… Insomma, anche se le veglie elettorali tv fossero ben fatte, esse rimarrebbero pur sempre uno spettacolo stupido. Intrinsecamente stupido. Che senso ha farsi venire l'ansia per delle proiezioni statistiche quando tra ventiquattr'ore tutti sapremo i dati reali? Lo trovate emozionante? Spettacolare?
Ecco, probabilmente la risposta è questa. La veglia elettorale dovrebbe essere uno spettacolo, una sacra rappresentazione, un rito. La democrazia che si manifesta, prima dietro il velame di offuscate proiezioni, poi all'alba nella sua completezza. Sarà così. Ma in Italia resta uno spettacolo osceno. Sarà per il basso livello sia degli officianti, sia giornalisti che politici. Due classi di privilegiati che si legittimano a vicenda.
Ma il primato di oscenità resta ai politici della Casa (delle libertà). Giubilare per i risultati è comprensibile (si trattava solo di exit poll, ma passi). Stizzirsi perché i dati non si conciliano con quelli dei loro sondaggi privati è già sintomo di arrogante ottusità. Se le proiezioni avessero continuato a smentirli, avrebbero cominciato a gridare al broglio, complice il caos dei seggi. Stavano già minacciando di farlo.
Io lo sapevo che dovevo andare a letto presto. È stato Riccardo a rovinarmi. "Dai, ci diamo solo un'occhiata. Sono curioso per Democrazia Europea…"
Democrazia europea… pffff.
giovedì 10 maggio 2001
Anch'io ci provo con l'appello
Caro astensionista di sinistra,
pare che sarai proprio tu a mandare Berlusconi al governo stavolta…
No, aspetta, ho sbagliato approccio. È la sinistra governativa, anzi, questo ipocrita "centrosinistra", che deludendo i suoi sostenitori ha la responsabilità di aver consegnato l'Italia alle destre. Con i suoi proiettili all'uranio e la sua parità scolastica, le sue riforme lente e mal congegnate e questa sacra religione dell'Euro, che finora non ha cambiato la vita di nessuno. Va bene, va bene, va bene, va bene.
Perché discutere? Hai ragione tu.
Tu che non cedi ai ricatti, o con l'ulivo o con le destre. Giustamente. Sono i deboli che cedono ai ricatti.
Tu invece sei forte.
E beato te.
Caro astensionista:
Probabilmente tu sei molto più informato di me. Probabilmente la tua scelta è più coerente della mia. Ma che dico, "probabilmente"? Sicuramente. Tu non sei viziato dal pregiudizio che mi porta ad accettare qualsiasi schieramento abbia la possibilità di battere Berlusconi. Dal tuo punto di vista tra questo centrosinistra e questo centrodestra non c'è poi tanta differenza. E altri cinque anni di mediocre centrosinistra non sono poi così preferibili a cinque anni di Berlusconi, che distruggerebbero forse ogni residuato di società civile, ma potrebbero anche creare le premesse per una definitiva riscossa della sinistra.
Un rischio grosso. Bisogna avere un grande coraggio per affrontarlo. Questo coraggio tu ce l'hai, io no.
Caro astensionista, io mi rivolgo a te. Tu che sei coraggioso, che non cedi ai ricatti, che non rinneghi i tuoi ideali. Ti auguro di rimanere così per sempre. Ti chiedo, però, anzi ti supplico, di venir meno alle tue ferme convinzioni per un giorno solo, in tutta la tua vita. Domenica. Vota Ulivo. Ti prego.
Poi non ti seccherò più. Hai tutta la vita per protestare contro questa mediocre politica, questi rissosi schieramenti, queste riforme malfatte, l'ipocrisia delle guerre umanitarie, delle politiche della sicurezza, del federalismo. Io accetterò ogni tua critica, perché so che in fondo tu hai ragione e io ho torto, io che sostengo il centrosinistra malgrado tutto. L'avrai sempre vinta con me, te lo garantisco. Ma tu fammi questo piccolo favore. Tre crocette su tre schede, e ti sarò riconoscente per tutta la vita.
Non cerco di convincerti. Cerco di commuoverti. Vedi, se tu sei forte, io sono debole, e ho paura. Ho paura di cosa può fare Berlusconi, indisturbato, in cinque anni. Ho paura di come potrà conciare la scuola (non soltanto pubblica), l'assistenza sanitaria, la giustizia, in breve l'intera società. Ho paura di svegliarmi, tra breve, in un Paese dove sarò cittadino di serie B, condannato a usufruire di servizi statali o parastatali di serie B e a inquadrarmi nel target che una qualche tv commerciale avrà stabilito per me. (Non è fantascienza, ma è più o meno l'Inghilterra).
So che tutto questo non ti preoccupa più di tanto, ma ripeto, tu hai risorse morali che io non ho. Che milioni d'italiani non hanno. Pensa un poco anche a noi.
Certo, la cosa ti ripugna. Ma non lo devi dire a nessuno. Sarà il nostro piccolo segreto. E dopo domenica, non dovrai pensarci più.
I tuoi ideali non s'infrangeranno per così poco. Non se ne accorgeranno nemmeno. Gli ideali sono immutabili.
Per gli indecisi: un raffronto dei programmi elettorali sul portale di Vita.
