La replica di Rolli (scritta di getto alle 7.45) è molto bella.
Sofri è in galera e tutti gli fanno "pat pat quanto scrivi bene", "quanto sei dignitoso", "quanto sei bravo", "quanto sei umano", quanto quanto quanto! Ma poi rimane in carcere, poi non si ha il coraggio di dimostrarlo con i fatti che, al di là di quel che pensa uno della sua innocenza o colpevolezza, Sofri è tutte queste cose e ancora di più; che non è la persona di trent'anni fa; che se il carcere non ha scopi afflittivi la sua detenzione non ha più senso, se non per i forcaioli, quelli che se fossero in Iran, in Cina e perchè no, anche in America, andrebbero a vedere le esecuzioni in prima fila.
(Poi, la cosa sembrava impossibile, ma credo di essere riuscito a fare incazzare Umberto).
Sul caso Sofri, Wittgenstein segnala Sofri.org.
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi.
Noi no. Donate all'UNRWA.
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lunedì 30 giugno 2003
Tifiamo Grazia
(nel mondo democratico)
Frequentando questo sito, vi siete magari fatti una certa idea di me, come di una persona che ha un suo parere su qualsiasi cosa, ma non è così.
O meglio: su molte cose ho dei pareri che non mi va di socializzare. Preferisco tenermeli per me. Ho un parere sull’aborto, sull’esistenza di Dio, sull’innocenza di Adriano Sofri. Ma non mi va di parlarne. Perché si tratta davvero di un modestissimo parere.
Prendiamo Adriano Sofri. Secondo me è innocente. Posso dirlo, anche se ci sono sei o sette sentenze che mi danno torto? Secondo me è innocente, e c’è un teste che ha mentito, un carabiniere che lo ha istruito, un giudice che ha scritto una sentenza assurda al solo fine di riaprire il processo. Questo è il mio parere. Interessa a qualcuno?
Probabilmente lo avete già sentito da qualcuno più convincente e più documentato di me.
Da qualche giorno si è formato un “movimento dei blogger per Adriano Sofri”. Aderisco volentieri. Faccio solo presente che i blog in Italia sono poche migliaia.
Qualche anno fa mi capitò di firmare per una domanda di grazia. Era una domanda garbata e civile, ricordava che in Italia c’è una questione-carceri ancor prima che una questione-Sofri. Non so quante firme furono raccolte, credo intorno alle centomila. Non bastarono.
E allora: non pensate che ci stiamo prendendo un po’ troppo sul serio, noialtri blog? All’inizio della settimana scorsa dovevamo salvare Teheran, adesso ci tocca liberare Adriano Sofri. Ne siamo veramente in grado? O è solo un pretesto per litigare – cosa che ci riesce benissimo?
****
"E il Forum?", mi chiedono.
Il Forum esiste ancora… è stato un divorzio consensuale. Ormai Blog e Forum non si parlavano più, non si riconoscevano nemmeno. Che ognuno vada per la sua strada – e buona fortuna.
(nel mondo democratico)
Frequentando questo sito, vi siete magari fatti una certa idea di me, come di una persona che ha un suo parere su qualsiasi cosa, ma non è così.
O meglio: su molte cose ho dei pareri che non mi va di socializzare. Preferisco tenermeli per me. Ho un parere sull’aborto, sull’esistenza di Dio, sull’innocenza di Adriano Sofri. Ma non mi va di parlarne. Perché si tratta davvero di un modestissimo parere.
Prendiamo Adriano Sofri. Secondo me è innocente. Posso dirlo, anche se ci sono sei o sette sentenze che mi danno torto? Secondo me è innocente, e c’è un teste che ha mentito, un carabiniere che lo ha istruito, un giudice che ha scritto una sentenza assurda al solo fine di riaprire il processo. Questo è il mio parere. Interessa a qualcuno?
Probabilmente lo avete già sentito da qualcuno più convincente e più documentato di me.
Da qualche giorno si è formato un “movimento dei blogger per Adriano Sofri”. Aderisco volentieri. Faccio solo presente che i blog in Italia sono poche migliaia.
Qualche anno fa mi capitò di firmare per una domanda di grazia. Era una domanda garbata e civile, ricordava che in Italia c’è una questione-carceri ancor prima che una questione-Sofri. Non so quante firme furono raccolte, credo intorno alle centomila. Non bastarono.
E allora: non pensate che ci stiamo prendendo un po’ troppo sul serio, noialtri blog? All’inizio della settimana scorsa dovevamo salvare Teheran, adesso ci tocca liberare Adriano Sofri. Ne siamo veramente in grado? O è solo un pretesto per litigare – cosa che ci riesce benissimo?
****
"E il Forum?", mi chiedono.
Il Forum esiste ancora… è stato un divorzio consensuale. Ormai Blog e Forum non si parlavano più, non si riconoscevano nemmeno. Che ognuno vada per la sua strada – e buona fortuna.
venerdì 27 giugno 2003
Cose che non auguro al mio peggior nemico:
Una fila, una prevedibilissima e ineluttabile fila di auto e camion tra Roncobilaccio e Rioveggio, alle cinque della sera, temperatura ambiente trentotto gradi, no air conditioning, dentro una galleria. Cisterne di liquidi infiammabili scorrono lente. Finestrini chiusi, ventola al minimo, livello di ottani nell’aria non pervenuto.
“Guarda al lato positivo”, dice Enzo, “la radio funziona”.
La radio manda Janet Jackson.
“Sembri preoccupato, a cosa stai pensando?”
“(penso che a causa della ventilazione e dell’alta temperatura, se qualcuno qui dentro urta qualcosa e scocca una scintilla andiamo in combustione e ci identificheranno dall’impronta dei denti) Te lo dico quando siamo fuori”.
Cosa non farei per qualche tartina al caviale.
Una fila, una prevedibilissima e ineluttabile fila di auto e camion tra Roncobilaccio e Rioveggio, alle cinque della sera, temperatura ambiente trentotto gradi, no air conditioning, dentro una galleria. Cisterne di liquidi infiammabili scorrono lente. Finestrini chiusi, ventola al minimo, livello di ottani nell’aria non pervenuto.
“Guarda al lato positivo”, dice Enzo, “la radio funziona”.
La radio manda Janet Jackson.
“Sembri preoccupato, a cosa stai pensando?”
“(penso che a causa della ventilazione e dell’alta temperatura, se qualcuno qui dentro urta qualcosa e scocca una scintilla andiamo in combustione e ci identificheranno dall’impronta dei denti) Te lo dico quando siamo fuori”.
Cosa non farei per qualche tartina al caviale.
mercoledì 25 giugno 2003
L'uomo che disse Bum
La vita è fatta di istanti, milioni e miliardi di istanti, e in qualsiasi istante potrebbe scapparci detta l’unica parola che ci sopravviverà.
Questo vale per gli artisti, i cantanti, i politici e i pagliacci. Prendiamo Umberto Bossi. Quante puttanate ha detto in vita sua, quante ancora gliene restano. Ha dato un prezzo alle pallottole, ha spiegato che ce l’ha duro, (come se fosse comodo e auspicabile, sedere in Parlamento in stato di erezione permanente). Si è fatto fotografare in canottiera. Ha bevuto l’acqua del Po in un’ampolla. I poveracci che salirono sul Campanile di San Marco, per lui erano martiri Padani. E tante ancora che non mi ricordo, avessi tenuto un elenco, ma è troppo tardi. Ci dimenticheremo di tutti questi detti memorabili, e di quelli ancora da venire.
Ma la settimana scorsa Umberto Bossi ha detto: cannonate! Bum!, e forse non lo sa ancora, (del resto ha già smentito, del resto non intendeva "cannonate")... ma ha detto la più grande puttanata della sua vita.
L’unica che gli sopravvivrà.
E’ difficile spiegare il perché, tuttavia le cose stanno così. Si tratta di riuscire a dire qualcosa di agghiacciante nel momento più sbagliato. Appena Bossi ha detto “cannonate”, i nostri mari si sono riempiti di cadaveri, una macabra coincidenza. E ora, grazie alle cannonate di Bossi, perfino i nostri governanti moderati sembrano fare una bella figura: Berlusconi è pur sempre l’uomo che pianse sul canale di Otranto, Pisanu dopo il “Bum” ha assunto le dimensioni di uno statista. E ora la Lega uscirà, la Lega rientrerà, non lo so, in fondo non è così importante. Che cos’è un governo italiano davanti all’eternità? I figli dei figli dei nostri figli non sapranno nulla del Polo della Libertà, della finanza Creativa, del Lodo Schifani. Ma prima o poi andranno a scuola, e sul libro di Storia leggeranno un paragrafetto più o meno così.
Conseguenza inevitabile dello sfruttamento del Sud del Mondo, l’emigrazione massiccia dei popoli poveri verso i Paesi della frontiera mediterranea era prevedibile, e già in atto alla fine del Ventesimo Secolo. Ma sebbene l’emigrazione rappresentasse un beneficio più per le nazioni ‘invase’ che per i popoli invasori (solo grazie all’emigrazione, infatti, il costo del lavoro in Europa poteva rimanere a livelli competitivi col resto del mondo), l’emigrazione fu duramente avversata dai popoli europei, e anche da gran parte della classe dirigente. Invece di agevolare l’immigrazione i governanti preferirono attuare la strategia dello struzzo, varando leggi che ostacolavano la normalizzazione dei clandestini, e delegando di fatto ai clan della malavita (i famigerati ‘scafisti’) il traffico di vite umane nel Mediterraneo. La paura del diverso veniva poi servita come piatto forte nei discorsi elettorali: nel 2002, per fare un esempio, un ministro italiano (leader di un partito politico radicato nel Nord del Paese), Umberto Bossi, chiedeva a gran voce di respingere gli immigrati “a cannonate”, proprio mentre i suoi elettori, gli imprenditori del Nord, rimanevano senza manodopera.
“Hai studiato, Alì?”
“Beh, prof… studiare ho studiato…”
“Vediamo. Parlami di Umberto Bossi”.
“Ah, Bossi lo so. Era quello che quando scoppia la Grande Guerra dice che avrebbe voluto avere un fucile”.
“Quello era Giolitti”.
“Ho sbagliato di molto, prof?”
“Ma no, di un secolo appena. Bossi, Umberto Bossi… Alì, tu da dove vieni?”
“Da Vigarano Mainarda”.
“No, intendo i tuoi genitori”.
“Ah, loro da Pieve di Cento”.
“E perché ti hanno chiamato Alì?”
“Perché piaceva a mia madre”.
“Ah, e io che credevo… senti, se ti dico: Bum!, tu a cosa pensi?”
“Bum? Aaaah, Umberto Bossi, quello che ha preso gli africani a cannonate. L’ho studiato, prof”.
“No. Non ha preso nessuno a cannonate. Come Giolitti: non ha mai avuto un fucile. Sono cose che dicono i politici”.
“E’ che la politica, prof, è complicata”.
“Lo so bene. Cinque e mezzo”.
La vita è fatta di istanti, milioni e miliardi di istanti, e in qualsiasi istante potrebbe scapparci detta l’unica parola che ci sopravviverà.
Questo vale per gli artisti, i cantanti, i politici e i pagliacci. Prendiamo Umberto Bossi. Quante puttanate ha detto in vita sua, quante ancora gliene restano. Ha dato un prezzo alle pallottole, ha spiegato che ce l’ha duro, (come se fosse comodo e auspicabile, sedere in Parlamento in stato di erezione permanente). Si è fatto fotografare in canottiera. Ha bevuto l’acqua del Po in un’ampolla. I poveracci che salirono sul Campanile di San Marco, per lui erano martiri Padani. E tante ancora che non mi ricordo, avessi tenuto un elenco, ma è troppo tardi. Ci dimenticheremo di tutti questi detti memorabili, e di quelli ancora da venire.
Ma la settimana scorsa Umberto Bossi ha detto: cannonate! Bum!, e forse non lo sa ancora, (del resto ha già smentito, del resto non intendeva "cannonate")... ma ha detto la più grande puttanata della sua vita.
L’unica che gli sopravvivrà.
E’ difficile spiegare il perché, tuttavia le cose stanno così. Si tratta di riuscire a dire qualcosa di agghiacciante nel momento più sbagliato. Appena Bossi ha detto “cannonate”, i nostri mari si sono riempiti di cadaveri, una macabra coincidenza. E ora, grazie alle cannonate di Bossi, perfino i nostri governanti moderati sembrano fare una bella figura: Berlusconi è pur sempre l’uomo che pianse sul canale di Otranto, Pisanu dopo il “Bum” ha assunto le dimensioni di uno statista. E ora la Lega uscirà, la Lega rientrerà, non lo so, in fondo non è così importante. Che cos’è un governo italiano davanti all’eternità? I figli dei figli dei nostri figli non sapranno nulla del Polo della Libertà, della finanza Creativa, del Lodo Schifani. Ma prima o poi andranno a scuola, e sul libro di Storia leggeranno un paragrafetto più o meno così.
Conseguenza inevitabile dello sfruttamento del Sud del Mondo, l’emigrazione massiccia dei popoli poveri verso i Paesi della frontiera mediterranea era prevedibile, e già in atto alla fine del Ventesimo Secolo. Ma sebbene l’emigrazione rappresentasse un beneficio più per le nazioni ‘invase’ che per i popoli invasori (solo grazie all’emigrazione, infatti, il costo del lavoro in Europa poteva rimanere a livelli competitivi col resto del mondo), l’emigrazione fu duramente avversata dai popoli europei, e anche da gran parte della classe dirigente. Invece di agevolare l’immigrazione i governanti preferirono attuare la strategia dello struzzo, varando leggi che ostacolavano la normalizzazione dei clandestini, e delegando di fatto ai clan della malavita (i famigerati ‘scafisti’) il traffico di vite umane nel Mediterraneo. La paura del diverso veniva poi servita come piatto forte nei discorsi elettorali: nel 2002, per fare un esempio, un ministro italiano (leader di un partito politico radicato nel Nord del Paese), Umberto Bossi, chiedeva a gran voce di respingere gli immigrati “a cannonate”, proprio mentre i suoi elettori, gli imprenditori del Nord, rimanevano senza manodopera.
“Hai studiato, Alì?”
“Beh, prof… studiare ho studiato…”
“Vediamo. Parlami di Umberto Bossi”.
“Ah, Bossi lo so. Era quello che quando scoppia la Grande Guerra dice che avrebbe voluto avere un fucile”.
“Quello era Giolitti”.
“Ho sbagliato di molto, prof?”
“Ma no, di un secolo appena. Bossi, Umberto Bossi… Alì, tu da dove vieni?”
“Da Vigarano Mainarda”.
“No, intendo i tuoi genitori”.
“Ah, loro da Pieve di Cento”.
“E perché ti hanno chiamato Alì?”
“Perché piaceva a mia madre”.
“Ah, e io che credevo… senti, se ti dico: Bum!, tu a cosa pensi?”
“Bum? Aaaah, Umberto Bossi, quello che ha preso gli africani a cannonate. L’ho studiato, prof”.
“No. Non ha preso nessuno a cannonate. Come Giolitti: non ha mai avuto un fucile. Sono cose che dicono i politici”.
“E’ che la politica, prof, è complicata”.
“Lo so bene. Cinque e mezzo”.
martedì 24 giugno 2003
Piccoli relatori crescono
(lentamente)
Io al convegno di Viterbo ci sarò, ma contrariamente a quanto indicato in precedenza ci sarò solo la mattina, e se avete pazienza vi spiego il perché.
Cambiando del tutto argomento, riflettevo che io sono una persona abbastanza normale con un serio problema: se sto aspettando qualcuno e non ho qualcosa da fare, un libro o un giornale da sfogliare, un video da fissare, un’unghia da mangiare, mi metto istintivamente a girare in tondo nella stanze, senza quasi accorgermene.
In passato questo complicava un po’ i miei rapporti con gli altri, ma ora non più, da quando ho scoperto che sul mio cellulare c’è Tetris. Adesso riesco ad affrontare senza preoccupazione anche un Collegio Docenti (l’essenziale è trovar posto dietro a un prof di Educazione Fisica abbastanza alto). E batto record a tutto andare.
Giustappunto, stavo sui 40.000 points l’altro giorno, quando finalmente la Presidente (presidentessa?) si è affacciata sul corridoio. Io ero in shorts e sandali, madido di sudore, l’ombra del prof che il giorno prima le aveva consegnato le griglie di valutazione.
“Presidente, io dovrei chiederLe una cosa… ma credo proprio che mi dirà di no”.
“Sentiamo”.
“Ieri mi hanno detto che la Ratifica è il 26, e io mi chiedevo se sia proprio assolutamente necessaria la mia presenza”.
“Professore…”
“Perché vede, avevo appena preso un impegno… dovevo parlare a un convegno universitario a Viterbo, ehm…”
“Ah, un convegno?”
“Sì, avevo appena confermato la mia presenza per il pomeriggio del 26 quando mi hanno informato… io capisco che la Ratifica sia importante, però…”.
“Un convegno su cosa?”
“Un convegno sui weblog…”
“Eh?”
“Un convegno sull’evoluzione della Letteratura in rete alla fine del Novecento”.
“Interessante… ma Professore, mi dispiace, dovrei sostituirla e lei è già un Supplente, sarebbe un bel problema”.
“Sì, capisco, era solo per non lasciare nulla d’intentato”.
“Guardi, mi dispiace davvero ostacolare la sua carriera, ma se lei riuscisse a spostare il suo intervento sarebbe meglio”.
“Beh, ci proverò”.
(La mia carriera, sigh).
A: G. Roncaglia
Oggetto: Tavola Rotonda sui Blog
Egregio Professore,
purtroppo ho combinato un guaio. Ho appena scoperto di non poter essere a Viterbo nel pomeriggio del 26, perché ho la ratifica dell’esame di Licenza Media. Mi rendo conto di chiedere troppo, ma non si potrebbe spostare il mio intervento alla mattina?
Distinti saluti
Leonardo
Ps: Non sono io che prendo la Licenza media, sono i miei studenti.
Il buon Roncaglia (un po’ deluso di non aver a che fare con un quattordicenne) ha risposto che sì, si poteva fare, e mi ha aggregato alla tavola rotonda sull’informazione.
A questo punto ho dato un’occhiata ai miei correlatori e mi è venuto un colpo, oltre a tre domande spontanee:
– ma loro lo sanno, che gli toccherà darmi parola?
– E se anche mi daranno parola, di cosa parlerò?
– ma soprattutto, come farò a stare zitto e buono mentre parlano loro? Al BlogAge avevo risolto tutto con una sessione di Tetris intensiva (sì, ero io quello che sghinazzava armeggiando al cellulare), ma se mi fanno passare dall’altra parte del tavolo è finita.
(Questo pezzo, abbastanza sciocco, voleva raccontare uno stato d'animo tipicamente estivo, vale a dire il ritorno inesorabile all'infanzia. Mi consolo pensando che succede a tutti, anche ai più saggi e vecchi tromboni).
