Wo es war...
Appena un mese fa – me lo ricordo straordinariamente bene – Pisapia vinceva, al secondo assalto, la battaglia di Milano, che per vari motivi apparve subito più significativa di quella pur notevole di De Magistris a Napoli. Quel che è successo in questo mese, dai referendum al caso Bisignani al flop di Pontida, per finire con la finanziaria, non dà l'impressione di una ritirata strategica. Sbaglierò, ma ha tutta l'aria della trattativa di un armistizio. A volersi arrendere non è tanto Berlusconi (tutt'altro che lucido, in questa fase), quanto la classe dirigente che solo due anni fa sembrava dover regnare invincibile fino alla salita di Silvio al Quirinale e oltre. Bene, a un certo punto hanno mollato. Non hanno perso le elezioni, badate. Potrebbero persino rivincerle: hanno i mezzi e hanno i numeri. Ma, dopotutto, chi glielo fa fare? Non è che governare l'Italia in recessione sistemica sia questo grande affare. Probabilmente conviene succhiare il succhiabile e tornarsene all'opposizione, dove sarà più semplice rifarsi una verginità gridando a gran voce Padania libera, No all'Oppressione Fiscale o qualche altro slogan che verrà in mente al momento giusto.
Si dice che il vento sia cambiato. È poco più di un modo di dire. Gli italiani sono – purtroppo – gli stessi di un mese fa. Continuano ad aver paura degli zingari e dei neri che vengono a rubarci il lavoro: ad appassionarsi al delitto dell'estate e a blindarsi in autostrada nella fila centrale ai centoventi, insomma non sembrano cambiati. La stessa batosta delle amministrative e poi del quorum non è una novità: Berlusconi ci è già passato, per esempio nel 2005, e in quelle occasioni ha approfittato per prendere le misure ai suoi avversari e recuperare gli svantaggi accumulati. Stavolta è forse più stanco e più distratto, ma non è un problema soltanto suo. C'è tutto un blocco sociale che costituisce ancora la maggioranza di questo Paese, ma che non mostra più nessuna volontà di imporsi. Se si andasse a votare domani, molti degli elettori di questo blocco semplicemente si asterrebbero – e la loro astensione probabilmente sarebbe decisiva all'affermazione del centrosinistra. Altri pescherebbero un leader alternativo tra i tanti che Berlusconi è riuscito ad allontanare dai vertici quando ancora potevano contare qualcosa: Fini, Casini, perfino Di Pietro, nessuno sarebbe in grado di ereditare il berlusconismo com'è oggi (men che meno Montezemolo o Maroni). I più continuerebbero a votare Berlusconi: per inerzia.
Abbiamo parlato per anni di sinistra e di destra in Italia, ma per la verità è più o meno dalla discesa in campo del '94 che sarebbe più opportuno parlare di principio di realtà e principio del piacere. Chi vota Berlusconi o Bossi non è di destra in senso storico, o liberale, o perfino fascista: Lega e PdL si votano per la soddisfazione immediata che garantiscono, promettendo ogni volta di tagliare le tasse e ridisegnare fantomatici confini federali. Allo stesso modo, chi vota centrosinistra ormai ha ben poco di comunista o di socialdemocratico (anzi ha contribuito talvolta al varo di riforme di sapore liberale); di solito lo fa per un senso più o meno consapevole di responsabilità individuale o collettiva; per entrare in Europa, o restarci, per salvare il bilancio, il buon nome del Paese, eccetera eccetera. Il Centrodestra regala sogni, il centrosinistra interviene ogni cinque anni a salvare i conti. Da questo punto di vista non si tratta di due schieramenti contrapposti, quanto piuttosto complementari: se Berlusconi ha potuto folleggiare (ma gli italiani non è che abbiano folleggiato parecchio, nemmeno durante i suoi mandati), lo deve agli odiatissimi Amato, Ciampi, Visco, Padoa Schioppa, che al momento giusto arrivavano a salvare i conti e a porre le basi per una nuova trionfale campagna anti-oppressione-fiscale.
A sancire questa alternanza arriva l'ultima finanziaria presentata da Tremonti in parlamento: una barzelletta triste che farebbe ridere se non parlasse di noi. Per sua voce il governo ha annunciato che con il ticket al pronto soccorso e altri tagli alle scuole riuscirà a raccattare due dei 47 miliardi di euro necessari – i restanti 45 li raccoglierà il prossimo esecutivo. Di che altro si tratta se non di una resa incondizionata, una fuga dalle proprie responsabilità? Toccherà a Bersani e Vendola trovare il prossimo Visco, il prossimo Padoa Schioppa, il prossimo obiettivo per il tiro al piccione di Libero e Giornale. Feltri e compagnia si rimetteranno in riga, i leghisti dalla loro ridotta del cinque per cento si rimetteranno a urlare Secessione – che è la cosa che gli riesce meglio – e magari tra sei anni sarà già tutto sistemato, e il Paese pronto per il prossimo sogno, il prossimo smagliante Miracolo Italiano, la prossima fuga della realtà.
Come se ne esce? Non so, forse votando Berlusconi, blindandolo per altri cinque anni, obbligando lui e i suoi elettori a prendersi le responsabilità per le proprie scelte, di fronte alla concreta possibilità di andare in malora – salvo che in malora ci siamo già. E allora forse quando il centrosinistra vincerà, non perché rappresenta la maggioranza del Paese, ma perché la maggioranza del Paese non vuole più essere rappresentata, vale la pena di insistere su un concetto: Berlusconi, Bossi e il loro sistema non vanno semplicemente sconfitti, ma delegittimati. Occorre riconoscere, da un punto di vista non semplicemente giudiziario ma politico, che erano un'associazione a delinquere che ci ha impoverito, tutti: e trarne le conseguenze. Altrimenti quelli tra sei anni sono ancora lì, pronti a venderti la rivolta fiscale, la secessione il tiro ai barconi dei negri, e gli italiani queste cose le comprano, purtroppo.
“Insomma, stai dicendo che quando Bersani vincerà bisogna ricordarsi di distruggere...”
“...Cologno Monzese, sì”.
“Lo potevi dire prima, mi risparmiavo cinque minuti”.
“Così lo sponsor è più contento”.
“Lo sponsor... ma ti senti? Guarda che Berlusconi può perdere tutto, ma dentro di te ha vinto da un pezzo”.
“Che io possa essere il magro premio di consolazione”.
“Amen”.
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giovedì 30 giugno 2011
mercoledì 29 giugno 2011
Piccolo Ministero Antico
Sì, in realtà era il momento giusto per presentare il pregevole ebook sulla scuola messo insieme da Peppe Liberti, con racconti e testimonianze di gente che a scuola ci ha messo piede anche negli ultimi cinque, dieci anni.
Poi è successo che una che nelle nostre scuole negli ultimi anni non sembra averci messo molti piedi (il Ministro dell'Istruzione on. Maria Stella Gelmini) ha scritto una letterina sul suo esame di maturità, in cui confondeva Fogazzaro con Corazzini (va be', sempre roba di gente che scriveva nei libri vecchi) e uno degli autori del pregevole ebook (lo Scorfano) se n'è accorto in anteprima. E basta, in effetti il pezzo è tutto qui. Però è sull'Unita.it, (H1t#80) e si commenta laggiù.
Poi è successo che una che nelle nostre scuole negli ultimi anni non sembra averci messo molti piedi (il Ministro dell'Istruzione on. Maria Stella Gelmini) ha scritto una letterina sul suo esame di maturità, in cui confondeva Fogazzaro con Corazzini (va be', sempre roba di gente che scriveva nei libri vecchi) e uno degli autori del pregevole ebook (lo Scorfano) se n'è accorto in anteprima. E basta, in effetti il pezzo è tutto qui. Però è sull'Unita.it, (H1t#80) e si commenta laggiù.
Desolazione della povera ministra sentimentale
Cari maturandi, in bocca al lupo e tutto il resto. Vi diranno che l'esame di maturità non si dimentica mai – non credeteci troppo. In realtà con gli anni ci si dimentica un po' di tutto, ed è giusto così, anzi: se un giorno vi accorgerete di non ricordare più, per esempio, la traccia del vostro tema d'Italiano, è un buon segno: significa che la vita vi ha lasciato ricordi migliori. Del resto non fidatevi troppo, in generale, della memoria: è una cosa che vi portate dentro, che cresce con voi, e che modifica i dati del passato per adattarli meglio alle esperienze del presente. Volete un esempio?
Ieri un quotidiano ha pubblicato una commovente letterina dell'onorevole del Ministro dell'Istruzione. L'on. Maria Stella Gelmini rievocava proprio il suo esame di maturità, che a quanto pare non riesce a lasciarsi indietro. Anzi, l'insistenza con cui tornava sul concetto (“Un ricordo ancora molto vivo e puntuale in me”, “un momento che non è possibile, di certo, dimenticare mai”) tradiva una vera e propria ossessione. Nel finale addirittura il Ministro si lascia andare a una confidenza: lei l'esame se lo sogna ancora. E va bene. Probabilmente fu, per lei, un momento davvero importante, vissuto con molta partecipazione e magari un po' di angoscia.
Ma sognare la maturità non significa ricordarsela bene. Anzi. Il sogno può servire anche a mascherare un ricordo traumatico, o a sostituirlo con qualcosa di meno traumatico. Magari è proprio quello che le è successo. Il ministro afferma di avere un ricordo molto vivo della traccia letteraria, che riguardava poeti e scrittori che “conosceva bene”: del resto non sono passati nemmeno vent'anni, perché non dovrebbe ricordarsi di quella traccia del 1992 su Palazzeschi, i crepuscolari e... Fogazzaro? Ma nel 1992 non è uscito nessun tema su Fogazzaro!
Il primo ad accorgersene ieri è stato lo Scorfano, uno degli autori del blog “Sempre un po' a disagio” (che, neanche a farlo apposta, insegna in un liceo): stamattina magari la notizia sarà stata ripresa dai quotidiani. Per la verità non è successo niente di grave: la Gelmini ha probabilmente confuso il tormentato romanziere modernista Antonio Fogazzaro con il più tardoSergio Corazzini, autore della lacrimevole Desolazione del povero poeta sentimentale. Poco più di un lapsus, che potremmo divertirci ad analizzare senza prenderci troppo sul serio: forse quel Corazzini fu un trauma, forse quel caldo mattino del giugno 1992 la Gelmini non se lo ricordava affatto (del resto a quei tempi erano poche le classi che lo affrontavano: la traccia suscitò qualche polemica), forse il corazziniano “fanciullo triste che ha voglia di morire” suona oggi molto più scandaloso di 19 anni fa a un ministro della Repubblica, al punto da essere sostituito dai personaggi meno inquietanti, persino civilmente impegnati, di Fogazzaro. Sì. Ma possibile che in un Ministero facciano uscire una comunicazione al pubblico senza nessuna verifica? Bastavano pochi secondi di google per evitare al ministro almeno questa piccola figuraccia.
Ma è tutta questa enfasi sui ricordi, giusti o sbagliati che siano, a non avere senso. Di fronte a un evento importante, e sempre nuovo, come l'esame di migliaia di ragazzi in tutt'Italia, il Ministro reagisce come reagiamo un po' tutti: si mette a ricordare gli esami suoi, come se il ricordo potesse suggerire o addirittura surrogare una competenza.
E dire che in questi 19 anni l'esame è cambiato più volte. Ma soprattutto è cambiata la scuola, sono cambiati i ragazzi: eppure la maggior parte di chi parla di scuola, sui quotidiani e in tv, continua ad affidarsi per lo più ai propri ricordi personali, parziali e fallaci che siano, di una scuola che non c'è più, fatta per una società che nel frattempo è cambiata radicalmente. Parlano di scuole da cambiare, di esami da introdurre e di insegnanti da valutare... ma si vede così bene che intanto pensano alla loro scuola, ai loro esami, ai loro insegnanti, ormai in pensione, ma che ancora li tormentano nel sonno.
La scuola intanto cambia, tra riforme e controriforme, un poco ogni giorno. E non c'è nessun ricordo di esperti o ministri che valga un buon racconto, una testimonianza, di quanto accade nelle classi di oggi, nella scuola italiana del 2011 (a proposito, qui si trova un bell'e-book collettivo sulla scuola italiana, che raccoglie racconti e testimonianze di vari blog italiani (qui la versione pdf; qui la versione epub). C'è anche lo Scorfano di cui sopra, e ci sono anch'io. È gratuito e vale davvero la pena di esser letto – magari non sotto l'ombrellone, ma entro settembre, diciamo). http://leonardo.blogspot.com
lunedì 27 giugno 2011
Il sacchetto in amido di mais
I savoiardi
- Il sacchetto in amido di mais che ti costringi a comprare quando sei partito da casa senza contenitori più seri – magari volevi solo comprare il pane e dopo un po' hai nel carrello il decimo del tuo stipendio mensile netto – oleoso al tatto, sprigionante una vaghissima fragranza di popcorn che è pura autosuggestione; il sacchetto odioso che si lacera non appena ci infili il pacchetto di spaghetti di traverso, che non vale i cinque eurocent che ti chiedono, anche perché dovresti comprarne una dozzina per essere sicuro che non ti lasci a piedi nei dieci passi dieci tra l'ormeggio del carrello e la tua automobile, con una serie di lacerazioni strutturali che dal foro degli spaghetti si innerva lungo tutto l'inviluppo della tua spesa, il tuo adipe in potenza (tutto quello che è lì dentro dovrebbe finire nella pancia tua e dei tuoi cari, o espulso in quanto packaging in cinque contenitori di colori diversi), l'inadeguatissimo sacchetto in amido di mais:
è la cosa della mia vita che più mi fa venire in mente la DDR.
