A volte vorrei essere un giornale,
che anche nelle giornate più tragiche ha le sue rubriche dove la vita continua, c'è l'oroscopo, i titoli in borsa, i programmi tv. E così, riempendo colonne, la vita va avanti, colle sue gioie, i suoi dolori, le sue ingiustizie.
Invece sono una persona, e dopo avere scritto tanto (troppo...) non so esattamente come continuare. Cosa dovrei scrivere adesso? Qualcosa di divertente? L'ultimo film che ho visto? Cosa ne penso del Dpef? Di Fassino che simpatizza con Israele?
Non sono più sicuro di vivere in una democrazia, d'accordo. Vale la pena di fare il broncio per questo? Non so.
Prima o poi però devo ringraziare le persone che mi hanno scritto in questi giorni. La vostra attenzione (il vostro affetto, in certi casi) mi hanno fatto davvero bene. Io, che arrivando a Genova credevo di non rappresentare nessuno fuorché me stesso, ho scoperto rapidamente che ero lì anche per altre persone, e che dovevo tenere gli occhi aperti e la testa alta anche per loro.
Questo non vuole dire che io sia soddisfatto della mia *missione*. Per quanto abbia cercato di tenere gli occhi aperti, non ho visto molte cose, altre cose le ho viste e non le ho capite, o le ho capite tardi. Su Genova continuano a leggersi cose molto più interessanti di quelle che ho scritto io.
Per esempio:
Tenetevi aggiornati su www.mir.it
Mentre i vari corpi di polizia continuano a rimpallarsi le responsabilità, in un balletto ormai penoso, cominciano ad arrivare le testimonianze dall'estero. Questa (da Indymedia) è lunghissima, ma vale la pena, perché conferma l'idea che ci siamo fatti dell'irruzione alla Diaz e delle torture di Bolzaneto. On. Castelli, possibile che dall'Inghilterra e dall'Italia si sentano raccontare le stesse storie, e a lei non risulti nulla?
Quanto alla parola "torture", l'articolo stesso spiega perché non è esagerato adoperarla nel caso di Bolzaneto.
Il rapporto riservato della questura di Genova, pubblicato dalla Repubblica, non è un grosso scoop. D'accordo, c'è una menzione di "25-30 infiltrati di Forza Nuova": questo però arriva dopo i famigerati palloncini di sangue e i lanci di "frutta con all'interno lamette di rasoio", le immaginifiche armi del "Blocco Giallo" che voleva anche affittare un satellite... Insomma, non ci sono solo i picchiatori, nelle questure. Ci sono anche i picchiati. Ops, scusate, mi è scappata.
Anch'io vorrei credere che è tutta colpa degli infiltrati fascisti, ma le cose probabilmente non stanno così. Il Black Bloc, è un fenomeno complesso, come disse Agnoletto quella volta. Un enorme documentosui blacks, da Indymedia, ha il pregio di essere tradotto in italiano. Per quelli che arrivano sul mio sito digitando "black block"... ci tengo a dire che io vengo in pace.
Piccoli episodi che fanno pensare:
"Certo che bisogna essere pazzi per parcheggiare qui", ci dicevamo sabato, passando per Corso Torino. E adesso salta fuori che un auto distrutta non risulta registata al PRA...
Il ladro di estintori
Il PUNK BESTIA era mascherato, stava sfasciando tutto, voleva uccidere i carabinieri.....con un estintore rubato. Quanti reati per un non-violento !! (dal sito di Forza Italia)
Ve lo sarete chiesti anche voi: ma Carlo Giuliani andava in giro con un estintore da muro?
(ANSA) (pubblicato sempre da Indymedia, però) - "GENOVA, 31 LUG - Non risulterebbe tra gli strumenti in dotazione ai mezzi dei carabinieri l' estintore arancione che compare nelle immagini che ritraggono Carlo Giuliani nell' atto di lanciarlo contro la Land Rover..."
Clarence pubblica una foto in cui si vede l'estintore a bordo del mezzo. (Ma quando è stata scattata veramente? Prima, dopo, durante? Permettetemi di dissentire con Clarence: una "sequenza fotografica" non dice "la verità", al massimo ne ricostruisce una).
Si dice "Come in Cile", si dice "Come l'Argentina"...
Sì, l'abbiamo detto in tanti. Ma che ne sappiamo? Un giornalista cileno che è stato a Genova mi ha detto che non ha mai visto una polizia così. Siccome non è esattamente l'ultimo arrivato, ma ha conosciuto Allende e Pinochet, forse vale la pena di sapere che ne pensa.
"Dai, a noi puoi dircelo, quella dei repubblicani sulla tomba di Mazzini te la sei inventata!"
E invece no.
Ma chi raccoglie le testimonianze su Genova?
Un po' tutti. Meglio così. Il Genoa Social Forum realizzerà un libro bianco. C'è chi si preoccupa già della sua diffusione. Diario invece ha già raccolto talmente tanto che non ne vuole più.
Per oggi basta così. Grazie ancora a tutti.
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martedì 31 luglio 2001
sabato 28 luglio 2001
Chiedo scusa, ma... credo di essere stato terribilmente lungo. Comunque questo è l'ultimo pezzo.
Genova, sabato 21 luglio 2001 (seconda parte)
Lo sbando
Sembra tutto finito, invece non finisce mai.
Il comizio, quello sì, è finito. L’altoparlante dice di convergere sul Marassi. Non si può tornare indietro, assolutamente. Specie lungo viale Italia. E la stazione è bloccata.
Io lo sapevo che finiva così. Perché non ho rimontato la tenda stamattina? La mia roba è dall’altra parte di Genova, e in mezzo c’è tutta la polizia del mondo. E fosse solo questo. Glauco e Ponz hanno la macchina da qualche parte, ma sono irreperibili. L’unico col cellulare carico è Ric. Dal palco gli oratori si sgolano: tutte le comitive sono invitate a convergere sul piazzale dello stadio Marassi. Ci sono parecchi bambini sperduti, naturalmente.
“Il gruppo X è desiderato sotto il palco”.
“Il gruppo Y è pregato di alzare la bandiera, grazie”.
E noi che facciamo? Un appello a Glauco? Non si può far chiamare un singolo dall’altoparlante, al massimo un’associazione. A meno che…
“Signorina… scusi. Potrebbe fare un appello alla Federazione Giovanile Repubblicana di Modena?”.
“Come?”
“ Federazione Giovanile Repubblicana. Sezione di Modena. Dica che li aspettiamo qui davanti”.
“Ouff… (Nell’altoparlante): IL PULLMANN DEI GIOVANI REPUBBLICANI DI MODENA QUI DAVANTI, PER FAVORE”.
Neanche attirandoli con la promessa di un pullman tutto per loro riusciamo a ritrovare gli unici due giovani repubblicani di Modena (del mondo intero?). Quanto a Ponz, loro autista, è seduto per terra, bloccato da una formidabile emicrania. Ma in un modo o nell’altro finiamo per incontrarci, nel cul-de-sac che chiude C.so Sardegna. Tutto quello che abbiamo è dall’altra parte di Genova. Ma in mezzo ci sono le cariche della polizia. Triste ironia: possiamo solo avvicinarci alla Zona Rossa.
“Perché non pieghiamo di qui?”
Ma non è mica Modena, che basta tracciare un dito sulla cartina per tracciare una rotta. Genova è una vertigine, tra una via e l’altra ci può essere una montagna, e infatti c’è.
“Dobbiamo andare a Marassi, di qua, non hai sentito?”
“Ma il Marassi è di là”.
“L’altoparlante diceva di qua”.
“Ma tanto è tutto Marassi qui, è il nome del quartiere”.
“L’altoparlante diceva di qua”.
“Ma se ti dico che lo stadio è di là”.
“E chi se ne frega dello stadio del cazzo! Secondo te gioca la Samp stasera? Non dobbiamo andare a vedere nessuna Sampdoria del cazzo, dobbiamo muoverci di qui, capito? Ma lo fai apposta?”
“Come vuoi, però lo stadio è di là”.
“Ma l’altoparlante…”
E Ponz: “Continuate a litigare, ragazzi. Mi fate passare l’emicrania”.
Siamo molto nervosi. E non abbiamo tutti i torti. Ci siamo appena incamminati quando intorno a noi la gente si mette a correre. Sono arrivati? Mi volto indietro e mi dico: Ci Siamo. Non posso tornare a casa senza aver visto una carica…
…ma vedo solo gente come me che fugge, e poi la dietro altra gente che si ferma e alza le mani, come a dire: falso allarme. È una carica o no? Almeno ci siamo messi in moto.
C’è un ragazzo steso a terra, svenuto. Sorride.
Il piazzale dello stadio. Lo stadio di Renzo Piano, rosso come a voler prevenire la ruggine, il mio preferito quando guardavo 90° Minuto. E nel piazzale un viavai di gente che non sa da che parte andare, sfoglia cartine, chiede in giro, gira in tondo. Poi all’improvviso un altro fuggi-fuggi, e sul fondo un blu di camionette. Ci caricano o no? Ma perché ci caricano qui, dove aspettano di partire le corriere? Vogliono farci restare a Genova? Vogliono spargerci in tutta la città?
Intercettiamo un convoglio di dimostranti dal Carlini. Vanno nel senso opposto: è l’unico consentito. Ci metteranno anni ad arrivare, ma è meglio che restare fermi. Li seguiamo? O c’infiliamo su per un’altissima scalinata e ci perdiamo definitivamente? Vincenzo, un amico incontrato per caso, conosce qualcuno da quelle parti. Proviamo. (Come diceva il manuale del dimostrante? Non disperdersi in gruppetti? Lasciamo perdere).
La scalinata sale più di cento metri. Si vede un po’ di Genova da lì. E in basso, nel piazzale, il convoglio del Carlini, tante formichine che vanno avanti a mani alzate.
Sembra tutto finito…
Siamo saliti, abbiamo chiesto a vigili e conducenti d’autobus, le uniche divise di cui ci fidiamo. Ci siamo ritrovati in un quartiere alto, davanti a una pizzeria takeaway, e abbiamo ordinato delle margherite, lì sul marciapiede. È da 24 ore che non mangio, credo (non riesco a ricordare). La casa degli amici di Vincenzo non la troveremo mai, ma intanto più tempo passa meglio è. Siamo stanchi, ma allegri, ci prendiamo in giro, raccontiamo ai pizzaioli le nostre esperienze di Black Block. Io ne ho visti, io ne ho fotografati, anch’io, signora. Io, signora, ero nel loro campeggio, di fronte alla caserma. No, non siamo mai stati perquisiti. Sì, in corso Sardegna eravamo più di duecentomila, non violenti. L’ha detto la televisione?
Tra una casa e un'altra s’intravede il mare, e sul mare qualcosa che sembra un’enorme palazzo bianco. Dev’essere la nave di Bush. Siamo così lontani dagli scontri che si vede persino la Zona Rossa
“Elisa dice che hanno riaperto Brignole”.
L’autobus che porta a Brignole è pieno di stranieri, alcuni un po’ contusi. Il piazzale davanti alla stazione sembra uno stadio. Partono i treni speciali? Non tutti stasera. C’è chi la notte la passerà qui. Che importa, ormai è tutto finito.
Un altro bus ci porta a Sciorba: stiamo cercando la macchina di Ponz. (“Eppure mi sembrava di averla lasciata lì…”). Rifacciamo il percorso della manifestazione, cartacce, scritte ai muri, le solite vetrine infrante. A una capannina diamo un’occhiata alla tv, trasmettono dalla Zona rossa C’è La Russa e sembra perfino pacato. Sì, è tutto finito ormai. Ponz si concede una fetta di cocomero.
Col tempo l’ansia si dissolve. Tutto è ancora dove l’avevamo lasciato: la macchina di Ponz, la mia tenda. Tutto al suo posto. Anche noi.
La notte
“Senti, noi pensavamo di andare a bere qualcosa”.
“Proprio adesso?”
Siamo al Centro Media, la scuola dove vado a giocare al cronista di guerra. Stavolta ormai non mi facevano entrare, non trovavo il pass. È da mezz’ora che sto in fila davanti a un terminale, aspettando il mio turno. Sfoglio un brandello di “Time” trovato sul pavimento, sbircio gli hackers di fianco che si mostrano il capolavoro di un amico: si è impadronito del sito di una prefettura, ha messo in homepage la solita foto di Giuliani investito dalla camionetta. E proprio quando tocca a me, deve arrivare il solito Glauco impaziente a tirarmi per le maniche? Andiamo qui, andiamo là, prendiamo da mangiare, prendiamo da bere… perché non li mando tutti a quel paese una buona volta? Io ho un pubblico da casa che sta in apprensione, ho le mie responsabilità, ormai…
“Va bene, arrivo. Aspettiamo Ric, però”.
È al piano di sopra, sta salutando un’amica, ha detto che viene ma non arriva mai.
Intanto inganno il tempo litigando. Al cancello sta un volontario inglese, un ragazzino. Mi ha chiesto di dire a questi tre italiani che vogliono entrare senza pass che non si può.
“Ragazzi, è una semplice regola. Senza pass non si entra. È la sala stampa”.
“Ma cos’è, stiamo a fare i vigili urbani qui? Io il pass ce l’ho, questi sono due miei amici che hanno lavorato un sacco e…”
Sospiro. Il pass è un cartoncino verde che nei primi giorni si chiedeva all’ingresso. Bastava citare una testata. Nessun controllo, nessun riscontro. Io ho detto Vita.it, ma se avessi detto: “Le Ore” o “Corna Vissute” avrei avuto lo stesso il mio bel pass. Se fosse passato Adolf Hitler coi suoi baffetti, un taccuino e la macchina fotografica, anche lui avrebbe staccato il suo pass. E perché mai, ora, qui, mi metto a fare una discussione con questi qui che sembrano le persone più tranquille del mondo? Ho voglia di litigare? Ho voglia di discutere? Cos’ho? Cosa mi prende? È tutto finito, no?
“Ragazzi, non sono io che ve lo dico, è lui. Un po’ di rispetto per il suo lavoro, dai”.
I tre abbozzano e se ne vanno. Bravi ragazzi. Da allora non faccio che chiedermi: sono andati via o sono entrati lì di fronte, alla Diaz, dove si poteva entrare senza pass? La mia stupida loquacità li ha salvati o li ha fregati? Non lo so. Ma mi vergogno.
“Insomma, Ric arriva o no? Sono stanco di dover aspettare le persone”.
“Ah, perché sei tu che aspetti le persone, adesso”.
…e invece non finisce mai.
C’è una birreria proprio dietro l’angolo delle scuole, l’unica che ha tenuto aperto anche le serate più difficili. C’è un paio di attivisti d’Indymedia, una comitiva in lingua inglese e una francofona. C’è un’ex compagna di liceo di Glauco poi emigrata in Belgio: lui la riconoscerà sentendola urlare. Hanno tutti fame, tranne me. Chiedo una birra strana, che non berrò mai, perché mentre aspettiamo le ordinazioni cominciamo a sentire le sirene e vediamo salire volanti, cellulari e ambulanze, alla spicciolata. E poi le urla di un signore:
“Andate indietro! Indietro! Quelli vi ammazzano! Non lo capite? Tornate indietro!”
Stanno entrando nelle scuole.
Alla prima sirena siamo tutti entrati all’interno del locale. Alla decima abbiamo tirato giù la saracinesca. Dentro è caldo, ma carino: c’è un paio di chitarre appese, la gente siede intorno alle botti. La gente sta telefonando agli amici nelle scuole, ascolta la paura di chi li sta vedendo entrare e picchiare. La gente ha paura ma non riesce a restare seduta. Sembra l’Argentina. Questo lo diranno in molti, da qui in poi.
Un tizio d’Indymedia è furioso, urla che vuole andare là. Alla fine lo lasciano andare. E poi, alla spicciolata, usciamo tutti. Lo sappiamo che è pericoloso, ce lo diciamo a vicenda, ma serve solo ad eccitarci, come insetti intorno a una lampada. Glauco vuole portare indietro la sua amica belga, io gli dico fermati e intanto gli vado dietro, Ric ci segue, e quando arriviamo scopriamo che Ponz è già là, è entrato nel Centro Media senza pass, ha visto la gente seduta per terra, i marescialli coi manganelli che litigano coi giornalisti e una parlamentare.
Fuori c’è già una colonna di otto ambulanze. Altre poi ne arriveranno, ma quelle otto erano già lì all’inizio dell’irruzione.
Dopo aver passato l’ultima ambulanza c’è la prima macchina della polizia, e c’è un poliziotto che passeggia avanti e indietro con un bandana sulla bocca, un altro cowboy. Cosa fa? Fa il palo.
Più avanti, nello spazio tra le due scuole, c’è una testuggine di agenti antisommossa: polizia e carabinieri. E un piccolo spazio dove litiga le gente: i giornalisti, i poliziotti in borghese, i registi italiani, i parlamentari, Agnoletto, i dimostranti… sono salito sul muretto del cancello per guardare meglio, e ho visto un attivista d’Indymedia (lo conoscevo già, mi era simpatico) accapigliarsi con un ragazzo straniero in tutina nera. E mi sono detto: Ci Siamo. Mi sono lasciato cascare dal muretto addosso a quel ragazzo, l’ho placcato alle spalle, e in un secondo ho capito che era un pesciolino, che potevo tenerlo fermo anch’io. In teoria gli stavo solo impedendo di nuocere. Ma l’altro era libero di muoversi, e un pugno in faccia gliel’ha piazzato. Poi ci siamo tutti calmati, tranne il ragazzo. Parlava inglese, e insisteva di voler parlare a quelli là, quelli con gli scudi e con i caschi. E intanto rischiava di farsi inquadrare dalle telecamere con la sua tutina e il suo cappuccetto nero. Non ti capiscono, gli abbiamo detto. Ma lui niente, era anche ubriaco. “Fuck Italiani! Merda!”. E piangeva. Dentro stavano ammazzando di botte i suoi amici. Ma lui era straniero, era vestito di nero, era stupido, e per un briciolo di secondo forse ho voluto pestarlo anch’io.
Sono tornato dentro, a scrivere in diretta. Ma da fuori ho sentito un boato di rabbia. Era stato un grosso sacco di plastica nero, trasportato da quattro agenti. Mi sono appeso a un cancello e non sono sceso più.
Ho visto uscire le ragazze e i ragazzi, alcuni in sacco a pelo sulle barelle, altri in piedi, scortati dai gendarmi, con le mani a tenersi un pezzo di testa dalla paura che gli scappasse via. Ho visto le cose che avete visto tutti, ma senza capire, perché non capivo più.
Mi ripetevo una sola cosa: hanno trovato dei black block alle Diaz. Gli amici di quel deficiente di prima. Ora non gli servono più e possono sfogarsi quanto vogliono. Certo, perché no? Chi controllava le entrate alle Diaz? Nessuno. Era una dépendance del Centro media, era stata occupata per evitare che gli squatter disturbassero le conferenze stampa e togliessero i computer ai giornalisti. Chiunque poteva entrare. La sera prima ero entrato lì per scrivere, ero rimasto colpito da due ragazzi seri che si leggevano un dossier inglese sulla strategia della tensione in Italia. Black Block? Perché no? Ma anche due ragazzini venuti a scrivere: ciao mamma, sto bene, non mi sono fatto niente. Perché no? Ciao papà, ora devo interrompere, è entrata la polizia e ci stanno facendo a pezzi.
Chi controllava le Diaz? Giovedì sera, la sera dell’alluvione, sfoggiavo il cartellino giallo dei volontari. Ho visto Kadija tutta sola con un minuscolo impermeabile cercare nel mazzo la chiave del cancello. Kadija è una nostra amica di Reggio: è arrivata con Barbara mercoledì sera, e giovedì sera aveva in mano le chiavi dei locali gestiti dal GSF.
La chiave non si trovava. Le avevano chiesto di far uscire tutti, che nessuno cercasse di rimanere lì a dormire. Questa cosa da principio non mi era andata giù. Il Carlini era una pozza di fango e centinaia di ragazzi non sapevano come arrivarci, perché non metterli lì? Ma avevo obbedito. C’era un gruppo di tedeschi che voleva finire uno striscione. “Five minutes, bitte!”. Sembravano tranquilli. Li avevo aspettati e poi avevo provato tutte le chiavi finché non era saltata fuori quella giusta.
Giovedì sera l’ho chiusa io, la scuola-palestra Diaz. Poi, guardando in alto, ho visto una luce accesa al terzo piano. E non ho detto niente. E non ho pensato niente. Coglione. Criminale e coglione. Quella è gente che occupa case e scuole di professione. Ci hanno giocato come bambini dell’asilo.
Non finisce mai.
Quanto sono rimasti lì davanti, con i loro scudi e i loro caschi, con le loro maschere antigas che li rendevano ancor più simili a goffe tartarughe? Io non riuscivo a odiarli. Davano le spalle alla scuola e forse non capivano nulla. I carabinieri specialmente, a ogni spostamento cozzavano tra loro e lasciavano dei buchi, facevano passare i giornalisti senza accorgersene. Ma quelli dentro, quelli che portavano fuori i prigionieri… E i pezzi grossi in casco, giacca e cravatta…
Per quanto sono rimasti ancora lì? Quanto ci hanno messo a ritirarsi da via Cesare Battisti, sempre in testuggine, sempre con le maschere, fronteggiando col completo antisommossa un gruppetto di non più di trenta persone? Cos’aspettavano? Speravano che li caricassimo? Che qualche idiota lanciasse un sasso? Nessuno ha lanciato niente. Eravamo stanchi, distrutti, esauriti dagli avvenimenti. Qualche invettiva urlata da dietro, nient’altro.
Poi ci sono entrato, nella Diaz distrutta. Qualcosa l’ho visto, ma non ricordo bene. Per esempio: l’ho visto il sangue? Non lo so, in televisione me l’hanno mostrato troppe volte per ricordarmi se l’ho visto anche là, coi miei occhi. Nulla mi ha spaventato come il buco nella porta del bagno. Un buco enorme, fatto non so se con un manganello o con cosa. Ho vissuto il terrore di chi si era chiuso in bagno e l’ha visto forzare in quel modo. Il terrore di trovarsi in trappola. E sono uscito. Potevo essere lì. A volte andavo lì, invece di passare al Centro Media. Lì in fondo si scriveva meglio, c’era meno confusione e c’era Windows. Potevo essere lì, a scrivere nel mio simpatico sito: salve a tutti, sto bene, è stata una grande manifestazione pacifica…
Potevo essere lì davanti, in strada, come Francesco, investito dalla carica. Giovedì mi aveva chiesto di fargli il pass per la Gazzetta di Modena. Mah, gli avevo detto io, non so se è regolare. “Per favore, a Praga senza pass mi menavano”. L’ho visto poi in televisione col pass al collo, mostrare i lividi sulla schiena. Quando si è scoperto che è consigliere comunale, il Questore gli ha chiesto scusa. Gentile da parte sua.
Mentre nelle Diaz andava in scena il Cile, nel Centro Media avveniva un’ispezione molto più raffinata. Gli agenti sapevano già a che piano salire e cosa sequestrare. I pc d’Indymedia, gli archivi del materiale filmato e fotografico. Le prove annunciate in conferenza stampa da Agnoletto. La lista degli scomparsi. La lista dei movimenti delle camionette.
Ed eccoci qui. Ci credevamo furbi, noi, credevamo di poter fare e dire qualsiasi cosa. Credevamo di poter denunciare le collusioni tra Black Block e polizia? La polizia sale da noi e trova un covo di Black Block. Armati, naturalmente. Eccoci qui. Noi simpatici manifestanti, che apriamo le porte a tutti. Noi libertari. Noi che non stiamo a fare i vigili urbani, figuriamoci. Noi che non schediamo nessuno, non divulghiamo l’identità di nessuno, noi col nostro orrore per le generalità e i documenti. Eccoci qua. Siamo o non siamo i più grandi coglioni della Storia?
Domenica, 22 luglio 2001
Sembra tutto finito, e invece non finisce mai.
