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martedì 30 novembre 2004

Evidenziatori e proconsoli (questo gareggia per "titolo più scemo dell'anno").

Se vuoi contare un po' più di un semplice blog-massa, devi passare meno tempo al blog-bar, tenerti informato, e diventare un blog-evidenziatore. Ma attento, qui la cosa comincia a farsi impegnativa. Non un mestiere, ma quasi. Un blog-evidenziatore deve come minimo sfogliare 3-4 giornali e una ventina di blog tra Italia e mondo. È per questo che ti dico: lascia perdere il bar, figliolo. Anche perché se ti vedono troppo seduto ai tavolini, cominceranno a pensare che non stai facendo bene il tuo mestiere. Certo, ogni tanto sarà bene fare una visita, e assicurarsi che tutti si ricordano di te e che ti leggano quotidianamente: ma il blog-evidenziatore si tiene un po' a distanza. L'idea è: fatti, non chiacchiere. L'evidenziatore scrive post brevi e pieni di link. I link sono una cosa seria.

Capite che qui c'è un salto di qualità. Il blog-massa si limita a dire: cacchio, non mi abbassano le tasse neanche stavolta. Al massimo può farci una battuta su, ma rimane in un ambito personale. Ma il blog-evidenziatore, se fa un post sulle tasse, ci mette almeno un paio di link. Il blog-massa si lamenta; il blog-evidenziatore sa.
Attenzione, perché le cose non stanno necessariamente così. La maggior parte dei link non vengono davvero cliccati dai lettori, ma funzionano lo stesso come indici di autorevolezza. È una cosa che l'occhio rileva ancora prima di mettersi a leggere un post: se il pezzo è breve e pieno di link, è un pezzo autorevole, "pieno di cose", di "uno che ha studiato il problema". I blog-massa adorano i blog-evidenziatori: è lì che trovano le migliori pezze d'appoggio per i loro sfoghi o le loro riflessioni. Di solito una comunità è costituita da un gruppetto di blog-massa che frequentano uno o due blog-bar e ruotano intorno una manciata di blog-evidenziatori.

Forse il blog-evidenziatore è il blog politico per eccellenza, in quanto la politica in fondo consiste in questo: definire le priorità. Tutti vorremmo un mondo migliore, in pace e più pulito: se ci scanniamo, è per definire le priorità. Per Bin Laden, ad esempio, la priorità è umiliare gli americani e creare un califfato. Per Bush la priorità è difendere la sicurezza e lo stile di vita degli americani. Per Berlusconi è vincere le regionali. Per il blog-evidenziatore, la priorità è quella notizia che in pochi hanno notato, e che secondo lui è più importante delle altre. Ogni giorno, nel mondo, accadono milioni di fatti di sangue: ma al blog-evidenziatore, questa mattina, interessa soprattutto l'assassinio di Theo Van Gogh. O di una bambina palestinese. O di Carlo Giuliani, eccetera. Il blog-evidenziatore è quello che mette l'accento, che "non si dimentica" di una cosa quando gli altri cominciano ad accostarla al dimenticatoio.

Il blog-evidenziatore è quello che decide di leggere una vicenda in un modo piuttosto che in un altro. Un esempio che ha fatto storia è il caso Kelly. La vicenda ha dimostrato che il governo inglese aveva racconitato bugie sulle Armi di Distruzioni di Massa irachene. Ehilà, questa sì che è una notizia. O no? No, per molti blog-evidenziatori questa non era affatto una notizia: macché. La vera notizia era che un giornalista avesse reso sexy un dossier. Scandalo! I giornalisti rendono sexy le notizie! Molti blog-bar tenero aperto fino all'alba per parlare dei giornalisti cattivi. Che un governo mentisse ai suoi cittadini per dichiarare una guerra, non era altrettanto importante.

Naturalmente, il blog-evidenziatore ha una serie di responsabilità nei confronti dei suoi lettori: dovrebbe garantire che i suoi link sono roba seria, così che i lettori possano fidarsi di lui: non dossier farlocchi, non editoriali della stessa rivista faziosa, non lunghi articoli della stampa estera che magari dicono il contrario di quello che vuole far credere il blog-evidenziatore. Anche se i blog-massa, spesso, non chiedono di meglio che fidarsi del loro evidenziatore preferito, e sono pronti a giocarsi la loro faccia per lui.

Se il blog-evidenziatore è ambizioso, ama viaggiare e conosce bene almeno una lingua straniera, può diventare qualcosa di più: un blog-proconsole.

Il blog-proconsole è un blog-evidenziatore con un'area specifica di interesse, che di solito è un Paese straniero. Quando succede qualcosa in quel Paese, i blog-massa vanno subito a consultare lui, che conosce bene la lingua e la cultura e che magari ci vive. Come un corrispondente di un giornale. E allora perché non l'ho chiamato blog-corrispondente? Così, per far casino.
Naturalmente sapete tutti cos'è il proconsole, avete fatto il classico. È l'ex console romano, che dopo essersi fatto un mazzo tanto durante tutto il cursus honorum, finalmente può andare a gestirsi una provincia dell'Impero con poteri praticamente illimitati. Il blog-proconsole vive il suo ruolo un po' così: questa è casa mia, qui ci comando io. Se sono il proconsole della blogosfera italiana in Bielorussia, e vi dico che in Bielorussia stamattina fa caldo (con tanto di link), voglio proprio vedere chi è in grado di contraddirmi.
Al massimo, se qualcuno comincia a borbottare, la blogosfera può inviare sul posto (o trovare in loco) un secondo blog-proconsole: a questo punto comincia la guerra tra proconsoli, a colpi di link, che è sempre una cosa molto istruttiva, ma soprattutto divertente.
Ma il proconsole ha un'altra qualità: la provincia gli sta stretta. Lui vuole qualcosa di più. Vuole passare il Rubicone e diventare un

(continua, ah ah, ah).

lunedì 29 novembre 2004

11. la sinistra perde perché non usa i blog
12. la sinistra perde tempo a leggere e scrivere blog
(anche la destra, però).


Negli ultimi tempi è cresciuto un dibattito intorno all'uso 'politico' dei blog in Italia, e nell'occasione mi è capitato di essere stato citato in un elenco di blog "vocatamente" politici, redatto da Giuseppe Granieri. La cosa mi fa naturalmente molto piacere, perché sono un egotico.
Allo stesso tempo, la cosa è molto imbarazzante. È imbarazzante per me – ed è imbarazzante per il mondo-blog italiano in generale – leggere per esempio quel che scrive il gentilissimo Webgol: "Non credo neanche che manchi un blog italiano sede di un commento politico articolato e affidabile (uno su tutti: Leonardo)"

Grazie, davvero, ma io la vedo così:
il mio è un blog personale, confidenziale, visibilmente artigianale, cui dedico approssimativamente il 10% del mio tempo e il 20% della mia intelligenza.
E il fatto che il blogghino qualunque di un trentunenne qualunque, di una provincia qualunque, con un paio di carriere avviate nel fiorente mondo del precariato cognitivo (un poveretto, insomma) sia considerato da osservatori di riguardo "sede di un commento politico articolato e affidabile"… secondo me la dice lunga sulla qualità media dei blog "vocatamente" politici in Italia. (A proposito, bello questo avverbio, "vocatamente". È nuovo? Che ne dite di strozzarlo nella culla?)

Vocatamente Vostro

Non voglio neanche peccare di falsa modestia, guai. Dico subito che, scorrendo la lista di Granieri, oltre ad una manciata di URL davvero articolate e affidabili, c'è robaccia al cui confronto io sono l'Encyclopaedia Britannica (soprattutto nella colonna di "Destra": ma questo non è un problema dei blog, è un problema generale della destra italiana). Mentre mancano siti che trovo molto più interessanti e affidabili del mio. E vabbè, qualcosa si può aggiungere, qualcosa togliere, ma sostanzialmente il panorama è quello lì. È un panorama interessante, ma non esaltante. A tratti avvilente. Vediamo.

Qui non si fanno nomi, per evitare polemiche (in realtà, quando si fa così, le polemiche aumentano esponenzialmente, perché chiunque crede che si stia parlando di lui).

– Nella lista ci sono alcuni blog-massa. Il blog-massa è una categoria che Antonio Negri inventerà tra 15 anni. In pratica si tratta del figlio di un operaio-massa che si è laureato, lavora davanti a un PC, e nel tempo libero gestisce un blog, dove parla molto spesso di politica perché è un tema che lo indigna e lo appassiona.
In effetti il blog-massa non fa altro che indignarsi e appassionarsi. Il contenuto dei suoi post può essere ridotto a questo: "Berlusconi mi taglia le tasse, W!", "Berlusconi continua a prendermi in giro con le tasse, Booo!". Siamo stati tutti, almeno una volta, blog-massa, e abbiamo scritto, almeno una volta, un post-massa. Nessun tipo di riflessione, nessun dato che non si possa trovare già su qualche organo di stampa. A prima vista il blog-massa sembrerebbe inutile e ridondante. Sbagliato!

Gran parte dei blog che mi va di leggere al mattino, sono proprio Blog-massa. E anche quando leggo un blog un po' più sofisticato, non vedo l'ora che perda un po' la calma e non se ne esca con un post-massa. Ma cosa c'è di così interessante in tutto ciò?
Per prima cosa, l'eterna ambizione di ogni sociologo dilettante: sapere cosa pensa "la gente". Che è il motivo per cui in tv ci spacciano per informazione un servizio in cui si passa un microfono "per strada", alla "gente". Se un signore dalla faccia simpatica e dal cappotto un po' stazzonato mi dice al microfono "Berlusconi non mi frega più", magari con una bella inflessione dialettale, questo per me vale cinquecento sondaggi di opinione condotti con tutti i crismi della statistica. Chi se ne frega della statistica, io voglio vedere una faccia, sentire un accento. Ed è la stessa cosa che cerco in un blog: una faccia, un accento. Se Berlusconi ne combina una delle sue, la sera penso: "chissà come la spiegherà il tal blog filo-Berlusconi". E il mattino vado a vedere.