Le trabant di cartone a tre marce.
Le tessere alimentari.
I piani quinquennali e la stabilità.
Nel bel mezzo di questo parcheggio immenso e desolato, di questa crisi senza fine, inginocchiato con le vettovaglie che mi franano da tutte le parti e la colpa è mia, il bravo cittadino con la Fede nell'Avvenire si ricorda di portarsi il bustone rigido da casa.
E anche i bravi comunisti oltrecortina, probabilmente, persero la Fede nell'Avvenire in un giorno così. Prima ancora che la classe dirigente si devolvesse totalmente a vodka donnine e bagordi?
Andrà così? Avremo sacchetti sempre meno resistenti? auto che si disfano a guardarle, alimentate da combustibili di scarto?
Devo tornare a casa, mi aspettano creature con il becco spalancato, la jungla in cui vivranno mi cresce tutto intorno (per ora mi arriva all'ombelico, ma spinge).
Mi sarò ricordato i savoiardi?
- Il sacchetto in amido di mais che ti costringi a comprare quando sei partito da casa senza contenitori più seri – magari volevi solo comprare il pane e dopo un po' hai nel carrello il decimo del tuo stipendio mensile netto – oleoso al tatto, sprigionante una vaghissima fragranza di popcorn che è pura autosuggestione; il sacchetto odioso che si lacera non appena ci infili il pacchetto di spaghetti di traverso, che non vale i cinque eurocent che ti chiedono, anche perché dovresti comprarne una dozzina per essere sicuro che non ti lasci a piedi nei dieci passi dieci tra l'ormeggio del carrello e la tua automobile, con una serie di lacerazioni strutturali che dal foro degli spaghetti si innerva lungo tutto l'inviluppo della tua spesa, il tuo adipe in potenza (tutto quello che è lì dentro dovrebbe finire nella pancia tua e dei tuoi cari, o espulso in quanto packaging in cinque contenitori di colori diversi), l'inadeguatissimo sacchetto in amido di mais:
è la cosa della mia vita che più mi fa venire in mente la DDR.
Le trabant di cartone a tre marce.
Le tessere alimentari.
I piani quinquennali e la stabilità.
Nel bel mezzo di questo parcheggio immenso e desolato, di questa crisi senza fine, inginocchiato con le vettovaglie che mi franano da tutte le parti e la colpa è mia, il bravo cittadino con la Fede nell'Avvenire si ricorda di portarsi il bustone rigido da casa.
E anche i bravi comunisti oltrecortina, probabilmente, persero la Fede nell'Avvenire in un giorno così. Prima ancora che la classe dirigente si devolvesse totalmente a vodka donnine e bagordi?
Andrà così? Avremo sacchetti sempre meno resistenti? auto che si disfano a guardarle, alimentate da combustibili di scarto?
Devo tornare a casa, mi aspettano creature con il becco spalancato, la jungla in cui vivranno mi cresce tutto intorno (per ora mi arriva all'ombelico, ma spinge).
Mi sarò ricordato i savoiardi?
mercoledì 22 giugno 2011
Com'era triste la Piazza Rossa
(Questo lunghissimo commento alla prova d'Italiano nazionale Invalsi è comparso sull'Unita.it in due puntate: prima e seconda . Lo riporto anche qui, nessuno si senta in dovere di leggerlo, ma credo sia utile archiviare il testo per intero presso un solo indirizzo).
Ne parliamo (male) da mesi, ma ieri le abbiamo fatte davvero: parlo delle prove di Stato Invalsi 2011 per la scuola media. A tutti coloro (esperti o no) che vogliono continuare a discuterne, propongo prima di provarle. Per esempio, qui c'è la prova d'Italiano: i ragazzi ci hanno messo un'oretta, un adulto che naviga su internet dovrebbe cavarsela in molto meno tempo (facciamo una ventina di minuti?) Ricavare il vostro voto (o valutazione oggettiva) è molto più macchinoso, comunque se volete provarci le risposte e i criteri per l'attribuzione dei punteggi sono qui.
Ecco, per esempio. Qual è il senso di una domanda del genere? Cosa dovrebbe studiare un ragazzino, per rispondere bene a una domanda del genere? Non la narratologia, ci mancherebbe, e allora cosa? Ho un'ipotesi: dovrebbe studiare attentamente il suo maestro, fino a capire come risponderebbe lui; perché l'unica risposta giusta è quella che darebbe lui (nel caso dell'Invalsi, “il dono di Giovanna”).
***
Lunedì scorso tutti gli studenti di terza media (bisognerebbe dire: secondaria di primo grado) hanno svolto, in due ore, la Prova Nazionale Invalsi di matematica e italiano. Martedì ho scritto una lunga recensione della prima parte della prova di italiano, cercando di spiegare perché molti dei quesiti (non necessariamente difficili) sono, a mio parere, mal posti. Non mi aspettavo di ottenere tanta attenzione, ma ne sono contento: dopotutto non c'è in Italia un esame più condiviso di questo (gli alunni che cinque anni dopo arrivano alla Maturità sono parecchi in meno).
Nel frattempo, come ha prontamente notato Mila Spicola ieri, abbiamo scoperto un altro pasticcio dell'Invalsi: le griglie di correzione fornite dal Ministero erano sbagliate. Si tratta di un errore rimediabile, non di un disastro: la maggior parte del lavoro di correzione svolto dagli insegnanti nel pomeriggio di lunedì è salvo. Rimane un'impressione di assoluta improvvisazione, che il primo anno era spiegabile: ma siamo al quarto, e continuano a succedere guai del genere. Probabilmente all'Invalsi hanno gli stessi problemi che abbiamo noi insegnanti nelle scuole: scarso organico, scarsa motivazione, direttive non chiare.
Un ultimo appunto, prima di ricominciare con la recensione: il programma che calcolava i punteggi è un file di Excel che funziona soltanto sulle versioni più aggiornate di Microsoft Office. Ora, non è scritto da nessuna parte che una scuola debba essere dotata dell'ultima versione di un prodotto come Microsoft Office, soprattutto da quando sono in circolazione pacchetti software che fanno più o meno le stesse cose e sono gratuiti. Stiamo parlando delle stesse scuole che fanno fatica a trovare risorse per acquistare la famosa carta igienica: un po' di economia si potrebbe anche cominciare a fare da qui.
Testo argomentativo-espositivo: La pubblicità mi piace, ma non se è obbligatoria
Dopo un brano letterario impegnativo come quello di Vittorini, forse per riequilibrare, all'Invalsi hanno scelto di inserire come testo “argomentativo” un breve fondo del buon Piero Ottone, con contenuti deliberatamente semplici, ai limiti della banalità. L'anno scorso la situazione era inversa: il testo letterario era una cosa minimale di un autore contemporaneo (Francesco Piccolo), il testo argomentativo un brano di divulgazione scientifica non semplicissimo. Viene il sospetto che siano state recepite le critiche del professor Giorgio Israel, già collaboratore della Gelmini, che qualche mese fa si domandava se la prova Invalsi non costituisse un affronto alla missione fondamentale del docente di Italiano, che è (almeno secondo Israel), l'insegnamento della letteratura italiana (“Un insegnante della secondaria superiore dovrebbe smettere di insegnare la letteratura italiana, per insegnare a leggere le istruzioni di un piano di evacuazione della scuola in caso di calamità naturale”?). Ecco: quest'anno abbiamo avuto la Letteratura con la L maiuscola: Vittorini, un Classico del Novecento; e in luogo di un testo tecnico o scientifico, il riadattamento di un editoriale che, non me ne voglia Ottone, finisce per somigliare a un 'temino', quel genere letterario che esiste soltanto nella scuola italiana e sulle pagine di alcuni quotidiani. Niente divulgazione scientifica, niente piani di evacuazione (che pure gli studenti italiani dovrebbero imparare a leggere, prima o dopo Vittorini); qui c'è solo un giornalista (non un esperto) che dice cosa pensa della pubblicità. Indovinate un po': gli piace.
“Sono sempre stato un sostenitore della pubblicità, e non solo per il beneficio che ne traggono i gruppi editoriali, compreso quello al quale appartengo.”
Mettiamo in chiaro una cosa: io francamente non credo, come ha scritto qualcuno, che l'“Invalsi sostenga il capitalismo americano”. Però magari un testo meno apologetico della pubblicità, nel momento in cui ci governa un signore che ha fatto tanti soldi con le televisioni private e i giornali, si poteva trovare. Noi insegnanti veniamo accusati di fare propaganda a scuola, anzi, di “inculcare” gli studenti, per molto meno. Con tutti gli editoriali di prestigiosi opinionisti sulle mezze stagioni o sulle auto in divieto di sosta, sono andati a pescare proprio questo? Ma ditelo, che avete proprio voglia di litigare.
Veniamo alle domande.
B3. Perché l’autore afferma che la pubblicità «è l’ossigeno del capitalismo»
(righe 3-4)?
A. Stimola i consumatori a fare maggiori acquisti
B. È molto costosa e ha bisogno di grandi capitali
C. Esiste solo nei paesi capitalisti
D. Caratterizza la società moderna
Credo che sia facile, per un adulto con una cultura generale non troppo limitata, rispondere “A”. L'idea che il consumo di beni non indispensabili (quelli reclamizzati dalla pubblicità) sia l'ossigeno del capitalismo è una delle idées reçues della società contemporanea (basti pensare a George Bush che l'11 settembre chiede ai consumatori di non aver paura e continuare a consumare: il consumo come baluardo contro il terrore). Il quattordicenne però non è esattamente un contemporaneo: vive in una specie di bolla, non ha molta dimestichezza coi quotidiani, quando Bush fece quel discorso aveva quattro anni. Non è che non sappia cos'è il capitalismo (in terza dovrebbe averlo studiato), però questa metafora così abusata, consumo=ossigeno, probabilmente non la conosce, non ci ha ancora riflettuto su. Non è stupido, ha imparato tante altre cose, Pitagora e il Risorgimento, ma questo luogo comune per cui facendo shopping dai fiato all'economia non l'ha ancora necessariamente introiettato. Allora va a vedere alle righe 3,4, come gli è stato suggerito di fare. E alle righe 3 e 4 c'è scritto:
“La pubblicità è elemento essenziale della società moderna, è l’ossigeno del capitalismo. E contribuisce a ravvivare le nostre città, la nostra esistenza”.
Avete letto? “Elemento essenziale della società moderna”. Quindi la risposta corretta dovrebbe essere la D. Io, almeno, guardando le righe 3 e 4, avrei almeno messo la D. E mi sarei sbagliato. Secondo l'Invalsi la risposta giusta è la A. Nel testo non c'è scritto; ci devo arrivare con un ragionamento; il ragionamento devo averlo fatto per i fatti miei, o in classe, con un insegnante che mi abbia spiegato bene cos'è il capitalismo e perché funziona col consumo. Insomma: questa non è una comprensione; questo è il test su una lezione di capitalismo e consumismo che si presume che l'insegnante debba aver fatto, anche se non è scritto da nessuna parte: così come non è scritto da nessuna parte che la scuola debba pagare per aggiornare un costoso pacchetto software. Il capitalismo funziona così, inculchiamoci di conseguenza.
B4. A che momento del passato si riferisce l’autore con l’espressione “fino all’altro ieri” (riga 5)?
A. Ad alcuni giorni prima
B. A quando esisteva ancora l’URSS
C. A quando Times Square era il cuore di New York
D. A prima che la pubblicità diventasse una componente determinante della società
Qui non è in discussione la facilità della domanda. È giusto che un ragazzo di terza sappia che cos'è l'“Unione Sovietica”, e che “URSS” (termine che non compare nel testo) ne sia un sinonimo. Però anche questa non è una domanda di comprensione: fa riferimento a una serie di nozioni (il crollo del Muro di Berlino, lo stile di vita nei Paesi del patto di Varsavia) che sono state affrontate, forse, in Storia negli ultimi mesi (o in geografia al secondo anno). Fa quasi sorridere questa insistenza su una nazione, l'URSS, che ha cessato di esistere prima che i nostri quattordicenni nascessero. Se la conoscono un po', è probabilmente perché la scuola non ha ancora cambiato le cartine geografiche alle pareti (e certo, è molto più importante aggiornare il pacchetto di Microsoft Office... va bene, va bene, adesso la pianto).
B5. Che cosa ha convinto il New York Times a pubblicare annunci a pagamento in prima pagina?
A. L’esigenza dell’editore di aumentare i guadagni
B. Il desiderio di migliorare e rinnovare il quotidiano
C. La necessità di vincere la concorrenza
D. La volontà di compiacere gli inserzionisti
Ottone non lo scrive. Fa solo riferimento a una non meglio precisata “crisi in atto”. Un adulto ci mette poco a capire che si tratta di una crisi economica, e che quindi la risposta giusta è la A. Però, anche stavolta, la risposta giusta è più nel Contesto che nel Testo. Ovvero: non è la domanda adatta se si vuole testare la competenza di comprensione del testo. Ma ormai è chiaro che all'Invalsi questa competenza non è che interessi più di tanto (interessa più ricordare che la pubblicità è piacevole e che l'Unione Sovietica era un luogo triste?)
