Caro amico Barbaro
Forse è l’Italia la terra dei mille piccoli pasolini. Prima si sono ammazzati l’originale, e poi: “presto, su, mangiatene tutti”. Il risultato sono trenta milioni di opinionisti da bar e qualche migliaia di commentatori sui blog, tutti con quel ritornello pronto: “Io so. Anche senza le prove, so”.
Come no. Hai sentito due chiacchiere, hai visto due foto, scorso i titoli, e sai. Sai anche la formazione della nazionale, se te la chiedono. Ma è chiaro che i pedofili di Rignano stamattina hanno un valore aggiunto.
Di quelli di Brescia invece nessuno parla più – eh, come? C’è stato un caso di pedofilia in una scuola materna a Brescia? Un prete, un bidello, sei maestre? Tutti assolti? Ne sai qualcosa? Niente. Quando l’inchiesta cominciò, quando ci furono i titoloni e i servizi in tv, tu sapevi tutto. Mi avevi anche spiegato cosa avresti fatto al bidello o alla maestra “se li avessi avuti tra le mani”. Adesso invece non sai niente. Ed è curioso, non trovi? La tua conoscenza dei fatti è inversamente proporzionale ai gradi di giudizio. Cioè: man mano che le sentenze diventano definitive, tu cominci a non saper nulla, a dimenticarti proprio. Eh? Un caso a Brescia? Dove? Come? Quando?
Io e te abbiamo una cosa in comune: non sappiamo niente. Non per maleducazione o negligenza. La nostra è un’ignoranza tecnica: le poche cose che abbiamo imparato, le sappiamo da servizi giornalistici confezionati non troppo professionalmente.
Siccome io non so niente, come te, non ho molto da dire su Rignano. Mi sembra tutto pazzesco. Ma non avendo ancora accennato all’idea di strozzare le maestrine a mani nude, probabilmente passerò come un innocentista. In realtà no: non sono innocentista: sono uno che non sa niente. Ma non ha importanza: per uno come te, che “sa”, quelli che non sanno sono ultra-garantisti, piagnoni intellettuali, checche, e non checche qualsiasi, ma checche passivamente complici di reati di pedofilia, per cui domattina dovrai cambiare bar e spiegare a qualcun altro cosa faresti “se mi avessi tra le mani”.
Se posso in qualche modo venirti incontro, credo che una certezza ci sia, ed è la peggiore: quei bambini sono stati molestati. Che sia stata una squadra di maestre con un autore televisivo e il primo benzinaio di pelle scura recuperato nei dintorni, o che sia stato un pool di psicologi, assistenti sociali e genitori un po’ allarmisti, qualcuno ha fatto grossi danni a quei bambini. Cosa preferisco pensare? Che le graduatorie degli insegnanti siano infestate da satanisti pedofili o che psicologi e genitori in Italia siano psicologicamente predisposti a una caccia alle streghe? La seconda opzione sembra meno terribile, ma è comunque terribile.
Io però non avrei voluto nemmeno parlare, di quell’orribile caso: perché non ne so niente, davvero, e le chiacchiere non rimediano l’ignoranza dei fatti. Io volevo parlare di te, perché ti conosco bene: e non mi piaci.
Finché è un bar, pazienza: ci si viene per altri motivi, e le chiacchiere sono inconcludenti per definizione. Ma quando vai su un blog (come questo o questo), tu non cerchi generi di conforto. No. Tu ci vai esattamente per scrivere i commenti che scrivi: se li avessi tra le mani li strozzerei, li impalerei, non so cosa farei (finalmente una cosa che non sai: quale costume da boia ti calzi a pennello) E la presunzione d’innocenza? Ma “ci sono tante cose che qualcosa per forza dev’esser vero”. Come no.
Tu non mi piaci perché in questa società, in questa civiltà, ci stai da ospite. Avremmo dovuto essere un po’ selettivi alle frontiere: non solo a Lampedusa, ma anche all’esame di maturità. Forse servirebbe una specie di giuramento sulla Costituzione. Non lo so. So solo che tu sei un barbaro, che approfitti di tutti i comfort di uno Stato di diritto ma pensi allo stesso tempo di poter venire in un bar o su un blog a parlare di Legge del Taglione e diritto alla Faida. Vienmi poi a parlare di Civiltà occidentale. Civiltà? E imparare un alfabeto?
Non solo sei un barbaro, ma un barbaro pre-cristiano: Teodorico l’ostrogoto ti sopravanza in civiltà di diverse spanne. Guarda che il cristianesimo lo hanno fondato anche un po’ per te, per toglierti quell’ansia primordiale di strozzare i colpevoli. Se tu fossi un buon cristiano, ti rilasseresti: Dio vede tutto e chi ha fatto male i piccoli brucerà in un fuoco eterno. Strozzarli oggi non aggiunge nulla al castigo.
Ma se uno la fede non ce l’ha, mica se la può inventare… e va bene. Per quelli come te c’è lo Stato laico. Ma ha le sue regole. La giustizia laica è tutt’un’altra cosa rispetto a quella che tu pensi. per certi versi è stata inventata proprio per difendere i colpevoli dai barbari come te… e per difendere i barbari come te da sé stessi.
E non ti voglio dire, con Beccaria, che la pena dovrebbe essere educativa: e chi ci crede più in Beccaria? Mi basterebbe che tu capissi che lo Stato non è un’istituzione preposta alle vendette corporali. Punire i colpevoli è importante, ma è molto più importante evitare che altri reati siano commessi. E a tale scopo questo tuo insanabile prurito alle mani è dannoso, te ne rendi conto? Quando esterni la tua voglia di strozzare, dai quasi l’impressione di voler occultare delle prove. Se quanto denunciato a Rignano fosse vero, i servitori dello Stato dovrebbero per prima cosa far luce su una rete di complicità ramificata e spaventosa. Altro che strozzare i colpevoli, allora: bisognerebbe farli parlare, con ogni mezzo. Magari con la tortura (il carcere duro italiano è tortura) ma persino con delle concessioni, se fosse necessario. Perché la priorità non è strozzare un colpevole: la priorità è prevenire gli abusi sui bambini.
E qui arriviamo alle accuse gravi. No, non contro i pedofili, contro di te.
Ogni volta che ti sento parlare, o che ti leggo, caro amico Barbaro, mi domando: qual è la tua priorità? Prevenire altri casi di abuso sui minori o strozzare qualcuno? Qualcuno che sicuramente, forse, chissà, è colpevole?
Questo tuo gettarti con le mani avanti, ogni volta che i giornali ti servono il mostro pronto, è molto sospetto. Non appena nasce un caso, tu vuoi strozzare i colpevoli. Il che significa che tu desideri che ci siano colpevoli. Come a dire che desideri che il caso non scoppi come una bolla di sapone. Se poi si scoprisse che i bambini non sono stati toccati, tu rischieresti persino di mostrarti deluso.
Io non so se Rignano sia una bolla di sapone, ma so che in passato ce ne sono state. Negli anni Ottanta negli Usa ci fu una vera e propria epidemia di casi di questo tipo nelle scuole dell’infanzia (via Macchia). Molti furono arrestati. Quasi tutti poi assolti.
Questo tipo di bolle nascono precisamente per colpa tua. Sono i barbari come te che comprano i mostri pronti in prima pagina. Sono quelli come te che si attaccano al tg più urlato e colpevolista che può offrirti il mercato. Questa tua ansia di strozzare qualcuno crea il mostro, lo capisci? Quattrocento anni fa era l’untore, oggi è il pedofilo, con qualche variante.
La volontà di sapere, l'ansia di strozzare. Per colpa della tua curiosità malata, e del tuo mal sublimato prurito alle mani, innocenti vanno in galera e bambini si auto-convincono di cose orribili. E tu nel frattempo te ne vai in giro per i bar o per i blog, a dire quanto ami i bambini. È possibile che tu, da piccolo, abbia effettivamente preso qualche ceffone di troppo. Ma qui da noi non è una scusa. Forse non commetti nessun reato, ma sei un ospite della civiltà, e alla lunga gli ospiti puzzano. Tornatene nella tua grotta, vuoi?
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lunedì 30 aprile 2007
giovedì 26 aprile 2007
ogni allarme è ingiustificato
La versione di P.P.
Chi sia il furbo, chi sia il fesso, ancora oggi non lo so.
Quando ti parlavo di Effetto Serra, tu mi prendevi per matto: non c’è nessun Effetto Serra, non c’è nemmeno la prova che il pianeta si sia riscaldando, usiamo un po’ il buonsenso, perdìo.
Poi è arrivato un uragano, e tu hai detto che un uragano non fa statistica.
Allora è arrivato un altro uragano, e tu hai detto che statisticamente è già successo, nel dodicesimo secolo, che ci fossero due uragani, embè? Ma usiamo un po’ il buonsenso.
Poi c’è stato lo Tsunami, che col clima c’entra nulla, e tu mi hai detto: Visto? L’Effetto Serra non c’entra nulla. La gente ai tropici muori anche senza. Lo vedi, PP? Tutto questo allarmismo è ingiustificato.
Poi ci sono stati altri uragani, e alla fine lo hai ammesso: il pianeta è un po’ più caldo. Ma chi ha detto che sia colpa dell’uomo? Eh? Ci sono studi seri che lo provano?