Quello che più apprezzo, sono le variazioni sul tema: le battute, i giochi di parole, il modo in cui la stessa notizia può essere condita in mille modi. I blog di questo tipo, di solito, rivendicano sin dal titolo la loro qualità di blog-massa: per dire, se io sono un blog-massa filoamericano, cercherò di chiamarmi filoamericano-punto-it, così la gente mi trova subito nelle colonnine dei blog-massa affini al mio. Per facilitare il riconoscimento ci sono anche una serie di banner, coccarde, etc., così da non lasciare il benché minimo dubbio anche nel visitatore più frettoloso: io sono amico di Israele (o della Palestina), di Adriano Sofri (oppure lo voglio ai ceppi), eccetera.

– Sempre nella lista c'è almeno un blog-bar (da non confondere con la blogbar, che è un'altra cosa).
Molto spesso, discutendo di blog tra blog (che è una cosa che ci piace fare tantissimo), mi è tornata utile questa categoria del bar. Nello specifico, del bar sport. Sarà che sto in provincia (ma molta Italia sta in provincia). Per me il blog è un buon sostitutivo del bar. Nel bene, ma anche nel male. Si ha un blog-bar quando più blog-massa cominciano a incontrarsi sempre nello stesso posto. Cominciano a svilupparsi rituali, dinamiche compulsive, la biondona che si appoggia sulla coda del pianoforte, il pianista che suona sempre la stessa canzone… e qualche volta, lo Straniero che arriva, afferra una seggiola e spacca tutto. Avevo promesso di non fare nomi, ma la rissa scatenata da Filippo Facci su Rolli secondo me resterà un classico del genere.
I blog-bar, secondo me, sono più insani dei blog-massa, per via delle dinamiche di gruppo. No, dico, ma vi è mai capitato di fare una discussione veramente seria e costruttiva in un bar? Di solito è il posto dove le idee più inconfessabili vengono tranquillamente confessate e difese. Un piccolo mondo dove si può dire di tutto. Con la piccola differenza che il blog-bar è aperto a tutti.

Faccio un esempio. Esistono i Padani, esiste la Padania, ma non esiste il Padano. Se prendi un solo militante della Lega Nord, non riesci a dileggiarlo come se fosse davvero l'abitante di questo Paese immaginario che si chiama Padania. Anche se glielo chiedi, lui farà molta fatica a parlartene.
Ma se prendi due Padani, e li porti in un bar a chiacchierare davanti a un grappino, ecco che due timide convinzioni cominciano a farsi forza tra loro, e di colpo la Padania prende forma. È ancora una piccola Padania. Ma tu aggiungi qualche sedia, versa ancora, e pian piano la Padania cresce (funziona anche con la birra e il Partito Nazionalsocialista).
Nella mia città non ci sono molti padani, ma un giorno ci fu una specie di festa nazionale, venne anche Bossi, e Piazza Grande si riempì di bandiere celtiche e di camicie verdi. Io ci andai.
Non volevo veramente parlare con nessuno di loro, ma volevo visitare la Padania. Arrivai da un angolo della Piazza, e provai ad attraversarla tutta in senso diagonale. Arrivato a metà, mi sentivo male. Era una sensazione di forte disagio. Come un bar sport enorme. Nessuna di quelle persone in sé sembrava cattiva, ma messe insieme facevano un certo effetto. So che c'è una scena uguale in un film di Moretti, ma mica è colpa mia, io ci sono andato prima.

Visitare un blog-bar è come attraversare la piazza dove fanno una manifestazione in cui tu non credi. Sono tutti incazzati, pure sai che non possono farti male. Da quando esistono i blog-bar, io posso visitare tutti i bar in cui non avrei mai messo piede. E qualche visita, ogni tanto, è istruttiva e divertente. Ma col tempo rischi di affezionarti anche ai blog-bar: grosso rischio. Uno dei motivi dell'insana gestione del mio forum è che esso tende continuamente a trasformarsi in un blog-bar trasversale, e io non lo sopporto. Non sopporto che qualcuno cominci a fare il voyeur del mio bar, come io lo faccio in quegli altrui. Del resto, l'unica volta che ho collaborato alla gestione di un bar, esso chiuse in due mesi. Vorrà dire qualcosa.

(Continuo se mi viene voglia).

giovedì 25 novembre 2004

Anche tu, Martin Lutero

1. Io sono soltanto un povero blog – ogni tanto è bene ribadirlo, specie quando si vola un po' troppo in alto. Stasera c'è la Sacra Scrittura in cartellone. (Sembra incredibile, ma oggigiorno la Bibbia e il Corano tirano più del Dibbattito sulla Sinistra).

2. Per prima cosa, io sto dalla parte dei Libri. Tutti i libri, sacri e no. I Libri non uccidono nessuno. Nessun Libro può costringerti a fare del male a qualcuno. Al massimo può suggerirtelo, ma ehi, sei maggiorenne, non puoi più nasconderti dietro a un Libro. Se fai del male, la responsabilità resta tua (e cos'è il male? Bella domanda).
Prendiamo Theo Van Gogh. Non è stato ucciso dal Corano, ma da un uomo, da degli uomini. Il fondamentalismo islamico, le violenze sulle donne, la repressione nelle repubbliche islamiche e negli emirati, non sono conseguenze del Corano, ma delle azioni degli uomini. Il Corano è pieno (anche) di parole di tolleranza, e nella Bibbia c'è (anche) il materiale per dichiarare centinaia di Guerre Sante e reprimere milioni di donne. Quel che fa la differenza tra noi e loro, non è un Libro. È una lunga serie di parametri economici, di sconfitte sociali, di nodi che sono rimasti irrisolti in tutti i Paesi in Via Sviluppo. È normale che questa crisi prenda le forme di un ritorno di massa alla religione 'integrale': è stato così per millenni, anche da noi. Anzi, dovremmo evitare che ci accada di nuovo in tempi brevi.

3. Semmai, la differenza sta proprio in questo: che loro hanno ancora un Libro, e lo leggono. Noi no. Anche se è ancora su uno scaffale alto in tutte le case.
Ma non lo leggiamo più. Al massimo, quando proprio dobbiamo, lo "interpretiamo". Siccome molto spesso non ci riconosciamo in quel che è scritto, dobbiamo "interpretare" molto. Fortunatamente, il nostro Libro è suscettibile di "interpretazioni" anche molto libere, mentre il loro Libro no (questo, almeno, secondo il teologo e islamologo Vittorio Feltri).
Così, un versetto misogino che sul Corano crea allarme sociale, nella Bibbia suscita al massimo un coro di "sì, ma va interpretato…", "bisogna capire il contesto…", ecc. Altro che semplici cristiani, siamo tutti storici del cristianesimo, qui. Tutti esegeti biblici. Tutti Martin Lutero.

4. Quando penso a Martin Lutero, in realtà penso a due persone diverse.
La prima è un giovane monaco smilzo, che indossa un cilicio per scontare peccati immaginari, e ha paura di tutto: dei fulmini, della morte, del sesso, del diavolo.
Il secondo è un signore robusto, padre di famiglia, dalla pinguedine sospetta, che ha tutta l'aria di trovarsi a suo agio in questo mondo. Cosa è successo in mezzo? La scoperta della Grazia. Non conosco abbastanza la storia per sapere se fu un evento traumatico o graduale, ma il cambiamento è comunque spettacolare.
Prima avevamo un ragazzino alla presa con domande tormentose: Esiste un Dio? E mi vuole bene? E, io voglio bene a Lui? Cos'è il Peccato? Dopo, un simpatico signore che ha deciso che Dio c'è, ed è dalla sua parte.
E voi, da che parte state?

5. Quando andai in Scozia, mi capitò di andare a un paio di liturgie della locale chiesa protestante. Solo un paio di volte, per cui sarò costretto a generalizzare.
In quella situazione caso quel che mi ha stupito di più sono le parole degli Inni. In quella chiesa non facevano che cantare: Dio è grande, Dio è con me, ho trovato la via, wow. Una cosa entusiasmante, sul serio. E il sermone del pastore era sullo stesso tono.
Ora, non so se avete presente le canzoni che si cantano in una qualunque chiesa cattolica la domenica, ma vi garantisco che all'80% sono variazioni sul tema: Dio mio, che razza di povero piccolo peccatore che sono. Quando poi il prete attacca l'omelia, non fa che ribadire il concetto: ragazzi, quanti stupidi peccati avete fatto questa settimana? Perché non date più retta a quel che dice Gesù, eh, non avete sentito il Vangelo?
Una liturgia piuttosto demoralizzante, specie se ripetuta per tutte le domeniche di una vita. Ma i cattolici sono fatti così: hanno bisogno di sentirsi nel Peccato, è parte della loro quotidianità. Quello che li spinge a migliorarsi, e nei casi peggiori a tormentarsi, è l'idea di doversi liberare dal Peccato. E cos'è il Peccato? Bella domanda.
Come i cattolici vivono nel Peccato, i Protestanti vivono nella Grazia. Loro, se vanno in chiesa la domenica, è per sentirsi parlare della Grazia. Quanto al Peccato, non è più così difficile da individuare. È Peccato tutto quello a cui hanno rinunciato da quando vivono nella Grazia. Può essere il sesso, la droga, l'alcol, o qualsiasi altro impedimento che è stato superato, è stato vinto.

6. Queste, ripeto, sono solo stupide generalizzazioni. Io non ce l'ho coi protestanti o coi cattolici. Conosco molti cattolici che ragionano da protestanti, e immagino che molti protestanti ragionino da cattolici. Di più, credo che Peccato e Grazia siano idee presenti in ciascuno di noi.
Tutti noi, se abbiamo avuto una fede (una qualunque fede), siamo stati piccoli Martin Lutero. Siamo cresciuti in mezzo ad angosce, dubbi, turbamenti (e abbiamo letto Dostoevskij), finché a un certo punto qualcosa si è sbloccato, e Dio ha smesso di essere un problema (e Dostoevskij è finito in fondo a uno scaffale). Perché o abbiamo deciso che non esiste (e che non può più farci male); oppure abbiamo capito che è dalla nostra. E se Dio è dalla nostra, noi siamo ok. E anche Dio è ok. Tutto è ok. Si chiama maturità, e io la trovo molto sospetta. Non ce l'ho coi protestanti: ce l'ho con questi credenti maturi, che gradualmente finiscono per costruirsi un Dio a loro immagine e somiglianza, che (naturalmente) non può che dar ragione a loro. E se Dio dà ragione a loro, Dio è ok. Molti protestanti sono così. Bush ha proprio l'aria di ragionare così. Ma anche molti cattolici la pensano allo stesso modo (e anche molti musulmani).