(lentamente)
Io al convegno di Viterbo ci sarò, ma contrariamente a quanto indicato in precedenza ci sarò solo la mattina, e se avete pazienza vi spiego il perché.
Cambiando del tutto argomento, riflettevo che io sono una persona abbastanza normale con un serio problema: se sto aspettando qualcuno e non ho qualcosa da fare, un libro o un giornale da sfogliare, un video da fissare, un’unghia da mangiare, mi metto istintivamente a girare in tondo nella stanze, senza quasi accorgermene.
In passato questo complicava un po’ i miei rapporti con gli altri, ma ora non più, da quando ho scoperto che sul mio cellulare c’è Tetris. Adesso riesco ad affrontare senza preoccupazione anche un Collegio Docenti (l’essenziale è trovar posto dietro a un prof di Educazione Fisica abbastanza alto). E batto record a tutto andare.
Giustappunto, stavo sui 40.000 points l’altro giorno, quando finalmente la Presidente (presidentessa?) si è affacciata sul corridoio. Io ero in shorts e sandali, madido di sudore, l’ombra del prof che il giorno prima le aveva consegnato le griglie di valutazione.
“Presidente, io dovrei chiederLe una cosa… ma credo proprio che mi dirà di no”.
“Sentiamo”.
“Ieri mi hanno detto che la Ratifica è il 26, e io mi chiedevo se sia proprio assolutamente necessaria la mia presenza”.
“Professore…”
“Perché vede, avevo appena preso un impegno… dovevo parlare a un convegno universitario a Viterbo, ehm…”
“Ah, un convegno?”
“Sì, avevo appena confermato la mia presenza per il pomeriggio del 26 quando mi hanno informato… io capisco che la Ratifica sia importante, però…”.
“Un convegno su cosa?”
“Un convegno sui weblog…”
“Eh?”
“Un convegno sull’evoluzione della Letteratura in rete alla fine del Novecento”.
“Interessante… ma Professore, mi dispiace, dovrei sostituirla e lei è già un Supplente, sarebbe un bel problema”.
“Sì, capisco, era solo per non lasciare nulla d’intentato”.
“Guardi, mi dispiace davvero ostacolare la sua carriera, ma se lei riuscisse a spostare il suo intervento sarebbe meglio”.
“Beh, ci proverò”.
(La mia carriera, sigh).
A: G. Roncaglia
Oggetto: Tavola Rotonda sui Blog
Egregio Professore,
purtroppo ho combinato un guaio. Ho appena scoperto di non poter essere a Viterbo nel pomeriggio del 26, perché ho la ratifica dell’esame di Licenza Media. Mi rendo conto di chiedere troppo, ma non si potrebbe spostare il mio intervento alla mattina?
Distinti saluti
Leonardo
Ps: Non sono io che prendo la Licenza media, sono i miei studenti.
Il buon Roncaglia (un po’ deluso di non aver a che fare con un quattordicenne) ha risposto che sì, si poteva fare, e mi ha aggregato alla tavola rotonda sull’informazione.
A questo punto ho dato un’occhiata ai miei correlatori e mi è venuto un colpo, oltre a tre domande spontanee:
– ma loro lo sanno, che gli toccherà darmi parola?
– E se anche mi daranno parola, di cosa parlerò?
– ma soprattutto, come farò a stare zitto e buono mentre parlano loro? Al BlogAge avevo risolto tutto con una sessione di Tetris intensiva (sì, ero io quello che sghinazzava armeggiando al cellulare), ma se mi fanno passare dall’altra parte del tavolo è finita.
(Questo pezzo, abbastanza sciocco, voleva raccontare uno stato d'animo tipicamente estivo, vale a dire il ritorno inesorabile all'infanzia. Mi consolo pensando che succede a tutti, anche ai più saggi e vecchi tromboni).
lunedì 23 giugno 2003
L’avete chiesto, l’avete richiesto, e mo’ beccatevi il
Basic Culture Simulator 1.9
Mai più nozioni superflue!
Proust, Marcel
Gay della prima metà del Novecento. Viveva in una stanza foderata di sughero per attutire i rumori. Grandissimo scrittore, mica come certi blog prolissi ed egocentrici.
Intingendo un giorno un pasticcino nel the, Proust trova l’ispirazione per scrivere un’autobiografia in otto volumi, dopodiché muore.
Preferiva le canzonette alla musica classica, come chiunque, ma aveva la faccia tosta di dirlo, per cui quando in società tutti parlano di Brahms e a voi scappa un commento sugli Strokes, potete sempre difendervi tirando fuori Marcel Proust. Forse è per questo che è lo scrittore più amato dai deejay di un certo spessore.
Musil, Robert
Scrittore austriaco della prima metà del Novecento. Nel primo libro parla delle sue esperienze gay in un collegio. In seguito decide di scrivere un colossale romanzo sulla decadenza dell’Impero Asburgico, ma arrivato a metà (più o meno a pagina mille, cioè) si blocca. Nel frattempo (nel 1919) l’Impero Asburgico crolla davvero, di colpo, lasciando esterrefatti centinaia di scrittori che contavano di sfornare romanzi sulla decadenza asburgica ancora per qualche secolo.
Anche Musil si fa prendere dallo sconforto, pubblica i suoi articoli come “scritti postumi di un autore in vita”, è tentato di archiviare il poderoso romanzo, ma i suoi lettori non lo lasciano in pace: si sono sciroppati un migliaio di pagine intense e hanno il diritto di sapere come va a finire. Musil cincischia, tenta la carta del morboso inventandosi una sorella gemella del protagonista, ma anche dopo l’incesto il romanzo non vuole saperne di finire. Almeno credo, perché a pagina duemila mi sono fermato pure io.
In realtà ho tirato fuori Musil soltanto perché non riesco a dimenticarmi la sua definizione di snobismo, letta su un’antologia della quinta liceo che non riesco più a trovare: lo snobismo consiste nell’infilare in una lista di pittori famosi il nome di un pittore sconosciuto ai più. (Funziona benissimo anche con gli scrittori e coi cantanti).
Mi è venuta in mente qualche giorno fa, leggendo il canone occidentale di Scarpa: Catullo, Agostino, Montaigne, Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin, Paul Léautaud… mi chiedevo, per l’appunto: ma chi diavolo è Paul Léautaud? Beh, ecco qui. Bastava un link…
E per oggi con la letteratura abbiamo finito. Che ne dite di un po’ di Storia?
Termopili, Battaglia delle
Strage greca del quinto secolo avanti Cristo: per rallentare le armate persiane, trecento spartani guidati da Leonida (più altri 700 tespiesi di cui nessuno parla mai) si fecero massacrare eroicamente. Se avessero lasciato passare i persiani, probabilmente il re Serse si sarebbe fatto un giro, avrebbe sottomesso formalmente una ventina di villaggi costieri e se ne sarebbe tornato soddisfatto dall’altra parte del mondo.
Invece, mandando al macello sé e mille compagni, Leonida (luogotenente di uno stato fascista basato sulla schiavitù e sulla segregazione razziale) ha ottenuto l’indubbio onore di figurare in tutti i libri di scuola della quarta ginnasio come il salvatore della cultura occidentale. Che nel cinquecento avanti Cristo consisteva già in questo: considerarsi radicalmente superiori agli stranieri, tenere democraticamente gli schiavi lontano dall’acropoli e mandare i cittadini a morire in battaglie sanguinose e inutili.
(Sulle Termopili c’è un bel libro a fumetti, scritto dal più geniale e fascistoide fumettista americano: Frank Miller).
Le battaglie famose sono sempre quelle che finiscono male, ci avete fatto caso? Di solito le Termopili vengono citate dai leader politici che s’imbarcano in imprese disastrose. Per esempio:
Ma lo rifaresti? Bertinotti risponde citando la poesia di Costantino Kavafkis “in onore di coloro che hanno difeso le loro Termopili ben sapendo che i Medi sarebbero comunque passati”. «Se non avessimo fatto il referendum avremmo lasciato libero il campo al rullo compressore di Berlusconi e non si sarebbero accesi i riflettori sull’invisibilità del lavoro dipendente...».
Invece, grazie all’eroica figuraccia del referendum, il rullo compressore di Berlusconi è passato sopra lavoratori e sindacato, e i riflettori sul lavoro dipendente si sono spenti subito. Che dire: Bertinotti è ancora vivo e orgoglioso, pronto a imbarcarci in una nuova gloriosa battaglia.
Almeno Leonida alle Termopili ci lasciò le penne, e la smise, una buona volta, di mandare allo sbaraglio la sua gente.
Basic Culture Simulator 1.9
Mai più nozioni superflue!
Proust, Marcel
Gay della prima metà del Novecento. Viveva in una stanza foderata di sughero per attutire i rumori. Grandissimo scrittore, mica come certi blog prolissi ed egocentrici.
Intingendo un giorno un pasticcino nel the, Proust trova l’ispirazione per scrivere un’autobiografia in otto volumi, dopodiché muore.
Preferiva le canzonette alla musica classica, come chiunque, ma aveva la faccia tosta di dirlo, per cui quando in società tutti parlano di Brahms e a voi scappa un commento sugli Strokes, potete sempre difendervi tirando fuori Marcel Proust. Forse è per questo che è lo scrittore più amato dai deejay di un certo spessore.
Musil, Robert
Scrittore austriaco della prima metà del Novecento. Nel primo libro parla delle sue esperienze gay in un collegio. In seguito decide di scrivere un colossale romanzo sulla decadenza dell’Impero Asburgico, ma arrivato a metà (più o meno a pagina mille, cioè) si blocca. Nel frattempo (nel 1919) l’Impero Asburgico crolla davvero, di colpo, lasciando esterrefatti centinaia di scrittori che contavano di sfornare romanzi sulla decadenza asburgica ancora per qualche secolo.
Anche Musil si fa prendere dallo sconforto, pubblica i suoi articoli come “scritti postumi di un autore in vita”, è tentato di archiviare il poderoso romanzo, ma i suoi lettori non lo lasciano in pace: si sono sciroppati un migliaio di pagine intense e hanno il diritto di sapere come va a finire. Musil cincischia, tenta la carta del morboso inventandosi una sorella gemella del protagonista, ma anche dopo l’incesto il romanzo non vuole saperne di finire. Almeno credo, perché a pagina duemila mi sono fermato pure io.
In realtà ho tirato fuori Musil soltanto perché non riesco a dimenticarmi la sua definizione di snobismo, letta su un’antologia della quinta liceo che non riesco più a trovare: lo snobismo consiste nell’infilare in una lista di pittori famosi il nome di un pittore sconosciuto ai più. (Funziona benissimo anche con gli scrittori e coi cantanti).
Mi è venuta in mente qualche giorno fa, leggendo il canone occidentale di Scarpa: Catullo, Agostino, Montaigne, Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin, Paul Léautaud… mi chiedevo, per l’appunto: ma chi diavolo è Paul Léautaud? Beh, ecco qui. Bastava un link…
E per oggi con la letteratura abbiamo finito. Che ne dite di un po’ di Storia?
Termopili, Battaglia delle
Strage greca del quinto secolo avanti Cristo: per rallentare le armate persiane, trecento spartani guidati da Leonida (più altri 700 tespiesi di cui nessuno parla mai) si fecero massacrare eroicamente. Se avessero lasciato passare i persiani, probabilmente il re Serse si sarebbe fatto un giro, avrebbe sottomesso formalmente una ventina di villaggi costieri e se ne sarebbe tornato soddisfatto dall’altra parte del mondo.
Invece, mandando al macello sé e mille compagni, Leonida (luogotenente di uno stato fascista basato sulla schiavitù e sulla segregazione razziale) ha ottenuto l’indubbio onore di figurare in tutti i libri di scuola della quarta ginnasio come il salvatore della cultura occidentale. Che nel cinquecento avanti Cristo consisteva già in questo: considerarsi radicalmente superiori agli stranieri, tenere democraticamente gli schiavi lontano dall’acropoli e mandare i cittadini a morire in battaglie sanguinose e inutili.
(Sulle Termopili c’è un bel libro a fumetti, scritto dal più geniale e fascistoide fumettista americano: Frank Miller).
Le battaglie famose sono sempre quelle che finiscono male, ci avete fatto caso? Di solito le Termopili vengono citate dai leader politici che s’imbarcano in imprese disastrose. Per esempio:
Ma lo rifaresti? Bertinotti risponde citando la poesia di Costantino Kavafkis “in onore di coloro che hanno difeso le loro Termopili ben sapendo che i Medi sarebbero comunque passati”. «Se non avessimo fatto il referendum avremmo lasciato libero il campo al rullo compressore di Berlusconi e non si sarebbero accesi i riflettori sull’invisibilità del lavoro dipendente...».
Invece, grazie all’eroica figuraccia del referendum, il rullo compressore di Berlusconi è passato sopra lavoratori e sindacato, e i riflettori sul lavoro dipendente si sono spenti subito. Che dire: Bertinotti è ancora vivo e orgoglioso, pronto a imbarcarci in una nuova gloriosa battaglia.
Almeno Leonida alle Termopili ci lasciò le penne, e la smise, una buona volta, di mandare allo sbaraglio la sua gente.
venerdì 20 giugno 2003
Tifiamo rivolta
A chi mi chiede di manifestare per gli studenti di Teheran, così come a chi mi chiedeva di manifestare per la buonuscita di Saddam Hussein, e, perché no, per la pace nel Congo, per l’indipendenza del Tibet, per il disarmo nordcoreano: mi sembrano tutte nobili cause, ma ho la sensazione che una chiassata davanti a un’ambasciata non servirebbe a niente.
(Perché invece cortei di milioni di persone contro l’articolo 18 e la guerra sono serviti a qualcosa? Domanda interessante).
Non credo che una manifestazione in Italia potrebbe ammorbidire la polizia di Teheran o convincere un tiranno alle dimissioni. Di solito preferisco manifestare contro le scelte che non apprezzo del mio governo e dei suoi principali alleati.
Mi sembra che questo tipo di manifestazioni servano più a chi le fa: se io scendo in piazza contro gli ayatollah dimostro a tutto il mondo, ma soprattutto a me stesso, che sono contro un odioso regime. Insomma, tifo rivolta. È anche un modo di sgravarsi la coscienza.
Così nessuno potrà dire che i pacifisti sono complici dei fondamentalisti… no, guardate, continueranno a dirlo. Le manifestazioni a Teheran sono seguite da tutti gli organi di stampa, compresi quelli vicini al Movimento. E dai siti d’informazione indipendente. Ma non importa. Ci sarà sempre qualche anima bella pronta a parlare di “indifferenza”. Se io non mi riempio la bocca tutti i giorni di paroloni come democrazia e libertà, questo non significa che io sia indifferente. Siamo tutti buoni a tifare rivolta, a mille e mille chilometri di distanza.
D’altro canto, se io fossi uno studente di Teheran, forse mi piacerebbe sapere che qualcuno in Italia tifa per me. (Dopodiché verrò ugualmente arrestato e torturato con utensili di fabbricazione italiana, ma è già qualcosa).
Per questo motivo mi sembra pur giusto aderire all’iniziativa di Sinistro (Ma perché chiamarla “Sweet Home Teheran”? Cosa c’entra l’Alabama?)
In seguito, se qualcuno un po’ volenteroso fosse in grado di informarci sulle aziende che fanno buoni affari col governo di Teheran, magari con commesse militari, si potrenbbe anche provare a fare qualche boicottaggio, eh? Che ne dite?
**** ****
Qui sotto, senza troppo chiasso (a quest’ora del venerdì la maggior parte della gente se n’è andata), vorrei tornare sul caso Camillo-museo. Mi dispiace aver abusato della vostra pazienza e di aver trasformato questo Museo in una specie di caso personale. Spero che si tratti dell’ultima volta.
Sapete, io sto pensando a una cosa. Il saccheggio del Museo (che non è stato difeso dagli americani, per loro stessa ammissione) è il tipico mostro in prima pagina: titoloni, tinte forti, e qualche settimana dopo la smentita in un trafiletto in terza pagina. Ci scandalizziamo? Succede così anche per gli assassini, per i p e d o f i l i, per le giovani guerriere USA salvate dagli eroici commandos americani.
Qualunque altro propagandista avrebbe potuto rivoltare la frittata ad arte: vedete, gli americani hanno salvato il museo dagli iracheni. E Camillo c’ha provato. Ma – questo è il punto – è riuscito infilarsi in un pasticcio notevole, praticamente da solo.
Ora, mentre altri giornalisti ci informano che la guerra non è mica finita, lui insiste nel conteggio delle opere mancanti. Siccome il direttore del museo, George, continua a lamentarsi del furto, per Camillo George è un fascista, George è "diventato un'icona della sinistra europea", e i milioni di ingenui italiani che gli danno retta sono filo-fascisti pure loro. E chi non ci crede è un credulone.
Purtroppo per Camillo, questi milioni di italiani ingenui non esistono. Ci sono, questo sì, migliaia di italiani che hanno letto su Repubblica che era stato trovato “il Tesoro degli Assiri” e hanno capito che si trattava del grosso dei tesori del Museo, perché, incredibile a dirsi, non hanno letto soltanto il titolo.
E poi c’è un piccolo italiano senza cognome, il sottoscritto, che si è dato la pena di tradurre le lamentele di George, visto che Camillo le lincava. Non l’avessi mai fatto!
Ora, qui c’è un problema. Forse George è davvero un poco di buono, un collaborazionista del Baath, quel che volete. Ma le prove dove sono? Negli articoli del Guardian non ci sono. Si tratta di illazioni. Nel frattempo George rimane al suo posto. Nessun ufficiale americano si è dato la pena di arrestarlo, o almeno di sollevarlo dall’incarico, malgrado ci siano giornalisti italiani e inglesi con tanto di nomi e cognomi che lo accusano di furto.
Naturalmente tutti i giorni accade qualcosa, e domani George, manette ai polsi, potrebbe indicare agli americani dove tiene il bottino. Ma Camillo non lo sa. O lo sa? Sa qualcosa che non vuole dirci? O è solo un altro bluff?
D’altro canto bisogna ammettere che sta migliorando a vista d’occhio. Cita lunghi brani d’inglese nel tentativo di non farsi prendere in castagna. L’altro giorno ha addirittura scoperto che a Guantanamo non si sta poi così tanto bene. Oggi linca anche un altro pezzo del Guardian, con una tesi del tutto diversa sul caso del Museo. Insomma, ha capito di non avere a che fare con dei cretini. Questo è molto incoraggiante
E allora facciamo così: se entro giovedì arrestano George con l’accusa di furto e collaborazione col nemico, io pago a Camillo un caffè. Corretto.
A chi mi chiede di manifestare per gli studenti di Teheran, così come a chi mi chiedeva di manifestare per la buonuscita di Saddam Hussein, e, perché no, per la pace nel Congo, per l’indipendenza del Tibet, per il disarmo nordcoreano: mi sembrano tutte nobili cause, ma ho la sensazione che una chiassata davanti a un’ambasciata non servirebbe a niente.
