Pages - Menu

lunedì 29 novembre 2010

The Plot Against Magic Italy

E comunque volevo dire che, wikileaks o non wikileaks, per me Frattini ha ragione. Cioè non è possibile che stia andando tutto in vacca così senza un senso. Ci vuole un senso, e quindi ci vuole un complotto. Insomma secondo me il complotto c'è. E ho anche un'idea di chi stia complottando.
Di sicuro è gente anziana. Il complotto dei vecchietti è sull'Unità.it, e si commenta qui. (Stanno rinnovando il sito, portate pazienza).

E se il ministro Frattini avesse ragione? Se davvero esistessero "strategie dirette a colpire l'immagine dell'Italia sulla scena internazionale", cioè in pratica un complotto? È davvero così paranoico mettere in collegamento i crolli di Pompei, la crisi dei rifiuti, Finmeccanica che perde una commessa, e le altre figuracce che nelle prossime ore Wikileaks pubblicherà?

Ora, nella migliore tradizione della letteratura paranoica, facciamo un passo indietro. Qualche sera fa, mentre gli studenti cominciavano a scendere in piazza, in un ristorante di Milano due vecchietti si prendevano a botte. La notizia, succosa in sé (cosa ci fanno due settantenni, a mezzanotte, in un locale alla moda? Perché non se ne stanno tranquilli al caldo nelle loro case, magari circondati dagli affetti dei loro cari?) è passata quasi inosservata, occultata dalle generalità dei due personaggi. Uno dei due signori era Gian Germano Giuliani, produttore di un famoso amaro digestivo; l'altro, Emilio Fede, uno dei più dileggiati e sottovalutati uomini chiave di Berlusconi: il suo Ministro per la Terza Età, imbonitore di un favoloso parco buoi elettorale che può ancora fargli vincere le elezioni in barba a qualsiasi scandalo o contestazione.

È difficile perfino accorgersi che si tratta, in effetti, di due persone anziane. Giuliani è fresco di terze nozze, e terza separazione; Fede, l'aggredito, poche ore dopo era già davanti alle telecamere, coi lividi imbellettati, instancabile, a chiedere alla polizia di menare "la gentaglia", gli studenti "che capiscono solo di esser menati", i "poveri cuccioloni" che hanno osato violare il Senato, l'assemblea degli anziani intoccabili.

La vitalità di questi personaggi ha qualcosa di stupefacente. Non c'è dubbio che entrambi abbiano fatto cose importanti per l'Italia e gli italiani. Il primo negli anni Settanta vendeva a casalinghe e pensionati sostanze alcoliche sotto forma di prodotti medicinali; allo stesso pubblico, un po' più incanutito, Fede ha smerciato per anni un varietà propagandistico sotto forma di telegiornale. Tutto questo comunque andrebbe scritto su un libro di Storia, nelle ultime pagine riguardanti il secolo scorso. E invece questi e altri settantenni sono ancora qui, nelle prime pagine dei quotidiani del 2010, a reclamare il loro diritto a innamorarsi e fare a pugni. Esponenti di una classe di ferro che non ha nessuna voglia di mollare le redini del Paese. Ma questo cosa c'entra col complotto denunciato da Frattini?

Nulla. Sono solo paranoie. Eppure... se uno prova a unire i puntini, si rende conto che le recenti disgrazie colpiscono un aspetto specifico del nostro Paese: il futuro. Quello dell'Italia, in fin dei conti, non è difficile da prevedere. Le coordinate le abbiamo: siamo una nazione piccola, con una grande Storia, in un mercato globale ormai aperto agli enormi serbatoi asiatici di manodopera a buon mercato. Per restare competitivi non possiamo che investire sulla ricerca, sull'innovazione, sull'istruzione. È una scelta obbligata, gli stessi imprenditori non fanno che ripeterlo. E proprio mentre continuiamo a ripetercelo, scuola e università crollano; il dicastero è occupato da personaggi di dubbia competenza, che elaborano fantasiose riforme che nascondono (neanche troppo bene) una realtà fatta di tagli all'osso.

L'altro investimento obbligato è quello sul carattere specifico dell'Italia: anche nel mezzo di una crisi come questa, il Bel Paese rimane apprezzato nel mondo per il suo patrimonio naturale e culturale. E qui si dovrebbe intervenire: salvando il salvabile, eliminando senza pietà gli eco-mostri, investendo pesantemente nel turismo. Magari anche nel cinema, che negli anni del boom ci rese un grandissimo servigio, diffondendo in tutto il mondo il sogno di una Dolce Vita che a ben vedere era ancora un sogno anche per noi. Dovremmo offrire a miliardi di potenziali turisti la forza di sogni nuovi... Sì, sono considerazioni perfino banali. E mentre le facciamo, il patrimonio è affidato a personaggi di conclamata incompetenza; siti archeologici unici al mondo giacciono in abbandono; il meridione, che potrebbe essere la nostra Mecca, qualcosa che ogni cittadino del mondo dovrebbe sentirsi obbligato a visitare, è stato convertito in discarica dalla malavita organizzata. In mezzo a tutto questo, il ministro dell'Economia dà le mazzate finali al settore affermando che con la cultura non si mangia. Possibile che tutto questo avvenga per caso? È davvero così azzardato ipotizzare un complotto?

Io non so che volti hanno gli uomini che, tra una cena e l'altra, complottano contro l'Italia e il suo futuro. L'unica teoria che mi sento di fare riguarda la loro età. Sono vecchi. Un po' più anziani di quella Repubblica che hanno offeso e depredato senza nessun timor reverenziale. Hanno vissuto alla grande gli anni del boom, hanno finanziato le loro avventure ipotecando il futuro di figli e nipoti. Oggi, nel mezzo di una crisi mondiale, vivono gli ultimi fuochi senza progetti a lungo termine - e perché dovrebbero averli? Ancora un'altra donna, un'altra barzelletta, un'altra bella serata al ristorante. Di accompagnarci al disastro non hanno nessuno scrupolo: sono i primi a sapere che se ne andranno prima. http://leonardo.blogspot.com

venerdì 26 novembre 2010

Film per adulti

Io davvero credo che si potrebbero riempire molte pagine di complimenti, sinceri, per la riuscita di un film ambizioso come Noi credevamo; un film che ti tiene in sala per tre ore parlandoti di una delle cose meno sexy in assoluto, il Risorgimento italiano; un film che riesce nell'azzardo di riaprire quel baule nascosto nella memoria scolastica di ciascuno di noi, senza farci soffocare di polvere; e senza nemmeno spacciarci quelle decalcomanie di eroi che in tv girano ancora parecchio.
Sul serio, se ne potrebbe scrivere a lungo, e bene, di un film così coraggioso. Ma non lo farò, e un po' mi dispiace.

Qui sotto invece vorrei spiegare, spero senza offendere nessuno, perché malgrado tutto io a scuola non lo userò. Naturalmente, oltre a non essere un esperto di cinema, non sono nemmeno un luminare di didattica audiovisiva. Sono un praticone, come tutti gli insegnanti italiani: ho avuto parecchie classi, ho proiettato diversi film, e credo di aver capito perché coi miei ragazzi certi film funzionano e altri no. Magari è un discorso che funziona solo al mio paese. Ma potrebbe anche avere qualche utilità per chi i film li fa, o li produce, e non vorrebbe rinunciare al pubblico scolastico; che di sicuro non è quello che riempie le sale i primi giorni, ma che sulla distanza si fa sentire, e magari può trasformare un insuccesso ai botteghini in un long seller tra i dvd. Un film risorgimentale che non funziona a scuola, per quanto pregevole, non è un'occasione sprecata?

Perché Noi credevamo non funzionerebbe nella (mia) scuola media

Premessa: noi il Risorgimento lo facciamo ancora in terza (adesso). Tra un po' lo sposteremo in seconda, con le semplificazioni del caso. Quindi no, non mi lamenterò perché Mazzini non è filologicamente Mazzini; col poco tempo che abbiamo va già grassa se riusciamo ad abbinare al volto di Mazzini alcuni contenuti basilari (Giovine Italia, Repubblica romana 1848, l'Italia si fa ma lui muore clandestino).

1) Troppo veloce
Lo so, i ragazzini sono tutti iperattivi, nintendo, playstation, ritalin. Sì, ma proprio per questo poi li metti davanti all'Odissea di Rossi e vanno in trip lisergico. Le riprese statiche li ipnotizzano. A essere onesti anche Noi credevamo prende fiato, ogni tanto, soprattutto nella parte carceraria. Ma è già passata un'ora serratissima di gente che va e viene dal Cilento, Parigi, Torino, Ginevra; non c'è il tempo di parlare di un'insurrezione che l'insurrezione si fa e fallisce. In tutta questa cavalcata la narrazione va avanti dando per scontato centinaia di nozioni che lo spettatore medio conosce già (ad es., cos'è un “giacobino”), ma appunto: le conosce perché le ha imparate a scuola. E a scuola, appunto, gliele devi spiegare. Il più delle volte con il fermo immagine (durante il quale c'è sempre qualcuno che sbuffa, la spiega del prof non essendo molto meno indigesta di una televendita). Ecco, il grado di 'scolasticità' di un film si potrebbe misurare dalla quantità di fermo immagine a cui ti costringe. Un film che puoi vedere senza telecomando in mano è un film scolastico. Spesso sono film come l'Odissea o Allonsanfan, col fermo immagine incorporato. Noi credevamo è un film che comincia con una corsa a perdifiato, e chiede allo spettatore di inseguirlo. Nel ritmo forsennato della prima parte mi sembra di riconoscere la tipica sintassi del film condensato: quello che era stato progettato per quattro ore e poi è arrivato alle tre della versione nelle sale attraverso una serie di tagli meditati e, immagino, dolorosissimi. Il risultato, a vederlo nelle sale, è più che degno; ma a scuola no. A scuola, più un film è veloce, più ti tocca perdere tempo a spiegarlo. Conosco già l'obiezione: aspetta la versione televisiva, avrà tempi sicuramente più rilassati. E arriviamo al punto (2)

2) Troppo lungo.
Signori, non li faccio io i programmi: quel che vi posso dire è che se parti a settembre con la Restaurazione e a giugno devi far crollare il muro di Berlino, e hai solo due ore alla settimana, 66 ore l'anno; e hai 25 alunni in media; e li devi interrogare – quante volte a quadrimestre? Quanti minuti l'uno? Insomma, fate i vostri conti. Un film di tre-quattro ore è una botta al calendario che non mi posso permettere. Due ore sì, tre no. Anche se...