7. Io, pur invecchiando come tutti, vorrei cercare di restare nella situazione del giovane Lutero, quello pauroso, tormentato e antipatico. Sì, quello che vive nel Peccato, o perlomeno del dubbio. Dubbio di non sapere cosa sia il bene e il male, se ci sia davvero Dio e cosa voglia da lui.
Da giovane Lutero, le Scritture mi affascinano e mi sgomentano, perché dicono cose che non capisco, oppure (peggio!) che capisco benissimo, e non mi piacciono per niente.
Eppure devo ammettere che se Dio esiste, può avere idee diverse dalle mie: idee che non capisco, o con cui non mi trovo in accordo. Se fossi già certo della grazia di Dio, avrei senza dubbio già pronta la mia bella "interpretazione" con cui salvare capra e cavoli, il mio senso comune travestito da Dio, che mi ispiri qualche saggia parola.
Ma io non ho tutta questa fiducia nel senso comune, che è quello che ci fa alzare la mattina e condurre una vita che di solito detestiamo; ed è lo stesso che ci porta a dichiarare e combattere guerre assurde. No, decisamente io non sono nella Grazia, per me la Scrittura resta un mistero e uno scandalo.

8. Siccome per me il Libro è un mistero, lo leggo ancora molto volentieri.
(E a volte riapro pure Dostoevskij).

I pezzi dei giorni scorsi hanno, come si dice, stimolato un dibattito, su Macchianera, e sull'orrido forum (vedi interventi di Monica e di .mau.).

martedì 23 novembre 2004

I versetti misogini

ehm,
temo di dovervi delle scuse per il piccolo errore dell'altra sera.
Sapete che ero andato a verificare sul mio Corano se erano vere le accuse di Vittorio Feltri, no? Bene. Beh, non so che dire, era un po' tardi, la stanza era buia, io magari un po' distratto, insomma, invece di afferrare il Corano dalla mensola in alto, ho preso il libro che c'era di fianco.
A mia discolpa (1), devo dire che era grosso uguale, e pesante uguale, sempre con quelle pagine sottili sottili e la scrittura fine. Uno di quei libri che impone una certo rispetto. Però non era il Corano.

Era la Bibbia

A mia discolpa (2), posso dire di aver fatto lo stesso errore di una celebre giornalista e maitre à penser occidentale, che tre anni fa scrisse, in un articolo rimasto famoso: Ma allora come la mettiamo con la storia dell'Occhio-per-Occhio-Dente-per-Dente?[…]Anche questo sta nel Corano.

Chissà, magari ci sta anche, nel Corano. Ma di sicuro sta in: Esodo 21,24. E in Levitico 24,20. E in Deuteronomio 19,21. Finché Gesù, per fortuna, non prende le distanze in Matteo 5,38: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l`altra...

Quanto ai versetti misogini dell'altra sera, la "Sura della Genesi" era il libro della Genesi. La Sura del Siracide, il Libro del Siracide. Le sure dei Corinti, degli Efesini, di Timoteo, erano le lettere di San Paolo ai Corinti, agli Efesini, a Timoteo (come potete benissimo verificare qui).
Potenza delle parole, eh? Se dico "Sura", mi sembra di parlare di qualcosa di esotico e remoto; ma appena dico "Libro", o "Epistola", mi ritrovo a casa mia, una bella domenica di novembre, con fuori le campane che suonano e i compiti di catechismo da fare. E anche la misoginia di quei versetti mi sembra una cosa molto più familiare, alla mano, uno di quei panni sporchi stesi nel cortiletto di casa.
Che è un po' quel che sembra pensare Vittorio Feltri, che nella sua chiosa al Corano (pag.87), scriveva così:

Usa proprio questa formula il Libro Sacro: i maschi sono superiori. Non è una frase suscettibile di interpretazioni. Anche perché Maometto non è stato soltanto "ispirato" da Dio come gli autori biblici, i quali dunque risentivano del clima culturale dell'epoca e dei loro umori con le
rispettive suocere e mogli".


No, dice Feltri: il Corano è la parola di Dio dettata a Maometto; la Bibbia è "soltanto" ispirata ad "autori biblici", con tutto il diritto di scrivere la parola di Dio così, un po' a braccio, adottandola ai costumi dei tempi e ai gusti dei lettori (un po' come i giornalisti di Berlusconi con la parola di Berlusconi). E' una concezione singolare.

E' anche del tutto sballata, naturalmente. Checché ne dica il teologo Feltri, per i cristiani la Bibbia, tutta la Bibbia, è parola di Dio (rendiamo grazie a Dio), ispirata direttamente dallo Spirito Santo. E non ci sono "costumi dei tempi" che tengano.

Nemmeno posso scaricare la colpa sui cugini ebrei, perché se guardo bene mi accorgo che le pagine più misogine non sono nell'Antico Testamento, ma nel Nuovo. Non nel Vangelo, per carità - Gesù tratta sempre le donne con molto riguardo - ma nelle epistole di San Paolo. Il quale non solo non era sposato, ma pretendeva che nessuno si sposasse più. Proprio così:

Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l`uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell`incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. (Sura prima dei Corinzi, 7,1).

E' cosa buona per l`uomo non toccare donna: adesso vi sfido a trovare qualcosa di altrettanto misogino in qualsiasi altro Libro Sacro di religione monoteista. Insomma, come la mettiamo? Se mandiamo via i musulmani che leggono il Corano, ci tocca mandare via anche quei cristiani che insistono a leggere la Bibbia.

Detto questo, vado a fare le valige.

lunedì 22 novembre 2004

Ogni giorno è buono per imparare qualcosa, e io temo di avere imparato qualcosa da Vittorio Feltri. Sì, proprio lui, l'esegeta del Corano.
L'avevo preso sottogamba, sapete. Credevo che valesse la pena di comprarlo per dedicargli uno sfottò, una di quelle cose che piace a noi frustrati di sinistra. Ebbene.
La tesi di Feltri è scontata: il Corano è inconciliabile con l'Occidente. Si tratta di un pregiudizio? Magari. No, Feltri si è documentato, ha studiato il Corano, ed è giunto a conclusioni che sono inoppugnabili. Cioè, io ho anche provato, a oppugnarle. Ma quando uno ha ragione ha ragione, e stavolta devo dare ragione a Vittorio Feltri. Il Corano è inconciliabile coi principi della nostra Costituzione. Chi crede in quel libro non dovrebbe rimanere a lungo sul suolo italiano. Mi dispiace, ma è così. Giudicate voi:

Le donne? Per Maometto sono inferiori
di Vittorio Feltri

Il Corano che cosa pensa delle donne? C'è un versetto molto chiaro. Sura II [detto della "vacca"], 228: «Ma gli uomini sono un gradino più in alto». Usa proprio questa formula il Libro Sacro: i maschi sono superiori. Non è una frase suscettibile di interpretazioni.
[. . .]
Questa inferiorità è strutturale, ed essa è la chiave di volta su cui è costruita la società. Insomma, la donna non è vittima di qualche incidente di percorso, per cui basta un ritocco qua e là delle leggi o della mentalità. No, è minorata per volontà divina, ed anzi la vita comune si regge su questo principio. Il resto discende come conseguenza: nessun ruolo direttivo, nessuna possibilità di organizzare per sé un minimo di vita individuale. La schiavitù è sancita e benedetta. Non sono teorie religiose, ma sono diventate immediatamente leggi politiche dove l'Islam è al potere, e pratiche familiari dove sono (per ora) in minoranza. Non illudiamoci: gli ayatollah imporranno a tutti questa visione del mondo appena potranno, perché per essi non c'è distinzione tra sfera spirituale e politica, tra morale cranica e legge dello Stato. Si pone un'altra questione seria. Le comunità musulmane presenti in tra noi possono trattare così le donne in barba alle nostre norme e consuetudini?


La risposta sarebbe scontata (no), ma lo sapete, io sono il solito malfidato, mica potevo fidarmi del primo versetto che mi citavano.
Così sono andato a prendermi la mia copia del Corano, ché sapevo bene di averne una da qualche parte su una mensola alta (il Libro va sempre posato in alto). E ho iniziato a sfogliare. Ero convinto che avrei trovato subito qualche versetto che ribaltava la faccenda. Beh.
Mi sono dovuto ricredere. Più andavo avanti, più era peggio. Ragazzi, c'è poco da essere politically correct. Quel libro è veramente misogino. Tutte le volte che compare la parola "donna", da qualche parte lì intorno c'è anche la parola "sottomessa". Non ci credete?

Si parte dalla Sura "della Genesi" (3,16): è Allah che dice alla prima donna:
"Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ma egli ti dominerà".


Tanto per mettere subito le cose in chiaro. Ma cos'ha fatto, la donna, di male? Lo spiega a chiare parole la Sura "del Siracide" (25,24):

Dalla donna ha avuto inizio il peccato,
per causa sua tutti moriamo.