Caro astensionista di sinistra,
pare che sarai proprio tu a mandare Berlusconi al governo stavolta…
No, aspetta, ho sbagliato approccio. È la sinistra governativa, anzi, questo ipocrita "centrosinistra", che deludendo i suoi sostenitori ha la responsabilità di aver consegnato l'Italia alle destre. Con i suoi proiettili all'uranio e la sua parità scolastica, le sue riforme lente e mal congegnate e questa sacra religione dell'Euro, che finora non ha cambiato la vita di nessuno. Va bene, va bene, va bene, va bene.
Perché discutere? Hai ragione tu.
Tu che non cedi ai ricatti, o con l'ulivo o con le destre. Giustamente. Sono i deboli che cedono ai ricatti.
Tu invece sei forte.
E beato te.
Caro astensionista:
Probabilmente tu sei molto più informato di me. Probabilmente la tua scelta è più coerente della mia. Ma che dico, "probabilmente"? Sicuramente. Tu non sei viziato dal pregiudizio che mi porta ad accettare qualsiasi schieramento abbia la possibilità di battere Berlusconi. Dal tuo punto di vista tra questo centrosinistra e questo centrodestra non c'è poi tanta differenza. E altri cinque anni di mediocre centrosinistra non sono poi così preferibili a cinque anni di Berlusconi, che distruggerebbero forse ogni residuato di società civile, ma potrebbero anche creare le premesse per una definitiva riscossa della sinistra.
Un rischio grosso. Bisogna avere un grande coraggio per affrontarlo. Questo coraggio tu ce l'hai, io no.
Caro astensionista, io mi rivolgo a te. Tu che sei coraggioso, che non cedi ai ricatti, che non rinneghi i tuoi ideali. Ti auguro di rimanere così per sempre. Ti chiedo, però, anzi ti supplico, di venir meno alle tue ferme convinzioni per un giorno solo, in tutta la tua vita. Domenica. Vota Ulivo. Ti prego.
Poi non ti seccherò più. Hai tutta la vita per protestare contro questa mediocre politica, questi rissosi schieramenti, queste riforme malfatte, l'ipocrisia delle guerre umanitarie, delle politiche della sicurezza, del federalismo. Io accetterò ogni tua critica, perché so che in fondo tu hai ragione e io ho torto, io che sostengo il centrosinistra malgrado tutto. L'avrai sempre vinta con me, te lo garantisco. Ma tu fammi questo piccolo favore. Tre crocette su tre schede, e ti sarò riconoscente per tutta la vita.
Non cerco di convincerti. Cerco di commuoverti. Vedi, se tu sei forte, io sono debole, e ho paura. Ho paura di cosa può fare Berlusconi, indisturbato, in cinque anni. Ho paura di come potrà conciare la scuola (non soltanto pubblica), l'assistenza sanitaria, la giustizia, in breve l'intera società. Ho paura di svegliarmi, tra breve, in un Paese dove sarò cittadino di serie B, condannato a usufruire di servizi statali o parastatali di serie B e a inquadrarmi nel target che una qualche tv commerciale avrà stabilito per me. (Non è fantascienza, ma è più o meno l'Inghilterra).
So che tutto questo non ti preoccupa più di tanto, ma ripeto, tu hai risorse morali che io non ho. Che milioni d'italiani non hanno. Pensa un poco anche a noi.
Certo, la cosa ti ripugna. Ma non lo devi dire a nessuno. Sarà il nostro piccolo segreto. E dopo domenica, non dovrai pensarci più.
I tuoi ideali non s'infrangeranno per così poco. Non se ne accorgeranno nemmeno. Gli ideali sono immutabili.
Per gli indecisi: un raffronto dei programmi elettorali sul portale di Vita.
mercoledì 9 maggio 2001
12 e non più di 12
Partiamo da un presupposto: sapere quante stelle ci sono nella nostra bandiera non è così importante. Si evita una brutta figura (soprattutto quando si fa il giornalista) e questo è tutto.
Sapere poi perché ci sono dodici stelle in luogo di quindici, è ancor meno importante, una mera curiosità. Forse qualcuno sa perché la bandiera italiana è composta di tre bande verticali di uguale larghezza, di colore verde, bianco e rosso?
(A scuola elementare m'insegnavano ancora: "il verde delle nostre campagne, il bianco delle nostre montagne, il rosso del sangue dei combattenti…" ahi! Come se il sangue degli altri combattenti non avesse il medesimo colore… e il blu dei nostri mari? E l'azzurro dei nostri calciatori?)
Qualsiasi speculazione sulla figuratività delle bandiere rappresenta un pericolo. Consiglio una visita al sito di Ausflag, una ONG che ha organizzato vari concorsi per trovare una nuova bandiera australiana (È vero che la vecchia è un po' bruttina). I candidati sono costretti a districarsi in una ridda di raffigurazioni e identità. Chi ci mette il boomerang e chi ci mette il canguro. Ma ci vuole la stella a sette punte (simbolo della federazione) e ci vuole la Croce del Sud. Poi ci vuole un richiamo all'identità aborigena e un richiamo all'Union Jack. Un'arlecchinata…
La storia più triste è quella della Croce Rossa Internazionale. Costretta a diventare, in Medio Oriente, Mezzaluna Rossa, perché quel simbolo veniva e viene interpretato tuttora come una provocazione.