B6. La decisione presa dal New York Times di pubblicare annunci in prima pagina viene definita “saggia” perché, secondo l’autore, in questo modo
A. il giornale ha dimostrato di essere il miglior quotidiano del mondo
B. è più facile per i lettori trovare gli annunci economici
C. si aumenta il numero di pagine dedicate alla pubblicità
D. la prima pagina del giornale risulta più vivace e attraente
Qui invece la risposta giusta (D) si trovava proprio nel testo; il problema se mai è che la risposta è un po' ridicola. Io posso capire che Times Square sia più bella grazie ai pannelli pubblicitari (in effetti non resterebbe che un incrocio di palazzoni); ma sul serio Piero Ottone pensa che la prima pagina del New York Times sia diventata più “attraente” grazie alle inserzioni? Boh, sarà, non sono un lettore abituale del NYT. Però questa idea che la pubblicità renda più “attraenti” i quotidiani mi sembra molto discutibile. Sì, ma l'esame non è il luogo per una discussione; l'esame è il luogo dove a tutti gli studenti d'Italia è chiesto di crocettare la risposta D: la pubblicità rende le prime pagine “più vivaci” e “attraenti”: in futuro si potrebbe chiedere ai candidati di scrivere un poemetto sugli inserzionisti pubblicitari, ossigeno della nostra civiltà.
B8. Nel testo alla riga 15 si legge: «Ma gli elogi della pubblicità preludono a una critica». Che cosa significa “preludono”?
A. Seguono
B. Presentano
C. Preannunciano
D. Deludono
Significa “preannunciano”. Il problema è che né “preannunciano” né “preludono” hanno molto senso in questo testo (forse ne avevano nell'originale, che è stato riadattato). Per preludere a qualcosa bisogna, appunto, averla preannunciata nella prima parte del testo. Ma nella prima parte del testo non c'è nessun embrione di critica all'istituzione della pubblicità. Se un ragazzo di terza mi avesse scritto una cosa del genere in un tema, glielo avrei segnato come errore di lessico, la classica ingenuità del ragazzo estroso che vuole strafare e usa termini ricercati senza conoscerli bene. Insomma, anche qui, la risposta non è così difficile; peccato che la domanda sia sbagliata.
B13. Che cosa rende la pubblicità in tv fastidiosa? Indica quali tra le seguenti argomentazioni sono effettivamente utilizzate nel testo dall’autore e quali no
- Lo spettatore è costretto a sottostare a decisioni non sue
- La pubblicità in tv è raramente di buon gusto, spesso è sgradevole
- La pubblicità interrompe arbitrariamente i programmi che si stanno seguendo
- È sgradevole vedere accostati messaggi pubblicitari alla notizia di eventi drammatici
A questo punto, forse anche perché cominciava a esser tardi, ma io credevo di sognare. Secondo l'Invalsi tutte queste argomentazioni sono state usate (non "utilizzate": altra ingenuità lessicale), tranne la seconda: cioè, Ottone in questo testo non direbbe mai che “La pubblicità in tv è raramente di buon gusto, spesso è sgradevole”. Eppure scrive che “è imperiosa e invasiva”. Eppure descrive il fastidio causatogli dal “passaggio repentino da una notizia tragica a una pubblicità frivola”, che definisce “irriverente”. “Come si può tollerare che il resoconto di una strage sia interrotto dall'elogio di un lassativo?” Qui siamo veramente dalle parti del lapsus. Ottone non ama la pubblicità televisiva, trova sgradevoli e di cattivo gusto i lassativi in prima serata dopo il tg, ma all'Invalsi non l'hanno capito. I quattordicenni che invece potrebbero averlo capito rischiano di prendersi un voto in meno: questa è la nostra “valutazione oggettiva”. Andiamo avanti.
I quesiti di grammatica
Mi sembrano fatti con maggior criterio. Sento alcuni borbottare sul fatto che una pagina intera sia dedicata a una regola ovvia come quella dell'apostrofo su “un”: come se non fosse uno degli errori che troviamo più spesso su internet e sui quotidiani... Un appunto un po' tecnico sul C4: si dà per scontato un metodo di scomposizione della frase complessa (con riquadri uniti da linee orizzontali per la coordinazione, verticali per la subordinazione) che non è affatto scontato. Da insegnante, noto sempre di più come i ragazzi tendano a non leggere le istruzioni degli esercizi, e a seguire il loro intuito (abituati come sono a strumenti sempre più intuitivi: computer, cellulari, consolle). Anche all'Invalsi devono aver pensato che ormai le istruzioni non le legge più nessuno, e tanto vale offrire allo studente uno schema intuitivo. Sì, probabilmente così è più facile. Però anche in questo caso quello che si perde è l'aspetto della comprensione del testo.
Per concludere
Chi ha scritto questi appunti è un insegnante di scuola media che non rifiuta, a priori, la prova nazionale; però vorrebbe che fosse fatta bene, e che verificasse soprattutto la competenza di comprensione del testo (non nozioni sul Ginnasio-Liceo o sull'Unione Sovietica). Spero che le mie critiche, ancorché un po' esasperate (dopo quattro anni) siano interpretate in senso costruttivo.
Un'ultima cosa: anche chi non condividesse nessuna delle mie critiche, anche chi fosse convinto della bontà di questa prova, è invitato a non prendere troppo sul serio i risultati nazionali, quando arriveranno. Ancora più dei cattivi quesiti, a pesare sul risultato finale è la cattiva organizzazione della correzione. Non si tratta solo del pasticcio con le griglie (che comunque va messo in conto); tutte le risposte degli alunni sono state infatti ricopiate dagli insegnanti (stanchi e poco motivati) su una griglia cartacea e su una griglia elettronica, con tutti gli errori di trascrizione che chi abbia mai fatto un lavoro così meccanico non dovrebbe stentare a immaginare. È facile pensare che in molte scuole le due ricopiature non siano state simultanee: ovvero, prima gli insegnanti hanno inserito i dati nel cartaceo (commettendo una certa dose di errori), poi hanno ricopiato i dati dal cartaceo all'elettronico (riproducendo i vecchi errori e aggiungendone di nuovi). Come ho scritto altre volte, si tratta di uno spreco di risorse umane inefficiente e umiliante per chi vi è sottoposto: in altri Paesi, teoricamente meno sviluppati del nostro, le scuole sono dotate da anni da scanner in grado di correggere in pochi istanti test come questo, risparmiando tempo e – nei Paesi dove il tempo degli insegnanti ha un costo – denaro. Grazie per l'attenzione.
Ne parliamo (male) da mesi, ma ieri le abbiamo fatte davvero: parlo delle prove di Stato Invalsi 2011 per la scuola media. A tutti coloro (esperti o no) che vogliono continuare a discuterne, propongo prima di provarle. Per esempio, qui c'è la prova d'Italiano: i ragazzi ci hanno messo un'oretta, un adulto che naviga su internet dovrebbe cavarsela in molto meno tempo (facciamo una ventina di minuti?) Ricavare il vostro voto (o valutazione oggettiva) è molto più macchinoso, comunque se volete provarci le risposte e i criteri per l'attribuzione dei punteggi sono qui.
Nei mesi scorsi, gli insegnanti che hanno osato criticare le prove sono stati spesso accusati di voler rifuggire una valutazione oggettiva delle proprie competenze; come se gli insegnanti non vivessero sulla propria pelle ogni giorno la valutazione di alunni, colleghi, genitori, dirigenti (davvero, se il giudizio degli altri ci facesse così paura ci saremmo probabilmente trovati un altro mestiere). A chi faceva notare i difetti dei test, gli esperti rispondevano che l'importante era avere finalmente uno strumento oggettivo, ancorché “perfettibile”.
Siamo al quarto anno, e il test continua a essere molto “perfettibile”. Quello di quest'anno per esempio mi sembra persino più “perfettibile” di quello dell'anno scorso. Non è tanto la difficoltà dei brani proposti (non semplicissimi), quanto l'ambiguità delle domande - o meglio, delle risposte disponibili. Vediamone alcune:
La compagna di scuola (E. Vittorini)
Un primo appunto sulla scelta del brano: Vittorini non è un autore semplice, nemmeno in questa versione riadattata che lascia filtrare comunque termini abbastanza desueti (“Parasanghea”, “canuto”, “repentino”) in grado di mettere un po' in soggezione il lettore quattordicenne (ricordo che la prova nazionale la fanno tutti gli studenti medi della Repubblica, inclusi i ragazzi di origine non italiana che non possono portarsi il vocabolario da casa). C'è un bel gradino, per esempio, tra questo brano delGarofano rosso e quello di Francesco Piccolo di un anno fa.
A1. Il protagonista-narratore è uno studente del Ginnasio-Liceo. Di quale classe, probabilmente?
La risposta non era impossibile, ma vale la pena soffermarcisi un po'. Vittorini dà per scontato, e gli esperti Invalsi con lui, che sia chiaro a tutti i quattordicenni che cos'è un Ginnasio-Liceo: l'unico corso di scuola media superiore in cui i più grandi fanno la “terza” e non la “quinta”. Ebbene no, non è così scontato. La prova nazionale la fanno tutti gli alunni di terza media: gran parte di loro vive in località dove non c'è un Ginnasio-Liceo Classico, e non ha mai preso in considerazione l'ipotesi di iscriversi a un Ginnasio-Liceo Classico; anche perché (a differenza dei tempi di Vittorini), gran parte della scuola italiana non gira più intorno al prestigioso Ginnasio-Liceo Classico. Poi, ripeto, anche chi non avesse mai dato un'occhiata al piano di studi di un Classico poteva trovare nel testo gli indizi per rispondere correttamente; la domanda era comunque un po' disorientante, e faceva affidamento su una cultura generale che a quattordici anni oggi non è affatto scontata. Ma fossero questi i veri problemi...
A2. Alla riga 10, l’aggettivo “sgobboni” riferito a compagni significa...
A. molto antipatici
B. molto studiosi
C. molto ingobbiti
D. molto intelligenti
“Sgobboni” è un termine colloquiale, al limite del gergale, di sessant'anni fa (Il garofano rosso è del 1948, anche se sul fascicolo c'è scritto 1972). Può darsi che in certe zone d'Italia sia ancora di uso comune; non nella mia. Anche qui, il contesto aiutava a chiarire. Ma il quattordicenne che non ha mai sentito il termine può farsi un dubbio in più e perdere altro tempo. Se volevamo accertare le sue competenze lessicali, forse c'erano termini più importanti.
A6. Come reagisce il protagonista ogni volta che sente l’urlo di uno dei piccoli?
A. Gli viene il desiderio irrefrenabile di partecipare ai loro giochi
B. Gli vien voglia di mettersi a correre come un cavallo
C. In cuor suo si sente ritornare il bambino vivace che era stato
D. Vorrebbe saltare anche lui dai gradini della cattedrale
Qui cominciano i problemi seri, secondo me. Per l'Invalsi la risposta esatta è la C. Io francamente non avrei saputo scegliere. Vittorini scrive: “ogni volta che l’urlo di uno dei piccoli andava lontano oltre la strada sulla prateria della piazza mi sentivo nitrire dentro e ritornare cavallino com’ero stato quando anche io dai gradini della cattedrale spiccavo il volo radente sopra l’asfalto”. Un quesito come questo valuta la comprensione? Chi ha risposto C ha compreso meglio di quelli che hanno risposto A o D? La mia sensazione è che chi risponde C, più che una comprensione, stia fornendo già un'interpretazione. O meglio: sta scegliendo l'interpretazione che gli fornisce il Maestro, pardon, l'Invalsi.
A8. Come viene descritta la ragazza? Ritrova nel testo le informazioni che la riguardano e riportale nella tabella completandola.
La Prova Nazionale non è esattamente quel "test chiuso" che molti immaginano. In realtà per molti quesiti è prevista una risposta semi-aperta; vale a dire che il candidato ha dei margini per rispondere, il che complica la vita a chi corregge e perturba probabilmente i risultati. Per esempio, Vittorini dipinge una ragazza dagli “occhi chiari, fieramente grigi”; in sede di correzione era considerato corretto sia “occhi chiari” che “occhi grigi”: meno male. Però poi bisognava per forza scrivere che Giovanna era “bruna”: si trattava dell'unica risposta consentita. Ma in italiano corrente “bruna” si riferisce di solito al colore dei capelli, mentre Vittorini, scrivendo “viso di bruna”, ha in mente l'incarnato; però “bruna” per l'Invalsi è una risposta buona, “viso di bruna” non si sa, forse no (in una scuola che conosco, dopo un po' di dibattito, si è deciso di no; in altre probabilmente sì; forse gli esperti avrebbero potuto evitare casi dubbi come questi, anche perché in alcune classi tutti i moduli dovevano essere corretti in una mezza giornata, visto che stamattina si comincia con le prove orali, e insomma non c'era tutto questo tempo per un dibattito filologico).
A10. Dopo essere stato guardato, il protagonista mette in atto una serie di comportamenti per farsi notare dalla ragazza. Indicane due.
Un altro caso in cui gli esperti Invalsi potevano fare uno piccolo sforzo di chiarezza in più, ed evitare un pasticcio. Le risposte che forniscono sono tutte alla prima persona, così come il brano di Vittorini (“mi misi dietro a lei tenendo dieci passi di distanza”, “a tutte le uscite l’accompagnavo”). Ma i ragazzi di solito rispondono in terza persona (“si mise dietro a lei”, ecc.), seguendo una prassi che è tipica dei questionari sui loro libri di testo. Ieri ho corretto diciotto prove: nessun candidato aveva risposto in prima persona (e comprensibilmente, nessuno di loro essendo Elio Vittorini). Un correttore che volesse essere fiscale potrebbe invalidare tutte le risposte. D'altro canto, perché un correttore dovrebbe essere fiscale, finché corregge le prove di candidati della sua scuola? Conflitto d'interessi! (Per superarlo, basterebbe usare uno scanner al posto della manodopera sottopagata, come si fa nei paesi civili).