Per cui il minimo che possa fare è restare sottomessa. E infatti: Se non cammina al cenno della tua mano, toglila dalla tua presenza (Siracide 25,26)

E poi ci lamentiamo se le loro donne rimangono segregate in casa? Finché continueranno a credere in un Libro che ragiona così…

Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo
è una donna che mantiene il proprio uomo
(Siracide 25,21)

…non c'è da aspettarsi che escano a cercarsi un lavoro. Né che partecipino a qualsiasi tipo di attività sociale. Perfino nella preghiera sono emarginate:

Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea. (Sura "dei Corinti I", 14,34-35)

Nella stessa Sura si motiva anche l'uso femminile del velo (e del burqa, eventualmente):

L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. [… ] Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto? Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo. Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine […] (Sura "dei Corinti I", 3,7-16)

Notate la grazia della chiusa finale: se qualcuno vuole contestare… noi non abbiamo questa consuetudine. Tante grazie. Noi sì, però. Come la mettiamo?
E ancora:

Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie […] (Sura "degli Efesini" 5,22-23;

Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa. (Sura "di Pietro I", 3,1)

Per finire con questa botta:

La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia. (Sura "di Timoteo I", 2,11-15)

Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo… e poi pretendiamo che abbiano rispetto per le nostre insegnanti? No, mi dispiace, io credo di essere una persona di aperte vedute e tollerante, ma ci sono dei limiti.

E che nessuno venga a dirmi che questi versetti vanno interpretati, inseriti nel loro contesto, mediati… interpretare cosa? Mediare cosa? È tutto chiaro qui, tutto nero su bianco: dalla donna ha avuto inizio il peccato, la donna stia sottomessa all'uomo, punto. E questo credo che non dovremmo tollerarlo. Mi dispiace, ma su questo sono più feltriano di Feltri: chi crede in questo Libro non ha il diritto di rimanere nel nostro Paese, dove vige una Costituzione che prevede per uomo e donna pari diritti.
Perciò, cari amici musulmani, aria.

[Continua domani]

venerdì 19 novembre 2004

(7900 battute, fatto. Ora, se fossimo nel secolo scorso, dovrei stamparne cinque copie, e poi sarei curioso di vedere i punti interrogativi di Jonathan, quelli esclamativi di Enzo, le sforbiciate di Ric o Glauco... se fossimo nel secolo scorso).

Davanti a me c’è un post-it: "Scrivere un pezzo per Energie Nuove: 7455 battute entro giovedì".
Sono un po' confuso, è una cosa che non succedeva da cinque anni. Come tornare nella vecchia classe delle medie, avete presente? Di solito i banchi sono più piccoli.

Memorie di un correttore.

Nel 1996 la pubblicazione ufficiale dell'AVPA languiva, e qualcuno pensò: visto che siamo un'associazione di volontariato, perché non affidarla a dei volontari? In un qualche modo, Riccardo riuscì a coinvolgere nel progetto alcuni suoi amici, tra cui me. Nessuno, a parte lui, aveva esperienza di servizio in Associazione. Per noi, fino a quel momento, la Croce Blu era poco più di un marchio sulle ambulanze. E l'ultima cosa che volevamo fare, era un giornalino con in copertina un'ambulanza, una di quelle cose che, quando ti arriva nella cassetta delle poste, ti dà i brividi. Un house organ, insomma – in seguito abbiamo imparato che quel tipo di cose si chiama house organ. A quel tempo ne sapevamo ancora poco, ma eravamo ottimisti. Girando per le tipografie ci rendemmo conto che risparmiando un po' sulla carta, il giornale poteva diventare una specie di rivista, a 24 pagine, con articoli divertenti accanto alle rubriche ufficiali; inchieste, racconti, e persino un fumetto. Non un house organ, decisamente: in quel momento l'importante era incuriosire i lettori. E i volontari, naturalmente. Che una volta aperto, lo avrebbero amato, e sarebbero venuti a trovarci in redazione (due sere a settimana). Qualcosa di mai fatto prima, di fresco. Di nuovo. Energie Nuove. Sottointeso: le nostre (qui la faccio facile, ma la scelta della testata ci costò almeno un mese di riunioni).

Il primo numero, detto "il Bianco", fu un disastro, sotto molti aspetti. Dentro si parlava di tutto quello che interessava a noi in quel momento: internet, naturalmente, postmoderno, naturalmente, architettura, librerie, musica. Anche di Croce Blu, cercando bene. Più che farsi amare, la rivista sembrava concepita per spaventare i lettori, sin dai ghirigori della copertina. Era successo che avevamo incontrato un bravissimo grafico, Matteo, e ci eravamo appassionati a quello che faceva: e ogni volta che ci portava proposte per la copertina o per l'impaginato, noi sistematicamente sceglievamo le cose più innovative e stravaganti. Per di più non avevamo ancora molta esperienza coi computer; potevamo discutere una sera alla settimana su una foto o su un concetto, ma conoscevamo solo vagamente quella pratica che si chiama "correzione di bozze".

Col secondo numero, "il Blu", le cose andavano già molto meglio: stavamo imparando, oltre a correggerci le bozze, a provare curiosità per quello che succedeva in città. C'è un bell'intervento sulla prostituzione, firmato da due operatori di strada. Una memorabile inchiesta sugli ipermercati, che nel 1996 a Modena sapevano ancora di novità. Il resoconto di un congresso straordinario ANPAS, ma anche un bell'inserto fotografico e un lungo servizio sul circuito cinema (perché la rivista continuava ad assorbire le passioni di chi la faceva): e ancora un racconto, un fumetto. Insomma, la rivista cominciava a prender forma, e ad attirare l'attenzione. Le riunioni di redazione cominciavano ad allargarsi. Venivano a trovarci amici e compagni dell'Università di Bologna, perché, strano ma vero, una rivista così curiosa e pazzoide (e a suo modo ‘impegnata’), in tutto quel panorama universitario non c'era. Cominciava ad arrivare – grazie al cielo – anche qualche volontario dell’Associazione. Il terzo numero (“l’Arancione”) parlava del Polo Umanistico che stava per aprire a Modena, della Globalizzazione (la parola più usata del 1997). C’era anche il contributo di un collaboratore d’eccezione: Guglielmo Zucconi, che un pomeriggio era venuto a trovarci e a spiegarci qualcosa di quello che stavamo facendo per gioco già da un anno: il giornalismo.

Al di là di queste piccole soddisfazioni, era tutto ben lontano dall’essere perfetto. La rivista sembrava piacere più al pubblico esterno che ai volontari della Croce Blu. Coinvolgere persone all’esterno dell’Associazione era sempre stato un nostro obiettivo: ma non volevamo sembrare i “marziani” dell’Associazione, isolati nella nube di fumo che veniva a crearsi il giovedì sera in sala riunioni. Il rischio di voler giocare all’Intellettuale era sempre in agguato (tenete conto che nessuno di noi aveva ancora passato i trent’anni), eppure se ci trovavamo all’AVPA era proprio perché avevamo voglia di misurarci con una realtà più grande e più complessa di tutte le nostre frequentazioni: l’Associazione, e in generale il Volontariato, il Terzo Settore, la vita di una vera città. Era un qualcosa di meno – e di più di un lavoro. Tra noi, lo chiamavamo “Volontariato culturale”. Energie Nuove cominciò a fregiarsi del sottotitolo “Rivista di volontariato culturale”.

Non cambiò soltanto il sottotitolo. Il formato a ‘libretto’ non ci piaceva più, volevamo qualcosa di simile a un giornale, tre fogli piegati in quattro, dodici pagine. Energie Nuove cercava di mettere più a suo agio il lettore, senza rinunciare a qualche stravaganza (alcuni, la prima volta, lo aprivano a rovescio). Anche le riunioni erano molto cambiate. Ora eravamo più di una dozzina e non tolleravamo più lunghe discussioni su qualsiasi scelta di grafica o contenuto. Arrivammo al punto di cronometrare gli interventi: chi aveva un articolo da proporre, lo doveva (1) presentare in cinque minuti; (2) consegnare in tre copie ai revisori; (3) leggere le tre revisioni e consegnarlo rifatto per la riunione successiva; (4) ripetere le prime tre operazioni. (Sembra incredibile, ma riuscivamo ugualmente a sbagliare gli accenti). Per evitare di fossilizzarci, a ogni numero cambiavamo i ruoli: gli ultimi 4 numeri di Energie Nuove sono stati coordinati da quattro persone diverse. Energie Nuove è stato anche questo: un’esperienza concreta di democrazia e di autogestione. Essere redattori significava lavorare agli articoli, all’impaginazione, portare il numero in tipografia, distribuirlo in giro per la città. Un’esperienza a tutto tondo.

Continuavano a succedere cose imbarazzanti: una volta la tipografia sbagliò completamente i colori della copertina, ma le nostre copertine abituali erano talmente ‘strane’ che nessun lettore se ne accorse... peccato, perché, quel numero conteneva un’intervista al regista Ken Loach, che scendendo in Italia si era fermato praticamente solo a Modena e si era fatto intervistare soltanto da noi. Nel numero successivo (il “Rosso”) c’era un’intervista a Kusturica, un’altra a Tahar Ben Jalloun, un’inchiesta sul campo nomadi... L’ultimo numero, datato marzo 2000, non ha nulla di eccezionale: io però lo trovo bellissimo. Ora avevamo due grafici (a Matteo si era affiancato Gianluca), e riuscivamo a fare pagine belle da vedere e da leggere.

E poi... ci siamo fermati. Perché? Da qualche tempo in qua lavoravamo talmente bene che avevamo smesso di aggregare persone nuove. Imperdonabile. La rivista era sempre stata organizzata in un viavai generale: gente che arrivava, altri che si prendevano una pausa per laurearsi, per fare un erasmus, per cercare un lavoro, per fare un bambino... a un certo punto è successo che tutti eravamo in pausa. Il secondo ciclo di Energie Nuove è finito così.

E’ stato quattro anni fa: oggi non so se molti volontari si ricordano di Energie Nuove. Io tuttora mi chiedo se abbiamo reso un buon servizio all’Associazione. Credo di sì: abbiamo fatto tanti errori, ma ce l’abbiamo messa tutta. Però, se devo essere onesto, EN è qualcosa che è servita più a noi che ci lavoravamo. E’ stata un luogo dove incontrarci, confrontarci su migliaia di cose, scoprire un po’ del mondo intorno a noi. Scoprire anche una professione. Molte ex redattori di EN oggi continuano a lavorare in redazioni di cose un po’ più importanti: è un onore aver cominciato a un tavolo con loro. E io? Io mi sono laureato e adesso lavoro. Faccio il correttore di bozze. Alla prossima.

mercoledì 17 novembre 2004

I miei amici sono atipici, mi dici

Stasera vorrei per una volta dedicare un pezzo a tutti i miei amici che si danno da fare e, dai e dai, riescono a concludere qualcosa (qualcosa che non sia il solito blog, per esempio).