Col senno del poi, penso che l’idea di tornare al mio campeggio per dormire sia stata una delle scelte più irrazionali e irresponsabili della mia vita. Non c’è giustificazione: non capivo più niente. I miei amici avevano deciso di restare al centro media, e giustamente: lì, per stasera, non si rischiavano più irruzioni. Ma il mio campeggio scottava, lo sapevo benissimo, da almeno tre giorni. Fino a quel mattino forse i black block erano intoccabili, ma adesso no, l’avevo visto coi miei occhi. Per la prima volta il campetto era sbarrato, con due cassonetti e una catena di bicicletta. Le belve del Diaz non si sarebbero fermati per questo. Di sentinella una ragazza italiana e un gruppo d’inglesi. Nel buio ho sentito un grido da ubriaco: “Sein Feinn are cowards!”. Un irlandese convinto che il Sein Feinn, il partito vicino all’IRA, sia composto da codardi. Questo per dire l’ambiente.
Perché sono tornato? Perché nelle scuole si stava stretti, e non mi andava di occupare un posto letto quando avevo la mia tenda piantata. Perché ero convinto che stavolta fosse tutto finito, che anche le belve andassero a letto alle tre del mattino. O forse perché ero stanco di vivere a pochi metri dal pericolo, e passarla liscia, sempre. Lo so che è assurdo, ma mi vergognavo di essermela cavata così a buon mercato. Ancora oggi un poco mi vergogno.
Fatto sta che quando al mattino, appena sveglio, ho sentito il grido: The police! The police!, mi sono detto, per l’ennesima volta: Ci Siamo. E invece no, neanche stavolta. Nel parchetto erano restati soltanto i pesci piccoli, con una coda di paglia enorme: panicavano appena vedevano un auto blu.
Nel fondo dello zaino ho trovato i picchetti della tenda. Pensavo proprio di non averli. Altro che boy scout. Un vecchio coglione, ecco cosa sto diventando.
Siamo partiti quel mattino. Con Glauco abbiamo ancora litigato per la direzione in autostrada. In autogrill le testate di “Libero” e del “Giornale” ci hanno quasi tolto l’appetito. Per la prima volta abbiamo visto gli otto Grandi in tv, tutti contenti in posa per le foto. E Berlusconi ai microfoni parlare compunto di connivenza. Di cosa? Siamo ripartiti in fretta.
E se vi siete detti: “Non sta succedendo niente
Le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente”
Convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco
Anche se voi vi credete assolti…
Sembra sempre sul punto di finire, e non finisce mai.
Mi sono trovato nella mia casa, solo, a guardare allo specchio se mi riconoscevo: sì, ero io, un po’ abbronzato, o forse solo sporco. Mi sono messo in mutande, ho aperto una bottiglia, ho acceso il computer e il bollitore. Più o meno nell’ordine. Il mio sito ha triplicato gli accessi: quanto sono contento. E adesso che farò? Ho ancora una settimana di ferie. Una gita in Macedonia?
In tv cosa c’è? Niente. MeganGale: Vu Vu Vu, Mi Piaci Tu.
Sembra sempre sul punto di finire…
“Sì? Pronto?”
“Leo, son la Barbara, hai saputo di ***?”
“Oddio, no, cosa gli è successo?”
“L’hanno arrestato”.
E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate, senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone le verità della televisione
anche se allora vi siete assolti…
Non finisce mai. Sono in mutande sul divano, e intanto un mio amico è torturato a Bolzaneto.
Non finisce mai. La questura convoca una conferenza stampa e mostra il bottino delle Diaz: decine di coltelli a serramanico, un piccone, telefoni e fazzoletti di carta, magliette nere.
Non finisce mai. Berlusconi denuncia la connivenza del Genoa Social Forum che “copriva i violenti”.
Non finisce mai. Ho imparato questo. Chi parla di vittoria o di sconfitta forse non si rende conto. Non è una guerra, non ci sono orizzonti di vittoria o di sconfitta. Ci siamo noi, soltanto, da una parte o da un’altra di una carica, e a volte spingiamo, a volte fuggiamo, ma anche dopo lo sbando non possiamo fare altro che raccoglierci e spingere di nuovo. Senza che tutto questo finisca mai. Se anche si vince non si vince per sempre. Se anche si perde non si perde per sempre. È una lotta continua, infinita.
Non finisce mai. Siamo in Italia, nel 2001. Una democrazia. Sono qui, stanotte, che batto su una tastiera, e sento le sirene. Mi fermo, faccio silenzio, e non sento più niente. Mi rimetto a scrivere, ed ecco di nuovo le sirene. Sono dentro di me. Ci resteranno per un po’, non ho intenzione di dimenticarle. Non è ancora finita. Forse non finisce mai. Comunque sia, non finisce così.
E se credete ora che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare la paura di cambiare,
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo, ancora più forte:
“per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti…”.
Questa memoria è dedicata a Indro Montanelli.
Genova, sabato 21 luglio 2001 (seconda parte)
Lo sbando
Sembra tutto finito, invece non finisce mai.
Il comizio, quello sì, è finito. L’altoparlante dice di convergere sul Marassi. Non si può tornare indietro, assolutamente. Specie lungo viale Italia. E la stazione è bloccata.
Io lo sapevo che finiva così. Perché non ho rimontato la tenda stamattina? La mia roba è dall’altra parte di Genova, e in mezzo c’è tutta la polizia del mondo. E fosse solo questo. Glauco e Ponz hanno la macchina da qualche parte, ma sono irreperibili. L’unico col cellulare carico è Ric. Dal palco gli oratori si sgolano: tutte le comitive sono invitate a convergere sul piazzale dello stadio Marassi. Ci sono parecchi bambini sperduti, naturalmente.
“Il gruppo X è desiderato sotto il palco”.
“Il gruppo Y è pregato di alzare la bandiera, grazie”.
E noi che facciamo? Un appello a Glauco? Non si può far chiamare un singolo dall’altoparlante, al massimo un’associazione. A meno che…
“Signorina… scusi. Potrebbe fare un appello alla Federazione Giovanile Repubblicana di Modena?”.
“Come?”
“ Federazione Giovanile Repubblicana. Sezione di Modena. Dica che li aspettiamo qui davanti”.
“Ouff… (Nell’altoparlante): IL PULLMANN DEI GIOVANI REPUBBLICANI DI MODENA QUI DAVANTI, PER FAVORE”.
Neanche attirandoli con la promessa di un pullman tutto per loro riusciamo a ritrovare gli unici due giovani repubblicani di Modena (del mondo intero?). Quanto a Ponz, loro autista, è seduto per terra, bloccato da una formidabile emicrania. Ma in un modo o nell’altro finiamo per incontrarci, nel cul-de-sac che chiude C.so Sardegna. Tutto quello che abbiamo è dall’altra parte di Genova. Ma in mezzo ci sono le cariche della polizia. Triste ironia: possiamo solo avvicinarci alla Zona Rossa.
“Perché non pieghiamo di qui?”
Ma non è mica Modena, che basta tracciare un dito sulla cartina per tracciare una rotta. Genova è una vertigine, tra una via e l’altra ci può essere una montagna, e infatti c’è.
“Dobbiamo andare a Marassi, di qua, non hai sentito?”
“Ma il Marassi è di là”.
“L’altoparlante diceva di qua”.
“Ma tanto è tutto Marassi qui, è il nome del quartiere”.
“L’altoparlante diceva di qua”.
“Ma se ti dico che lo stadio è di là”.
“E chi se ne frega dello stadio del cazzo! Secondo te gioca la Samp stasera? Non dobbiamo andare a vedere nessuna Sampdoria del cazzo, dobbiamo muoverci di qui, capito? Ma lo fai apposta?”
“Come vuoi, però lo stadio è di là”.
“Ma l’altoparlante…”
E Ponz: “Continuate a litigare, ragazzi. Mi fate passare l’emicrania”.
Siamo molto nervosi. E non abbiamo tutti i torti. Ci siamo appena incamminati quando intorno a noi la gente si mette a correre. Sono arrivati? Mi volto indietro e mi dico: Ci Siamo. Non posso tornare a casa senza aver visto una carica…
…ma vedo solo gente come me che fugge, e poi la dietro altra gente che si ferma e alza le mani, come a dire: falso allarme. È una carica o no? Almeno ci siamo messi in moto.
C’è un ragazzo steso a terra, svenuto. Sorride.
Il piazzale dello stadio. Lo stadio di Renzo Piano, rosso come a voler prevenire la ruggine, il mio preferito quando guardavo 90° Minuto. E nel piazzale un viavai di gente che non sa da che parte andare, sfoglia cartine, chiede in giro, gira in tondo. Poi all’improvviso un altro fuggi-fuggi, e sul fondo un blu di camionette. Ci caricano o no? Ma perché ci caricano qui, dove aspettano di partire le corriere? Vogliono farci restare a Genova? Vogliono spargerci in tutta la città?
Intercettiamo un convoglio di dimostranti dal Carlini. Vanno nel senso opposto: è l’unico consentito. Ci metteranno anni ad arrivare, ma è meglio che restare fermi. Li seguiamo? O c’infiliamo su per un’altissima scalinata e ci perdiamo definitivamente? Vincenzo, un amico incontrato per caso, conosce qualcuno da quelle parti. Proviamo. (Come diceva il manuale del dimostrante? Non disperdersi in gruppetti? Lasciamo perdere).
La scalinata sale più di cento metri. Si vede un po’ di Genova da lì. E in basso, nel piazzale, il convoglio del Carlini, tante formichine che vanno avanti a mani alzate.
Sembra tutto finito…
Siamo saliti, abbiamo chiesto a vigili e conducenti d’autobus, le uniche divise di cui ci fidiamo. Ci siamo ritrovati in un quartiere alto, davanti a una pizzeria takeaway, e abbiamo ordinato delle margherite, lì sul marciapiede. È da 24 ore che non mangio, credo (non riesco a ricordare). La casa degli amici di Vincenzo non la troveremo mai, ma intanto più tempo passa meglio è. Siamo stanchi, ma allegri, ci prendiamo in giro, raccontiamo ai pizzaioli le nostre esperienze di Black Block. Io ne ho visti, io ne ho fotografati, anch’io, signora. Io, signora, ero nel loro campeggio, di fronte alla caserma. No, non siamo mai stati perquisiti. Sì, in corso Sardegna eravamo più di duecentomila, non violenti. L’ha detto la televisione?
Tra una casa e un'altra s’intravede il mare, e sul mare qualcosa che sembra un’enorme palazzo bianco. Dev’essere la nave di Bush. Siamo così lontani dagli scontri che si vede persino la Zona Rossa
“Elisa dice che hanno riaperto Brignole”.
L’autobus che porta a Brignole è pieno di stranieri, alcuni un po’ contusi. Il piazzale davanti alla stazione sembra uno stadio. Partono i treni speciali? Non tutti stasera. C’è chi la notte la passerà qui. Che importa, ormai è tutto finito.
Un altro bus ci porta a Sciorba: stiamo cercando la macchina di Ponz. (“Eppure mi sembrava di averla lasciata lì…”). Rifacciamo il percorso della manifestazione, cartacce, scritte ai muri, le solite vetrine infrante. A una capannina diamo un’occhiata alla tv, trasmettono dalla Zona rossa C’è La Russa e sembra perfino pacato. Sì, è tutto finito ormai. Ponz si concede una fetta di cocomero.
Col tempo l’ansia si dissolve. Tutto è ancora dove l’avevamo lasciato: la macchina di Ponz, la mia tenda. Tutto al suo posto. Anche noi.
La notte
“Senti, noi pensavamo di andare a bere qualcosa”.
“Proprio adesso?”
Siamo al Centro Media, la scuola dove vado a giocare al cronista di guerra. Stavolta ormai non mi facevano entrare, non trovavo il pass. È da mezz’ora che sto in fila davanti a un terminale, aspettando il mio turno. Sfoglio un brandello di “Time” trovato sul pavimento, sbircio gli hackers di fianco che si mostrano il capolavoro di un amico: si è impadronito del sito di una prefettura, ha messo in homepage la solita foto di Giuliani investito dalla camionetta. E proprio quando tocca a me, deve arrivare il solito Glauco impaziente a tirarmi per le maniche? Andiamo qui, andiamo là, prendiamo da mangiare, prendiamo da bere… perché non li mando tutti a quel paese una buona volta? Io ho un pubblico da casa che sta in apprensione, ho le mie responsabilità, ormai…
“Va bene, arrivo. Aspettiamo Ric, però”.
È al piano di sopra, sta salutando un’amica, ha detto che viene ma non arriva mai.
Intanto inganno il tempo litigando. Al cancello sta un volontario inglese, un ragazzino. Mi ha chiesto di dire a questi tre italiani che vogliono entrare senza pass che non si può.
“Ragazzi, è una semplice regola. Senza pass non si entra. È la sala stampa”.
“Ma cos’è, stiamo a fare i vigili urbani qui? Io il pass ce l’ho, questi sono due miei amici che hanno lavorato un sacco e…”
Sospiro. Il pass è un cartoncino verde che nei primi giorni si chiedeva all’ingresso. Bastava citare una testata. Nessun controllo, nessun riscontro. Io ho detto Vita.it, ma se avessi detto: “Le Ore” o “Corna Vissute” avrei avuto lo stesso il mio bel pass. Se fosse passato Adolf Hitler coi suoi baffetti, un taccuino e la macchina fotografica, anche lui avrebbe staccato il suo pass. E perché mai, ora, qui, mi metto a fare una discussione con questi qui che sembrano le persone più tranquille del mondo? Ho voglia di litigare? Ho voglia di discutere? Cos’ho? Cosa mi prende? È tutto finito, no?
“Ragazzi, non sono io che ve lo dico, è lui. Un po’ di rispetto per il suo lavoro, dai”.
I tre abbozzano e se ne vanno. Bravi ragazzi. Da allora non faccio che chiedermi: sono andati via o sono entrati lì di fronte, alla Diaz, dove si poteva entrare senza pass? La mia stupida loquacità li ha salvati o li ha fregati? Non lo so. Ma mi vergogno.
“Insomma, Ric arriva o no? Sono stanco di dover aspettare le persone”.
“Ah, perché sei tu che aspetti le persone, adesso”.
…e invece non finisce mai.
C’è una birreria proprio dietro l’angolo delle scuole, l’unica che ha tenuto aperto anche le serate più difficili. C’è un paio di attivisti d’Indymedia, una comitiva in lingua inglese e una francofona. C’è un’ex compagna di liceo di Glauco poi emigrata in Belgio: lui la riconoscerà sentendola urlare. Hanno tutti fame, tranne me. Chiedo una birra strana, che non berrò mai, perché mentre aspettiamo le ordinazioni cominciamo a sentire le sirene e vediamo salire volanti, cellulari e ambulanze, alla spicciolata. E poi le urla di un signore:
“Andate indietro! Indietro! Quelli vi ammazzano! Non lo capite? Tornate indietro!”
Stanno entrando nelle scuole.
Alla prima sirena siamo tutti entrati all’interno del locale. Alla decima abbiamo tirato giù la saracinesca. Dentro è caldo, ma carino: c’è un paio di chitarre appese, la gente siede intorno alle botti. La gente sta telefonando agli amici nelle scuole, ascolta la paura di chi li sta vedendo entrare e picchiare. La gente ha paura ma non riesce a restare seduta. Sembra l’Argentina. Questo lo diranno in molti, da qui in poi.
Un tizio d’Indymedia è furioso, urla che vuole andare là. Alla fine lo lasciano andare. E poi, alla spicciolata, usciamo tutti. Lo sappiamo che è pericoloso, ce lo diciamo a vicenda, ma serve solo ad eccitarci, come insetti intorno a una lampada. Glauco vuole portare indietro la sua amica belga, io gli dico fermati e intanto gli vado dietro, Ric ci segue, e quando arriviamo scopriamo che Ponz è già là, è entrato nel Centro Media senza pass, ha visto la gente seduta per terra, i marescialli coi manganelli che litigano coi giornalisti e una parlamentare.
Fuori c’è già una colonna di otto ambulanze. Altre poi ne arriveranno, ma quelle otto erano già lì all’inizio dell’irruzione.
Dopo aver passato l’ultima ambulanza c’è la prima macchina della polizia, e c’è un poliziotto che passeggia avanti e indietro con un bandana sulla bocca, un altro cowboy. Cosa fa? Fa il palo.
Più avanti, nello spazio tra le due scuole, c’è una testuggine di agenti antisommossa: polizia e carabinieri. E un piccolo spazio dove litiga le gente: i giornalisti, i poliziotti in borghese, i registi italiani, i parlamentari, Agnoletto, i dimostranti… sono salito sul muretto del cancello per guardare meglio, e ho visto un attivista d’Indymedia (lo conoscevo già, mi era simpatico) accapigliarsi con un ragazzo straniero in tutina nera. E mi sono detto: Ci Siamo. Mi sono lasciato cascare dal muretto addosso a quel ragazzo, l’ho placcato alle spalle, e in un secondo ho capito che era un pesciolino, che potevo tenerlo fermo anch’io. In teoria gli stavo solo impedendo di nuocere. Ma l’altro era libero di muoversi, e un pugno in faccia gliel’ha piazzato. Poi ci siamo tutti calmati, tranne il ragazzo. Parlava inglese, e insisteva di voler parlare a quelli là, quelli con gli scudi e con i caschi. E intanto rischiava di farsi inquadrare dalle telecamere con la sua tutina e il suo cappuccetto nero. Non ti capiscono, gli abbiamo detto. Ma lui niente, era anche ubriaco. “Fuck Italiani! Merda!”. E piangeva. Dentro stavano ammazzando di botte i suoi amici. Ma lui era straniero, era vestito di nero, era stupido, e per un briciolo di secondo forse ho voluto pestarlo anch’io.
Sono tornato dentro, a scrivere in diretta. Ma da fuori ho sentito un boato di rabbia. Era stato un grosso sacco di plastica nero, trasportato da quattro agenti. Mi sono appeso a un cancello e non sono sceso più.
Ho visto uscire le ragazze e i ragazzi, alcuni in sacco a pelo sulle barelle, altri in piedi, scortati dai gendarmi, con le mani a tenersi un pezzo di testa dalla paura che gli scappasse via. Ho visto le cose che avete visto tutti, ma senza capire, perché non capivo più.
Mi ripetevo una sola cosa: hanno trovato dei black block alle Diaz. Gli amici di quel deficiente di prima. Ora non gli servono più e possono sfogarsi quanto vogliono. Certo, perché no? Chi controllava le entrate alle Diaz? Nessuno. Era una dépendance del Centro media, era stata occupata per evitare che gli squatter disturbassero le conferenze stampa e togliessero i computer ai giornalisti. Chiunque poteva entrare. La sera prima ero entrato lì per scrivere, ero rimasto colpito da due ragazzi seri che si leggevano un dossier inglese sulla strategia della tensione in Italia. Black Block? Perché no? Ma anche due ragazzini venuti a scrivere: ciao mamma, sto bene, non mi sono fatto niente. Perché no? Ciao papà, ora devo interrompere, è entrata la polizia e ci stanno facendo a pezzi.
Chi controllava le Diaz? Giovedì sera, la sera dell’alluvione, sfoggiavo il cartellino giallo dei volontari. Ho visto Kadija tutta sola con un minuscolo impermeabile cercare nel mazzo la chiave del cancello. Kadija è una nostra amica di Reggio: è arrivata con Barbara mercoledì sera, e giovedì sera aveva in mano le chiavi dei locali gestiti dal GSF.
La chiave non si trovava. Le avevano chiesto di far uscire tutti, che nessuno cercasse di rimanere lì a dormire. Questa cosa da principio non mi era andata giù. Il Carlini era una pozza di fango e centinaia di ragazzi non sapevano come arrivarci, perché non metterli lì? Ma avevo obbedito. C’era un gruppo di tedeschi che voleva finire uno striscione. “Five minutes, bitte!”. Sembravano tranquilli. Li avevo aspettati e poi avevo provato tutte le chiavi finché non era saltata fuori quella giusta.
Giovedì sera l’ho chiusa io, la scuola-palestra Diaz. Poi, guardando in alto, ho visto una luce accesa al terzo piano. E non ho detto niente. E non ho pensato niente. Coglione. Criminale e coglione. Quella è gente che occupa case e scuole di professione. Ci hanno giocato come bambini dell’asilo.
Non finisce mai.
Quanto sono rimasti lì davanti, con i loro scudi e i loro caschi, con le loro maschere antigas che li rendevano ancor più simili a goffe tartarughe? Io non riuscivo a odiarli. Davano le spalle alla scuola e forse non capivano nulla. I carabinieri specialmente, a ogni spostamento cozzavano tra loro e lasciavano dei buchi, facevano passare i giornalisti senza accorgersene. Ma quelli dentro, quelli che portavano fuori i prigionieri… E i pezzi grossi in casco, giacca e cravatta…
Per quanto sono rimasti ancora lì? Quanto ci hanno messo a ritirarsi da via Cesare Battisti, sempre in testuggine, sempre con le maschere, fronteggiando col completo antisommossa un gruppetto di non più di trenta persone? Cos’aspettavano? Speravano che li caricassimo? Che qualche idiota lanciasse un sasso? Nessuno ha lanciato niente. Eravamo stanchi, distrutti, esauriti dagli avvenimenti. Qualche invettiva urlata da dietro, nient’altro.
Poi ci sono entrato, nella Diaz distrutta. Qualcosa l’ho visto, ma non ricordo bene. Per esempio: l’ho visto il sangue? Non lo so, in televisione me l’hanno mostrato troppe volte per ricordarmi se l’ho visto anche là, coi miei occhi. Nulla mi ha spaventato come il buco nella porta del bagno. Un buco enorme, fatto non so se con un manganello o con cosa. Ho vissuto il terrore di chi si era chiuso in bagno e l’ha visto forzare in quel modo. Il terrore di trovarsi in trappola. E sono uscito. Potevo essere lì. A volte andavo lì, invece di passare al Centro Media. Lì in fondo si scriveva meglio, c’era meno confusione e c’era Windows. Potevo essere lì, a scrivere nel mio simpatico sito: salve a tutti, sto bene, è stata una grande manifestazione pacifica…
Potevo essere lì davanti, in strada, come Francesco, investito dalla carica. Giovedì mi aveva chiesto di fargli il pass per la Gazzetta di Modena. Mah, gli avevo detto io, non so se è regolare. “Per favore, a Praga senza pass mi menavano”. L’ho visto poi in televisione col pass al collo, mostrare i lividi sulla schiena. Quando si è scoperto che è consigliere comunale, il Questore gli ha chiesto scusa. Gentile da parte sua.
Mentre nelle Diaz andava in scena il Cile, nel Centro Media avveniva un’ispezione molto più raffinata. Gli agenti sapevano già a che piano salire e cosa sequestrare. I pc d’Indymedia, gli archivi del materiale filmato e fotografico. Le prove annunciate in conferenza stampa da Agnoletto. La lista degli scomparsi. La lista dei movimenti delle camionette.
Ed eccoci qui. Ci credevamo furbi, noi, credevamo di poter fare e dire qualsiasi cosa. Credevamo di poter denunciare le collusioni tra Black Block e polizia? La polizia sale da noi e trova un covo di Black Block. Armati, naturalmente. Eccoci qui. Noi simpatici manifestanti, che apriamo le porte a tutti. Noi libertari. Noi che non stiamo a fare i vigili urbani, figuriamoci. Noi che non schediamo nessuno, non divulghiamo l’identità di nessuno, noi col nostro orrore per le generalità e i documenti. Eccoci qua. Siamo o non siamo i più grandi coglioni della Storia?
Domenica, 22 luglio 2001
Sembra tutto finito, e invece non finisce mai.