A11. Perché nella sua lettera il protagonista chiama “Diana” la ragazza di cui è innamorato?
A. Perché non conosce il suo vero nome
B. Per poter comunicare con lei senza essere scoperto
C. Perché nella sua immaginazione gli appare come una dea
D. Per far finalmente colpo sulla ragazza e farsi notare da lei
Ma Vittorini non lo dice! Perché il lettore quattordicenne dovrebbe saperlo? Peraltro un quattordicenne spesso è al corrente di ciò che agli esperti Invalsi sfugge, ovvero che certe cose si fanno per più di un motivo: “Diana” è un senhal, serve al protagonista per eludere la sorveglianza degli adulti (B) e senz'altro far colpo sulla ragazza (D), però per l'Invalsi l'unico motivo buono è che “nella sua immaginazione gli appare come una Dea” (C); ebbene, da nessuna parte nel brano c'è un riferimento alla Dea (viene menzionata solo in nota a piè di pagina). Questa non è comprensione. Questa è un'interpretazione del testo che viene imposta come unica interpretazione consentita. C'è qualcosa che non va.
A12. Per il protagonista narratore, di che cosa è espressione il garofano rosso?
A. Del fatto che Giovanna vuole ricambiare la sua lettera
B. Dell’amore di Giovanna, che è per lui tutto il bene
C. Della passione di Giovanna per i fiori
D. Del fatto che è stata Giovanna a prendere l’iniziativa
Ma il narratore non lo dice! E benché a un lettore adulto la risposta B possa apparire abbastanza scontata, faccio presente che un quattordicenne sudato e un po' innervosito non ha a sua disposizione molti argomenti testuali o di cultura generale per escludere a priori la A o la D. Queste domande non sono né “facili” né “difficili”; secondo me sono semplicemente le domande sbagliate, che non certificano la comprensione del testo. Anche quando il lettore risponde correttamente, gli rimane addosso la fastidiosa sensazione che gli sia sfuggito qualcosa.
A14. Il protagonista è incerto se baciare o no la ragazza perché
A. ha paura che il suo sentimento non sia corrisposto
B. non crede che sia il momento adatto per farlo
C. teme di rovinare tutto con un gesto fuori luogo
D. non vuole metterla in imbarazzo davanti ai compagni
Signori Invalsi, non v'invidio. Evidentemente anche nei vostri momenti più intensi, ed emozionanti, non siete riusciti a formulare più di un pensiero alla volta. Non credo che la coscienza di Vittorini fosse angusta quanto la vostra; la paura che il suo sentimento non sia corrisposto (A) è evidente quando scrive “E tremai per il bene che mi voleva che un nulla sarebbe bastato, credevo, a cancellare via dal suo cuore”. Un nulla; figurati un bacio: non è evidentemente il momento adatto (B); però l'unica risposta che accettate è la C. Ma è davvero un test di comprensione questo? Cioè: chi risponde A e B sul serio non ha capito?
A16. Come si potrebbe definire il rapporto tra i due ragazzi?
A. Coinvolgente e delicato
B. Leggero e superficiale
C. Teso e movimentato
D. Incerto e burrascoso
Questa mi fa proprio arrabbiare. Non è comprensione, è giudizio, un'altra cosa; e non è bello imbeccare i giudizi dei lettori. Ovvero: sono abbastanza sicuro che la stragrande maggioranza avrà risposto “coinvolgente e delicato”, che per l'Invalsi è la risposta giusta, ma sul serio è l'unica? Un rapporto fatto di sguardi, di camminate a dieci passi di distanza, di lettere alle dee e garofani nelle buste, non è anche “leggero e superficiale”? Di nuovo: “Il bene che mi voleva che un nulla sarebbe bastato, credevo, a cancellare via dal suo cuore”: se non è leggero un sentimento del genere, cosa? Però la (A) fa molto più the letterario. E risvolto harmony, anche.
A17. Nel testo moltissimi particolari sottolineano che il racconto si svolge in una stagione calda, in un clima quasi rovente. L’autore vuol farci capire che
A. il protagonista vuole conquistare la ragazza prima delle vacanze estive
B. il caldo esterno corrisponde alle sensazioni ed emozioni del protagonista
C. la pigrizia degli studenti seduti al caffè è provocata dal caldo eccessivo
D. per il protagonista l’estate è il tempo dell’amore e della passione
Ma insomma che roba è questa? Non sarei sicuro della risposta io con un dottorato in lettere moderne, figurati un quattordicenne con l'ansia di concludere con la compagna di terza prima che vada lei al mare e lui in campeggio. Io davvero vorrei che uno degli estensori di questi test si palesasse e spiegasse perché, secondo lui, “il caldo esterno corrisponde alle sensazioni ed emozioni del protagonista” (B): quali sintagmi, quali espedienti stilistici gli consentirebbero di vedere nel protagonista un lupacchiotto in calore.
A18. Nel testo che hai letto l’autore utilizza una particolare tecnica narrativa, che viene definita dell’“io narrante”. Con questa espressione si intende che
A. il narratore sa già come va a finire la storia
B. l’autore parla poeticamente dei propri sentimenti
C. l’autore narra fatti realmente accaduti
D. la persona che narra è all’interno della storia
Questa non era difficile, ma ne approfitto per un appunto. È uno dei pochi quesiti che abbia a che fare con la narratologia. Di solito chi critica i test scolastici in quanto test è sempre convinto di avere contro l'armamentario dello strutturalismo e della narratologia, vecchi idoli critici di più di una generazione; e invece lo avete visto, su diciotto domande questa forse è la prima in cui si misurino queste competenze. La polemica contro la narratologia è annosa; è vero che negli ultimi 30 anni la didattica dell'italiano è stata colonizzata da questa disciplina. E tuttavia c'è un motivo se gli autori di manuali e gli insegnanti continuano a usarne (e abusarne): è relativamente facile, consente a chi l'apprende sui testi di metterla in pratica nella produzione di altri testi, e soprattutto ha una sua oggettività. Voglio dire che se chiedi a qualcuno se un brano del genere è in prima persona, lui può risponderti solo sì (giusto) o no (sbagliato). Invece se gli chiedi cosa significa il caldo per l'io narrante, ti butti a capofitto in una soggettività più impalpabile che profonda, dove alla fine tutte le risposte sono uguali, ma una è più uguale delle altre (quella dell'esperto Invalsi).
A19. Quale altro titolo si potrebbe dare al testo che hai letto?
A. Il dono di Giovanna
B. Un amore infelice
C. Un anno speciale
D. A scuola a sedici anni
***
Lunedì scorso tutti gli studenti di terza media (bisognerebbe dire: secondaria di primo grado) hanno svolto, in due ore, la Prova Nazionale Invalsi di matematica e italiano. Martedì ho scritto una lunga recensione della prima parte della prova di italiano, cercando di spiegare perché molti dei quesiti (non necessariamente difficili) sono, a mio parere, mal posti. Non mi aspettavo di ottenere tanta attenzione, ma ne sono contento: dopotutto non c'è in Italia un esame più condiviso di questo (gli alunni che cinque anni dopo arrivano alla Maturità sono parecchi in meno).
Nel frattempo, come ha prontamente notato Mila Spicola ieri, abbiamo scoperto un altro pasticcio dell'Invalsi: le griglie di correzione fornite dal Ministero erano sbagliate. Si tratta di un errore rimediabile, non di un disastro: la maggior parte del lavoro di correzione svolto dagli insegnanti nel pomeriggio di lunedì è salvo. Rimane un'impressione di assoluta improvvisazione, che il primo anno era spiegabile: ma siamo al quarto, e continuano a succedere guai del genere. Probabilmente all'Invalsi hanno gli stessi problemi che abbiamo noi insegnanti nelle scuole: scarso organico, scarsa motivazione, direttive non chiare.
Un ultimo appunto, prima di ricominciare con la recensione: il programma che calcolava i punteggi è un file di Excel che funziona soltanto sulle versioni più aggiornate di Microsoft Office. Ora, non è scritto da nessuna parte che una scuola debba essere dotata dell'ultima versione di un prodotto come Microsoft Office, soprattutto da quando sono in circolazione pacchetti software che fanno più o meno le stesse cose e sono gratuiti. Stiamo parlando delle stesse scuole che fanno fatica a trovare risorse per acquistare la famosa carta igienica: un po' di economia si potrebbe anche cominciare a fare da qui.
Testo argomentativo-espositivo: La pubblicità mi piace, ma non se è obbligatoria
Dopo un brano letterario impegnativo come quello di Vittorini, forse per riequilibrare, all'Invalsi hanno scelto di inserire come testo “argomentativo” un breve fondo del buon Piero Ottone, con contenuti deliberatamente semplici, ai limiti della banalità. L'anno scorso la situazione era inversa: il testo letterario era una cosa minimale di un autore contemporaneo (Francesco Piccolo), il testo argomentativo un brano di divulgazione scientifica non semplicissimo. Viene il sospetto che siano state recepite le critiche del professor Giorgio Israel, già collaboratore della Gelmini, che qualche mese fa si domandava se la prova Invalsi non costituisse un affronto alla missione fondamentale del docente di Italiano, che è (almeno secondo Israel), l'insegnamento della letteratura italiana (“Un insegnante della secondaria superiore dovrebbe smettere di insegnare la letteratura italiana, per insegnare a leggere le istruzioni di un piano di evacuazione della scuola in caso di calamità naturale”?). Ecco: quest'anno abbiamo avuto la Letteratura con la L maiuscola: Vittorini, un Classico del Novecento; e in luogo di un testo tecnico o scientifico, il riadattamento di un editoriale che, non me ne voglia Ottone, finisce per somigliare a un 'temino', quel genere letterario che esiste soltanto nella scuola italiana e sulle pagine di alcuni quotidiani. Niente divulgazione scientifica, niente piani di evacuazione (che pure gli studenti italiani dovrebbero imparare a leggere, prima o dopo Vittorini); qui c'è solo un giornalista (non un esperto) che dice cosa pensa della pubblicità. Indovinate un po': gli piace.
“Sono sempre stato un sostenitore della pubblicità, e non solo per il beneficio che ne traggono i gruppi editoriali, compreso quello al quale appartengo.”
Mettiamo in chiaro una cosa: io francamente non credo, come ha scritto qualcuno, che l'“Invalsi sostenga il capitalismo americano”. Però magari un testo meno apologetico della pubblicità, nel momento in cui ci governa un signore che ha fatto tanti soldi con le televisioni private e i giornali, si poteva trovare. Noi insegnanti veniamo accusati di fare propaganda a scuola, anzi, di “inculcare” gli studenti, per molto meno. Con tutti gli editoriali di prestigiosi opinionisti sulle mezze stagioni o sulle auto in divieto di sosta, sono andati a pescare proprio questo? Ma ditelo, che avete proprio voglia di litigare.
Veniamo alle domande.
B3. Perché l’autore afferma che la pubblicità «è l’ossigeno del capitalismo»
(righe 3-4)?
A. Stimola i consumatori a fare maggiori acquisti
B. È molto costosa e ha bisogno di grandi capitali
C. Esiste solo nei paesi capitalisti
D. Caratterizza la società moderna
Credo che sia facile, per un adulto con una cultura generale non troppo limitata, rispondere “A”. L'idea che il consumo di beni non indispensabili (quelli reclamizzati dalla pubblicità) sia l'ossigeno del capitalismo è una delle idées reçues della società contemporanea (basti pensare a George Bush che l'11 settembre chiede ai consumatori di non aver paura e continuare a consumare: il consumo come baluardo contro il terrore). Il quattordicenne però non è esattamente un contemporaneo: vive in una specie di bolla, non ha molta dimestichezza coi quotidiani, quando Bush fece quel discorso aveva quattro anni. Non è che non sappia cos'è il capitalismo (in terza dovrebbe averlo studiato), però questa metafora così abusata, consumo=ossigeno, probabilmente non la conosce, non ci ha ancora riflettuto su. Non è stupido, ha imparato tante altre cose, Pitagora e il Risorgimento, ma questo luogo comune per cui facendo shopping dai fiato all'economia non l'ha ancora necessariamente introiettato. Allora va a vedere alle righe 3,4, come gli è stato suggerito di fare. E alle righe 3 e 4 c'è scritto:
“La pubblicità è elemento essenziale della società moderna, è l’ossigeno del capitalismo. E contribuisce a ravvivare le nostre città, la nostra esistenza”.
Avete letto? “Elemento essenziale della società moderna”. Quindi la risposta corretta dovrebbe essere la D. Io, almeno, guardando le righe 3 e 4, avrei almeno messo la D. E mi sarei sbagliato. Secondo l'Invalsi la risposta giusta è la A. Nel testo non c'è scritto; ci devo arrivare con un ragionamento; il ragionamento devo averlo fatto per i fatti miei, o in classe, con un insegnante che mi abbia spiegato bene cos'è il capitalismo e perché funziona col consumo. Insomma: questa non è una comprensione; questo è il test su una lezione di capitalismo e consumismo che si presume che l'insegnante debba aver fatto, anche se non è scritto da nessuna parte: così come non è scritto da nessuna parte che la scuola debba pagare per aggiornare un costoso pacchetto software. Il capitalismo funziona così, inculchiamoci di conseguenza.
B4. A che momento del passato si riferisce l’autore con l’espressione “fino all’altro ieri” (riga 5)?