Molto meglio inventarsi bandiere che non raffigurano nessun significato, come il nostro tricolore. Un significato lo trovano poi gli uomini, decidendo o meno di lottare per loro.
Ma se una bandiera deve per forza rappresentare un concetto, che sia il concetto più pacifico e astratto possibile… ed è per questo che…
…Sullo sfondo blu del cielo, una corona di dodici stelle dorate rappresenta l'unione dei popoli europei. Il numero delle stelle, invariabile, è simbolo di perfezione e unità.
Fin qui la spiegazione ufficiale, desunta da http://europa.eu.int/abc/symbols/emblem/index_it.htm. Che non convince nessuno. Alcuni (come Wile e. coyote, che saluto e ringrazio) suggeriscono un motivo storico: al momento dell'adozione della bandiera (1986), gli Stati erano 12. Questo è vero: ma la bandiera non fu inventata in quell'occasione, bensì mutuata dal Consiglio d'Europa, che nel 1986 vantava già molti più aderenti. E allora: perché dodici?
Ecco una mediocre, ma plausibile ipotesi: la nostra bandiera ha dodici stelle perché il 13 porta sfiga!
Facciamo un passo indietro. Il Consiglio d'Europa, nato al Congresso dell'Aja del 1949, non ha probabilmente mai avuto dodici membri. A dire il vero sull'argomento lo stesso portale del Consiglio è stranamente evasivo. Lo stesso ricorda che
On 25 October 1955 the Parliamentary Assembly made the unanimous decision to adopt a circle of gold stars on a blue background as an emblem
"Un cerchio di stelle dorate", senza specificare quante… perché tanta reticenza?
L'ipotesi che segue è riportata da un sito americano (http://www.fotw.net/flags/faq3.html), che cita a sua volta il pamphlet di un non meglio specificato "British pro-European group". Pare dunque che nel 1953 il Consiglio d'Europa contasse 15 membri, tra cui il Saarland, piccolo Land tedesco a sud del Lussemburgo, che per motivi che non sono stato in grado di chiarire era ammesso tra le altre nazioni con pari dignità.
Le stelle del primo bozzetto erano (curiosa coincidenza) proprio quindici.
Sennonché i rappresentanti della Repubblica Federale Tedesca chiesero che fosse ritirata la quindicesima stella, che avrebbe potuto rappresentare una qualche aspirazione del Saarland all'indipendenza.
I francesi, a loro volta, protestarono contro l'idea di un vessillo a 14 stelle, perché vi vedevano un'esplicita ammissione della sovranità tedesco-occidentale sul Saarland. (Questo rigurgito revanscista dei francesi mi ha sorpreso, ma non più di tanto…)
Quindi: 15 no, 14 nemmeno, restavano 13 stelle. Ma, cito testualmente il Flags Of The World FAQ: The Council rejected 13 stars for reasons of superstition, and eventually settled on twelve.
Reasons of superstition!
Un po' ironico, l'americano, ma ne ha ben donde. Da due secoli la sua bandiera sfoggia tredici strisce, senza che nessuno abbia a lamentarsi del numero malaugurante. In Europa invece l'irrazionale detta ancora legge.
Ne fa prova una diceria secondo la quale la corona delle dodici stelle sarebbe un arcano riferimento alla Madonna di Lourdes. Mi sembra di averla trovata in un qualche sito vessillografico, che purtroppo non riesco più a rintracciare… da lì partiva tutta una teoria dell'Unione Europea come frutto di un complotto cattolico contro i Paesi protestanti… potrei anche essermi sognato tutto, ma non credo.
Certo, la coincidenza è curiosa. Perché la Madonna è incoronata con 12 stelle? Il rosario non c'entra, lì le stelle sono 50 (cinque gruppi di 10).
Un altro riferimento subliminale, molto europeo, è ai dodici mesi stellari dello zodiaco.
Insomma, per quanto astratto, scarsamente referenziale, e, diciamolo, piuttosto banale, il drappo europeo risulta suo malgrado evocativo. Fin troppo. Le dodici ore, i dodici mesi, i dodici segni, la Madonna, gli apostoli…
A questo punto, volendo chiudere con un po' di amor di patria, potrei uscirmene così: "Non è alle tracce dei vecchi significati che dobbiamo guardare, ma al significato che sapremo dare alla nostra bandiera in futuro" (e cioè: libertà, giustizia, fraternità, ecc.).
Rimane qualche perplessità sul modo in cui i nostri rappresentanti scelsero la bandiera del futuro. Quasi di nascosto, volendo accomodare tutti e nessuno con un compromesso qualsiasi, e con qualche timore superstizioso per giunta.
Cinquant'anni dopo la bandiera è dappertutto, e nessuno ci fa caso. È davvero il simbolo dell'Unione Europea.
Partiamo da un presupposto: sapere quante stelle ci sono nella nostra bandiera non è così importante. Si evita una brutta figura (soprattutto quando si fa il giornalista) e questo è tutto.
Sapere poi perché ci sono dodici stelle in luogo di quindici, è ancor meno importante, una mera curiosità. Forse qualcuno sa perché la bandiera italiana è composta di tre bande verticali di uguale larghezza, di colore verde, bianco e rosso?