3) Troppo collaterale.
...anche se in realtà si potrebbe trattare. Dammi un film di tre ore che mi sostituisca efficacemente una trentina di pagine di manuale. Dammi una spolverata di moti carbonari; dammi la vita e le idee di Mazzini con tutte le didascalie al posto giusto;
dammi il '48 in tutto il suo furore, un bel condensato di Garibaldi, e una mezz'ora onesta con la questione meridionale e il brigantaggio. Se nel finale riesci pure a infilare la breccia a Porta Pia, te lo compro a scatola chiusa. Ma Martone non ha voluto fare un film così (ammesso che sia fattibile). Ha preferito prendere le storie molto personali di due giovani che, per una serie di concause e di sfortune, si perdono tutti gli snodi che stanno sui libri di Storia. Non solo snobba l'impresa dei Mille, ma si sofferma sul suo sequel fallito, la marcia su Roma da sud abortita sul nascere in Aspromonte, che sui manuali occupa giusto due o tre righe imbarazzate. In una prospettiva adulta l'intento è più che lodevole. Mostrare Garibaldi come un'ombra lontana, raccontare l'attentato a Napoleone III che nei manuali di solito non c'è. In questo modo intorno agli schemini memorizzati a scuola prende forma negli spettatori qualcosa di più corposo, la Storia dei libri diventa il groviglio delle storie dei viventi. Tutto molto bello, ma funzionerebbe senza gli schemini che abbiamo imparato da piccoli? Se non sapessimo nulla di Napoleone e di Napoleone III, nulla di Garibaldi e nulla di Francischiello, riusciremmo a orientarci in Noi credevamo? È un film per adulti. Nel più nobile senso del termine.

4) Nessuna qualità agli eroi
Anche nella sua prospettiva totalmente antieroica. È un film senza personaggi simpatici: ce n'è uno che [spoiler] muore dopo mezz'ora, e il resto del film prosegue con adulti sempre più mesti e delusi. Invece ai ragazzi devi dare l'entusiasmo, l'ansia e l'allegria di crescere, la scoperta di sé, almeno un amorazzo decente. Qualcosa del genere c'è nell'ultima parte, dove troviamo finalmente un ragazzo un po' entusiasta. Però non è uscito molto simpatico, devo dire. Ora io non è che voglio crescere dei piccoli garibaldini, anzi: la retorica risorgimentale è stata uno degli ingredienti che Mussolini ha trovato nei refettori delle scuole del Regno quando si è trattato di impastare il fascismo. Però non puoi mettere i ragazzini davanti a tre ore di disillusioni e fucilazioni, è un crimine contro il futuro. Persino Allonsanfan, col suo umor nero, aveva qualche scorcio di follia vitale che riscattava tutto il pessimismo. Noi credevamo no, è una lunghissima elegia che riesce a non addormentarti per tre ore: onore al merito, ma ai ragazzini no, non hanno fatto niente di male.

5) Poche ragazze
E qui non c'è niente da fare. Le classi sono miste, i ragazzi hanno gli ormoni, le ragazze hanno bisogno di modelli di riferimento; l'Inaudi fa quel che può. Provateci voi a dar vita a un'ereditiera filo-proletaria nei salotti di Parigi, in piena età romantica, con tutte le svenevolezze del caso: poteva essere molto, molto più ridicola di così. Buono, ma non basta: su tre ore, due e mezza sono totalmente occupate da guerre, galere e attentati. Le donne sono comparse, troppo spesso destinate a fini ricreativi (qualcosa del genere accade in un altro film diversissimo che è nelle sale in questo momento, The Social Network: non un buon segno). Per carità, meglio così che inventarsi pasionarie che non ci sono state, però... un bel fumettone Giuseppe & Anita no, eh? Quello lo proietterei.

6) Cose che se me le chiedono, non saprei rispondere nemmeno io.
Il che è sommamente imbarazzante. Come funziona il trucco per alienare l'olio ai contadini? Come esce Lo Cascio di prigione? Quando i piemontesi arrestano i garibaldini, come fanno a riconoscere i disertori? Quella bomba che Orsini regala a Crispi, cosa sta a significare? Ma davvero nel bel mezzo della repressione del brigantaggio puoi andare in giro per la Calabria con un fucile a tracolla e nessuno ti dice niente?

mercoledì 24 novembre 2010

Le fette, non troppo sottili

(Fuor d'ironia, questo blog è sinceramente solidale con Autistici/Inventati, un collettivo in cui ci sono senz'altro persone meravigliose che fanno cose egregie. Purtroppo non sono quelle con cui ho avuto a che fare io. Segue ironia).

Solidale con Suca

“Senti, tu che hai un blog di classifica”.
“Che classifica?”
“Voglio dire che ti leggono in tanti”.
“Tanti chi?”
“Potresti aiutarci a far girare questa notizia, che sui media ufficiali non passa”.
“Che notizia?”
“Beh, in breve, c'è un giudice che è riuscito a farsi clonare un server norvegese di Autistici con una rogatoria internazionale”.
“Eeeeeh?”
“Massì, hai presente Autistici Inventati, il collettivo di mediattivisti...”
“Autistici. Autistici. Mi dice qualcosa”.
“Dai, sono quelli che si battono per l'anonimato on line, che è una causa che hai sposato anche tu”.
“Aspetta, aspetta, con chi mi sarei sposato, io?”
“Eddai, gli autistici. Quelli della piattaforma noblogs”.
“Noblogs. Noblogs”.
“E insomma, molti collaborano anche a indymedia”.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaah, indymedia! Noblogs! Gli autistici!”
“Collettivo autistici/inventati”.
“Ma certo che me li ricordo, gli autistici! Come potrei dimenticarmeli. In realtà io ci penso tutti i giorni un pochettino, agli autistici... anche in quelle giornate, hai presente, che torni a casa stanco”.
“Eh, come no”.
“Però io almeno un minutino per pensare agli autistici lo trovo sempre... magari mi sto lavando i denti, o appaiando i calzini... e intanto penso agli autistici”.
“Bene, quindi immagino vorrai essere solidale, con...”
“Con gli autistici, gli inventati, con noblogs, con indymedia, con tutti. Assolutamente. Ci mancherebbe”.
“E ne parlerai sul tuo...”
“Lasciami pensare. Sono quelli che non regalano le mail a chiunque le chieda, no? Hanno una certa, come dire, discrezionalità. Cioè, se gli stai simpatico puoi essere @autistici.org. Altrimenti no”.
“Vabbe', ma è un modo per...”
“...per evitare i malintenzionati, eh, certo. Quindi insomma stiamo parlando di quelli che quest'estate, sul loro sito molto ben indicizzato su google, lasciarono scritto che io ero un pedofilo, sono quelli, no?”
“Ma, no, non sono loro, cioè...”
“Sì, non proprio loro, però... sono quelli che quando me ne accorsi, dopo qualche giorno, chiesi che togliessero quella cosa dal loro sito, perché era palesemente diffamatoria, insomma un'infamia bella e buona, e loro non mi risposero per un po', no?”
“Comunque era estate, erano stanchi”.
“No no, fammi pensare... erano quelli che, quando finalmente risposero, mi dissero più o meno macheccazzo vuoi, ahò. Sissì mi ricordo, quello che mi scrisse così era proprio un @autistici.org. Hai detto che gli hanno clonato il server?”
“Sì, è una vergogna”.
“Son d'accordo, è una vergogna. Ma fammi pensare... sono quelli che quando cercai di spiegare che di mestiere insegno nelle scuole, lavoro coi minori, e che quindi un'infamia del genere poteva rovinarmi la reputazione e in pratica la vita... sono quelli che mi risposero che ci tenevo alla reputazione perché ero un piccolo borghese di merda; sono loro quindi”.
“Sì, però, non è che se uno tra tanti ti risponde male allora tu...”
“Aspetta, aspetta. Sono quelli che quando gli chiesi di rispettare la loro policy, che in nero su bianco diceva che andavano rimossi tutti i contenuti palesemente diffamatori, mi risposero che la policy non diceva così, e che poi come facevano loro a sapere se io ero un pedofilo o no, toccava a me dimostrarlo, sono loro, sì?”
“Va bene, a Roma probabilmente qualcuno ha sbroccato, però....”
“Senti, posso farti una domanda?”
“Dimmi”.
“Tu sei un pedofilo?”
“Ma che razza di... no, ovviamente”.
“Me lo puoi dimostrare?”
“Che io non sono un pedofilo?”
“Esatto. Perché io quest'estate mi sono posto il problema, cioè: come faccio a dimostrare a questi simpatici mediattivisti che io non sono quello che pensano loro? Mi faccio sequestrare un pc pieno di foto di donne adulte? No, giusto per sapere come regolarsi la prossima volta”.
“Senti, ho capito. Quelli di indy Roma ti hanno fatto un torto, però qui c'è in ballo qualcosa di più, la libertà di...”
“Ma scusa, eh, sono sempre gli stessi che quando dall'unità gli dissero di mandargli una diffida, mi risposero “suca”, sono loro”.
“Ma lo sai, alcuni son ragazzi, cosa vuoi...”
“Eh, certo, io gli scrivo: cari ragazzi, state violando due articoli due del codice penale, guardate che è un problema sia per me che per il giornale, e loro come ti rispondono? Suca. Cioè, mi stai chiedendo di essere solidale con mister Suca”.
“Ma no, autistici non è mister Suca, è molto di più...”
“Sono quelli che per tre righe di diffida hanno scritto su tutti i nodi di indymedia che io li minacciavo, cioè se non mi sbaglio Leonardo minaccia indymedia è diventato il tormentone dell'estate mediattivistica, no? Perché gli avevo mandato tre righe di diffida”.
“Ma è una strategia difensiva, la usi anche tu in fondo...”
“Ma infatti funzionò benissimo, perché sul loro sito c'era scritto che ero un pedofilo, amico di pedofili, che i pedofili vanno ammazzati, che io abitavo nel tal luogo e di mestiere facevo la tal cosa... e su tutti gli altri siti c'era scritto che io stavo minacciando loro”.
“Era estate, eravamo tutti stanchi...”
“Ma infatti, mi ricordo bene che stavo andando in vacanza ma dovevo spiegare ai miei famigliari che forse sarebbe venuto qualche mitomane sotto casa mia ma non c'era da preoccuparsi, era solo che qualcuno era impazzito su internet. Mi ricordo bene, io e le mie ansietà piccoloborghesi. Ma insomma adesso gli hanno fatto una rogatoria internazionale”.
“Sì”.
“Ecco, infatti, io mi ricordo che quest'estate, al culmine di tutta 'sta storia, la loro linea era più o meno: denunciaci pure, tanto poi ti tocca andare di rogatoria internazionale, pappappero. Cioè, forse il pappappero l'ho aggiunto io”.
“Forse”.
“Anche se lo trovo appropriato. Dunque hanno trovato un magistrato che l'ha fatta, la rogatoria. E per conto di chi?”
“Iannone”.
“Iannone! Ma mi ricordo anche di lui! Iannone! Perché mi davano dello Iannone, i mediattivisti, dicevano che ero come Iannone”.
“Probabilmente non intendevano nel senso...”
“Cioè, Iannone li aveva querelati o non so cosa perché gli avevano dato del fascista, no? Ecco, per loro era la stessa cosa: dare del pedofilo a un insegnante di scuola media e dare del fascista a Iannone di Casapound per loro era l'identica cosa. Cioè loro rivendicavano il diritto a dare del fascista a Iannone e del pedofilo a me. E mi stai chiedendo solidarietà per loro”.
“Senti, lo so, è successa una cosa che ti ha fatto incazzare”.
“Nooo... Incazzato io? Ma quando mai”.
“Però devi capire che questi sono i classici scazzi on line, quelle cose che capitano solo su internet, perché se tu li vedessi di persona capiresti...”
“Ma infatti è successa anche questa cosa, cioè a un certo punto io mi sono detto forse è meglio che togliamo questo diaframma digitale e ci guardiamo in faccia, così ho preso il treno e ci sono andato, a vederli”.
“Ci sei andato?”
“A una riunione di indyroma. Mi son detto, mal che vada ci scrivo un pezzo. Volevo solo spiegare il mio punto di vista, perché finché continuano a pensare che sono un borghese e non si accorgono che sono un essere umano come loro... Purtroppo quelli con cui mi ero scazzato non c'erano, avevano altri impegni, credo che giocasse la Roma o qualcosa del genere. ”.
“E gli altri?”
“Mi sono stati ad ascoltare, e hanno detto che ci avrebbero pensato”.
“E poi cos'è successo”.
“Niente”.
“Come niente”.
“Son tornato a casa col trenino degli eroi e ho aspettato una settimana, niente. Allora gli ho scritto: ciao, vi ricordate quel vecchio problema? Che si fa? Volete proprio lasciare scritto che sono un pedofilo? Non è tanto bello. Sia nei confronti della vostra stessa policy, sia nei confronti del codice penale”.
“E a quel punto?”
“E a quel punto quelli che non si erano presentati alla riunione si sono incazzati: ma come, un pericoloso accusatore di indymedia si permette di entrare a una nostra assemblea? Beh, sì, era un incontro pubblico, ho bussato e sono entrato”.
“È che magari hanno paura degli infiltrati”.
“Fanno bene, infatti io sono entrato e mi sono presentato subito. Anche col cognome. Un classico, no? tutti gli agenti digos fanno così: ciao, mi chiamo nome e cognome. Comunque è ricominciato il carosello di articoli Leonardo contro indymedia, la lobby pedofila contro il mediattivismo, eccetera eccetera. Ho buttato via quaranta euro e un pomeriggio a Roma per sentirmi dare dello iannone”.
“E poi com'è andata a finire?”
“Non è mica finita”.
“No?”
“No, io ho chiesto a google di togliere le pagine infamanti, e alcune le ha tolte. Bisogna che gli riscriva... però davvero, cioè, chi me lo fa fare di mettermi contro un gruppo organizzato con server all'estero che può spargere merda a 360° senza temere niente e nessuno? Cioè mi chiamo leonardo, mica roberto saviano. Quindi capisci che io ci penso a loro. Un pochino tutti i giorni. Magari mi sto allacciando le scarpe, e penso agli autistici. Credo che si meritino la mia solidarietà”.
“Eh?”
“Hai capito bene, sono solidale con gli inventati, gli autistici, sono veramente addolorato che vi abbiano clonato il server, maledetto Iannone, non so se sia fascista o no ma sono sicuro che è una persona cattiva! Cattivo Iannone! Pensi che si possa dire?”
“Ma penso di sì, è una valutazione soggettiva”.
“Bene, perché se io scrivo qui qualcosa di anche solo vagamente infamante, un PM può benissimo sequestrarmi il blog in forma cautelare... mentre quelli di noblogs, grazie ai loro server norvegesi possono dare del pedofilo a tutti i maestrini d'Italia senza temere rogne legali, e quindi secondo te da che parte dovrei stare? Cattivo Iannone! Solidarietà ad autistici! Nessuno tocchi la libertà degli autistici! Chi tocca i server degli autistici muore!”
“Senti, lascia stare, forse è meglio che non...”
“Ma dove vai, aspetta. Ce l'hai un attimo? Vieni di là, per favore”.
“In cucina?”
“Pensavo di affettarmi un po' di culo per gli autistici, secondo te preferiscono fette sottili o un po' più consistenti?”
“Ma no, lascia perdere”.
“Come lascia perdere, scusa, guarda qui che bel culo! Tocca! È bello o no?”
“Beh, sodo è sodo”.
“Vedi? Guarda che se rifiuti mi offendi”.
“Uff”.