Col senno del poi, penso che l’idea di tornare al mio campeggio per dormire sia stata una delle scelte più irrazionali e irresponsabili della mia vita. Non c’è giustificazione: non capivo più niente. I miei amici avevano deciso di restare al centro media, e giustamente: lì, per stasera, non si rischiavano più irruzioni. Ma il mio campeggio scottava, lo sapevo benissimo, da almeno tre giorni. Fino a quel mattino forse i black block erano intoccabili, ma adesso no, l’avevo visto coi miei occhi. Per la prima volta il campetto era sbarrato, con due cassonetti e una catena di bicicletta. Le belve del Diaz non si sarebbero fermati per questo. Di sentinella una ragazza italiana e un gruppo d’inglesi. Nel buio ho sentito un grido da ubriaco: “Sein Feinn are cowards!”. Un irlandese convinto che il Sein Feinn, il partito vicino all’IRA, sia composto da codardi. Questo per dire l’ambiente.
Perché sono tornato? Perché nelle scuole si stava stretti, e non mi andava di occupare un posto letto quando avevo la mia tenda piantata. Perché ero convinto che stavolta fosse tutto finito, che anche le belve andassero a letto alle tre del mattino. O forse perché ero stanco di vivere a pochi metri dal pericolo, e passarla liscia, sempre. Lo so che è assurdo, ma mi vergognavo di essermela cavata così a buon mercato. Ancora oggi un poco mi vergogno.
Fatto sta che quando al mattino, appena sveglio, ho sentito il grido: The police! The police!, mi sono detto, per l’ennesima volta: Ci Siamo. E invece no, neanche stavolta. Nel parchetto erano restati soltanto i pesci piccoli, con una coda di paglia enorme: panicavano appena vedevano un auto blu.
Nel fondo dello zaino ho trovato i picchetti della tenda. Pensavo proprio di non averli. Altro che boy scout. Un vecchio coglione, ecco cosa sto diventando.
Siamo partiti quel mattino. Con Glauco abbiamo ancora litigato per la direzione in autostrada. In autogrill le testate di “Libero” e del “Giornale” ci hanno quasi tolto l’appetito. Per la prima volta abbiamo visto gli otto Grandi in tv, tutti contenti in posa per le foto. E Berlusconi ai microfoni parlare compunto di connivenza. Di cosa? Siamo ripartiti in fretta.
E se vi siete detti: “Non sta succedendo niente
Le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente”
Convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco
Anche se voi vi credete assolti…
Sembra sempre sul punto di finire, e non finisce mai.
Mi sono trovato nella mia casa, solo, a guardare allo specchio se mi riconoscevo: sì, ero io, un po’ abbronzato, o forse solo sporco. Mi sono messo in mutande, ho aperto una bottiglia, ho acceso il computer e il bollitore. Più o meno nell’ordine. Il mio sito ha triplicato gli accessi: quanto sono contento. E adesso che farò? Ho ancora una settimana di ferie. Una gita in Macedonia?
In tv cosa c’è? Niente. MeganGale: Vu Vu Vu, Mi Piaci Tu.
Sembra sempre sul punto di finire…
“Sì? Pronto?”
“Leo, son la Barbara, hai saputo di ***?”
“Oddio, no, cosa gli è successo?”
“L’hanno arrestato”.
E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate, senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone le verità della televisione
anche se allora vi siete assolti…
Non finisce mai. Sono in mutande sul divano, e intanto un mio amico è torturato a Bolzaneto.
Non finisce mai. La questura convoca una conferenza stampa e mostra il bottino delle Diaz: decine di coltelli a serramanico, un piccone, telefoni e fazzoletti di carta, magliette nere.
Non finisce mai. Berlusconi denuncia la connivenza del Genoa Social Forum che “copriva i violenti”.
Non finisce mai. Ho imparato questo. Chi parla di vittoria o di sconfitta forse non si rende conto. Non è una guerra, non ci sono orizzonti di vittoria o di sconfitta. Ci siamo noi, soltanto, da una parte o da un’altra di una carica, e a volte spingiamo, a volte fuggiamo, ma anche dopo lo sbando non possiamo fare altro che raccoglierci e spingere di nuovo. Senza che tutto questo finisca mai. Se anche si vince non si vince per sempre. Se anche si perde non si perde per sempre. È una lotta continua, infinita.
Non finisce mai. Siamo in Italia, nel 2001. Una democrazia. Sono qui, stanotte, che batto su una tastiera, e sento le sirene. Mi fermo, faccio silenzio, e non sento più niente. Mi rimetto a scrivere, ed ecco di nuovo le sirene. Sono dentro di me. Ci resteranno per un po’, non ho intenzione di dimenticarle. Non è ancora finita. Forse non finisce mai. Comunque sia, non finisce così.
E se credete ora che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare la paura di cambiare,
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo, ancora più forte:
“per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti…”.
Questa memoria è dedicata a Indro Montanelli.
venerdì 27 luglio 2001
Ci si ritrova, in questi giorni, tra amici o anche tra semplici conoscenti, che per la prima volta si chiamano per nome, e si abbracciano, e si raccontano dov’erano in quel momento, e cosa gli è successo, e come hanno fatto a tornare. Si ascoltano e si raccontano storie di ogni tipo: alcune buffe, alcune terribili. Io, più ne ascolto, più mi convinco della mia fortuna. Ho passato cinque giorni a Genova, schivando per puro caso cariche e pestaggi che non ho visto. Il mio racconto è molto lungo, ma credo non renda giustizia agli avvenimenti. È successo molto di peggio a Genova, io ero lì per vederlo, e non l’ho visto: sono stato fortunato, ma ho vergogna a continuare. Non credo di essere stato più avveduto o più prudente di altri. Non credo nemmeno di avere avuto paura. Semplicemente ero altrove mentre altri pagavano anche per me il diritto a manifestare liberamente.
Con un gruppo di amici, che presto si darà un nome e un’organizzazione, abbiamo pensato di raccogliere testimonianze scritte su Genova. Testimonianze brevi (senti chi parla, ah?) di episodi visti e vissuti (non sentiti dire) che abbiano coinvolto manifestanti, cittadini e forze dell’ordine. C’impegniamo a raccogliere e a diffondere questo materiale, e a metterlo in comune con quello che altri stanno raccogliendo. Quando verranno – e verranno – le commissioni d’inchiesta, nazionali e internazionali, noi avremo il nostro contributo da offrire.
Se avete una testimonianza da condividere, potete scrivermi al solito indirizzo. Per favore, evitate qualsiasi tipo di retorica, o di commento politico. Amo la politica e adoro la retorica, ma ora chiedo soltanto testimonianze, in semplice italiano, su quanto avete visto e ascoltato.
Intanto finisco il mio racconto.
Genova, sabato 21 luglio 2001 (prima parte)
Il mattino
Al mattino il mal di testa è scomparso, come per miracolo. Dovunque siamo ci svegliamo, ci sentiamo un po’ meglio, pensiamo a ieri e ci chiediamo se tutto questo è davvero successo, se noi c’eravamo. Tranne uno, che non si sveglia più. E un altro, che si sveglia e ha ucciso un uomo.
Hanno distrutto anche la fontanella del parco Dalla Chiesa. Quella messa su apposta per noi. Dopo quattro giorni che sudiamo e camminiamo e corriamo senza lavarci. Hanno distrutto quello che potevano e sono ripartiti nella notte, coi loro furgoni, le loro bandiere e il loro nero ambiguo. Vigliacchi. Vigliacchi e sporchi.
Ma è un giorno di sole e sono di buon umore. Si vedono solo facce simpatiche in giro. Al telefono ho la conferma che altri amici stanno per arrivare. Sono molto fiero di loro. Era facile, martedì, mettersi uno zaino in spalla e venire a Genova, quando sembrava una festa. Ma per venire sabato, dopo la morte e i feriti, ci vuole coraggio e responsabilità. È una scelta difficile, e sull’altro piatto della bilancia non c’è soltanto la paura. Da casa le cose hanno un aspetto diverso, i buoni e i cattivi indossano le stesse magliette, le stesse divise.
I Ds si sono ritirati definitivamente, qualche dirigente invita a non sfilare, a “fermare la violenza”. Ma è stando a casa che si ferma la violenza? Cambiando canale?
C’è un peso incredibile sulle spalle di Agnoletto e degli altri portavoce stamattina. Da qui in poi saremo accusati di complicità. E non abbiamo alternative. Chi c’era a piazzale Kennedy ieri sera sa che sotto il tappo del Gsf c’è il magma ribollente di centinaia, migliaia di ragazzi incazzati, che oggi a Genova protesterebbero lo stesso, soli, disorganizzati, contro forze dell’ordine che hanno il colpo in canna e non ce l’hanno mandato a dire. Bisogna fare la marcia, non c’è alternativa. Anche se si sente già dire di disordini a Quarto, dove arrivano le corriere. Il Black Block, sempre lui. Ormai è una filastrocca per bambini e giornalisti.
La sala stampa non è mai stata così fitta. Sono così orgoglioso di essere arrivato a un terminale in tempo per la conferenza stampa che continuo a rimandare l’incontro con Pier e gli altri, che giù sul lungomare vanno avanti e indietro impazienti. Io prendo tempo, dico che sto aspettando qualcuno. Tutti questi giornalisti ufficiali col taccuino (ma da che secolo arrivate?), e io davanti a un terminale. Mi sento veramente figo. Trascrivo Agnoletto che strepita senza microfono ed è l’unico, come sempre, che riesce a farsi sentire. Il Gsf non può prendere le distanze dai violenti perché le ha già prese da tempo, il Gsf farà la manifestazione, il Gsf chiede che gli si riconosca questa assunzione di responsabilità.
Il Gsf sarà presente al funerale di Carlo Giuliani. Il ragazzo si chiama così. La Repubblica dice che era un “punk bestia”. Perché nei momenti più gravi certi giornalisti sembrano arrivare come avvolti in una vestaglia dell’Hilton dopo un idromassaggio? “Punk bestia”? Da che secolo arrivate, e da che mondo?
A un certo punto forse un maldestro iscritto all’albo inciampa su un cavo, fatto sta che tutti i terminali perdono la connessione. Non c’è più motivo per me di restare lì. Raggiungo gli amici.
Il corteo
Viale Italia stamattina sembra il viale Italia di tante città balneari, un bel mattino estivo: tanta gente passeggia su e giù, c’è animazione, non preoccupazione. Anch’io penso che il peggio sia passato, anzi ne sono sicuro. Abbraccio i miei amici, mi fa sorridere il dover passare per un veterano. Siete stati in pena? Non c’è motivo, non ho rischiato niente. Neanche voi rischiate niente oggi. Oggi è tutto sicuro. Non vi spaventerà mica l’elicottero?
Incrocio anche Barbara. “Ho visto ***, sai”.
“Oh, finalmente. Sta bene?”
Sta bene, è scosso per Giuliani, ma non si è fatto niente. Potrebbe però tenere il cellulare con sé. A che serve portarselo se lo lascia sulla borsa?
Ormai sono due giorni che non lo vedo. Cominciava il grande acquazzone e io stavo di guardia a un cancello, che non entrassero motorini. Posavo i gomiti su una transenna e avevo costantemente il cellulare in mano. Lui stava aspettando di parlarmi, ma pioveva e stava passando il bus per il Carlini. Mi ha solo detto: “Tiratela meno” e se n’è andato. Non ci siamo più visti, e sembra un secolo. Ma sta bene. È strano, non riesco a pensare che qualcuno che conosco possa essersi fatto male. Mi preoccupo, sì. Ma non riesco a crederci. Non ho abbastanza fantasia.
“Ehi, noi siamo già in marcia, e voi? Cerchiamo di stare assieme. Noi siamo dietro ad Attac, di fianco ai Curdi. Sì, certo, il PKK. Siamo piuttosto avanti. Vi aspettiamo? Aspetta… ho perso il campo”.
Il corteo è partito in anticipo. Agnoletto ha promesso che saremo in centomila, ma forse siamo qualcosa di più. Impossibile saperlo, standoci in mezzo. (E io resto bloccato nel solito dilemma: voglio fare il manifestante o il giornalista?)
Perdiamo il campo del cellulare passando davanti alla rocca dei Carabinieri: sì l’enorme caserma di fianco al mio campeggio. “Assassini”, gridano in tanti. Forse l’ho gridato anch’io. E loro stanno là, altissimi, dietro una rete, a guardare. Solo uno ha scavalcato ed è lì davanti a noi, a 20-40 metri d’altezza, con le mani davanti alle tasche. Guarda passarci a migliaia, si sente chiamare “assassino”, e ci guarda, in posa da cowboy. Si deve sentire molto potente.
Non vedremo molti altri carabinieri, fino a sera.
All’incrocio con corso Brigate Partigiane c’è un enorme contingente antisommossa. Com’era prevedibile: la Fiera, qui a lato, è la loro base, e anche se siamo lontanissimi, non ci avvicineremo mai alla zona Rossa più di così. Sfondare, cercare la rissa qui, è puro suicidio. Eppure ci sono tafferugli, volano oggetti. Tagliamo la curva e non indaghiamo. Sembra ancora poca cosa.
Marciando per Corso Torino, poi per Corso Sardegna, percorriamo a ritroso la devastazione del giorno prima: auto distrutte, vetrine infrante. Ma siamo tantissimi. Centocinquantamila, dicono. Noi ci siamo trovati in mano cartelli e mascherine di Attac France. I cartelli recano i nomi dei 180 e passa Paesi esclusi dal g8 (ma perché la Jugoslavia proprio a me?). Le mascherine non servono contro i gas, sono a forma di X e dicono: non possiamo parlare. Posiamo persino per i fotografi. Chissà se quelle foto sono poi state sviluppate. C’era ben altro da mostrare, il giorno dopo.
I pochi genovesi alla finestra, soprattutto anziane signore, ricevono immensi applausi. Alcune alzano il pugno. Ne ricordo una col bastone, che si reggeva appena, sotto quel sole.
A un certo punto ci capita di restare fermi, a lungo, senza spiegazioni. Poi un lungo applauso, grida di gioia.
“Cosa succede?”
“Pare che forse hanno sospeso il G8!”.
Possibile? E se anche fosse, cosa cambia? Carlo è già morto. I Grandi concluderanno in teleconferenza. Non cambia nulla. Eppure urliamo, applaudiamo anche noi.
Telefona Enzo. Ho scoperto che era lui a mandarmi i dispacci di guerra il giorno prima. Ha un occhio su Indymedia e un orecchio su Radio Gap, da Bologna la sa molto più lunga di noi.
“Dove siete? Già in Corso Sardegna? Bene. Perché dietro stanno caricando”.
“Come stanno caricando?”
“Sì, coi fumogeni e tutto il resto. Il corteo è spezzato in due. Voi cercate di restare davanti”.
Quanti siamo? Forse duecentomila. Lo hanno sospeso davvero il vertice? Non lo ha detto nessuno. È una bufala.
Sentiamo da lontano una donna al microfono. Dice “Carlo è vivo e lotta insieme a noi”. Ma questo non è vero. Per favore, Carlo è morto. Quando si è morti non si lotta, e non si è eroi. Si rimane in terra immobili e non si ha più niente da dire.
È Jo Squillo che parla, mi dicono. Secondo lei siamo trecentomila. Poi intona Imagine, tra tante una canzone che non sopporto. E iniziano i comizi. Agnoletto, Bové (che dà appuntamento in Qatar col WTO), il portavoce di Attac France, la madre dei desaparecidos (che come ieri si ritrova a urlare in un applauso ininterrotto). La portavoce italiana del Pkk, occasione al Ragno per sdegnarsi (“Ma non li hanno letti i rapporti di Amnesty sul Pkk?”). E altri che non ricordo, perché alcune cose comincio a dimenticarle. Ricordo che eravamo tanti, eravamo molto davanti, e faceva molto caldo. Dietro di noi probabilmente la gente non sentiva nulla: stava ferma e forse aspettava le cariche. Sul palco c’erano anche Casarini e un Bertinotti raggiante davanti alle sue bandiere rosse, che non ha parlato. Ancora condanne alle forze di polizia, che non hanno fermato i vandali. Si chiede al governo di pagare i danni, e le solite dimissioni di Scajola. Agnoletto saluta il nuovo soggetto (politico?) che ha portato a Genova 300.000 dimostranti pacifici e annuncia, per l’ultima volta: abbiamo vinto. Ma nessuno fa cenno alle cariche che premono il corteo di dietro. Una cosa alla volta.
(continua)
Con un gruppo di amici, che presto si darà un nome e un’organizzazione, abbiamo pensato di raccogliere testimonianze scritte su Genova. Testimonianze brevi (senti chi parla, ah?) di episodi visti e vissuti (non sentiti dire) che abbiano coinvolto manifestanti, cittadini e forze dell’ordine. C’impegniamo a raccogliere e a diffondere questo materiale, e a metterlo in comune con quello che altri stanno raccogliendo. Quando verranno – e verranno – le commissioni d’inchiesta, nazionali e internazionali, noi avremo il nostro contributo da offrire.
Se avete una testimonianza da condividere, potete scrivermi al solito indirizzo. Per favore, evitate qualsiasi tipo di retorica, o di commento politico. Amo la politica e adoro la retorica, ma ora chiedo soltanto testimonianze, in semplice italiano, su quanto avete visto e ascoltato.
Intanto finisco il mio racconto.
Genova, sabato 21 luglio 2001 (prima parte)
Il mattino
Al mattino il mal di testa è scomparso, come per miracolo. Dovunque siamo ci svegliamo, ci sentiamo un po’ meglio, pensiamo a ieri e ci chiediamo se tutto questo è davvero successo, se noi c’eravamo. Tranne uno, che non si sveglia più. E un altro, che si sveglia e ha ucciso un uomo.
Hanno distrutto anche la fontanella del parco Dalla Chiesa. Quella messa su apposta per noi. Dopo quattro giorni che sudiamo e camminiamo e corriamo senza lavarci. Hanno distrutto quello che potevano e sono ripartiti nella notte, coi loro furgoni, le loro bandiere e il loro nero ambiguo. Vigliacchi. Vigliacchi e sporchi.
Ma è un giorno di sole e sono di buon umore. Si vedono solo facce simpatiche in giro. Al telefono ho la conferma che altri amici stanno per arrivare. Sono molto fiero di loro. Era facile, martedì, mettersi uno zaino in spalla e venire a Genova, quando sembrava una festa. Ma per venire sabato, dopo la morte e i feriti, ci vuole coraggio e responsabilità. È una scelta difficile, e sull’altro piatto della bilancia non c’è soltanto la paura. Da casa le cose hanno un aspetto diverso, i buoni e i cattivi indossano le stesse magliette, le stesse divise.
I Ds si sono ritirati definitivamente, qualche dirigente invita a non sfilare, a “fermare la violenza”. Ma è stando a casa che si ferma la violenza? Cambiando canale?
C’è un peso incredibile sulle spalle di Agnoletto e degli altri portavoce stamattina. Da qui in poi saremo accusati di complicità. E non abbiamo alternative. Chi c’era a piazzale Kennedy ieri sera sa che sotto il tappo del Gsf c’è il magma ribollente di centinaia, migliaia di ragazzi incazzati, che oggi a Genova protesterebbero lo stesso, soli, disorganizzati, contro forze dell’ordine che hanno il colpo in canna e non ce l’hanno mandato a dire. Bisogna fare la marcia, non c’è alternativa. Anche se si sente già dire di disordini a Quarto, dove arrivano le corriere. Il Black Block, sempre lui. Ormai è una filastrocca per bambini e giornalisti.
La sala stampa non è mai stata così fitta. Sono così orgoglioso di essere arrivato a un terminale in tempo per la conferenza stampa che continuo a rimandare l’incontro con Pier e gli altri, che giù sul lungomare vanno avanti e indietro impazienti. Io prendo tempo, dico che sto aspettando qualcuno. Tutti questi giornalisti ufficiali col taccuino (ma da che secolo arrivate?), e io davanti a un terminale. Mi sento veramente figo. Trascrivo Agnoletto che strepita senza microfono ed è l’unico, come sempre, che riesce a farsi sentire. Il Gsf non può prendere le distanze dai violenti perché le ha già prese da tempo, il Gsf farà la manifestazione, il Gsf chiede che gli si riconosca questa assunzione di responsabilità.
Il Gsf sarà presente al funerale di Carlo Giuliani. Il ragazzo si chiama così. La Repubblica dice che era un “punk bestia”. Perché nei momenti più gravi certi giornalisti sembrano arrivare come avvolti in una vestaglia dell’Hilton dopo un idromassaggio? “Punk bestia”? Da che secolo arrivate, e da che mondo?
A un certo punto forse un maldestro iscritto all’albo inciampa su un cavo, fatto sta che tutti i terminali perdono la connessione. Non c’è più motivo per me di restare lì. Raggiungo gli amici.
Il corteo
Viale Italia stamattina sembra il viale Italia di tante città balneari, un bel mattino estivo: tanta gente passeggia su e giù, c’è animazione, non preoccupazione. Anch’io penso che il peggio sia passato, anzi ne sono sicuro. Abbraccio i miei amici, mi fa sorridere il dover passare per un veterano. Siete stati in pena? Non c’è motivo, non ho rischiato niente. Neanche voi rischiate niente oggi. Oggi è tutto sicuro. Non vi spaventerà mica l’elicottero?
Incrocio anche Barbara. “Ho visto ***, sai”.
“Oh, finalmente. Sta bene?”
Sta bene, è scosso per Giuliani, ma non si è fatto niente. Potrebbe però tenere il cellulare con sé. A che serve portarselo se lo lascia sulla borsa?
Ormai sono due giorni che non lo vedo. Cominciava il grande acquazzone e io stavo di guardia a un cancello, che non entrassero motorini. Posavo i gomiti su una transenna e avevo costantemente il cellulare in mano. Lui stava aspettando di parlarmi, ma pioveva e stava passando il bus per il Carlini. Mi ha solo detto: “Tiratela meno” e se n’è andato. Non ci siamo più visti, e sembra un secolo. Ma sta bene. È strano, non riesco a pensare che qualcuno che conosco possa essersi fatto male. Mi preoccupo, sì. Ma non riesco a crederci. Non ho abbastanza fantasia.
“Ehi, noi siamo già in marcia, e voi? Cerchiamo di stare assieme. Noi siamo dietro ad Attac, di fianco ai Curdi. Sì, certo, il PKK. Siamo piuttosto avanti. Vi aspettiamo? Aspetta… ho perso il campo”.
Il corteo è partito in anticipo. Agnoletto ha promesso che saremo in centomila, ma forse siamo qualcosa di più. Impossibile saperlo, standoci in mezzo. (E io resto bloccato nel solito dilemma: voglio fare il manifestante o il giornalista?)
Perdiamo il campo del cellulare passando davanti alla rocca dei Carabinieri: sì l’enorme caserma di fianco al mio campeggio. “Assassini”, gridano in tanti. Forse l’ho gridato anch’io. E loro stanno là, altissimi, dietro una rete, a guardare. Solo uno ha scavalcato ed è lì davanti a noi, a 20-40 metri d’altezza, con le mani davanti alle tasche. Guarda passarci a migliaia, si sente chiamare “assassino”, e ci guarda, in posa da cowboy. Si deve sentire molto potente.
Non vedremo molti altri carabinieri, fino a sera.
All’incrocio con corso Brigate Partigiane c’è un enorme contingente antisommossa. Com’era prevedibile: la Fiera, qui a lato, è la loro base, e anche se siamo lontanissimi, non ci avvicineremo mai alla zona Rossa più di così. Sfondare, cercare la rissa qui, è puro suicidio. Eppure ci sono tafferugli, volano oggetti. Tagliamo la curva e non indaghiamo. Sembra ancora poca cosa.
Marciando per Corso Torino, poi per Corso Sardegna, percorriamo a ritroso la devastazione del giorno prima: auto distrutte, vetrine infrante. Ma siamo tantissimi. Centocinquantamila, dicono. Noi ci siamo trovati in mano cartelli e mascherine di Attac France. I cartelli recano i nomi dei 180 e passa Paesi esclusi dal g8 (ma perché la Jugoslavia proprio a me?). Le mascherine non servono contro i gas, sono a forma di X e dicono: non possiamo parlare. Posiamo persino per i fotografi. Chissà se quelle foto sono poi state sviluppate. C’era ben altro da mostrare, il giorno dopo.