(A scuola elementare m'insegnavano ancora: "il verde delle nostre campagne, il bianco delle nostre montagne, il rosso del sangue dei combattenti…" ahi! Come se il sangue degli altri combattenti non avesse il medesimo colore… e il blu dei nostri mari? E l'azzurro dei nostri calciatori?)
Qualsiasi speculazione sulla figuratività delle bandiere rappresenta un pericolo. Consiglio una visita al sito di Ausflag, una ONG che ha organizzato vari concorsi per trovare una nuova bandiera australiana (È vero che la vecchia è un po' bruttina). I candidati sono costretti a districarsi in una ridda di raffigurazioni e identità. Chi ci mette il boomerang e chi ci mette il canguro. Ma ci vuole la stella a sette punte (simbolo della federazione) e ci vuole la Croce del Sud. Poi ci vuole un richiamo all'identità aborigena e un richiamo all'Union Jack. Un'arlecchinata…
La storia più triste è quella della Croce Rossa Internazionale. Costretta a diventare, in Medio Oriente, Mezzaluna Rossa, perché quel simbolo veniva e viene interpretato tuttora come una provocazione.
Molto meglio inventarsi bandiere che non raffigurano nessun significato, come il nostro tricolore. Un significato lo trovano poi gli uomini, decidendo o meno di lottare per loro.
Ma se una bandiera deve per forza rappresentare un concetto, che sia il concetto più pacifico e astratto possibile… ed è per questo che…
…Sullo sfondo blu del cielo, una corona di dodici stelle dorate rappresenta l'unione dei popoli europei. Il numero delle stelle, invariabile, è simbolo di perfezione e unità.
Fin qui la spiegazione ufficiale, desunta da http://europa.eu.int/abc/symbols/emblem/index_it.htm. Che non convince nessuno. Alcuni (come Wile e. coyote, che saluto e ringrazio) suggeriscono un motivo storico: al momento dell'adozione della bandiera (1986), gli Stati erano 12. Questo è vero: ma la bandiera non fu inventata in quell'occasione, bensì mutuata dal Consiglio d'Europa, che nel 1986 vantava già molti più aderenti. E allora: perché dodici?
Ecco una mediocre, ma plausibile ipotesi: la nostra bandiera ha dodici stelle perché il 13 porta sfiga!
Facciamo un passo indietro. Il Consiglio d'Europa, nato al Congresso dell'Aja del 1949, non ha probabilmente mai avuto dodici membri. A dire il vero sull'argomento lo stesso portale del Consiglio è stranamente evasivo. Lo stesso ricorda che
On 25 October 1955 the Parliamentary Assembly made the unanimous decision to adopt a circle of gold stars on a blue background as an emblem
"Un cerchio di stelle dorate", senza specificare quante… perché tanta reticenza?
L'ipotesi che segue è riportata da un sito americano (http://www.fotw.net/flags/faq3.html), che cita a sua volta il pamphlet di un non meglio specificato "British pro-European group". Pare dunque che nel 1953 il Consiglio d'Europa contasse 15 membri, tra cui il Saarland, piccolo Land tedesco a sud del Lussemburgo, che per motivi che non sono stato in grado di chiarire era ammesso tra le altre nazioni con pari dignità.
Le stelle del primo bozzetto erano (curiosa coincidenza) proprio quindici.
Sennonché i rappresentanti della Repubblica Federale Tedesca chiesero che fosse ritirata la quindicesima stella, che avrebbe potuto rappresentare una qualche aspirazione del Saarland all'indipendenza.
I francesi, a loro volta, protestarono contro l'idea di un vessillo a 14 stelle, perché vi vedevano un'esplicita ammissione della sovranità tedesco-occidentale sul Saarland. (Questo rigurgito revanscista dei francesi mi ha sorpreso, ma non più di tanto…)
Quindi: 15 no, 14 nemmeno, restavano 13 stelle. Ma, cito testualmente il Flags Of The World FAQ: The Council rejected 13 stars for reasons of superstition, and eventually settled on twelve.
Reasons of superstition!
Un po' ironico, l'americano, ma ne ha ben donde. Da due secoli la sua bandiera sfoggia tredici strisce, senza che nessuno abbia a lamentarsi del numero malaugurante. In Europa invece l'irrazionale detta ancora legge.
Ne fa prova una diceria secondo la quale la corona delle dodici stelle sarebbe un arcano riferimento alla Madonna di Lourdes. Mi sembra di averla trovata in un qualche sito vessillografico, che purtroppo non riesco più a rintracciare… da lì partiva tutta una teoria dell'Unione Europea come frutto di un complotto cattolico contro i Paesi protestanti… potrei anche essermi sognato tutto, ma non credo.
Certo, la coincidenza è curiosa. Perché la Madonna è incoronata con 12 stelle? Il rosario non c'entra, lì le stelle sono 50 (cinque gruppi di 10).
Un altro riferimento subliminale, molto europeo, è ai dodici mesi stellari dello zodiaco.
Insomma, per quanto astratto, scarsamente referenziale, e, diciamolo, piuttosto banale, il drappo europeo risulta suo malgrado evocativo. Fin troppo. Le dodici ore, i dodici mesi, i dodici segni, la Madonna, gli apostoli…
A questo punto, volendo chiudere con un po' di amor di patria, potrei uscirmene così: "Non è alle tracce dei vecchi significati che dobbiamo guardare, ma al significato che sapremo dare alla nostra bandiera in futuro" (e cioè: libertà, giustizia, fraternità, ecc.).