martedì 23 novembre 2010

Ma Dio ci crede in te?

Vicar In A Tutu
Io che non conosco la danza, forse non ho mai capito qualcosa di danza finché non ho visto certe amiche di Maria Di Filippi, ma di quelle un po' chiattine, col collo del piede inadeguato. Perché è a quel punto che ti accorgi della differenza. Finché continui solo a vedere gente brava che fa cose perfette, non capisci. Poi guardi una che ci prova, poverina, s'ingegna, ma non ce la fa, e capisci. L'arte sarà anche ricerca della perfezione, ma io ho bisogno di unità di misura imperfette, pietre di paragone scheggiate e smussate.

Questo per dire che non mi ero mai veramente accorto di quanto fosse grande l'ultimo Papa, quello vero, finché non ho visto all'opera la goffaggine del suo successore. Non è che si possa negare l'impegno, ma insomma, non ci siamo. Karol Wojtyla veniva da una nazione che gran parte dei cattolici non sapeva nemmeno trovare sulle carte; ha traghettato il Vaticano dalla civiltà contadina a quella televisiva, nel mentre che faceva la guerra al kgb e la vinceva. E sciava, prendeva il sole in piscina, andava ai concerti di Dylan senza sembrare meno Papa; prendeva i bambini in braccio e nessuno azzardava battutine. In America già processavano preti pedofili, in Africa l'HIV falciava popoli interi di devoti non indossatori di condom, e non una goccia di sangue o fango schizzava l'abito immacolato. Fortuna, carisma, Spirito Santo, chiamatelo un po' come preferite, ma ammettete che c'era, e che non si è visto mai così bene come quando è scomparso.

Contrariamente a quello che credono in molti (magari anche io, certe mattine), Joseph Ratzinger non ha dato nessuna svolta particolarmente oscurantista o reazionaria alla Chiesa. Quasi tutto quello che ha detto o fatto in questi anni rimane nel solco wojtyliano, salvo che appunto, un conto è tracciare il solco (nella carne viva della contemporaneità), un altro è andarci ad abitare, un rosso bacherozzo inoffensivo. Di parzialmente nuovo c'è qualche discussa scelta sartoriale, la ricucitura con i lefebvriani, e un timido e subito abortito attacco all'Islam. Magari qualche idea nuova il tizio ce l'avrebbe, ma fa già così fatica a reggere quelle del predecessore. Un Papa senza carisma, il Papa che ogni agnostico o ateo dovrebbe augurarsi. Non fa niente di nuovo, e non gli riescono nemmeno i vecchi trucchi. Cos'ha combinato, stavolta?

Pare che si sia fatto intrappolare in un'intervista. E uno dice: cose che succedono. Beh, no. Al suo ex capo, per esempio, non è successo in un quarto di secolo. Intanto: è decoroso che il vicario di Cristo si lasci strappare ammissioni importanti in un libro-intervista? Te lo immagini Cristo che rilascia un'intervista? Ma non c'è bisogno di immaginare, guarda nel Vangelo com'è evasivo ogni volta che provano a metterlo spalle al muro su dettagli dottrinali. Cristo è Amore, non puoi mica chiedergli se passare col giallo ai cinquanta all'ora mentre piove su terreno sdrucciolevole è peccato. Al massimo può dirti beato chi va piano, gli ultimi saranno i primi, cose del genere. Non dico che non sia necessaria, per quanto un po' avvilente, una burocrazia, una casistica, un codice penale di cosa è peccato e cosa è no, magari col corrispettivo in Ave, Pater e donazioni. Ma lascia almeno che se ne occupino i galoppini, come quando il viceCristo era Wojtyla e di queste cose... magari ti occupavi tu. Adesso sei il Capo, il Cristo, il Re. Un Re non s'immischia coi formulari. Cristo non ha fondato una religione stilando un tariffario delle indulgenze.

Ratzinger per contro riesce a farsi incastrare su un un codicillo, una roba da gesuiti, un caso particolare in cui probabilmente indossare un preservativo sarebbe il male minore. Se si è capito bene (e non è detto) si tratterebbe di un professionista maschile della prostituzione affetto da HIV: ecco, in questo caso e solo in questo il condom sarebbe il male minore. Se fosse donna quindi no: perché no? Se ho capito bene, il punto è la procreazione: il cattolicesimo, ormai definitivamente trasmutato in Culto della Vita, non ha nulla in linea di massima contro la prevenzione dell'HIV, purché essa non impedisca la Sacra Procreazione. Quindi, se invece di un uomo si trattasse (come nel 90% dei casi si tratta) di una prostituta donna, con l'HIV, cosa sarebbe moralmente preferibile secondo l'infallibile vicario di Cristo in terra? contagiare i clienti e concepire bambini sieropositivi, o indossare un condom? La prima. Per Joseph Ratzinger pare proprio che sia meglio la prima. Ora, non crediate che Karol Wojtyla non la pensasse nello stesso odioso modo: e allora la differenza dove sta?

La differenza è che lui, semplicemente, non si faceva incastrare così dagli intervistatori e dai giornalisti da lui stesso pagati. Sapeva volteggiare sulle miserie umane con la leggiadria di un Nureyev pentecostale, e recava in sé un abbraccio, un bacio per tutti i bambini sieropositivi del mondo.

Nello stesso mondo, se possibile ancora più dolente e disperato, Joseph Ratzinger si muove con la grazia dell'ippopotamo in cristalleria; piroetta, crash, capriola, marcia indietro, sono stato male interpretato, e giù risate. Ma Dio ci crede in Ratzinger?

lunedì 22 novembre 2010

Pannella don't

"Ma hai sentito che i radicali vogliono salvare il governo Berlusconi?"
"Ma no, ma sarà una cosa, lì, una boutade..."
"Ma che boutade, Pannella ha anche detto che è disposto a fare l'escort di Berlusconi".
"Massì, certo, Pannella, come no, come se i radicali avessero poi tutti questi voti, voglio dire, quanti radicali ci saranno in Parlamento..."
"Nove".
"Nove?"
"Eh".
"Però".
"Vero?"
"Ma... com'è andata che... voglio dire, ma non riesco neanche a ricordare se si sono presentati alle elezioni".
"Non si sono presentati".
"E allora chi li ha votati?"
"Tu".
"Ah".