I pochi genovesi alla finestra, soprattutto anziane signore, ricevono immensi applausi. Alcune alzano il pugno. Ne ricordo una col bastone, che si reggeva appena, sotto quel sole.
A un certo punto ci capita di restare fermi, a lungo, senza spiegazioni. Poi un lungo applauso, grida di gioia.
“Cosa succede?”
“Pare che forse hanno sospeso il G8!”.
Possibile? E se anche fosse, cosa cambia? Carlo è già morto. I Grandi concluderanno in teleconferenza. Non cambia nulla. Eppure urliamo, applaudiamo anche noi.
Telefona Enzo. Ho scoperto che era lui a mandarmi i dispacci di guerra il giorno prima. Ha un occhio su Indymedia e un orecchio su Radio Gap, da Bologna la sa molto più lunga di noi.
“Dove siete? Già in Corso Sardegna? Bene. Perché dietro stanno caricando”.
“Come stanno caricando?”
“Sì, coi fumogeni e tutto il resto. Il corteo è spezzato in due. Voi cercate di restare davanti”.
Quanti siamo? Forse duecentomila. Lo hanno sospeso davvero il vertice? Non lo ha detto nessuno. È una bufala.
Sentiamo da lontano una donna al microfono. Dice “Carlo è vivo e lotta insieme a noi”. Ma questo non è vero. Per favore, Carlo è morto. Quando si è morti non si lotta, e non si è eroi. Si rimane in terra immobili e non si ha più niente da dire.
È Jo Squillo che parla, mi dicono. Secondo lei siamo trecentomila. Poi intona Imagine, tra tante una canzone che non sopporto. E iniziano i comizi. Agnoletto, Bové (che dà appuntamento in Qatar col WTO), il portavoce di Attac France, la madre dei desaparecidos (che come ieri si ritrova a urlare in un applauso ininterrotto). La portavoce italiana del Pkk, occasione al Ragno per sdegnarsi (“Ma non li hanno letti i rapporti di Amnesty sul Pkk?”). E altri che non ricordo, perché alcune cose comincio a dimenticarle. Ricordo che eravamo tanti, eravamo molto davanti, e faceva molto caldo. Dietro di noi probabilmente la gente non sentiva nulla: stava ferma e forse aspettava le cariche. Sul palco c’erano anche Casarini e un Bertinotti raggiante davanti alle sue bandiere rosse, che non ha parlato. Ancora condanne alle forze di polizia, che non hanno fermato i vandali. Si chiede al governo di pagare i danni, e le solite dimissioni di Scajola. Agnoletto saluta il nuovo soggetto (politico?) che ha portato a Genova 300.000 dimostranti pacifici e annuncia, per l’ultima volta: abbiamo vinto. Ma nessuno fa cenno alle cariche che premono il corteo di dietro. Una cosa alla volta.
(continua)
lunedì 23 luglio 2001
Appello
Martedì manifestazioni in tutte le città
Protestiamo contro la gestione della sicurezza da parte delle forze dell'ordine durante il g8
Caro lettore.
Non so per quale motivo sei su questa pagina, e non conosco le tue opinioni sui fatti successi a Genova durante il g8.
Io c'ero, e in questa pagina puoi trovare un mio resoconto, ancora incompleto.
Ho assistito di persona a vari episodi, il più grave dei quali è stato l'irruzione di polizia e carabinieri nelle scuole Diaz e Pascoli sabato sera, che si è conclusa con vari arresti e 92 feriti. Tra i malmenati, anche diversi giornalisti.
Chi era presente, ha assistito sgomento a una scena che sembrava impossibile in uno stato democratico.
Tornando a casa, ha potuto assistere altrettanto sgomento, attraverso la tv, alla strumentalizzazione dell'episodio da parte delle forze dell'ordine e dello stesso Presidente del Consiglio.
Il ritrovamento di coltellini, picconi e altre 'armi' comproverebbe, secondo l'on. Berlusconi, la connivenza delle frange violente con il Genoa Social Forum.
Io ero presente, e ha partecipato al servizio d'ordine che controllava gli accessi delle scuole. Posso dire che, ammesso che ci fossero esponenti delle frange violente all'interno delle scuole al momento dell'irruzione, esse non avevano bisogno di nessuna connivenza col Genoa Social Forum per entrare e nascondere qualsiasi arma.
La Diaz (una scuola adibita a palestra) non era, come è stato detto, "la sede del GSF", bensì uno spazio pubblico dove chiunque poteva entrare e adoperare i computer. Chiunque. Anche infiltrati, di qualsiasi tipo.
Accusare il GSF di connivenza col "black block" e le altre frange estreme che hanno rovinato una città e la pacifica manifestazione di protesta di più di 200.000 persone, è un atto gravissimo e irresponsabile.
Caro lettore.
Qualsiasi sia la tua opinione sul G8, sui risultati del vertice, sulla protesta di questi giorni, ti chiedo un atto di fiducia. Non sono un attivista politico, ma un semplice osservatore. Alcuni quotidiani hanno riportato una versione distorta dei fatti. Ma le notizie su Genova che tra oggi e ieri sono state riportate, per esempio, dall'Unità e dal Manifesto, disegnano, a mio parere, il quadro verisimile dei fatti. Ti chiedo, se ne hai la possibilità, di leggere e far leggere questi giornali. E ti chiedo di partecipare alle manifestazioni di protesta di domani, a cui il Genoa Social Forum ha invitato in tutte le città d'Italia.
Occorre dare a questo governo, e ai membri delle forze dell'ordine (che non possiamo, non vogliamo credere tutti complici degli abusi commessi in questi giorni) un messaggio chiaro: in Italia esiste una società civile che non tollera di vedere sospesi i propri diritti, e non crede alla criminalizzazione di un movimento che sabato ha portato a Genova più di 200.000 persone che non hanno commesso alcun tipo di violenza.
Ti ringrazio per l'attenzione.
Martedì manifestazioni in tutte le città
Protestiamo contro la gestione della sicurezza da parte delle forze dell'ordine durante il g8
Caro lettore.
Non so per quale motivo sei su questa pagina, e non conosco le tue opinioni sui fatti successi a Genova durante il g8.
Io c'ero, e in questa pagina puoi trovare un mio resoconto, ancora incompleto.
Ho assistito di persona a vari episodi, il più grave dei quali è stato l'irruzione di polizia e carabinieri nelle scuole Diaz e Pascoli sabato sera, che si è conclusa con vari arresti e 92 feriti. Tra i malmenati, anche diversi giornalisti.
Chi era presente, ha assistito sgomento a una scena che sembrava impossibile in uno stato democratico.
Tornando a casa, ha potuto assistere altrettanto sgomento, attraverso la tv, alla strumentalizzazione dell'episodio da parte delle forze dell'ordine e dello stesso Presidente del Consiglio.
Il ritrovamento di coltellini, picconi e altre 'armi' comproverebbe, secondo l'on. Berlusconi, la connivenza delle frange violente con il Genoa Social Forum.
Io ero presente, e ha partecipato al servizio d'ordine che controllava gli accessi delle scuole. Posso dire che, ammesso che ci fossero esponenti delle frange violente all'interno delle scuole al momento dell'irruzione, esse non avevano bisogno di nessuna connivenza col Genoa Social Forum per entrare e nascondere qualsiasi arma.
La Diaz (una scuola adibita a palestra) non era, come è stato detto, "la sede del GSF", bensì uno spazio pubblico dove chiunque poteva entrare e adoperare i computer. Chiunque. Anche infiltrati, di qualsiasi tipo.
Accusare il GSF di connivenza col "black block" e le altre frange estreme che hanno rovinato una città e la pacifica manifestazione di protesta di più di 200.000 persone, è un atto gravissimo e irresponsabile.
Caro lettore.
Qualsiasi sia la tua opinione sul G8, sui risultati del vertice, sulla protesta di questi giorni, ti chiedo un atto di fiducia. Non sono un attivista politico, ma un semplice osservatore. Alcuni quotidiani hanno riportato una versione distorta dei fatti. Ma le notizie su Genova che tra oggi e ieri sono state riportate, per esempio, dall'Unità e dal Manifesto, disegnano, a mio parere, il quadro verisimile dei fatti. Ti chiedo, se ne hai la possibilità, di leggere e far leggere questi giornali. E ti chiedo di partecipare alle manifestazioni di protesta di domani, a cui il Genoa Social Forum ha invitato in tutte le città d'Italia.
Occorre dare a questo governo, e ai membri delle forze dell'ordine (che non possiamo, non vogliamo credere tutti complici degli abusi commessi in questi giorni) un messaggio chiaro: in Italia esiste una società civile che non tollera di vedere sospesi i propri diritti, e non crede alla criminalizzazione di un movimento che sabato ha portato a Genova più di 200.000 persone che non hanno commesso alcun tipo di violenza.
Ti ringrazio per l'attenzione.
Ho ripreso il filo del mio racconto, dalla mattina di venerdì. In seguito metterò anche il sabato e la domenica.
Per quelli che leggono dall’Italia: non aspettatevi di imparare cose che non abbiate visto già. Le informazioni viaggiano molto più veloci delle persone, e mentre io arrivavo, facevo la doccia, telefonavo, imprecavo, dormivo, in tv e in rete è stato detto e mostrato tutto.
La mia storia vale quel che vale: ero uno su duecentomila, forse trecentomila. La finisco perché le storie vanno finite.
Genova – Venerdì, 20 luglio 2001 (completata)
Non si può più scherzare, vero? Eravamo appena tornati dal corteo ieri sera. Avevamo appena saputo che "un ragazzo era morto". E proprio in quel momento l'altoparlante di piazzale Kennedy ha iniziato a far sentire "Genova per noi", la sigla abituale. Per poco non menavano il deejay.
Non si può più scherzare. A chi interessasse, la mia giornata di venerdì:
Ho fatto la notte al portone del Centro Media, e siccome continuava a venir gente, siccome nessuno immaginava di potermi dare il cambio, mi sono addormentato alle otto, sul materassino di Glauco, che si alzava per andare a visitare la tomba di Mazzini. Glauco è un attivista repubblicano, uno degli ultimi.
(La bandiera della “federazione giovanile repubblicana” è insospettabilmente rossa, rossissima, e mi hanno raccontato che la loro visita ha gettato scompiglio in cimitero: qualcuno ha anche chiamato la polizia).
Non credevo di essere così stanco. Mi sono svegliato a un quarto alle dodici, a pochi minuti dall'inizio delle manifestazioni. In palestra non c'era più nessuno, di fianco a me solo i calzini che Glauco mi aveva lasciato. La mia roba è sparsa tra il Centro e l'accampamento, non faccio in tempo a tornare, avrei preferito mettermi i jeans e non esporre troppa pelle in caso di gas, ma non c'è tempo. Mi hanno fregato la cartina e non trovo gli occhialini. Non così, non così volevo prepararmi alla giornata.
Mi ritrovo con Glauco o gli altri, e proviamo a raggiungere piazza Carignano. Dall'alto vediamo un corteo già partito. "Sono i Cobas". "Ma va là. I cobas sono sindacalisti, sono tranquilli..."
Invece questi hanno faccia coperta, oggetti contundenti in mano, e si divertono a buttar giù i cassonetti. Attraversiamo piuttosto in fretta.
Nel corso Brigate Partigiane la prima schiera di poliziotti antisommossa. Prima si schierano da una parte, poi dall'altra, ma non si muovono. Come se i casini nell'isolato di fianco non li riguardassero.
Raggiungiamo piazzale Carignano. E' il corteo di Attac, dell'Arci, di Rifondazione adulta (Rifondazione giovane è con le tute bianche al Carlini). Scopriremo in giornata che è uno dei cortei meglio organizzati, o forse uno dei più fortunati. Imbecilli se ne vedono anche qui. Ma il servizio d'ordine funziona.
Procediamo verso piazza Dante.
"E perché ci fermiamo ora?"
"Perché siamo davanti alla zona rossa"
"Ah, è quella lì?"
Inizia una rumorosa manifestazione di disturbo. Si urla e si picchia contro le grate.
A un certo punto dall'altra parte del reticolato si vede arrivare una camionetta in tutta velocità. Gettano qualcosa. La gente indietreggia, alcuni corrono. Ma si fermano subito: è solo un idrante. La prima fila resta appesa alle reti, si prende il getto d'acqua e mostra il dito.
"Hai visto? E' la forestale. Ci mandano contro la forestale..."
Gli attivisti di attac riescono a far entrare un grappolo di palloncini in zona rossa. Applausi. A dire il vero il mio gruppetto comincia ad annoiarsi. Chi vuole cercare da mangiare, chi andare verso le tute bianche. Intanto torniamo in p.za Carignano. C'è un ragazzo di Attac steso a terra, sembra abbia una distorsione. In realtà si è preso una pallottola di gomma mentre si attardava per recuperare sue compagni. Arriva il furgone della Pubblca assistenza, lui rifiuta di salire.
Sentiamo le prime brutte notizie. Il Black block sta facendo disastri nella zona di Corso Torino. Hanno dato fuoco a una macchina davanti alla sede di Attac. C'è una specie di assedio a Piazzale Kennedy (ma cosa c'entra con la Zona Rossa?), dove hanno ripiegato i Cobas.
Sale in piazza Carignano un corteo. Foulard rossi con pugno giallo, slogan in inglese (Resist! Revolt! Fuck Berlusconi!). E' un organizzazione internazionale, Socialist Work Party. Sono allegri e tranquilli. In mezzo a loro, un paio di scarafaggi neri col muso coperto.
"Andiamo via?"
A me non sembra prudente. E poi mi piace qui, me la sono scelta, è la mia manifestazione.
Incontro le amiche di Barbara: adesso sto molto di meglio. Non avevo notizie di loro da ieri sera. Tutto bene, non sanno neanche che strada hanno fatto, ma sono lì, e sembra il posto più sicuro. Hanno fatto una strada strana, hanno chiesto ai genovesi alla finestra, si sono incontrati con il pink bloc, che è un'altra garanzia di sicurezza. Davanti agli scudi Barbara ha srotolato uno striscione: Non avete caldo con le tute antisommossa?
"Si sono messi a ridere e ci hanno fatto segno di passare".
"Guarda, non si sta bene qui? Tu ti fai troppe storie".
Sono con Glauco e gli altri sul pratino in piazzale della Vittoria. La città è deserta. Da un lato e dall'altro, s'intravede il luccichio degli scudi antisommossa. Al cellulare mi arrivano, non so esattamente il perché, messaggi come da una battaglia ("Cobas Ko. Ripiegare p.za Kennedy). E io sono qui, nel silenzio. Mi sono tolto le scarpe e cammino sull'aiuola. Dopo aver mugugnato contro Glauco, che secondo me non era prudente, che dividersi in gruppetti è sconsigliato, ho deciso di accompagnarli. Ciascuno gestisce la sua inquietudine come può. E poi anch'io ho fame.
Alla fine della giornata rimarrà lo stupore per essere passato in tanti luoghi caldi nel momento 'sbagliato'. A sentire la conferenza stampa serale la battaglia c'è stata davvero a P.le Kennedy, come no. Ma quando arriviamo noi è tutto tranquillo, Legambiente fa degli ottimi panini, ci sediamo e rischiamo di non volerci alzare più.
Passa un tizio tutto nero. Chiede una maglietta. Dice che lavora in acciaieria, passava di lì col motorino e si è beccato un manganello in faccia. "Guardate, è uno di quelli neri!, dicevano. Cosa ci posso fare se mi piace il nero".
Un manganello in faccia. Mm. Come minimo gli avrebbero spaccato gli occhiali. Mi fido sempre di meno.
Decido di accompagnare un gruppetto che vuole tornare verso piazza Dante. E' prudente? Non so, mi sembra che il peggio sia passato. Sfiliamo davanti ai carabinieri, una signora con me ne incontra uno 'dal volto umano'.
"Vogliamo andare in P.za Dante, è sicuro?"
"Cosa le posso dire, signora, lei ha certo più anni di me".
"Sì, volevamo sapere soltanto se ci si può andare".
"E vabbene, se parte dai preconcetti, signora... guardi che io sono stato anche in missione in Africa, sa? Vi diciamo che c'è una brutta situazione, sarebbe meglio non andare da nessuna parte".
"Perché, non è sicuro da nessuna parte".
"No".
Un po' cafone. Un po' allarmista. Un volto umano, comunque.
A metà strada incontriamo il corteo da Piazza Dante che rientra. Più tardi sapremo il perché. Rivedo Jan, Barbara.
"Tutto bene?"
"Ci hanno caricati coi fumogeni alla fine, proprio mentre stavamo andando via"
Durante le azioni di disturbo, davanti alla rete, passava un agente con lo spray orticante. Mirava agli occhi e scappava.
Ma va tutto bene. Nessuno si è fatto male. Ripassiamo come ieri per via Saffi, dove la polizia coi container ci ha sbarrato la vista del mare. Torniamo a salutare le anziane signore che sorridono dai balconi, alcune alzano il pugno, altre gettano bottigliette d’acqua. È persino più bello di ieri, oggi che c’è il sole. Barbara ha ritrovato un suo amico francese. Il dj chiede se qualcuno ha dei cd, lui li ha finiti. Ci rifila poi l’ennesima Bella Ciao.
Sfiliamo senza problemi di fronte ai carabinieri, Attac fa un cordone per evitare sorprese. E quando arriviamo a piazzale Kennedy pensiamo che tutto sommato la giornata è finita bene. Le ragazze si mettono in coda per il gabinetto, io penso di meritarmi un panino di Manu Chao (c’è uno stand che distribuisce panini gratis, offre lui). Sto per avviarmi quando mi squilla il cellulare. È un amico da casa: ogni tanto chiamano, vogliono sapere se stiamo bene, ci chiedono conferma delle notizie, ci dicono dove non è prudente andare. Di solito sono meglio informati di noi.
“Va tutto bene”, dico io. È il ritornello di questi giorni. “Stiamo tutti bene”.
“Sì? Perché qui dicono che c’è un ragazzo morto”.
La notizia sta invadendo il piazzale da ogni direzione. C’è un ragazzo in fin di vita, c’è un ragazzo morto, sono in due, una è una ragazza, c’è anche una persona che è morta d’infarto. Chi la impara al cellulare, chi l’ha sentita dire, chi era lì. Come Glauco: cercando le Tute Bianche era proceduto in una zona lasciata deserta dalla battaglia. Finché non si era trovato davanti a un cordone di polizia, stretto intorno a un blindato.
“L’hai visto?”
“No, non si riusciva a vedere niente”.
Non ho più fame. Mi ritrovo in una folla seduta in cerchio: in fondo c’è Agnoletto che cerca di farsi sentire con l’altoparlante di un furgone. C’è molta tensione in giro, sui volti, negli sguardi. Agnoletto annuncia che, seguendo l’invito del sindaco (che ha ammesso che la situazione non è sotto controllo), il GSF ha richiamato i gruppi nel piazzale. Parla di vittime ma non conferma ancora il numero. E denuncia, per la prima volta, l’infiltrazione dei gruppi violenti nelle varie manifestazioni della giornata. Ma annuncia anche, inspiegabilmente, che “Abbiamo vinto”, anche se a un prezzo altissimo. Ma cosa abbiamo vinto, esattamente? “Una delegazione del GSF si recherà immediatamente a chiedere la sospensione del G8”. D’accordo. Ma se non lo sospenderanno, come appare più che plausibile?
La parola passa agli altri portavoce. Tutti, in ogni zona, hanno avuto una giornata difficile, e confermano: ci sono state infiltrazioni di gruppi “neri” e violenti, e le forze dell’ordine non hanno fatto nulla per evitarle. Anzi le hanno favorite.
All’appello mancano ancora alcuni gruppi, tra cui le Tute Bianche, che sono state caricate molto prima di raggiungere le barriere della zona Rossa. Si dice che la polizia li abbia accolti sparando. Si dice che le cariche continuino ancora. A un tratto vediamo una fumana grigia in direzione di Corso Sardegna.
“Sono lì! E noi cosa stiamo qui a parlare? Andiamo ad aiutarli!”
I portavoce fanno non poca fatica a farsi intendere. La gente è arrabbiata e non ragiona. È in quel momento che l’elicottero dei carabinieri decide di rimanere sopra di noi, per tre-quattro minuti. Col rumore delle pale è impossibile capirsi. Ci si può solo arrabbiare, urlare, mostrare il dito. Finché l’elicottero non se ne va via, lasciandoci più nervosi di prima.
Un’amica di Ric le chiede per telefono di controllare se la sua macchina è a posto. Lo accompagno nella zona di corso Torino. La mattina avevamo visto i scendere i neri di lì: ora vediamo i risultati. Vetrine, cassonetti, macchine, tutto distrutto. E in quella desolazione vediamo venire avanti un corteo arancione.
“Scusa, voi chi siete?”
“Siamo di Lilliput”.
“Ah, quindi delle tute bianche non ne sapete niente”.
“No, mi dispiace”.
Anche la rete di Lilliput non dovrebbe aver sofferto ingiurie. Questione di buona organizzazione, e forse anche di fortuna.
Proprio in quel momento un ragazzo, davanti a me, si avvicina all’ultima campana del vetro reciclabile rimasta in piedi e la scuote giù. Indossa la maglietta arancione di Lilliput. Ma non è italiano, si vede benissimo che non è italiano. E ha una faccia che dice: lasciatemi fare perché sono incazzato.
Intorno a lui gli altri lilliput sono allibiti. “Ma cosa fai?”. Altri applaudono per ironia. “Bravo, bravo. E adesso cos’hai risolto?”. Ma lui non è italiano, non capisce. E non si capisce come mai sia lì.
Risaliamo verso le scuole Pascoli-Diaz, la sede del Centro Media. Dall’alto vediamo una fumata nera su corso Italia, davanti a piazzale Kennedy. Hanno dato fuoco a una banca. Davanti a tutti.
In serata i miei amici si raccolgono, decidono di passare la serata nel campeggio di Lilliput. Io sono tentato di andare con loro: là c’è altra gente che conosco, poi si va a prendere una pizza… ma all’ultimo momento decido di no, riprendo lo zaino e torno alla mia tenda. Voglio rimanere qui, vicino agli avvenimenti. È un istinto puerile, è l’istinto della farfalla intorno alla lampadina, ma so che se succedesse ancora qualcosa e io non fossi qui non riuscirei più a perdonarmelo.
Torno al centro media, voglio provare a buttar giù qualcosa. Cosa? Fino a ieri ero qui per scrivere “pezzi di colore”. Ma ieri è come fosse un anno fa.
Invece di entrare nella sala stampa, dove hanno linux che mi si pianta spesso e bene, entro nella scuola di fronte. È lì che ho visto ragazzi con la faccia seria e intelligente consultare dossier sulla strategia della tensione in inglese, e le foto del ragazzo schiacciato dal blindato moltiplicate all’infinito. Italiani, tedeschi, nessuno sembra minaccioso. Il giorno prima era toccato a noi mandare via tutti verso mezzanotte e chiudere con un lucchetto e una catena da bicicletta. Avevamo mandato via qualche ragazzo che scriveva mail a casa, e un gruppo di tedeschi che preparava uno striscione. Tutti tranquilli. Tutti gentili.
È qui che quel venerdì, ho scritto:
“ci andrei piano con dichiarazioni del tipo: Abbiamo vinto. Intanto abbiamo perduto una persona. E forse abbiamo anche perso di vista i contenuti. Che il g8 si svolga o no, è veramente così importante? Eravamo qui per far sentire le nostre proposte, ora siamo schiacciati tra forze dell'ordine e black block. E dobbiamo urlare per capirci. Ma urlare non aiuta a calmarsi...”
Poi il mal di testa ha avuto il sopravvento e sono tornato al campeggio.
Il mio piccolo campeggio pieno di ragazzi stranieri. Voci francesi, tedesche, bandiere irlandesi, bandiere rosse, bandiere nere. Ma che gente è veramente? Perché sembrano essere arrivati per primi? Cosa c’è nei loro furgoni? E perché polizia e carabinieri, che fermano chiunque esca dal campeggio del Carlini (sede di tute bianche e altri) non è mai entrata lì? C’è la caserma dei Carabinieri proprio di fronte. Una grande caserma. Più grande del campeggio. Ma ha altro da fare, si vede.