(Perché invece cortei di milioni di persone contro l’articolo 18 e la guerra sono serviti a qualcosa? Domanda interessante).
Non credo che una manifestazione in Italia potrebbe ammorbidire la polizia di Teheran o convincere un tiranno alle dimissioni. Di solito preferisco manifestare contro le scelte che non apprezzo del mio governo e dei suoi principali alleati.
Mi sembra che questo tipo di manifestazioni servano più a chi le fa: se io scendo in piazza contro gli ayatollah dimostro a tutto il mondo, ma soprattutto a me stesso, che sono contro un odioso regime. Insomma, tifo rivolta. È anche un modo di sgravarsi la coscienza.
Così nessuno potrà dire che i pacifisti sono complici dei fondamentalisti… no, guardate, continueranno a dirlo. Le manifestazioni a Teheran sono seguite da tutti gli organi di stampa, compresi quelli vicini al Movimento. E dai siti d’informazione indipendente. Ma non importa. Ci sarà sempre qualche anima bella pronta a parlare di “indifferenza”. Se io non mi riempio la bocca tutti i giorni di paroloni come democrazia e libertà, questo non significa che io sia indifferente. Siamo tutti buoni a tifare rivolta, a mille e mille chilometri di distanza.
D’altro canto, se io fossi uno studente di Teheran, forse mi piacerebbe sapere che qualcuno in Italia tifa per me. (Dopodiché verrò ugualmente arrestato e torturato con utensili di fabbricazione italiana, ma è già qualcosa).
Per questo motivo mi sembra pur giusto aderire all’iniziativa di Sinistro (Ma perché chiamarla “Sweet Home Teheran”? Cosa c’entra l’Alabama?)
In seguito, se qualcuno un po’ volenteroso fosse in grado di informarci sulle aziende che fanno buoni affari col governo di Teheran, magari con commesse militari, si potrenbbe anche provare a fare qualche boicottaggio, eh? Che ne dite?
**** ****
Qui sotto, senza troppo chiasso (a quest’ora del venerdì la maggior parte della gente se n’è andata), vorrei tornare sul caso Camillo-museo. Mi dispiace aver abusato della vostra pazienza e di aver trasformato questo Museo in una specie di caso personale. Spero che si tratti dell’ultima volta.
Sapete, io sto pensando a una cosa. Il saccheggio del Museo (che non è stato difeso dagli americani, per loro stessa ammissione) è il tipico mostro in prima pagina: titoloni, tinte forti, e qualche settimana dopo la smentita in un trafiletto in terza pagina. Ci scandalizziamo? Succede così anche per gli assassini, per i p e d o f i l i, per le giovani guerriere USA salvate dagli eroici commandos americani.
Qualunque altro propagandista avrebbe potuto rivoltare la frittata ad arte: vedete, gli americani hanno salvato il museo dagli iracheni. E Camillo c’ha provato. Ma – questo è il punto – è riuscito infilarsi in un pasticcio notevole, praticamente da solo.
Ora, mentre altri giornalisti ci informano che la guerra non è mica finita, lui insiste nel conteggio delle opere mancanti. Siccome il direttore del museo, George, continua a lamentarsi del furto, per Camillo George è un fascista, George è "diventato un'icona della sinistra europea", e i milioni di ingenui italiani che gli danno retta sono filo-fascisti pure loro. E chi non ci crede è un credulone.
Purtroppo per Camillo, questi milioni di italiani ingenui non esistono. Ci sono, questo sì, migliaia di italiani che hanno letto su Repubblica che era stato trovato “il Tesoro degli Assiri” e hanno capito che si trattava del grosso dei tesori del Museo, perché, incredibile a dirsi, non hanno letto soltanto il titolo.
E poi c’è un piccolo italiano senza cognome, il sottoscritto, che si è dato la pena di tradurre le lamentele di George, visto che Camillo le lincava. Non l’avessi mai fatto!
Ora, qui c’è un problema. Forse George è davvero un poco di buono, un collaborazionista del Baath, quel che volete. Ma le prove dove sono? Negli articoli del Guardian non ci sono. Si tratta di illazioni. Nel frattempo George rimane al suo posto. Nessun ufficiale americano si è dato la pena di arrestarlo, o almeno di sollevarlo dall’incarico, malgrado ci siano giornalisti italiani e inglesi con tanto di nomi e cognomi che lo accusano di furto.
Naturalmente tutti i giorni accade qualcosa, e domani George, manette ai polsi, potrebbe indicare agli americani dove tiene il bottino. Ma Camillo non lo sa. O lo sa? Sa qualcosa che non vuole dirci? O è solo un altro bluff?
D’altro canto bisogna ammettere che sta migliorando a vista d’occhio. Cita lunghi brani d’inglese nel tentativo di non farsi prendere in castagna. L’altro giorno ha addirittura scoperto che a Guantanamo non si sta poi così tanto bene. Oggi linca anche un altro pezzo del Guardian, con una tesi del tutto diversa sul caso del Museo. Insomma, ha capito di non avere a che fare con dei cretini. Questo è molto incoraggiante
E allora facciamo così: se entro giovedì arrestano George con l’accusa di furto e collaborazione col nemico, io pago a Camillo un caffè. Corretto.
giovedì 19 giugno 2003
Scarpa, sei peggio di Rimbaud
Allora, caro Tiziano Scarpa, Autore Autorizzato, ti meriti pure una risposta. Ecco qui:
Sommario di questo post:
1. Non ci si comporta così su internet, sciocchino.
2. La prossima volta preparati meglio
3. La tua idea di letteratura è adolescenziale, quando cresci?
Comunque mi sei simpatico.
Credo che tu abbia capito più o meno cos’è un blog, e questo, per uno scrittore italiano, non è poco. Col tuo articolo hai messo a fuoco una serie di problemi autentici, e soprattutto ti sei comportato come si comporta un vero intellettuale onesto davanti a una realtà spiacevole: la accetta, la dichiara al mondo, la mette nero su bianco, anzi, grassetto su bianco:
Perché è inutile nasconderlo. Tutto ciò erode il mio status, il senso del mio mestiere, il mio ruolo sociale.
Hai perfettamente ragione. I blog erodono lo status degli scrittori. (Lo status dello “scrittore italiano”, poi, è talmente fragile che basta un paio di buone erosioni per ritrovarsi a terra).
Detto questo, devo cercare di spiegarti il perché il tuo pezzo, del tutto legittimo, è, come dire, inelegante. Tu hai fatto una cosa che su internet si può fare. Che tutti possono fare: segnalare la fuffa. Hai pescato due o tre citazioni sparse per dimostrare che sui blog ci sono soltranto “spiritosaggini, resoconti di seratine, episodietti, aneddotini… sempre e solo cazzeggio”.
Tutto questo non è vietato, per carità: e in un certo senso hai anche ragione. La maggior parte dei blog sono pieni di inutili dettagli.
Però... non ci si comporta così. Perché?
È un vecchio dibattito, che esiste da prima dei blog. Ha a che vedere con Internet, che in questa fase della sua evoluzione (la fase dell’open publishing) è una rete anarchica. Non esistono regole e ci sono ancora molti server gratuiti a disposizione. Il risultato è un’anarchia reale, vale a dire un far west. Tutti possono scrivere quello che vogliono, ma devono anche guardarsi alle spalle. Non esistono leggi. Ma esiste una specie di etichetta, un vago codice di comportamento. Provo a spiegartelo (purtroppo ogni tot mesi mi tocca spiegarlo a qualcuno).
Vedi, noi tutti diamo per scontato che internet è piena di fuffa, anzi, di merda. Lo sappiamo da sempre, non ci volevi senz'altro tu a farcelo presente. E non perdiamo tempo a criticare queste cose, perché è inutile. Chi scrive idiozie non smetterà di scriverle perché tu gli fai la morale, o perché tu gli chiedi di scrivere come Proust o Henry Miller. Continuerà invece a scrivere idiozie, godendo se mai del piacere di scandalizzare qualcuno, finché i server continueranno a essere gratis. (Inoltre, proprio perché dà uno sfogo a tanti produttori di fuffa, il blog ha una profonda utilità sociale, come si è detto a suo tempo qui, se hai voglia di dare un’occhiata).
Ciò non toglie che ci si debba battere per la qualità di internet, ma in un modo diverso da quello che predichi tu. Lo ripeto per l’ennesima volta: la fuffa non si processa, non perché sia giusta, ma perché è inevitabile. L’unico modo di migliorare internet è contribuirvi con contenuti di qualità. Ogni giorno, se possibile. Come si dice ai critici di Indymedia: invece di lamentarvi perché postano sciocchezze, postate interventi intelligenti. Coi blog vale la stessa cosa.
Per cui, capisci, i blog sono una piccola rivoluzione copernicana. Una volta c’erano pochi scrittori ‘di classe’ e molti lettori passivi. Oggi la piramide si rovescia: tutti scrivono (e la maggior parte, ovviamente, scrive male). Poi c’è un’élite di lettori che riesce a discriminare il buono dall’inutile. Naturalmente la ricerca non è mai infallibile e non è mai finita. Ma tutto sommato il modello funziona: ci sono varie comunità, un intreccio di link abbastanza attendibili, un sistema che non è poi così impenetrabile alle novità, altrimenti si sarebbe fossilizzato da mesi.
Per questo, caro Tiziano Scarpa, Autore Autorizzato, devo avvertirti che il tuo intervento è ancora più antipatico di quanto tu non avessi creduto scrivendolo. Sei arrivato in un mondo che non conosci ancora molto bene, e invece di cercare le cose buone che ci sono, e di capire come funziona il sistema, hai pensato subito di giocare la carta del provocatore. Per te dovremmo metterci tutti a scrivere come Catullo, Agostino, Montaigne, Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin, Paul Léautaud. Ohibò, una cosa da niente. Io non credo di aver mai scritto come Catullo, Agostino, ecc..
Ma se anche avessi scritto qualcosa di paragonabile al Multas per gentes di Catullo, dì la verità:
tu te ne saresti accorto? No.
E se avessi scritto un pezzo in grado di competere con Agostino o Céline, tu l’avresti trovato? No. Eri troppo occupato a cercare frammenti qua e là per dimostrare che i blog sono “peggio di Liala”.
Miei cari blogger, datevi una scossa. E’ arrivato il momento di fare un salto di qualità, di intensità. Perché non mi raccontate qualcosa che vi costi vergogna, e dolore? Perché vi fermate sempre sulla soglia della camera da letto, come Liala? Sulla soglia del salotto, del bagno, della cucina, sulla soglia dell’aria aperta. Vi fermate sempre sulla soglia di qualcosa! Perché non mi raccontate i vostri conflitti duri, sul lavoro, in famiglia, a scuola?
Tu vorresti che i blog diventassero un movimento letterario. Beh, non è male come idea.
Ma sei proprio sicuro che per me la Letteratura sia “il rischio, l’oltranza, il tuffo nell’abisso, il volo verso l’alto, l’azzardo”? Dove hai trovato quest’accozzaglia di sostantivi? in qualche sottospecie di Rimbaud?
Sai cos’hanno in comune gli autori del tuo canone: Catullo, Agostino, Montaigne, Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin? Sono piuttosto noiosi. Spesso di una noia sublime, ma in ogni caso molto rischiosa da riprodurre. Tutti questi rischi, queste oltranze, questi tuffi negli abissi, a diciotto anni mi piacevano, ma in seguito… Del resto anche Rimbaud si stancò presto di tutti questo assoluto: è una cosa molto adolescenziale, ma le adolescenze, prima o poi, finiscono. Il blog è una prassi quotidiana: non ci si può buttare nel vuoto tutti i giorni, con la gente che ti linca e lascia i suoi commenti. È una cosa un po’ invereconda: non ci si comporta così in società.
Il che non significa che non si possa riuscire a far ridere, piangere, addirittura a far pensare i propri lettori. Ma bisogna adoperare una strategia più sottile, come dire, più adulta. Non direi minimalista, è un aggettivo che non mi piace. Preferirei crepuscolare: in ogni autore di blog c’è la stoffa di un borghese onesto. E sotto quella stoffa, l’anarchia di un vero libertino. Ma ci vuole un po’ di esperienza per accorgersene. I blog sono per gli adulti.
Anzi, posso permettermi un giudizio letterario? Sai secondo me cosa c’è che non va negli scrittori italiani? Non scrivono male. Ma quando cercano di imitare Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin… sono patetici. E non tanto credibili. Visto che vivono nello stesso mondo che viviamo noi, e noi lo sappiamo bene che non è un mondo di rischi, oltranze, abissi e voli. Invece è un mondo di file in autostrada, rincari nei supermercati, grandine in luglio e pessimi cappuccini. Questo è il nostro mondo, questo bisognerebbe descrivere. E non è difficile: se ci riescono i blog, perché non dovrebbe riuscirci chiunque. E allora, coraggio, ragazzini. Basta voli e basta abissi, mettetevi un vestito decente e cominciate a scrivere come si deve.
Allora, caro Tiziano Scarpa, Autore Autorizzato, ti meriti pure una risposta. Ecco qui:
Sommario di questo post:
1. Non ci si comporta così su internet, sciocchino.
2. La prossima volta preparati meglio
3. La tua idea di letteratura è adolescenziale, quando cresci?
Comunque mi sei simpatico.
Credo che tu abbia capito più o meno cos’è un blog, e questo, per uno scrittore italiano, non è poco. Col tuo articolo hai messo a fuoco una serie di problemi autentici, e soprattutto ti sei comportato come si comporta un vero intellettuale onesto davanti a una realtà spiacevole: la accetta, la dichiara al mondo, la mette nero su bianco, anzi, grassetto su bianco:
Perché è inutile nasconderlo. Tutto ciò erode il mio status, il senso del mio mestiere, il mio ruolo sociale.
Hai perfettamente ragione. I blog erodono lo status degli scrittori. (Lo status dello “scrittore italiano”, poi, è talmente fragile che basta un paio di buone erosioni per ritrovarsi a terra).
Detto questo, devo cercare di spiegarti il perché il tuo pezzo, del tutto legittimo, è, come dire, inelegante. Tu hai fatto una cosa che su internet si può fare. Che tutti possono fare: segnalare la fuffa. Hai pescato due o tre citazioni sparse per dimostrare che sui blog ci sono soltranto “spiritosaggini, resoconti di seratine, episodietti, aneddotini… sempre e solo cazzeggio”.
Tutto questo non è vietato, per carità: e in un certo senso hai anche ragione. La maggior parte dei blog sono pieni di inutili dettagli.
Però... non ci si comporta così. Perché?
È un vecchio dibattito, che esiste da prima dei blog. Ha a che vedere con Internet, che in questa fase della sua evoluzione (la fase dell’open publishing) è una rete anarchica. Non esistono regole e ci sono ancora molti server gratuiti a disposizione. Il risultato è un’anarchia reale, vale a dire un far west. Tutti possono scrivere quello che vogliono, ma devono anche guardarsi alle spalle. Non esistono leggi. Ma esiste una specie di etichetta, un vago codice di comportamento. Provo a spiegartelo (purtroppo ogni tot mesi mi tocca spiegarlo a qualcuno).
Vedi, noi tutti diamo per scontato che internet è piena di fuffa, anzi, di merda. Lo sappiamo da sempre, non ci volevi senz'altro tu a farcelo presente. E non perdiamo tempo a criticare queste cose, perché è inutile. Chi scrive idiozie non smetterà di scriverle perché tu gli fai la morale, o perché tu gli chiedi di scrivere come Proust o Henry Miller. Continuerà invece a scrivere idiozie, godendo se mai del piacere di scandalizzare qualcuno, finché i server continueranno a essere gratis. (Inoltre, proprio perché dà uno sfogo a tanti produttori di fuffa, il blog ha una profonda utilità sociale, come si è detto a suo tempo qui, se hai voglia di dare un’occhiata).
Ciò non toglie che ci si debba battere per la qualità di internet, ma in un modo diverso da quello che predichi tu. Lo ripeto per l’ennesima volta: la fuffa non si processa, non perché sia giusta, ma perché è inevitabile. L’unico modo di migliorare internet è contribuirvi con contenuti di qualità. Ogni giorno, se possibile. Come si dice ai critici di Indymedia: invece di lamentarvi perché postano sciocchezze, postate interventi intelligenti. Coi blog vale la stessa cosa.
Per cui, capisci, i blog sono una piccola rivoluzione copernicana. Una volta c’erano pochi scrittori ‘di classe’ e molti lettori passivi. Oggi la piramide si rovescia: tutti scrivono (e la maggior parte, ovviamente, scrive male). Poi c’è un’élite di lettori che riesce a discriminare il buono dall’inutile. Naturalmente la ricerca non è mai infallibile e non è mai finita. Ma tutto sommato il modello funziona: ci sono varie comunità, un intreccio di link abbastanza attendibili, un sistema che non è poi così impenetrabile alle novità, altrimenti si sarebbe fossilizzato da mesi.
Per questo, caro Tiziano Scarpa, Autore Autorizzato, devo avvertirti che il tuo intervento è ancora più antipatico di quanto tu non avessi creduto scrivendolo. Sei arrivato in un mondo che non conosci ancora molto bene, e invece di cercare le cose buone che ci sono, e di capire come funziona il sistema, hai pensato subito di giocare la carta del provocatore. Per te dovremmo metterci tutti a scrivere come Catullo, Agostino, Montaigne, Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin, Paul Léautaud. Ohibò, una cosa da niente. Io non credo di aver mai scritto come Catullo, Agostino, ecc..
Ma se anche avessi scritto qualcosa di paragonabile al Multas per gentes di Catullo, dì la verità:
tu te ne saresti accorto? No.
E se avessi scritto un pezzo in grado di competere con Agostino o Céline, tu l’avresti trovato? No. Eri troppo occupato a cercare frammenti qua e là per dimostrare che i blog sono “peggio di Liala”.
Miei cari blogger, datevi una scossa. E’ arrivato il momento di fare un salto di qualità, di intensità. Perché non mi raccontate qualcosa che vi costi vergogna, e dolore? Perché vi fermate sempre sulla soglia della camera da letto, come Liala? Sulla soglia del salotto, del bagno, della cucina, sulla soglia dell’aria aperta. Vi fermate sempre sulla soglia di qualcosa! Perché non mi raccontate i vostri conflitti duri, sul lavoro, in famiglia, a scuola?
Tu vorresti che i blog diventassero un movimento letterario. Beh, non è male come idea.
Ma sei proprio sicuro che per me la Letteratura sia “il rischio, l’oltranza, il tuffo nell’abisso, il volo verso l’alto, l’azzardo”? Dove hai trovato quest’accozzaglia di sostantivi? in qualche sottospecie di Rimbaud?