Gente come Ebe, che, già ve lo dissi, fa a mano le borse più belle di Modena e quindi del mondo, e che ora ha anche un bel sito.
Purtroppo manca ancora l'e-commerce, e-con-ciò? Prendete un treno e venite a comprarle a Modena: tanto costeranno sempre meno dei brutti affari che vi vendono a Milano.
(A me piacciono pure le mutandine, se devo dirlo).

Ok, fatto. E poi?

Ma se proprio non vi schiodate da Milano, almeno visitate la mostra Oltre il Muro, con fotografie di Livio Senigalliesi presentate dal leggendario Riccardo Bagnato. Qui ne parla il Corriere, con tanto di intervista audio a Riccardo.

E adesso a chi tocca?

Qui, invece, un bell'articolo di Pierpaolo Ascari, che recensendo il romanzo Nicola Rubino è entrato in fabbrica, di Francesco Dezio, riesce comunque a coinvolgere Marx e Foucault in una riflessione sulle ultime elezioni USA. Il tutto sul quotidiano più pazzo d'Italia (e quindi del mondo), che prosegue imperterrito e coerente a cancellare i suoi archivi settimana dopo settimana.

E poi? Non mi sto dimenticando di qualcuno, vero?

Tornando in piazza della Pomposa, allo Juta c'è l'appuntamento fisso con alcuni dei più interessanti autori italiani, presentati da Jonathan Sisco, ogni martedì.
(Tranne due martedì fa, che al posto di Jonathan c'ero io, e ho presentato Cosimo Argentina che presentava Cuore di Cuoio, e qui non ho scritto niente perché ero troppo stanco per connettere. Bel libro, comunque, e Argentina molto simpatico).

Direi che è tutto, no? No, aspetta…

Da Sassuolo mi segnalano Zio Radio, il nuovo parto del nonno di tutti i blog italiani, Antonio Blogorroico Cavedoni. Mentre intanto i polaroidi fanno carriera, passando finalmente da un confortevole mono a un più frizzante stereo (ma gli mp3 sono ancora in mono, sig).

Strano, eppure mi sento come se mi fossi lasciato dietro qualcosa… qualcosa di giallo...

Ah, e poi sembra… ho notizie vaghe in riguardo, ma pare che un gruppo di blogger bravi abbia fatto un libro per un editore di Torino… Stanno qui, mi pare… appena ho idee più chiare vi faccio sapere.

Ok, è tutto

martedì 16 novembre 2004

"E adesso passo la parola a Flippo, che ha qualcosa da dirci su, uhm… il populismo e… gli studi classici"
(Brividi tra gli astanti)


Agli idranti

"Compagni, amici, colleghi: e il Populismo?
No, ma dico, ma ci fa davvero tanto schifo?
Compagni: perché mentre il Populismo di destra va alla grande, quello di sinistra è così fuori moda?"

7. La sinistra perde perché è troppo populista
8. La sinistra perde perché non sa più fare un sano populismo


"Perché se si fa un esproprio proletario, a mano praticamente disarmata, il Popolo Populista si mette istintivamente dalla parte del bottegaio? Una volta non era così. E chi è che ha rubato di più negli anni dell'Euro: il disobbediente o il bottegaio? È una domanda populista, d'accordo, ma perché il populismo da sinistra non funziona più? In fondo Berlusconi e Casarini sono due populisti divergenti e paralleli: uno dice "vi ridurrò le tasse", l'altro "vi do la roba scontata al 70%". E allora perché il primo presiede il Consiglio dei Ministri e l'altro si è ridotto a fare il capoladruncolo nei supermercati? (E a proposito: chi è dei due che mantiene più promesse?)

Un'altra cosa, visto che oggi c'è lo sciopero generale della scuola: ma la piantate di menarvela con quei poveri ragazzini che hanno allagato il prestigioso Liceo milanese? Quelli che a momenti dovevano espellerli da tutte le scuole del Regno? E per cosa? Sappiamo tutti benissimo qual è l'unica cazzata che hanno fatto: andare subito ad autoaccusarsi. Bei fresconi, d'accordo. E allora che facciamo, li interdiamo dai pubblici uffici?

Ma ragioniamo un po' più populisticamente, perdio. Lo scandalo è Casarini che espropria un supermercato, o i prezzi dentro il supermercato? E lo scandalo è un Liceo allagato, o un Liceo dove nel 2004 si fa ancora la Prova scritta di Greco? Di Greco? Ma che lingua è? Ma a cosa serve? Ma è mai servita a qualcosa a qualcuno?

Allora, se in Italia ci fosse un po' di sano Populismo, l'espulsione permanente non andrebbe data a quattro allagatori, ma alle decine di migliaia di insegnanti che pretendono di insegnare ancora il Greco nelle scuole italiane. Questa cosa talmente insensata che grida scandalo al cospetto d'Iddio. E agli allagatori, una medaglia! Martiri della Pubblica Istruzione, questo è quello che sono".

9. La sinistra perde perché ha perso contatto con la scuola, con la cultura, coi classici.
10. La sinistra perde perché non ha avuto il coraggio di dire a migliaia di insegnanti di materie umanistiche che era tempo di cambiar mestiere.


"Compagni, colleghi, so che molti di voi scuoteranno la testa a questo punto. Scuotetela finché vi pare, per quel che vi serve. Metà del tempo la passate a lamentarvi della bancarotta della scuola, della miseria morale dei vostri studenti, del crollo dei valori eccetera. E l'altra metà la passate a correggere aoristi inutili a dei sedicenni. E non vi viene nemmeno in mente di collegare le due cose! Ma spiegatemi perché mai un ragazzino dovrebbe appassionarsi agli aoristi. Persino Canale 5 al pomeriggio trasmette roba più appassionante.

Compagni, O! Dico a voi. Ma li volete chiudere quei Licei Classici, una buona volta? Quella robaccia idealista che era già obsoleta ai tempi di Gentile? Che uno comincia a crescere, scopre che il mondo è bello e vario, e che ci sono migliaia di cose utili da imparare, le scienze, le lingue straniere, la letteratura… poi finisce la scuola media e tac! Due anni di Ginnasio a sfogliare il libri dei morti, il dizionario di latino e il dizionario di greco. E un po' di matematica? Sì, ma solo un pochino, eh, che il ragazzino non ci provi gusto e non si faccia venire in mente di sviluppare in un garage un Sistema Operativo. E le lingue straniere? Massì, una spolveratina nel biennio, e non di più, mi raccomando, che non gli venga in mente di mettere in fuga il suo cervello.

Compagni, già vi sento che digrignate le protesi, e v'indignate, e come si permette questo qui… i classici sono importanti… io ho fatto il classico e ho avuto successo nella vita… O tempora o mores… O grulli! Voi non siete intelligenti grazie al Liceo Classico, voi siete intelligenti malgrado il Liceo Classico. E mi piange il cuore, a pensare a quel che avreste potuto fare se non vi avessero parcheggiato il cervello per cinque anni alla scuola dei ricchi. Che sarebbe il Classico, l'Istituto di Scienze Inutili, il collegio per le dame di buona società. Allaghiamolo! E premiamo chi lo allaga! Ci ha mostrato la strada. E che ci facciamo ancora qui? Fuori! Agli idranti!

(Nessuno si muove)

lunedì 15 novembre 2004

Mentre voi vi fate i fatti vostri, su questo blog prosegue l'assemblea permanente sul tema: perché la sinistra perde? In questo momento l'assemblea è spaccata, pensate, su Mentana.

5. La sinistra perde perché è ossessionata da Berlusconi
6. La sinistra perde perché sottovaluta Berlusconi


"Io, Mentana l'ho guardato pochissimo, onestamente. Mica perché stimassi la concorrenza.
Sento dire che fosse un direttore autorevole e non di parte, mboh. Posso dire che se avesse avuto un blog, l'avrei letto volentieri, per il modo che aveva di personalizzare tutte le notizie, farci il suo bel commentino, la battutina e via.
Ma invece di un blog dirigeva un tg, e questo modo di personalizzare tutte le notizie, farci sempre un bel commentino, lo trovavo sommamente antipatico".

"Non credi di esagerare?"

"Indubbiamente sì, è una parte del mio carattere che è rimasta negli anni Ottanta, detesto i socialisti rampanti e i duranduran. E la sinistra perde anche per questo motivo. Ma lo sapete che cosa ha detto, alla fine? mediaset mi ha offerto 13 anni di possibilità di fare quello che volevo ... non c'è mai stata intrusione aziendale. Hai capito? Come dire: bravo editore, che per tredici anni non mi hai censurato, mi hai solo cacciato alla fine. E tutti in coro: bravo il Capo, che per tredici anni gli ha fatto fare quel che gli pare. Ammesso e non concesso che le cose stiano così: il problema è che i tredici anni sono finiti. È così difficile da capire? La notizia non è che in Mediaset ci sia stata, entro certi limiti, una certa autonomia di pensiero: la notizia è che questa autonomia, da un giorno all'altro, possa non esserci più. E legittimamente. Perché anche la cacciata di Mentana non ha niente di eccepibile: è roba della famiglia Berlusconi, e la famiglia fa quel che le pare".

"Cioè, dici, il problema è più a monte"

"Il problema è sempre lo stesso, sempre: chi ha permesso al Cav. Berlusconi di avere tre emittenti nazionali, svariate testate giornalistiche, il controllo sulla maggior parte della distribuzione pubblicitaria, eccetera? (Domanda retorica, fu Bettino Craxi). Se non ci fosse un duopolio-monopolio, non ci sarebbe nessun caso-Mentana: uno come lui andrebbe al migliore offerente. Ma siccome la Mediaset ha tre canali, noi pretendiamo che mantenga un minimo pluralismo dell'informazione. Ma perché mai dovrebbero, scusa".