Mi addormento di sasso, subito.
Per quelli che leggono dall’Italia: non aspettatevi di imparare cose che non abbiate visto già. Le informazioni viaggiano molto più veloci delle persone, e mentre io arrivavo, facevo la doccia, telefonavo, imprecavo, dormivo, in tv e in rete è stato detto e mostrato tutto.
La mia storia vale quel che vale: ero uno su duecentomila, forse trecentomila. La finisco perché le storie vanno finite.
Genova – Venerdì, 20 luglio 2001 (completata)
Non si può più scherzare, vero? Eravamo appena tornati dal corteo ieri sera. Avevamo appena saputo che "un ragazzo era morto". E proprio in quel momento l'altoparlante di piazzale Kennedy ha iniziato a far sentire "Genova per noi", la sigla abituale. Per poco non menavano il deejay.
Non si può più scherzare. A chi interessasse, la mia giornata di venerdì:
Ho fatto la notte al portone del Centro Media, e siccome continuava a venir gente, siccome nessuno immaginava di potermi dare il cambio, mi sono addormentato alle otto, sul materassino di Glauco, che si alzava per andare a visitare la tomba di Mazzini. Glauco è un attivista repubblicano, uno degli ultimi.
(La bandiera della “federazione giovanile repubblicana” è insospettabilmente rossa, rossissima, e mi hanno raccontato che la loro visita ha gettato scompiglio in cimitero: qualcuno ha anche chiamato la polizia).
Non credevo di essere così stanco. Mi sono svegliato a un quarto alle dodici, a pochi minuti dall'inizio delle manifestazioni. In palestra non c'era più nessuno, di fianco a me solo i calzini che Glauco mi aveva lasciato. La mia roba è sparsa tra il Centro e l'accampamento, non faccio in tempo a tornare, avrei preferito mettermi i jeans e non esporre troppa pelle in caso di gas, ma non c'è tempo. Mi hanno fregato la cartina e non trovo gli occhialini. Non così, non così volevo prepararmi alla giornata.
Mi ritrovo con Glauco o gli altri, e proviamo a raggiungere piazza Carignano. Dall'alto vediamo un corteo già partito. "Sono i Cobas". "Ma va là. I cobas sono sindacalisti, sono tranquilli..."
Invece questi hanno faccia coperta, oggetti contundenti in mano, e si divertono a buttar giù i cassonetti. Attraversiamo piuttosto in fretta.
Nel corso Brigate Partigiane la prima schiera di poliziotti antisommossa. Prima si schierano da una parte, poi dall'altra, ma non si muovono. Come se i casini nell'isolato di fianco non li riguardassero.
Raggiungiamo piazzale Carignano. E' il corteo di Attac, dell'Arci, di Rifondazione adulta (Rifondazione giovane è con le tute bianche al Carlini). Scopriremo in giornata che è uno dei cortei meglio organizzati, o forse uno dei più fortunati. Imbecilli se ne vedono anche qui. Ma il servizio d'ordine funziona.
Procediamo verso piazza Dante.
"E perché ci fermiamo ora?"
"Perché siamo davanti alla zona rossa"
"Ah, è quella lì?"
Inizia una rumorosa manifestazione di disturbo. Si urla e si picchia contro le grate.
A un certo punto dall'altra parte del reticolato si vede arrivare una camionetta in tutta velocità. Gettano qualcosa. La gente indietreggia, alcuni corrono. Ma si fermano subito: è solo un idrante. La prima fila resta appesa alle reti, si prende il getto d'acqua e mostra il dito.
"Hai visto? E' la forestale. Ci mandano contro la forestale..."
Gli attivisti di attac riescono a far entrare un grappolo di palloncini in zona rossa. Applausi. A dire il vero il mio gruppetto comincia ad annoiarsi. Chi vuole cercare da mangiare, chi andare verso le tute bianche. Intanto torniamo in p.za Carignano. C'è un ragazzo di Attac steso a terra, sembra abbia una distorsione. In realtà si è preso una pallottola di gomma mentre si attardava per recuperare sue compagni. Arriva il furgone della Pubblca assistenza, lui rifiuta di salire.
Sentiamo le prime brutte notizie. Il Black block sta facendo disastri nella zona di Corso Torino. Hanno dato fuoco a una macchina davanti alla sede di Attac. C'è una specie di assedio a Piazzale Kennedy (ma cosa c'entra con la Zona Rossa?), dove hanno ripiegato i Cobas.
Sale in piazza Carignano un corteo. Foulard rossi con pugno giallo, slogan in inglese (Resist! Revolt! Fuck Berlusconi!). E' un organizzazione internazionale, Socialist Work Party. Sono allegri e tranquilli. In mezzo a loro, un paio di scarafaggi neri col muso coperto.
"Andiamo via?"
A me non sembra prudente. E poi mi piace qui, me la sono scelta, è la mia manifestazione.
Incontro le amiche di Barbara: adesso sto molto di meglio. Non avevo notizie di loro da ieri sera. Tutto bene, non sanno neanche che strada hanno fatto, ma sono lì, e sembra il posto più sicuro. Hanno fatto una strada strana, hanno chiesto ai genovesi alla finestra, si sono incontrati con il pink bloc, che è un'altra garanzia di sicurezza. Davanti agli scudi Barbara ha srotolato uno striscione: Non avete caldo con le tute antisommossa?
"Si sono messi a ridere e ci hanno fatto segno di passare".
"Guarda, non si sta bene qui? Tu ti fai troppe storie".
Sono con Glauco e gli altri sul pratino in piazzale della Vittoria. La città è deserta. Da un lato e dall'altro, s'intravede il luccichio degli scudi antisommossa. Al cellulare mi arrivano, non so esattamente il perché, messaggi come da una battaglia ("Cobas Ko. Ripiegare p.za Kennedy). E io sono qui, nel silenzio. Mi sono tolto le scarpe e cammino sull'aiuola. Dopo aver mugugnato contro Glauco, che secondo me non era prudente, che dividersi in gruppetti è sconsigliato, ho deciso di accompagnarli. Ciascuno gestisce la sua inquietudine come può. E poi anch'io ho fame.
Alla fine della giornata rimarrà lo stupore per essere passato in tanti luoghi caldi nel momento 'sbagliato'. A sentire la conferenza stampa serale la battaglia c'è stata davvero a P.le Kennedy, come no. Ma quando arriviamo noi è tutto tranquillo, Legambiente fa degli ottimi panini, ci sediamo e rischiamo di non volerci alzare più.
Passa un tizio tutto nero. Chiede una maglietta. Dice che lavora in acciaieria, passava di lì col motorino e si è beccato un manganello in faccia. "Guardate, è uno di quelli neri!, dicevano. Cosa ci posso fare se mi piace il nero".
Un manganello in faccia. Mm. Come minimo gli avrebbero spaccato gli occhiali. Mi fido sempre di meno.
Decido di accompagnare un gruppetto che vuole tornare verso piazza Dante. E' prudente? Non so, mi sembra che il peggio sia passato. Sfiliamo davanti ai carabinieri, una signora con me ne incontra uno 'dal volto umano'.
"Vogliamo andare in P.za Dante, è sicuro?"
"Cosa le posso dire, signora, lei ha certo più anni di me".
"Sì, volevamo sapere soltanto se ci si può andare".
"E vabbene, se parte dai preconcetti, signora... guardi che io sono stato anche in missione in Africa, sa? Vi diciamo che c'è una brutta situazione, sarebbe meglio non andare da nessuna parte".
"Perché, non è sicuro da nessuna parte".
"No".
Un po' cafone. Un po' allarmista. Un volto umano, comunque.
A metà strada incontriamo il corteo da Piazza Dante che rientra. Più tardi sapremo il perché. Rivedo Jan, Barbara.
"Tutto bene?"
"Ci hanno caricati coi fumogeni alla fine, proprio mentre stavamo andando via"
Durante le azioni di disturbo, davanti alla rete, passava un agente con lo spray orticante. Mirava agli occhi e scappava.
Ma va tutto bene. Nessuno si è fatto male. Ripassiamo come ieri per via Saffi, dove la polizia coi container ci ha sbarrato la vista del mare. Torniamo a salutare le anziane signore che sorridono dai balconi, alcune alzano il pugno, altre gettano bottigliette d’acqua. È persino più bello di ieri, oggi che c’è il sole. Barbara ha ritrovato un suo amico francese. Il dj chiede se qualcuno ha dei cd, lui li ha finiti. Ci rifila poi l’ennesima Bella Ciao.
Sfiliamo senza problemi di fronte ai carabinieri, Attac fa un cordone per evitare sorprese. E quando arriviamo a piazzale Kennedy pensiamo che tutto sommato la giornata è finita bene. Le ragazze si mettono in coda per il gabinetto, io penso di meritarmi un panino di Manu Chao (c’è uno stand che distribuisce panini gratis, offre lui). Sto per avviarmi quando mi squilla il cellulare. È un amico da casa: ogni tanto chiamano, vogliono sapere se stiamo bene, ci chiedono conferma delle notizie, ci dicono dove non è prudente andare. Di solito sono meglio informati di noi.
“Va tutto bene”, dico io. È il ritornello di questi giorni. “Stiamo tutti bene”.
“Sì? Perché qui dicono che c’è un ragazzo morto”.
La notizia sta invadendo il piazzale da ogni direzione. C’è un ragazzo in fin di vita, c’è un ragazzo morto, sono in due, una è una ragazza, c’è anche una persona che è morta d’infarto. Chi la impara al cellulare, chi l’ha sentita dire, chi era lì. Come Glauco: cercando le Tute Bianche era proceduto in una zona lasciata deserta dalla battaglia. Finché non si era trovato davanti a un cordone di polizia, stretto intorno a un blindato.
“L’hai visto?”
“No, non si riusciva a vedere niente”.
Non ho più fame. Mi ritrovo in una folla seduta in cerchio: in fondo c’è Agnoletto che cerca di farsi sentire con l’altoparlante di un furgone. C’è molta tensione in giro, sui volti, negli sguardi. Agnoletto annuncia che, seguendo l’invito del sindaco (che ha ammesso che la situazione non è sotto controllo), il GSF ha richiamato i gruppi nel piazzale. Parla di vittime ma non conferma ancora il numero. E denuncia, per la prima volta, l’infiltrazione dei gruppi violenti nelle varie manifestazioni della giornata. Ma annuncia anche, inspiegabilmente, che “Abbiamo vinto”, anche se a un prezzo altissimo. Ma cosa abbiamo vinto, esattamente? “Una delegazione del GSF si recherà immediatamente a chiedere la sospensione del G8”. D’accordo. Ma se non lo sospenderanno, come appare più che plausibile?
La parola passa agli altri portavoce. Tutti, in ogni zona, hanno avuto una giornata difficile, e confermano: ci sono state infiltrazioni di gruppi “neri” e violenti, e le forze dell’ordine non hanno fatto nulla per evitarle. Anzi le hanno favorite.
All’appello mancano ancora alcuni gruppi, tra cui le Tute Bianche, che sono state caricate molto prima di raggiungere le barriere della zona Rossa. Si dice che la polizia li abbia accolti sparando. Si dice che le cariche continuino ancora. A un tratto vediamo una fumana grigia in direzione di Corso Sardegna.
“Sono lì! E noi cosa stiamo qui a parlare? Andiamo ad aiutarli!”
I portavoce fanno non poca fatica a farsi intendere. La gente è arrabbiata e non ragiona. È in quel momento che l’elicottero dei carabinieri decide di rimanere sopra di noi, per tre-quattro minuti. Col rumore delle pale è impossibile capirsi. Ci si può solo arrabbiare, urlare, mostrare il dito. Finché l’elicottero non se ne va via, lasciandoci più nervosi di prima.
Un’amica di Ric le chiede per telefono di controllare se la sua macchina è a posto. Lo accompagno nella zona di corso Torino. La mattina avevamo visto i scendere i neri di lì: ora vediamo i risultati. Vetrine, cassonetti, macchine, tutto distrutto. E in quella desolazione vediamo venire avanti un corteo arancione.
“Scusa, voi chi siete?”
“Siamo di Lilliput”.
“Ah, quindi delle tute bianche non ne sapete niente”.
“No, mi dispiace”.
Anche la rete di Lilliput non dovrebbe aver sofferto ingiurie. Questione di buona organizzazione, e forse anche di fortuna.
Proprio in quel momento un ragazzo, davanti a me, si avvicina all’ultima campana del vetro reciclabile rimasta in piedi e la scuote giù. Indossa la maglietta arancione di Lilliput. Ma non è italiano, si vede benissimo che non è italiano. E ha una faccia che dice: lasciatemi fare perché sono incazzato.
Intorno a lui gli altri lilliput sono allibiti. “Ma cosa fai?”. Altri applaudono per ironia. “Bravo, bravo. E adesso cos’hai risolto?”. Ma lui non è italiano, non capisce. E non si capisce come mai sia lì.
Risaliamo verso le scuole Pascoli-Diaz, la sede del Centro Media. Dall’alto vediamo una fumata nera su corso Italia, davanti a piazzale Kennedy. Hanno dato fuoco a una banca. Davanti a tutti.
In serata i miei amici si raccolgono, decidono di passare la serata nel campeggio di Lilliput. Io sono tentato di andare con loro: là c’è altra gente che conosco, poi si va a prendere una pizza… ma all’ultimo momento decido di no, riprendo lo zaino e torno alla mia tenda. Voglio rimanere qui, vicino agli avvenimenti. È un istinto puerile, è l’istinto della farfalla intorno alla lampadina, ma so che se succedesse ancora qualcosa e io non fossi qui non riuscirei più a perdonarmelo.
Torno al centro media, voglio provare a buttar giù qualcosa. Cosa? Fino a ieri ero qui per scrivere “pezzi di colore”. Ma ieri è come fosse un anno fa.
Invece di entrare nella sala stampa, dove hanno linux che mi si pianta spesso e bene, entro nella scuola di fronte. È lì che ho visto ragazzi con la faccia seria e intelligente consultare dossier sulla strategia della tensione in inglese, e le foto del ragazzo schiacciato dal blindato moltiplicate all’infinito. Italiani, tedeschi, nessuno sembra minaccioso. Il giorno prima era toccato a noi mandare via tutti verso mezzanotte e chiudere con un lucchetto e una catena da bicicletta. Avevamo mandato via qualche ragazzo che scriveva mail a casa, e un gruppo di tedeschi che preparava uno striscione. Tutti tranquilli. Tutti gentili.
È qui che quel venerdì, ho scritto:
“ci andrei piano con dichiarazioni del tipo: Abbiamo vinto. Intanto abbiamo perduto una persona. E forse abbiamo anche perso di vista i contenuti. Che il g8 si svolga o no, è veramente così importante? Eravamo qui per far sentire le nostre proposte, ora siamo schiacciati tra forze dell'ordine e black block. E dobbiamo urlare per capirci. Ma urlare non aiuta a calmarsi...”
Poi il mal di testa ha avuto il sopravvento e sono tornato al campeggio.
Il mio piccolo campeggio pieno di ragazzi stranieri. Voci francesi, tedesche, bandiere irlandesi, bandiere rosse, bandiere nere. Ma che gente è veramente? Perché sembrano essere arrivati per primi? Cosa c’è nei loro furgoni? E perché polizia e carabinieri, che fermano chiunque esca dal campeggio del Carlini (sede di tute bianche e altri) non è mai entrata lì? C’è la caserma dei Carabinieri proprio di fronte. Una grande caserma. Più grande del campeggio. Ma ha altro da fare, si vede.
Mi addormento di sasso, subito.
domenica 22 luglio 2001
Sono tornato a casa e sto bene.
Ieri - lo saprete già - c'è stata un'irruzione della polizia nelle scuole Diaz e Pascoli - quello che in questi giorni chiamavo "Centro Media". Noi eravamo lì. Cioè, no. Eravamo appena andati a prenderci una birra nel bar di fianco, sollevati nel constatare che tutto stava finendo. Da lì abbiamo visto passare le camionette della polizia. Poi una fila interminabile di autoambulanze posteggiate. Poi, pur dicendoci a vicenda che non era prudente, siamo andati a vedere.
Quel che abbiamo visto è duro da mandar giù.
Nelle prossime ore, con molta calma, cercherò di riprendere il filo e raccontare quello che ho visto io. Statemi bene.
Ieri - lo saprete già - c'è stata un'irruzione della polizia nelle scuole Diaz e Pascoli - quello che in questi giorni chiamavo "Centro Media". Noi eravamo lì. Cioè, no. Eravamo appena andati a prenderci una birra nel bar di fianco, sollevati nel constatare che tutto stava finendo. Da lì abbiamo visto passare le camionette della polizia. Poi una fila interminabile di autoambulanze posteggiate. Poi, pur dicendoci a vicenda che non era prudente, siamo andati a vedere.
Quel che abbiamo visto è duro da mandar giù.
Nelle prossime ore, con molta calma, cercherò di riprendere il filo e raccontare quello che ho visto io. Statemi bene.
sabato 21 luglio 2001
Genova - 16. Diretta dalla Conferenza stampa
Perché non ci sono più altoparlanti qui? Agnoletto ha una buona voce, è l'unico che riesce a farci sentire.
"Abbiamo portato le condoglianze alla famiglia Giuliani, abbiamo promesso un'affluenza di massa al funerale".
"Non è possibile che in questa città mille o duemila persone siano potute arrivare con bottiglie molotov, e la polizia non abbia fatto nulla per fermarli".
Ieri la polizia, invece di reprimere il black block, ha fatto il possibile per disperderli e mescolarli negli altri cortei".
"Per favore, nessuno ci chieda di prendere le distanze da questi gruppi. Sin dall'inizio noi avevamo dichiarato come ci saremmo mossi. Abbiamo dimostrato col nostro comportamento di non avere niente in comune con loro. La responsabilità noi la individuiamo nel governo".
"Cercheremo di investigare la composizione di questi gruppi, che sospettiamo più complessa di quanto non sembri".
"Com'è possibile che anche stamattina, dopo aver comunicato a tutti che i pullman arrivavano a Quarto, questi gruppi arrivino a Quarto e contiunuino nelle loro azioni di distruzione?"
"Appiamo notizia di azioni intimidorie e repressive delle forze dell'ordine contro persone isolate e disarmate.. Ci sono stati atti di violenza assolutamente ingiustificati".
Perché non ci sono più altoparlanti qui? Agnoletto ha una buona voce, è l'unico che riesce a farci sentire.
"Abbiamo portato le condoglianze alla famiglia Giuliani, abbiamo promesso un'affluenza di massa al funerale".
"Non è possibile che in questa città mille o duemila persone siano potute arrivare con bottiglie molotov, e la polizia non abbia fatto nulla per fermarli".
Ieri la polizia, invece di reprimere il black block, ha fatto il possibile per disperderli e mescolarli negli altri cortei".
"Per favore, nessuno ci chieda di prendere le distanze da questi gruppi. Sin dall'inizio noi avevamo dichiarato come ci saremmo mossi. Abbiamo dimostrato col nostro comportamento di non avere niente in comune con loro. La responsabilità noi la individuiamo nel governo".
"Cercheremo di investigare la composizione di questi gruppi, che sospettiamo più complessa di quanto non sembri".
"Com'è possibile che anche stamattina, dopo aver comunicato a tutti che i pullman arrivavano a Quarto, questi gruppi arrivino a Quarto e contiunuino nelle loro azioni di distruzione?"
"Appiamo notizia di azioni intimidorie e repressive delle forze dell'ordine contro persone isolate e disarmate.. Ci sono stati atti di violenza assolutamente ingiustificati".
venerdì 20 luglio 2001
Genova - 14
Cosa posso dire. Guardate indymedia...
Sono veramente frastornato. Non credo di poter raccontare nulla stasera. E poi a me non è successo praticamente niente, e qui invece è successo di tutto. Rimando forse a domani.
Qui di fianco a me quasi tutti i computer mostrano le foto del ragazzo sparato e investito. Due tedeschi stanno leggendo un dossier in inglese sulla strategia della tensione. E proprio ora indymedia ci informa che qua fuori la polizia 'controlla' le persone.
Tutto sommato qui la gente ha facce attente e sveglie. Giù a Piazzale Kennedy invece sulle facce si leggeva soprattutto rabbia e stanchezza.
La conferenza stampa di stasera è stata messa su con mezzi di fortuna, attorno a un camper dell'Arci, con una pessima acustica. E' lì che, tra uno slogan e l'altro, è partita la richiesta ufficiale di sospendere il vertice. E delle dimissioni di Scajola. (Leggo che Fini lo sta già coprendo. E non abbiamo ancora finito di contare le vittime. E' ributtante). Ha preso la parola anche Bové, per dire che non ha mai visto una repressione poliziesca così. Lui, arrestato in Francia e in Israele. Intanto dalla città si vedeva salire uno sbuffo di fumo grigio. Forse dalla zona delle tute bianche.
E poi, mentre qualcun altro parlava, il solito elicottero si è fermato proprio sopra di noi, per un paio di minuti. Per darci un'occhiata, per darci fastidio, per evitare che ci ascoltassimo, cosa che già facciamo con difficoltà. La voglia di cedere alla rabbia era molto forte. Ma per fare cosa?
Vediamo domani. Nel frattempo ci andrei piano con dichiarazioni del tipo: Abbiamo vinto. Intanto abbiamo perduto una persona. E forse abbiamo anche perso di vista i contenuti. Che il g8 si svolga o no, è veramente così importante? Eravamo qui per far sentire le nostre proposte, ora siamo schiacciati tra forze dell'ordine e black block. E dobbiamo urlare per capirci. Ma urlare non aiuta a calmarsi...
Forse butterò via questo appunto domattina. Sono stanco e non ragiono bene. Di regola dovrei limitarmi a raccontare quel che vedo e quel che vivo, senza troppe considerazioni generali. Purtroppo quel che ho visto e vissuto è veramente insignificante rispetto alla gravità dei fatti. Ringrazio tutti quelli che mi hanno chiamato, e che sono passati dal sito, veramente tanti. Ringrazio anche i miei compagni di oggi, Glauco incluso, anche se ci siamo presi contro tutto il giorno. Buona notte e speriamo per domani.
Cosa posso dire. Guardate indymedia...
Sono veramente frastornato. Non credo di poter raccontare nulla stasera. E poi a me non è successo praticamente niente, e qui invece è successo di tutto. Rimando forse a domani.
Qui di fianco a me quasi tutti i computer mostrano le foto del ragazzo sparato e investito. Due tedeschi stanno leggendo un dossier in inglese sulla strategia della tensione. E proprio ora indymedia ci informa che qua fuori la polizia 'controlla' le persone.
Tutto sommato qui la gente ha facce attente e sveglie. Giù a Piazzale Kennedy invece sulle facce si leggeva soprattutto rabbia e stanchezza.
La conferenza stampa di stasera è stata messa su con mezzi di fortuna, attorno a un camper dell'Arci, con una pessima acustica. E' lì che, tra uno slogan e l'altro, è partita la richiesta ufficiale di sospendere il vertice. E delle dimissioni di Scajola. (Leggo che Fini lo sta già coprendo. E non abbiamo ancora finito di contare le vittime. E' ributtante). Ha preso la parola anche Bové, per dire che non ha mai visto una repressione poliziesca così. Lui, arrestato in Francia e in Israele. Intanto dalla città si vedeva salire uno sbuffo di fumo grigio. Forse dalla zona delle tute bianche.
E poi, mentre qualcun altro parlava, il solito elicottero si è fermato proprio sopra di noi, per un paio di minuti. Per darci un'occhiata, per darci fastidio, per evitare che ci ascoltassimo, cosa che già facciamo con difficoltà. La voglia di cedere alla rabbia era molto forte. Ma per fare cosa?