Poi sono usciti gli studi seri che lo provavano. E va bene, hai detto. Sarà anche a causa dell’uomo che fa un po’ più caldo – ma chi ha detto che sia un male? Basta con il vecchio buonsenso, perdìo.
Pensiamola diversamente. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia! Proviamo a considerare il riscaldamento globale una risorsa. Pensa a quante isole nuove, a quante mete turistiche da scoprire. Pensa al Passaggio a Nordovest, a Nordest. Pensa al turismo antartico. E tutto questo è merito dell’uomo! Non ti fa sentire quasi un Dio?
Io ci pensavo un po’ e poi dicevo: mah. Può darsi che a qualcuno il riscaldamento globale porti fortuna, ma per la maggior parte dell’umanità sarà una disgrazia. La fascia maggiormente sconvolta sarà quella subtropicale, dove abita più gente e la più povera. Se si alza il livello del mare non potranno rifugiarsi in Groenlandia. Se il suolo si desertifica, non potranno acquistare cereali dalla Russia. Insomma, Martin, il bilancio resterà in passivo. E tu: sciocchezze, PP. La verità è che tu, questa catastrofe, te la sogni di notte. È da tanto tempo che la immagini che ne hai fatto una malattia, come lo scudetto dell’Inter. Faresti carte false pur di aver ragione. È diventata una questione tra te e il mondo! Senza una carestia o un diluvio, non sei contento. Sei proprio convinto di avere a cuore l’interesse dell’umanità? Non è che ne hai abbastanza, di questa umanità, non è che preferiresti annegarla tutta e ricominciare da capo? Ma chi sei, Noè?
Io ci sono rimasto un po’ male, perché in fondo chissà, può anche darsi che tu avessi ragione. È un po’ un’ossessione, la mia. La gente di buon senso non pensa sempre alle catastrofi. Non si fascia la testa a ogni cattiva notizia. La gente di buon senso.
Poi si è seccato il Po, il comune ha iniziato a razionare l’acqua corrente, quella minerale è aumentata del 5000%, e io sarei stato curioso di sentire il tuo parere. Ma tu te n’eri già andato nella tua nuova villetta in Canada, comprata con la liquidazione del negozio di articoli da sci alpino.
Da quel che so ti sei fatto un giardino con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà, e le ragazze si fermano ai cancelli ad ammirarla.
E insomma, chi è il furbo, chi è il fesso, non lo so. La notte – quando non sono di turno alla pompa dei nuovi argini - sogno di venirti a trovare, e a incendiare la tua casetta bella. Ah, sì, lo so che laggiù hai tutto lo spazio che vuoi per costruirne un’altra. Ho sentito che ogni anno si libera dai ghiacci più terra di quella che si è impaludata in un mese qui, in valpadana.
Terra verde, terra fresca, terra vergine.
Goditela, Martin, finché puoi. Sto arrivando.
Tuo,
Pinco Panco.
(Non nascondetevi sotto la sabbia! Studiatevi le opportunità di un sano riscaldamento globale! via Wittgenstein)
Chi sia il furbo, chi sia il fesso, ancora oggi non lo so.
Quando ti parlavo di Effetto Serra, tu mi prendevi per matto: non c’è nessun Effetto Serra, non c’è nemmeno la prova che il pianeta si sia riscaldando, usiamo un po’ il buonsenso, perdìo.
Poi è arrivato un uragano, e tu hai detto che un uragano non fa statistica.
Allora è arrivato un altro uragano, e tu hai detto che statisticamente è già successo, nel dodicesimo secolo, che ci fossero due uragani, embè? Ma usiamo un po’ il buonsenso.
Poi c’è stato lo Tsunami, che col clima c’entra nulla, e tu mi hai detto: Visto? L’Effetto Serra non c’entra nulla. La gente ai tropici muori anche senza. Lo vedi, PP? Tutto questo allarmismo è ingiustificato.
Poi ci sono stati altri uragani, e alla fine lo hai ammesso: il pianeta è un po’ più caldo. Ma chi ha detto che sia colpa dell’uomo? Eh? Ci sono studi seri che lo provano?
Poi sono usciti gli studi seri che lo provavano. E va bene, hai detto. Sarà anche a causa dell’uomo che fa un po’ più caldo – ma chi ha detto che sia un male? Basta con il vecchio buonsenso, perdìo.
Pensiamola diversamente. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia! Proviamo a considerare il riscaldamento globale una risorsa. Pensa a quante isole nuove, a quante mete turistiche da scoprire. Pensa al Passaggio a Nordovest, a Nordest. Pensa al turismo antartico. E tutto questo è merito dell’uomo! Non ti fa sentire quasi un Dio?
Io ci pensavo un po’ e poi dicevo: mah. Può darsi che a qualcuno il riscaldamento globale porti fortuna, ma per la maggior parte dell’umanità sarà una disgrazia. La fascia maggiormente sconvolta sarà quella subtropicale, dove abita più gente e la più povera. Se si alza il livello del mare non potranno rifugiarsi in Groenlandia. Se il suolo si desertifica, non potranno acquistare cereali dalla Russia. Insomma, Martin, il bilancio resterà in passivo. E tu: sciocchezze, PP. La verità è che tu, questa catastrofe, te la sogni di notte. È da tanto tempo che la immagini che ne hai fatto una malattia, come lo scudetto dell’Inter. Faresti carte false pur di aver ragione. È diventata una questione tra te e il mondo! Senza una carestia o un diluvio, non sei contento. Sei proprio convinto di avere a cuore l’interesse dell’umanità? Non è che ne hai abbastanza, di questa umanità, non è che preferiresti annegarla tutta e ricominciare da capo? Ma chi sei, Noè?
Io ci sono rimasto un po’ male, perché in fondo chissà, può anche darsi che tu avessi ragione. È un po’ un’ossessione, la mia. La gente di buon senso non pensa sempre alle catastrofi. Non si fascia la testa a ogni cattiva notizia. La gente di buon senso.
Poi si è seccato il Po, il comune ha iniziato a razionare l’acqua corrente, quella minerale è aumentata del 5000%, e io sarei stato curioso di sentire il tuo parere. Ma tu te n’eri già andato nella tua nuova villetta in Canada, comprata con la liquidazione del negozio di articoli da sci alpino.
Da quel che so ti sei fatto un giardino con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà, e le ragazze si fermano ai cancelli ad ammirarla.
E insomma, chi è il furbo, chi è il fesso, non lo so. La notte – quando non sono di turno alla pompa dei nuovi argini - sogno di venirti a trovare, e a incendiare la tua casetta bella. Ah, sì, lo so che laggiù hai tutto lo spazio che vuoi per costruirne un’altra. Ho sentito che ogni anno si libera dai ghiacci più terra di quella che si è impaludata in un mese qui, in valpadana.
Terra verde, terra fresca, terra vergine.
Goditela, Martin, finché puoi. Sto arrivando.
Tuo,
Pinco Panco.
(Non nascondetevi sotto la sabbia! Studiatevi le opportunità di un sano riscaldamento globale! via Wittgenstein)
martedì 24 aprile 2007
continua da sempre
Il congresso interiore
Mozione #424
Ma voi rammentate di quell’uomo barbuto che qualche anno fa, invitato a salire su un palco, stupendo sé stesso e gli altri disse: Con questi qui non vinceremo mai? E dietro di lui c’era Rutelli, c’era Fassino, D’Alema, uomini d’apparato lividi e grigi. Ma l’uomo con la barba che fine ha poi fatto? Fa il regista, no? Fa i film?
Li facesse belli, almeno. Invece l’altro ieri c’era il congresso di Rutelli, il congresso di Fassino, tutti a dire quanto siamo bravi noi dell’apparato, che adesso smontiamo l’apparato. Eh, ma infatti. Dove lo trovi un apparato che ha il coraggio di smontarsi da solo?
E insomma concludendo, compagni dopolavoristi della politica, io credo che questa tornata di congressi abbia sancito la fine dei girotondi, degli scalfarini e degli scalfarotti, e di chiunque si provi a tuffare nella politica per hobby quando ha già un altro mestiere. Non siamo mica più negli anni Settanta, che potevi lasciare il lavoro per un paio d’anni e riprenderlo con calma. Qui devi attaccarti a tutto, o perdi il pubblico, perdi il contratto, perdi la famiglia. E l’apparato vince. L’apparato si smonta, si riprogetta e si rimonta a piacimento. L’apparato si stipendia e si gratifica. L’unica cosa che l’apparato non riesce a fare è prepensionarsi, e infatti il punto è, compagni: quanto dobbiamo pagarli perché si levino dai coglioni? Ho terminato, grazie, scusate.
Mozione #425
Compagni, sono molto stupito di me stesso. E insomma io sono prodiano dentro, prodiano di ferro, prodiano nel dna, e il Partito Democratico è la summa di tutto quello in cui ho creduto sin da quando ero un bambinetto sveglio. E allo stesso tempo l’attuale Partito Democratico è il consesso di tutti i personaggi che mi sono stancato di votare. Mi guardo allo specchio e vedo mio padre quando gli toccava votare per il partito di Forlani e Andreotti. Davvero siamo arrivati a questo? Alla balena rosa?