"Eppure, per tredici anni c'è stato un tg di mediaset non fazioso".

"Ammesso e non concesso: quello che alcuni anche a sinistra non capiscono, secondo me, è che la libertà non è una speciale concessione che il Principe ci fa perché ci vuole bene. Se cominciamo a credere che la libertà sia avere un padrone che ci lascia qualcosina tutta per noi – un tg, un salotto, un programma di comici, un giornalino intelligente – noi gradualmente smettiamo di immaginarci la libertà com'è davvero, come dovrebbe essere: uno spazio con tante opportunità e nessun padrone. Oltre al fatto che tutte le libertà che il Padrone ci dà, ce le può togliere quando vuole".

"E adesso vuole".

"E tu dagli torto. Oh, ma per 13 anni è stato gentilissimo, ci ha fatto vedere un bel tg, complimenti. E tanti comici in tv, che ridere. E Costanzo e la De Filippi che insegnano ai giovani a farsi strada nella vita. Un gran bel palinsesto. Lo dico senza ironia: probabilmente, il giorno che saremo liberi, non sapremo immaginarcene uno migliore.
Che forse è il motivo per cui brontoliamo, ma alla fine ci teniamo il Principe".

"E allora?"

"E allora è inutile gridare alla censura caso per caso, fare di Mentana un altro martire, il problema non è Mentana: è il monopolio. Il problema non è Santoro, Biagi, Luttazzi, eccetera: il problema è il monopolio".

"...e il conflitto d'interessi".

"Non ci sarebbe conflitto di interessi se non ci fosse monopolio. Non ci sarebbe Berlusconi se non ci fosse monopolio. Inutile gridare alla censura caso per caso, bisogna semplicemente colpire il monopolio. Farlo in tanti piccoli pezzi".

"Che così se li compra tutti Murdoch".

"Ecco, sì. Cioè, no".

venerdì 12 novembre 2004

I filistei e i farisei
(sono due cose diverse)

Oggi (o ieri, o boh) è un'altra giornata storica, e a me va di sprecarla per una polemichetta. Così, anche per far notare le proporzioni (la Storia è molto grande: io sono molto piccolo).

Allora: poche persone, in rete, mi stanno antipatiche come 1972. È una questione di supponenza sua, o mia, non mi ricordo. Lui lo sa, e magari ricambia. E va bene. Ormai sono abituato a incazzarmi. E ho imparato anche ad affezionarmi a questo incazzamento. Sul serio, se per un po' non mi fa più incazzare, mi preoccupo.

Però, una cosa è il simpatico incazzamento da polemica su blog, un'altra svegliarsi e trovare sul Blog Aggregator una cosa così:

Politica_Estera
1972

Muoia Yasser con tutti i filistei
E' morto in un letto, lui
[Argomentativo]

Faccio presente che non sono qui per incensare Arafat, e neanche per seppellirlo: c'è gente più adatta. Peraltro si era ormai auto-nominato simbolo dei palestinesi, e i simboli stanno meglio in orizzontale. Spero che la sua dipartita porti a un chiarimento della situazione nell'ANP e in Palestina, anche se onestamente non vedo come. Ma al di là di tutto, un titolo così?

Ora, io preferisco pensare che 1972 abbia semplicemente dimenticato che la parola "filistei" indica, nella Bibbia, un popolo che viveva più o meno intorno a Gaza (un popolo che gli Ebrei odiavano, parecchio ricambiati), e che tuttora in molte lingue "filisteo" e "palestinese" suonano quasi come la stessa parola. Per cui, garantisco, posso essere critico di Arafat quanto mi pare, ma un titoletto così mi strozza il caffè in gola.
Insomma, quel titolo inneggia alla morte di Arafat e del suo popolo.
È così?
No, sono sicuro che non è così. Sono sicuro che '72 si è spiegato male. Sono sicuro che ha confuso "Farisei" con "Filistei" (e non è il primo, anzi, è in ottima compagnia).

I farisei erano una lobby giudaica molto potente ai tempi di Gesù, passata alla storia come simbolo di ipocrisia e di benpensantismo.
I filistei erano i nemici degli israeliani secoli prima, e furono quelli che accecarono Sansone, che sollevò ugualmente il tetto del loro palazzo esclamando "Muoia Sansone con tutti i filistei" (Giudici 16,30).
Poi è successo che in ambito anglosassone, a partire dell'Ottocento, molti critici e letterati abbiano cominciato a parlare di "filistei" alludendo ai "farisei", cioè ai benpensanti. Se però non frequento l'ambito anglosassone, io questa cosa non la so, e penso subito ai filistei come a quelli che nella Terra Promessa c'erano prima che arrivassero gli Ebrei dall'Egitto.

E soprattutto, siccome tra i blog c'è gente malaccorta e malfidata, gente che non vede l'ora di capir male, che ti crocefigge per un congiuntivo, che non capisce la differenza tra finzione e realtà, che per molto meno rilascia patenti di nazista e fascista e quant'altro, eccetera, posso dare un consiglio a 1972? Non è il caso di cambiare titoletto sull'aggregator?

Prendilo come un consiglio di uno sconosciuto. Dopodiché, nemici come prima, fine della polemichetta.

giovedì 11 novembre 2004

Ecco, direi ora di passare la parola a Tizio, che affronterà un tema scottante: ma è vero che Bush ha vinto le elezioni contro i gay?

(Brusio)

Separati in casa

3. La sinistra è ancora troppo omofoba
4. La sinistra è gay.


"Beh, io la vedo in questo modo: al mondo ci sono milioni di gay e miliardi di omofobi. Non ho dati precisi, l'ultimo sondaggio l'ho fatto molti anni fa in uno spogliatoio durante un'ora di Ed Fisica, ma mi basta pensare che le tre principali religioni monoteiste sono omofobe. Più il Partito Comunista Cinese, che è la quarta. Insomma, mi sembra un dato di fatto.

Poi c'è, da qualche parte c'è chi ha pensato di giocare la carta del referendum sul matrimonio gay durante la campagna elettorale. Mentre da diversi anni, ormai, si sente parlare di risveglio del fondamentalismo cristiano nel Midwest. No, ma veramente. Immaginatevi, in alcuni Stati, una scheda elettorale più o meno così: "Volete Presidente Bush o Kerry? E, a proposito, vi sta bene che i gay si sposino e abbiano bambini?" Allora, io non ho nulla contro i gay, molti dei migliori amici eccetera: però, ci ha combinato un guaio del genere si merita il catrame e le piume. Gay o etero che siano, non lo so e non lo voglio sapere: catrame e piume, punto.

(Rumori).

E non si tratta, guardate, di un semplice errore strategico: qui c'è tutta una concezione della democrazia, del vivere insieme, che va buttata a mare. A me la parola Repubblica piace leggerla così: "Cosa Comune". Una cosa che gestiamo assieme, come in una grande famiglia. In un certo senso, siamo tutti sposati, in una Repubblica. Con tutte le difficoltà e gli sbattimenti che il vivere insieme comporta.

Passa invece questa idea per cui la Repubblica è un semplice condominio dove ognuno si fa i fatti suoi, purché partecipi alle spese condominiali. Un enorme condominio con cinquanta appartamenti. C'è un attico con vista sulla West Coast, dove i gay potrebbero essere liberi di unirsi civilmente, e tre piani sotto un piccolo appartamento con vista sul cortile interno, dove i cristiani born again sarebbero liberi di credere nel Secondo Avvento, nella collaborazione fattiva tra Saddam Hussein e Bin Laden, eccetera eccetera. Ma secondo voi può funzionare?

Tecnicamente sì, può funzionare, perché sulla carta gli USA sono davvero un condominio, una confederazione. In pratica, no. Il cristiano born again che vive al secondo piano si sente minacciato dal gay coniugato che sta tre piani più sopra. Lo concepisce come uno scandalo, un abominio sotto gli occhi di Dio (tanto più che sta nell'attico, dove Dio lo vede sicuramente).
E il gay nell'attico, si rende conto che anche il cristiano born again del secondo piano è uno scandalo, un abominio sociale, qualcosa da combattere? Che non ci sono ghetti, né attici in cui nascondersi? Che finché ci saranno cristiani rozzamente omofobi in giro per la Repubblica, non ci sarà veramente libertà e giustizia per tutti?"

"Cioè, in pratica tu dici: prima combattiamo l'omofobia in senso globale, poi…"
"Poi ci sarà il tempo per sposarsi e avere bambini".
"Ma ci vorranno dei secoli, scusa".
"Ci vorrà il tempo che ci vorrà, mi dispiace, ma secondo me è l'unico modo. Altrimenti ci scaviamo la fossa da soli. Crediamo che libertà si conquisti un appartamento alla volta e lasciamo che nell'appartamento di fianco al nostro cresca il nostro Grande Inquisitore. Pensiamo che sia un fenomeno di provincia. Una moda passeggera. Può anche darsi che lo sia: però si è già conquistata otto anni di Casa bianca. Se non è un campanello d'allarme questo, cosa?"

"Va bene, allora combattiamo l'omofobia in senso globale. In che modo?"
"Nel solito modo: difendendo la cultura laica. Combattendo il creazionismo, tagliando i fondi alle scuole di ispirazione religiosa, eccetera. Tutte cose che dovremmo cercare di fare anche nel nostro piccolo condominio mediterraneo.
È una lotta sul piano culturale, prima che sul piano politico. Anche perché sul piano politico saremo ancora per qualche anno in ritirata ".

"Tu stai dicendo che ancora per molti anni tra gay non ci si potrà sposare".
"Sto dicendo che è in gioco qualcosa di più importante dell'unione civile tra gay: la civiltà laica".
"Sì, ma ancora per molti anni…"
"Forse ci ha rovinato una certa cultura del tutto-e-subito. Forse dovremmo recuperare la dimensione della speranza, che avevano i nostri vecchi, quando parlavano di Sol dell'avvenire. Non lottavano solo per i loro diritti, ma anche e soprattutto per i nostri. Forse i nostri figli…"
"Ma come faccio ad avere dei figli se non mi sposso sposare né adottarli, idiota!"
"Ehm, il mio tempo a disposizione è terminato".