Sai cos’hanno in comune gli autori del tuo canone: Catullo, Agostino, Montaigne, Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin? Sono piuttosto noiosi. Spesso di una noia sublime, ma in ogni caso molto rischiosa da riprodurre. Tutti questi rischi, queste oltranze, questi tuffi negli abissi, a diciotto anni mi piacevano, ma in seguito… Del resto anche Rimbaud si stancò presto di tutti questo assoluto: è una cosa molto adolescenziale, ma le adolescenze, prima o poi, finiscono. Il blog è una prassi quotidiana: non ci si può buttare nel vuoto tutti i giorni, con la gente che ti linca e lascia i suoi commenti. È una cosa un po’ invereconda: non ci si comporta così in società.
Il che non significa che non si possa riuscire a far ridere, piangere, addirittura a far pensare i propri lettori. Ma bisogna adoperare una strategia più sottile, come dire, più adulta. Non direi minimalista, è un aggettivo che non mi piace. Preferirei crepuscolare: in ogni autore di blog c’è la stoffa di un borghese onesto. E sotto quella stoffa, l’anarchia di un vero libertino. Ma ci vuole un po’ di esperienza per accorgersene. I blog sono per gli adulti.
Anzi, posso permettermi un giudizio letterario? Sai secondo me cosa c’è che non va negli scrittori italiani? Non scrivono male. Ma quando cercano di imitare Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin… sono patetici. E non tanto credibili. Visto che vivono nello stesso mondo che viviamo noi, e noi lo sappiamo bene che non è un mondo di rischi, oltranze, abissi e voli. Invece è un mondo di file in autostrada, rincari nei supermercati, grandine in luglio e pessimi cappuccini. Questo è il nostro mondo, questo bisognerebbe descrivere. E non è difficile: se ci riescono i blog, perché non dovrebbe riuscirci chiunque. E allora, coraggio, ragazzini. Basta voli e basta abissi, mettetevi un vestito decente e cominciate a scrivere come si deve.
martedì 17 giugno 2003
Se io oggi avessi vent’anni, sarei chiuso nella mia stanza a sudare e studiare, con una cartina aperta sulla scrivania, perché dopo l’esame voglio prendere la bicicletta e andare al mare. Se io oggi avessi vent’anni, potrei farcela, anche se è da un po’ che non mi alleno.
Se invece tu avessi vent’anni, e perché non dovresti averli, saresti chiuso in questa stessa stanza a sudare e studiare, probabilmente diritto. Al mattino avresti fatto un turno in croce blu, la sera avresti una riunione per il campo scout. In mezzo, prima di cena, ci sta anche un giro in bicicletta, per tenersi in movimento.
Oppure verrebbero i tuoi amici per il compleanno, si accomoderebbero in terrazza, ci sarebbe il tempo per bersi una birra e fumare e litigare di politica. E la torta di frutta della mamma.
E poi ci sarei io, che se tu avessi vent’anni mi farei vivo con un pacchetto qualsiasi, un libro che non sei obbligato a leggere o un cd che più tardi mi faro’ duplicare, e le mie battutine che sopporti da vent’anni: come andiamo, avvocato? Ops, magistrato. Magistrato, lei è prevenuto nei miei confronti. E' un legittimo sospetto. Si’, è vero, non mi sono sempre comportato bene. Ma hai solo prove indiziarie.
Oppure, se tu avessi vent’anni e una certa dose di fortuna, balbetteresti qualche scusa e te ne andresti via in macchina da solo. Passeresti a prendere una ragazza che non hai mai presentato a nessuno, e che ti terrebbe stretto: certe persone non si trovano tutti i giorni. Ci si puo’ mettere vent’anni, anche trenta, nessuno sa il perché, nessuno ha il consiglio giusto: io credo che a vent’anni tutti avrebbero il diritto, ma è un pensiero stupido. Ma almeno tu, se oggi avessi vent’anni.
Pero’ tu oggi non hai vent’anni, e neanch’io, e non so davvero cosa dovrei fare: nessuno lo sa, nessuno ha il consiglio giusto.
Mettero’ su un disco che ti piaceva, sfogliero’ un libro che ti ho regalato; oppure cerchero’ di mettere ordine li’ dentro e inciampero’ nei tuoi appunti. O faro’ finta di niente, perché oggi nessuno compie gli anni, ed è stupido voler dare un anche al dolore un calendario, una scadenza. Scrivero’ un pezzo di quelli che ogni tanto ti piacevano (e ogni tanto invece no): cosi’ mi capiterà di passare un po’ di tristezza anche agli sconosciuti, un bel risultato.
Insomma, non lo so. Io faccio retorica e la retorica ha dei limiti. La realtà è molto semplice, e non interessa tantissime persone: tu non compirai mai vent’anni, e io non mi daro’ mai pace. Ogni gioia, ogni libro, ogni cd, mi sembrerà di averteli presi in prestito, e di non poterteli più restituire. Tutto qui.
Se invece tu avessi vent’anni, e perché non dovresti averli, saresti chiuso in questa stessa stanza a sudare e studiare, probabilmente diritto. Al mattino avresti fatto un turno in croce blu, la sera avresti una riunione per il campo scout. In mezzo, prima di cena, ci sta anche un giro in bicicletta, per tenersi in movimento.
Oppure verrebbero i tuoi amici per il compleanno, si accomoderebbero in terrazza, ci sarebbe il tempo per bersi una birra e fumare e litigare di politica. E la torta di frutta della mamma.
E poi ci sarei io, che se tu avessi vent’anni mi farei vivo con un pacchetto qualsiasi, un libro che non sei obbligato a leggere o un cd che più tardi mi faro’ duplicare, e le mie battutine che sopporti da vent’anni: come andiamo, avvocato? Ops, magistrato. Magistrato, lei è prevenuto nei miei confronti. E' un legittimo sospetto. Si’, è vero, non mi sono sempre comportato bene. Ma hai solo prove indiziarie.
Oppure, se tu avessi vent’anni e una certa dose di fortuna, balbetteresti qualche scusa e te ne andresti via in macchina da solo. Passeresti a prendere una ragazza che non hai mai presentato a nessuno, e che ti terrebbe stretto: certe persone non si trovano tutti i giorni. Ci si puo’ mettere vent’anni, anche trenta, nessuno sa il perché, nessuno ha il consiglio giusto: io credo che a vent’anni tutti avrebbero il diritto, ma è un pensiero stupido. Ma almeno tu, se oggi avessi vent’anni.
Pero’ tu oggi non hai vent’anni, e neanch’io, e non so davvero cosa dovrei fare: nessuno lo sa, nessuno ha il consiglio giusto.
Mettero’ su un disco che ti piaceva, sfogliero’ un libro che ti ho regalato; oppure cerchero’ di mettere ordine li’ dentro e inciampero’ nei tuoi appunti. O faro’ finta di niente, perché oggi nessuno compie gli anni, ed è stupido voler dare un anche al dolore un calendario, una scadenza. Scrivero’ un pezzo di quelli che ogni tanto ti piacevano (e ogni tanto invece no): cosi’ mi capiterà di passare un po’ di tristezza anche agli sconosciuti, un bel risultato.
Insomma, non lo so. Io faccio retorica e la retorica ha dei limiti. La realtà è molto semplice, e non interessa tantissime persone: tu non compirai mai vent’anni, e io non mi daro’ mai pace. Ogni gioia, ogni libro, ogni cd, mi sembrerà di averteli presi in prestito, e di non poterteli più restituire. Tutto qui.
lunedì 16 giugno 2003
Fu un fulmine a ciel sereno, che colse alla sprovvista i commentatori più navigati.
Il quorum mancato, chi avrebbe mai potuto immaginarlo?
Eppure qualcuno lo aveva previsto.
Intelligenza politica? Calcolo delle probabilità? Intuito femminile? No. Preveggenza. Nessuna teoria scientifica era in grado di spiegare le premonizioni dei soggetti-Cassandra. Si trattava di persone normali, dotate di una certa razionalità e un sano buon senso, che durante i mesi dell’eroica campagna elettorale avevano avuto una sorta di illuminazione. D’un tratto avevano saputo che il quorum non sarebbe stato raggiunto.
Molti soggetti-Cassandra, essendo attivisti o simpatizzanti del movimento referendario, si erano tenuti l’illuminazione per sé. Ciononostante, la voce era si era diffusa. I soggetti-Cassandra forse erano dei menagrami, in ogni caso perché non schedarli e studiarli approfonditamente? Chissà. Potevano essere perfino una risorsa per la prossima, eroica battaglia.
Si apri’ un dossier riservatissimo. Ma la redazione di Leonardo, veramente una spanna sopra qualsiasi cosa, è in grado di pubblicarne alcuni stralci: le testimonianze di qualche soggetto-Cassandra. Oltre le soglie della realtà. Siete pronti?
Cassandra Connection
Testimonianza di XXX, assistente universitario al Dipartimento di Scienze Inutili di Vetulonia:
Allora, quella c’era la riunione del comitato della mia città, e io ci sono andato, anche se avevo già deciso di votare Si’. La riunione era nella sede di un Partito che non era d’accordo sul referendum, ma questo lo sapevamo già e non ci preoccupavamo.
Quando sono entrato nell’ampia sala ho visto che al tavolo dei relatori c’erano 15 persone: uno dei verdi, uno del sindacato, un altro del sindacato, uno del partito, un altro del partito, uno del movimento, ecc.. “Minchia!”, mi sono detto, “questo si’ che è un Comitato”.
E… in platea?
In platea? Quando sono arrivato io c’erano tre persone, e cioè: io, la mia ragazza che mi aspettava, e un mio amico idiota, che era l’unico li’ dentro a non aver ancora deciso cosa votare. Per cui nella sala eravamo 17 Si’ e un indeciso! Non c’era storia, capisce.
E poi cos’è successo?
A un certo punto stava parlando uno dei relatori, spiegava perché era importante votare Si’, e si doleva perché nella nostra Città eravamo stati costretti a fare due comitati. E io pensai che se da qualche parte in città c’era un’altra tavola con altre 15 persone che si riunivano, la maggioranza era ancora più schiacciante! In quel momento c’è stato un gran frastuono.
Un fulmine? Un monito divino?
No, la macchinetta da caffè nell’ingresso. Il mio amico idiota si stava facendo un caffè, sa, quelle macchinette sono assordanti. Insomma, il rumore di un caffè copriva totalmente il dibattito di 15 persone ragionevoli e convinte. In quel momento ho capito che non avremmo raggiunto il quorum. Lo so che è irrazionale, ma non sono più riuscito a togliermelo dalla testa.
Testimonianza di YYY, supplente di Scuola Media.
Beh, ero appena arrivato alla festa di fine anno della mia scuola, quando m’imbatto nel genitore di uno dei miei alunni, che mi fa:”Ehi! Ciao, capo!”
I genitori dei suoi alunni la trattano cosi’?
No, di solito no, ma lui è originario del Ghana, ha modi un po’ spicci, ma è simpatico. Stava confabulando con altri genitori, un capannello multietnico.
Nel senso che gli altri erano italiani?
Marocchini. Beh, mi salutano, mi chiedono come sto, se sono contento che adesso vado in vacanza… gli spiego che la mia non è proprio vacanza, è disoccupazione, sa, io sono precario. Per cui non so nemmeno se ci sara’ il prossimo anno, coi loro ragazzi, anzi, quasi sicuramente no. E loro scuotono la testa.
Il più scuro di pelle fa: “Eh, perché è a Roma che decidono”.
E uno più chiaro: “E’ che a Roma non lavorano, fanno solo i comodi loro”.
E poi: “Ma si’, e adesso, poi, con ‘sto articolo 18…”
Io ho balbettato qualcosa, ho sorriso e ho cambiato argomento, ma in quel momento il Dubbio si è impossessato di me.
Il Dubbio?
No, volevo dire, la Certezza. La certezza che il 16 giugno avremmo fatto una brutta figura. Irrazionale, lo so: quella gente probabilmente non ha il diritto di voto, anche se lavora da più di dieci anni e ha i figli alla Scuola Media. Ma sentirsi fare un discorso da Roma Ladrona proprio da loro, beh, mi ha scombussolato un po’.
Testimonianza di ZZZ
Fu una settimana prima, stavo facendo una vasca al centro col mio ragazzo, di sinistra anch’esso. Ricordo soprattutto un gran caldo. Avevo appena formulato un pensiero: “Il prossimo week-end al mare!”, vergognandomene un po’. D’un tratto un camioncino sferragliante imbocco’ via Farini. Sul cassonetto c’era un tale col microfono. Diceva… non si capiva nulla di quel che diceva. Altri due distribuivano adesivi col SI’.
E fu in quel momento che…
Ho pensato: che modo rozzo, disperato, per convincere la gente. Tutt’intorno i negozi più cari della città. Butic, gioiellerie. Un solo slogan, ovunque, senza bisogno di cartelloni: Compra. Fa’ girare l’economia. Puoi sembrare ricco, se compri cose da ricco. Puoi essere ricco. E in mezzo alla strada un camioncino sferragliante che ti dice: “Sei povero. Non hai più sicurezze. Il massimo che puoi chiedere è di tornare al tuo posto dopo che il capo ti ha umiliato di fronte ai tuoi colleghi”.
Ha cambiato idea sul diritto al reintegro?
No. Ma ho pensato che il referendum non se lo sarebbe filato nessuno. E non sono più riuscita a cambiare idea. Irrazionale, lo so. Era solo un camioncino, tutti fanno campagna come possono. Mi dispiace avere avuto ragione.
Dispiaceva a tutti.
Sul fenomeno dei soggetti-Cassandra il Movimento (stranamente) si spacco’. Per alcuni le Cassandre rappresentavano una risorsa: come avevano annunciato una sconfitta, avrebbero potuto annunciare presto le nuove mirabolanti vittorie. Per altri le Cassandre erano solo dei pericolosi deviazionisti, che invece di darsi da fare a convincere il vicino di casa preferivano affidarsi alle loro sensazioni borghesi, e probabilmente portavano anche sfiga. Il dibattito fu acceso. Faceva caldo.
Poi qualcuno comincio’ a parlar d’altro, gli altri lo seguirono, il dossier si infilo’ in un cassetto che nessuno più riapri’. A settembre venne un grande acquazzone e nacque un comitato per un altro referendum.
La vittoria era sempre più vicina.
Potevi quasi toccarla con le dita.
Il quorum mancato, chi avrebbe mai potuto immaginarlo?
Eppure qualcuno lo aveva previsto.
Intelligenza politica? Calcolo delle probabilità? Intuito femminile? No. Preveggenza. Nessuna teoria scientifica era in grado di spiegare le premonizioni dei soggetti-Cassandra. Si trattava di persone normali, dotate di una certa razionalità e un sano buon senso, che durante i mesi dell’eroica campagna elettorale avevano avuto una sorta di illuminazione. D’un tratto avevano saputo che il quorum non sarebbe stato raggiunto.
Molti soggetti-Cassandra, essendo attivisti o simpatizzanti del movimento referendario, si erano tenuti l’illuminazione per sé. Ciononostante, la voce era si era diffusa. I soggetti-Cassandra forse erano dei menagrami, in ogni caso perché non schedarli e studiarli approfonditamente? Chissà. Potevano essere perfino una risorsa per la prossima, eroica battaglia.
Si apri’ un dossier riservatissimo. Ma la redazione di Leonardo, veramente una spanna sopra qualsiasi cosa, è in grado di pubblicarne alcuni stralci: le testimonianze di qualche soggetto-Cassandra. Oltre le soglie della realtà. Siete pronti?
Cassandra Connection
Testimonianza di XXX, assistente universitario al Dipartimento di Scienze Inutili di Vetulonia:
Allora, quella c’era la riunione del comitato della mia città, e io ci sono andato, anche se avevo già deciso di votare Si’. La riunione era nella sede di un Partito che non era d’accordo sul referendum, ma questo lo sapevamo già e non ci preoccupavamo.
Quando sono entrato nell’ampia sala ho visto che al tavolo dei relatori c’erano 15 persone: uno dei verdi, uno del sindacato, un altro del sindacato, uno del partito, un altro del partito, uno del movimento, ecc.. “Minchia!”, mi sono detto, “questo si’ che è un Comitato”.
E… in platea?
In platea? Quando sono arrivato io c’erano tre persone, e cioè: io, la mia ragazza che mi aspettava, e un mio amico idiota, che era l’unico li’ dentro a non aver ancora deciso cosa votare. Per cui nella sala eravamo 17 Si’ e un indeciso! Non c’era storia, capisce.
E poi cos’è successo?
A un certo punto stava parlando uno dei relatori, spiegava perché era importante votare Si’, e si doleva perché nella nostra Città eravamo stati costretti a fare due comitati. E io pensai che se da qualche parte in città c’era un’altra tavola con altre 15 persone che si riunivano, la maggioranza era ancora più schiacciante! In quel momento c’è stato un gran frastuono.
Un fulmine? Un monito divino?
No, la macchinetta da caffè nell’ingresso. Il mio amico idiota si stava facendo un caffè, sa, quelle macchinette sono assordanti. Insomma, il rumore di un caffè copriva totalmente il dibattito di 15 persone ragionevoli e convinte. In quel momento ho capito che non avremmo raggiunto il quorum. Lo so che è irrazionale, ma non sono più riuscito a togliermelo dalla testa.
Testimonianza di YYY, supplente di Scuola Media.
Beh, ero appena arrivato alla festa di fine anno della mia scuola, quando m’imbatto nel genitore di uno dei miei alunni, che mi fa:”Ehi! Ciao, capo!”
I genitori dei suoi alunni la trattano cosi’?
No, di solito no, ma lui è originario del Ghana, ha modi un po’ spicci, ma è simpatico. Stava confabulando con altri genitori, un capannello multietnico.
Nel senso che gli altri erano italiani?
Marocchini. Beh, mi salutano, mi chiedono come sto, se sono contento che adesso vado in vacanza… gli spiego che la mia non è proprio vacanza, è disoccupazione, sa, io sono precario. Per cui non so nemmeno se ci sara’ il prossimo anno, coi loro ragazzi, anzi, quasi sicuramente no. E loro scuotono la testa.
Il più scuro di pelle fa: “Eh, perché è a Roma che decidono”.
E uno più chiaro: “E’ che a Roma non lavorano, fanno solo i comodi loro”.
E poi: “Ma si’, e adesso, poi, con ‘sto articolo 18…”
Io ho balbettato qualcosa, ho sorriso e ho cambiato argomento, ma in quel momento il Dubbio si è impossessato di me.
Il Dubbio?
No, volevo dire, la Certezza. La certezza che il 16 giugno avremmo fatto una brutta figura. Irrazionale, lo so: quella gente probabilmente non ha il diritto di voto, anche se lavora da più di dieci anni e ha i figli alla Scuola Media. Ma sentirsi fare un discorso da Roma Ladrona proprio da loro, beh, mi ha scombussolato un po’.
Testimonianza di ZZZ
Fu una settimana prima, stavo facendo una vasca al centro col mio ragazzo, di sinistra anch’esso. Ricordo soprattutto un gran caldo. Avevo appena formulato un pensiero: “Il prossimo week-end al mare!”, vergognandomene un po’. D’un tratto un camioncino sferragliante imbocco’ via Farini. Sul cassonetto c’era un tale col microfono. Diceva… non si capiva nulla di quel che diceva. Altri due distribuivano adesivi col SI’.