Vediamo domani. Nel frattempo ci andrei piano con dichiarazioni del tipo: Abbiamo vinto. Intanto abbiamo perduto una persona. E forse abbiamo anche perso di vista i contenuti. Che il g8 si svolga o no, è veramente così importante? Eravamo qui per far sentire le nostre proposte, ora siamo schiacciati tra forze dell'ordine e black block. E dobbiamo urlare per capirci. Ma urlare non aiuta a calmarsi...
Forse butterò via questo appunto domattina. Sono stanco e non ragiono bene. Di regola dovrei limitarmi a raccontare quel che vedo e quel che vivo, senza troppe considerazioni generali. Purtroppo quel che ho visto e vissuto è veramente insignificante rispetto alla gravità dei fatti. Ringrazio tutti quelli che mi hanno chiamato, e che sono passati dal sito, veramente tanti. Ringrazio anche i miei compagni di oggi, Glauco incluso, anche se ci siamo presi contro tutto il giorno. Buona notte e speriamo per domani.
Appunti da Genova - 13
Cari amici vicini e lontani
Mi hanno chiamato in tanti. Ringrazio tutti. Tra le domande: stai bene? Sto bene. Ho solo i piedi un po' umidi. E' possibile avere una maglietta gialla? Mah, io per esempio ne ho una. Fatemi un prezzo. Cos'è quel rumore che si sente in sottofondo come un elicottero? E' un elicottero. E le ragazze come sono? Veramente simpatiche e alla mano. Esempio: ho dettato a una ragazza californiana un paio d'indirizzi (avevo fretta che lasciasse il PC, stavo chiudendo), e lei: io sto a L.A., se vuoi ti lascio la mail, così se passi di lì puoi dormire da me. Ma sì, perché no, se passo di lì...
E mi fa piacere che mi troviate divertente. Non che sia stata tutta da ridere, finora, ma la commedia è l'unico genere che mi riesce bene. Non voglio neanche pensare cosa succederebbe se da domani fossi forzato a cambiare di tono. No. Spero di proseguire con la commedia per altri due giorni.
Vi saluto, da Modena stanno arrivando Glauco e Ponz, e devo pilotarli fin qui. Portano rinforzi. Portano calzini freschi. Sono contento.
Cari amici vicini e lontani
Mi hanno chiamato in tanti. Ringrazio tutti. Tra le domande: stai bene? Sto bene. Ho solo i piedi un po' umidi. E' possibile avere una maglietta gialla? Mah, io per esempio ne ho una. Fatemi un prezzo. Cos'è quel rumore che si sente in sottofondo come un elicottero? E' un elicottero. E le ragazze come sono? Veramente simpatiche e alla mano. Esempio: ho dettato a una ragazza californiana un paio d'indirizzi (avevo fretta che lasciasse il PC, stavo chiudendo), e lei: io sto a L.A., se vuoi ti lascio la mail, così se passi di lì puoi dormire da me. Ma sì, perché no, se passo di lì...
E mi fa piacere che mi troviate divertente. Non che sia stata tutta da ridere, finora, ma la commedia è l'unico genere che mi riesce bene. Non voglio neanche pensare cosa succederebbe se da domani fossi forzato a cambiare di tono. No. Spero di proseguire con la commedia per altri due giorni.
Vi saluto, da Modena stanno arrivando Glauco e Ponz, e devo pilotarli fin qui. Portano rinforzi. Portano calzini freschi. Sono contento.
Appunti da Genova - 12
Piove sul G8
Piove. Per il secondo giorno. Molto più che il primo giorno. Piove con insistenza, con determinazione. Piove, e tutto diventa più difficile. Perché, perché deve sempre piovere? Perché perché. Perché sono in ferie.
C'è poco da fare i fighetti con la tenda ben piantata stasera. Questo non è un acquazzone qualunque. Già tanto se riesco a fare un pezzo di strada con un sacco di nylon addosso, due buchi per le braccia e uno per la faccia. A piazzale Kennedy hanno fatto di tutto per fare il concerto, cinque o sei pezzi li hanno pure suonati, ma il pubblico è rimasto stipato sotto il capannone, nel fragore dei bonghi e delle danze irlandesi.
Lì sotto ho raccolto qualche voce senza riscontro, come quel gruppo di tedeschi alla manifestazione che avrebbe menato un infiltrato della digos. Molto più divertente è il comunicato stampa che annuncia l'iniziativa "Garlic for peace": una distribuzione gratuita di aglio ai presso i check point della zona rossa. Pare infatti che nelle scorse settimane si sia sviluppata una leggenda metropolitana secondo la quale sarebbe stato impossibile trovare aglio durante il G8 nella zona proibita. Leggenda che aveva portato all'accaparramento e all'effettiva scarsità di questo fondamentale ingradiente del pesto.
Molto più brutte le notizie dai campi. Il Carlini sembra una pozza di fango. La gente è rimasta bloccata al Piazzale, gli autobus non passano più e la linea dei taxi è sempre occupata. Io passo a scaldarmi presso il Centro Media, e decido di restare lì come volontario. La mia tenda è piuttosto umida...
Fatte le debite proporzioni, mi è venuto in mente un passo di Fenoglio, dove racconta della piena del fiume durante l'assedio di Alba. Cito a memoria: "Smisero di avere paura dei tedeschi e cominciarono ad avere paura del fiume".
Domani è la giornata più difficile, lo sappiamo tutti. Ma ora il problema è passare la nottata. E a domani ci penseremo domani.
Piove sul G8
Piove. Per il secondo giorno. Molto più che il primo giorno. Piove con insistenza, con determinazione. Piove, e tutto diventa più difficile. Perché, perché deve sempre piovere? Perché perché. Perché sono in ferie.
C'è poco da fare i fighetti con la tenda ben piantata stasera. Questo non è un acquazzone qualunque. Già tanto se riesco a fare un pezzo di strada con un sacco di nylon addosso, due buchi per le braccia e uno per la faccia. A piazzale Kennedy hanno fatto di tutto per fare il concerto, cinque o sei pezzi li hanno pure suonati, ma il pubblico è rimasto stipato sotto il capannone, nel fragore dei bonghi e delle danze irlandesi.
Lì sotto ho raccolto qualche voce senza riscontro, come quel gruppo di tedeschi alla manifestazione che avrebbe menato un infiltrato della digos. Molto più divertente è il comunicato stampa che annuncia l'iniziativa "Garlic for peace": una distribuzione gratuita di aglio ai presso i check point della zona rossa. Pare infatti che nelle scorse settimane si sia sviluppata una leggenda metropolitana secondo la quale sarebbe stato impossibile trovare aglio durante il G8 nella zona proibita. Leggenda che aveva portato all'accaparramento e all'effettiva scarsità di questo fondamentale ingradiente del pesto.
Molto più brutte le notizie dai campi. Il Carlini sembra una pozza di fango. La gente è rimasta bloccata al Piazzale, gli autobus non passano più e la linea dei taxi è sempre occupata. Io passo a scaldarmi presso il Centro Media, e decido di restare lì come volontario. La mia tenda è piuttosto umida...
Fatte le debite proporzioni, mi è venuto in mente un passo di Fenoglio, dove racconta della piena del fiume durante l'assedio di Alba. Cito a memoria: "Smisero di avere paura dei tedeschi e cominciarono ad avere paura del fiume".
Domani è la giornata più difficile, lo sappiamo tutti. Ma ora il problema è passare la nottata. E a domani ci penseremo domani.
Appunti da Genova - 11
La marcia internazionale dei migranti
I primi poliziotti in tenuta antisommossa li vediamo raggiungendo P.le Carignano.
Da lì si gode di un buon colpo d'occhio: siamo in tanti, molti di più di quanto mi sarei aspettato dopo il concerto di ieri.
Il piazzale è sovrastato da un enorme chiesa: sul frontone la Madonna alza le braccia al cielo, come a dire: ma dove arriveremo di questo passo, Signore. Ai fianchi San Pietro esprime un genuino stupore, mentre S. Paolo si gratta la testa penseroso mentre ci guarda metterci in fila, striscione dopo striscione, un gruppo dopo l'altro. Ce n'è parecchi, e di tutti i tipi. C'è anche un ragazzo con la bandiera della Roma. E alcuni signori con un paio di striminzite bandiere della quercia. Li vediamo e passiamo avanti.
In un modo o nell'altro finiamo nel codazzo dei giovani di Rifondazione, che hanno sostituito quasi del tutto gli slogan con il sound system ambulante. Il clima è disteso, c'è solo da segnalare un imbecille che si ferma a bruciare una bandiera USA raccattata in strada, a rischio di bruciare i compagni. E' nuvolo, ma fa caldo, e prima d'imboccare il tunnel di Piazzale Palermo iniziamo a rovesciarci addosso l'acqua dalle bottiglie. Non sappiamo ancora quanta acqua ci riserva il destino, da lì a poco.
Ogni tanto si vede qualche genovese alla finestra, che saluta con la manina o col pugno chiuso, o porge una bottiglia d'acqua, e si prende l'applauso delle migliaia di persone che passano di lì.
Ma perché su via Saffi ci hanno tolto con un muro di container la vista del mare? Che altro c'era che non potevamo vedere? Forse avevano paura che ci buttassimo sotto dalla diperazione?
Solo una volta imboccato il tunnel, in lieve discesa, riusciamo a farci una vaga idea di quanti siamo. Ci guardiamo dietro e vediamo una folla di persone che non finisce mai, forse là in fondo non hanno ancora svoltato dal corso Brigate Partigiane. Siamo tantissimi. La Rai dirà ventimila, il Secolo XIX cinquantamila. Io starei con la seconda stima (pur curioso di conoscere i dati della questura: diecimila?). Siamo molti di più di quanto non si aspettassero: il tragitto si allunga. Arriveremo un'ora più tardi.
Fino al corso Brigate Partigiane la polizia stazionava a tutte le uscite a rischio. Poi non s'è più vista (a parte i due elicotteri che ci ronzavano sopra continuamente): perché? Da quel momento l'atmosfera è cambiata. E' vero che molte vetrine erano chiuse (e dopotutto è giovedì), ma se il movimento facesse davvero paura ai genovesi, questi non terrebbero i bar aperti lungo il tragitto (hanno fatto buoni affari, quei bar). Sarà anche per la presenza di tutti questi punti di ristoro che la marcia, una volta arrivati sul lungomare, ha cominciato a sfilacciarsi. Ma insomma, l'atmosfera era serena. Diciamo pure festosa.
Ci avrebbe pensato la pioggia a rovinarci la festa.
La marcia internazionale dei migranti
I primi poliziotti in tenuta antisommossa li vediamo raggiungendo P.le Carignano.
Da lì si gode di un buon colpo d'occhio: siamo in tanti, molti di più di quanto mi sarei aspettato dopo il concerto di ieri.
Il piazzale è sovrastato da un enorme chiesa: sul frontone la Madonna alza le braccia al cielo, come a dire: ma dove arriveremo di questo passo, Signore. Ai fianchi San Pietro esprime un genuino stupore, mentre S. Paolo si gratta la testa penseroso mentre ci guarda metterci in fila, striscione dopo striscione, un gruppo dopo l'altro. Ce n'è parecchi, e di tutti i tipi. C'è anche un ragazzo con la bandiera della Roma. E alcuni signori con un paio di striminzite bandiere della quercia. Li vediamo e passiamo avanti.
In un modo o nell'altro finiamo nel codazzo dei giovani di Rifondazione, che hanno sostituito quasi del tutto gli slogan con il sound system ambulante. Il clima è disteso, c'è solo da segnalare un imbecille che si ferma a bruciare una bandiera USA raccattata in strada, a rischio di bruciare i compagni. E' nuvolo, ma fa caldo, e prima d'imboccare il tunnel di Piazzale Palermo iniziamo a rovesciarci addosso l'acqua dalle bottiglie. Non sappiamo ancora quanta acqua ci riserva il destino, da lì a poco.
Ogni tanto si vede qualche genovese alla finestra, che saluta con la manina o col pugno chiuso, o porge una bottiglia d'acqua, e si prende l'applauso delle migliaia di persone che passano di lì.
Ma perché su via Saffi ci hanno tolto con un muro di container la vista del mare? Che altro c'era che non potevamo vedere? Forse avevano paura che ci buttassimo sotto dalla diperazione?
Solo una volta imboccato il tunnel, in lieve discesa, riusciamo a farci una vaga idea di quanti siamo. Ci guardiamo dietro e vediamo una folla di persone che non finisce mai, forse là in fondo non hanno ancora svoltato dal corso Brigate Partigiane. Siamo tantissimi. La Rai dirà ventimila, il Secolo XIX cinquantamila. Io starei con la seconda stima (pur curioso di conoscere i dati della questura: diecimila?). Siamo molti di più di quanto non si aspettassero: il tragitto si allunga. Arriveremo un'ora più tardi.
Fino al corso Brigate Partigiane la polizia stazionava a tutte le uscite a rischio. Poi non s'è più vista (a parte i due elicotteri che ci ronzavano sopra continuamente): perché? Da quel momento l'atmosfera è cambiata. E' vero che molte vetrine erano chiuse (e dopotutto è giovedì), ma se il movimento facesse davvero paura ai genovesi, questi non terrebbero i bar aperti lungo il tragitto (hanno fatto buoni affari, quei bar). Sarà anche per la presenza di tutti questi punti di ristoro che la marcia, una volta arrivati sul lungomare, ha cominciato a sfilacciarsi. Ma insomma, l'atmosfera era serena. Diciamo pure festosa.
Ci avrebbe pensato la pioggia a rovinarci la festa.
Appunti da Genova - 10
Testimoni contro il G8
Perdonate quel che scrivo d'ora in poi - sono quasi le cinque del mattino e sto montando una specie di guardia al media-centre (anche in questo caso, bisogna stare attenti, ma alla fine si fa entrare tutti...)
Come sta Genova? Com'è andata la marcia dei migranti? E' difficile capirlo dal di dentro. Molte cose le sto imparando adesso dai giornali.
Genova è desolata. Non l'avrei mai capito continuando a circolare nel solito triangolo tra Piazzale Kennedy, Public Forum e Centro Media, brulicante di manifestanti. Ma basta cambiare la sponda della strada per accorgersi che le cose sono più sinistre di quel che sembrano: molte vetrine sono sbarrate con fogli di compensato. E se provi ad allontanarti dalle solite vie, ti ritrovi terribilmente solo. Passa giusto qualche volante. Dove sono tutti? Sbarrati dietro le finestre?
Mi sono imbattuto soltanto in un signore elegante che mi offriva un volantino. Io nicchiavo, indovinando in lui un testimone di Geova. Ma alla fine il disegno (raffigurante una tigre con dieci dentature, stile Apocalisse), ha finito per catturarmi.
Il volantino dimostrava, Bibbia alla mano, che il G8 segna l'inizio dell'età della Bestia, quel mostro il cui nome cifrato è 666, e che sarebbe in realtà un'allegoria del WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio.. Seguiva un'astrusa teoria per dimostrare come tutti i codici a barre del mondo nascondono la stessa cifra. Il volantino era attribuito ai Testimoni di Geova contro il G8.
Anche Geova è dalla nostra...
Testimoni contro il G8
Perdonate quel che scrivo d'ora in poi - sono quasi le cinque del mattino e sto montando una specie di guardia al media-centre (anche in questo caso, bisogna stare attenti, ma alla fine si fa entrare tutti...)
Come sta Genova? Com'è andata la marcia dei migranti? E' difficile capirlo dal di dentro. Molte cose le sto imparando adesso dai giornali.
Genova è desolata. Non l'avrei mai capito continuando a circolare nel solito triangolo tra Piazzale Kennedy, Public Forum e Centro Media, brulicante di manifestanti. Ma basta cambiare la sponda della strada per accorgersi che le cose sono più sinistre di quel che sembrano: molte vetrine sono sbarrate con fogli di compensato. E se provi ad allontanarti dalle solite vie, ti ritrovi terribilmente solo. Passa giusto qualche volante. Dove sono tutti? Sbarrati dietro le finestre?
Mi sono imbattuto soltanto in un signore elegante che mi offriva un volantino. Io nicchiavo, indovinando in lui un testimone di Geova. Ma alla fine il disegno (raffigurante una tigre con dieci dentature, stile Apocalisse), ha finito per catturarmi.
Il volantino dimostrava, Bibbia alla mano, che il G8 segna l'inizio dell'età della Bestia, quel mostro il cui nome cifrato è 666, e che sarebbe in realtà un'allegoria del WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio.. Seguiva un'astrusa teoria per dimostrare come tutti i codici a barre del mondo nascondono la stessa cifra. Il volantino era attribuito ai Testimoni di Geova contro il G8.
Anche Geova è dalla nostra...
giovedì 19 luglio 2001
Appunti da Genova - 9
Mi piace Agnoletto, il suo stile. Basso e incazzoso. Non lo smuovi. Se la traduttrice non ce la fa si traduce da solo, e via che andiamo.
Comincia la conferenza stampa strigliando i giornalisti: il suo intervento presso i sindacati è stato travisato. Nessuno ha parlato della standing ovation che ne è seguita, invece è stato dato rilievo a una frase mai detta da Cofferati: "dal GSF non ho niente da imparare". E le pallottole al sindaco, non erano contro il sindaco, come ha riportato qualcuno: erano contro Agnoletto e Casarin.
Intorno a lui alcuni personaggi. Quando si presentano ho un sussulto: a sinistra c'è Susan George, a destra Walden Bello. Tra gli altri. Mi volto indietro, c'è un ragazzo a torso nudo. E poi uno col pass del G8 ufficiale e un'orrida camicia a righine, Gad Lerner. Resta 20 minuti e poi scompare.
La George ha un buon italiano e una certa fretta: "non siamo contro la globalizzazione: siamo contro le politiche neoliberiste espresse dal G8". Bello è una sorpresa: urla e batte i pugni: "La Banca Mondiale non è una parte della soluzione, è una parte del problema! Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale devono essere smantellati. Hanno parlato di ridurre il debito, e non c'è stata alcuna diminuzione del debito. Hanno parlato di riforma della Banca Mondiale e non c'è stata nessuna riforma!
Dalla scuola di fronte uno strepito improvviso. Nessun problema, è un'esercitazione. Due file di ragazzi impersonano a vicenda poliziotti e dimostranti. "Attenti a dove tenete le mani. Tenerle nelle tasche e minaccioso: chi vi guarda non sa cosa avete in tasca. C'è chi le tiene alzate: fate come volete, ma c'è il rischio di spingerle senza volere, e può essere interpretato come un gesto violento".
"Pronti? Ora una nuova situazione. Voi a destra state cercando di spostare la merda del vostro cane. Voi a sinistra siete nel parco, vedete il ragazzo col cane e cercate di mandarlo via. Via".
Torno alla conferenza stampa. Agnoletto ha messo via la traduttrice e risponde a braccio alle domande.
"Abbiamo saputo dell'adesione dei DS alla marcia del 21. Ogni nuova adesione è benvenuta. Aspettiamo comunque di sentire le motivazioni, che non ci sono ancora arrivate. Quella del 21 comunque non è una manifestazione neutra. Ci aspettiamo che questa adesione segni una rottura con la politica neoliberista degli ultimi anni: la politica del centrosinistra che ci ha portato alla guerra con la Jugoslavia. Now I'll try to translate".
"We are not surprised by the declaration of Tony Blair, E' un noto guerrafondaio. If he says we're nothing, this means he's surprised of how strong we are. Farebbe meglio a spiegare come mai in una situazione di agreement con la Francia i francesi bloccano i treni dall'Inghilterra alla frontiera".
"It is obvious that in stadium carlini there are disobedient persons! They are tute bianche, rifondazione and other ones, they are not armed, they will disobey with us!".
Quanto a me:
stamattina due buone notizie: il sole picchia, e ai cancelli c'era una fila di persone in uniforme. Erano vigili urbani che avevano montato una fontanella. Adesso va molto meglio. Certo, una doccia è un'altra cosa.
Mi piace Agnoletto, il suo stile. Basso e incazzoso. Non lo smuovi. Se la traduttrice non ce la fa si traduce da solo, e via che andiamo.
Comincia la conferenza stampa strigliando i giornalisti: il suo intervento presso i sindacati è stato travisato. Nessuno ha parlato della standing ovation che ne è seguita, invece è stato dato rilievo a una frase mai detta da Cofferati: "dal GSF non ho niente da imparare". E le pallottole al sindaco, non erano contro il sindaco, come ha riportato qualcuno: erano contro Agnoletto e Casarin.
Intorno a lui alcuni personaggi. Quando si presentano ho un sussulto: a sinistra c'è Susan George, a destra Walden Bello. Tra gli altri. Mi volto indietro, c'è un ragazzo a torso nudo. E poi uno col pass del G8 ufficiale e un'orrida camicia a righine, Gad Lerner. Resta 20 minuti e poi scompare.
La George ha un buon italiano e una certa fretta: "non siamo contro la globalizzazione: siamo contro le politiche neoliberiste espresse dal G8". Bello è una sorpresa: urla e batte i pugni: "La Banca Mondiale non è una parte della soluzione, è una parte del problema! Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale devono essere smantellati. Hanno parlato di ridurre il debito, e non c'è stata alcuna diminuzione del debito. Hanno parlato di riforma della Banca Mondiale e non c'è stata nessuna riforma!
Dalla scuola di fronte uno strepito improvviso. Nessun problema, è un'esercitazione. Due file di ragazzi impersonano a vicenda poliziotti e dimostranti. "Attenti a dove tenete le mani. Tenerle nelle tasche e minaccioso: chi vi guarda non sa cosa avete in tasca. C'è chi le tiene alzate: fate come volete, ma c'è il rischio di spingerle senza volere, e può essere interpretato come un gesto violento".
"Pronti? Ora una nuova situazione. Voi a destra state cercando di spostare la merda del vostro cane. Voi a sinistra siete nel parco, vedete il ragazzo col cane e cercate di mandarlo via. Via".
Torno alla conferenza stampa. Agnoletto ha messo via la traduttrice e risponde a braccio alle domande.
"Abbiamo saputo dell'adesione dei DS alla marcia del 21. Ogni nuova adesione è benvenuta. Aspettiamo comunque di sentire le motivazioni, che non ci sono ancora arrivate. Quella del 21 comunque non è una manifestazione neutra. Ci aspettiamo che questa adesione segni una rottura con la politica neoliberista degli ultimi anni: la politica del centrosinistra che ci ha portato alla guerra con la Jugoslavia. Now I'll try to translate".
"We are not surprised by the declaration of Tony Blair, E' un noto guerrafondaio. If he says we're nothing, this means he's surprised of how strong we are. Farebbe meglio a spiegare come mai in una situazione di agreement con la Francia i francesi bloccano i treni dall'Inghilterra alla frontiera".
"It is obvious that in stadium carlini there are disobedient persons! They are tute bianche, rifondazione and other ones, they are not armed, they will disobey with us!".
Quanto a me:
stamattina due buone notizie: il sole picchia, e ai cancelli c'era una fila di persone in uniforme. Erano vigili urbani che avevano montato una fontanella. Adesso va molto meglio. Certo, una doccia è un'altra cosa.
Appunti da Genova - 8
Sono molto fiero della mia tenda. L'ho piantata senza picchetti, con dei rametti di bambù, in questo maledetto terriccio ligure, secco e tutto sassi. E lei se n'è rimasta lì, sotto la pioggia battente di ieri, senza fare una piega. Piccole soddisfazioni di ex scout.
Sono stanco. Sono anche piuttosto sporco. E pensare che in realtà non è ancora successo niente. Le "tre giornate di genova" cominciano domani, con la marcia dei migranti. Una marcia, già. E io ho già un accenno di vesciche ai piedi.
Speriamo bene. Speriamo che domani sia bello. Speriamo che nessuno si faccia niente. Questo l'ho sentito dire veramente da tutti. Speriamo che serva.
Speriamo che i poliziotti non si facciano prendere dalla sindrome degli sceriffi. E' vero che può colpirti in qualsiasi momento, ma loro dovrebbero esserci allenati.