Continua

martedì 9 novembre 2004

La sinistra, è indubbio, perde.
Non sempre: spesso.
Non troppo: quanto basta.
Non le battaglie: le guerre.
Non la speranza: la faccia,

e uno si chiede perché
(in mezzo a tanti che rispondono),
e cosa si potrebbe fare, a questo punto.

Da stasera, e fino a data da definirsi, questo blog è in assemblea permanente, col seguente ordine del giorno:


a). Perché la sinistra perde?
b). No, ma sul serio, ma perché?
c). Varie ed eventuali.
Passo ora la parola al compagno Davide, che ci arringherà sul concetto:


59.054.087 elettori di Bush non possono essere cretini

1. La sinistra perde perché... è massimalista, populista, burina
2. La sinistra perde perché... è troppo elitaria, borghese, snob


L'idea della "massa" è rimasta cara a molta Sinistra, anche quando certi libri sono finiti in quarantena. Oggi qualcuno prova a sostituirla con "moltitudine", che suona meno rude (ma fin troppo immaginoso). Si parla anche molto di "partecipazione": visto che la democrazia ci lascia parecchio insoddisfatti, pensiamo di sostituirla con una "democrazia partecipativa": più discussioni alla base e meno vertice. Si parte dal presupposto che la massa sia più illuminata del vertice: perché in quanto massa non può che decidere per il bene comune.

Questo presupposto ("la Massa è buona"), in Italia, va a sbattere contro un enorme cumulo di rifiuti, che nessuna massa ha voglia di incenerire per il bene comune. Sul serio, ogni discussione seria sulla democrazia partecipativa va ad arenarsi nelle discariche. Finché si parla di acqua, di aria, di case, non c'è male, ma quando si passa ai rifiuti, la Massa tira fuori gli artigli: assedia i palazzi, ferma i treni. Le manifestazioni di massa meglio riuscite in questi anni non sono state le oceaniche marce per la pace, ma i presidi per le discariche.

Qui occorre sgomberare un pregiudizio antico: io non credo che i cittadini del comune vicino alla discarica, quando fermano un treno, siano dei cretini. Al contrario: sono persone intelligenti e accorte che stanno usando nel modo migliore i mezzi a loro disposizione.
Purtroppo, li stanno usando contro di me.

Allo stesso modo, io non mi sognerei mai di dare del cretino ai milioni di americani che hanno scelto Bush. Al contrario: si tratta per la maggior parte di persone intelligenti, che hanno usato nel modo migliore il voto a loro disposizione. Purtroppo l'hanno usato contro di me. È questo il problema. Non sono affatto stupidi. Ma pensano al loro bene, non al mio. Non mi odiano, non ce l'hanno con me, ma non è la mia pace quello che li preoccupa: è la loro.
Secondo il loro punto di vista, l'America può difendersi dal terrorismo interno andando a combattere i terroristi oltreoceano, negli Stati Canaglia che li ospitano. Possiamo discutere sulla definizione di Stato Canaglia: l'Iraq c'entrava veramente qualcosa con il terrorismo di stile Al Qaeda? Pare di no – dettagli. Quel che importa è la strategia, e la strategia funziona. Dopo l'11/9 l'America non è stata più veramente colpita. I milioni di elettori di Bush hanno fatto la scelta giusta – dal loro punto di vista. Sono stati avveduti e accorti. E mi hanno messo nei guai.

A questo punto accade un noto capovolgimento di fronte: siccome io ce l'ho con una massa di milioni di persone, passo per uno snob, elitario, ecc., con qualche presunto piedistallo o torre d'avorio da cui parlare. No. Aver perso un conteggio non equivale a essere elitario. Io non mi sento superiore ai milioni di elettori di Bush; non mi sento più intelligente di loro. Tantomeno posso sentirmi più "buono" di loro: perché dovrei? Tutto quel che so è che la loro ansia per la sicurezza minaccia la mia libertà e la mia stessa esistenza. Loro hanno vinto, io rischio di perdere. Anzi, sto già perdendo. Ogni giorno perdo qualcosa: un diritto, una tutela, un pezzo di futuro. Non mi sento affatto più superiore di chi me li toglie: perché dovrei? Anzi, può darsi che se un giorno vincessi, sarebbe a scapito di qualche loro libertà, di qualche loro diritto.
(Mi sembra una prospettiva tanto remota, per ora).

"… e quindi credo che sia per questo che la Sinistra perde. Domande?
Sì, tu, là in fondo".
"Quindi la conclusione è che milioni di elettori di Bush non sono cretini…"
"No".
"…ma sono un po' stronzi".
"Dal mio punto di vista".
"Dal tuo punto di vista".
"Sì, assolutamente".
"Grazie".

(Continua, magari per sempre)

lunedì 8 novembre 2004

Questione di pdv


E dal mio (personale) punto di vista, la notizia è che fino a ieri l'Iraq non era in stato di emergenza.

venerdì 5 novembre 2004

"Queste politiche fiscali e militari sconsiderate metteranno sicuramente a rischio il benessere e il potere degli Stati Uniti per molti anni, a prescindere di chi sarà eletto in novembre. Se però Bush riuscirà a ottenere abbastanza voti per ottenere un secondo mandato possiamo aspettarci qualcosa di molto più grave: la fine della grandezza americana" (E. Kamarck).

È ora di bere, 2 (continua da ieri)
2. politica interna.

Quando diciamo USA, parliamo di 280 milioni di persone su un territorio che ne conterrebbe tranquillamente il triplo (quasi 10 milioni di kmq), ricco di zone fertili e di materie prime, nel torso di un continente, al riparo dai peggiori effetti degli sconvolgimenti climatici prossimi venturi (ce ne accorgeremo quando pagheremo acqua e cereali a peso d'oro). Bastano queste sommarie nozioni di geografia per capire che la vocazione imperiale degli USA non è un capriccio, ma una necessità.
Di fronte a dati del genere, cosa resta all'Antiamericano? Quale la sua unica speranza di veder crollare in tempi brevi l'impero stellato e strisciato? La Storia parla chiaro: in questi casi non c'è nulla di meglio di una classe dirigente corrotta e incapace. Dick Cheney e George W. Bush, presenti!

A questo punto, occorre distinguere tra due scuole di pensiero abbastanza divergenti.
Secondo la prima, Bush non è affatto incapace o corrotto, ma anzi un grande statista, supportato da un team di valenti economisti e pensatori, che ha riportato l'America devastata dai democratici a un periodo di piena occupazione e prosperità, grazie a un metodo già felicemente sperimentato dal suo grande precursore, Ronald Reagan: tagliare le tasse ai ricchi, che felici corrono a reinvestire e riavviano l'economia.
L'Antiamericano li adora, questi tipi qui, e augura loro una lunga, lunga vita.

Poi ci sono gli uccellacci del malaugurio, che fanno notare che a un certo punto Reagan, grazie alla sua politica di corsa agli armamenti e alle brillanti idee dei suoi consulenti ultraliberisti, si ritrovò col deficit alle stelle e in piena recessione, e ne uscì alzando le tasse. Cosa che anche Bush, nel suo secondo mandato, farebbe bene a fare. L'Antiamericano spera proprio di no.
Uccellaccio del malaugurio è Elaine Kamarck, in un pezzo di qualche settimana fa sul Washington Monthly (ricopio dall'Internazionale n. 561 del 15/10/2004, pag. XLIII dell'inserto), quando fa notare che Bush, prima o poi, dovrà affrontare il problema del deficit, e potrà farlo (secondo Kamarck), in tre modi: (1) smantellando le tutele sociali (previdenza, sanità, etc.); (2) tagliando il bilancio federale, e passando la patata bollente agli amministratori locali, che dovranno poi fare economie e chieder cassa ai cittadini per conto loro (questo dovrebbe ricordarvi qualcosa); (3) continuando a sorridere alla telecamera, tanto i consumi dei ricchi riavvieranno l'economia e colmeranno il deficit. E tuttavia:

Tuttavia, per quasi tutta la durata del primo mandato il team di Bush si è visto sfuggire la crescita economica. La creazione di posti di lavoro è andata avanti a rilento, e la ripresa è stata stagnante. […] Nel caso di un secondo mandato, la crescita sarebbe ancora più aleatoria, perché influenzata da un fattore su cui la presidenza statunitense non ha alcun controllo: l'impetuoso sviluppo della colossale economia cinese e la conseguente impennata della domanda globale di petrolio. L'aumento del costo dell'energia generato dalla crescente domanda non è destinato ad arrestarsi, e comporterà anche l'aumento di tutto ciò che produciamo, acquistiamo e guidiamo [in Italia, su queste cose, siamo già all'avanguardia]. Eppure l'amministrazione Bush non riesce a guardare oltre il petrolio. Io non condivido le dietrologie della sinistra – che Bush e co. puntano ai soldi del petrolio. Però mi pare chiaro che la mentalità dei petrolieri è del tutto inadeguata ad affrancarci da un'economia basata sull'oro nero. Se Bush sarà rieletto, questo sarà uno dei motivi principali per cui il suo governo avrà portato l'America alla fine della sua ricchezza.

Bush è stato rieletto, e l'Antiamericano gongola. Gongolereste anche voi, se foste altrettanto antiamericani. Dovreste però essere antieuropei, antiitaliani, e, per farla breve, antiumani, perché un crollo economico come quello prospettato da Elaine Kamarck travolgerebbe con sé tutto quello che si trova sotto.
Per questo – solo per questo – stasera vi sentite ancora lievemente infastiditi. L'Antiamericano, lui no. Si versa ancora un altro bicchiere, alla salute di chi gli vuol male. E poi corre a mettersi il barbone posticcio, che è ora di stupire i mondo con un nuovo Comunicato.
Non perdetevelo.

giovedì 4 novembre 2004

È ora di bere
(Nunc est bibendum, diceva il tale).