A. Ad alcuni giorni prima
B. A quando esisteva ancora l’URSS
C. A quando Times Square era il cuore di New York
D. A prima che la pubblicità diventasse una componente determinante della società
Qui non è in discussione la facilità della domanda. È giusto che un ragazzo di terza sappia che cos'è l'“Unione Sovietica”, e che “URSS” (termine che non compare nel testo) ne sia un sinonimo. Però anche questa non è una domanda di comprensione: fa riferimento a una serie di nozioni (il crollo del Muro di Berlino, lo stile di vita nei Paesi del patto di Varsavia) che sono state affrontate, forse, in Storia negli ultimi mesi (o in geografia al secondo anno). Fa quasi sorridere questa insistenza su una nazione, l'URSS, che ha cessato di esistere prima che i nostri quattordicenni nascessero. Se la conoscono un po', è probabilmente perché la scuola non ha ancora cambiato le cartine geografiche alle pareti (e certo, è molto più importante aggiornare il pacchetto di Microsoft Office... va bene, va bene, adesso la pianto).
B5. Che cosa ha convinto il New York Times a pubblicare annunci a pagamento in prima pagina?
A. L’esigenza dell’editore di aumentare i guadagni
B. Il desiderio di migliorare e rinnovare il quotidiano
C. La necessità di vincere la concorrenza
D. La volontà di compiacere gli inserzionisti
Ottone non lo scrive. Fa solo riferimento a una non meglio precisata “crisi in atto”. Un adulto ci mette poco a capire che si tratta di una crisi economica, e che quindi la risposta giusta è la A. Però, anche stavolta, la risposta giusta è più nel Contesto che nel Testo. Ovvero: non è la domanda adatta se si vuole testare la competenza di comprensione del testo. Ma ormai è chiaro che all'Invalsi questa competenza non è che interessi più di tanto (interessa più ricordare che la pubblicità è piacevole e che l'Unione Sovietica era un luogo triste?)
B6. La decisione presa dal New York Times di pubblicare annunci in prima pagina viene definita “saggia” perché, secondo l’autore, in questo modo
A. il giornale ha dimostrato di essere il miglior quotidiano del mondo
B. è più facile per i lettori trovare gli annunci economici
C. si aumenta il numero di pagine dedicate alla pubblicità
D. la prima pagina del giornale risulta più vivace e attraente
Qui invece la risposta giusta (D) si trovava proprio nel testo; il problema se mai è che la risposta è un po' ridicola. Io posso capire che Times Square sia più bella grazie ai pannelli pubblicitari (in effetti non resterebbe che un incrocio di palazzoni); ma sul serio Piero Ottone pensa che la prima pagina del New York Times sia diventata più “attraente” grazie alle inserzioni? Boh, sarà, non sono un lettore abituale del NYT. Però questa idea che la pubblicità renda più “attraenti” i quotidiani mi sembra molto discutibile. Sì, ma l'esame non è il luogo per una discussione; l'esame è il luogo dove a tutti gli studenti d'Italia è chiesto di crocettare la risposta D: la pubblicità rende le prime pagine “più vivaci” e “attraenti”: in futuro si potrebbe chiedere ai candidati di scrivere un poemetto sugli inserzionisti pubblicitari, ossigeno della nostra civiltà.
B8. Nel testo alla riga 15 si legge: «Ma gli elogi della pubblicità preludono a una critica». Che cosa significa “preludono”?
A. Seguono
B. Presentano
C. Preannunciano
D. Deludono
Significa “preannunciano”. Il problema è che né “preannunciano” né “preludono” hanno molto senso in questo testo (forse ne avevano nell'originale, che è stato riadattato). Per preludere a qualcosa bisogna, appunto, averla preannunciata nella prima parte del testo. Ma nella prima parte del testo non c'è nessun embrione di critica all'istituzione della pubblicità. Se un ragazzo di terza mi avesse scritto una cosa del genere in un tema, glielo avrei segnato come errore di lessico, la classica ingenuità del ragazzo estroso che vuole strafare e usa termini ricercati senza conoscerli bene. Insomma, anche qui, la risposta non è così difficile; peccato che la domanda sia sbagliata.
B13. Che cosa rende la pubblicità in tv fastidiosa? Indica quali tra le seguenti argomentazioni sono effettivamente utilizzate nel testo dall’autore e quali no
- Lo spettatore è costretto a sottostare a decisioni non sue
- La pubblicità in tv è raramente di buon gusto, spesso è sgradevole
- La pubblicità interrompe arbitrariamente i programmi che si stanno seguendo
- È sgradevole vedere accostati messaggi pubblicitari alla notizia di eventi drammatici
A questo punto, forse anche perché cominciava a esser tardi, ma io credevo di sognare. Secondo l'Invalsi tutte queste argomentazioni sono state usate (non "utilizzate": altra ingenuità lessicale), tranne la seconda: cioè, Ottone in questo testo non direbbe mai che “La pubblicità in tv è raramente di buon gusto, spesso è sgradevole”. Eppure scrive che “è imperiosa e invasiva”. Eppure descrive il fastidio causatogli dal “passaggio repentino da una notizia tragica a una pubblicità frivola”, che definisce “irriverente”. “Come si può tollerare che il resoconto di una strage sia interrotto dall'elogio di un lassativo?” Qui siamo veramente dalle parti del lapsus. Ottone non ama la pubblicità televisiva, trova sgradevoli e di cattivo gusto i lassativi in prima serata dopo il tg, ma all'Invalsi non l'hanno capito. I quattordicenni che invece potrebbero averlo capito rischiano di prendersi un voto in meno: questa è la nostra “valutazione oggettiva”. Andiamo avanti.
I quesiti di grammatica
Mi sembrano fatti con maggior criterio. Sento alcuni borbottare sul fatto che una pagina intera sia dedicata a una regola ovvia come quella dell'apostrofo su “un”: come se non fosse uno degli errori che troviamo più spesso su internet e sui quotidiani... Un appunto un po' tecnico sul C4: si dà per scontato un metodo di scomposizione della frase complessa (con riquadri uniti da linee orizzontali per la coordinazione, verticali per la subordinazione) che non è affatto scontato. Da insegnante, noto sempre di più come i ragazzi tendano a non leggere le istruzioni degli esercizi, e a seguire il loro intuito (abituati come sono a strumenti sempre più intuitivi: computer, cellulari, consolle). Anche all'Invalsi devono aver pensato che ormai le istruzioni non le legge più nessuno, e tanto vale offrire allo studente uno schema intuitivo. Sì, probabilmente così è più facile. Però anche in questo caso quello che si perde è l'aspetto della comprensione del testo.
Per concludere
Chi ha scritto questi appunti è un insegnante di scuola media che non rifiuta, a priori, la prova nazionale; però vorrebbe che fosse fatta bene, e che verificasse soprattutto la competenza di comprensione del testo (non nozioni sul Ginnasio-Liceo o sull'Unione Sovietica). Spero che le mie critiche, ancorché un po' esasperate (dopo quattro anni) siano interpretate in senso costruttivo.
Un'ultima cosa: anche chi non condividesse nessuna delle mie critiche, anche chi fosse convinto della bontà di questa prova, è invitato a non prendere troppo sul serio i risultati nazionali, quando arriveranno. Ancora più dei cattivi quesiti, a pesare sul risultato finale è la cattiva organizzazione della correzione. Non si tratta solo del pasticcio con le griglie (che comunque va messo in conto); tutte le risposte degli alunni sono state infatti ricopiate dagli insegnanti (stanchi e poco motivati) su una griglia cartacea e su una griglia elettronica, con tutti gli errori di trascrizione che chi abbia mai fatto un lavoro così meccanico non dovrebbe stentare a immaginare. È facile pensare che in molte scuole le due ricopiature non siano state simultanee: ovvero, prima gli insegnanti hanno inserito i dati nel cartaceo (commettendo una certa dose di errori), poi hanno ricopiato i dati dal cartaceo all'elettronico (riproducendo i vecchi errori e aggiungendone di nuovi). Come ho scritto altre volte, si tratta di uno spreco di risorse umane inefficiente e umiliante per chi vi è sottoposto: in altri Paesi, teoricamente meno sviluppati del nostro, le scuole sono dotate da anni da scanner in grado di correggere in pochi istanti test come questo, risparmiando tempo e – nei Paesi dove il tempo degli insegnanti ha un costo – denaro. Grazie per l'attenzione.
martedì 21 giugno 2011
Può ripetere la domanda?
Ehilà, voi che ce l'avete coi prof che non vogliono farsi valutare dall'Invalsi, vi propongo un gioco. Perché non vi auto-somministrate il test Invalsi, quello della terza media? E' on line da ieri.
(Calandovi contestualmente nel ruolo di un quattordicenne ai primi brufoli che se gli va bene si è fatto una cultura coi Simpson e si ritrova all'improvviso catapultato nella Sicilia di Elio Vittorini).
(Calandovi contestualmente nel ruolo di un quattordicenne ai primi brufoli che se gli va bene si è fatto una cultura coi Simpson e si ritrova all'improvviso catapultato nella Sicilia di Elio Vittorini).
Dai, provateci. Poi ne discutiamo sull'Unita.it (si commenta là).
sabato 18 giugno 2011
Italian Tabloid
Se ne parla da un po' – forse la De Gregorio lascerà l'Unità. È una buona cosa per l'Unità? Per la De Gregorio? Per Soru? Per il PD? Io risponderei no a tutte e quattro le domande, ma non è che ne sappia poi molto.
Di solito quando si parla di direttori di quotidiani licenziati o in fase di licenziamento, c'è sempre chi invoca le leggi del Mercato. Io non ho niente in linea di massima contro i mercati e le loro leggi, ma stiamo parlando della stampa. Per di più italiana – è un po' come invocare le norme del codice stradale all'autoscontro della sagra di paese (l'ultima sera, qualche minuto prima dei fuochi). Certo, dopotutto sono mezzi di locomozione anche le macchinine. Però.
Prendi l'Unità, fondata da Antonio Gramsci nel 1924. Non seguiva le leggi del mercato, quando era un foglio sovversivo (finanziato dal Comintern). Non seguiva le leggi del mercato quando era l'organo del Pci (finanziato dal Comintern). Forse sottostava alle leggi del mercato quando regalava le videocassette, ma a voler fare i precisini quello sarebbe una violazione delle leggi del mercato (dumping? predatory pricing?) Anche oggi, diversi quotidiani italiani “stanno sul mercato” grazie alle sovvenzioni statali, o come voci in perdita di grandi aziende che fanno soldi in altri modi. Significa “stare sul mercato”? Certo, ci sono le eccezioni. Un'eccezione importante è costituita da un quotidiano fondato da un gruppo di giornalisti che se ne sono andati via dall'Unità quando è arrivata la De Gregorio.
Però, anche lì, guardiamoci bene. Quali sono le firme giornalistiche che valgono di più in Italia, quelle che venderebbero qualsiasi cosa? Una volta c'era “Enzo Biagi”. “Enzo Biagi” non era semplicemente un simpatico giornalista del Corriere, “Enzo Biagi” era un marchio di fabbrica in grado di vendere qualsiasi cosa: quotidiani, strisce tv, cartonati, perfino i fumetti. Poi c'era, per esempio, “Indro Montanelli”. Oggi ci sono ancora nomi così? Il primo che mi viene in mente, uno in grado di riempire una vetrina di libreria soltanto con la roba che ha firmato nell'ultimo paio d'anni, è “Marco Travaglio”. Siete d'accordo che “Marco Travaglio”, a prescindere dai contenuti, dalla qualità eccetera, è diventato un'industria, uno che oltre a libri e giornali potrebbe benissimo vendere magliette e mutande senza stupire più nessuno? Ecco. Travaglio se n'è andato dall'Unità quando arrivò la De Gregorio. Con Padellaro ha fondato il Fatto, che è andato benissimo, ma il punto è che nel frattempo l'Unità non ha perso copie. Se i dati che girano sono quelli giusti (se non sono quelli giusti mi scuso), nell'ultimo anno l'Unità della De Gregorio ha venduto più dell'ultimo anno pieno di gestione Padellaro-ftg-Travaglio. E nel frattempo – cosa da non sputarci su – anche la De Gregorio è diventata una firma, un personaggio televisivo. Per cui adesso, proprio secondo la famosa logica del mercato, potrebbe sembrare strano che Soru non la voglia confermare. Ma appunto: di che logica stiamo parlando?
Di logiche in realtà ce ne sono tante; altre le conosciamo (il PD non possiede l'Unità ma le garantisce parecchi abbonamenti, Soru non è più l'aspirante leader della sinistra che era due anni fa), altre no (di sicuro non le conosco io) e ce le racconteranno, forse, tra mesi, anni, a frittata fatta e digerita. Noi però vorremmo saper tutto di tutti, in tempo reale, e a soddisfare questa nostra necessità ci pensa Dagospia, il grande narratore onnisciente, che dopo tanti anni ha ancora qualche problema con la punteggiatura, ma in compenso è un vero mago del bozzetto, sentite qua:
Sul serio, quanto è ben congegnata una scenetta così? In cinque righe l'avidità della radicalscic a caccia di cospicue (cospicue!) liquidazioni, la grettezza atavica del datore di lavoro, il richiamo della provincia profonda – addirittura si sono andati a scomodare su wikipedia per trovare il luogo di nascita di Soru! Uno dei motivi per cui in Italia non riusciamo a scrivere fiction decente è che chi la saprebbe fare invece lavora, per esempio, a Dagospia.