Ho una teoria #50: come votare radicale senza averne voglia e pentirsene comunque, è sull'Unita.it, e si commenta qui. (O qui? Mi sa che c'è stato un casino).

In questi giorni mi è capitato di arrabbiarmi con Pannella – magari è successo anche a voi. A un certo punto è balenata la possibilità che fosse proprio lui, coi suoi uomini alla Camera, a salvare il governo Berlusconi, nel momento in cui persino la Carfagna lo abbandona. In realtà, se tutto è possibile, alcune cose restano comunque improbabili, e tra queste l'eventualità che Pannella il 14 dicembre si trasformi in una “escort di Berlusconi”, come ha detto a Luca Telese. Non credo che a Berlusconi un'escort del genere interessi, anche solo per quel che ha da offrire: sei "assenze tattiche" alla Camera, o addirittura sei voti (e tre al Senato), briciole che comunque non lo porterebbero molto lontano. Credo che lo stesso Pannella se ne renda conto, e che un'uscita del genere vada derubricata tra le normali richieste d'attenzione: ehi, ricordatevi di noi, siamo i radicali (il “più antico partito nato in Italia”, ormai è una gara di resistenza) e se a sinistra snobbano le nostre battaglie possiamo anche andare da un'altra parte. Pannella queste scene le fa, le ha sempre fatte. E allora perché questa volta mi ha fatto arrabbiare?

Il fatto è che stavolta i radicali li ho votati io. Benché sulla scheda elettorale del 2008 i Radicali Italiani non ci fossero. C'era però il Partito Democratico di Veltroni, e io, respirando forte, l'ho votato. Nelle liste di questo partito, in collegi abbastanza 'sicuri', c'erano anche i nove radicali che il 14 dicembre, secondo Pannella, potrebbero prolungare la sopravvivenza del governo Berlusconi (ma non sarebbe accanimento terapeutico?) Quei signori insomma li ho votati anch'io. Non avrei voluto, ma è successo. Non è che non apprezzi la loro storia e tante loro battaglie ma, come tanti elettori democratici, non condivido molte loro idee in economia, dissento spesso sulla loro strategia (i referendum suicidi) e, soprattutto non li considero molto affidabili. Per esempio nel 2008 pensavo che, anche nel caso di una vittoria del PD, i radicali in Parlamento avrebbero continuato a fare parte a sé, condizionando l'eventuale governo Veltroni esattamente come i partitini dell'Ulivo avevano condizionato il governo Prodi. Mi sbagliavo? Non lo sapremo mai. 

In realtà, più che Pannella, già allora me la prendevo con Veltroni. Aveva deciso di rinunciare all'ammucchiata dell'Ulivo, anche a costo di una sconfitta: quello che la sinistra avrebbe perso in percentuale, l'avrebbe almeno guadagnato in compattezza. Anche questa mi sembrava una strategia suicida, però potevo capirla. Nei fatti però il PD di Veltroni non sembrava poi molto più compatto dell'Ulivo. Certo, si rinunciava a Mastella, ma i teodem di Rutelli e Binetti sembravano perfino più a destra. Con Di Pietro fu addirittura stipulato un patto di coalizione, che non sopravvisse alle elezioni; e ai Radicali furono promessi nove seggi sicuri, e un cospicuo rimborso per le spese elettorali. Al punto che qualche militante radicale si chiedeva, provocatoriamente, che senso avesse votare PD: tanto i radicali i loro posti blindati li avevano; che ci pensasse il povero elettore democratico a mandarli in Parlamento. A proposito, perché proprio nove? Probabilmente fu rivisto all'eccesso il risultato delle elezioni precedenti (2006), quando guidati da Capezzone i Radicali (apparentati coi socialisti di Boselli) avevano ottenuto sette seggi. In tre anni però un partito può guadagnare o perdere consensi: sarebbe per questo, in effetti, che si fanno le elezioni. Un sondaggio fatto a pochi mesi dalle elezioni dava i Radicali de-Capezzonati allo 0,5%. I nove seggi dei radicali sono l'espressione della volontà popolare o la conseguenza di un accordo elettorale concluso tre anni fa in un loft?

Ma questo non vale certo solo per i Radicali. Vale per tutti. Se me la prendo con Pannella, che dà ad intendere di poter manovrare da Torre Argentina una delegazione di parlamentari eletti nelle liste del PD, cosa dovrei pensare di quegli illustri sconosciuti che in Parlamento ci sono arrivati grazie alle crocette sul simbolo “PDL - Berlusconi presidente”, e che il 14 voteranno proprio contro Berlusconi presidente? Non dovrei arrabbiarmi anche per loro? Ma quindi per me non vale più l'articolo 67 della Costituzione ("Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato")? Non sto dando ragione a Berlusconi, quando dice che questa legge elettorale ha di fatto cambiato la "costituzione materiale"?

Tagliamola corta: il problema non è più né Pannella, né Veltroni, né i transfughi del PDL. Il problema è che questa legge elettorale è la meno democratica che abbiamo avuto dal 1946 in poi. Rinunciando alle preferenze, trasformando i partiti in listoni compilati dai vertici, abbiamo perso gran parte della nostra sovranità, senza nemmeno guadagnare molto in governabilità: questa crisi senza fine è lì per dimostrarcelo. La legge va cambiata. Non importa se anche la prossima sarà imperfetta: quel che è sicuro è che questa non funziona, e che usarla per eleggere un altro Parlamento sarebbe una presa in giro. Uninominale? Proporzionale? Davvero, a questo punto non lo so. Troviamo un compromesso. Che gli elettori democratici si eleggano i candidati democratici, e gli elettori radicali si eleggano i candidati radicali: mi sembra il minimo. Persino Pannella potrebbe tornare in quel Parlamento da cui i vertici PD lo vollero escludere. Glielo auguro, in fondo rappresenta davvero una parte importante della Storia italiana. Non la parte che vorrei votare io, tutto qui. http://leonardo.blogspot.com

giovedì 18 novembre 2010

"Cialtroni!"

Prologo: cinema Capitol, un anno fa. Davanti a un pubblico estasiato e accaldato scorrono gli ultimi fotogrammi di Inglorious Basterds. Buio. Titoli. Musica. Dalle file più lontane, qualcuno rompe il silenzio storpiando un nome...
“Allonsanfan!”
“Ssssst!”
“Ma questa è... allonsanfan!”
“Seh, e poi c'è Fratelli d'Italia”
“Ma no, nel senso che...”
“Sssssst”.

Premessa: questa settimana dovrei andare al cinema, se non altro per una questione di aggiornamento professionale, e verificare se Noi credevamo sarà davvero, nei prossimi anni, il miglior film sul risorgimento da proiettare in terza media. Ma nicchio. Tre ore! e se poi dopo dieci minuti salta fuori che è la solita fiction in costume? Tanto vale aspettare che lo diano in tv – il Barbarossa però lo sto aspettando da un anno (ehi, lo sto aspettando sul serio). E poi c'è un altro motivo.

Io ce l'ho già, il film sul Risorgimento.
No, non è il deprimentissimo Bronte. No, niente sceneggiati su Garibaldi, né rosselliniani né d'epoca craxiana. Io tutti gli anni non vedo l'ora che si parli di Restaurazione per proiettare un film incredibile, e pensare che l'ho scoperto proprio a scuola. Dissolvenza incrociata.

Notte uggiosa di qualche autunno fa. Una nera figura si muove nella notte – sono io che sto andando a fare una supplenza alle serali. C'è un guaio, siamo in due e dobbiamo gestire una quarantina di personaggi di classi diverse. Badanti moldave e ragazzi pachistani sono i due gruppi più rappresentativi. Che si fa?
“Ho trovato una videocassetta in sala insegnanti”.
“Beh, se non c'è alternativa... che roba è?”
“Allonsanfan. L'hai mai visto?”
“No. Fratelli Taviani. Boh, brutto non sarà”.

Non è un'esperienza professionale di cui vado particolarmente fiero, però mi ha insegnato qualcosa (ai pachistani probabilmente no). Cos'è un film a scuola? Quali sono i film che funzionano? Ecco, ci potrei scrivere un libro, dal quale magari qualcuno potrebbe trarre un film, che non sarebbe adatto da proiettare a scuola. Ci sono film fatti apposta per la scuola che non funzionano minimamente: magari erano perfetti quando sono stati realizzati, adesso no. Ci sono film che dici: piaceranno! E dopo dieci minuti si stanno cavando gli occhi con gli spigoli dei banchi. Ci sono film che non ti aspetteresti mai, sceneggiati antichi e lentissimi che invece... ci sono pellicole che puoi perfino odiare, ma devi ammettere che a scuola funzionano. E poi ci sono quei film talmente assurdi, talmente fuori da qualsiasi categoria, che funzionano a scuola esattamente come funzionerebbero in qualsiasi altro ambiente: fuoriserie, fuori mercato, fuori tutto. Allonsanfan dei fratelli Taviani è il primo esempio che mi viene.

Dopo un quarto d'ora avrei voluto fermare il vhs: basta, tutto questo non ha senso, mettiamoci a studiare le flessioni verbali (alle 21:30, con due classi di sconosciuti dalle occhiaie stanche di lavoro). Poi Laura Betti, col suo sguardo incestuoso, si mette a cantare l'Uva Fogarina. E succede qualcosa. Trenta pachistani, dieci marocchini (che non sopportano i pachistani) e diversi sfusi si mettono a cantare “diridindindin”. Come se l'avessero sempre saputa. Gli arcani dell'inconscio collettivo. Avrebbero continuato col diridindindin per una settimana. Insomma, il film in un qualche modo stava facendo breccia. E cominciavo ad appassionarmi anch'io, volevo vedere come andava a finire.

In seguito ho avuto altre classi. Più o meno scalcagnate, più o meno galleggianti sulla soglia dell'alfabetizzazione. Non ho mai rinunciato a mostrare Allonsanfan. Col vhs, finché ha tenuto, poi lottai perché la videoteca si dotasse del dvd. Con la lavagna luminosa, con quella interattiva, con o senza sottotitoli. Malgrado quelle due scene di nudo da tagliare (è un film che parla anche di sesso, di quando i rivoluzionari smettono di farlo, di perché ricominciano). Purché ci sia la possibilità del fermo immagine, perché (come non manco di far notare) a ogni fermo immagine, Allonsanfan ti restituisce un affresco sulla parete. È un film fatto con un grande amore, che si vede, pochi soldi (e non si vedono): attori filodrammatici, bambini inquietanti, e Mastroianni immenso, che si regala per cento minuti. E quel motivo di Morricone che Tarantino ha ripreso pari pari, proprio in coda al suo masterpiece.