E vota Mussi, direte voi. Ma compagni, se Mussi riuscirà a vendermi Boselli, ha sbagliato mestiere, doveva battere le province coi flaconi d’acqua miracolosa. E se invece andrà con Bertinotti, sarà l’ennesimo partito di gente di cui non mi fido. E se andasse con Diliberto. O con Pannella. E insomma, la sinistra è libera di aggregarsi e disgregarsi e riaggregarsi di nuovo, purché non tenti di piacermi. E perde anche per questo motivo! (Applausi)
Mozione #426
…Dici bene, compagno: ma poi si andrà a votare, il nemico sarà ancora Berlusconi, e tu sarai pronto a far la croce su qualsiasi stemmino, anche uncinato. Siete fatti così! voi prodiani siete fatti così. Stalinisti di ritorno, avete fatto ore di fila alle primarie del 2005 per eleggere il candidato dell’apparato. E allora di che vi lamentate? Preparatevi a eleggere il vostro amato leader. Chi è? Ve lo stanno per dire, ancora alcuni mesi e scoprirete di averlo sempre amato.
Mozione #428
Io credo che siamo tutti schizzati, qui, tutti interiormente divorziati. Un divorzio tra Io teorico e Io pratico. Cerco di spiegarmi (brontolii).
Abbiamo tutti un Io teorico, che si concede teorie sperimentali e critiche forti all’apparato. Questo Io teorico coglie la società postcapitalista in tutte le sue contraddizioni più o meno scoppiate o in via di scoppiamento. Intanto l’Io pratico va a lavorare, paga le imposte, e desidererebbe migliorare la sua vita secondo il pattern vetero-borghese: migliori servizi, anche però meno tasse, sicurezza nelle strade, no all’inquinamento ma con moderazione, ecc. ecc.
Se potessero votare in cabine separate, probabilmente l’Io teorico si disperderebbe in qualche listina di sinistra, mentre l’Io pratico aspira al grande Partito Democratico. Quindi a un certo livello si direbbe (paradossalmente) che l’Io Pratico è più intelligente: sa che l’attrito con la realtà è ruvido ma necessario.
Nel frattempo il pianeta muore di caldo, come un bambino in una macchina lasciata nel parcheggio da un Io pratico troppo pratico e troppo indaffarato, e l’Io teorico lo sapeva! Lo sapeva da vent’anni! E allora chi è il vero furbo, alla fine?
Nessuno dei due. Bisognerebbe ricomporre la schizofrenia. Farla finita con una certa falsa coscienza moderata che ci ha portati con moderazione e giudizio alla secca del Po nel mese d’aprile. Basta. Non è più tempo di pace sociale, siamo alla catastrofe ambientale e sociale! Compagni! Dobbiamo rimettere in campo il nostro Io teorico! Sperimentare teorie nuove, smontare tutto quanto! O saremo invasi dalle cavallette (lo portano via)
Mozione #429
...Allora sono andato a dare un'occhiata al mio pantheon, e ci ho trovato poco di utile, forse solo questa frasetta di Italo Calvino.
E insomma, il fatto che siamo persone di buonsenso e ragionevoli, non significa che non dobbiamo avere analisi chiare e trancianti.
Compagni non dico che non dobbiamo andare a caccia di consensi, e che questo terreno di caccia non debba essere il Centro, come sempre. Dico un’altra cosa: per quanto gentili e moderati, noi dobbiamo sapere che abbiamo ragione, e loro torto (Grida di forte disapprovazione).
Mozione #430
La conquista del Centro. Sono 15 anni che i DS guardano al Centro. Poteva avere un senso quando al centro c’erano solo schegge di democristiani e socialisti. Ma poi è nata la Margherita: che senso aveva fare la concorrenza alla Margherita? Forse che il Gruppo Fiat si fa concorrenza da solo negli stessi segmenti, l’Alfa contro la Lancia? Lo fa? Oh, beh, non vuol dire.
Ma adesso che dopo infiniti corteggiamenti se la sono mangiata, questa Margherita, lo capiranno che è ora di andare a caccia di consensi a sinistra? Che è là che c’è il vero movimento? Che è solo là che ci sono le idee?
Perché al centro non ci sono idee. C’è solo tanto, tanto buon senso. Quello che sta soffocando il mondo, come ha detto il compagno poco fa.
Mozione #431
Voi dite tanto, eppure io credo che l’intelligenza sia sopravalutata. Sì, sì, fischiate, sì. Leggevo giusto l’altro ieri un’intervista a un politologo francese. Un’analisi raffinatissima delle elezioni francesi che si concludeva con “…purtroppo vincerà Sarkozy”. E lei per chi vota, gli chiede l’intervistatore? E lui spara uno di quei candidatini d’estrema sinistra.
Per dire che se fossero tutti intelligenti e raffinati come lui, in Francia, al ballottaggio ci mandavano di nuovo Le Pen. E invece si sono fatti un po’ più stupidi: complimenti.
(Continua fino all’esaurimento della civiltà occidentale, portate un po' di pazienza)
Mozione #424
Ma voi rammentate di quell’uomo barbuto che qualche anno fa, invitato a salire su un palco, stupendo sé stesso e gli altri disse: Con questi qui non vinceremo mai? E dietro di lui c’era Rutelli, c’era Fassino, D’Alema, uomini d’apparato lividi e grigi. Ma l’uomo con la barba che fine ha poi fatto? Fa il regista, no? Fa i film?
Li facesse belli, almeno. Invece l’altro ieri c’era il congresso di Rutelli, il congresso di Fassino, tutti a dire quanto siamo bravi noi dell’apparato, che adesso smontiamo l’apparato. Eh, ma infatti. Dove lo trovi un apparato che ha il coraggio di smontarsi da solo?
E insomma concludendo, compagni dopolavoristi della politica, io credo che questa tornata di congressi abbia sancito la fine dei girotondi, degli scalfarini e degli scalfarotti, e di chiunque si provi a tuffare nella politica per hobby quando ha già un altro mestiere. Non siamo mica più negli anni Settanta, che potevi lasciare il lavoro per un paio d’anni e riprenderlo con calma. Qui devi attaccarti a tutto, o perdi il pubblico, perdi il contratto, perdi la famiglia. E l’apparato vince. L’apparato si smonta, si riprogetta e si rimonta a piacimento. L’apparato si stipendia e si gratifica. L’unica cosa che l’apparato non riesce a fare è prepensionarsi, e infatti il punto è, compagni: quanto dobbiamo pagarli perché si levino dai coglioni? Ho terminato, grazie, scusate.
Mozione #425
Compagni, sono molto stupito di me stesso. E insomma io sono prodiano dentro, prodiano di ferro, prodiano nel dna, e il Partito Democratico è la summa di tutto quello in cui ho creduto sin da quando ero un bambinetto sveglio. E allo stesso tempo l’attuale Partito Democratico è il consesso di tutti i personaggi che mi sono stancato di votare. Mi guardo allo specchio e vedo mio padre quando gli toccava votare per il partito di Forlani e Andreotti. Davvero siamo arrivati a questo? Alla balena rosa?
E vota Mussi, direte voi. Ma compagni, se Mussi riuscirà a vendermi Boselli, ha sbagliato mestiere, doveva battere le province coi flaconi d’acqua miracolosa. E se invece andrà con Bertinotti, sarà l’ennesimo partito di gente di cui non mi fido. E se andasse con Diliberto. O con Pannella. E insomma, la sinistra è libera di aggregarsi e disgregarsi e riaggregarsi di nuovo, purché non tenti di piacermi. E perde anche per questo motivo! (Applausi)
Mozione #426
…Dici bene, compagno: ma poi si andrà a votare, il nemico sarà ancora Berlusconi, e tu sarai pronto a far la croce su qualsiasi stemmino, anche uncinato. Siete fatti così! voi prodiani siete fatti così. Stalinisti di ritorno, avete fatto ore di fila alle primarie del 2005 per eleggere il candidato dell’apparato. E allora di che vi lamentate? Preparatevi a eleggere il vostro amato leader. Chi è? Ve lo stanno per dire, ancora alcuni mesi e scoprirete di averlo sempre amato.
Mozione #428
Io credo che siamo tutti schizzati, qui, tutti interiormente divorziati. Un divorzio tra Io teorico e Io pratico. Cerco di spiegarmi (brontolii).
Abbiamo tutti un Io teorico, che si concede teorie sperimentali e critiche forti all’apparato. Questo Io teorico coglie la società postcapitalista in tutte le sue contraddizioni più o meno scoppiate o in via di scoppiamento. Intanto l’Io pratico va a lavorare, paga le imposte, e desidererebbe migliorare la sua vita secondo il pattern vetero-borghese: migliori servizi, anche però meno tasse, sicurezza nelle strade, no all’inquinamento ma con moderazione, ecc. ecc.
Se potessero votare in cabine separate, probabilmente l’Io teorico si disperderebbe in qualche listina di sinistra, mentre l’Io pratico aspira al grande Partito Democratico. Quindi a un certo livello si direbbe (paradossalmente) che l’Io Pratico è più intelligente: sa che l’attrito con la realtà è ruvido ma necessario.
Nel frattempo il pianeta muore di caldo, come un bambino in una macchina lasciata nel parcheggio da un Io pratico troppo pratico e troppo indaffarato, e l’Io teorico lo sapeva! Lo sapeva da vent’anni! E allora chi è il vero furbo, alla fine?