E fu in quel momento che…
Ho pensato: che modo rozzo, disperato, per convincere la gente. Tutt’intorno i negozi più cari della città. Butic, gioiellerie. Un solo slogan, ovunque, senza bisogno di cartelloni: Compra. Fa’ girare l’economia. Puoi sembrare ricco, se compri cose da ricco. Puoi essere ricco. E in mezzo alla strada un camioncino sferragliante che ti dice: “Sei povero. Non hai più sicurezze. Il massimo che puoi chiedere è di tornare al tuo posto dopo che il capo ti ha umiliato di fronte ai tuoi colleghi”.
Ha cambiato idea sul diritto al reintegro?
No. Ma ho pensato che il referendum non se lo sarebbe filato nessuno. E non sono più riuscita a cambiare idea. Irrazionale, lo so. Era solo un camioncino, tutti fanno campagna come possono. Mi dispiace avere avuto ragione.
Dispiaceva a tutti.
Sul fenomeno dei soggetti-Cassandra il Movimento (stranamente) si spacco’. Per alcuni le Cassandre rappresentavano una risorsa: come avevano annunciato una sconfitta, avrebbero potuto annunciare presto le nuove mirabolanti vittorie. Per altri le Cassandre erano solo dei pericolosi deviazionisti, che invece di darsi da fare a convincere il vicino di casa preferivano affidarsi alle loro sensazioni borghesi, e probabilmente portavano anche sfiga. Il dibattito fu acceso. Faceva caldo.
Poi qualcuno comincio’ a parlar d’altro, gli altri lo seguirono, il dossier si infilo’ in un cassetto che nessuno più riapri’. A settembre venne un grande acquazzone e nacque un comitato per un altro referendum.
La vittoria era sempre più vicina.
Potevi quasi toccarla con le dita.
venerdì 13 giugno 2003
Ma si'
(ma perché no).
Lo so che le metafore guerresche sono antipatiche, e prometto di usarle meno, ma stanotte mi è venuta in mente questa:
Mettiamo che tu sia un fantaccino in guerra, e mettiamo che i tuoi superiori facciano un errore strategico ficcandoti in un guaio: che fai, non combatti? Metti il broncio?
Io il 15 giugno votero' Si' all’estensione dei diritto al reintegro nelle aziende con meno di 16 dipendenti. Anche se credo che questo referendum sia stato un errore strategico: pero' non è più tempo di lamentarsi. Piuttosto, se si puo' dare una mano a mandare a quel paese la retorica della flessibilità, volentieri.
(E questa, per quanto contorta, piu' o meno è anche la posizione della cgil).
Votare si' non cambia il mondo, non risolve i problemi del mobbing e del lavoro nero; pero' è un’opportunità e sarebbe sciocco non tentarla. Con la legge delega n° 30 del 14.02.03, Maroni ha reso possibile frammentare le società in piccole imprese con meno di 15 dipendenti (trucco che dalle nostre parti era già stato sperimentato con successo). A questo punto i casi sono due: o togliamo a tutti la giusta causa (e allora il 23 marzo 2002 cosa abbiamo sfilato a fare), o proviamo a estenderla. Io preferisco la seconda.
Non cambia il mio giudizio sui superiori. In un bel guaio mi hanno cacciato, per ingenuità o per calcolo. Se alcuni di loro cadessero proprio in questa trincea, non ne farei un dramma. Ma non succederà. Lunedi' si conteranno i voti e si scoprirà che tutti hanno vinto, come da copione. Io metto le mani avanti:
– se la percentuale votanti oltrepasserà il 40%, dico che è un successo.
– se sarà scesa sotto il 30%, disfatta.
Tutto qui.
(Sull’altro referendum ho tuttora le idee confuse, ma mi trovo d’accordo con Livefast: quando domani busseranno alla vostra porta chiedendovi di far passare il traliccione sulla vostra testa, abbiate il buon gusto di dire "signorsi'" e stare zitti.)
(Questo pezzo viene pubblicato nel mattino inoltrato per intercessione divina).
(ma perché no).
Lo so che le metafore guerresche sono antipatiche, e prometto di usarle meno, ma stanotte mi è venuta in mente questa:
Mettiamo che tu sia un fantaccino in guerra, e mettiamo che i tuoi superiori facciano un errore strategico ficcandoti in un guaio: che fai, non combatti? Metti il broncio?
Io il 15 giugno votero' Si' all’estensione dei diritto al reintegro nelle aziende con meno di 16 dipendenti. Anche se credo che questo referendum sia stato un errore strategico: pero' non è più tempo di lamentarsi. Piuttosto, se si puo' dare una mano a mandare a quel paese la retorica della flessibilità, volentieri.
(E questa, per quanto contorta, piu' o meno è anche la posizione della cgil).
Votare si' non cambia il mondo, non risolve i problemi del mobbing e del lavoro nero; pero' è un’opportunità e sarebbe sciocco non tentarla. Con la legge delega n° 30 del 14.02.03, Maroni ha reso possibile frammentare le società in piccole imprese con meno di 15 dipendenti (trucco che dalle nostre parti era già stato sperimentato con successo). A questo punto i casi sono due: o togliamo a tutti la giusta causa (e allora il 23 marzo 2002 cosa abbiamo sfilato a fare), o proviamo a estenderla. Io preferisco la seconda.
Non cambia il mio giudizio sui superiori. In un bel guaio mi hanno cacciato, per ingenuità o per calcolo. Se alcuni di loro cadessero proprio in questa trincea, non ne farei un dramma. Ma non succederà. Lunedi' si conteranno i voti e si scoprirà che tutti hanno vinto, come da copione. Io metto le mani avanti:
– se la percentuale votanti oltrepasserà il 40%, dico che è un successo.
– se sarà scesa sotto il 30%, disfatta.
Tutto qui.
(Sull’altro referendum ho tuttora le idee confuse, ma mi trovo d’accordo con Livefast: quando domani busseranno alla vostra porta chiedendovi di far passare il traliccione sulla vostra testa, abbiate il buon gusto di dire "signorsi'" e stare zitti.)
(Questo pezzo viene pubblicato nel mattino inoltrato per intercessione divina).
giovedì 12 giugno 2003
mercoledì 11 giugno 2003
Per gli appassionati, qui (da qualche parte) ci dovrebbe essere la mia controreplica alla controreplica della replica di Camillo. Non me ne vorrete se invece qui parlo d’altro, che so, di Berlusconi.
Io e Berlusconi
(stiamo invecchiando assieme)
Io credo che il popolo israeliano avesse già molte scalogne, senza bisogno di aggiungere Berlusconi, una ignobile beffa in mezzo a tanti danni. Qualche giorno fa una personalità abbastanza autorevole, e non proprio di sinistra, il Commissario Monti, aveva mandato a dire che bisognava piantarla di promettere l’Europa a chiunque, che tutte queste promesse finivano col danneggiare chi le faceva e chi le riceveva. E lui che ti fa? Vola in Israele e promette l’Europa.
Possiamo provare a ragionare sulla cosa: Berlusconi non ha sentito Monti? Ha sentito Monti ma è convinto di saperla più lunga? All’estero è incapace di controllarsi? Il semestre europeo promette davvero bene. Ecc., ecc..
Con tutto che magari qui passa qualcuno che in Berlusconi ci crede, che è convinto che lui si sia in grado di muoversi perfettamente nella politica estera, e che si meriterebbe perfino una nomination al Nobel. Beh, credetemi o no, stasera non mi va di litigare.
Proviamo almeno a convenire su un punto: quest’uomo ci divide.
Più di ogni ideologia, che onestamente io non ho, e neanche voi penso che ce l’abbiate. Più di ogni differenza di classe, di generazione, di identità, di mentalità. Quest’uomo ci divide più di ogni altra cosa al mondo. Nel luogo di lavoro, nelle scuole, su Internet, in strada, in tv. Non esistono nemmeno più milanisti e interisti: ora si è berlusconiani o antiberlusconiani. Ma perché? Non ci sarebbero cose più importanti? Non stiamo perdendo tempo ed energie?
Provo a guardarmi indietro. Ho trent’anni. Da quanto tempo detesto Berlusconi? Vediamo. Andavo ancora alle medie, o forse alle elementari. Lui aveva appena tre televisioni e un paio di Milano. E già mi stava sulle palle come pochi al mondo. Perché? Penso che l’imprinting iniziale sia stata la pubblicità. Lui interrompeva i cartoni animati: una cosa insopportabile! (Lo fa tuttora, in barba alle normative vigenti).
Era anche una questione di contenuti. Lui mostrava ragazzini biondi e sorridenti e donne con tette enormi. Tutto questo non era privo di fascino. Ma tra una sessione ipnotica e l’altra, riuscivo a rendermi conto che non sarei mai stato un ragazzino biondo e sorridente, e quelle tette non le avrei toccate mai. Insomma, Berlusconi dava via illusioni. Gratis, d’accordo, ma erano illusioni e mi facevano star male. E poi si faceva intervistare su Famiglia Cristiana come onesto padre di famiglia, con bimbi biondi e moglie al seguito (non ricordo quale): ma va là, che a tarda notte mettevi su i film zozzi come tutti gli altri.
E poi è entrato nel calcio: prima di lui c’erano due stranieri per squadra, un campionato equilibrato, poteva vincere anche il Napoli o il Verona. Crash! Giocattolo rotto. E non solo il calcio. Nella mia città c’era una squadra di volley che vinceva spesso il campionato. Da un giorno all’altro arriva lui e compra tutti i giocatori sfusi. Ma è il modo di fare? Come il bambino viziato, che vuole tutti i giocattoli per sé. E racconta di essere un imprenditore che si è fatto da solo. Possibile? Ci dev’essere qualcosa sotto.
E infatti era culo e camicia con Bettino Craxi, il politico più antipatico del mondo. Ma per fortuna a un certo punto tutti i politici antipatici si tolgono di mezzo, denunciandosi tra loro. Non avevamo ancora finito di tirare un sospiro di sollievo che… arriva lui! Inventa un partito e si candida! Possibile? E dice che ha la maggioranza dei sondaggi. Bah, saranno sondaggi farlocchi, fatti da lui. Pero' le elezioni le vince davvero! Alleato coi postfascisti e i leghisti, due cose che oggettivamente non potevano stare assieme, e invece con lui ci stanno. Ma come fa, ma chi è? Lo stesso antipaticone che ci tagliava i cartoni animati da bambini, con quelle odiosissime pubblicità della Barbie!
Ecco, ho trent’anni e forse detesto Berlusconi da quindici, venti. E attenzione, un sentimento simile, per un tempo cosi' lungo, non mi ricordo di averlo provato per nessuno. Le altre persone che mi stavano sulle palle a 15 anni, se adesso per caso le incontro, magari le abbraccio. Berlusconi invece continuo a detestarlo. Quel sorriso finto. Quel nasone. Quella pelata. (Ma se vent’anni fa un tizio alto, capellone e col nasino mi avesse sistematicamente interrotto i cartoni animati, probabilmente oggi detesterei quei capelli lunghi e quel nasino).
E adesso vi chiedo: una persona qualunque, come me, che è cresciuta detestando un uomo di successo, e ha visto quest’uomo sopravvivere a centinaia di brutte figure e diventare il suo Presidente del Consiglio, il suo ambasciatore nel mondo: una persona come me, a trent’anni, puo' riuscire a mantenere una serenità di giudizio? Puo' anche darsi di no. Alla fine, si tratta di un’ossessione. Certe volte avrei fatto di tutto per vederlo triste. Persino votare Massimo Glaxo D’Alema (l’opportunità non mi si offri' mai).
E il bello è che non credo di essere il solo. Credo che siamo in tanti che coltiviamo quest’ossessione. Noi onestamente ci proviamo, a pensare ad altro, ma lui è più forte. Ci attrae con le scemenze, proprio come quando eravamo bambini, partiva la sigletta e ci bevevamo qualsiasi cosa. Allo stesso modo noi cerchiamo d’interessarci seriamente al WTO, alla Road Map, al diritto del Lavoro… ma poi arriva lui, racconta una barzelletta, e noi ci caschiamo. Siamo i soliti bambinoni di sempre. Incapaci di cambiare canale.
Davvero, io non ne posso più di Berlusconi. Ma il giorno che sparirà, sentiro' un enorme vuoto. Forse mi rendero' conto di non avere un’ideologia, un’identità, una classe sociale, nemmeno una squadra per cui tifare. Di essere solo in grado di fare il verso alle scemenze sue e dei suoi compari.
Ecco, ho vuotato il sacco. Ora pero' sarei curioso di capire quelli che Berlusconi lo amano, e lo hanno amato sin dall’inizio. Sognate di diventare come lui? Si puo' onestamente sognare una cosa simile? Oppure vedete in lui il Meno Peggio? Ma che bassissima opinione dovete avere di tutti gli altri?
E… voi la vedete, una soluzione, in fondo a questa psicosi collettiva?
Io no.
Io e Berlusconi
(stiamo invecchiando assieme)
Io credo che il popolo israeliano avesse già molte scalogne, senza bisogno di aggiungere Berlusconi, una ignobile beffa in mezzo a tanti danni. Qualche giorno fa una personalità abbastanza autorevole, e non proprio di sinistra, il Commissario Monti, aveva mandato a dire che bisognava piantarla di promettere l’Europa a chiunque, che tutte queste promesse finivano col danneggiare chi le faceva e chi le riceveva. E lui che ti fa? Vola in Israele e promette l’Europa.
Possiamo provare a ragionare sulla cosa: Berlusconi non ha sentito Monti? Ha sentito Monti ma è convinto di saperla più lunga? All’estero è incapace di controllarsi? Il semestre europeo promette davvero bene. Ecc., ecc..
Con tutto che magari qui passa qualcuno che in Berlusconi ci crede, che è convinto che lui si sia in grado di muoversi perfettamente nella politica estera, e che si meriterebbe perfino una nomination al Nobel. Beh, credetemi o no, stasera non mi va di litigare.
Proviamo almeno a convenire su un punto: quest’uomo ci divide.
Più di ogni ideologia, che onestamente io non ho, e neanche voi penso che ce l’abbiate. Più di ogni differenza di classe, di generazione, di identità, di mentalità. Quest’uomo ci divide più di ogni altra cosa al mondo. Nel luogo di lavoro, nelle scuole, su Internet, in strada, in tv. Non esistono nemmeno più milanisti e interisti: ora si è berlusconiani o antiberlusconiani. Ma perché? Non ci sarebbero cose più importanti? Non stiamo perdendo tempo ed energie?
Provo a guardarmi indietro. Ho trent’anni. Da quanto tempo detesto Berlusconi? Vediamo. Andavo ancora alle medie, o forse alle elementari. Lui aveva appena tre televisioni e un paio di Milano. E già mi stava sulle palle come pochi al mondo. Perché? Penso che l’imprinting iniziale sia stata la pubblicità. Lui interrompeva i cartoni animati: una cosa insopportabile! (Lo fa tuttora, in barba alle normative vigenti).
Era anche una questione di contenuti. Lui mostrava ragazzini biondi e sorridenti e donne con tette enormi. Tutto questo non era privo di fascino. Ma tra una sessione ipnotica e l’altra, riuscivo a rendermi conto che non sarei mai stato un ragazzino biondo e sorridente, e quelle tette non le avrei toccate mai. Insomma, Berlusconi dava via illusioni. Gratis, d’accordo, ma erano illusioni e mi facevano star male. E poi si faceva intervistare su Famiglia Cristiana come onesto padre di famiglia, con bimbi biondi e moglie al seguito (non ricordo quale): ma va là, che a tarda notte mettevi su i film zozzi come tutti gli altri.
E poi è entrato nel calcio: prima di lui c’erano due stranieri per squadra, un campionato equilibrato, poteva vincere anche il Napoli o il Verona. Crash! Giocattolo rotto. E non solo il calcio. Nella mia città c’era una squadra di volley che vinceva spesso il campionato. Da un giorno all’altro arriva lui e compra tutti i giocatori sfusi. Ma è il modo di fare? Come il bambino viziato, che vuole tutti i giocattoli per sé. E racconta di essere un imprenditore che si è fatto da solo. Possibile? Ci dev’essere qualcosa sotto.
E infatti era culo e camicia con Bettino Craxi, il politico più antipatico del mondo. Ma per fortuna a un certo punto tutti i politici antipatici si tolgono di mezzo, denunciandosi tra loro. Non avevamo ancora finito di tirare un sospiro di sollievo che… arriva lui! Inventa un partito e si candida! Possibile? E dice che ha la maggioranza dei sondaggi. Bah, saranno sondaggi farlocchi, fatti da lui. Pero' le elezioni le vince davvero! Alleato coi postfascisti e i leghisti, due cose che oggettivamente non potevano stare assieme, e invece con lui ci stanno. Ma come fa, ma chi è? Lo stesso antipaticone che ci tagliava i cartoni animati da bambini, con quelle odiosissime pubblicità della Barbie!
Ecco, ho trent’anni e forse detesto Berlusconi da quindici, venti. E attenzione, un sentimento simile, per un tempo cosi' lungo, non mi ricordo di averlo provato per nessuno. Le altre persone che mi stavano sulle palle a 15 anni, se adesso per caso le incontro, magari le abbraccio. Berlusconi invece continuo a detestarlo. Quel sorriso finto. Quel nasone. Quella pelata. (Ma se vent’anni fa un tizio alto, capellone e col nasino mi avesse sistematicamente interrotto i cartoni animati, probabilmente oggi detesterei quei capelli lunghi e quel nasino).
E adesso vi chiedo: una persona qualunque, come me, che è cresciuta detestando un uomo di successo, e ha visto quest’uomo sopravvivere a centinaia di brutte figure e diventare il suo Presidente del Consiglio, il suo ambasciatore nel mondo: una persona come me, a trent’anni, puo' riuscire a mantenere una serenità di giudizio? Puo' anche darsi di no. Alla fine, si tratta di un’ossessione. Certe volte avrei fatto di tutto per vederlo triste. Persino votare Massimo Glaxo D’Alema (l’opportunità non mi si offri' mai).
E il bello è che non credo di essere il solo. Credo che siamo in tanti che coltiviamo quest’ossessione. Noi onestamente ci proviamo, a pensare ad altro, ma lui è più forte. Ci attrae con le scemenze, proprio come quando eravamo bambini, partiva la sigletta e ci bevevamo qualsiasi cosa. Allo stesso modo noi cerchiamo d’interessarci seriamente al WTO, alla Road Map, al diritto del Lavoro… ma poi arriva lui, racconta una barzelletta, e noi ci caschiamo. Siamo i soliti bambinoni di sempre. Incapaci di cambiare canale.
Davvero, io non ne posso più di Berlusconi. Ma il giorno che sparirà, sentiro' un enorme vuoto. Forse mi rendero' conto di non avere un’ideologia, un’identità, una classe sociale, nemmeno una squadra per cui tifare. Di essere solo in grado di fare il verso alle scemenze sue e dei suoi compari.