Rimane qualche perplessità sul modo in cui i nostri rappresentanti scelsero la bandiera del futuro. Quasi di nascosto, volendo accomodare tutti e nessuno con un compromesso qualsiasi, e con qualche timore superstizioso per giunta.
Cinquant'anni dopo la bandiera è dappertutto, e nessuno ci fa caso. È davvero il simbolo dell'Unione Europea.
martedì 8 maggio 2001
Se i laburisti non credono di guadagnare voti sventolando la bandiera con le quindici stelle, completamente opposte le aspettative del centro-sinistra italiano a una settimana dalla prova elettorale del 13 maggio.
(Europrogetti e tante parole, GUIDO AMBROSINO - BERLINO, Il Manifesto di oggi)
Quante stelle vedi?
È noto che ho una fissazione per le piccole questioni di cultura generale. Se fossi intelligente potrei andare da Gerry Scotti e cercare di portare a casa il miliardo, ma siccome sono anche un giornalista frustrato me ne resto qui a bacchettare i giornalisti veri o presunti. Prima o poi un errore, magari madornale, riesce a tutti, e lì arrivo io. O che gran soddisfazione.
Sig. Ambrosino, quante stelle ci sono sulla bandiera europea? Lo so che è una curiosità, si figuri, non muore mica nessuno se lei di sfuggita ne conta tre in più.
Lasciamo stare che questa bandiera, in senso lato, è anche la sua bandiera… magari lei è un euroscettico, oppure, come molti a sinistra, tende a non sopravvalutare l'importanza delle bandiere, degli emblemi e tutta questa paccottiglia simbolica. E giustamente. Le bandiere vanno prese con calma. Guai a chi le fissa con troppa convinzione. Poi si comincia a pretendere di voler morire per una bandiera, magari fasciati nella bandiera. Per carità.
Rimane preoccupante questa disattenzione, da parte di un giornalista, s'intende, non di un uomo di strada. In teoria la bandiera europea dovrebbe sventolare accanto a quella nazionale in tutte le occasioni ufficiali, in Italia come in Germania e negli altri 13 Paesi. E anche ipotizzando qualche distrazione da parte delle istituzioni (com'è il caso dell'Accademia militare di Modena - ma loro bisogna capirli, hanno un secolo di ritardo su tutto), tuttavia è da un bel po' che si vede in giro, questo benedetto drappo azzurro, no?
È il dramma consueto delle istituzioni europee. Nessuno ci fa caso. Comincio a essere veramente preoccupato per quello che succederà al passaggio dell'Euro. Si sente già parlare di crisi di panico ai licei, in seguito alla nuova taratura delle macchinette del caffè. In teoria i liceali dovrebbero essere bombardati di messaggi sulla nuova valuta. Niente da fare. Continuo a imbattermi in gente (ad alto tasso di scolarità) convintissima che le stelle siano quindici. Fanno anche i saputoni: "I Paesi sono quindici, no?" E allora? Dovremmo continuare ad aggiungere stelline fino a esaurimento stoffa? Le stelle non rappresentano le nazioni. Quello succede nella bandiera USA.
Rimane la comprensibile domanda: Perché proprio dodici?
Risposta non facile. Mi documenterò. Ripassate domani.
Il link più autorevole sull'argomento.
(Europrogetti e tante parole, GUIDO AMBROSINO - BERLINO, Il Manifesto di oggi)
Quante stelle vedi?
È noto che ho una fissazione per le piccole questioni di cultura generale. Se fossi intelligente potrei andare da Gerry Scotti e cercare di portare a casa il miliardo, ma siccome sono anche un giornalista frustrato me ne resto qui a bacchettare i giornalisti veri o presunti. Prima o poi un errore, magari madornale, riesce a tutti, e lì arrivo io. O che gran soddisfazione.
Sig. Ambrosino, quante stelle ci sono sulla bandiera europea? Lo so che è una curiosità, si figuri, non muore mica nessuno se lei di sfuggita ne conta tre in più.
Lasciamo stare che questa bandiera, in senso lato, è anche la sua bandiera… magari lei è un euroscettico, oppure, come molti a sinistra, tende a non sopravvalutare l'importanza delle bandiere, degli emblemi e tutta questa paccottiglia simbolica. E giustamente. Le bandiere vanno prese con calma. Guai a chi le fissa con troppa convinzione. Poi si comincia a pretendere di voler morire per una bandiera, magari fasciati nella bandiera. Per carità.
Rimane preoccupante questa disattenzione, da parte di un giornalista, s'intende, non di un uomo di strada. In teoria la bandiera europea dovrebbe sventolare accanto a quella nazionale in tutte le occasioni ufficiali, in Italia come in Germania e negli altri 13 Paesi. E anche ipotizzando qualche distrazione da parte delle istituzioni (com'è il caso dell'Accademia militare di Modena - ma loro bisogna capirli, hanno un secolo di ritardo su tutto), tuttavia è da un bel po' che si vede in giro, questo benedetto drappo azzurro, no?