Rimane l'obiezione che chiunque, prima di propalare storielle così, sarebbe in grado di farsi. Chi è la gola profonda? Possibile che direttore e proprietario si mettano a parlare di liquidazioni e scadenze di contratto in mezzo ai dipendenti? Più probabile che abbiano chiuso le porte per discuterne a quattr'occhi, e quindi come facciamo a sapere la storia della biblioteca? Forse che (1) la De Gregorio racconta gli affaracci suoi a Dagospia? Mmmm. (2) Soru è un confidente di Dagospia? Mmmmmm. (3) Dagospia ha messo le cimici tra i libri del fondo De Gregorio? (a proposito, ma che sfacchinata sarebbe oggettivamente impaccarli tutti e traghettarli fino a Sanluri? Cioè, ne vale la spesa?) (4) C'è qualche talpa dagoscopica in redazione che sa leggere il labiale da dietro una porta vetri? Oppure (5) si stanno inventando tutto, come al solito? Ahi, ecco, mi sono tagliato col rasoio di Occam.
Però sono bravi. Inutile dir di no. Hanno capito da un pezzo quello che ancora non mi rassegno a capire, ovvero che la gente alla verità preferirà sempre una più succosa verosimiglianza. E a questo punto però vorrei fare un appello, che non c'entra nulla con l'argomento del pezzo: Dagospia, gliela troviamo una ragazza a Berlusconi? Perché ormai sono passati sei mesi dall'annuncio, a questo punto andrebbe bene perfino Iva Zanicchi, qualsiasi cosa meglio di questo silenzio distratto che si è fatto più che imbarazzante. Non è che ci dobbiamo credere per forza – non ci crederemo, questo è chiaro, ma qualsiasi miserabile finzione con un briciolo di verosimiglianza sarebbe meglio di quello che sta succedendo adesso – la crescente e condivisa consapevolezza del fatto che non ci sia una sola fanciulla o signora in Italia credibile nel ruolo. Cioè, gente disponibile a strusciarcisi addosso, sopra, sotto, dovunque, finché ne vuoi; ma una sola che riesca a dire “è il mio uomo” restando seria, senza farsi ridere in faccia – non c'è. Basterebbe questo a dirci quant'è in crisi il personaggio, cioè, grazie comunque Economist, ma ormai davvero non c'era bisogno di scomodarsi.
Di solito quando si parla di direttori di quotidiani licenziati o in fase di licenziamento, c'è sempre chi invoca le leggi del Mercato. Io non ho niente in linea di massima contro i mercati e le loro leggi, ma stiamo parlando della stampa. Per di più italiana – è un po' come invocare le norme del codice stradale all'autoscontro della sagra di paese (l'ultima sera, qualche minuto prima dei fuochi). Certo, dopotutto sono mezzi di locomozione anche le macchinine. Però.
Prendi l'Unità, fondata da Antonio Gramsci nel 1924. Non seguiva le leggi del mercato, quando era un foglio sovversivo (finanziato dal Comintern). Non seguiva le leggi del mercato quando era l'organo del Pci (finanziato dal Comintern). Forse sottostava alle leggi del mercato quando regalava le videocassette, ma a voler fare i precisini quello sarebbe una violazione delle leggi del mercato (dumping? predatory pricing?) Anche oggi, diversi quotidiani italiani “stanno sul mercato” grazie alle sovvenzioni statali, o come voci in perdita di grandi aziende che fanno soldi in altri modi. Significa “stare sul mercato”? Certo, ci sono le eccezioni. Un'eccezione importante è costituita da un quotidiano fondato da un gruppo di giornalisti che se ne sono andati via dall'Unità quando è arrivata la De Gregorio.
Però, anche lì, guardiamoci bene. Quali sono le firme giornalistiche che valgono di più in Italia, quelle che venderebbero qualsiasi cosa? Una volta c'era “Enzo Biagi”. “Enzo Biagi” non era semplicemente un simpatico giornalista del Corriere, “Enzo Biagi” era un marchio di fabbrica in grado di vendere qualsiasi cosa: quotidiani, strisce tv, cartonati, perfino i fumetti. Poi c'era, per esempio, “Indro Montanelli”. Oggi ci sono ancora nomi così? Il primo che mi viene in mente, uno in grado di riempire una vetrina di libreria soltanto con la roba che ha firmato nell'ultimo paio d'anni, è “Marco Travaglio”. Siete d'accordo che “Marco Travaglio”, a prescindere dai contenuti, dalla qualità eccetera, è diventato un'industria, uno che oltre a libri e giornali potrebbe benissimo vendere magliette e mutande senza stupire più nessuno? Ecco. Travaglio se n'è andato dall'Unità quando arrivò la De Gregorio. Con Padellaro ha fondato il Fatto, che è andato benissimo, ma il punto è che nel frattempo l'Unità non ha perso copie. Se i dati che girano sono quelli giusti (se non sono quelli giusti mi scuso), nell'ultimo anno l'Unità della De Gregorio ha venduto più dell'ultimo anno pieno di gestione Padellaro-ftg-Travaglio. E nel frattempo – cosa da non sputarci su – anche la De Gregorio è diventata una firma, un personaggio televisivo. Per cui adesso, proprio secondo la famosa logica del mercato, potrebbe sembrare strano che Soru non la voglia confermare. Ma appunto: di che logica stiamo parlando?
Di logiche in realtà ce ne sono tante; altre le conosciamo (il PD non possiede l'Unità ma le garantisce parecchi abbonamenti, Soru non è più l'aspirante leader della sinistra che era due anni fa), altre no (di sicuro non le conosco io) e ce le racconteranno, forse, tra mesi, anni, a frittata fatta e digerita. Noi però vorremmo saper tutto di tutti, in tempo reale, e a soddisfare questa nostra necessità ci pensa Dagospia, il grande narratore onnisciente, che dopo tanti anni ha ancora qualche problema con la punteggiatura, ma in compenso è un vero mago del bozzetto, sentite qua:
Finché, pochi giorni fa, Soru entra in stanza della direttora. Lei chiede una cospicua (cospicua) liquidazione. L'editore ride, sottolineando che il suo contratto, è in scadenza. E poi le pone il seguente indovinello-trabocchetto: "I libri che adornano questa stanza, sono stati inviati a te in quanto Concita De Gregorio o in quanto direttore dell' "Unità"? No, perché nel secondo caso, vorrei donarli alla biblioteca di Sanluri" (città natale di Soru).
Sul serio, quanto è ben congegnata una scenetta così? In cinque righe l'avidità della radicalscic a caccia di cospicue (cospicue!) liquidazioni, la grettezza atavica del datore di lavoro, il richiamo della provincia profonda – addirittura si sono andati a scomodare su wikipedia per trovare il luogo di nascita di Soru! Uno dei motivi per cui in Italia non riusciamo a scrivere fiction decente è che chi la saprebbe fare invece lavora, per esempio, a Dagospia.
Rimane l'obiezione che chiunque, prima di propalare storielle così, sarebbe in grado di farsi. Chi è la gola profonda? Possibile che direttore e proprietario si mettano a parlare di liquidazioni e scadenze di contratto in mezzo ai dipendenti? Più probabile che abbiano chiuso le porte per discuterne a quattr'occhi, e quindi come facciamo a sapere la storia della biblioteca? Forse che (1) la De Gregorio racconta gli affaracci suoi a Dagospia? Mmmm. (2) Soru è un confidente di Dagospia? Mmmmmm. (3) Dagospia ha messo le cimici tra i libri del fondo De Gregorio? (a proposito, ma che sfacchinata sarebbe oggettivamente impaccarli tutti e traghettarli fino a Sanluri? Cioè, ne vale la spesa?) (4) C'è qualche talpa dagoscopica in redazione che sa leggere il labiale da dietro una porta vetri? Oppure (5) si stanno inventando tutto, come al solito? Ahi, ecco, mi sono tagliato col rasoio di Occam.
Però sono bravi. Inutile dir di no. Hanno capito da un pezzo quello che ancora non mi rassegno a capire, ovvero che la gente alla verità preferirà sempre una più succosa verosimiglianza. E a questo punto però vorrei fare un appello, che non c'entra nulla con l'argomento del pezzo: Dagospia, gliela troviamo una ragazza a Berlusconi? Perché ormai sono passati sei mesi dall'annuncio, a questo punto andrebbe bene perfino Iva Zanicchi, qualsiasi cosa meglio di questo silenzio distratto che si è fatto più che imbarazzante. Non è che ci dobbiamo credere per forza – non ci crederemo, questo è chiaro, ma qualsiasi miserabile finzione con un briciolo di verosimiglianza sarebbe meglio di quello che sta succedendo adesso – la crescente e condivisa consapevolezza del fatto che non ci sia una sola fanciulla o signora in Italia credibile nel ruolo. Cioè, gente disponibile a strusciarcisi addosso, sopra, sotto, dovunque, finché ne vuoi; ma una sola che riesca a dire “è il mio uomo” restando seria, senza farsi ridere in faccia – non c'è. Basterebbe questo a dirci quant'è in crisi il personaggio, cioè, grazie comunque Economist, ma ormai davvero non c'era bisogno di scomodarsi.
venerdì 17 giugno 2011
In che lingua te lo devo dire
La notte che a momenti finiva il mondo(*)
Ma si può sapere insomma chi sei tu, e che vuoi, e chi t'ha chiamato?
Non che m'interessi più di tanto, eh, che io ci ho già i miei problemi qui.
Con tutto quello che mi è successo ultimamente, un casino senza senso – sogno che mi estraggono da macerie di dolore, mi sveglio di botto, bagnato di sudore, mi fa male sotto da qualche parte che ancora non capisco, è tutto buio intorno, e in mezzo al buio ci sei tu, che non assomigli alla signora, non le assomigli per niente. Ma ti pare? Da mettersi a urlare.
Adesso vuoi per favore chiamare la signora? Te lo chiedo con le buone.
Niente di personale, ma davvero, tu mi fai soltanto perdere tempo. Di tutte le persone che conosco, e io le conosco tutte praticamente, non ce n'è uno più noioso di te. Stai lì, mi tocchi, dici cose inutili, te ne vai, ritorni, fai finta di andartene e resti lì, ma si può sapere cos'hai, che vuoi, cos'è che ti tiene sveglio di notte? E fatti una dormita una volta buona. La chiamo io la signora. Conosco il sistema.
E adesso cosa -
Ma no. Non ci siamo. Non ci siamo assolutamente. Ma per chi mi hai preso alla fine? Non è che se mi prendi tu io ci casco o cosa. Io ti sento benissimo, tu sei quello peloso e inoltre hai proprio un odore che non c'entra niente. Senti, io non è che ce l'ho con te. Un'altra volta magari se sono in buona mi faccio anche un giro. Ma ora la situazione è seria, lo sai cosa vuol dire? Te lo dico nel modo più semplice possibile, magari capisci.
Latte.
Conosci?
Ecco, appunto. E io l'ho capita questa cosa sai? Si sente da lontano un mezzo metro che tu non hai latte indosso, perciò perché perdere altro tempo? Questa manfrina è inutile, e per di più la tua spalla è delle più dure. Mettimi pure giù, e chiama la signora.
Ora, lascia che ti spieghi l'universo. È molto semplice. Si divide sostanzialmente in (1) me e (2) altre cose che mi girano attorno, tra cui te. Quindi se io adesso faccio presente, nel modo più garbato possibile, che mi serve il latte, qui, adesso, subito, altrimenti cesso di esistere e con me l'universo – non è uno scherzo, non è un'esercitazione, non è un capriccio, l'universo finirà tra pochi minuti, se non sveglio immediatamente la signora, per cui lasciami fare, io ho questo sistema collaudato per cui tra poco arriva, e non c'è nulla che tu possa fare intanto, capisci? Nulla ti può far sembrare meno ridicolo.
No, non m'interessano minimamente i tuoi canti tradizionali, risparmiami il tuo folklore, il passato in generale è una cosa in cui non credo, io, io non ho avuto sindaci prima di Pisapia, io di Berlusconi leggerò tra vent'anni in una nota a margine della voce “regimi mediterranei bizzarri”. No, non m'interessa una passeggiata fino alla finestra del soggiorno. No, non m'interessa l'eclissi totale. M'interessa la signora, chiamala in questo momento o vattene, lasciami qui che ci penso io. Ma è così difficile da capire?
E lasciami stare il... non sono sporco, garantisco, non sono... ti ho detto lascia! Non sei buono! Oh, madonna. Peggio per te.
Senti, lo ammetto, sono stato un po' brusco con te in questi giorni. È evidente che tu abbia le migliori intenzioni, però... non sei francamente nemmeno degno di pulirmi il culo, e non lo dico per dire, è la realtà. Non servi a niente.
E sei ancora qua! Cosa aspetti? Chiamala! Tanto succederà prima o poi, qual è il senso di aspettare?
Questa dilazione è intollerabile!
Ti dirò la mia opinione. La mia opinione è che una persona senza latte addosso sia un abominio, un mostro di natura, un errore che in un universo decente non sarebbe tollerato. Quindi: mi spieghi cosa ci faccio qui? Qual è il senso?
E quando arriva la signora, insomma? Chiamala! Perdio, qui tra un po' crolla tutto, lo capisci o no? È tutto maledettamente instabile, a volte c'è la luce a volte no, è chiaramente un universo in via di disfacimento, collasso, ti ho detto, chiama la signora! Che non rispondo delle mie azioni!
Senti, va bene, va bene, può darsi, in linea teorica, che io non abbia veramente tutta questa necessità di latte in questo preciso momento, ok? Ma non importa, tu chiamala, sul serio. Non le faccio niente. Magari mi appoggio soltanto, l'annuso e passa tutto. Però chiamala, perdio! Chiamala ora! Ci ho il nulla che mi morde le viscere, se solo tu potessi capire – ma non credo che sia stato progettato per sentire il dolore. Altrimenti correresti! A chiamare la signora! Subito! Qui! Oh, misericordia.