("Stiamo facendo il gioco della polizia, spiegalo tu a quest'imbecille!")

Allonsanfan è un'opera del 1974 che non ci prova nemmeno, a fare il film storico. Per intenderci, nella prima scena Mastroianni, carbonaro, viene liberato dalle carceri di Milano e gli sbirri, tutti vestiti di nero, gli fanno quella cosa che nei centri sociali chiamavano “trenino”: loro tutto intorno coi manganelli, e lui deve passare in mezzo. È una storia di rivoluzioni mancate e cialtroni armati, assolutamente attaccato a quello che stava succedendo in quegli anni; quindi ai ragazzini di oggi non dovrebbe dire niente. È un film sulla stanchezza: cosa vuoi che interessi ai prepuberi la stanchezza, la crisi dei quarant'anni. È un film sul riflusso, sul ritorno al privato; un argomento che in seguito avrebbe stuccato (alla fine ha ispirato più libri e film il riflusso che il '68)... però, aspetta... è un film sul riflusso nel 1974. Come dire che il '68 è durato pochissimo, forse solo una mezz'ora (il tempo per prendersi un sei politico), la stanchezza è subentrata immediatamente.

L'atmosfera di Allonsanfan è quella dei gruppetti di extrasinistra di quegli anni. Mastroianni viene liberato, appunto, perché conduca sbirri e spioni nel covo dei congiurati. I congiurati però lo rapiscono, lo scarrozzano per una Milano virata in verde, lo nascondono e cercano di fargli un processo. In realtà è un gruppetto di cialtroni senza un leader, che si è appena impiccato dalla disperazione. Mastroianni li abbandona e torna in campagna, dalla sua famiglia: da suo fratello, che porta ancora il parruccone (la barba incolta e romantica di Mastroianni vicina al parruccone settecentesco del fratello è una delle migliori lezioni di storia del costume che si possano fare). In un primo momento si finge un frate, indulge al melodramma, porta la notizia di sé stesso morto... ma quando vede i fratelli in lacrime si scioglie, li abbraccia, sviene, si fa curare, si rade, canta l'uva fogarina con la sorella. Non pensa più alle rivoluzioni. È felice. Ma gli amici hanno altri piani per lui, e stanno arrivando a riprenderlo. Mastroianni li tradirà più e più volte; li manipolerà, li metterà gli uni contro gli altri, farà il possibile per abbandonarli al loro destino di cialtroni: niente da fare: a un certo punto una barca di camicie rosse salperà da Genova per il sud, e lui senza volere si ritroverà a bordo... è un film comico, a suo modo. Con scene ridicole e altre da incubo, l'apparizione improvvisa di un rospo che gela il sangue nelle vene. Il tutto ambientato a carnevale, perché sia chiaro che mentre i cialtroni programmano la rivoluzioni, la gente là fuori pensa solo a divertirsi. È il Risorgimento più antieroico che si possa immaginare. Non è certo quello vero, ma fosse la prima volta che usiamo la Storia per parlare di noi. Come se la Storia ci servisse ad altro.

("Fate tacere quel meridionale. Con le sue storie eccita i Fratelli!")


A volte mi pongo il problema. Forse esagero, con questi antieroi. I ragazzini sono piccoli, prima dell'antieroismo non bisognerebbe dar loro un po' di eroismo puro e semplice? Prima di mettere in discussione la Storia, bisognerebbe insegnargliela: e a chi tocca, se non a me. È vero.


Però Allonsanfan funziona, più di qualsiasi agiografia. Ha la potenza delle immagini, che sono semplici e universali: c'è poco da spiegare, un rospo è un rospo, un fucile un fucile; una borsa di monete d'oro può servirti per finanziare una missione suicida nel Regno delle Due Sicilie o per rifarti una vita nelle Americhe. E la rivoluzione non è un valore in sé. I sognatori, a una certa età, si ritrovano la testa spaccata. Perché non si danno una calmata? Hanno fretta. Si sentono gli unici svegli in un mondo che dorme, e non lo sopportano. L'idea che il mondo comunque cambierà, ma quando loro saranno vecchi, non li consola: li tormenta. E allora cominciano a frequentare gente poco raccomandabile, mitomani, assassini.

Di film sugli eroi sono pieni i cinema. Magari mi sbaglio, ma credo che non sia grave se a scuola i ragazzini ne vedono uno un po' diverso. Uno in cui gli eroi invecchiano senza gloria, alcuni mettono le rughe, nessuno mette giudizio, e tutti han fretta che arrivi la fine, non importa quanto sia ridicola. Probabilmente il film di Martone è più adatto, più attuale, più didascalico. Probabilmente. Preferisco far finta di niente, ancora per un po'. Per un po' voglio ancora sentire, nell'intervallo, qualche tredicenne che canta diridindindin.

Su Youtube c'è poca roba. Praticamente solo la scena finale - non guardatela!

martedì 16 novembre 2010

Ricattabile, Ah Ah Ah

La trattativa

[Dove non osa dagospia: la redazione di Leonardo ha messo le mani su un'intercettazione di qualche giorno fa che presenta non pochi motivi d'interesse].

“Presidente”
“Adesso no, per favore. Sono stanco”.
“Ma Presidente, c'è in linea l'Eminenza. Dice che è urgente”.
“Ma porco d'un...”
“Glielo passo”.
“...cribbio, sì, passamelo e facciamola finita”.

“Pronto Presidente”.
“Eminenza! È proprio lei? Ma che piacere! Qual buon vento?”
“Ecco, io per prima cosa sono venuto a portarle la mia, la nostra solidarietà”.
“Eminenza, ma non c'era bisogno! Io lo so che posso sempre contare su... che voi mi ricordate sempre nelle vostre preghiere”.
“E infatti è così. Noi ci ricordiamo”.
“Ma infatti Eminenza, grazie”.
“Qualsiasi cazzata lei faccia”.
“Eh?”
“Pronto?”
“No, scusi, c'è stato come un disturbo, per un attimo ho perso la... devo aver sentito male”.
“Allora glielo ripeto. Noi ci ricordiamo di lei, qualsiasi cazzata lei faccia”.
“Ah”.
“Adesso è chiaro?”
“...Sì”.
“Aggiungo che abbiamo molto gradito la scelta di tirarsi indietro alla Conferenza sulla Famiglia”.
“Beh, lo sa che fosse stato per me sarei andato... il fatto è che sono un combattente, e tirarsi indietro non mi piace. Proprio come concetto”.
“Un buon combattente conosce anche il concetto di ritirata strategica”.
“Sì, però, vede, Eminenza... qui tutti stanno annegando in un bicchier d'acqua. Cioè, è veramente un bicchier d'acqua. Va bene, lo so, non sono uno stinco di santo, però”
“Ah, decisamente no”.
“... pensate davvero che una festicciola ogni tanto mi impedisca di governare?”
“Presidente, se noi lo pensassimo davvero, lei già da molto tempo non sarebbe...”
“Ma lo sa cosa arrivano a dire? Una cosa che, cioè, è veramente ridicola, anche solo il pensarci mi... dicono che sono ricattabile, ah, ah, capisce?”
“Capisco”.
“Ricattabile io! Ah, ah, ah. No, ma vorrei veramente sapere chi è che... chi si potrebbe permettere di... ma non lo sanno chi sono io?”
“Lo sappiamo un po' tutti, ormai”.
“Ma io sono quello che si prendeva le bombe della mafia! Le bombe! Ad Arcore negli anni Ottanta! E ci ridevo sopra! Questo sono io!”
“Però alla fine Mangano lo ha assunto”.
“Sì, ma che c'entra... quello che voglio dire, Eminenza, è che a me le minacce, i ricatti mi hanno sempre fanno ridere, ah, ah, ah. Anche perché ormai, con tutte le cattiverie che ci sono in giro su di me, ma che differenza fa una ragazza in più o in meno? Una villa ai Caraibi in più o in meno? Un processo in più o in meno?”
“Una strage di mafia in più o in meno?”
“Ecco. Ma lo capiscono che ormai la gente non li conta neanche più i miei processi? Dicano pure che sono un vecchio porco, questo posso consentirglielo, sì, sono un porco e non sono più esattamente nel fiore degli anni. Dicano che le mie barzellette non sono freschissime, va bene”.
“Non proprio freschissime, confermo”.
“Ma non dicano che sono ricattabile, perché, davvero, ah, ah, ah, i barzellettieri a questo punto sono loro. Io ricattabile? E da chi?”
“Eh, chissà”.
“No, ma me lo dovrebbero spiegare chi, chi avrebbe il coraggio di ricattare proprio me. Per ricattare uno come me bisognerebbe avere come minimo una struttura più potente, più capillare di quella che ho io. Più televisioni e giornali di quelle che ho io. Sezioni in ogni paesino d'Italia. E nessuno ce le ha. Quindi nessuno mi può ricattare, capisce? Nessuno”.
“Capisco tutto. Senta, stavo per dimenticarmi... le porto i saluti di Giulio”.
“Giulio?”
“Il ministro, ero con lui al telefono una mezz'ora fa”.
“Ah”.
“In effetti, è proprio il ministro che mi ha invitato a chiamare direttamente lei, perché c'è una certa situazione che... una rigidità, diciamo”.
“Ah”.
“Ma un'inezia, una sciocchezza, insomma per farla breve quei finanziamenti alla scuola... il ministro proprio non li vuole raddoppiare”.
“Eminenza, ne abbiamo già parlato...”
“Dice che non c'è copertura”.
“Se lo dice Giulio, penso che lei possa fidarsi, io adesso non...”
“Ma non è vero Presidente, io lo so che una copertura c'è sempre, con un po' di buona volontà. Il problema è che alcuni, questa buona volontà, non...”
“Eminenza, ne abbiamo già parlato. La situazione è critica. Tra un po' salta il Portogallo e i prossimi magari siamo noi. Il budget è quel che è. E alle vostre scuole abbiamo già dato in abbondanza”.
“È una questione di punti di vista, vede...”
“Eminenza, praticamente non possiamo neanche più chiamarla privata la vostra scuola, in questo momento le stiamo dando più soldi che alla pubblica”.
“Ma infatti non chiamiamola più così. Chiamiamola paritaria, cattolica, chiamiamola scuola di qualità...”
“Però Eminenza a me servono anche i voti di quelli che non ci vanno, alla scuola di qualità... io non è che posso sempre...”
“Presidente, si è fatto un po' tardi. Come sa, io dirigo una struttura molto complessa, e mi serve sapere entro pochi minuti se lei questi fondi ce li può sbloccare o no. Giulio farà quel che vuole lei, me l'ha detto”.
“Eminenza, la prego...”
“Qui io ho cinque o sei redazioni che non sanno se domattina possono uscire con la solita prima pagina sui fatti del giorno, o con un attacco ai politici indegni stile Famiglia Cristiana. Cosa faccio? Cosa gli dico?”
“Eminenza, lei è troppo ragionevole... troppo buono per...”
“Poi ci sono i parroci. In tutti i paesini d'Italia, forse non sa, la domenica c'è un parroco che dice Messa, e durante l'omelia può decidere di parlare del Vangelo del giorno da una prospettiva a-storica, oppure può attaccare i politici indegni che ci fanno vergognare. Cosa gli dico a questi qui? Perché scalpitano, vede”.
“Eminenza, ma capisce che...”
“No, Presidente, io non capisco più. Adesso tocca a lei capire che noi, a furia di coprire le sue cazzate, un 'orcodio ieri, una sgualdrina oggi... ci stiamo perdendo la faccia come raramente negli ultimi duemila anni. Allora bisogna che a casa un risultato ce lo portiamo, capisce? Qualcosa da mostrare alla nostra gente. Dopodiché, al prossimo battesimo di un nipotino, se vuole farsi inquadrare mentre si prende l'ostia in bocca, per me non ci sono problemi. Ma prima vedere cammello, capisce?”
“Capisco, sì”.
“Molto bene. Quindi posso richiamare Giulio e confermare che lei è d'accordo”.
“Sì. Sì, lo richiami pure”.
“Presidente, i miei omaggi”.
“Sì, sì, anche i miei”.
Tu-tu-tu