È il dramma consueto delle istituzioni europee. Nessuno ci fa caso. Comincio a essere veramente preoccupato per quello che succederà al passaggio dell'Euro. Si sente già parlare di crisi di panico ai licei, in seguito alla nuova taratura delle macchinette del caffè. In teoria i liceali dovrebbero essere bombardati di messaggi sulla nuova valuta. Niente da fare. Continuo a imbattermi in gente (ad alto tasso di scolarità) convintissima che le stelle siano quindici. Fanno anche i saputoni: "I Paesi sono quindici, no?" E allora? Dovremmo continuare ad aggiungere stelline fino a esaurimento stoffa? Le stelle non rappresentano le nazioni. Quello succede nella bandiera USA.
Rimane la comprensibile domanda: Perché proprio dodici?
Risposta non facile. Mi documenterò. Ripassate domani.
Il link più autorevole sull'argomento.
lunedì 7 maggio 2001
Complimenti
Ho ritirato fuori la faccina (oscurata dopo l'approvazione dell'odiosa legge sull'editoria) non tanto perché ormai rassicurato dal sottosegretario Chiti, quanto per via di un fatto curioso.
Ho ricevuto dei complimenti.
Va be', fin qui nulla di strano, ne ricevo ogni giorno, per ogni cosa che faccio… ma stavolta è diverso.
Ho ricevuto complimenti da degli sconosciuti. Anche da una ragazza (il che spiega abbondantemente il ritorno del faccino). Tra domenica e lunedì, non so esattamente perché, il mio sito è stato visitato e segnalato da almeno due siti che non conoscevo: la Pizia e Blogico. Che, detto fra noi, si dimostrano due bloggeristi ben altrimenti capaci e mi fanno fare una ben magra figura. Confrontare i nostri siti per cogliere in pochi istanti la differenza tra un buon webmaster e un umile cliccatore come me. Eppure, sono loro che fanno i complimenti… adesso, per completezza, dovrei citarli, ma… non oso… che imbarazzo… e va bene.
Fa piacere trovare persone cosi'...leggere, colte, appassionate, ironiche. (La Pizia)
Leonardo's Blog! Decisamente fantastico! Obbligatoria la lettura per tutti gli uomini di buona volontà, non ve ne pentirete. (Blogico)
Che dire? Un bel modo d'iniziare la settimana.
Ora però il gioco comincia a farsi duro. Dovrei veramente imparare un po' di html serio, cominciare a mettere qualche frame, qualche bottone, qualcosa insomma che sia all'altezza della mia fama. S'impone un restyling…
Era così facile, un tempo, scrivere soli, per l'anima del… per la gloria. I primi amici messi al corrente del segreto non davano molto fastidio. Alcuni, per loro ammissione, guardavano solo le figure (e ho iniziato a metterne). Oppure davano un'occhiata e dopo un mese chiedevano: hai aggiornato? Sì, una ventina di volte.
Bei tempi. Ma stanno finendo. Non so spiegare questa strana sensazione di… mi sento visitare sempre più spesso. E comincio ad avere delle opinioni coatte. Nel senso che appena succede qualcosa, sento l'istintivo bisogno di avere una mia opinione e comunicarla.
Metterò su pancia, mi cadranno i capelli, e (la poltrona ormai saldata alle chiappe) diverrò un Ferrara o un Mughini qualunque.
Ma grazie, grazie per le buone parole. Non so chi siate, ma ho sempre apprezzato i complimenti degli sconosciuti.
venerdì 4 maggio 2001
Italo Calvino was one of Italy's greatest and most powerful writers. His superb storytelling earned him worldwide renown.
Italy's greatest and most powerful writer
Adesso che è a Parigi a farsi la bella vita (e quando il sole al tramonto proietta i suoi riflessi vermigli nel Bois secondo voi lui ci pensa, ai vialetti e ai marciapiedi di Casinalbo?), Pier ha deciso che continuerà a lavorare sull'"italianissimo Calvino". Scrive proprio così, e sembra di leggere fra le righe: era meglio se restavo lì da voi, tra San Carlo e San Filippo.
Io, è scontato, non sono d'accordo. Calvino è uno degli autori italiani meno italiani che ci sono. Potrei fare degli esempi, ma poi perché? Mengaldo, credo, diceva: per Calvino la questione della lingua non esiste. Punto e basta. Questo spiega rapidamente molte cose. Le ragioni dello snobismo di una certa (giovane) critica italiana. Quelli per intenderci che mmmsì, ma è freddo e distante, una lingua artificiale, er pasolini è molto meglio. (Anche questo parallelismo, che due italianissime palle...)
Un rapido sguardo su internet ce lo conferma: Su Calvino è possibile trovare pagine molto interessanti, a patto di non volerle scegliere tra le italiane.
Sarà perché su internet ci trovi anche ingegneri e archtetti, e non soltanto intellettuali gemebondi (quelli così tipicamente italiani, che in gioventù sono stati rinchiusi in un liceo classico e adesso vogliono farla pagare a tutti). E infatti l'opera più celebrata sembra essere The invisible cities. In Italia si ha pudore a parlarne. Oltre confine ispira sinfonie e saggi sul design.