Nessuno dei due. Bisognerebbe ricomporre la schizofrenia. Farla finita con una certa falsa coscienza moderata che ci ha portati con moderazione e giudizio alla secca del Po nel mese d’aprile. Basta. Non è più tempo di pace sociale, siamo alla catastrofe ambientale e sociale! Compagni! Dobbiamo rimettere in campo il nostro Io teorico! Sperimentare teorie nuove, smontare tutto quanto! O saremo invasi dalle cavallette (lo portano via)
Mozione #429
...Allora sono andato a dare un'occhiata al mio pantheon, e ci ho trovato poco di utile, forse solo questa frasetta di Italo Calvino.
“Credo giusto avere una coscienza estremista della gravità della situazione, e che proprio questa gravità richieda spirito analitico, senso della realtà, responsabilità delle conseguenze di ogni azione parola pensiero, doti insomma non estremiste per definizione”.È un’intervista a Nuovi Argomenti. Onestamente non so dirvi quale fosse la grave situazione del 1973, perché dal mio seggiolone tutto mi sembrava interessante piacevole e colorato. È di oggi che quelle parole mi parlano: oggi che ogni cosa è grave, io da elettore moderato reclamo il diritto ad una coscienza estremista. Forse la mia è la stessa schizofrenia di cui parlava il compagno qui sopra.
E insomma, il fatto che siamo persone di buonsenso e ragionevoli, non significa che non dobbiamo avere analisi chiare e trancianti.
Compagni non dico che non dobbiamo andare a caccia di consensi, e che questo terreno di caccia non debba essere il Centro, come sempre. Dico un’altra cosa: per quanto gentili e moderati, noi dobbiamo sapere che abbiamo ragione, e loro torto (Grida di forte disapprovazione).
Mozione #430
La conquista del Centro. Sono 15 anni che i DS guardano al Centro. Poteva avere un senso quando al centro c’erano solo schegge di democristiani e socialisti. Ma poi è nata la Margherita: che senso aveva fare la concorrenza alla Margherita? Forse che il Gruppo Fiat si fa concorrenza da solo negli stessi segmenti, l’Alfa contro la Lancia? Lo fa? Oh, beh, non vuol dire.
Ma adesso che dopo infiniti corteggiamenti se la sono mangiata, questa Margherita, lo capiranno che è ora di andare a caccia di consensi a sinistra? Che è là che c’è il vero movimento? Che è solo là che ci sono le idee?
Perché al centro non ci sono idee. C’è solo tanto, tanto buon senso. Quello che sta soffocando il mondo, come ha detto il compagno poco fa.
Mozione #431
Voi dite tanto, eppure io credo che l’intelligenza sia sopravalutata. Sì, sì, fischiate, sì. Leggevo giusto l’altro ieri un’intervista a un politologo francese. Un’analisi raffinatissima delle elezioni francesi che si concludeva con “…purtroppo vincerà Sarkozy”. E lei per chi vota, gli chiede l’intervistatore? E lui spara uno di quei candidatini d’estrema sinistra.
Per dire che se fossero tutti intelligenti e raffinati come lui, in Francia, al ballottaggio ci mandavano di nuovo Le Pen. E invece si sono fatti un po’ più stupidi: complimenti.
(Continua fino all’esaurimento della civiltà occidentale, portate un po' di pazienza)
venerdì 20 aprile 2007
limbo lower 2
Tutti fuori
Per molti secoli, il Cristianesimo ha riguardato soprattutto la Morte.
Intendo dire che era una religione che faceva il possibile per aiutare i suoi fedeli a convivere con l’idea, terribile e familiare, della morte. Questo mistero che ci portiamo con noi tutti i giorni: perché siamo al mondo se non è per sempre? Quando moriremo? Nessuno lo sa.
I cristiani arrivano dopo millenni di angoscia a proporci una serie di misure difensive. Non sono stati i primi, ma bisogna ammettere che sono stati più bravi di altri. La morte non è che l’inizio, dice il cristiano: prova a immaginartela come un cancello espugnato da Cristo, afferma più o meno San Paolo. Considera la tua povera vita come un investimento. Gesù aveva già accennato con gli apostoli a un Regno dei Cieli, a un Giudizio Universale: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Se sei buono – o pensi di esserlo – di morire a questo punto ti vien quasi voglia.
E se non sei buono, puoi sempre rimediare con una nobile morte. Da qui il martirio – che esisteva già nel mondo degli eroi, ma col Cristianesimo diventa una manifestazione religiosa. Da qui, inoltre, una serie di manifestazioni esteriori un po’ luttuose (i crocifissi, i teschi, i monaci che ammoniscono: “ricordati che devi morire”) che ultimamente abbiamo un poco accantonato. Perché? Perché questa enfasi sulla morte è passata di moda. Anche tra i cristiani.
Dalla metà del Novecento, in effetti, il Cristianesimo ha iniziato a preoccuparsi soprattutto della Vita. Non di quella eterna, come ci si potrebbe aspettare: no, proprio delle nostre vite effimere ed imperfette. Verrebbe da chiedersi il perché: qualcuno si chiede il perché? Voglio dire, come si spiega che la religione dell’Estrema Unzione è diventata la religione antiabortista per eccellenza?
Qualunque sia il motivo, il Limbo è rimasto fregato nel mezzo. Nel medioevo, in piena ansia per la vita dopo la Morte, il Limbo era stato escogitato per spiegare un’apparente ingiustizia del Sommo Giudice: se solo chi ha ricevuto la Buona Novella è degno di entrare nel Regno dei Cieli, come la mettiamo con le persone oneste e pie che la Buona Novella non l’hanno ricevuta perché sono vissuti prima di Gesù, o in un’altra parte del mondo, o sono morti troppo presto? Come può essere così ingiusto Dio da dare tanta importanza al luogo e al tempo in cui abbiamo vissuto una vita che è solo una percentuale infinitesima dell’Eternità dopo la morte?
Qualche oscuro architetto dell’oltretomba suggerì che doveva esserci nell’inferno una zona dove, pur in assenza di Dio, si stava bene; qualche alto prelato ne parlò, Dante lo sistemò nel suo poema, e da allora il Limbo si è imposto nell’immaginario collettivo – ma da parte dei Pontefici, nessuna dichiarazione definitiva.
E meno male, perché il problema che angustiava Ratzinger fino ad oggi è di segno opposto: se nulla è più sacro della Vita, come si spiega che la vita degli embrioni, in sede di Giudizio Universale, sia considerata robetta da serie B? Perché i preti dovrebbero spendersi tanto per creature comunque destinate al Limbo? Insomma, questo rimasuglio della struttura medievale finiva per accreditare la sensazione (suggerita anche da un certo borghese buon senso) che un esserino concepito da pochi giorni non sia cosa da mandare né in Cielo, né all’inferno, né altrove: qualche laico prima o poi lo avrebbe interpretato in questo senso. Meglio rimuovere. Del resto si sa, le chiavi del cielo le ha lui. A chi scioglie in terra, sarà sciolto in eterno, no?
E quindi il Limbo è chiuso. Tutti fuori. Come si diceva qualche tempo fa, preparatevi a un paradiso asiatico, perché la maggior parte degli aborti clandestini si pratica in Cina e India; e presupporre che solo gli embrioni di radici cristiane vadano in cielo sarebbe vagamente nazista (e io non vorrei nemmeno scriverle nello stesso pezzo, le parole “nazista” e “Ratzinger”).
Per farla breve: la sorte toccata al Limbo è un segno di come cambia nei secoli questo Cristianesimo che crediamo monolitico: nel Medioevo lo inventano perché sono ossessionati dalla sistemazione del mondo dopo la Morte; nel Duemila lo tolgono perché sono altrettanto ossessionati dalla sistemazione della Vita. E domani? Chi lo sa. Anche il Regno dei Cieli si aggiorna: questa è comunque una buona notizia.
Per molti secoli, il Cristianesimo ha riguardato soprattutto la Morte.
Intendo dire che era una religione che faceva il possibile per aiutare i suoi fedeli a convivere con l’idea, terribile e familiare, della morte. Questo mistero che ci portiamo con noi tutti i giorni: perché siamo al mondo se non è per sempre? Quando moriremo? Nessuno lo sa.
I cristiani arrivano dopo millenni di angoscia a proporci una serie di misure difensive. Non sono stati i primi, ma bisogna ammettere che sono stati più bravi di altri. La morte non è che l’inizio, dice il cristiano: prova a immaginartela come un cancello espugnato da Cristo, afferma più o meno San Paolo. Considera la tua povera vita come un investimento. Gesù aveva già accennato con gli apostoli a un Regno dei Cieli, a un Giudizio Universale: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Se sei buono – o pensi di esserlo – di morire a questo punto ti vien quasi voglia.
E se non sei buono, puoi sempre rimediare con una nobile morte. Da qui il martirio – che esisteva già nel mondo degli eroi, ma col Cristianesimo diventa una manifestazione religiosa. Da qui, inoltre, una serie di manifestazioni esteriori un po’ luttuose (i crocifissi, i teschi, i monaci che ammoniscono: “ricordati che devi morire”) che ultimamente abbiamo un poco accantonato. Perché? Perché questa enfasi sulla morte è passata di moda. Anche tra i cristiani.