Ecco, ho vuotato il sacco. Ora pero' sarei curioso di capire quelli che Berlusconi lo amano, e lo hanno amato sin dall’inizio. Sognate di diventare come lui? Si puo' onestamente sognare una cosa simile? Oppure vedete in lui il Meno Peggio? Ma che bassissima opinione dovete avere di tutti gli altri?
E… voi la vedete, una soluzione, in fondo a questa psicosi collettiva?
Io no.
martedì 10 giugno 2003
Diritto di replica, già.
Heaven, heaven is that place
that place where nothing,
nothing ever happens....
Sono perfettamente consapevole che la storia del Museo di Bagdad rischia di diventare un’ossessione, che sembro un fanatico del cuneiforme, che i problemi in Iraq sono ben altri, ecc. ecc..
Pero' il diritto di replica è il diritto di replica, mi spiace.
In realtà, oggi, avrei voluto uscire con una bella replica redazionale di Repubblica, che mi spiegava che su Frankie mi sbaglio di grosso, che Frankie è una persona in carne e ossa, che non puo' trattarsi di un fotomontaggio per tantissime ragioni, tutte appurate. Ma non è cosi'. Repubblica non mi ha risposto, sigh.
Non mi resta che lasciare lo spazio di replica a Christian Rocca, che in un commento su Rolli cortesemente chiede:
scusa leonardo. Mi spieghi cosa c'entrano le frasi che hai tradotto con quello che ho scritto io?
Beh, sono tratte dagli stessi articoli che hai lincato tu. Mi sembra che questo c’entri per qualcosa.
Ho forse detto che gli americani avevano come priorità il museo? No, anzi ho scritto che hanno sbagliato.
Me ne rallegro.
Ho forse detto che altri siti archeologici ora sono difesi dagli americani? No.
Eh, pero' non hai detto neanche il contrario… hai evitato l’argomento. Tu fai cosi': trovi un paio di frasi che ti piacciono, linki l’articolo. E se l’articolo poi dice altre cose che non ti piacciono, fai finta di niente.
Ho forse detto che il saccheggio non c'è stato grazie agli americani, come mi attribuisci tu? No.
Ah, furbacchione.
Puo' anche darsi che tu non lo abbia detto, ma ti garantisco che a leggerti viene da pensarlo… senz’altro non ignori di essere in grado di scrivere cose molto convincenti, forse al di là delle tue stesse intenzioni.
In questo momento stai facendo il countdown dei reperti ritrovati: “ULTIMORA: i pezzi da museo che mancano all'appello sono scesi. Non più 47, ma 33”. Beh, ti garantisco che da qui ogni pezzo ritrovato sembra suonare come una salva di cannone: God bless America! E' un paese, anzi, un mondo meraviglioso! Non è successo niente! Peccato che, se uno va a leggersi il pezzo (sempre il solito vecchio trucco, accidenti), legge titoletti come:
Great loss for humanity
[…]
"I'm not so optimistic about them because I believe they were taken by professionals," [Museum research director] George said. "I believe they are out of the country now."
He said the loss of these artifacts was a tragedy.
Magari ci sono altri articoli che minimizzano davvero il saccheggio al Museo. Questo qui, pero', no: “Great loss”, “tragedy”… Ed è proprio quello che hai lincato tu. Riesci sempre a stupire.
Ho solo detto che gli articoli (e le tue difese ideologiche) erano bufale.
Prego?
Difese ideologiche? Io quindi avrei un’ideologia? Ne sono quasi contento, alla mia età almeno un’ideologia è qualcosa (in mancanza di un posto fisso).
E… di che ideologia si tratterebbe? Sarei un comunista? Un pacifista? Un terrorista, magari islamico? O addirittura le tre cose insieme? Sono sinceramente curioso.
A me sembra di avere una sola ideologia: quella del professorino pignolo (ex correttore di bozze). Quando trovo un errore, ci sbatto sopra: è più forte di me. Nel tuo blog ho trovato un sacco di forzature. Mi sono permesso di segnalarle, ogni volta spiegando il perché secondo me erano forzature.
Non ho mai parlato di 170.000 pezzi saccheggiati. Non ho mai fatto festa per le disgrazie della guerra. (L’archivio è a disposizione per chi abbia voglia di smentirmi). Non sono neanche un esperto di Medio Oriente né di civiltà mesopotamiche, anzi, posso dire che tutto quello che so sul caso del Museo l’ho imparato dagli articoli che linki tu. Ma ho imparato anche che tu hai un modo tutto particolare di lincare. Un modo… posso dire ‘ideologico’?
come hanno ammesso i giornali e le tv americane (ma non repubblica, che ha fatto la gnorri e fatto finta che il tesoro ritrovato fosse un altro).
Beh, non sono certo l’avvocato di Repubblica, ma non capisco chi vuoi prendere in giro.
Nell’articolo che tu ieri hai segnalato come esempio di “giornalismo cialtrone” si legge chiaramente che il tesoro di Saddam, prima di stare nel caveau della banca, stava nel Museo. Leggi qui:
Ricorda l'allarme lanciato dalla direttrice del museo? I saccheggi, il grido di dolore degli esperti, la sentenza terribile con cui si decretava la perdita irrimediabile di un pezzo di storia? Ecco: è avvenuto il miracolo. La maggioranza dei pezzi rubati e trafugati è tornata al loro posto.
E qui:
La caccia al tesoro inizia un mese fa. La direttrice del museo aveva fornito agli americani l'inventario dei pezzi e rivelato un particolare che nessuno conosceva. Prima dell'inizio della guerra, temendo il peggio, aveva raccolto 8.000 pezzi tra i più pregiati di quelli esposti e li aveva rinchiusi in 179 casse di zinco, saldate e sigillate. Le aveva poi trasferite in un deposito coperto con un muro, stuccato e dipinto.
E qui:
"Il 3 luglio li tireremo fuori dal caveau per un paio d'ore e li mostreremo alla stampa. Poi, quando la situazione della sicurezza lo consentirà, esporremo la collezione nel museo". Perché il museo riaprirà presto i battenti, spiega lo studioso.
Chi è che fa “lo gnorri”? Chi è che non legge bene l’italiano? Chi è che fa finta di leggere solo le prime venti righe degli articoli? Capisci che poi, quando ti metti a fare il Grande Inquisitore di Repubblica, a qualcuno puo' scappare da ridere? E dire che magari su certe cose, chissà, potresti perfino aver ragione. Ma le difendi molto male, le tue ragioni (se vuoi un parere – un parere senza cognome).
Ho solo detto che non c'è stato il saccheggio di 170 mila pezzi come è stato raccontato per settimane. Anzi c'è stato ma lo aveva fatto Saddam venti anni fa. Ora, grazie agli americani, questa volta si', i 170 mila pezzi tornano al museo.
E' ufficiale: mi hai preso per un fesso.
Hai appena detto (citando il Washington Post) che "era matematicamente impossibile che avessero rubato 170 mila pezzi. Non ce n'erano cosi' tanti"!
Beh, ma insomma. Il fatto che io non abbia un cognome non significa che non abbia un cervello, da qualche parte. Ripeto: sono felice che non c’è più Saddam Hussein (ma non sono contento del modo in cui è stato mandato via), sono felice che i tesori del Museo siano stati conservati. Sono triste che a conservarli sia stata l’avidità di Saddam Hussein e di altri iracheni, e non l’esercito USA, che aveva altro da fare (malgrado la situazione del Museo fosse universalmente nota).
Sai qual è il tuo problema? che di cognome non fai Raines, senno' ti saresti già dimesso.
Dimesso da cosa?
Credi che io sia pagato da qualcuno per fare tutto questo? Eh, magari. No, ti garantisco che si tratta del mio tempo libero. Credi che mi serva più di un’oretta ogni tanto a spulciare il tuo blog? Sono veloce col mouse, è tutto.
E questa insistenza sul mio cognome, non la capisco proprio. Non è una minaccia, per caso? Non sta bene minacciare i più piccoli.
Comunque, se al mio cognome di tieni proprio, ti spiego una cosa che di solito non dico a nessuno: sai che nel mio blog c’è un link “scrivimi”? Prova a cliccarlo. Troverai la mia e-mail. E dall’e-mail dedurrai facilmente il mio cognome.
In seguito, potrai fare anche una ricerca su google. E scoprirai… che non sono nessuno di importante. Sono l’ultimo coglione al mondo, e ti sto mettendo in difficoltà. E non mi ci vuole neanche tanto: un computer e un dizionario di inglese. Chiunque su internet puo' metterti in difficoltà in pochi minuti. Vuoi una prova? Ecco qui.
E ora che sai che sono un qualunque coglione, che non sono iscritto a nessun albo, che non ho amici avvocati, che farai? Mi denunci perché ho citato degli stralci degli stessi articoli che hai citato tu? Potresti perfino farlo. Sai che il solo fatto di aggiornare periodicamente un sito non registrato come testata giornalistica (quindi di tenere un blog) in Italia è potenzialmente un reato? (Beh, potrei appellarmi al Primo Emendamento, visto che il luogo materiale del mio blog è negli USA). Sai che il mercato del lavoro è flessibilissimo, e tra qualche anno ogni datore di lavoro prima di assumermi farà la tua stessa ricerchina su Google, scoprendo cosi' tutte le mie opinioni da due anni a questa parte? Capisci che per questi motivi i poveri coglioni come me hanno una naturale ritrosia a mettere in giro il proprio nome?
Ma che te lo dico a fare. A quest’ora di sicuro non mi leggi più. E giustamente: dovevo darti il diritto di replica, e invece ho controreplicato. Scusami. Sono pignolo e testardo. Credo che tu possa capirmi.
(E mi piacciono anche i King Crimson).
Heaven, heaven is that place
that place where nothing,
nothing ever happens....
Sono perfettamente consapevole che la storia del Museo di Bagdad rischia di diventare un’ossessione, che sembro un fanatico del cuneiforme, che i problemi in Iraq sono ben altri, ecc. ecc..
Pero' il diritto di replica è il diritto di replica, mi spiace.
In realtà, oggi, avrei voluto uscire con una bella replica redazionale di Repubblica, che mi spiegava che su Frankie mi sbaglio di grosso, che Frankie è una persona in carne e ossa, che non puo' trattarsi di un fotomontaggio per tantissime ragioni, tutte appurate. Ma non è cosi'. Repubblica non mi ha risposto, sigh.
Non mi resta che lasciare lo spazio di replica a Christian Rocca, che in un commento su Rolli cortesemente chiede:
scusa leonardo. Mi spieghi cosa c'entrano le frasi che hai tradotto con quello che ho scritto io?
Beh, sono tratte dagli stessi articoli che hai lincato tu. Mi sembra che questo c’entri per qualcosa.
Ho forse detto che gli americani avevano come priorità il museo? No, anzi ho scritto che hanno sbagliato.
Me ne rallegro.
Ho forse detto che altri siti archeologici ora sono difesi dagli americani? No.
Eh, pero' non hai detto neanche il contrario… hai evitato l’argomento. Tu fai cosi': trovi un paio di frasi che ti piacciono, linki l’articolo. E se l’articolo poi dice altre cose che non ti piacciono, fai finta di niente.
Ho forse detto che il saccheggio non c'è stato grazie agli americani, come mi attribuisci tu? No.
Ah, furbacchione.
Puo' anche darsi che tu non lo abbia detto, ma ti garantisco che a leggerti viene da pensarlo… senz’altro non ignori di essere in grado di scrivere cose molto convincenti, forse al di là delle tue stesse intenzioni.
In questo momento stai facendo il countdown dei reperti ritrovati: “ULTIMORA: i pezzi da museo che mancano all'appello sono scesi. Non più 47, ma 33”. Beh, ti garantisco che da qui ogni pezzo ritrovato sembra suonare come una salva di cannone: God bless America! E' un paese, anzi, un mondo meraviglioso! Non è successo niente! Peccato che, se uno va a leggersi il pezzo (sempre il solito vecchio trucco, accidenti), legge titoletti come:
Great loss for humanity
[…]
"I'm not so optimistic about them because I believe they were taken by professionals," [Museum research director] George said. "I believe they are out of the country now."
He said the loss of these artifacts was a tragedy.
Magari ci sono altri articoli che minimizzano davvero il saccheggio al Museo. Questo qui, pero', no: “Great loss”, “tragedy”… Ed è proprio quello che hai lincato tu. Riesci sempre a stupire.
Ho solo detto che gli articoli (e le tue difese ideologiche) erano bufale.
Prego?
Difese ideologiche? Io quindi avrei un’ideologia? Ne sono quasi contento, alla mia età almeno un’ideologia è qualcosa (in mancanza di un posto fisso).
E… di che ideologia si tratterebbe? Sarei un comunista? Un pacifista? Un terrorista, magari islamico? O addirittura le tre cose insieme? Sono sinceramente curioso.
A me sembra di avere una sola ideologia: quella del professorino pignolo (ex correttore di bozze). Quando trovo un errore, ci sbatto sopra: è più forte di me. Nel tuo blog ho trovato un sacco di forzature. Mi sono permesso di segnalarle, ogni volta spiegando il perché secondo me erano forzature.
Non ho mai parlato di 170.000 pezzi saccheggiati. Non ho mai fatto festa per le disgrazie della guerra. (L’archivio è a disposizione per chi abbia voglia di smentirmi). Non sono neanche un esperto di Medio Oriente né di civiltà mesopotamiche, anzi, posso dire che tutto quello che so sul caso del Museo l’ho imparato dagli articoli che linki tu. Ma ho imparato anche che tu hai un modo tutto particolare di lincare. Un modo… posso dire ‘ideologico’?
come hanno ammesso i giornali e le tv americane (ma non repubblica, che ha fatto la gnorri e fatto finta che il tesoro ritrovato fosse un altro).
Beh, non sono certo l’avvocato di Repubblica, ma non capisco chi vuoi prendere in giro.
Nell’articolo che tu ieri hai segnalato come esempio di “giornalismo cialtrone” si legge chiaramente che il tesoro di Saddam, prima di stare nel caveau della banca, stava nel Museo. Leggi qui:
Ricorda l'allarme lanciato dalla direttrice del museo? I saccheggi, il grido di dolore degli esperti, la sentenza terribile con cui si decretava la perdita irrimediabile di un pezzo di storia? Ecco: è avvenuto il miracolo. La maggioranza dei pezzi rubati e trafugati è tornata al loro posto.
E qui:
La caccia al tesoro inizia un mese fa. La direttrice del museo aveva fornito agli americani l'inventario dei pezzi e rivelato un particolare che nessuno conosceva. Prima dell'inizio della guerra, temendo il peggio, aveva raccolto 8.000 pezzi tra i più pregiati di quelli esposti e li aveva rinchiusi in 179 casse di zinco, saldate e sigillate. Le aveva poi trasferite in un deposito coperto con un muro, stuccato e dipinto.
E qui:
"Il 3 luglio li tireremo fuori dal caveau per un paio d'ore e li mostreremo alla stampa. Poi, quando la situazione della sicurezza lo consentirà, esporremo la collezione nel museo". Perché il museo riaprirà presto i battenti, spiega lo studioso.
Chi è che fa “lo gnorri”? Chi è che non legge bene l’italiano? Chi è che fa finta di leggere solo le prime venti righe degli articoli? Capisci che poi, quando ti metti a fare il Grande Inquisitore di Repubblica, a qualcuno puo' scappare da ridere? E dire che magari su certe cose, chissà, potresti perfino aver ragione. Ma le difendi molto male, le tue ragioni (se vuoi un parere – un parere senza cognome).
Ho solo detto che non c'è stato il saccheggio di 170 mila pezzi come è stato raccontato per settimane. Anzi c'è stato ma lo aveva fatto Saddam venti anni fa. Ora, grazie agli americani, questa volta si', i 170 mila pezzi tornano al museo.
E' ufficiale: mi hai preso per un fesso.
Hai appena detto (citando il Washington Post) che "era matematicamente impossibile che avessero rubato 170 mila pezzi. Non ce n'erano cosi' tanti"!
Beh, ma insomma. Il fatto che io non abbia un cognome non significa che non abbia un cervello, da qualche parte. Ripeto: sono felice che non c’è più Saddam Hussein (ma non sono contento del modo in cui è stato mandato via), sono felice che i tesori del Museo siano stati conservati. Sono triste che a conservarli sia stata l’avidità di Saddam Hussein e di altri iracheni, e non l’esercito USA, che aveva altro da fare (malgrado la situazione del Museo fosse universalmente nota).
Sai qual è il tuo problema? che di cognome non fai Raines, senno' ti saresti già dimesso.
Dimesso da cosa?
Credi che io sia pagato da qualcuno per fare tutto questo? Eh, magari. No, ti garantisco che si tratta del mio tempo libero. Credi che mi serva più di un’oretta ogni tanto a spulciare il tuo blog? Sono veloce col mouse, è tutto.
E questa insistenza sul mio cognome, non la capisco proprio. Non è una minaccia, per caso? Non sta bene minacciare i più piccoli.
Comunque, se al mio cognome di tieni proprio, ti spiego una cosa che di solito non dico a nessuno: sai che nel mio blog c’è un link “scrivimi”? Prova a cliccarlo. Troverai la mia e-mail. E dall’e-mail dedurrai facilmente il mio cognome.
In seguito, potrai fare anche una ricerca su google. E scoprirai… che non sono nessuno di importante. Sono l’ultimo coglione al mondo, e ti sto mettendo in difficoltà. E non mi ci vuole neanche tanto: un computer e un dizionario di inglese. Chiunque su internet puo' metterti in difficoltà in pochi minuti. Vuoi una prova? Ecco qui.
E ora che sai che sono un qualunque coglione, che non sono iscritto a nessun albo, che non ho amici avvocati, che farai? Mi denunci perché ho citato degli stralci degli stessi articoli che hai citato tu? Potresti perfino farlo. Sai che il solo fatto di aggiornare periodicamente un sito non registrato come testata giornalistica (quindi di tenere un blog) in Italia è potenzialmente un reato? (Beh, potrei appellarmi al Primo Emendamento, visto che il luogo materiale del mio blog è negli USA). Sai che il mercato del lavoro è flessibilissimo, e tra qualche anno ogni datore di lavoro prima di assumermi farà la tua stessa ricerchina su Google, scoprendo cosi' tutte le mie opinioni da due anni a questa parte? Capisci che per questi motivi i poveri coglioni come me hanno una naturale ritrosia a mettere in giro il proprio nome?
Ma che te lo dico a fare. A quest’ora di sicuro non mi leggi più. E giustamente: dovevo darti il diritto di replica, e invece ho controreplicato. Scusami. Sono pignolo e testardo. Credo che tu possa capirmi.
(E mi piacciono anche i King Crimson).
lunedì 9 giugno 2003
Succedono più cose in cielo e in terra
(che sul tuo blog, o Camillo)
Noto che va di moda spulciare Repubblica, e chi sono io per sottrarmi. Purtroppo non ho niente di fresco: mi tocca presentarvi un mio vecchio amico, Frankie.