“Ma guarda tu che stronzi. Che maledettissimi... Ma fammi vincere un'altra elezione e poi gliela faccio vedere, a quei... il cammello, altro che cammello... quando avrò il parlamento come dico io... un bel giorno si svegliano, e zac! Sai che c'è? L'Islam è la nuova religione di Stato. Tie'. Hai voluto il cammello? Oppure me ne invento una io, di religioni, che ci vuole? Prendo uno dei miei figli, lo crocifiggo e poi...”

Drin!

“Ma che c'è ancora adesso! Per favore, basta! Sono stanco!”
“Ma Presidente, è il referente della Curva Sud Milano. Dice che per mettersi a trattare vuole Kakà subito e Messi a fine stagione”.
“Seh, perché Babbo Natale mi fa una pippa, notoriamente”.
“Altrimenti dice che manda quarantamila persone a votare per le primarie del centrosinistra”.
“Auff. Passamelo”.

lunedì 15 novembre 2010

I was wr wr wr wr wr

"Il fatto è che a volte anche tu ti sbagli, come tutti gli esseri umani".
"Non è vero".
"Massì, ogni tanto scrivi delle gran cazzate"
"Non è vero".
"Ti si vuol bene lo stesso...".
"No".
"Ma le scrivi".
"Non le scrivo".
"Succede a tutti".
"Invece no".
"Il fatto è che proprio non vuoi ammetterlo".
"Non è vero".
"Ma sì, non lo ammetti mai".
"Non è vero, io lo ammetto sempre".
"Non ci credo che lo ammetti".
"E invece guardami, eh, adesso lo ammetto. Pronta?"


Veneto, scusami, ho scritto una stronzata (Teoria  #49) è sull'Unita.it, e si commenta là. Un piccolo passo per l'umanità, un enorme passo per un blogger cispadano.

Cosa succede quando un blog scrive una stronzata? Una, per intenderci, come quella che ho scritto la settimana scorsa? Cosa bisogna fare? Cancellare tutto? Modificare? Far finta di niente, cambiare argomento? Dopo dieci anni che scrivo in rete (dieci anni in cui di stronzate devo averne scritte davvero tante) sono giunto a una conclusione: la cosa migliore è lasciare tutto com'è e chiedere scusa. E fare in modo che le scuse abbiano lo stesso risalto delle stronzate che le hanno causate. Eccomi qui, dunque. Siccome questo è un blog delle teorie, oggi ci porremo il seguente problema: perché ogni tanto su un blog capita di scrivere stronzate anche enormi? Avete teorie da suggerire? Io ne ho una.

Facciamo un passo indietro. Dieci giorni fa, come tutti i venerdì, ero disperatamente in cerca di uno spunto interessante per il pezzo. A un certo punto mi trovo davanti l'editoriale di un giornalista veneto, Alessandro Zuin, che domandandosi come mai gli invasi anti-piena non siano stati costruiti "neppure negli anni grassi, quando i finanziamenti correvano in scioltezza", si risponde che certi lavori pubblici "costano molto ma non danno un corrispondente ritorno in termini di popolarità al personale politico che li realizza. Al contrario, procurano fastidi e complicazioni". Per contro "al politico di turno assicurano un riscontro migliore gli interventi fatti eseguire a riparazione dei danni, dopo il solito disastro ambientale". Insomma, il fatto che i politici preferiscano intervenire sulle emergenze piuttosto che fare prevenzione sarebbe la conseguenza della democrazia come la intendiamo negli ultimi anni (una campagna elettorale permanente).


Si trattava davvero di un'idea interessante, e inquietante, anche: peccato che l'avesse già ben scritta Zuin. Io invece dovevo produrre un contenuto originale. Così mi venne in mente di scrivere una favoletta alla rovescia, dove la saggia formichina che in estate ha alzato gli argini perde le elezioni, mentre la pigra cicala lascia che l'acqua scorra, poi si lamenta e ottiene 300 milioni da Roma. Visto che si parlava di alluvioni, mi è sembrato appropriato far passare un fiume in mezzo. Dopo i primi tentativi trovai che la storiella avrebbe preso tutto un altro tono se fosse stata narrata dal fiume stesso. Et voilàil pezzo era pronto. E non mi sembrava nemmeno una stronzata. Mi sbagliavo, mi dispiace, chiedo scusa.

Eppure lo spunto era buono. In che modo sono riuscito a trasformarlo in una stronzata? Beh, è molto semplice. Ho raccontato di un fiume che divide due regioni. Se quella delle cicale astute e piagnone è il Veneto, l'altra non può essere che l'Emilia-Romagna - che è poi quella in cui vivo io, che tra l'altro negli stessi giorni aveva i fiumi gonfi a causa di precipitazioni pure assai inferiori. In realtà la rete idrogeologica emiliana versa in condizioni altrettanto, se non più critiche di quella del Veneto; se i nostri argini hanno tenuto è forse semplicemente perché abbiamo avuto fortuna. Altrimenti in mezzo al fango ci sarei finito io, mentre magari un blogger veneto avrebbe scritto una sapida favoletta sulle mie disgrazie. Il fatto è che tra queste due regioni, più che un fiume, corre un confine ideologico - sempre più sfumato a dire il vero, ma ancora vivissimo nella fantasia di tanti lettori che continuano a pensare a un Emilia "rossa" e a un Veneto prima bianco e adesso "verde".

La favoletta arriva sull'homepage dell'Unità lunedì scorso, in un momento particolare. Le dimensioni del disastro ormai sono chiare, eppure molti lettori hanno la sensazione che l'alluvione non riesca a 'forare'. Ed è vero che Tv e giornali ne parlano poco. Altri argomenti (il caso Ruby, la crisi di governo, Benigni e Saviano in tv) tengono banco. E anche su internet, uno dei pochi articoli che parli dell'alluvione... è una stronzata. E l'ho scritta io. Di solito sarebbe passata inosservata, sommersa da centinaia di articoli in cui si esprimeva la solidarietà con la popolazione colpita... ma stavolta no. Devo dire che chi si lamenta della scarsa solidarietà ricevuta la settimana scorsa non ha tutti i torti. Di solito non sono io a scrivere cose del genere; di solito quando arrivo io la solidarietà ha già riempito lenzuolate di quotidiani, in mezzo alle quali (di solito) un po' di cinismo non guasta. Stavolta invece intorno al mio cinismo non c'era quasi niente. Non me lo aspettavo. Ma è successo.

A questo punto è scattato un fenomeno curioso
. Alcuni blog invece di produrre o segnalare contenuti di qualità sull'argomento; invece di individuare i responsabili dell'incuria, se c'è stata, o dimostrare che non c'è stata... hanno iniziato a prendermi di mira come esempio di giornalista anti-veneto, che fa propaganda anti-lega, anti-nord, anti-gente-che-si-rimbocca-le-maniche. Nei commenti al mio articolo è cominciata una furibonda polemica contro l'Unità e il PD che ce l'ha coi veneti. Sì, perché di colpo un autore di blog semisconosciuto (io) è diventato addirittura, nei deliri di alcuni, la voce del PD, o di un'intera civiltà di giornalisti radical-chic che scrivono empie favolette da saputelli mentre là fuori c'è chi rimedia ai disastri con pale e carriole.

In realtà chi scriveva roba del genere
, più che la pala e la carriola, stava usando una tastiera esattamente come me. Se io non avevo saputo produrre niente di più interessante di una cinica favoletta, loro stavano semplicemente cambiando argomento: invece di parlare di gestione del territorio, di prevenzione contro emergenza, prendiamocela contro i soliti radicalchic. Ma non sono i radicalchic a dirottare i fondi per la prevenzione delle alluvioni... Il problema è che, per quanto deliranti, molti avevano ragione. Avevo davvero scritto una stronzata. Forse non volevo davvero scrivere una favoletta sulle formichine emiliane e sulle cicale venete, però il pezzo si poteva benissimo leggere in quel senso. Era suscettibile di un'interpretazione del genere. Poi, certo, io parlo a mio nome: non si può prendere una mia stronzata e fingere che rappresenti "la sinistra" o addirittura il PD (partito che a volte ho votato e a volte no). Però scrivere su un giornale come l'Unità comporta delle responsabilità. Anche se non diventerò mai portavoce del PD, devo essere più attento a quel che scrivo qui. Proprio perché c'è gente che travisa volentieri.

E anche perché in fondo me lo aspettavo
. Rileggendomi, prima di pubblicare, mi ero perfettamente reso conto che il pezzo poteva essere letto come uno sfogo da campanile: però l'ho pubblicato lo stesso. Perché? Devo aver pensato (ed è qui che ho commesso l'autentica, grande stronzata) che un po' di polemica non avrebbe guastato. Avrebbe aggiunto un po' di pepe al dibattito, come si dice. Sapevo benissimo che il Veneto non è solo Lega (è la regione del volontariato, ad esempio). Sapevo anche che di cicale sprovvedute l'Emilia è piena. Ma ho pubblicato lo stesso. Se dà fastidio a qualcuno tanto meglio, ho pensato.