Speriamo che Marto, il ragazzo che durante il concerto è venuto a chiedermi la maglietta gialla del Genoa Social Forum, se la cavi senza problemi.
"Io lavoro al G8, sai?", mi diceva.
"Anche noi".
"No, no, io lavoro a quello vero!" E mi ha mostrato il pass. Fa il barista nella zona rossa. Se passa Bush e ordina un caffè lui glielo prepara. Al mattino lo fermano come minimo in due tra polizia e carabinieri.
"E domattina vuoi entrare con la maglietta del GSF?"
"Voglio vedere cosa mi fanno".
"Ma cosa vuoi che ti facciano... è solo una maglietta".
E' solo una maglietta. Speriamo non gli facciano niente. Speriamo.
Sono molto fiero della mia tenda. L'ho piantata senza picchetti, con dei rametti di bambù, in questo maledetto terriccio ligure, secco e tutto sassi. E lei se n'è rimasta lì, sotto la pioggia battente di ieri, senza fare una piega. Piccole soddisfazioni di ex scout.
Sono stanco. Sono anche piuttosto sporco. E pensare che in realtà non è ancora successo niente. Le "tre giornate di genova" cominciano domani, con la marcia dei migranti. Una marcia, già. E io ho già un accenno di vesciche ai piedi.
Speriamo bene. Speriamo che domani sia bello. Speriamo che nessuno si faccia niente. Questo l'ho sentito dire veramente da tutti. Speriamo che serva.
Speriamo che i poliziotti non si facciano prendere dalla sindrome degli sceriffi. E' vero che può colpirti in qualsiasi momento, ma loro dovrebbero esserci allenati.
Speriamo che Marto, il ragazzo che durante il concerto è venuto a chiedermi la maglietta gialla del Genoa Social Forum, se la cavi senza problemi.
"Io lavoro al G8, sai?", mi diceva.
"Anche noi".
"No, no, io lavoro a quello vero!" E mi ha mostrato il pass. Fa il barista nella zona rossa. Se passa Bush e ordina un caffè lui glielo prepara. Al mattino lo fermano come minimo in due tra polizia e carabinieri.
"E domattina vuoi entrare con la maglietta del GSF?"
"Voglio vedere cosa mi fanno".
"Ma cosa vuoi che ti facciano... è solo una maglietta".
E' solo una maglietta. Speriamo non gli facciano niente. Speriamo.
Appunti da Genova - 7
Ah, mi ero dimenticato di parlare delle bombe.
Ogni tanto si sente dire: hanno trovato una bomba qui, hanno trovato una bomba là. Ieri sera parlavano di un autobus che era stato evacuato. O addirittura fatto saltare. Stamattina sui giornali non ne parla nessuno.
Sì, c'è un po' di psicosi, da una parte e dall'altra. Un appello a tutti: non lasciate sacchetti o cartoni in giro. Ieri sera, mentre sistemavamo le transenne, abbiamo visto un muletto che passava in mezzo al piazzale. Reggeva una panchina. Sulla panchina stava un cartone, trovato sotto il tendone delle piadine.
"Ma che, è una bomba quella?"
Attorniatro da un grappolo di ragazzi con le telecamere, il muletto è arrivato sugli scogli e lì ha posato la panchina, con delicatezza. Proprio sulla corsia dei gabinetti.
"E adesso cosa fanno? La lasciano lì?"
"Stanno chiamando gli artificieri, sempre che si degnino".
"E se qualcuno vuole andare alla toilette?"
"Gli dite di non toccare".
Gli artificieri sono arrivati subito, senza neanche farsi pregare. Però all'entrata del piazzale hanno trovato qualcuno che non li ha fatti passare. Proprio così. Anche noi abbiamo i nostri sceriffi ottusi...
Alla fine due signori si sono fatti forza, hanno preso la panchina per i piedi e l'hanno buttata a mare. Fine dell'incidente.
Ah, mi ero dimenticato di parlare delle bombe.
Ogni tanto si sente dire: hanno trovato una bomba qui, hanno trovato una bomba là. Ieri sera parlavano di un autobus che era stato evacuato. O addirittura fatto saltare. Stamattina sui giornali non ne parla nessuno.
Sì, c'è un po' di psicosi, da una parte e dall'altra. Un appello a tutti: non lasciate sacchetti o cartoni in giro. Ieri sera, mentre sistemavamo le transenne, abbiamo visto un muletto che passava in mezzo al piazzale. Reggeva una panchina. Sulla panchina stava un cartone, trovato sotto il tendone delle piadine.
"Ma che, è una bomba quella?"
Attorniatro da un grappolo di ragazzi con le telecamere, il muletto è arrivato sugli scogli e lì ha posato la panchina, con delicatezza. Proprio sulla corsia dei gabinetti.
"E adesso cosa fanno? La lasciano lì?"
"Stanno chiamando gli artificieri, sempre che si degnino".
"E se qualcuno vuole andare alla toilette?"
"Gli dite di non toccare".
Gli artificieri sono arrivati subito, senza neanche farsi pregare. Però all'entrata del piazzale hanno trovato qualcuno che non li ha fatti passare. Proprio così. Anche noi abbiamo i nostri sceriffi ottusi...
Alla fine due signori si sono fatti forza, hanno preso la panchina per i piedi e l'hanno buttata a mare. Fine dell'incidente.
Appunti da Genova - 6
"No, guarda, mi dispiace, da qui non si può passare".
"O, ma vaff... cos'è, la zona rossa?"
No, è il concerto di Manu Chao.
Martedì mi avevano chiesto di fare il volontario al concerto. E io: ma mi avete guardato bene? Vi sembro il tipo che fa la sicurezza al concerto? Chiunque sopra il metro e 65 mi può pisciare in testa...
"Dai, per favore, abbiamo veramente bisogno."
Alla fine ci siamo trovati in quattro (più o meno tutti m. 1,65) nell'angolo più lontano, tra le transenne e il mare, con l'ordine di non far passare di lì. Perché, scusa, ma il concerto non è gratis? Non proprio, è a sottoscrizione. Insomma, paga chi vuole. Però - ci fanno capire - più gente paga meglio è. Ma soprattutto bisogna tenere lo spazio sgombro per l'ambulanza, dovesse mai servire.
Ed eccoci qui: c'è una riga, una transenna, noi siamo da una parte, la gente dall'altra, e non li dobbiamo far passare. C'è di che riflettere.
"Please! You should not come in here!"
"?"
"On peut pas entrer par ici!"
"?"
"Warnung! H'raus!"
La febbre dei confini imperversa. Come da bambini: adesso faccio una riga e se provi a passare ti picchio. Cinquecento metri più lontano, dalla parte della Fiera (dove da due giorni stazionano le camionette della polizia), una gru sta costruendo un muraglione coi container. Li mette uno sopra l'altro come fossero mattoncini di Lego. Chissà poi perché. La polizia sta lì per guardarci, no? Se ci mettono un muro, cosa gli resta da guardare?
Possibile che abbiano paura di noi? Ma ci hanno guardato bene in faccia?
"No, scusa, qui non si può, è per l'ambulanza. Dovresti passare dal centro".
"Ma c'è una fila così... io poi non ho un soldo".
"Se non hai un soldo non paghi, ma non si può passare di qui".
Col passare delle ore cominci a diventare convincente. Il piccolo sceriffo che è in ognuno di noi prende il sopravvento.
Là in fondo intanto si divertono. Prima i Meganoidi, poi i 99 Posse. Poi Agnoletto, un piccolo uomo che s'improvvisa oratore da piazza (con buoni risultati). Quando comincia Manu Chao pensiamo di averne per un'ora o poco più. E invece resta per più del doppio, e ci rovescia addosso qualcosa come una quarantina di canzoni, senza soluzione di continuità, senza pietà. Cambia i testi, cambia le musiche, è inesauribile. In scaletta manca soltanto il successo del momento, il tormentone di mtv che anche il mio vicino sa a memoria.
"Mi fai passare?"
"Sarebbe meglio di no".
"Ma dai, ormai è finito il concerto".
"Non è per questo, è che qui deve restare libero per l'ambulanza, sai... "
Finisce prima delle due. La gente è felice, ma esausta, non chiede neanche il bis. Ho rinunciato a capire quanti siamo: il piazzale era pieno a metà, ma bello fitto, quasi impenetrabile. E tutto sommato è sorprendente che non ci stati disordini, neanche un provocatore, nessun rompipalle. Il più nervoso che ho visto era un volontario alle transenne un po' stanco, totalmente in preda al piccolo sceriffo che è in ciascuno di noi.
Io sono contento, anche se forse il mio lavoro è stato inutile. Anzi, proprio per quello. Non è passata nessuna ambulanza.
"O! Mi fai passare?"
"Guarda che è finita".
"Vabe', vado sugli scogli".
"Solo non farti male".
"Tranquillo"
"No, guarda, mi dispiace, da qui non si può passare".
"O, ma vaff... cos'è, la zona rossa?"
No, è il concerto di Manu Chao.
Martedì mi avevano chiesto di fare il volontario al concerto. E io: ma mi avete guardato bene? Vi sembro il tipo che fa la sicurezza al concerto? Chiunque sopra il metro e 65 mi può pisciare in testa...
"Dai, per favore, abbiamo veramente bisogno."
Alla fine ci siamo trovati in quattro (più o meno tutti m. 1,65) nell'angolo più lontano, tra le transenne e il mare, con l'ordine di non far passare di lì. Perché, scusa, ma il concerto non è gratis? Non proprio, è a sottoscrizione. Insomma, paga chi vuole. Però - ci fanno capire - più gente paga meglio è. Ma soprattutto bisogna tenere lo spazio sgombro per l'ambulanza, dovesse mai servire.
Ed eccoci qui: c'è una riga, una transenna, noi siamo da una parte, la gente dall'altra, e non li dobbiamo far passare. C'è di che riflettere.
"Please! You should not come in here!"
"?"
"On peut pas entrer par ici!"
"?"
"Warnung! H'raus!"
La febbre dei confini imperversa. Come da bambini: adesso faccio una riga e se provi a passare ti picchio. Cinquecento metri più lontano, dalla parte della Fiera (dove da due giorni stazionano le camionette della polizia), una gru sta costruendo un muraglione coi container. Li mette uno sopra l'altro come fossero mattoncini di Lego. Chissà poi perché. La polizia sta lì per guardarci, no? Se ci mettono un muro, cosa gli resta da guardare?
Possibile che abbiano paura di noi? Ma ci hanno guardato bene in faccia?
"No, scusa, qui non si può, è per l'ambulanza. Dovresti passare dal centro".
"Ma c'è una fila così... io poi non ho un soldo".
"Se non hai un soldo non paghi, ma non si può passare di qui".
Col passare delle ore cominci a diventare convincente. Il piccolo sceriffo che è in ognuno di noi prende il sopravvento.
Là in fondo intanto si divertono. Prima i Meganoidi, poi i 99 Posse. Poi Agnoletto, un piccolo uomo che s'improvvisa oratore da piazza (con buoni risultati). Quando comincia Manu Chao pensiamo di averne per un'ora o poco più. E invece resta per più del doppio, e ci rovescia addosso qualcosa come una quarantina di canzoni, senza soluzione di continuità, senza pietà. Cambia i testi, cambia le musiche, è inesauribile. In scaletta manca soltanto il successo del momento, il tormentone di mtv che anche il mio vicino sa a memoria.
"Mi fai passare?"
"Sarebbe meglio di no".
"Ma dai, ormai è finito il concerto".
"Non è per questo, è che qui deve restare libero per l'ambulanza, sai... "
Finisce prima delle due. La gente è felice, ma esausta, non chiede neanche il bis. Ho rinunciato a capire quanti siamo: il piazzale era pieno a metà, ma bello fitto, quasi impenetrabile. E tutto sommato è sorprendente che non ci stati disordini, neanche un provocatore, nessun rompipalle. Il più nervoso che ho visto era un volontario alle transenne un po' stanco, totalmente in preda al piccolo sceriffo che è in ciascuno di noi.
Io sono contento, anche se forse il mio lavoro è stato inutile. Anzi, proprio per quello. Non è passata nessuna ambulanza.
"O! Mi fai passare?"
"Guarda che è finita".
"Vabe', vado sugli scogli".
"Solo non farti male".
"Tranquillo"
mercoledì 18 luglio 2001
Appunti da Genova - 5
Niente doccia. Ieri sera dicevano che l'avrebbero aperta stamattina, invece niente. Le tende qui fuori sono più di quattrocento, potremmo anche essere duemila persone qui. Se insistono per tenere chiuse le strutture del piccolo stadio di fianco al giardino, basterà farsi un giro in centro per invadere la zona rossa colle nostre puzze. Berlusconi ci faccia un pensiero.
Ora sono qui, al media-centre. Stavo scrivendo dei fatti miei, quando si è riunita la conferenza stampa del Genoa Social Forum. E io lieto come una pasqua, mi sono messo a buttar giù notizie fresche. La foto di Agnoletto spedita al sindaco con annesse pallottole. I parenti degli annegati della nave fantasma di due anni fa che marceranno in testa alla marcia dei migranti...
...quando il sistema, un esotico sistema operativo in linux, ha fatto un bel crash, e ho perso tutto. (Nel frattempo la Repubblica dava la notizia di Agnoletto, e in sovrappiù la busta esplosiva recapitata a Retequattro).
Al termine della conforenza, mentre i giornalisti si mettevano a uscire in disordine e confusione, ha preso le parole un *rappresentante* inglese di Indymedia (Indymedia in realtà non ha *rappresentanti*). Nella quasi totale inattenzione, ha fatto presente alcuni aspetti della vicenda delle ragazze tedesche fermate dalla polizia con "spranghe, coltelli, taniche di gasolio, torce, catene, maschere e un'ascia" (La Repubblica). Pare che si trattasse del normale armamentario di una compagnia circense da strada. Ma non è questo il punto. Secondo Indymedia:
- Nel cortile della questura le ragazze sono state costrette a guidare il furgone e calpestare ripetutamente i loro oggetti personali, fino a ridurli in poltiglia, mentre erano insultate ("insulti razzisti e sessisti").
- Sono state interrogate in una stanza decorata con simboli nazisti e fasisti (la foto di Mussolini) e striscioni con slogan razzisti.
Le ragazze sono tutte incensurate. Per ora sono in cella.
Niente doccia. Ieri sera dicevano che l'avrebbero aperta stamattina, invece niente. Le tende qui fuori sono più di quattrocento, potremmo anche essere duemila persone qui. Se insistono per tenere chiuse le strutture del piccolo stadio di fianco al giardino, basterà farsi un giro in centro per invadere la zona rossa colle nostre puzze. Berlusconi ci faccia un pensiero.
Ora sono qui, al media-centre. Stavo scrivendo dei fatti miei, quando si è riunita la conferenza stampa del Genoa Social Forum. E io lieto come una pasqua, mi sono messo a buttar giù notizie fresche. La foto di Agnoletto spedita al sindaco con annesse pallottole. I parenti degli annegati della nave fantasma di due anni fa che marceranno in testa alla marcia dei migranti...
...quando il sistema, un esotico sistema operativo in linux, ha fatto un bel crash, e ho perso tutto. (Nel frattempo la Repubblica dava la notizia di Agnoletto, e in sovrappiù la busta esplosiva recapitata a Retequattro).
Al termine della conforenza, mentre i giornalisti si mettevano a uscire in disordine e confusione, ha preso le parole un *rappresentante* inglese di Indymedia (Indymedia in realtà non ha *rappresentanti*). Nella quasi totale inattenzione, ha fatto presente alcuni aspetti della vicenda delle ragazze tedesche fermate dalla polizia con "spranghe, coltelli, taniche di gasolio, torce, catene, maschere e un'ascia" (La Repubblica). Pare che si trattasse del normale armamentario di una compagnia circense da strada. Ma non è questo il punto. Secondo Indymedia:
- Nel cortile della questura le ragazze sono state costrette a guidare il furgone e calpestare ripetutamente i loro oggetti personali, fino a ridurli in poltiglia, mentre erano insultate ("insulti razzisti e sessisti").
- Sono state interrogate in una stanza decorata con simboli nazisti e fasisti (la foto di Mussolini) e striscioni con slogan razzisti.
Le ragazze sono tutte incensurate. Per ora sono in cella.
Appunti da Genova - 4
"Sembra una festa dell'Unità, qui".
"Vero?"
Il posto dove mi hanno messo è un piccolo parco intorno a un campo da tennis, due fontanelle, e più o meno un migliaio di accampati. Si parla soprattutto tedesco, francese, inglese, e uno spagnolo che sembra catalano. Solo quelli di fianco a me erano di Verona (ed erano rimasti senza picchetti, esattamente come me).
Per la cena, ho pensato che il tonno poteva attendere. Sotto il capannone di Piazzale Kennedy c'è una mensa a prezzi modici, un sacco di spine da birra (tedeschi e inglesi gradiscono, a quanto vedo), e pure la piadina originale romagnola, colla salsiccia o col kebab. Tu vai, ti siedi a un tavolo e ti metti a parlare con qualcuno. Una festa dell'unità come tante (a parte il mare sullo sfondo e la tramontana addosso).
"Tu di dove sei?"
"Di Modena"
"Ti va di fare un giro in Centro? Ti mostriamo come l'hanno ridotto".
Sì, credo di essere stato nella zona rossa ieri sera. La cosa più impressionante sono le barriere che chiudono i carrugi. Vere e proprie barricate. Pensavo: ma da quando in qua le forze dell'ordine hanno iniziato a fare le barricate? Una volta erano quelli che le buttavano giù.
Un varco comunque era ancora aperto. Sedeva a lato un poliziotto stanco, l'unico che ho visto giocherellare con ben due manganelli in mano. Ci ha fatto passare senza neanche guardarci.
Sì che non eravamo un gruppetto molto rassicurante. Le mie due guide cercavano fumo nei loro posti abituali. Io ho anche provato a spiegargli che secondo me non era una buona idea, ma certa gente in certi casi è davvero testarda. Non ci hanno creduto finché non si sono visto ogni angolo di strada pattugliato dalla "madama".
Se per questo c'era anche la finanza, i carabinieri... in una piazzola stazionava una camionetta dei pompieri, istintivamente ho pensato a una fuga di gas o un'irruzione, e me la sono data... mi sono allontanato con rapidità.
Tornando a piazzale Kennedy, ho dato un'occhiata più smaliziata agli agenti che prendevano una boccata d'aria, tra volanti e camionette. Un sacco di gente, anche loro. Che faranno tutto il tempo? S'incontrano - pattuglie di tutt'Italia, una festa - si raccontano di quella volta a Bologna, a Ventimiglia a Napoli?
"Sembra una festa dell'Unità, qui".
"Vero?"
Il posto dove mi hanno messo è un piccolo parco intorno a un campo da tennis, due fontanelle, e più o meno un migliaio di accampati. Si parla soprattutto tedesco, francese, inglese, e uno spagnolo che sembra catalano. Solo quelli di fianco a me erano di Verona (ed erano rimasti senza picchetti, esattamente come me).
Per la cena, ho pensato che il tonno poteva attendere. Sotto il capannone di Piazzale Kennedy c'è una mensa a prezzi modici, un sacco di spine da birra (tedeschi e inglesi gradiscono, a quanto vedo), e pure la piadina originale romagnola, colla salsiccia o col kebab. Tu vai, ti siedi a un tavolo e ti metti a parlare con qualcuno. Una festa dell'unità come tante (a parte il mare sullo sfondo e la tramontana addosso).
"Tu di dove sei?"
"Di Modena"
"Ti va di fare un giro in Centro? Ti mostriamo come l'hanno ridotto".
Sì, credo di essere stato nella zona rossa ieri sera. La cosa più impressionante sono le barriere che chiudono i carrugi. Vere e proprie barricate. Pensavo: ma da quando in qua le forze dell'ordine hanno iniziato a fare le barricate? Una volta erano quelli che le buttavano giù.
Un varco comunque era ancora aperto. Sedeva a lato un poliziotto stanco, l'unico che ho visto giocherellare con ben due manganelli in mano. Ci ha fatto passare senza neanche guardarci.
Sì che non eravamo un gruppetto molto rassicurante. Le mie due guide cercavano fumo nei loro posti abituali. Io ho anche provato a spiegargli che secondo me non era una buona idea, ma certa gente in certi casi è davvero testarda. Non ci hanno creduto finché non si sono visto ogni angolo di strada pattugliato dalla "madama".
Se per questo c'era anche la finanza, i carabinieri... in una piazzola stazionava una camionetta dei pompieri, istintivamente ho pensato a una fuga di gas o un'irruzione, e me la sono data... mi sono allontanato con rapidità.
Tornando a piazzale Kennedy, ho dato un'occhiata più smaliziata agli agenti che prendevano una boccata d'aria, tra volanti e camionette. Un sacco di gente, anche loro. Che faranno tutto il tempo? S'incontrano - pattuglie di tutt'Italia, una festa - si raccontano di quella volta a Bologna, a Ventimiglia a Napoli?
Appunti da Genova - 3
Oggi non è ancora chiaro se Genova Brignole e Genova Piazzale Principe chiuderanno o no. La voce ufficiale è che saranno aperte solo per i treni speciali.
Ma perché volevano chiudere le stazioni? Per non far entrare i manifestanti? E allora perché decidono di far passare solo i treni dei manifestanti?
Fate finta di essere chiunque... siete una casalinga di Voghera e avete una cugina a Genova che non sta bene. Dovreste arrivare in treno, ma il treno non ferma. A meno che non siate un manifestante anti G8: per loro c'è il treno apposta. Cosa fate? Vostra cugina ha proprio bisogno di voi. Non vi resta che manifestare anche voi contro il G8! Controllare su internet se non c'è un collettivo casalinghe che organizza il viaggio...
"Genova", leggevo ieri, "si sta riempiendo di manifestanti e svuotando di Genovesi". Forse si voleva ottenere proprio questo? Stamattina davanti al centro-media è passata una signora in BMW. Ha abbassato il finestrino e ha chiesto se qualcuno sapeva qualcosa sui caselli dell'autostrada bloccati. I genovesi se ne andrebbero anche, ma forse è tardi.
Oggi non è ancora chiaro se Genova Brignole e Genova Piazzale Principe chiuderanno o no. La voce ufficiale è che saranno aperte solo per i treni speciali.
Ma perché volevano chiudere le stazioni? Per non far entrare i manifestanti? E allora perché decidono di far passare solo i treni dei manifestanti?
Fate finta di essere chiunque... siete una casalinga di Voghera e avete una cugina a Genova che non sta bene. Dovreste arrivare in treno, ma il treno non ferma. A meno che non siate un manifestante anti G8: per loro c'è il treno apposta. Cosa fate? Vostra cugina ha proprio bisogno di voi. Non vi resta che manifestare anche voi contro il G8! Controllare su internet se non c'è un collettivo casalinghe che organizza il viaggio...
"Genova", leggevo ieri, "si sta riempiendo di manifestanti e svuotando di Genovesi". Forse si voleva ottenere proprio questo? Stamattina davanti al centro-media è passata una signora in BMW. Ha abbassato il finestrino e ha chiesto se qualcuno sapeva qualcosa sui caselli dell'autostrada bloccati. I genovesi se ne andrebbero anche, ma forse è tardi.
Appunti da Genova - 2
Scendendo da Genova Brignole (ieri ancora aperta) lungo il corso che porta alla fiera, passando flemmatici col proprio enorme sacco sulle spalle proprio davanti all'affollatissima questura (quasi tutti in borghese), arrivi a un punto in cui si svuota l'orizzonte e ti aspetti di vedere il mare. E invece no: sono dieci camionette blu che fronteggiano piazzale Kennedy.
A piazzale Kennedy c'è il centro di raccolta per i manifestanti: se pensate di venire a Genova e non sapete ancora bene cosa fare e dove dormire venite lì. Vi presentate, spiegate cosa potete fare, e una ragazza simpatica vi darà una cartina (geografica), con su un indirizzo dove accamparvi, e se insistete anche un lavoro per i prossimi giorni.