Dalla metà del Novecento, in effetti, il Cristianesimo ha iniziato a preoccuparsi soprattutto della Vita. Non di quella eterna, come ci si potrebbe aspettare: no, proprio delle nostre vite effimere ed imperfette. Verrebbe da chiedersi il perché: qualcuno si chiede il perché? Voglio dire, come si spiega che la religione dell’Estrema Unzione è diventata la religione antiabortista per eccellenza?
Qualunque sia il motivo, il Limbo è rimasto fregato nel mezzo. Nel medioevo, in piena ansia per la vita dopo la Morte, il Limbo era stato escogitato per spiegare un’apparente ingiustizia del Sommo Giudice: se solo chi ha ricevuto la Buona Novella è degno di entrare nel Regno dei Cieli, come la mettiamo con le persone oneste e pie che la Buona Novella non l’hanno ricevuta perché sono vissuti prima di Gesù, o in un’altra parte del mondo, o sono morti troppo presto? Come può essere così ingiusto Dio da dare tanta importanza al luogo e al tempo in cui abbiamo vissuto una vita che è solo una percentuale infinitesima dell’Eternità dopo la morte?
Qualche oscuro architetto dell’oltretomba suggerì che doveva esserci nell’inferno una zona dove, pur in assenza di Dio, si stava bene; qualche alto prelato ne parlò, Dante lo sistemò nel suo poema, e da allora il Limbo si è imposto nell’immaginario collettivo – ma da parte dei Pontefici, nessuna dichiarazione definitiva.
E meno male, perché il problema che angustiava Ratzinger fino ad oggi è di segno opposto: se nulla è più sacro della Vita, come si spiega che la vita degli embrioni, in sede di Giudizio Universale, sia considerata robetta da serie B? Perché i preti dovrebbero spendersi tanto per creature comunque destinate al Limbo? Insomma, questo rimasuglio della struttura medievale finiva per accreditare la sensazione (suggerita anche da un certo borghese buon senso) che un esserino concepito da pochi giorni non sia cosa da mandare né in Cielo, né all’inferno, né altrove: qualche laico prima o poi lo avrebbe interpretato in questo senso. Meglio rimuovere. Del resto si sa, le chiavi del cielo le ha lui. A chi scioglie in terra, sarà sciolto in eterno, no?
E quindi il Limbo è chiuso. Tutti fuori. Come si diceva qualche tempo fa, preparatevi a un paradiso asiatico, perché la maggior parte degli aborti clandestini si pratica in Cina e India; e presupporre che solo gli embrioni di radici cristiane vadano in cielo sarebbe vagamente nazista (e io non vorrei nemmeno scriverle nello stesso pezzo, le parole “nazista” e “Ratzinger”).
Per farla breve: la sorte toccata al Limbo è un segno di come cambia nei secoli questo Cristianesimo che crediamo monolitico: nel Medioevo lo inventano perché sono ossessionati dalla sistemazione del mondo dopo la Morte; nel Duemila lo tolgono perché sono altrettanto ossessionati dalla sistemazione della Vita. E domani? Chi lo sa. Anche il Regno dei Cieli si aggiorna: questa è comunque una buona notizia.
mercoledì 18 aprile 2007
peripatetici a Roma
Dialogo sull’arte contemporanea
“…E questa quindi è piazza del Popolo, e in fondo c’è la chiesa coi Caravaggio”.
“E quelli prof cosa sono?”
“Non ne ho la minima idea. Sembrano soldati”.
“Manichini”.
“Sì, come l’armata di terracotta”.
“Ma no, prof, è pattume".
“Sul serio?”
“Sono fatti con le bottiglie, coi rottami. Questo è rosso perché è fatto con le lattine di cocacola. Ma che roba è”.
“Aspetta che c’è un cartello, vedi. Ah, ecco. Trash People, di Ha Schult. È un’installazione”.
“E cioè?”
“Un’opera d’arte”.
“Un’opera d’arte?”
“Un’opera che portano in giro, vedi? Ci sono le foto. Trash people davanti alle Piramidi. Trash people sulla Grande Muraglia. E adesso qui”.
“Ma che senso ha?”
“C’è sempre sul cartello. Ci fa riflettere sul nostro rapporto coi rifiuti. Ne produciamo talmente tanti. In fondo sono come le nostre piramidi, come il nostro esercito di terracotta che…”
“Ho sete. Mi è venuta voglia di cocacola”.
“Curioso, anche a me. C’è un bar di fronte alla chiesa”.
“Comunque questa non è arte. È pattume.
“È arte fatta di pattume”.
“Ma non è bella da vedere”.
“Dal terrazzo del Pincio deve fare un bell’effetto, invece”.
“Ma insomma, manichini di rusco, ero capace anch’io”.
“Sicuro?”
“Ma certo, come dire che domani vado in discarica e faccio una roba che…”
“Troppo tardi, lo ha già fatto Schult”.
“E non lo posso fare anch’io?”
“No, se copi non è più interessante. L’arte contemporanea è così: vince chi arriva primo. Come la formula uno”.
“E se faccio una roba con… delle schegge di ferro”
“Già fatto”.
“Oppure dei catenacci, dei carburatori e…”
“Già fatto”.
“E allora prendo l’olio frusto e ci faccio una roba che…”
“In un museo a Parigi ho visto roba fatta con le muffe, per cui figurati”.
“E allora con lo sputo, faccio una roba con lo sputo”.
“Già fatto. Pensa che un artista italiano ha già fatto una cosa con la merda”.
“La sua merda?”
“Quarant’anni fa, quindi arrivi un po’ tardi con gli sputi”.
“Una scultura con la merda?”
“Una cosa semplice. L’ha messa in diversi barattoli e ci ha scritto sopra: Merda d’artista. E poi l’ha venduta a peso d’oro”.
“E chi l’ha comprata?”
“I musei, per esempio, l’han comprata. Parigi, New York, quel tipo di posti”.
“Mi sta prendendo per il culo, prof”.
“L’ho vista quest’estate, coi miei occhi. Merda d’artista, di Piero Manzoni. Non confondere con Alessandro”.
“E chi è questo Manzoni”.
“Era un pittore. Ma è famoso soprattutto per la merda nei barattoli. Anche perché è morto giovane”.
“Ma lei l’ha vista sul serio?”
“Ho visto il barattolo”.
“E come si fa a sapere che dentro c’è la merda davvero?”
“Ci sono gli esperti, i critici, è il loro mestiere. Tieni conto che i barattoli li ha venduti a peso d’oro, ma adesso valgono ancora di più. Uno che ha comprato la merda di Manzoni trent’anni fa, a rivenderla adesso si compra una Ferrari. Perché la quotazione è salita”.
“E se adesso in un barattolo la faccio io…”
“Non te la compra nessuno, perché non ti chiami Manzoni. Lui è arrivato prima. Vince chi arriva prima”.
“Ma l’ha fatta direttamente nel barattolo?”
“Penso di no”.
“Ma davvero l’ha vista?”
“Perché dovrei raccontarti una bugia”.
“Che odore sapeva?”
“Nessun odore, dopo quarant’anni…”
“Ma non va a male in qualche modo?”
“Si ossida un po’ il barattolo. Del resto anche i Caravaggi si sono deteriorati. Certo, un conto è restaurare una pala d’altare del Cinquecento. Una merda del Novecento sarà un altro paio di maniche”.
“E quanto ha detto che costa?”
“Non lo so. Più del suo peso in oro, e aumenta”.
“Ma perché aumenta?”
“Si vede che è considerata sempre più importante, di anno in anno”.
“Ma è merda, come fa a diventare più importante?”
“Non è la merda in sé, è il gesto di metterla in un barattolo. È un gesto storico, nessuno aveva osato farlo prima. E anno dopo anno i critici lo considerano un gesto sempre più importante”.
“E se cambiano idea?”
“Se cambieranno idea, chi l’ha comprata a peso d’oro si ritroverà in mano un barattolo di merda”.
“Che fregatura quest’arte moderna”.
“Perché? È interessante, invece”.
“E comunque sono buono anch’io”.
“Prova. Prima però devi farti venire in mente un’idea nuova”.
“La piscia?”
“Figurati. Quarant’anni dopo la merda, arriva uno con la piscia. Banale”.
“Il vomito!”
“Ci avrà già pensato qualcuno. Dai, concentrati”.
“Mi concentro. Un sorso di coca?”
“Grazie”.
“…E questa quindi è piazza del Popolo, e in fondo c’è la chiesa coi Caravaggio”.
“E quelli prof cosa sono?”
“Non ne ho la minima idea. Sembrano soldati”.
“Manichini”.
“Sì, come l’armata di terracotta”.
“Ma no, prof, è pattume".
“Sul serio?”
“Sono fatti con le bottiglie, coi rottami. Questo è rosso perché è fatto con le lattine di cocacola. Ma che roba è”.
“Aspetta che c’è un cartello, vedi. Ah, ecco. Trash People, di Ha Schult. È un’installazione”.
“E cioè?”
“Un’opera d’arte”.
“Un’opera d’arte?”
“Un’opera che portano in giro, vedi? Ci sono le foto. Trash people davanti alle Piramidi. Trash people sulla Grande Muraglia. E adesso qui”.
“Ma che senso ha?”