Prova decisiva della popolarità intern(et)azionale di Calvino sono i testi apocrifi. Sì, è possibile trovare on line testi che sembrono suoi e non lo sono (almeno un paio di città invisibili). È o non è un classico? E allora meglio studiarlo a Parigi, Pier, sta lì e non muoverti, al massimo saliamo noi.
Qualche link (senza averci perso più d'una mezzoretta):
In Calvino veritas.A patto di perdonare grafica e il calembour del titolo, è un sito interessante, con qualche contributo critico (in inglese).
L'ironique amusé (qualche testo in francese, tra cui un esercizio oulipiano sul teororema di euclide).
Professor Frank Pajares' Italo Calvino page (testi, critica e link in inglese)
In italiano tutta una teoria ternaria su Palomar (improvvisamente mi è venuto in mente Peirce… eco di un esame lontano)
Baricco ce l'ha una net community? La Tamaro ce l'ha? Calvino sì! To' mo'.
The Path to the Nest of Translation by Giulia Guarnieri. Sembra una tesina (in inglese) sulla polemica linguistica Pasolini-Calvino.
Italy's greatest and most powerful writer
Adesso che è a Parigi a farsi la bella vita (e quando il sole al tramonto proietta i suoi riflessi vermigli nel Bois secondo voi lui ci pensa, ai vialetti e ai marciapiedi di Casinalbo?), Pier ha deciso che continuerà a lavorare sull'"italianissimo Calvino". Scrive proprio così, e sembra di leggere fra le righe: era meglio se restavo lì da voi, tra San Carlo e San Filippo.
Io, è scontato, non sono d'accordo. Calvino è uno degli autori italiani meno italiani che ci sono. Potrei fare degli esempi, ma poi perché? Mengaldo, credo, diceva: per Calvino la questione della lingua non esiste. Punto e basta. Questo spiega rapidamente molte cose. Le ragioni dello snobismo di una certa (giovane) critica italiana. Quelli per intenderci che mmmsì, ma è freddo e distante, una lingua artificiale, er pasolini è molto meglio. (Anche questo parallelismo, che due italianissime palle...)
Un rapido sguardo su internet ce lo conferma: Su Calvino è possibile trovare pagine molto interessanti, a patto di non volerle scegliere tra le italiane.
Sarà perché su internet ci trovi anche ingegneri e archtetti, e non soltanto intellettuali gemebondi (quelli così tipicamente italiani, che in gioventù sono stati rinchiusi in un liceo classico e adesso vogliono farla pagare a tutti). E infatti l'opera più celebrata sembra essere The invisible cities. In Italia si ha pudore a parlarne. Oltre confine ispira sinfonie e saggi sul design.
Prova decisiva della popolarità intern(et)azionale di Calvino sono i testi apocrifi. Sì, è possibile trovare on line testi che sembrono suoi e non lo sono (almeno un paio di città invisibili). È o non è un classico? E allora meglio studiarlo a Parigi, Pier, sta lì e non muoverti, al massimo saliamo noi.
Qualche link (senza averci perso più d'una mezzoretta):
In Calvino veritas.A patto di perdonare grafica e il calembour del titolo, è un sito interessante, con qualche contributo critico (in inglese).
L'ironique amusé (qualche testo in francese, tra cui un esercizio oulipiano sul teororema di euclide).
Professor Frank Pajares' Italo Calvino page (testi, critica e link in inglese)
In italiano tutta una teoria ternaria su Palomar (improvvisamente mi è venuto in mente Peirce… eco di un esame lontano)
Baricco ce l'ha una net community? La Tamaro ce l'ha? Calvino sì! To' mo'.
The Path to the Nest of Translation by Giulia Guarnieri. Sembra una tesina (in inglese) sulla polemica linguistica Pasolini-Calvino.
giovedì 3 maggio 2001
Ritorno all'alba
Ieri sera eravamo ancora persi nelle circonvallazioni di Barcellona, litigando a ogni svincolo, e stamattina siamo qui: stanchi, puzzolenti, molto simpatici. Un soggiorno in Catalogna, un breve viaggio nel tempo, ai giorni beati e ignoranti delle gite scolastiche. Complice il clima: nuvole grigie, grevi e sensuali, ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, regalandoci a tratti quei violenti acquazzoni così caratteristici delle gite liceali. (Gli stessi barcellonesi rabbrividivano increduli. Mai un primo maggio così freddo).
Bella Barcellona. Bravo Gaudì. Buono pasteggiare a paella tutti i giorni. Eppure qualcosa ci mancava. La campagna elettorale, per esempio, con quel crescendo ormai quotidiano di colpi di scena. Per dirla breve, chissà quante cazzate di Berlusconi in presa diretta ci stavamo perdendo. Cose che poi a raccontarle in differita perdono sapore, come scoprire i risultati delle partite soltanto il giovedì.
E dire che sarebbe bastato sbirciare in qualche edicola (sono aperte 24 ore), per trovare non dico la Repubblica, ma El Pais o El Mundo, gettare fango sul nobile candidato. E questa definizione dell'"internazionale della spazzatura", immaginosa davvero… ("Compagni dai campi e dai cassonetti / Spalate la merda e insozzate il sistema", etc.).