Il mio amico Frankie (nella foto qui a destra) è un fenomeno. Della natura? No.
Questa foto lo ha immortalato a Genova, il 20 luglio del 2001. La foto è ancora nell’archivio delle “Gallerie fotografiche” del sito di Repubblica. Titolo: “Genova nel dramma”.
Sapete, le molotov avvistate a Genova sono state piuttosto rare. Due le hanno usate i poliziotti; una terza è quella in mano a Frankie. Una molotov molto particolare: è vuota. Il mio amico Frankie è un mago.
Malgrado sia vuota, la bottiglia sprigiona una fiamma impressionante. Fiamme cosi', nelle foto, è raro vederne. Negli scatti al volo dei reporter, praticamente impossibile. Ma il mio amico non conosce l’impossibile. Una fiamma cosi' avrebbe già dovuto bruciargli la maglietta, ma il mio amico Frankie è pure ignifugo. Non solo la maglietta non prende fuoco, ma non viene nemmeno illuminata dalla fiamma.
Insomma, ci sono vari elementi che mi spingono a dire che il mio amico Frankie è un tipo fuori dal comune. Se ingrandiamo la foto scopriamo che intorno a lui gli oggetti perdono la loro consistenza, diventono sfuocati, un’aureola di pixel lo circonda. Nella sua mano sinistra, Frankie stringe qualcosa d’invisibile, forse un talismano che gli consente di apparire e scomparire a suo piacimento nella folla, brandendo molotov vuote e fiammeggianti, a maggior scorno delle forze dell’ordine. In un’altra foto (dell’ansa) lo ritroviamo in un altro quartiere, con la medesima molotov in mano e il medesimo sprezzo del calore. Addirittura, indossa una giacca di jeans, indumento curioso per quei giorni (a Genova, vi ricorderete, facevano 30° all’ombra), che conferma l’idea di una persona eccezionale, fuori dagli schemi.
Insomma, il mio amico Frankie è davvero un fenomeno. Della natura? No. Di Photoshop.
Tutto questo era evidente già allora, quando l’”anarcociclista Mentos” scrisse alla giornalista Loredana Bartoletti di vergognarsi, dimostrandogli che un fotomontaggio cosi' si realizza in 20 minuti.
Sono passati due anni, ormai. La foto è ancora li'. Non mi risulta che nessuno alla Repubblica (o all’Ansa) abbia chiesto scusa. Non mi risulta che nessun altro giornale abbia smentito Repubblica su questo punto (men che meno il Foglio), ma in realtà ho solo poca voglia di cercare negli archivi, sono un blog amatoriale, io.
Bene cosi'? Veniamo a Camillo. Continua a dire che al Museo di Bagdad non è successo niente. Chissà, forse a furia di ripeterlo diventerà vero.
Devo dire che non capisco tutto questo improvvisa passione per le civiltà mesopotamiche. Ma se è vero che i danni sono contenuti, io sono il primo a esserne contento.
Mi sta bene che le indagini (dell’esercito americano) stiano ridimensionando i danni al Museo. (E' ancora consentito pero' prendere con le molle le informazioni che provengono direttamente da un esercito invasore?)
Mi sta anche bene se qualcuno cerca di tirare le notizie dalla sua parte e dire che “Non è successo niente”. Per me è propaganda, ma si è liberi di farla.
Quello che sinceramente non capisco è il link.
Perché scrivere “Non è successo niente” e lincare articoli in cui ognuno puo' leggere che effettivamente è successo qualcosa? E non è qualcosa di poco conto. 3000 manufatti spariti, di cui 47 sono definiti “main exhibition items”. Stavolta anche Camillo ha avuto il buon senso di farlo presente, ma per lui si tratta di “solo” 47 pezzi. E' una questione di punti di vista. Se domani sparissero 47 pezzi dagli Uffizi potrebbe anche cadere il governo. Pero' non è questa la cosa importante.
Infatti, diciamocelo: a noi (a me, a Camillo, a voi tutti) interessa veramente qualcosa delle opere del Museo Nazionale? Abbiamo intenzione di visitarlo in breve? No.
Quel che davvero ci interessa, quello su cui stiamo litigando, è la condotta di un esercito invasore. Alcuni pretendono che gli americani siano stati integerrimi, un vero esercito liberatore che porta la democrazia sulle baionette e ammazza solo quand’è assolutamente necessario, restituendo a un popolo la sua dignità, la sua libertà, la sua cultura.
Altri (come me) dubitano. Per partito preso, ma anche per una questione di educazione: mai prendere nulla per oro colato. Né repubblica, né un’indagine militare, né niente.
Ora, tutti sapevano che il Museo Nazionale era a rischio. La domanda è una sola: il democratico esercito americano si è o non si è adoperato per evitare il saccheggio?
La risposta è chiara: no. L’esercito americano aveva altre priorità.
“Oh bella”, dite voi, “E come fa a esserne cosi' sicuro?”
Lo so… perché ho letto l’articolo lincato da Camillo! E guardate un po’:
Many archaeologists blame U.S. forces, saying they failed to protect the institution in central Baghdad when they captured the city April 9.
U.S. military commanders have rejected the charges, saying the museum was not on the list of sites their troops were ordered to secure upon entering the city
Tutto qui. Poi, fortunatamente, il saccheggio non è stato cosi' devastante come si temeva: ma non grazie agli americani. Loro avevano una lista, e nella lista il Museo non c’era. Il Ministero del Petrolio, si'. La pagliacciata della statua di Saddam, si'. Il Museo Nazionale, no. Se la maggior parte dei tesori sono stati salvati, è stato grazie alla cura degli iracheni. O alla loro avidità (avevano già imboscato gli oggetti migliori). O alla loro pigrizia. Comunque, non alle forze USA Che dovevano restituire la libertà, la dignità, la cultura, ma nel momento in cui il Museo era assaltato avevano altro da fare.
E tuttora continuano ad avere altro da fare: ci sono in Iraq vari siti archeologici non protetti che continuano a essere saccheggiati. Come faccio a saperlo? Beh, non ci crederete, ma... ho letto l’altro articolo lincato da Camillo (il trucco è leggere il fondo, lui di solito cita la prima parte. Per lo stesso motivo, non leggerà mai queste mie parole).
Although the museum collections are now secure, there are widespread reports that looting has intensified at some of the most important but unprotected archaeological sites in Iraq, including the buried cities of Uruk, Larsa and Fara.
Sapete che da quando leggo Camillo ho sempre più motivi per sparlare degli USA?
Lo so, dovrei smetterla.
(che sul tuo blog, o Camillo)
Noto che va di moda spulciare Repubblica, e chi sono io per sottrarmi. Purtroppo non ho niente di fresco: mi tocca presentarvi un mio vecchio amico, Frankie.
Il mio amico Frankie (nella foto qui a destra) è un fenomeno. Della natura? No.
Questa foto lo ha immortalato a Genova, il 20 luglio del 2001. La foto è ancora nell’archivio delle “Gallerie fotografiche” del sito di Repubblica. Titolo: “Genova nel dramma”.
Sapete, le molotov avvistate a Genova sono state piuttosto rare. Due le hanno usate i poliziotti; una terza è quella in mano a Frankie. Una molotov molto particolare: è vuota. Il mio amico Frankie è un mago.
Malgrado sia vuota, la bottiglia sprigiona una fiamma impressionante. Fiamme cosi', nelle foto, è raro vederne. Negli scatti al volo dei reporter, praticamente impossibile. Ma il mio amico non conosce l’impossibile. Una fiamma cosi' avrebbe già dovuto bruciargli la maglietta, ma il mio amico Frankie è pure ignifugo. Non solo la maglietta non prende fuoco, ma non viene nemmeno illuminata dalla fiamma.
Insomma, ci sono vari elementi che mi spingono a dire che il mio amico Frankie è un tipo fuori dal comune. Se ingrandiamo la foto scopriamo che intorno a lui gli oggetti perdono la loro consistenza, diventono sfuocati, un’aureola di pixel lo circonda. Nella sua mano sinistra, Frankie stringe qualcosa d’invisibile, forse un talismano che gli consente di apparire e scomparire a suo piacimento nella folla, brandendo molotov vuote e fiammeggianti, a maggior scorno delle forze dell’ordine. In un’altra foto (dell’ansa) lo ritroviamo in un altro quartiere, con la medesima molotov in mano e il medesimo sprezzo del calore. Addirittura, indossa una giacca di jeans, indumento curioso per quei giorni (a Genova, vi ricorderete, facevano 30° all’ombra), che conferma l’idea di una persona eccezionale, fuori dagli schemi.
Insomma, il mio amico Frankie è davvero un fenomeno. Della natura? No. Di Photoshop.
Tutto questo era evidente già allora, quando l’”anarcociclista Mentos” scrisse alla giornalista Loredana Bartoletti di vergognarsi, dimostrandogli che un fotomontaggio cosi' si realizza in 20 minuti.
Sono passati due anni, ormai. La foto è ancora li'. Non mi risulta che nessuno alla Repubblica (o all’Ansa) abbia chiesto scusa. Non mi risulta che nessun altro giornale abbia smentito Repubblica su questo punto (men che meno il Foglio), ma in realtà ho solo poca voglia di cercare negli archivi, sono un blog amatoriale, io.
Bene cosi'? Veniamo a Camillo. Continua a dire che al Museo di Bagdad non è successo niente. Chissà, forse a furia di ripeterlo diventerà vero.
Devo dire che non capisco tutto questo improvvisa passione per le civiltà mesopotamiche. Ma se è vero che i danni sono contenuti, io sono il primo a esserne contento.
Mi sta bene che le indagini (dell’esercito americano) stiano ridimensionando i danni al Museo. (E' ancora consentito pero' prendere con le molle le informazioni che provengono direttamente da un esercito invasore?)
Mi sta anche bene se qualcuno cerca di tirare le notizie dalla sua parte e dire che “Non è successo niente”. Per me è propaganda, ma si è liberi di farla.
Quello che sinceramente non capisco è il link.
Perché scrivere “Non è successo niente” e lincare articoli in cui ognuno puo' leggere che effettivamente è successo qualcosa? E non è qualcosa di poco conto. 3000 manufatti spariti, di cui 47 sono definiti “main exhibition items”. Stavolta anche Camillo ha avuto il buon senso di farlo presente, ma per lui si tratta di “solo” 47 pezzi. E' una questione di punti di vista. Se domani sparissero 47 pezzi dagli Uffizi potrebbe anche cadere il governo. Pero' non è questa la cosa importante.
Infatti, diciamocelo: a noi (a me, a Camillo, a voi tutti) interessa veramente qualcosa delle opere del Museo Nazionale? Abbiamo intenzione di visitarlo in breve? No.
Quel che davvero ci interessa, quello su cui stiamo litigando, è la condotta di un esercito invasore. Alcuni pretendono che gli americani siano stati integerrimi, un vero esercito liberatore che porta la democrazia sulle baionette e ammazza solo quand’è assolutamente necessario, restituendo a un popolo la sua dignità, la sua libertà, la sua cultura.
Altri (come me) dubitano. Per partito preso, ma anche per una questione di educazione: mai prendere nulla per oro colato. Né repubblica, né un’indagine militare, né niente.
Ora, tutti sapevano che il Museo Nazionale era a rischio. La domanda è una sola: il democratico esercito americano si è o non si è adoperato per evitare il saccheggio?
La risposta è chiara: no. L’esercito americano aveva altre priorità.
“Oh bella”, dite voi, “E come fa a esserne cosi' sicuro?”
Lo so… perché ho letto l’articolo lincato da Camillo! E guardate un po’:
Many archaeologists blame U.S. forces, saying they failed to protect the institution in central Baghdad when they captured the city April 9.
U.S. military commanders have rejected the charges, saying the museum was not on the list of sites their troops were ordered to secure upon entering the city
Tutto qui. Poi, fortunatamente, il saccheggio non è stato cosi' devastante come si temeva: ma non grazie agli americani. Loro avevano una lista, e nella lista il Museo non c’era. Il Ministero del Petrolio, si'. La pagliacciata della statua di Saddam, si'. Il Museo Nazionale, no. Se la maggior parte dei tesori sono stati salvati, è stato grazie alla cura degli iracheni. O alla loro avidità (avevano già imboscato gli oggetti migliori). O alla loro pigrizia. Comunque, non alle forze USA Che dovevano restituire la libertà, la dignità, la cultura, ma nel momento in cui il Museo era assaltato avevano altro da fare.
E tuttora continuano ad avere altro da fare: ci sono in Iraq vari siti archeologici non protetti che continuano a essere saccheggiati. Come faccio a saperlo? Beh, non ci crederete, ma... ho letto l’altro articolo lincato da Camillo (il trucco è leggere il fondo, lui di solito cita la prima parte. Per lo stesso motivo, non leggerà mai queste mie parole).
Although the museum collections are now secure, there are widespread reports that looting has intensified at some of the most important but unprotected archaeological sites in Iraq, including the buried cities of Uruk, Larsa and Fara.
Sapete che da quando leggo Camillo ho sempre più motivi per sparlare degli USA?
Lo so, dovrei smetterla.
venerdì 6 giugno 2003
This ain't no holiday
(But it always turns out this way)
con tutta la stima e l' affetto del caso, ma ultimamente proprio non ce la faccio a tornare a casa dal lavoro e impegnarmi nella "tua" lettura. già avverto la risposta - ci sono mille e mille blog - tutto vero. qualcuno mi sa rispondere: perchè questo (mio) disimpegno estivo? letargo fuori stagione? pressione bassa? cioè, mi chiedo, ma davvero voi ce la fate? leo, ma sei umano?
Beh, Valeria, credo che stancarsi dei blog sia una cosa del tutto normale, e molto sana, anche. Quanto a me, beh...
Well sit right down my wicked son
And let me tell you a story
About the boy who fell from glory...
...Il mio caso è diverso, credo che si possa parlare di dipendenza. Il blog non mi affatica, il problema è solo riuscire a far passare gli intervalli di vita tra un post e l’altro. Anch’io potrei dire (come una celebre scrittrice nella sua quarta di copertina) che “elaboro una buona parte dei miei pensieri direttamente in forma di post”.
Per questo le idee non sono un problema, al lunedi' ne ho già due o tre, fortunatamente riesco a dimenticarmele entro venerdi' pomeriggio. A volte ho pure l’imbarazzo della scelta. Ma questo non è destinato a durare.
Il motivo è semplice: io ho un lavoro (ancora per pochi giorni). E' un lavoro per il quale non sono stato selezionato, né mi trovavo nella condizione di poterlo rifiutare. E' un lavoro impegnativo, in teoria, ma nessuno mi ha spiegato come impegnarmi. Comunque è un lavoro, e mi prende tempo, fatica, motivazione.
Percio' la notte resto alzato e scrivo sul blog, e al mattino mi sveglio pensando a quello che ho scritto. E alle due scrivo un commento. E alle sette controllo se mi hanno risposto.
Questo va avanti da mesi, e domani finirà. E' l’ultimo giorno di scuola.
Lunedi' prossimo mi alzero' un po’ più tardi e, temo, non mi verrà in mente niente per tutta la giornata. E se lo dico, è perché mi è già successo.
Here I am, with my hand...
(But it always turns out this way)
con tutta la stima e l' affetto del caso, ma ultimamente proprio non ce la faccio a tornare a casa dal lavoro e impegnarmi nella "tua" lettura. già avverto la risposta - ci sono mille e mille blog - tutto vero. qualcuno mi sa rispondere: perchè questo (mio) disimpegno estivo? letargo fuori stagione? pressione bassa? cioè, mi chiedo, ma davvero voi ce la fate? leo, ma sei umano?
Beh, Valeria, credo che stancarsi dei blog sia una cosa del tutto normale, e molto sana, anche. Quanto a me, beh...
Well sit right down my wicked son
And let me tell you a story
About the boy who fell from glory...
...Il mio caso è diverso, credo che si possa parlare di dipendenza. Il blog non mi affatica, il problema è solo riuscire a far passare gli intervalli di vita tra un post e l’altro. Anch’io potrei dire (come una celebre scrittrice nella sua quarta di copertina) che “elaboro una buona parte dei miei pensieri direttamente in forma di post”.
Per questo le idee non sono un problema, al lunedi' ne ho già due o tre, fortunatamente riesco a dimenticarmele entro venerdi' pomeriggio. A volte ho pure l’imbarazzo della scelta. Ma questo non è destinato a durare.
Il motivo è semplice: io ho un lavoro (ancora per pochi giorni). E' un lavoro per il quale non sono stato selezionato, né mi trovavo nella condizione di poterlo rifiutare. E' un lavoro impegnativo, in teoria, ma nessuno mi ha spiegato come impegnarmi. Comunque è un lavoro, e mi prende tempo, fatica, motivazione.
Percio' la notte resto alzato e scrivo sul blog, e al mattino mi sveglio pensando a quello che ho scritto. E alle due scrivo un commento. E alle sette controllo se mi hanno risposto.
Questo va avanti da mesi, e domani finirà. E' l’ultimo giorno di scuola.
Lunedi' prossimo mi alzero' un po’ più tardi e, temo, non mi verrà in mente niente per tutta la giornata. E se lo dico, è perché mi è già successo.
Here I am, with my hand...
giovedì 5 giugno 2003
Non ci riuscirete tanto facilmente
I am myself indifferently honest, yet...
Certo, nulla vi impedisce di provare e riprovare. Come del resto state facendo da mesi.
Vi state riprendendo l’immunità, che gli italiani vi avevano tolto. Beh, avete i numeri per farlo.
Ma volete anche convincerci che lo fate per il prestigio dell’Italia, per la salute della democrazia, che un parlamento senza immunità è destinato a subire il ricatto di giudici e magistrati. Che l’immunità è un istituto sacro, che esiste in tutte le nazioni civili, ecc., ecc., ecc..
Ma non ci riuscirete tanto facilmente.
Chi siamo? Persone normali. Non necessariamente colte e informate. Non necessariamente di sinistra. Ci consideriamo abbastanza oneste, eppure.
Eppure sappiamo che in qualsiasi momento qualcuno potrebbe accusarci di qualsiasi infamia. Di scaricare mp3, fumare in luoghi pubblici, guidare pericolosamente, consumare sostanze illegali.
Oppure di aver v i o l e n t a t o m i n o r e n n i, collaborato con terroristi, organizzato delitti, cospirato contro lo Stato.
Abbiamo una vita, come voi avete la vostra: un lavoro, una famiglia, una cerchia di conoscenti che ci fanno sentire vivi. Sappiamo che in qualsiasi momento un’accusa del genere potrebbe distruggere tutto quello che ci siamo faticosamente costruiti. Ma tiriamo avanti, con la presunzione (ridicola) di essere tutto sommato persone oneste, a cui queste cose non succedono quasi mai. Quando poi ci capiterà, telefoneremo agli amici, cercheremo di spiegarci col principale, svuoteremo il conto in banca e ci faremo consigliare un buon avvocato. E pregheremo tutti i santi che il giudice faccia presto a riconoscerci innocenti.