“C’è sempre sul cartello. Ci fa riflettere sul nostro rapporto coi rifiuti. Ne produciamo talmente tanti. In fondo sono come le nostre piramidi, come il nostro esercito di terracotta che…”
“Ho sete. Mi è venuta voglia di cocacola”.
“Curioso, anche a me. C’è un bar di fronte alla chiesa”.
“Comunque questa non è arte. È pattume.
“È arte fatta di pattume”.
“Ma non è bella da vedere”.
“Dal terrazzo del Pincio deve fare un bell’effetto, invece”.
“Ma insomma, manichini di rusco, ero capace anch’io”.
“Sicuro?”
“Ma certo, come dire che domani vado in discarica e faccio una roba che…”
“Troppo tardi, lo ha già fatto Schult”.
“E non lo posso fare anch’io?”
“No, se copi non è più interessante. L’arte contemporanea è così: vince chi arriva primo. Come la formula uno”.
“E se faccio una roba con… delle schegge di ferro”
“Già fatto”.
“Oppure dei catenacci, dei carburatori e…”
“Già fatto”.
“E allora prendo l’olio frusto e ci faccio una roba che…”
“In un museo a Parigi ho visto roba fatta con le muffe, per cui figurati”.
“E allora con lo sputo, faccio una roba con lo sputo”.
“Già fatto. Pensa che un artista italiano ha già fatto una cosa con la merda”.
“La sua merda?”
“Quarant’anni fa, quindi arrivi un po’ tardi con gli sputi”.
“Una scultura con la merda?”
“Una cosa semplice. L’ha messa in diversi barattoli e ci ha scritto sopra: Merda d’artista. E poi l’ha venduta a peso d’oro”.
“E chi l’ha comprata?”
“I musei, per esempio, l’han comprata. Parigi, New York, quel tipo di posti”.
“Mi sta prendendo per il culo, prof”.
“L’ho vista quest’estate, coi miei occhi. Merda d’artista, di Piero Manzoni. Non confondere con Alessandro”.
“E chi è questo Manzoni”.
“Era un pittore. Ma è famoso soprattutto per la merda nei barattoli. Anche perché è morto giovane”.
“Ma lei l’ha vista sul serio?”
“Ho visto il barattolo”.
“E come si fa a sapere che dentro c’è la merda davvero?”
“Ci sono gli esperti, i critici, è il loro mestiere. Tieni conto che i barattoli li ha venduti a peso d’oro, ma adesso valgono ancora di più. Uno che ha comprato la merda di Manzoni trent’anni fa, a rivenderla adesso si compra una Ferrari. Perché la quotazione è salita”.
“E se adesso in un barattolo la faccio io…”
“Non te la compra nessuno, perché non ti chiami Manzoni. Lui è arrivato prima. Vince chi arriva prima”.
“Ma l’ha fatta direttamente nel barattolo?”
“Penso di no”.
“Ma davvero l’ha vista?”
“Perché dovrei raccontarti una bugia”.
“Che odore sapeva?”
“Nessun odore, dopo quarant’anni…”
“Ma non va a male in qualche modo?”
“Si ossida un po’ il barattolo. Del resto anche i Caravaggi si sono deteriorati. Certo, un conto è restaurare una pala d’altare del Cinquecento. Una merda del Novecento sarà un altro paio di maniche”.
“E quanto ha detto che costa?”
“Non lo so. Più del suo peso in oro, e aumenta”.
“Ma perché aumenta?”
“Si vede che è considerata sempre più importante, di anno in anno”.
“Ma è merda, come fa a diventare più importante?”
“Non è la merda in sé, è il gesto di metterla in un barattolo. È un gesto storico, nessuno aveva osato farlo prima. E anno dopo anno i critici lo considerano un gesto sempre più importante”.
“E se cambiano idea?”
“Se cambieranno idea, chi l’ha comprata a peso d’oro si ritroverà in mano un barattolo di merda”.
“Che fregatura quest’arte moderna”.
“Perché? È interessante, invece”.
“E comunque sono buono anch’io”.
“Prova. Prima però devi farti venire in mente un’idea nuova”.
“La piscia?”
“Figurati. Quarant’anni dopo la merda, arriva uno con la piscia. Banale”.
“Il vomito!”
“Ci avrà già pensato qualcuno. Dai, concentrati”.
“Mi concentro. Un sorso di coca?”
“Grazie”.
domenica 15 aprile 2007
il bonsai è un baobab al confronto
La lunga marcia di SuperBoselli
Vediamo se mi ricordo bene:
Il PSI – il più antico partito politico italiano – cessa di esistere per manifesta incapacità il 13 novembre 1994. Qualche ora dopo un tale, Enrico Boselli, fonda il SI.
Il SI (Socialisti Italiani) fin dall’inizio dimostra di non voler essere il solito partitino folkloristico: difatti non andrà mai da solo alle elezioni. Boselli si pone da subito il problema di agganciare altri partiti, per creare una più ampia aggregazione.
Alle regionali del 1995 il SI aggancia dunque i pattisti di Segni e all’Alleanza Democratica di Bordon (e della Meandri) in una più ampia aggregazione chiamata Patto dei Democratici, che prende il 4,2%: neanche male. Quasi tutti gli eletti sono boselliani. Il Patto si spatta immediatamente dopo.
Alle politiche del 1996 il SI è l’ingrediente di un calderone piuttosto centrista con il Rinnovamento Italiano di Dini, il Patto Segni e un altro partito ex democristiano a caso. Prendono il… 4,3%: insomma, tengono.
Forte di questi incontestabili successi, Boselli rialza la posta. Nei mesi successivi volge lo sguardo a sinistra, e si fa promotore nientemeno che di una Costituente Socialista nel nome di Turati, di Nenni e Saragat. Aderisce il Partito Socialista Democratico Italiano, quello che nelle barzellette della mia infanzia faceva i congressi nelle cabine telefoniche; Ugo Intini, che per l’occasione ha divorziato da De Michelis e dice di chiamarsi Partito-Socialista-Socialdemocrazia (cominciavano a finire i nomi); e una parte della Federazione Laburista Italiana. Una parte, eh? Mica tutti. Che tutti nella stessa cabina telefonica non ci stavano (non le fanno più grandi come una volta - maledetta telefonia cellulare).
È da queste radici gloriose che nasce, a Fiuggi il 10 maggio 1998, il nuovo partito destinato a lasciare un segno indelebile nell’Italia della Seconda Repubblica: lo SDI. Segretario del nuovo partito è acclamato un tale, Enrico Boselli.
Alle elezioni europee del 1999 gli SDI prendono un 2,1% che potrà anche sembrarvi poco, ma è sufficiente a portare due SDI nel nuovo governo Amato-2000: Del Turco alle Finanze e Intini (sottosegretario) agli Esteri. Ma se pensate che la funzione dello SDI non sia dissimile da quella di tanti altri partitini a caccia di poltrone, vi sbagliate. Boselli è sempre alla ricerca di aggregazioni più ampie.
L’anno successivo, il colpaccio: un nuovo simbolo – il Girasole – accoglie in una sola lista SDI e Verdi, che da soli alle europee avevano preso un pur meritorio 1,8%. Naturalmente un’aggregazione, per funzionare, deve colpire l’immaginazione e il cuore dell’elettore: solo così il risultato potrà essere superiore alla tetra somma aritmetica dei voti (che farebbe, comunque, quasi il 4%)
Il Girasole debutta alle politiche del 2001 e… prende il 2,2%. Come dire che uno dei due partiti nelle urne è scomparso. Impossibile sapere quale. Bisogna dire che alle europee del 2005, i Verdi, tornati da soli, schizzeranno al 2,5. E gli SDI?
Gli SDI non andranno mai soli, per costituzione. Come una zanzara testarda, Boselli è sempre in cerca di qualche vena da succh… di qualche altro partito con cui formare una più ampia aggregazione. Piuttosto, dopo la débacle del 2001, il problema è: chi è cosi tanto fesso da farsi agganciare di nuovo da Boselli? De Michelis? Per qualche tempo anche De Michelis sembra tentato. Ma alla fine il nuovo matrimonio si farà nell’autunno 2005 con quegli intelligentoni dei Radicali, e si chiamerà Rosa nel Pugno. L’intelligenza è evidente sin dalla scelta del nome, che nei più delicati evoca subito la sensazione della Spina nel Polpastrello; ma tant’è.
Quanto valgano i Radicali Italiani in termini percentuali è impossibile capirlo: anche loro disprezzano la politica dei partitini e si sono sempre candidati qua e là in aggregazioni più ampie. In ogni caso i RI erano reduci da un risultato importante come quello del referendum sulla procreazione assistita del giugno 2005: con il 73% di astensione, persino un brontolone come don Camillo Ruini fu visto sorridere. E insomma, nel 2006 la Rosa nel Pugno presenta alle elezioni personaggi del calibro di Pannella, Emma Bonino, Toscani, un diessino transfugo del carisma di Turci, una giovane promessa tv come Capezzone; e il solito Boselli. Come fai a non votarlo, un partito così? Alle politiche di un anno fa, la RnP prende il 2,5% e non passa nemmeno lo sbarramento al Senato (anche se Pannella & co. tuttora sostengono il contrario); per dire: Di Pietro c’è riuscito, e loro no. Anche stavolta, uno dei due partiti è virtualmente scomparso: quale?