Poi, il ritorno in Italia. Non tutto d'un colpo, come in aereo e anche in treno, ma gradatamente, in autostrada. L'Italia autostradale si afferma per gradi – comincia a manifestarsi verso Marsiglia. Gli autogrill diventano via via più sporchi e più umani, il caffè si restringe sempre più, le distanze di sicurezza si accorciano, le corsie si stringono, la velocità aumenta. Ma l'Italia vera esplode a Piacenza, quando ti immetti sulla A1, che alle cinque del mattino è più trafficata del tratto Barcellona-Montpellier al tramonto. E vai, tra due file di tir, dritto verso l'alba.
Giunti a casa, una gradita sorpresa. In un anonimo cellophane indirizzato a Elisa, un regalo per tutti noi. Una Storia Italiana.
Ma allora ci siamo anche noi, nel target del Cavaliere! Io non ci contavo più. In fin dei conti non mi sentivo interpellato da nessuno dei suoi slogan. "Un buon lavoro anche per te"? Grazie, ora meglio di no. "Pensioni più giuste"? Sì, quelle che ci toccherà pagare ai nostri genitori. "Città più sicure"? Così magari ci aumentano l'affitto. Berlusconi aveva un pensiero per tutti, ma per noi no. Girava voce che "Una Storia Italiana" sarebbe stato distribuito a tutte le famiglie. Per l'appunto, noi non siamo una famiglia. Siamo tre simpatici ragazzi tra i venti e i trenta che indugiano ancora nei locali studenteschi e nelle gite scolastiche. Gente marginale, comunque. E invece no! Anche noi siamo elettorato da convincere! Grande! E dire che abbiamo rischiato di fissare la gita intorno al 13 maggio…
La Storia non l'ho ancora potuta guardare. Elisa ci si è praticamente addormentata sopra, e io intanto dovevo farmi una doccia e presentarmi al lavoro. Spero che sarà molto divertente. Questi giorni sono stati molto divertenti. Speriamo duri il tempo. Questa nuvolaglia grigia… mi porta bene.
Ieri sera eravamo ancora persi nelle circonvallazioni di Barcellona, litigando a ogni svincolo, e stamattina siamo qui: stanchi, puzzolenti, molto simpatici. Un soggiorno in Catalogna, un breve viaggio nel tempo, ai giorni beati e ignoranti delle gite scolastiche. Complice il clima: nuvole grigie, grevi e sensuali, ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, regalandoci a tratti quei violenti acquazzoni così caratteristici delle gite liceali. (Gli stessi barcellonesi rabbrividivano increduli. Mai un primo maggio così freddo).
Bella Barcellona. Bravo Gaudì. Buono pasteggiare a paella tutti i giorni. Eppure qualcosa ci mancava. La campagna elettorale, per esempio, con quel crescendo ormai quotidiano di colpi di scena. Per dirla breve, chissà quante cazzate di Berlusconi in presa diretta ci stavamo perdendo. Cose che poi a raccontarle in differita perdono sapore, come scoprire i risultati delle partite soltanto il giovedì.
E dire che sarebbe bastato sbirciare in qualche edicola (sono aperte 24 ore), per trovare non dico la Repubblica, ma El Pais o El Mundo, gettare fango sul nobile candidato. E questa definizione dell'"internazionale della spazzatura", immaginosa davvero… ("Compagni dai campi e dai cassonetti / Spalate la merda e insozzate il sistema", etc.).
Poi, il ritorno in Italia. Non tutto d'un colpo, come in aereo e anche in treno, ma gradatamente, in autostrada. L'Italia autostradale si afferma per gradi – comincia a manifestarsi verso Marsiglia. Gli autogrill diventano via via più sporchi e più umani, il caffè si restringe sempre più, le distanze di sicurezza si accorciano, le corsie si stringono, la velocità aumenta. Ma l'Italia vera esplode a Piacenza, quando ti immetti sulla A1, che alle cinque del mattino è più trafficata del tratto Barcellona-Montpellier al tramonto. E vai, tra due file di tir, dritto verso l'alba.
Giunti a casa, una gradita sorpresa. In un anonimo cellophane indirizzato a Elisa, un regalo per tutti noi. Una Storia Italiana.
Ma allora ci siamo anche noi, nel target del Cavaliere! Io non ci contavo più. In fin dei conti non mi sentivo interpellato da nessuno dei suoi slogan. "Un buon lavoro anche per te"? Grazie, ora meglio di no. "Pensioni più giuste"? Sì, quelle che ci toccherà pagare ai nostri genitori. "Città più sicure"? Così magari ci aumentano l'affitto. Berlusconi aveva un pensiero per tutti, ma per noi no. Girava voce che "Una Storia Italiana" sarebbe stato distribuito a tutte le famiglie. Per l'appunto, noi non siamo una famiglia. Siamo tre simpatici ragazzi tra i venti e i trenta che indugiano ancora nei locali studenteschi e nelle gite scolastiche. Gente marginale, comunque. E invece no! Anche noi siamo elettorato da convincere! Grande! E dire che abbiamo rischiato di fissare la gita intorno al 13 maggio…
La Storia non l'ho ancora potuta guardare. Elisa ci si è praticamente addormentata sopra, e io intanto dovevo farmi una doccia e presentarmi al lavoro. Spero che sarà molto divertente. Questi giorni sono stati molto divertenti. Speriamo duri il tempo. Questa nuvolaglia grigia… mi porta bene.
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