In che mondo sono venuto al mondo?
Guarda che spengo tutto adesso. Non scherzo. Ora chiudo gli occhi e tu non esisterai più. Posso farlo. Se mi fai incazzare. Posso tutto. Ma portami la signora!
In che lingua te lo devo dire?
E - chomp - questo cos'è?
Caucciù?
Mi sa che non ci siamo capiti.
(*) Come molte altre notti, ultimamente.
Ma si può sapere insomma chi sei tu, e che vuoi, e chi t'ha chiamato?
Non che m'interessi più di tanto, eh, che io ci ho già i miei problemi qui.
Con tutto quello che mi è successo ultimamente, un casino senza senso – sogno che mi estraggono da macerie di dolore, mi sveglio di botto, bagnato di sudore, mi fa male sotto da qualche parte che ancora non capisco, è tutto buio intorno, e in mezzo al buio ci sei tu, che non assomigli alla signora, non le assomigli per niente. Ma ti pare? Da mettersi a urlare.
Adesso vuoi per favore chiamare la signora? Te lo chiedo con le buone.
Niente di personale, ma davvero, tu mi fai soltanto perdere tempo. Di tutte le persone che conosco, e io le conosco tutte praticamente, non ce n'è uno più noioso di te. Stai lì, mi tocchi, dici cose inutili, te ne vai, ritorni, fai finta di andartene e resti lì, ma si può sapere cos'hai, che vuoi, cos'è che ti tiene sveglio di notte? E fatti una dormita una volta buona. La chiamo io la signora. Conosco il sistema.
E adesso cosa -
Ma no. Non ci siamo. Non ci siamo assolutamente. Ma per chi mi hai preso alla fine? Non è che se mi prendi tu io ci casco o cosa. Io ti sento benissimo, tu sei quello peloso e inoltre hai proprio un odore che non c'entra niente. Senti, io non è che ce l'ho con te. Un'altra volta magari se sono in buona mi faccio anche un giro. Ma ora la situazione è seria, lo sai cosa vuol dire? Te lo dico nel modo più semplice possibile, magari capisci.
Latte.
Conosci?
Ecco, appunto. E io l'ho capita questa cosa sai? Si sente da lontano un mezzo metro che tu non hai latte indosso, perciò perché perdere altro tempo? Questa manfrina è inutile, e per di più la tua spalla è delle più dure. Mettimi pure giù, e chiama la signora.
Ora, lascia che ti spieghi l'universo. È molto semplice. Si divide sostanzialmente in (1) me e (2) altre cose che mi girano attorno, tra cui te. Quindi se io adesso faccio presente, nel modo più garbato possibile, che mi serve il latte, qui, adesso, subito, altrimenti cesso di esistere e con me l'universo – non è uno scherzo, non è un'esercitazione, non è un capriccio, l'universo finirà tra pochi minuti, se non sveglio immediatamente la signora, per cui lasciami fare, io ho questo sistema collaudato per cui tra poco arriva, e non c'è nulla che tu possa fare intanto, capisci? Nulla ti può far sembrare meno ridicolo.
No, non m'interessano minimamente i tuoi canti tradizionali, risparmiami il tuo folklore, il passato in generale è una cosa in cui non credo, io, io non ho avuto sindaci prima di Pisapia, io di Berlusconi leggerò tra vent'anni in una nota a margine della voce “regimi mediterranei bizzarri”. No, non m'interessa una passeggiata fino alla finestra del soggiorno. No, non m'interessa l'eclissi totale. M'interessa la signora, chiamala in questo momento o vattene, lasciami qui che ci penso io. Ma è così difficile da capire?
E lasciami stare il... non sono sporco, garantisco, non sono... ti ho detto lascia! Non sei buono! Oh, madonna. Peggio per te.
Senti, lo ammetto, sono stato un po' brusco con te in questi giorni. È evidente che tu abbia le migliori intenzioni, però... non sei francamente nemmeno degno di pulirmi il culo, e non lo dico per dire, è la realtà. Non servi a niente.
E sei ancora qua! Cosa aspetti? Chiamala! Tanto succederà prima o poi, qual è il senso di aspettare?
Questa dilazione è intollerabile!
Ti dirò la mia opinione. La mia opinione è che una persona senza latte addosso sia un abominio, un mostro di natura, un errore che in un universo decente non sarebbe tollerato. Quindi: mi spieghi cosa ci faccio qui? Qual è il senso?
E quando arriva la signora, insomma? Chiamala! Perdio, qui tra un po' crolla tutto, lo capisci o no? È tutto maledettamente instabile, a volte c'è la luce a volte no, è chiaramente un universo in via di disfacimento, collasso, ti ho detto, chiama la signora! Che non rispondo delle mie azioni!
Senti, va bene, va bene, può darsi, in linea teorica, che io non abbia veramente tutta questa necessità di latte in questo preciso momento, ok? Ma non importa, tu chiamala, sul serio. Non le faccio niente. Magari mi appoggio soltanto, l'annuso e passa tutto. Però chiamala, perdio! Chiamala ora! Ci ho il nulla che mi morde le viscere, se solo tu potessi capire – ma non credo che sia stato progettato per sentire il dolore. Altrimenti correresti! A chiamare la signora! Subito! Qui! Oh, misericordia.
In che mondo sono venuto al mondo?
Guarda che spengo tutto adesso. Non scherzo. Ora chiudo gli occhi e tu non esisterai più. Posso farlo. Se mi fai incazzare. Posso tutto. Ma portami la signora!
In che lingua te lo devo dire?
E - chomp - questo cos'è?
Caucciù?
Mi sa che non ci siamo capiti.
(*) Come molte altre notti, ultimamente.
martedì 14 giugno 2011
In alto il Quorum
Sì, sì, sì, sì, abbiamo vinto! Io non me l'aspettavo. Festeggiate, se vi va, perdonando l'ennesimo gioco di parole cuore-quorum, e leggendo perché non si può abolire il quorum (H1t#78) sull'Unita.it (si commenta laggiù).
Alcuni numeri per capire meglio il risultato eccezionale di oggi, 13 giugno 2011: tra il 1996 e il 2010 – quindici anni – in Italia sono stati indetti ventiquattro referendum abrogativi, in sei tornate (1997, 1999, 2000, 2003, 2005, 2009). Per quindici anni il quorum non è mai stato raggiunto: l'affluenza più alta è stato il 49,6% del 1999, la più bassa il 23,3% di due anni fa. Questo spiega meglio di mille parole perché il superamento della soglia del 50% sia un avvenimento storico, con un significato politico evidentissimo. E forse può anche riconciliarci con un istituto referendario che molti davano ormai per spacciato (me compreso).
Ora che l'ansia della vigilia è un ricordo lontano, forse è il momento per ragionare con più serenità proprio su questo famigerato quorum, che molti vorrebbero abolire (o almeno così dicevano fino a ieri). La forza dei quattro “sì” pronunciati oggi dagli italiani sta proprio nell'enorme numero di persone che li ha pronunciati. Si potranno fare mille speculazioni (e presentare al Parlamento mille testi di legge simili a quelle abrogate), ma l'esito di oggi non consente dubbi su quale sia l'opinione del popolo sovrano riguardo a centrali nucleari, servizi idrici privati e legittimo impedimento.
Agli 'antiquorumisti', un fronte trasversale che ingrossava a ogni referendum fallito, vorrei proporre alcuni esercizi di fantasia. Immaginiamo un'Italia dove i referendum abrogativi non prevedano il quorum (come accade per esempio in una nazione di antica tradizione consultiva come la Svizzera). Prendiamo una categoria a caso – gli impiegati statali. Mettiamo che a un certo punto il parlamento emani una legge che essi ritengono vessatoria (ad esempio il decreto Brunetta). Non ci metterebbero molto tempo a raccogliere il numero di firme necessarie per chiedere e ottenere un referendum. Ma la loro campagna referendaria finirebbe lì. Infatti, che interesse avrebbero a informare maggiormente i cittadini sulla consultazione? Più gente si informa, più c'è il rischio che venga voglia di votare anche a chi la pensa come Brunetta, e non sono poi così pochi. Accadrebbe lo stesso con la riforma Gelmini – in realtà, accadrebbe con qualsiasi riforma della scuola, e in generale con qualsiasi legge invisa a una categoria abbastanza cospicua e organizzata di cittadini. Ognuno potrebbe indire il suo proprio referendum e abrogare il suo piccolo pezzetto di legge, nel disinteresse generale.
Insomma, senza quorum la soglia di attenzione e la percentuale di votanti si abbasserebbero ancora di più. Certo, negli esempi in questione forse a fare informazione ci penserebbe il governo (si invertirebbe insomma il giochino per cui, negli ultimi vent'anni, i governanti in carica hanno quasi sempre invitato gli elettori all'astensione, arruolando i distratti e gli indifferenti nella loro maggioranza). Ma mettiamo il caso in cui una categoria potesse contare sull'appoggio indiretto dell'esecutivo: il primo esempio che mi viene in mente sono le multe comunitarie sulle quote latte. Siete d'accordo sul fatto che a pagare dovrebbero essere soprattutto gli allevatori che hanno sforato le quote sapendo di sforarle (e contando sulla protezione dei loro rappresentanti in parlamento?) Probabilmente sì, se ve lo chiedono siete d'accordo. Ma questo è il punto: bisogna che ve lo chiedano, attirando la vostra attenzione sull'argomento. Se un giorno questo comune sentire fosse formalizzato in una legge, gli allevatori non ci metterebbero molto a organizzare un referendum per abrogarla. E a quel punto nessuno vi chiederebbe più nulla: una domenica d'estate, senza fare troppa confusione, gli allevatori andrebbero ad abrogarsi la loro legge.
Il referendum-senza-quorum non solo paralizzerebbe l'azione di governo (di qualsiasi governo), ma gli consentirebbe anche di cavalcare gli interessi di questa o quella categoria, trasferendo sostanzialmente la sovranità alle minoranze organizzate – un ritorno al Comune medievale gestito dalle Corporazioni, che è fortunatamente solo un'ipotesi di scuola. Non risulta che nessun esperto abbia mai preso sul serio l'anti-quorumismo, che pure ha i suoi rappresentanti anche in Parlamento (il radicale Beltrandi, eletto tra le file del PD, in marzo votò con la maggioranza per scorporare il voto referendario da quello amministrativo, proprioper scongiurare il raggiungimento del quorum). Più sensate sono le proposte di chi, invece di eliminarlo, propone di abbassarlo, in modo che non convenga più ai sostenitori del “no” fare campagna per l'astensione. Può darsi che l'esempio tedesco (quorum al 25%) funzioni in generale meglio del nostro, che ha invalidato ventiquattro consultazioni in quindici anni.
E tuttavia c'è qualcosa di buono anche nel nostro quorum altissimo, che come ogni obiettivo veramente difficile ripaga enormemente chi lo ha perseguito. A tutti gli anti-quorumisti chiedo: se a votare contro le centrali nucleari fosse stato oggi soltanto il 23% degli aventi diritto, come due anni fa, il loro responso sarebbe altrettanto pesante, tale da impedire la riapertura della pratica nucleare tra cinque, dieci anni? Se soltanto il 23% degli aventi diritto si fosse pronunciato sul legittimo impedimento, quanto tempo avrebbe impiegato il premier ad affermare che l'argomento non interessava la maggioranza degli italiani, ma semplicemente quella ringhiosa minoranza che da sempre ce l'ha con lui? Ma queste sono soltanto teorie. Per una volta, gli italiani hanno parlato, senza delegare a politici o partiti. Non succede molto spesso – è la prima volta in quindici anni. Traiamone le conseguenze (e festeggiamo, naturalmente). http://leonardo.blogspot.com
venerdì 10 giugno 2011
Sem livros e sem fuzil
(Questo è un pezzo che ho scritto per l'Unità on line in gennaio, quando Lula rese evidente che Battisti non sarebbe mai stato estradato, anche se in Italia faceva comodo a molti pensarla diversamente. Lo ripubblico qui perché può essere ancora utile, con un'avvertenza: io non sono un giornalista in nessuna accezione del termine, men che meno un esperto di giudiziaria, anni di piombo, diplomazia o Brasile. I primi pezzi che scrissi sul caso Battisti erano deliberatamente cose da blog un po' cialtrone. Vederli linkati ancora oggi come fonti primarie mi crea più imbarazzo che soddisfazione; continuare a leggere su molti organi autorevoli gente che ne sa ancora meno mi dà, non scherzo, le vertigini).
Un latitante troppo fotogenico
Alla fine di tante discussioni su Cesare Battisti resta un dubbio: ma se non avesse la faccia che ha, con quel ghigno da furfante che ha mostrato ai fotografi due o tre volte di troppo, ne staremmo ancora parlando? In fondo un motivo ci deve pur essere, se a distanza di tanti anni il suo volto è ancora sui titoli dei tg, mentre di tanti altri latitanti non si parla semplicemente più. Non si parla più di Giorgio Pietrostefani, che per i giudici italiani è colpevole dell'omicidio di Luigi Calabresi. Nessun La Russa si permette di minacciare fuoco e fiamme contro la Svizzera che non intende estradare Alvaro Lojacono, complice dell'assassinio di Moro, divenuto cittadino elvetico; nessuno propone sanzioni contro il Nicaragua se il brigatista Casimirri gestisce suo ristorante in riva all'oceano. E la lista di gente che l'ha fatta franca potrebbe continuare ancora a lungo: cos'ha dunque Battisti che tutti questi assassini non hanno? Io una teoria ce l'avrei.