Il guaio è che non mi sbagliavo.
 Il pezzo è stato letto da molte più persone. Il mio blog ha raggiunto lettori che prima non lo conoscevano, e che adesso magari lo maledicono, però chissà, ora sanno che c'è e prima o poi ci torneranno. Ed eccoci arrivati alla teoria: perché sui blog si scrivono stronzate? Perché funzionano. Alla gente piace leggerle. Voi lo avevate notato il pezzo di Zuin? Era breve, pacato, condivisibile, quasi nessuno se l'è filato. La favoletta invece ve la siete letta. Per forza, era una stronzata. Dovrei smettere di scriverne, lo so. Ma non è facile. 

venerdì 12 novembre 2010

I funerali della volpe

Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. - È morta, è morta - gridarono le galline. – Facciamole il funerale.

Quest'uomo vecchio, quest'uomo stanco.
Quest'uomo che sta dall'altra parte del mondo, col prevedibile mal di testa da jet-lag, che torna in albergo e si mette a scanalare sul satellite finché non trova Annozero, e ci trova gli ex amici che parlano di lui come una cosa finita, un cadavere da spolpare con calma; e sullo sfondo, il dettaglio delle sue rughe in technicolor.
Quest'uomo solo, circondato da lacchè che non hanno nulla di buono da suggerirgli, ma gli ostruiscono la visione; quest'uomo in preda alle sue più triviali ossessioni. Quest'uomo al capolinea.
Quest'uomo.
Questo rivince le elezioni quando vuole.

Volete rifarle domani? Le rivince domani.
Volete aspettare sei mesi? Aspetta anche lui, si rilassa un po', si sfoga. E tra sei mesi le rivince.
Allora magari tra un anno? L'Italia può aspettare un anno?
Se è per questo è da quindici anni che aspetta. Quest'uomo è sempre lì, non molla.
Dite che mi sbaglio? Ma davvero, ci spero, sarei così contento di sbagliarmi. Di non aver capito niente. Lo scriverò su tutti i muri dell'internet, sono Leonardo e non capisco niente, non leggete i miei blogs e sputatemi addosso.

Dite che non mi fido degli italiani? Il solito snob che li ritiene una massa di... guardate, non lo so. Mi attengo ai fatti: gli italiani sono più o meno gli stessi e lui di solito vince; anche quando perde, perde di misura, prende fiato e poi rivince di nuovo. L'unica cosa che in politica gli riesce sono le campagne elettorali. Di sicuro i mezzi non gli mancano. Sembra un po' più stanco, ma nei manifesti non si vedrà.

Lo so che in questi giorni c'è il gioco a smarcarsi, che persino Feltri non ne può più, e anche la mascella di Belpietro è in fase calante. Poi però comincia la campagna e si scoprirà che i candidati del Pd sono tutti noti omosessuali attenzionati. È uno sporco lavoro, ma pagano bene.

Lo so che ultimamente è partito il tiro al piccione. Ma la campagna è lunga, e si vince in tv, sui giornali, mettiamoci anche youtube e facebook, giusto per stare larghi. In ogni caso, Berlusconi continua a possedere tre canali; sugli altri ha disseminato uomini di fiducia. Se pensate di batterlo senza neanche (diciamo la parola) epurare Minzolini, ecco, state commettendo il solito fatale errore di sottovalutazione. In campagna elettorale i tg servono. E non per il numero di minuti che danno a un candidato all'altro.

Abbiamo già visto cosa succede. Preparatevi a una nuova travolgente ondata di microcriminalità, tutte le sere verso le 20:00 uno tsunami di stupratori seriali, torvi muratori rumeni, svaligiatori di appartamenti di vecchiette, zingari che rubano gli organi ai bambini, pericolosissimi lavatori di parabrezza ai semafori. Sono al confine che aspettano che vinca la sinistra e apra i cancelli alle orde di Og e Magog. La prima settimana vi sembrerà strano. Dopo un mese non ne potrete più. Dopo tre mesi comincerete a pensare che sì, Berlusconi esagera, però la sinistra ha veramente qualcosa da rimproverarsi per quella legge troppo lassista, come si chiama... la Bossi-Fini, già. E la mafia? Berlusconi li aveva fatti tutti arrestare, ma adesso rialzano il capo! A Caltanissetta è andata a fuoco una tabaccheria. E i rifiuti? Berlusconi li aveva tolti da Napoli, ma sono rispuntati, è andata la Jervolino in persona a riprenderli dalle discariche per rimetterli nei vichi.

Dite che gli italiani non ci cascano più? E perché? Sul serio, cosa cambia stavolta?
Perché lo hanno già visto promettere e non mantenere? Ma non è colpa sua, lo sanno tutti che lui avrebbe cambiato l'Italia da un pezzo se non fosse stato bloccato dai suoi falsi amici, quei traditori, quinte colonne della sinistra, Casini Fini e compagnia. Stavolta c'è solo lui. Riempirà il parlamento di bambole gonfiabili e ci farà riscrivere la costituzione.

Perché non dovrebbe succedere? Vogliamo guardare realisticamente alle forze in campo? Nessuno discute l'inettitudine di Berlusconi a governare. Ma nessuno si è permesso di togliergli quella straordinaria corazzata mediatica che non ha smesso un attimo di funzionare. Se poi non volete nemmeno cambiare la legge elettorale che si è disegnato su misura... vabbe', allora ditelo, che sconfiggerlo non è nemmeno la vostra priorità.

Prendi Matteo Renzi. Voglio immaginare che abbia idee cento volte più fresche di quelle che aveva Veltroni tre anni fa. Ma la sua fretta di concludere è veltroniana al 100%. Dai che ce la facciamo, e se poi non ce la facciamo? Pazienza, probabilmente la sinistra che uscirà dalle elezioni sarà ancora minoritaria... ma un po' più simile a noi. Questa è esattamente la trappola in cui cadde Veltroni. Dopo aver fatto fuori la sinistra, sperava almeno di essersi guadagnato il ruolo di capo dell'opposizione, primo ministro ombra. Si è fatto cucinare a fuoco lento. Berlusconi è così. Ti attira con l'immagine del vecchietto ormai sfibrato, ti fa lavorare per lui, ti stanca e poi ti mangia vivo. E quindi che si fa?

Si cambiano le regole. Sul serio, bisogna essere polli per continuare a giocare contro Berlusconi con un regolamento che si è fatto scrivere lui.
Tutto qui? È sufficiente cambiare la legge elettorale? No. Anzi, è il momento di fare il passo più difficile. Berlusconi non è semplicemente inadeguato a governare. Berlusconi è una minaccia per la democrazia. Le sue tv, i suoi giornali, i suoi uomini, impediscono agli italiani di scegliere serenamente i loro rappresentanti e il loro futuro.

Ieri ad Anno Zero Bocchino si comportava in un modo strano.
Continuava a prospettare un futuro parlamento in mano a “Piersilvio e Marina”. Lo avrà ripetuto cinque o sei volte, con l'insistenza di un ipnotizzatore. Voleva raggiungerci su un piano subconscio. O più semplicemente ci sospetta tutti rintronati e vuole insistere sul concetto. Perché sembrano sempre due ragazzini, Piersilvio e Marina. Ma è un bel pezzo che il primo ha in mano almeno metà della tv italiana; l'altra, la prima casa editrice. Ora, perché due signori molto potenti e facoltosi dovrebbero gettare la spugna? Perché il papà è vecchio e stanco? Ma Mediaset non è Silvio Berlusconi. È un'azienda, e le aziende lottano per sopravvivere. Mediaset potrebbe trovare un modus vivendi con una nuova Italia deberlusconizzata? Potrebbe sopravvivere alla fine di quel regime straordinario che da Craxi in poi le ha garantito di infischiarsi di tutte le regole più elementari di un regime di concorrenza? Forse sì, ma è un rischio che la famiglia Berlusconi vuole davvero correre? Hanno in mano i comandi della corazzata: devono arrendersi senza lottare? Non è il loro stile. Se il papà è stanco, troveranno un nuovo candidato, dentro la famiglia o fuori. Il berlusconismo non finisce con Silvio Berlusconi, perché dovrebbe?

Il berlusconismo secondo me non può che finire con un atto di forza. In un momento di difficoltà, come per esempio questo, tutti gli avversari politici di SB dovranno accettare una semplice idea, che fa ancora molta fatica a passare: che Berlusconi è un criminale, che ha truffato gli italiani per vent'anni, e che i criminali non si sconfiggono alle elezioni. Non partecipano nemmeno. I criminali si arrestano, e i beni che hanno alienato alla collettività si sequestrano. In ogni caso le prigioni italiane scoppiano e nessuno ha veramente voglia di vederci entrare un vecchietto, per quanto arzillo. Che patteggi, che se ne fugga in qualche isola ai Caraibi con una parte del bottino. Questo non è difficile da concepire. Il problema è la famiglia. Può accettare che la festa è finita, o può mettere i sacchi di sabbia alle finestre. Conoscendo il padre, io mi preparo al peggio. Saranno comunque tempi interessanti.

Certe favole esistono in tutte le nazioni; certe altre soltanto in Germania, o in Russia, o nella favolosa fantasia di Andersen. Ma io ne so una che è nata in Italia, e che forse né tedeschi né russi né Andersen avrebbero potuto immaginare: la favola delle galline che trovano una volpe morta e le fanno il funerale. Nel culmine della cerimonia, circondata dall'affetto dei pietosi pennuti, la volpe si rialza e ne fa strage. La notizia fa il giro dei pollai; ma qualche tempo la stessa volpe si fa ritrovare morta, e le galline che la trovano che ne fanno? Le rifanno il funerale. E così all'infinito. Direte che chi l'ha scritta non amava gli italiani. No: voleva soltanto che leggessero, che ridessero delle galline, e che da grandi si ricordassero, al momento giusto, di essere più intelligenti. Qualsiasi momento, da quindici anni in qua, sarebbe andato bene.

mercoledì 10 novembre 2010

L'elzeviro con le foglie morte!

Da morti è più facile

Hai un bel da dire che i tigli sporcano, fosse per te li taglieresti.
Io ho scelto questa casa mentre guardavo gli alberi. Non è che l'abbia scelta per gli alberi. Ma li stavo guardando. Il primo pensiero concreto fu il Bidone Aspiratutto per le foglie sul terrazzo. Mai comprato, per fortuna, era un pensiero concreto ma stupido. Ramazzare le foglie è rilassante.