Noi, persone tutto sommato oneste, di solito ci comportiamo cosi'.
E ci chiediamo, (senza malizia, davvero), perché non dovreste comportarvi cosi' anche voi, che qualche buon avvocato probabilmente lo conoscete già, e magari vi deve pure un favore.
Dite che non capiamo. Che il parlamentare è un mestiere duro, la calunnia e la diffamazione sono sempre dietro l’angolo, sono la prosecuzione della campagna elettorale con altri mezzi.
Ma è inutile. Noi non ci troviamo niente di strano. Sono gli incerti del vostro mestiere, che è comunque un mestiere da privilegiati. Che possiamo dirvi: cercate di tenervi al di sopra di ogni sospetto, è il minimo che ci si dovrebbe aspettare da degli uomini politici. E se qualcuno vi cita in giudizio, collaborate con la giustizia, aiutate giudici e magistrati ad arrivare a una sentenza in tempi brevi. Di modo che tutti possano sapere, il prima possibile, quello che tutti sospettano di voi, persone di specchiata moralità: e cioè che siete innocenti.
Se invece fate tutto il possibile per rallentare i processi, oltrepassando di molte leghe la soglia della decenza; se nel frattempo accusate terze persone e gli stessi giudici; se per difendervi dalle accuse non trovate di meglio che auto-incolparvi di reati meno gravi, puo' darsi che alla fine siate innocenti, ma ai nostri occhi non sarete molto diversi dai colpevoli.
Dite che Berlusconi (per fare un nome) dev’essere lasciato in pace; ne va del prestigio dell’Italia. Ma per favore. Quale prestigio? Con le sue barzellette penose, i sorrisi da venditore, i suoi fondali di cartone, Berlusconi ha già fatto per il prestigio dell’Italia tutto il peggio che poteva fare. A questo punto una qualsiasi condanna, paradossalmente, non potrebbe che migliorarne l’immagine: da gaffeur internazionale a politico corrotto e corruttore. In linea con gli standard europei.
Già, gli standard europei. E' inutile che li tiriate fuori. Per noi un ladro è un ladro, anche se nel frattempo è stato eletto Presidente della Repubblica francese, o Cancelliere della Federazione Tedesca. Quando votammo per togliere l’immunità ai parlamentari, credevamo di essere all’avanguardia in Europa e nel mondo; quando pochi anni dopo una Commissione Europea si dimise in blocco per il caso Edith Cresson, noi festeggiammo. Adesso scopriamo che va di moda il Presidente mascalzone, alla Chirac. E' una moda che non capiamo. Non capiamo come un francese possa sentirsi rassicurato dalla spada di Damocle giudiziaria che pende sul suo Presidente. Come si possa mandare quell’uomo in giro per il mondo a rappresentare una Repubblica. E noi dovremmo prendere esempio? Ma perché?
Avete un bel da spiegarci, noi non capiamo. Siamo persone semplici, forse qualunquisti. Ogni giorno facciamo il possibile per essere onesti, o almeno per sembrarlo. Crediamo che anche voi dovreste fare lo stesso sforzo. Non siete d’accordo? Fatti vostri.
Avete i numeri per votarvi tutti i lodi che volete. Attenti, pero'.
Attenti a cosa?
A noi. E' vero, il più delle volte brontoliamo e sopportiamo placidamente. Ma viene presto o tardi il giorno in cui scoppiamo.
Quando verrà quel giorno (e prima o poi verrà), non stupitevi se porteremo la forca in parlamento, se chiederemo alle tv di mostrarci i politici in manette. Pregate solo di non essere voi, quel giorno, a dover spiegare che “tutti sapevano, tutti rubavano”; pregate di non essere quelli che pagano per tutti, il giorno in cui verremo sotto casa e vi chiederemo il conto per la vostra disonestà e la nostra pazienza. Quel giorno non saremo pazienti, non saremo gentili, non saremo nemmeno onesti. Perché dovremmo esserlo, dopotutto.
I am myself indifferently honest, yet...
Certo, nulla vi impedisce di provare e riprovare. Come del resto state facendo da mesi.
Vi state riprendendo l’immunità, che gli italiani vi avevano tolto. Beh, avete i numeri per farlo.
Ma volete anche convincerci che lo fate per il prestigio dell’Italia, per la salute della democrazia, che un parlamento senza immunità è destinato a subire il ricatto di giudici e magistrati. Che l’immunità è un istituto sacro, che esiste in tutte le nazioni civili, ecc., ecc., ecc..
Ma non ci riuscirete tanto facilmente.
Chi siamo? Persone normali. Non necessariamente colte e informate. Non necessariamente di sinistra. Ci consideriamo abbastanza oneste, eppure.
Eppure sappiamo che in qualsiasi momento qualcuno potrebbe accusarci di qualsiasi infamia. Di scaricare mp3, fumare in luoghi pubblici, guidare pericolosamente, consumare sostanze illegali.
Oppure di aver v i o l e n t a t o m i n o r e n n i, collaborato con terroristi, organizzato delitti, cospirato contro lo Stato.
Abbiamo una vita, come voi avete la vostra: un lavoro, una famiglia, una cerchia di conoscenti che ci fanno sentire vivi. Sappiamo che in qualsiasi momento un’accusa del genere potrebbe distruggere tutto quello che ci siamo faticosamente costruiti. Ma tiriamo avanti, con la presunzione (ridicola) di essere tutto sommato persone oneste, a cui queste cose non succedono quasi mai. Quando poi ci capiterà, telefoneremo agli amici, cercheremo di spiegarci col principale, svuoteremo il conto in banca e ci faremo consigliare un buon avvocato. E pregheremo tutti i santi che il giudice faccia presto a riconoscerci innocenti.
Noi, persone tutto sommato oneste, di solito ci comportiamo cosi'.
E ci chiediamo, (senza malizia, davvero), perché non dovreste comportarvi cosi' anche voi, che qualche buon avvocato probabilmente lo conoscete già, e magari vi deve pure un favore.
Dite che non capiamo. Che il parlamentare è un mestiere duro, la calunnia e la diffamazione sono sempre dietro l’angolo, sono la prosecuzione della campagna elettorale con altri mezzi.
Ma è inutile. Noi non ci troviamo niente di strano. Sono gli incerti del vostro mestiere, che è comunque un mestiere da privilegiati. Che possiamo dirvi: cercate di tenervi al di sopra di ogni sospetto, è il minimo che ci si dovrebbe aspettare da degli uomini politici. E se qualcuno vi cita in giudizio, collaborate con la giustizia, aiutate giudici e magistrati ad arrivare a una sentenza in tempi brevi. Di modo che tutti possano sapere, il prima possibile, quello che tutti sospettano di voi, persone di specchiata moralità: e cioè che siete innocenti.
Se invece fate tutto il possibile per rallentare i processi, oltrepassando di molte leghe la soglia della decenza; se nel frattempo accusate terze persone e gli stessi giudici; se per difendervi dalle accuse non trovate di meglio che auto-incolparvi di reati meno gravi, puo' darsi che alla fine siate innocenti, ma ai nostri occhi non sarete molto diversi dai colpevoli.
Dite che Berlusconi (per fare un nome) dev’essere lasciato in pace; ne va del prestigio dell’Italia. Ma per favore. Quale prestigio? Con le sue barzellette penose, i sorrisi da venditore, i suoi fondali di cartone, Berlusconi ha già fatto per il prestigio dell’Italia tutto il peggio che poteva fare. A questo punto una qualsiasi condanna, paradossalmente, non potrebbe che migliorarne l’immagine: da gaffeur internazionale a politico corrotto e corruttore. In linea con gli standard europei.
Già, gli standard europei. E' inutile che li tiriate fuori. Per noi un ladro è un ladro, anche se nel frattempo è stato eletto Presidente della Repubblica francese, o Cancelliere della Federazione Tedesca. Quando votammo per togliere l’immunità ai parlamentari, credevamo di essere all’avanguardia in Europa e nel mondo; quando pochi anni dopo una Commissione Europea si dimise in blocco per il caso Edith Cresson, noi festeggiammo. Adesso scopriamo che va di moda il Presidente mascalzone, alla Chirac. E' una moda che non capiamo. Non capiamo come un francese possa sentirsi rassicurato dalla spada di Damocle giudiziaria che pende sul suo Presidente. Come si possa mandare quell’uomo in giro per il mondo a rappresentare una Repubblica. E noi dovremmo prendere esempio? Ma perché?
Avete un bel da spiegarci, noi non capiamo. Siamo persone semplici, forse qualunquisti. Ogni giorno facciamo il possibile per essere onesti, o almeno per sembrarlo. Crediamo che anche voi dovreste fare lo stesso sforzo. Non siete d’accordo? Fatti vostri.
Avete i numeri per votarvi tutti i lodi che volete. Attenti, pero'.
Attenti a cosa?
A noi. E' vero, il più delle volte brontoliamo e sopportiamo placidamente. Ma viene presto o tardi il giorno in cui scoppiamo.
Quando verrà quel giorno (e prima o poi verrà), non stupitevi se porteremo la forca in parlamento, se chiederemo alle tv di mostrarci i politici in manette. Pregate solo di non essere voi, quel giorno, a dover spiegare che “tutti sapevano, tutti rubavano”; pregate di non essere quelli che pagano per tutti, il giorno in cui verremo sotto casa e vi chiederemo il conto per la vostra disonestà e la nostra pazienza. Quel giorno non saremo pazienti, non saremo gentili, non saremo nemmeno onesti. Perché dovremmo esserlo, dopotutto.
mercoledì 4 giugno 2003
martedì 3 giugno 2003
In difesa delle vetrine (anzi, no).
Io non c’ero, ma:
- siccome si sono viste vetrine infrante, ahimé! povere vetrine;
- siccome il fotogramma della vetrina infranta è tutto quello che, per esempio, il Tg2 ci ha mostrato delle manifestazioni;
- siccome i media ufficiali, proprio mentre denunciano le violenze, con il loro stesso operato confermano che una vetrina infranta merita più risalto di mille manifestanti civili e pacifici;
- siccome poi ci sarà sempre qualcuno che soppesa vetrine e teste rotte, trovando che pesano uguale;
preso atto di tutto questo, mi trovo per l’ennesima volta nell’abito stretto del noglobbal moderato che dice:
E tuttavia, per non saper (quasi) leggere né scrivere, ma avendo un po’ studiato, oh, appena un po’;
quel poco da sapere che c’è stato, per cinquant’anni, una terra felice, chiamata Europa Occidentale,
che in questa terra tutti gli abitanti potevano godere di democrazia, stato sociale, scuola pubblica, elettrodomestici a basso prezzo e vestiti eleganti. In cambio di cosa? Di nulla, dovevano solo stare bene e far crepare d’invidia i nemici confinanti (i Comunisti!).
E nel frattempo prosperavano, consumavano, facevano girare l’economia, fin troppo, ma un bel giorno tutto questo finì. E di chi fu la colpa? Dei comunisti, ovviamente. Che un bel giorno, dopo aver crepato d’invidia per 50 anni, si misero all’improvviso in fila ai nostri supermercati, senza neanche darci un preavviso. Screanzati mentecatti!
Noi per un po’ abbiamo fatto finta di niente, comprando case ed elettrodomestici come niente fosse. Continuavamo a pensare che le pensioni o le scuole ci spettassero per diritto divino, ma nel nostro cuore lo sapevamo, che la pacchia era finita. Addio, istruzione pubblica. Addio, posto fisso. Addio, pensioni. Addio sanità.
Tutti i giorni, senza accorgercene, noi dicevamo un piccolo addio. E tutti i giorni, senza farci caso, ci restava in tasca qualche soldo in più. Stavamo cominciando a risparmiare.
Una cosa terribile! L’Europa è il più grande mercato del mondo. Se gli europei risparmiano, il mondo va a rotoli! Occorreva correre ai ripari.
Fortuna che tv e giornali stavano nelle mani giuste. Bastava dire “Consumate” e milioni di altoparlanti avrebbero ripetuto: “Consumate!”. E così fu.
Consumiamo!
Come i nostri padri. Certo, loro avevano la pensione. Noi non l’avremo. Ma non importa. Consumiamo!
Certo, i nostri padri facevano i debiti e aspettavano che l’inflazione se li rosicchiasse. Noi non possiamo più permettercelo. Ma non ha importanza. Dobbiamo consumare! Altrimenti va tutto a rotoli.
Il cellulare più piccolo. Il computer senza ventola. L’auto da 10 a 200kmh in cinque secondi. E poi un cellulare nuovo, perché quello piccolo è finito nel tombino; un computer con la ventola colorata, perché quello senza ventola si è fuso; e un auto nuova, perché la vecchia è finita contro un platano a 200 kmh.
E arriviamo a oggi: a Evian c’è la riunione dei pezzi grossi. Che si dicono?
Per prima cosa, l’economia non tira e continua a non tirare: non c’è guerra che tenga, qui non si consuma abbastanza. La grande idea per uscire dal pantano è truccare ancora un po’ i libri contabili.
Nel frattempo si scopre che, almeno in Italia, i prezzi sono cresciuti di un sesto in due anni, e gli stipendi sono rimasti al palo. E il nostro Principale si permette di dire che dobbiamo tutti darci da fare, e basta scioperi. Consumate!
Consumiamo cosa?
Ma le avete viste, le vetrine? Le scarpe, i vestiti? Avete visto i cartoncini dei prezzi?
Non vi prudono le mani? Trovate tutto normale?
...preso atto di tutto questo, io trovo piuttosto normale che qualcuno prenda a sassate le vetrine.
Normale, sissignore. Come diceva quel Brecht che – per chi non lo sapesse – non ha mai svaligiato una banca in vita sua: il ladro non è chi deruba una banca, ma chi la fonda. Perfettamente. Allo stesso modo, io non ho mai rubato neanche un accendino, ma credo di saper distinguere un vandalo idiota da un ladro internazionale, e ho sentito dire che al confine tra la Francia e la Svizzera siano stati individuati otto personaggi fortemente sospetti, che andrebbero fermati in qualche modo.
(Anzi, no – uno è già ripartito).
Io non c’ero, ma:
- siccome si sono viste vetrine infrante, ahimé! povere vetrine;
- siccome il fotogramma della vetrina infranta è tutto quello che, per esempio, il Tg2 ci ha mostrato delle manifestazioni;
- siccome i media ufficiali, proprio mentre denunciano le violenze, con il loro stesso operato confermano che una vetrina infranta merita più risalto di mille manifestanti civili e pacifici;
- siccome poi ci sarà sempre qualcuno che soppesa vetrine e teste rotte, trovando che pesano uguale;
preso atto di tutto questo, mi trovo per l’ennesima volta nell’abito stretto del noglobbal moderato che dice:
manifestanti, per favore, lasciate stare le vetrine,
non piegatevi al ricatto dei media, ci sono modi migliori per attirare l’attenzione,
non so quali, ma certo ci sono,
insomma, basta fare i vandali, non siete molto d’aiuto al movimento, piantatela
razza d’idioti.
E tuttavia, per non saper (quasi) leggere né scrivere, ma avendo un po’ studiato, oh, appena un po’;
quel poco da sapere che c’è stato, per cinquant’anni, una terra felice, chiamata Europa Occidentale,
che in questa terra tutti gli abitanti potevano godere di democrazia, stato sociale, scuola pubblica, elettrodomestici a basso prezzo e vestiti eleganti. In cambio di cosa? Di nulla, dovevano solo stare bene e far crepare d’invidia i nemici confinanti (i Comunisti!).
E nel frattempo prosperavano, consumavano, facevano girare l’economia, fin troppo, ma un bel giorno tutto questo finì. E di chi fu la colpa? Dei comunisti, ovviamente. Che un bel giorno, dopo aver crepato d’invidia per 50 anni, si misero all’improvviso in fila ai nostri supermercati, senza neanche darci un preavviso. Screanzati mentecatti!
Noi per un po’ abbiamo fatto finta di niente, comprando case ed elettrodomestici come niente fosse. Continuavamo a pensare che le pensioni o le scuole ci spettassero per diritto divino, ma nel nostro cuore lo sapevamo, che la pacchia era finita. Addio, istruzione pubblica. Addio, posto fisso. Addio, pensioni. Addio sanità.
Tutti i giorni, senza accorgercene, noi dicevamo un piccolo addio. E tutti i giorni, senza farci caso, ci restava in tasca qualche soldo in più. Stavamo cominciando a risparmiare.
Una cosa terribile! L’Europa è il più grande mercato del mondo. Se gli europei risparmiano, il mondo va a rotoli! Occorreva correre ai ripari.
Fortuna che tv e giornali stavano nelle mani giuste. Bastava dire “Consumate” e milioni di altoparlanti avrebbero ripetuto: “Consumate!”. E così fu.
Consumiamo!
Come i nostri padri. Certo, loro avevano la pensione. Noi non l’avremo. Ma non importa. Consumiamo!
Certo, i nostri padri facevano i debiti e aspettavano che l’inflazione se li rosicchiasse. Noi non possiamo più permettercelo. Ma non ha importanza. Dobbiamo consumare! Altrimenti va tutto a rotoli.
Il cellulare più piccolo. Il computer senza ventola. L’auto da 10 a 200kmh in cinque secondi. E poi un cellulare nuovo, perché quello piccolo è finito nel tombino; un computer con la ventola colorata, perché quello senza ventola si è fuso; e un auto nuova, perché la vecchia è finita contro un platano a 200 kmh.
E arriviamo a oggi: a Evian c’è la riunione dei pezzi grossi. Che si dicono?
Per prima cosa, l’economia non tira e continua a non tirare: non c’è guerra che tenga, qui non si consuma abbastanza. La grande idea per uscire dal pantano è truccare ancora un po’ i libri contabili.
Nel frattempo si scopre che, almeno in Italia, i prezzi sono cresciuti di un sesto in due anni, e gli stipendi sono rimasti al palo. E il nostro Principale si permette di dire che dobbiamo tutti darci da fare, e basta scioperi. Consumate!
Consumiamo cosa?
Ma le avete viste, le vetrine? Le scarpe, i vestiti? Avete visto i cartoncini dei prezzi?
Non vi prudono le mani? Trovate tutto normale?
...preso atto di tutto questo, io trovo piuttosto normale che qualcuno prenda a sassate le vetrine.
Normale, sissignore. Come diceva quel Brecht che – per chi non lo sapesse – non ha mai svaligiato una banca in vita sua: il ladro non è chi deruba una banca, ma chi la fonda. Perfettamente. Allo stesso modo, io non ho mai rubato neanche un accendino, ma credo di saper distinguere un vandalo idiota da un ladro internazionale, e ho sentito dire che al confine tra la Francia e la Svizzera siano stati individuati otto personaggi fortemente sospetti, che andrebbero fermati in qualche modo.
(Anzi, no – uno è già ripartito).
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