Fosse sempre così nella vita, che appena arrivi ti sorridono e ti mettono al tuo posto... per ora non si sta così male a Genova. Venite.
Scendendo da Genova Brignole (ieri ancora aperta) lungo il corso che porta alla fiera, passando flemmatici col proprio enorme sacco sulle spalle proprio davanti all'affollatissima questura (quasi tutti in borghese), arrivi a un punto in cui si svuota l'orizzonte e ti aspetti di vedere il mare. E invece no: sono dieci camionette blu che fronteggiano piazzale Kennedy.
A piazzale Kennedy c'è il centro di raccolta per i manifestanti: se pensate di venire a Genova e non sapete ancora bene cosa fare e dove dormire venite lì. Vi presentate, spiegate cosa potete fare, e una ragazza simpatica vi darà una cartina (geografica), con su un indirizzo dove accamparvi, e se insistete anche un lavoro per i prossimi giorni.
Fosse sempre così nella vita, che appena arrivi ti sorridono e ti mettono al tuo posto... per ora non si sta così male a Genova. Venite.
Diario da Genova - 1
(contiene pubblicità occulta)
Pensavo di resistere di più, ma alla fine sono partito. Pensavo di avere molte cose ancora da fare a casa, molti amici da aspettare, ma alla fine non ho salutato nessuno e ho preso il treno. Scusate, ma non ce la facevo proprio più.
Se l'alternativa era starsene sbarrato in casa, col ventilatore al massimo e la tv accesa nel tentativo di capirci qualcosa... chiudono le stazioni? Le riaprono solo per i treni speciali? Il carabiniere ferito sta bene? Hanno trovato altre bombe? E intanto memorizzare lo spot di Megan Gale in bikini, vuvuvu... mi piaci tu... adesso poi, francamente...
Se l'alternativa era scendere al bar e farsi venire la gastrite coi titoli dei giornali ("Arriva la multinazionale del caos"!), insomma, tanto valeva mettere tutto in un sacco e partire.
Cosa mi mancava? La tenda ce l'ho. Mancano i picchetti. Pazienza. Cibo? Devo avere delle scatolette di tonno da qualche parte. E per il gas? (Io ho il terrore del gas). Ho sentito dire che ci si può proteggere gli occhi con gli occhialini da piscina... faccio un salto alla piscina e ne compro.
Il treno l'ho preso all'ultimo momento, naturalmente. E una volta dentro ho tirato fiato. E mi sono addormentato, placidamente, come non mi succedeva da giorni.
(contiene pubblicità occulta)
Pensavo di resistere di più, ma alla fine sono partito. Pensavo di avere molte cose ancora da fare a casa, molti amici da aspettare, ma alla fine non ho salutato nessuno e ho preso il treno. Scusate, ma non ce la facevo proprio più.
Se l'alternativa era starsene sbarrato in casa, col ventilatore al massimo e la tv accesa nel tentativo di capirci qualcosa... chiudono le stazioni? Le riaprono solo per i treni speciali? Il carabiniere ferito sta bene? Hanno trovato altre bombe? E intanto memorizzare lo spot di Megan Gale in bikini, vuvuvu... mi piaci tu... adesso poi, francamente...
Se l'alternativa era scendere al bar e farsi venire la gastrite coi titoli dei giornali ("Arriva la multinazionale del caos"!), insomma, tanto valeva mettere tutto in un sacco e partire.
Cosa mi mancava? La tenda ce l'ho. Mancano i picchetti. Pazienza. Cibo? Devo avere delle scatolette di tonno da qualche parte. E per il gas? (Io ho il terrore del gas). Ho sentito dire che ci si può proteggere gli occhi con gli occhialini da piscina... faccio un salto alla piscina e ne compro.
Il treno l'ho preso all'ultimo momento, naturalmente. E una volta dentro ho tirato fiato. E mi sono addormentato, placidamente, come non mi succedeva da giorni.
martedì 17 luglio 2001
Gentile signor Merlo,
Ho letto il suo editoriale stamattina (ma ormai è già ieri mattina), e devo dirLe, sinceramente, che La compatisco.
Sono stato anch’io, nel mio piccolo un giornalista (pur senza essere affiliato o coscritto a nessun albo), ho tenuto anch’io le mie rubriche, e so cosa vuol dire dover essere divertente a tutti i costi.
Mettersi ogni tanto un naso finto e uscirsene sulla pubblica piazza. Magari c’è appena stata una tragedia, e non ne sappiamo niente, e per contratto dobbiamo far ridere la gente. Che non sempre può averne voglia. E si rimediano anche certe brutte figure…
Dicevo, ho letto il suo editoriale di lunedì mattina, che sin dal calembour iniziale (Il compromesso stoico) prometteva scintille. E chissà, forse l’avrei trovato pure divertente, non fosse che avevo già saputo di quel povero carabiniere che si era una busta esplosiva in faccia. Per cui non ero molto dell’umore, capisce. Pensavo a quel ragazzo di 21 anni, che forse avrebbe perso la vista, e al vigliacco che da qualche parte di quest’Italia aveva spedito quella busta. Forse un pazzo isolato. Forse un geniale esperto di strategia della tensione. In ogni caso – mi perdoni la retorica – un vigliacco.
Lei naturalmente non poteva sapere la piega tragica degli avvenimenti, quando domenica sera aveva buttato giù il suo fondo. C’era uno spunto interessante (il vademecum per i poliziotti redatto dal capo della polizia di Gennaro) e Lei voleva soltanto farci un po’ di ironia. Un colpo al cerchio (i soliti aggressivi e temerari rambo antiguerriglia...) e un colpo alla botte (il coro dei contestatori). E tutti a casa contenti, in perfetto stile Corriere.
Il problema è che questa smania di rendersi divertente a tutti i costi suonava, alla luce delle notizie del mattino, terribilmente fuori luogo. È chiaro che lei non è dalla parte dei manifestanti di Genova: sta bene, ormai cortigiani plaudenti ne troviamo fin che vogliamo, e certo non sentiamo la Sua mancanza. Ma perché mai prendersi gioco delle forze dell’ordine, proprio quando, dopo i tanti passi falsi degli ultimi giorni (le perquisizioni immotivate, la chiusura delle stazioni, ecc.) dimostrano un vero senso di responsabilità?
Il decalogo di De Gennaro è ispirato dal buon senso. Una vera boccata d’aria, per chi ha sentito parlare dei fatti accaduti durante il Global Forum di Napoli questa primavera (fatti duramente condannati da Amnesty International). È un piacere sapere che per i poliziotti “coloro che dimostrano non sono i nemici”. Perché dall’altra parte è da mesi che si lavora per far passare lo stesso concetto: i poliziotti non sono i nemici, non sono gli obiettivi, sono lì per fare il loro mestiere e non vanno disturbati. Questa, che è la logica del buon senso, sembra ormai prevalere da entrambe le parti. Certo, ci sarà pure qualche pazzo, qualche stratega della tensione, qualche vigliacco, che proverà a rovinare tutto con una carica ben piazzata. E allora sarà importante essere lì insieme e dimostrare che non siamo bambini, e non ci lasciamo intimorire, né ci facciamo mettere gli uni contro gli altri.
Ma lei, signor Merlo, doveva scrivere il suo pezzo divertente. Doveva per forza trovare la comicità della situazione. Lei già pregusta i tafferugli e le cariche, e il rimbrotto che rivolgerà a poliziotti e dimostranti: dov’è finita la vostra flemma? La vostra stoica comprensione del nemico? Non vedete? Siete soltanto cani e gatti…
E va bene signor Merlo, e lei cos’è? Mah, tante cose. Per esempio, lei è la perfetta dimostrazione del male che ha fatto il Liceo Classico a tante generazioni d’italiani. Che hanno studiato tanto latino, tanto greco, tanto cinismo e poca o punta educazione civica. Lei ci tiene a citare il suo Lucio Anneo Seneca, a citare la sua Stoà, e non gliene frega poi granché se intanto la società civile va a puttane: ci scriverà sopra qualche salace calembour. Per lei le cose in fondo sono semplici: i manifestanti sono violenti, e gli “sbirri” li devono sprangare. Gli “sbirri”, dico! È lei a chiamarli così! Senza il minimo rispetto per chi rischia sulla sua pelle! Fosse il “Manifesto”, passi anche. Ma il “Corriere”! Non si vergogna?
Lei certamente non è un violento. Lei non fa recapitare una busta di plastico a un povero ragazzo. Si limita a spargere un po’ di veleno per le edicole d’Italia. È un mestiere come un altro, e non mi sento di condannarla. Soltanto la compatisco. Sinceramente.
Nei prossimi giorni sarò a Genova, da una parte di una nota linea rossa (che in tutta franchezza non vorrei neanche oltrepassare). Dall’altra parte ci saranno persone come me, alcuni più giovani di me, e sicuramente più esaltati di me. So quanto lei che tra le forze dell’ordine non sono tutti lettori di Seneca (e forse neanche di De Gennaro), che anzi ce n’è parecchi che bruciano dalla voglia di sprangarci, e ce l’hanno anche già mandato a dire. Bene, signor Merlo, le dico una cosa: quei ragazzi, quegli uomini, non sono miei nemici. Non ho nulla contro di loro. Ho molto più rispetto per il più esaltato di loro di quanto potrò mai averne per lei, che seduto davanti al suo pc scorrerà i drammi del giorno chiedendosi: vediamo cosa posso buttar giù di divertente, oggi. In tutta franchezza, signor Merlo.
Ps:
Toscana in tedesco si scrive Toskana.
venerdì 13 luglio 2001
Ci prendono per imbecilli
«Al Tesoro c'è la scrivania di Quintino Sella. Sarebbe immediatamente liberata se non ci fosse il pareggio del bilancio nel 2003». Giulio Tremonti...
Ah, è così? Al Tesoro c'è la scrivania di Quintino Sella? E Tremonti cosa aspetta a cambiarla? Ha paura di scialare comprandone una nuova? Suvvia, non si può farlo passare come un investimento produttivo?
Io fossi in lui la rottamerei. Ah, se le scrivanie potessero parlare… certo, non erano tempi di stagiste, quelli. Ma qualche servetta, ogni tanto, tra un taglio alla spesa e un'imposta indiretta...
Aspettando con ansia la nuova tassa sul macinato, restiamo comunque ammirati dalla passione antiquaria che circola negli edifici istituzionali. Che Quirinale e Palazzo Chigi fossero veri e propri musei lo sapevamo già. E quei presidenti costretti a lavorare tra stucchi e arazzi ci facevano anche un po' compassione. Ma i ministeri sono una nuova frontiera. Chissà che tesori da scoprire, che trofei.
Magari agli interni c'è qualche granata di Bava Beccaris. Magari ai Beni Culturali c'è qualche velina di Starace (non Storace).
Tutto questo accade a metà luglio. Un tempo in estate non accadeva mai niente, e qualsiasi boutade andava bene per riempire un giornale. Un personaggio come Buttiglione poteva saltare su con la prima cretinata che gli passava in mente, non so, tipo "Cambiamo l'Inno di Mameli", e tenere banco per intere settimane.
Adesso non è più così. Colpi di scena tutti i giorni. Siamo alla soglia di un nuovo miracolo italiano. Anzi, no, siamo in bancarotta. E la sicurezza? Come la mettiamo con la sicurezza? Hanno perquisito la casa dei genitori di Fiorino Iantorno, rappresentante di Attac Italia. Dite: ma come, non si può perquisire così, senza mandato? Si può, in base all'Art 41 delle leggi antiterrorismo, che prevede questa misura straordinaria in caso di "segnalazione sulla presenza di armi ed esplosivi". Un anonimo ha chiamato la Digos e ha detto: ma lo sapete che in quella casa là ci tengono gli esplosivi del G8?
E quelli della Digos cosa ci dovevano fare? Sono andati a vedere.
Iantorno io l'ho visto. È vero che ha una barba un po' insurrezionalista, ma non mi sembra proprio il tipo del bombarolo. Se anche fosse, sarebbe un triste tipo di bombarolo, che nasconde le munizioni a casa dei genitori. Tenendo conto anche del fatto che Iantorno vive a Siena, il vertice è previsto a Genova, e i suoi stanno a Taranto. Comodo no?
mercoledì 11 luglio 2001
B-Rabbit
Di che parliamo oggi? Di spermatozoi, vi va?
Con tutta la ricchezza di spermatozoi che c'è in natura (ne trovi ovunque vai e sono sempre in sovrappiù) in Australia hanno deciso che se ne può anche fare a meno. Dopodiché, a noi maschietti cosa resta? Ci faranno una puntura, così non graffiamo, e ci porteranno al cinema. A vedere Brad Pitt, magari.
A me Brad Pitt fa ridere. A voi no?
L'altra sera all'Estivo davano Snatch. Devo confessare che questi film tarantineggianti, con tutto il vieto armamentario di pistolette e pistoloni, sparatorie nei corridoi, match di pugilato e scommesse clandestine… mi divertono molto. In teoria dovrebbero prendere in giro i gangster movie, ma i gangster movie non li fa più nessuno. E allora si prendono in giro a vicenda.
Snatch però è un film curioso per altri motivi. Vedi ad esempio l'assoluta mancanza di protagonisti femminili. Le ragazze fanno particine di pochi fotogrammi, e non sono neanche particolarmente piacenti. La più importante ai fini dell'intreccio è una zingara di 50-60 anni. Questa è una vera sfida a un dogma di Hollywood: ogni film dovrebbe avere il suo bel personaggio femminile, che funga da richiamo alle attenzioni dello spettatore medio (maschio). In Snatch questo richiamo manca. Possibile?
L'altro aspetto interessante è l'uso di Brad Pitt. Ora non vale la pena chiedersi se sia verosimile un Pitt zingaro: tutto è possibile in una campagna inglese dove gli zingari sono biondi e di cognome fanno O'Neil. Bisogna però segnare all'attivo di Pitt un altro ruolo che, usando un eufemismo, potremmo definire 'sopra le righe'.
Togliendo l'eufemismo: eccolo che fa la parte del coglione, una volta in più. Quante sono? Vediamo.
12 monkeys. Era fantastico quando imitava i versi della scimmia.
Fight club. Una pietra miliare. Un film geniale, perché non solo instilla in tutti noi globalizzati maschi insoddisfatti il sospetto di avere una seconda personalità, ma che questa personalità abbia anche il bel faccino di Brad Pitt.
Tu non sei i tuoi vestiti. Tu non sei la tua carta di credito!.
Perbacco, no, sono Brad Pitt invece.
Geniale.
Poi quest'anno c'è stato The mexican, con un copione che era un raro insulto all'intelligenza. Cosa salvare di due ore di film? Lui che sfreccia per le strade del Messico con un macchinone, una camicia a fiori (stile Fight Club) e una faccia da imbecille. Che gli riesce veramente bene, niente da dire.
A questo punto uno si chiede come nascano questi film. Due teorie:
(Prima teoria)
- SCENEGGIATORE: ho un soggetto per un film strepitoso. Dunque: c'è un personaggio che è un po' un coglione, e…
- PRODUTTORE: Hai detto coglione? Perfetto. Ho quello che fa per noi. (voltandosi) Segretaria, mi cerchi il numero di Brad Pitt.
(Seconda teoria)
– PRODUTTORE: Bel soggetto… però… per farne un film ci vuole un nome di richiamo.
– SCENEGGIATORE: Beh… dopotutto perché no… e ha in mente qualcuno?
– PRODUTTORE: Sì, so che il mese prossimo è disponibile Brad Pitt. Lei ce lo vede Brad nel suo film?
– Mah, veramente…
– Ma sì, ma sì, non si preoccupi. È più facile di quel che sembra. Sa come facciamo? Inseriamo nella storia un personaggio un po' coglione…
Non c'è niente di male a valorizzare le capacità di un attore. Se hai Di Caprio gli fai fare il ragazzino innamorato. Se hai Gere gli fai fare il playboy. Se hai Pitt gli fai fare l'imbecille. Satisfaction guaranteed for all.
Inutile complicarsi la vita. Vedi il caso di Seven. Il regista gli doveva aver spiegato: "Caro Brad, in questo film ogni personaggio impersona un vizio capitale, e il tuo è l'ira. Sì, l'incazzatura, insomma. Perciò tu devi essere incazzato, un fascio di nervi, capito? Dai, fammi vedere come fai l'incazzato".
E il povero Brad a impegnarsi, a fare le smorfie, a digrignare i denti, a dire le parolacce… dopo mezz'ora di film era già pronto per sputare il fegato. E invece no! Doveva star lì a far l'incazzato ancora per un'ora buona! Che fatica!
Con Snatch invece ottiene il massimo risultato col minimo sforzo: non deve neanche parlare. Fa due smorfie, balbetta qualche frase incomprensibile (così risolve anche il problema dell'accento americano di uno zingaro inglese), si toglie l'ennesima camicia, mostra i tatuaggi, mostra i muscoli, tira due pugni, si fa pure un bagnetto. Perfetto.
Alla fine del film la voce fuori campo c'informa che era una finta, lo zingaro non era affatto un coglione, anzi, era il più furbo di tutti. Perbacco, come avevamo fatto a non capirlo prima? Troppo pirla per essere vero.
Intanto l'estate spietata di Hollywood ci priva di Anthony Quinn, di Jack Lemmon. Grandi attori di un'altra generazione.. Pensandoci: ve li immaginate Quinn e Lemmon da giovani? Ma sono mai stati giovani? Anche nei film in bianco e nero son già adulti fatti. Sembrano essere venuti al mondo così.
E invece: ve li immaginate Brad Pitt o Tom Cruise da vecchi? O almeno da quarantenni? Quand'è che la smettono di sembrare dei ragazzini? Hai voglia a fargli fare parti da avvocati o da medici: sembrano sempre freschi di college. Non è che siano cattivi attori. Ma che razza di modello maschile sono?
Sono i coniglietti di Hollywood. Esche sessuali per il pubblico che conta, oggi. Quello che decide quale film andare a vedere. In poche parole: il pubblico femminile.
E al pubblico maschile cosa resta?
Ma. Qualche bella sparatoria. Qualche bel pistolone. E un bel sacco di spermatozoi. sempre più inutili.
Di che parliamo oggi? Di spermatozoi, vi va?
Con tutta la ricchezza di spermatozoi che c'è in natura (ne trovi ovunque vai e sono sempre in sovrappiù) in Australia hanno deciso che se ne può anche fare a meno. Dopodiché, a noi maschietti cosa resta? Ci faranno una puntura, così non graffiamo, e ci porteranno al cinema. A vedere Brad Pitt, magari.
A me Brad Pitt fa ridere. A voi no?
L'altra sera all'Estivo davano Snatch. Devo confessare che questi film tarantineggianti, con tutto il vieto armamentario di pistolette e pistoloni, sparatorie nei corridoi, match di pugilato e scommesse clandestine… mi divertono molto. In teoria dovrebbero prendere in giro i gangster movie, ma i gangster movie non li fa più nessuno. E allora si prendono in giro a vicenda.
Snatch però è un film curioso per altri motivi. Vedi ad esempio l'assoluta mancanza di protagonisti femminili. Le ragazze fanno particine di pochi fotogrammi, e non sono neanche particolarmente piacenti. La più importante ai fini dell'intreccio è una zingara di 50-60 anni. Questa è una vera sfida a un dogma di Hollywood: ogni film dovrebbe avere il suo bel personaggio femminile, che funga da richiamo alle attenzioni dello spettatore medio (maschio). In Snatch questo richiamo manca. Possibile?
L'altro aspetto interessante è l'uso di Brad Pitt. Ora non vale la pena chiedersi se sia verosimile un Pitt zingaro: tutto è possibile in una campagna inglese dove gli zingari sono biondi e di cognome fanno O'Neil. Bisogna però segnare all'attivo di Pitt un altro ruolo che, usando un eufemismo, potremmo definire 'sopra le righe'.
Togliendo l'eufemismo: eccolo che fa la parte del coglione, una volta in più. Quante sono? Vediamo.
12 monkeys. Era fantastico quando imitava i versi della scimmia.
Fight club. Una pietra miliare. Un film geniale, perché non solo instilla in tutti noi globalizzati maschi insoddisfatti il sospetto di avere una seconda personalità, ma che questa personalità abbia anche il bel faccino di Brad Pitt.
Tu non sei i tuoi vestiti. Tu non sei la tua carta di credito!.
Perbacco, no, sono Brad Pitt invece.
Geniale.
Poi quest'anno c'è stato The mexican, con un copione che era un raro insulto all'intelligenza. Cosa salvare di due ore di film? Lui che sfreccia per le strade del Messico con un macchinone, una camicia a fiori (stile Fight Club) e una faccia da imbecille. Che gli riesce veramente bene, niente da dire.
A questo punto uno si chiede come nascano questi film. Due teorie:
(Prima teoria)
- SCENEGGIATORE: ho un soggetto per un film strepitoso. Dunque: c'è un personaggio che è un po' un coglione, e…
- PRODUTTORE: Hai detto coglione? Perfetto. Ho quello che fa per noi. (voltandosi) Segretaria, mi cerchi il numero di Brad Pitt.
(Seconda teoria)
– PRODUTTORE: Bel soggetto… però… per farne un film ci vuole un nome di richiamo.
– SCENEGGIATORE: Beh… dopotutto perché no… e ha in mente qualcuno?
– PRODUTTORE: Sì, so che il mese prossimo è disponibile Brad Pitt. Lei ce lo vede Brad nel suo film?
– Mah, veramente…
– Ma sì, ma sì, non si preoccupi. È più facile di quel che sembra. Sa come facciamo? Inseriamo nella storia un personaggio un po' coglione…
Non c'è niente di male a valorizzare le capacità di un attore. Se hai Di Caprio gli fai fare il ragazzino innamorato. Se hai Gere gli fai fare il playboy. Se hai Pitt gli fai fare l'imbecille. Satisfaction guaranteed for all.
Inutile complicarsi la vita. Vedi il caso di Seven. Il regista gli doveva aver spiegato: "Caro Brad, in questo film ogni personaggio impersona un vizio capitale, e il tuo è l'ira. Sì, l'incazzatura, insomma. Perciò tu devi essere incazzato, un fascio di nervi, capito? Dai, fammi vedere come fai l'incazzato".
E il povero Brad a impegnarsi, a fare le smorfie, a digrignare i denti, a dire le parolacce… dopo mezz'ora di film era già pronto per sputare il fegato. E invece no! Doveva star lì a far l'incazzato ancora per un'ora buona! Che fatica!
Con Snatch invece ottiene il massimo risultato col minimo sforzo: non deve neanche parlare. Fa due smorfie, balbetta qualche frase incomprensibile (così risolve anche il problema dell'accento americano di uno zingaro inglese), si toglie l'ennesima camicia, mostra i tatuaggi, mostra i muscoli, tira due pugni, si fa pure un bagnetto. Perfetto.
Alla fine del film la voce fuori campo c'informa che era una finta, lo zingaro non era affatto un coglione, anzi, era il più furbo di tutti. Perbacco, come avevamo fatto a non capirlo prima? Troppo pirla per essere vero.
Intanto l'estate spietata di Hollywood ci priva di Anthony Quinn, di Jack Lemmon. Grandi attori di un'altra generazione.. Pensandoci: ve li immaginate Quinn e Lemmon da giovani? Ma sono mai stati giovani? Anche nei film in bianco e nero son già adulti fatti. Sembrano essere venuti al mondo così.
E invece: ve li immaginate Brad Pitt o Tom Cruise da vecchi? O almeno da quarantenni? Quand'è che la smettono di sembrare dei ragazzini? Hai voglia a fargli fare parti da avvocati o da medici: sembrano sempre freschi di college. Non è che siano cattivi attori. Ma che razza di modello maschile sono?
Sono i coniglietti di Hollywood. Esche sessuali per il pubblico che conta, oggi. Quello che decide quale film andare a vedere. In poche parole: il pubblico femminile.
E al pubblico maschile cosa resta?
Ma. Qualche bella sparatoria. Qualche bel pistolone. E un bel sacco di spermatozoi. sempre più inutili.