Un tiglio è un albero fantastico, sporca più o meno nove mesi l'anno. Quando finisce coi fiori passa ai semi, gialli fetenti e appiccicosi; poi ci sono le piccole foglie dei semi, di difficile cattura; poi l'involucro del seme, una piccola biglia che cade di schianto, poc, fa il rumore della grandine... e senza accorgertene è già agosto e cominciano a cadere le foglie serie. Il resto dell'anno la resina cola sulle macchine parcheggiate, e se provi a tirarla via con un semplice autolavaggio, la carrozzeria sbiadisce. Il tiglio non è un animale da salotto.

Guardarlo ingiallire lentamente ti ripaga della fatica (non del mutuo).
Pensa solo a tutte le metafore che puoi tirarci fuori; ad esempio in febbraio i potatori lasciarono un rametto spezzato incastrato nella prima biforcazione. Quel ramo prima o poi sarebbe dovuto cadere, col vento, magari sul tuo parabrezza o sulla testa della vicina; ma si vede che il vento non spira mai nord-nord-ovest/sud-sud-est; che il ramo è troppo pesante o in un qualche modo è rimasto incastrato, fatto sta che è rimasto lì, sempre più nero, in mezzo al verde.

Non ti dico il fastidio.
Come il pezzetto di carne che ti resta tra i denti al ristorante, a mille chilometri dal filo interdentale che ti sei dimenticato di mettere in valigia. Uno poi fa finta di niente, così apre la finestra, aspira a pieni polmoni... e vede quello stecco conficcato tra i due rami, insomma, tutti i santi giorni, perché non cade? è insopportabile.

Lo vedi che non è la natura, sono io?
Che trovo dappertutto cose da non sopportare?
Possiedo un piumino anti-ragnatele telescopico, eredità del mio periodo-mansarda. Certe notti d'estate, dopo aver guardato bene che nessuno mi spiasse, estroflettevo l'ordigno come un gigantesco cotton-fioc, e dalla mia finestra cercavo di urtare lo stecco morto, di smuoverlo, di estrarlo, inutilmente. E' ancora lì, ma in autunno si nota meno (io però lo so che c'è, e mi offende).

L'altro tiglio ha un rametto spezzato, che è rimasto attaccato al suo ramo per un nonnulla, una scheggia di corteccia, un truciolo. Dev'essere stato il vento di marzo, perché il rametto aveva cominciato a mettere piccole foglie, già secche in aprile. Macchioline gialle in un gigante verde, ma le avevo davanti in primo piano, ogni volta che aprivo la finestra del salotto. Non mi davano fastidio come lo stecco morto, erano una sottile promessa d'autunno in primavera, memento mori e tutta questa serie di cose - e poi sarebbero cadute presto, credevo. Al primo vento.

La pianta poi ha messo foglie assai più grosse. E i fiori, e quei chicchi dei fiori che a calpestarli fanno il rumore della neve che scricchiola. Intanto quelle foglioline gialle erano sempre lì, sempre più grinzose, ma non cadevano. A fine agosto, quando tornammo, la prima finestra che aprii fu quella del soggiorno: le morte erano lì, come quelle vecchiette che resistono agli anni, le conosci da bambino e alla fine vengono al tuo funerale col rosario in mano - le foglioline morte erano lì. Vabbe', tanto ormai è autunno, pensavo.

Il tiglio non era dello stesso parere: fino a metà ottobre si atteggiò a sempreverde. Poi, profittando di qualche acquazzone, cominciò a spogliarsi, ma piano, piano, il mio lapdancer personale. Ogni volta che mi ritrovavo una foglia sul davanzale, andavo a vedere se non fosse una delle vecchiette, ma no: il rametto resisteva. E aveva messo una tinta diversa da tutte le altre, un marrone deciso che irrideva il giallino smorto delle compagne cascanti. Sta' a vedere che restano lì, mi sono detto.

Ed è stato così. Novembre ha portato le piogge vere; il vento invece non è che si presenti spesso qui da noi. Le foglie se ne sono andate, lasciando quei nudi artigli neri che fanno gestacci al cielo. Oggi in terrazzo ramazzerò forse per l'ultima volta. Tra un po' magari tornerò a spalare la neve. Intanto quelle foglie sono ancora lì, appese al loro rametto mezzo amputato, che mi fa un cenno ogni volta che apro la finestra. Le prime a morire, le ultime ad andarsene.

Attenta che adesso scatta la metafora.
Sei pronta?

No, niente. E' che davvero quella foglia che si ostina, che non cede, non si arrende, che non le interessa; quella foglia che ha resistito più delle altre, perché tanto era morta tutto il tempo, e da morti è più facile, in fondo, sopravvivere; quella foglia a volte credo di essere io.
Tu magari entri, posi le chiavi, mi chiedi Come va? Sembri pensieroso, a cosa pensi?
Ti dico che va tutto bene, e che non stavo pensando a niente, guardavo le foglie.

lunedì 8 novembre 2010

Io Fiume

Oggi la rubrica l'ha scritta il Grande Padre. Ciao papà, sorridi!
No, eh?
Vabbe'. Il fiume dei Fessi e dei Furbi si legge sull'Unita.it, ed è possibile commentarlo qui.
(Ndb: nel pezzo si parla di due regioni. Mentre una è facilmente riconoscibile nel Veneto di Zaia, l'altra vorrebbe essere l'Emilia, ma appunto, vorrebbe: ce ne passa ancora di acqua, sotto e sopra i ponti).

Buongiorno, io sono un Fiume. Sono al mondo da molto prima di voi umani, e ci sarò quando ve ne sarete andati. Questo non significa che vi disprezzi. Anzi devo dire che gli ultimi millenni sono stati molto eccitanti, grazie a voi. Prima la mia vita scorreva piuttosto placida: giusto ogni tanto un terremoto, una glaciazione o un disgelo, ma per spostare il mio letto anche solo di pochi metri potevo metterci un'era geologica. Poi all'improvviso siete spuntati voi, così veloci che non ho nemmeno capito da dove siete scesi (dagli alberi?) Mi avete imbrigliato, canalizzato, deviato di qua, interrato di là, come degli ossessi. È stato divertente (ma un bel gioco dura poco).

Col tempo forse ho capito il vostro problema. La mia teoria è questa: voi non riuscite quasi mai a guardare più in là della vostra vita, che è molto breve. Questa pianura, dove stagnavo tranquillo, non era stata creata per voi. Dove io avevo messo paludi e lagune, voi avete voluto mettere campi, pascoli, città. Per farvi spazio mi avete combattuto per generazioni. Mi sta bene. Purché capiate che non potrete mai vincere. Io sono il Fiume, ci sarò sempre, e voi dovrete sempre lottare contro di me. Il giorno che non avrete più le forze, ve ne andrete, e tornerò alle mie paludi. Già adesso, basta che piova due o tre giorni, e cosa vi trovate in cantina? Sono io. Sto tornando.

Vorrei raccontarvi la storia di due regioni. Perché abbiate deciso di chiamarle con due nomi diversi non lo so, sono le vostre manie: nomi, confini, bandiere... Io Fiume le solco entrambe, e faccio fatica a distinguerle, da tante cose hanno in comune. I loro abitanti si somigliano, si sono arricchiti tardi e in fretta. Hanno gettato per terra tanto asfalto, tanto cemento, probabilmente troppo. Doveva lastricare la via verso il successo, ma ha reso di fatto più complicato l'assorbimento delle acque, e adesso bastano tre giorni di pioggia perché io rigurgiti fuori dai tombini.

Quello che distingue davvero le due regioni è, come dite voi, la "politica". In una delle due governano i... non so come si chiamino, sono un Fiume e non leggo molti giornali, li chiamerò i Fessi. A un certo punto persino i Fessi hanno capito che le inondazioni in autunno e in primavera non erano più emergenze, ma un problema cronico. E hanno pensato di risolverlo alzando gli argini, scavando nuovi canali, costruendo casse di espansione e allargando quelle esistenti. Per fare tutto questo servivano molti soldi: li hanno raccolti, economizzando su altre voci di bilancio; domandando di accedere a fondi nazionali o europei per la conservazione del territorio; indebitandosi. Magari hanno addirittura alzato le aliquote delle imposte regionali. Lo hanno deciso in un giorno di sole; non una nuvola si affacciava alle finestre della giunta regionale. Non è stata una scelta popolare. Ma gli amministratori guardavano al medio-lungo termine, pensavano alle inondazioni che avrebbero prevenuto, ai soldi che avrebbero risparmiato. Perché sono Fessi.

Nell'altra regione da qualche anno governano i Furbi. Anche loro hanno capito che l'acqua in cantina non era un ospite occasionale. Non sono mica Furbi per niente. E cosa hanno fatto? Un bel niente. Non hanno alzato un argine, ché son soldi. Non hanno scavato un solo fosso in più di quelli scavati dai loro nonni più previdenti. In estate hanno annunciato che loro le aliquote non le toccavano, tra gli applausi dei loro elettori. Questi son già arrabbiati dei troppi soldi che vanno alla capitale, figurati se potevi chieder loro di pensare alla pioggia nei giorni di sole.

È venuto settembre, e poi ottobre, e con ottobre le prime piogge serie. Dopo qualche giorno, neanche una settimana, io mi sono presentato puntuale nelle cantine, e ho fatto un miliardino di danni. I Furbi hanno approfittato per chiedere soldi alla capitale, e lamentarsi dei centralisti ladroni. Siccome in realtà anche nella capitale governano i Furbi, qualcosina senz'altro arriverà. Poi sì, tanti soldi bisognerà spenderli, e i contribuenti li pagheranno. Nel frattempo i Furbi si faranno fotografare mentre spalano il fango nelle cantine, e ci avranno guadagnato una bella foto per il manifesto elettorale. Già, perché tra un po' ci saranno le elezioni, e sapete chi le vincerà? I Furbi. Con le loro mani sporche di fango, il simbolo degli Uomini del Fare.

Anche nell'altra regione è piovuto. Ma gli argini erano più alti, le casse di espansione pronte ad accogliermi; così ho esondato appena un po', e il giorno dopo non ero neanche in prima pagina sui quotidiani locali. Tra un po' ci saranno le elezioni anche qui. E i Fessi le perderanno. Perché hanno alzato le tasse, e non hanno nemmeno un manifesto in cui spalano fango in una cantina. Insomma perché sono dei Fessi, e meritano di perdere.

Il futuro, infatti, è dei Furbi. Credete a me, che sono un Fiume, ho già visto crepare i dinosauri. I furbi erediteranno il mondo - per i prossimi cinquant'anni, diciamo. Il tempo di estinguervi. Poi torno io. Spazzo via il vostro cemento e non ci penso più. http://leonardo.blogspot.com