Salvatore Alberto Cacciola non è un terrorista, ma la sua storia è ugualmente interessante. È un banchiere fraudolento. Nato in Italia, cresciuto in Brasile, fuggito in Italia nel 2000, quando l'aria per lui cominciava a farsi pesante. Non lascia orfani e vedove, come ne lasciarono i Proletari Armati di Battisti, ma famiglie sul lastrico ne ha messe parecchie, e in questi dieci anni i brasiliani non si sono mai veramente scordati di lui. Questo è un dettaglio importante, che spesso si omette quando si parla di Battisti in Brasile. Perché prima che il nostro Proletario Armato fuggisse laggiù, era l'Italia che avrebbe dovuto estradare Cacciola in Brasile, e non lo fece. Fino al 2007, condannato in patria a tredici anni, Cacciola rimase a spassarsela dentro i confini della nostra rispettabile Repubblica, più o meno ignorato dai nostri organi di stampa. Che i brasiliani non se lo fossero affatto dimenticato lo dimostra la velocità con cui fu acciuffato appena osò mettere appena il naso oltre Ventimiglia, per un weekend a Montecarlo con una nuova fidanzata. Fu il ministro della giustizia Genro a ricordarlo allo stesso presidente Napolitano, un anno fa: gli italiani che ci chiedono Battisti non ci hanno mai dato Cacciola, un criminale comune. È superfluo notare chi aveva avuto, per gran parte di quei sette anni, la responsabilità di governo.
D'altro canto Berlusconi ci teneva tantissimo, a Battisti. A parole. Nei fatti, è lecito dubitare che si sia mai realmente speso per l'estradizione. Non risulta che ne abbia parlato con Lula nell'ultimo incontro, il vertice italo-brasiliano di fine giugno. Non in pubblico, “magari in ascensore”, dice l'ex sottosegretario Adolfo Urso, oggi in Futuro e Libertà. Il fatto è che Battisti diventa un argomento interessante soltanto davanti ai microfoni italiani. Ai brasiliani magari fece più effetto il party privato con sei ballerine che Berlusconi si concesse per l'occasione.
Il caso Battisti è un esempio classico dell'approccio berlusconiano ai problemi: perché risolverli, quando li si può trasformare in spettacolo? Vedi l'emergenza rifiuti: dopo le elezioni Berlusconi aveva gli strumenti e il consenso per risolverla in modo strutturale, anche con misure impopolari; ma gli conveniva davvero? Che altro avrebbe promesso alle elezioni successive? Lo stesso con Battisti. Forse, con un'azione diplomatica più ponderata, Berlusconi avrebbe potuto averlo indietro.
Ma ne valeva davvero la pena? Non era meglio mandare in vacanza il solito ministro Frattini, rilasciare una dichiarazione insolente nei confronti di Lula, e liberare il ministro delle chiacchiere moleste, on. Ignazio La Russa? Si sventola il ghigno del mostro al tg delle venti, si mobilitano i parenti delle vittime (che hanno tutte le ragioni per sentirsi presi in giro), e se non si ottengono risultati, si può sempre lamentare l'esistenza di un complotto radical chic contro l'Italia. Probabilmente orchestrato da Carla Bruni – che con Battisti ha smentito di aver mai avuto a che fare, ma non ha importanza: tutto fa brodo. Compresi i dubbi di chi in Italia osa mettere in discussione le sentenze: non per una questione ideologica, ma perché tutto lascia intendere che su Battisti, una volta fuggito, qualche ex complice abbia scaricato tutto quello che poteva in cambio di sostanziosi sconti di pena.
Questa è stata la giustizia italiana che ci ha fatto uscire dagli anni di piombo. Possiamo anche decidere che certe pagine è meglio non riaprirle, ma dobbiamo accettare che i brasiliani, a distanza, maturino un giudizio diverso. Anche alla luce di un altro dato di cui si parla poco: le nostre carceri fanno schifo. In un anno abbiamo perso 170 detenuti: l'ultimo, morto il 28 dicembre, era un invalido al 100%. Di questi, 65 sono suicidi. Sono conteggi che difficilmente sentiremo al tg: il ghigno del perfido Battisti è senz'altro più sexy. Eppure l'Unione delle Camere Penali parla senza mezzi termini di strage, e lamenta che le carceri italiane siano diventate una “discarica sociale dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell'umanità”: di fronte a tutto questo desta stupore che una richiesta di estradizione venga rifiutata per ragioni umanitarie?
E adesso che si fa? Si potrebbero ammettere i propri errori sul caso Cacciola, chiedere scusa per le dichiarazioni che hanno fatto infuriare Lula, pensare magari a un possibile percorso di revisione dei processi, non solo nel caso di Battisti. Ma tutto questo sarebbe faticoso e complicato, e avrebbe come unico risultato il ritorno in patria di personaggi che fanno molta piùaudience finché recitano, loro malgrado, la parte di cospiratori all'estero. Molto meglio continuare a far baccano, blaterando di sanzioni e altre misure minacciose che danno un tono molto virile ai nostri governanti. Paolo Granzotto, sul Giornale, ha scritto che "un tempo, in simili casi, una nazione con gli attributi e che non voleva esser trattata a pesci in faccia mandava le cannoniere": insomma siamo già alla battaglia navale. Discorsi da pranzo di capodanno, chiacchiere ideali per assopire i cummenda in poltrona: quando poi lunedì si torna al lavoro, di blocchi alle esportazioni e accordi commerciali congelati nessuno vorrà più sentir parlare, i cummenda per primi.
E quindi? Ricominceremo da capo. Quello che non abbiamo saputo chiedere a Lula, lo richiederemo a Dilma Roussef, probabilmente con la stessa boria. E davvero non ha nessuna importanza che le possibilità di ottenere un verdetto diverso dalla nuova Presidente siano praticamente nulle. In fondo è proprio quello che Berlusconi e i suoi uomini perseguono sempre, consapevolmente o no: un gran baccano intorno al nulla. Battisti continuerà a scappare di nazione in nazione, coi suoi rimorsi (se ne ha); la sua foto, l'unica cosa che realmente interessa ai nostri governanti, continuerà a sogghignare in tv, alla faccia nostra.
Un latitante troppo fotogenico
Alla fine di tante discussioni su Cesare Battisti resta un dubbio: ma se non avesse la faccia che ha, con quel ghigno da furfante che ha mostrato ai fotografi due o tre volte di troppo, ne staremmo ancora parlando? In fondo un motivo ci deve pur essere, se a distanza di tanti anni il suo volto è ancora sui titoli dei tg, mentre di tanti altri latitanti non si parla semplicemente più. Non si parla più di Giorgio Pietrostefani, che per i giudici italiani è colpevole dell'omicidio di Luigi Calabresi. Nessun La Russa si permette di minacciare fuoco e fiamme contro la Svizzera che non intende estradare Alvaro Lojacono, complice dell'assassinio di Moro, divenuto cittadino elvetico; nessuno propone sanzioni contro il Nicaragua se il brigatista Casimirri gestisce suo ristorante in riva all'oceano. E la lista di gente che l'ha fatta franca potrebbe continuare ancora a lungo: cos'ha dunque Battisti che tutti questi assassini non hanno? Io una teoria ce l'avrei.
Battisti è il latitante più fotogenico che abbiamo. Per quante volte possa avere rinnegato la lotta armata, il suo volto è diventato l'icona con cui i cronisti scelgono di rappresentarla. Bastano pochi secondi di filmati di repertorio, lui che ghigna in un parcheggio, e i Due Minuti d'Odio quotidiani sono serviti. Sarà per questo che di lui si parla tanto, e invece non si parla mai, per esempio, di Cacciola?
Salvatore Alberto Cacciola non è un terrorista, ma la sua storia è ugualmente interessante. È un banchiere fraudolento. Nato in Italia, cresciuto in Brasile, fuggito in Italia nel 2000, quando l'aria per lui cominciava a farsi pesante. Non lascia orfani e vedove, come ne lasciarono i Proletari Armati di Battisti, ma famiglie sul lastrico ne ha messe parecchie, e in questi dieci anni i brasiliani non si sono mai veramente scordati di lui. Questo è un dettaglio importante, che spesso si omette quando si parla di Battisti in Brasile. Perché prima che il nostro Proletario Armato fuggisse laggiù, era l'Italia che avrebbe dovuto estradare Cacciola in Brasile, e non lo fece. Fino al 2007, condannato in patria a tredici anni, Cacciola rimase a spassarsela dentro i confini della nostra rispettabile Repubblica, più o meno ignorato dai nostri organi di stampa. Che i brasiliani non se lo fossero affatto dimenticato lo dimostra la velocità con cui fu acciuffato appena osò mettere appena il naso oltre Ventimiglia, per un weekend a Montecarlo con una nuova fidanzata. Fu il ministro della giustizia Genro a ricordarlo allo stesso presidente Napolitano, un anno fa: gli italiani che ci chiedono Battisti non ci hanno mai dato Cacciola, un criminale comune. È superfluo notare chi aveva avuto, per gran parte di quei sette anni, la responsabilità di governo.
D'altro canto Berlusconi ci teneva tantissimo, a Battisti. A parole. Nei fatti, è lecito dubitare che si sia mai realmente speso per l'estradizione. Non risulta che ne abbia parlato con Lula nell'ultimo incontro, il vertice italo-brasiliano di fine giugno. Non in pubblico, “magari in ascensore”, dice l'ex sottosegretario Adolfo Urso, oggi in Futuro e Libertà. Il fatto è che Battisti diventa un argomento interessante soltanto davanti ai microfoni italiani. Ai brasiliani magari fece più effetto il party privato con sei ballerine che Berlusconi si concesse per l'occasione.
Il caso Battisti è un esempio classico dell'approccio berlusconiano ai problemi: perché risolverli, quando li si può trasformare in spettacolo? Vedi l'emergenza rifiuti: dopo le elezioni Berlusconi aveva gli strumenti e il consenso per risolverla in modo strutturale, anche con misure impopolari; ma gli conveniva davvero? Che altro avrebbe promesso alle elezioni successive? Lo stesso con Battisti. Forse, con un'azione diplomatica più ponderata, Berlusconi avrebbe potuto averlo indietro.
Ma ne valeva davvero la pena? Non era meglio mandare in vacanza il solito ministro Frattini, rilasciare una dichiarazione insolente nei confronti di Lula, e liberare il ministro delle chiacchiere moleste, on. Ignazio La Russa? Si sventola il ghigno del mostro al tg delle venti, si mobilitano i parenti delle vittime (che hanno tutte le ragioni per sentirsi presi in giro), e se non si ottengono risultati, si può sempre lamentare l'esistenza di un complotto radical chic contro l'Italia. Probabilmente orchestrato da Carla Bruni – che con Battisti ha smentito di aver mai avuto a che fare, ma non ha importanza: tutto fa brodo. Compresi i dubbi di chi in Italia osa mettere in discussione le sentenze: non per una questione ideologica, ma perché tutto lascia intendere che su Battisti, una volta fuggito, qualche ex complice abbia scaricato tutto quello che poteva in cambio di sostanziosi sconti di pena.
Questa è stata la giustizia italiana che ci ha fatto uscire dagli anni di piombo. Possiamo anche decidere che certe pagine è meglio non riaprirle, ma dobbiamo accettare che i brasiliani, a distanza, maturino un giudizio diverso. Anche alla luce di un altro dato di cui si parla poco: le nostre carceri fanno schifo. In un anno abbiamo perso 170 detenuti: l'ultimo, morto il 28 dicembre, era un invalido al 100%. Di questi, 65 sono suicidi. Sono conteggi che difficilmente sentiremo al tg: il ghigno del perfido Battisti è senz'altro più sexy. Eppure l'Unione delle Camere Penali parla senza mezzi termini di strage, e lamenta che le carceri italiane siano diventate una “discarica sociale dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell'umanità”: di fronte a tutto questo desta stupore che una richiesta di estradizione venga rifiutata per ragioni umanitarie?
E adesso che si fa? Si potrebbero ammettere i propri errori sul caso Cacciola, chiedere scusa per le dichiarazioni che hanno fatto infuriare Lula, pensare magari a un possibile percorso di revisione dei processi, non solo nel caso di Battisti. Ma tutto questo sarebbe faticoso e complicato, e avrebbe come unico risultato il ritorno in patria di personaggi che fanno molta piùaudience finché recitano, loro malgrado, la parte di cospiratori all'estero. Molto meglio continuare a far baccano, blaterando di sanzioni e altre misure minacciose che danno un tono molto virile ai nostri governanti. Paolo Granzotto, sul Giornale, ha scritto che "un tempo, in simili casi, una nazione con gli attributi e che non voleva esser trattata a pesci in faccia mandava le cannoniere": insomma siamo già alla battaglia navale. Discorsi da pranzo di capodanno, chiacchiere ideali per assopire i cummenda in poltrona: quando poi lunedì si torna al lavoro, di blocchi alle esportazioni e accordi commerciali congelati nessuno vorrà più sentir parlare, i cummenda per primi.
E quindi? Ricominceremo da capo. Quello che non abbiamo saputo chiedere a Lula, lo richiederemo a Dilma Roussef, probabilmente con la stessa boria. E davvero non ha nessuna importanza che le possibilità di ottenere un verdetto diverso dalla nuova Presidente siano praticamente nulle. In fondo è proprio quello che Berlusconi e i suoi uomini perseguono sempre, consapevolmente o no: un gran baccano intorno al nulla. Battisti continuerà a scappare di nazione in nazione, coi suoi rimorsi (se ne ha); la sua foto, l'unica cosa che realmente interessa ai nostri governanti, continuerà a sogghignare in tv, alla faccia nostra.