E chi lo sa. Qualche mese dopo i Radicali vanno a congresso e decidono di sfilarsi le spine dai polpastrelli: la RnP forse è già morta. E oggi è il turno degli SDI, a congresso pure loro! Qual è la nuova strategia del Segretario Boselli? Non ve l’immaginereste mai: una Costituente Socialista! Con gente nuova, gente fresca, personalità del calibro di De Michelis e Bobo Craxi. Ma Prodi c’è rimasto un po’ male. Avrebbe preferito Boselli nel Partito Democratico. Allora sì che il PD non sarebbe stata una somma aritmetica. Eh già.
Ma stiamo scherzando?
Ma ci rendiamo conto che questi qui, da almeno dieci anni in qua, non li vota nessuno? N-e-s-s-u-n-o, neanche le loro mamme, neanche i loro figli? Nessuno. L’Italia ha da esser l’unico Paese dove si dà visibilità mediatica a un partito che, dati aritmetici alla mano, vale meno di zero.
Boselli a oggi ha partecipato a 2-3 Patti, 2 alleanze, e ha lanciato due Costituenti. Non si è mai agganciato a un partito che avesse già di suo un elettorato superiore al 3%. Da quando esiste lo SDI, non ha mai superato il 2,5%. Da solo? No, sempre in coppia con qualcun altro che ha divorziato immediatamente dopo le elezioni. Boselli non vale un solo voto. Boselli, storicamente, fa perdere voti a tutti i partitini a cui si aggancia. Eppure si fa eleggere. Eppure rilascia interviste, proclama Costituenti, detta il programma laico-riformista. Ma se ne andasse a casa, finalmente.
Oppure... se ne andasse al centrodestra. Perché è questo che non riesco a capire. Per tutti questi anni abbiamo avuto un’arma formidabile – un tale che riesce a erodere voti e simpatia ovunque va, un vero virus transpolitico, e non lo abbiamo spedito a Berlusconi. Perché? Vien da pensare che ci abbia pensato prima lui, maledizione. Ma è possibile farci fessi così?
Evidentemente sì. Continuiamo a credere alle Costituenti, ai Patti, alle Alleanze. Continuiamo a sperare in Superman, e si sa che Superman decolla sempre da qualche cabina telefonica. Stasera a Fiuggi, magari, chissà.
Vediamo se mi ricordo bene:
Il PSI – il più antico partito politico italiano – cessa di esistere per manifesta incapacità il 13 novembre 1994. Qualche ora dopo un tale, Enrico Boselli, fonda il SI.
Il SI (Socialisti Italiani) fin dall’inizio dimostra di non voler essere il solito partitino folkloristico: difatti non andrà mai da solo alle elezioni. Boselli si pone da subito il problema di agganciare altri partiti, per creare una più ampia aggregazione.
Alle regionali del 1995 il SI aggancia dunque i pattisti di Segni e all’Alleanza Democratica di Bordon (e della Meandri) in una più ampia aggregazione chiamata Patto dei Democratici, che prende il 4,2%: neanche male. Quasi tutti gli eletti sono boselliani. Il Patto si spatta immediatamente dopo.
Alle politiche del 1996 il SI è l’ingrediente di un calderone piuttosto centrista con il Rinnovamento Italiano di Dini, il Patto Segni e un altro partito ex democristiano a caso. Prendono il… 4,3%: insomma, tengono.
Forte di questi incontestabili successi, Boselli rialza la posta. Nei mesi successivi volge lo sguardo a sinistra, e si fa promotore nientemeno che di una Costituente Socialista nel nome di Turati, di Nenni e Saragat. Aderisce il Partito Socialista Democratico Italiano, quello che nelle barzellette della mia infanzia faceva i congressi nelle cabine telefoniche; Ugo Intini, che per l’occasione ha divorziato da De Michelis e dice di chiamarsi Partito-Socialista-Socialdemocrazia (cominciavano a finire i nomi); e una parte della Federazione Laburista Italiana. Una parte, eh? Mica tutti. Che tutti nella stessa cabina telefonica non ci stavano (non le fanno più grandi come una volta - maledetta telefonia cellulare).
È da queste radici gloriose che nasce, a Fiuggi il 10 maggio 1998, il nuovo partito destinato a lasciare un segno indelebile nell’Italia della Seconda Repubblica: lo SDI. Segretario del nuovo partito è acclamato un tale, Enrico Boselli.
Alle elezioni europee del 1999 gli SDI prendono un 2,1% che potrà anche sembrarvi poco, ma è sufficiente a portare due SDI nel nuovo governo Amato-2000: Del Turco alle Finanze e Intini (sottosegretario) agli Esteri. Ma se pensate che la funzione dello SDI non sia dissimile da quella di tanti altri partitini a caccia di poltrone, vi sbagliate. Boselli è sempre alla ricerca di aggregazioni più ampie.
L’anno successivo, il colpaccio: un nuovo simbolo – il Girasole – accoglie in una sola lista SDI e Verdi, che da soli alle europee avevano preso un pur meritorio 1,8%. Naturalmente un’aggregazione, per funzionare, deve colpire l’immaginazione e il cuore dell’elettore: solo così il risultato potrà essere superiore alla tetra somma aritmetica dei voti (che farebbe, comunque, quasi il 4%)
Il Girasole debutta alle politiche del 2001 e… prende il 2,2%. Come dire che uno dei due partiti nelle urne è scomparso. Impossibile sapere quale. Bisogna dire che alle europee del 2005, i Verdi, tornati da soli, schizzeranno al 2,5. E gli SDI?
Gli SDI non andranno mai soli, per costituzione. Come una zanzara testarda, Boselli è sempre in cerca di qualche vena da succh… di qualche altro partito con cui formare una più ampia aggregazione. Piuttosto, dopo la débacle del 2001, il problema è: chi è cosi tanto fesso da farsi agganciare di nuovo da Boselli? De Michelis? Per qualche tempo anche De Michelis sembra tentato. Ma alla fine il nuovo matrimonio si farà nell’autunno 2005 con quegli intelligentoni dei Radicali, e si chiamerà Rosa nel Pugno. L’intelligenza è evidente sin dalla scelta del nome, che nei più delicati evoca subito la sensazione della Spina nel Polpastrello; ma tant’è.
Quanto valgano i Radicali Italiani in termini percentuali è impossibile capirlo: anche loro disprezzano la politica dei partitini e si sono sempre candidati qua e là in aggregazioni più ampie. In ogni caso i RI erano reduci da un risultato importante come quello del referendum sulla procreazione assistita del giugno 2005: con il 73% di astensione, persino un brontolone come don Camillo Ruini fu visto sorridere. E insomma, nel 2006 la Rosa nel Pugno presenta alle elezioni personaggi del calibro di Pannella, Emma Bonino, Toscani, un diessino transfugo del carisma di Turci, una giovane promessa tv come Capezzone; e il solito Boselli. Come fai a non votarlo, un partito così? Alle politiche di un anno fa, la RnP prende il 2,5% e non passa nemmeno lo sbarramento al Senato (anche se Pannella & co. tuttora sostengono il contrario); per dire: Di Pietro c’è riuscito, e loro no. Anche stavolta, uno dei due partiti è virtualmente scomparso: quale?
E chi lo sa. Qualche mese dopo i Radicali vanno a congresso e decidono di sfilarsi le spine dai polpastrelli: la RnP forse è già morta. E oggi è il turno degli SDI, a congresso pure loro! Qual è la nuova strategia del Segretario Boselli? Non ve l’immaginereste mai: una Costituente Socialista! Con gente nuova, gente fresca, personalità del calibro di De Michelis e Bobo Craxi. Ma Prodi c’è rimasto un po’ male. Avrebbe preferito Boselli nel Partito Democratico. Allora sì che il PD non sarebbe stata una somma aritmetica. Eh già.
Ma stiamo scherzando?
Ma ci rendiamo conto che questi qui, da almeno dieci anni in qua, non li vota nessuno? N-e-s-s-u-n-o, neanche le loro mamme, neanche i loro figli? Nessuno. L’Italia ha da esser l’unico Paese dove si dà visibilità mediatica a un partito che, dati aritmetici alla mano, vale meno di zero.
Boselli a oggi ha partecipato a 2-3 Patti, 2 alleanze, e ha lanciato due Costituenti. Non si è mai agganciato a un partito che avesse già di suo un elettorato superiore al 3%. Da quando esiste lo SDI, non ha mai superato il 2,5%. Da solo? No, sempre in coppia con qualcun altro che ha divorziato immediatamente dopo le elezioni. Boselli non vale un solo voto. Boselli, storicamente, fa perdere voti a tutti i partitini a cui si aggancia. Eppure si fa eleggere. Eppure rilascia interviste, proclama Costituenti, detta il programma laico-riformista. Ma se ne andasse a casa, finalmente.
Oppure... se ne andasse al centrodestra. Perché è questo che non riesco a capire. Per tutti questi anni abbiamo avuto un’arma formidabile – un tale che riesce a erodere voti e simpatia ovunque va, un vero virus transpolitico, e non lo abbiamo spedito a Berlusconi. Perché? Vien da pensare che ci abbia pensato prima lui, maledizione. Ma è possibile farci fessi così?