Ora, può darsi bene che da stasera noi sappiamo qualcosa in più sull'Americano: resta da capire l'Antiamericano, quello vero.

Voi magari ve lo immaginate mogio mogio, in salotto, con una disperata copia del Manifesto sbandierata sul tavolino, mentre fissa torvo il diagramma televisivo dei Cinquanta Stati, che ora dopo ora si fa sempre più rosso-repubblicano. Be', in tutta franchezza debbo dirvi: non avete capito nulla dell'Antiamericano (quello vero).

Lui, a quest'ora, ha già stappato il secondo Magnum (essendo Antiamericano vero, brinda a champagne francese). Una robusta vittoria di Bush era quanto di meglio potesse augurarsi, per una lunga serie di motivi. Vediamoli in breve (ché non c'è fretta, abbiamo quattro anni minimo).


1. politica estera

Siete pacifisti? Siete filo-americani? Eravate pro o contro l'intervento in Iraq? Guardate, a questo punto importa davvero poco. Senza dubbio non apprezzate l'attuale situazione in Iraq (e in Afganistan, e in Palestina) e sperate che le cose si mettano per il meglio, anche se non sapreste dire come.
Ma perché l'Antiamericano (quello vero) dovrebbe condividere la vostra posizione? Non c'è nulla che lo estasia più della prospettiva di una lunga stagione di guerriglia in Iraq, coi piccoli contingenti della Coalizione dei Volenterosi che si ritirano alla spicciolata: ieri filippini, domani ungheresi… finché non resteranno solo gli angloamericani.

Provate invece a immaginarvi l'imbarazzo se avesse vinto Kerry, con la sua posizione un filo più multilaterale di quella di Bush. In realtà è sempre stato un po' difficile capire cosa avrebbe fatto Kerry una volta arrivato alla Casa Bianca, ma non c'è dubbio che avrebbe cercato di coinvolgere di più l'Onu, di rimettersi a parlare con la "Vecchia Europa", di prospettare un ritiro simbolico delle forze a stelle e strisce, magari coperte dal logo di una nuova forza di interposizione. Una cosa molto imbarazzante, per l'Antiamericano. Anche perché una forza di interposizione multilaterale non tarderebbe a finire nel mirino di qualche frangia islamica un po' più fanatica di un'altra, e a quel punto la guerra riprenderebbe più o meno come oggi, ma l'Antiamericano sarebbe costretto a sostenere la forza multilaterale. Cioè, in pratica, Kerry e gli americani che lo hanno eletto… vade retro.

No, mille volte meglio lasciar fare al babbuino di Dio, che nei mesi della campagna elettorale ha lasciato il fronte iracheno terribilmente sguarnito (vedi i sobri calcoli di Pfaall). E domani che farà? Che ritiri le truppe, o che mandi rinforzi (come sarebbe logico), l'Antiamericano ha comunque buon gioco a sbertucciarlo. Se si ritira, è un pasticcione; se rinforza, è un vampiro mai sazio di sangue. Se invece corregge il tiro e riscopre anche lui il multilateralismo, come avrebbe fatto Kerry e come in fondo è logico che faccia nel suo secondo mandato, resta pur sempre il burattino che deve ammettere di aver sbagliato e che non può più pretendere che si creda alla sua parola: a quel punto è anche più facile per la Vecchia Europa dirgli di no. Capite che per l'Antiamericano George W. Bush è il Presidente ideale.

In realtà Bush e l'Antiamericano hanno un obiettivo in comune: la guerra lunga. Bush ne ha bisogno perché è l'unico motivo che lo ha tenuto saldo alla Casa Bianca; l'Antiamericano perché ama le cronache di guerra, sogghigna alle immagini di prigionieri americani che chiedono pietà prima d'essere sgozzati, e già pregusta i film di Hollywood sulle storie di reduci che vinceranno le palme d'Oro di qui a dieci anni (se tutto va male).

E allora cosa sono queste facce mogie in giro. Su col morale. Siete o non siete Antiamericani?

[Continua, ma poco]

martedì 2 novembre 2004

Any Other Day

Noi tutti che siamo arrivati al secolo XXI partendo dai Settanta, e mangiando la più parte dei crostini negli Ottanta, siamo stati vittima di due illusioni prospettiche.

La prima – durata fino al mese di giugno del 1989 – è che ai nostri tempi non succedesse mai niente. Non perché avessimo letto Fukuyama, ma per essere stati svezzati, per così dire, a pane e scetticismo.

(Questo scetticismo non era del tutto stupido, anzi: quando ti rendi conto di vivere in un mondo in cui due superpotenze rivali hanno arsenali in grado di distruggere il tuo pianeta venti volte, e continuano ad ammassarne, quel che vuoi sentir dire da tuo papà è proprio: "Sta tranquillo, non le useranno mai").

Lo scetticismo resisteva ai blandi tentativi di stampa e tv di convincerci del contrario: ma un reattore nucleare fuso in URSS non faceva autunno atomico, un massacro in Medio Oriente non faceva genocidio, una dittatura in Sudamerica non faceva 1984. E il resto era trantran: la Juventus vinceva un campionato ogni due, il pentapartito andava in crisi ogni sei mesi, amen.

Da piazza Tienammen in poi, con sei rivoluzioni in sei mesi, e poi Desert Storm, Mani Pulite, il referendum di Segni, e ancora il Berlusconi 1… abbiamo vissuto nell'illusione opposta: che tutto debba succederci in un giorno, e giorno per giorno. Le date storiche si sono moltiplicate: 13 maggio 2001; 20 luglio 2001; 11 settembre 2001; 23 marzo 2002… fino a oggi, 2 novembre 2004. Comunque vada, un giorno che passerà alla Storia, sono tutti d'accordo.

Questa fede nella Grande Giornata, che cambia il corso delle nostre vite, suona un po' sospetta, specie quando è troppo reiterata. Ma porta anch'essa un germe di saggezza: in fondo ci stiamo auto-convincendo di essere noi gli artefici del nostro destino, che può cambiare ogni giorno (vedi l'insofferenza con cui assistiamo da lontano al testa a testa Bush-Kerry: per la prima volta sentiamo davvero ingiusto che 'altri' votino al nostro posto). È solo un'altra illusione, ma può aiutarci a vivere meglio. E andare a votare più spesso. Io stesso amo praticarla, almeno un giorno all'anno: ogni 13 maggio cerco di pensare a come sarebbe diverso il mio destino se avessi potuto convincere qualcuno ad andare a votare per… per chi? (Miodio, per Rutelli).

Negli altri 364 giorni, tuttavia, resto scettico.
È che faccio parte di un gruppo di persone che sin da piccole amavano studiare la Storia, ma non tolleravano di dover mandare a mente le date, e che crescendo, per ovviare al problema, hanno fondato una particolare corrente di pensiero.
Secondo questa corrente di pensiero, le date non sono così importanti, così come le battaglie non sono così decisive. La Storia è un avversario paziente, che ti lavora ai fianchi. Napoleone avrebbe perso anche senza Waterloo: fu il blocco navale inglese a fiaccarlo, giorno per giorno. Hitler, se non si fosse fermato a Stalingrado, si sarebbe fermato comunque un po' più in là. E così via. Fino al 2 novembre 2004, un giorno come un altro. Oggi ci sembra storico, tra un paio d'anni ci dimenticheremo di averlo atteso con tanta impazienza.

Questo non significa che la consultazione di oggi non sia un momento decisivo: ma non è nemmeno la rivoluzione che tv e giornali ci raccontano, e che noi stessi siamo ansiosi di farci raccontare. Basti pensare a cosa potrà davvero succedere nei prossimi mesi se vince Kerry: il ritiro delle truppe dall'Iraq? Una nuova politica sociale negli States? La vittoria di Kerry sarebbe senz'altro un tranquillante per i milioni di persone del mondo che si sentono offesi dall'arroganza dell'amministrazione Bush. E poco altro. Ma siamo sicuri che un tranquillante sia quello di cui abbiamo bisogno?

Dagli anni Ottanta in poi, nel mondo, abbiamo avuto modo di assistere a tanti cambi di guardia tra partiti di centrodestra e centrosinistra. Di solito è andata così: il centrodestra tagliava, il centrosinistra medicava, il centrodestra tagliava, il centrosinistra medicava. Ad libitum. E più volte abbiamo avuto la sensazione che le medicazioni del centrosinistra servissero soltanto a prolungare un'agonia, in attesa del liberatorio taglio del centrodestra. Oppure: che le medicazioni del centrosinistra servissero a calmare il dolore, ad abituarci a convivere coi moncherini che ci lasciava il centrodestra. Però, taglio dopo taglio, medicazione dopo medicazione, ne stiamo uscendo a pezzi. Vedi l'Iraq: Bush padre ha tagliato, Clinton ha medicato (con bombardamenti mirati), e ha consegnato il paziente in buono stato per i vigorosi tagli di Bush figlio. E Kerry, cosa potrà fare? Taglierà o medicherà? A questo punto, chi può dire cosa è peggio e cosa è meglio?

Un altro esempio è il Protocollo di Kyoto. Sapete, il mondo a questo punto si divide in due: quelli che non hanno la minima intenzione di ratificarlo (tra cui gli USA) e quelli progressisti, illuminati, che lo hanno ratificato da un pezzo, e non lo rispettano. Può darsi che con Kerry gli USA passino dal primo gruppo al secondo: è il caso di mettere fuori le bandiere?

Io ho vecchi amici che sono marxisti, che non mangiano bambini, ma fanno altre cose che disapprovo.
Per esempio, in situazioni del genere a volte indulgono nella logica del tanto meglio tanto peggio: il sistema è vittima delle sue stesse contraddizioni? Ebbene, che esploda! Inutile affidarlo a qualche illuminato ingegnere progressista: si rischia l'accanimento terapeutico.
Quei miei amici non vengono di sicuro a dirmelo, ma può darsi che stasera tifino George W. Bush.
E magari anch'io, chissà.
Tanto domani è un altro giorno.

(Ma intanto, come funzionano queste elezioni presidenziali benedette? Così (via Brodo)).