Evidentemente sì. Continuiamo a credere alle Costituenti, ai Patti, alle Alleanze. Continuiamo a sperare in Superman, e si sa che Superman decolla sempre da qualche cabina telefonica. Stasera a Fiuggi, magari, chissà.
giovedì 12 aprile 2007
what you see is what you get
E ora, bambini miei cari, se la smettete di picchiare il down; se restituite la carrozzella al tetraplegico; se tirate giù il nanetto dall’appendino; se l’effemminato si tira su alla svelta i calzoni che i cinque maschioni gli hanno abbassato; se la fazione wahhabita ha smesso di pregare e se la bimba molestata nell’ora di scienze la pianta finalmente di frignare, se l’anoressica è tornata dal bagno e il bullo abulimico ha finito di incamerare merendine potrei raccontarvi una storia! Massì, una storia, dai, che storia vi racconto?
Il Re Impiccione e lo Specchio Magico
C’era tanto tempo fa, in una terra lontana lontana, un Re che si struggeva, perché non conosceva i suoi sudditi. Oh, ma lui ci aveva provato ad andare incontro al popolo, in mezzo a loro a fare domande, come va? Vi trovate bene con un monarca par mio? Ma insomma a parte i buongiorno sua maestà, molto bene sua maestà, non poteva dire di conoscerli davvero. Era sul serio brava gente o no? Le leggi le rispettavano per intima convinzione o per paura delle frustate? Potresti anche fregartene, incassare le imposte e regnare alla benemeglio come i tuoi antenati, gli diceva il Mago di Corte. Ma lui voleva saperne di più. Era proprio un Re Impiccione.
“Se proprio insisti”, disse il Mago, “avrei l’oggetto che fa proprio per te. Eccolo qui, come vedi è uno Specchio”.
“Sì”, disse il Re, “è proprio uno specchio, embè? La faccia mia già la conosco”.
“Ah”, disse il Mago, “ma questo è uno specchio Magico. Premi di qua, gira di là, recita la formula, e vualà: ti mette in contatto con tutti gli Specchi del tuo Regno”.
“Con tutti gli Specchi del mio Regno?” disse il Re, e gli occhi già gli brillavano.
“Proprio così, e con un piccolo sovrapprezzo ti fa vedere anche gli Specchi del Regno qui di fianco”.
“No, per ora non esageriamo”, disse il Re; e premi di qua, gira di là, recita la formula, si mise a scuriosare.
Adesso, se la piantate con gli aeroplanini, con i bigliettini, con le palline di carta, con le palline di pelo, con le palline in generale, con qualsiasi oggetto in movimento, vi racconterò che cosa vide. Vide i suoi sudditi com’erano davvero! Vide per prima cosa che avevano parecchi brufoli, denti gialli rughe e borse sotto gli occhi; e già questo non era proprio un bel vedere. Ma poi cominciò a notare che erano vacui e vanitosi; violenti coi più piccoli e servili coi potenti, e lui mai se l’era immaginato. Vide che si picchiavano per un nonnulla, e gli bastava una parola per far morire il prossimo di tristezza e crepacuore. Vide che si facevano scherzi orrendi, e che non avevano rispetto per niente e per nessuno, e insomma tutto questo non gli piacque, non gli piacque neanche un po’. Eppure passava le ore a guardare questo Specchio. Al punto che la Regina brontolava: ma esci ogni tanto, fatti una passeggiata. E lui: “Taci, scema! Che mi sto tenendo aggiornato”.
“Ma cosa ti aggiorni a fare, prenditi un cavallo e fatti un giro”.
“Ma che cavallo, tu non capisci! Tu vivi in un mondo di fiaba!”
Il che era vero, per inciso. La Regina uscì a lamentarsi con le amiche.
“Aveva ragione mia madre, quando diceva mettiti con un Principe più biondo! Questo è moro e introverso e passa il tempo a guardarsi allo Specchio!”
“È il solito Re pieno di sé”.
“Ma no, è uno Specchio magico che lo mette in contatto con tutti gli Specchi del regno, così può vederci tutti mentre facciamo le smorfie e ci strizziamo i punti neri, ma mi raccomando, non ditelo a nessuno”.
“Naturalmente”.
In capo a pochi giorni si sparse la notizia che il Re Impiccione spiava i suoi sudditi. E quelli allora cosa fecero? Smisero di essere brutti e intriganti? Ma no bambini, non si può smettere d’un giorno all’altro. Anzi continuarono, e se possibile peggiorarono, sapendo che il Re li spiava, e da quel giorno ogni volta che tiravano fuori la lingua davanti allo Specchio, era espressamente per fare una pernacchia al Re Impiccione.
Quest’ultimo capì che la cosa non poteva andare avanti. E allora un giorno ebbe un’idea: prese la penna d’oca e scrisse un Editto Regale. E mandò i banditori in ogni angolo del Regno a dire: “Udite udite! Siccome il Re non ne può più, di vedere dallo Specchio quanto brutti siete ed intriganti, d’ora innanzi vi proibisce di usare i vostri specchi di casa! Rompete quindi i vostri specchi in mille pezzi, copriteli o consegnateli all’autorità competente, con decorrenza immediata, perché smorfie ne avete fatte già abbastanza”.
I sudditi all’inizio non erano molto contenti, ma dovettero rompere i loro specchi o consegnarli, per amore o per forza; e da quel giorno il Re non vide più smorfie e cattiverie e delitti nel suo Regno, e fu contento.
E adesso, bambini miei cari, potete ricominciare a taglieggiarvi gli snack e a farvi di vinavil; se la ragazzina molestata continua a frignare potete provare coi ceffoni; se il ragazzino effeminato è triste può provare a sporgersi dal cornicione; e chi vuol cominciare a giocare a bowling coi banchi, in attesa della campanella, è benvenuto.
Ma se qualcuno osa tirare fuori un videofonino, com’è vero Dio, in virtù dei poteri a me conferiti vi spezzo quelle braccine, e ve le faccio mangiare.
Il Re Impiccione e lo Specchio Magico
C’era tanto tempo fa, in una terra lontana lontana, un Re che si struggeva, perché non conosceva i suoi sudditi. Oh, ma lui ci aveva provato ad andare incontro al popolo, in mezzo a loro a fare domande, come va? Vi trovate bene con un monarca par mio? Ma insomma a parte i buongiorno sua maestà, molto bene sua maestà, non poteva dire di conoscerli davvero. Era sul serio brava gente o no? Le leggi le rispettavano per intima convinzione o per paura delle frustate? Potresti anche fregartene, incassare le imposte e regnare alla benemeglio come i tuoi antenati, gli diceva il Mago di Corte. Ma lui voleva saperne di più. Era proprio un Re Impiccione.
“Se proprio insisti”, disse il Mago, “avrei l’oggetto che fa proprio per te. Eccolo qui, come vedi è uno Specchio”.
“Sì”, disse il Re, “è proprio uno specchio, embè? La faccia mia già la conosco”.
“Ah”, disse il Mago, “ma questo è uno specchio Magico. Premi di qua, gira di là, recita la formula, e vualà: ti mette in contatto con tutti gli Specchi del tuo Regno”.
“Con tutti gli Specchi del mio Regno?” disse il Re, e gli occhi già gli brillavano.
“Proprio così, e con un piccolo sovrapprezzo ti fa vedere anche gli Specchi del Regno qui di fianco”.
“No, per ora non esageriamo”, disse il Re; e premi di qua, gira di là, recita la formula, si mise a scuriosare.
Adesso, se la piantate con gli aeroplanini, con i bigliettini, con le palline di carta, con le palline di pelo, con le palline in generale, con qualsiasi oggetto in movimento, vi racconterò che cosa vide. Vide i suoi sudditi com’erano davvero! Vide per prima cosa che avevano parecchi brufoli, denti gialli rughe e borse sotto gli occhi; e già questo non era proprio un bel vedere. Ma poi cominciò a notare che erano vacui e vanitosi; violenti coi più piccoli e servili coi potenti, e lui mai se l’era immaginato. Vide che si picchiavano per un nonnulla, e gli bastava una parola per far morire il prossimo di tristezza e crepacuore. Vide che si facevano scherzi orrendi, e che non avevano rispetto per niente e per nessuno, e insomma tutto questo non gli piacque, non gli piacque neanche un po’. Eppure passava le ore a guardare questo Specchio. Al punto che la Regina brontolava: ma esci ogni tanto, fatti una passeggiata. E lui: “Taci, scema! Che mi sto tenendo aggiornato”.
“Ma cosa ti aggiorni a fare, prenditi un cavallo e fatti un giro”.
“Ma che cavallo, tu non capisci! Tu vivi in un mondo di fiaba!”
Il che era vero, per inciso. La Regina uscì a lamentarsi con le amiche.
“Aveva ragione mia madre, quando diceva mettiti con un Principe più biondo! Questo è moro e introverso e passa il tempo a guardarsi allo Specchio!”
“È il solito Re pieno di sé”.
“Ma no, è uno Specchio magico che lo mette in contatto con tutti gli Specchi del regno, così può vederci tutti mentre facciamo le smorfie e ci strizziamo i punti neri, ma mi raccomando, non ditelo a nessuno”.
“Naturalmente”.
In capo a pochi giorni si sparse la notizia che il Re Impiccione spiava i suoi sudditi. E quelli allora cosa fecero? Smisero di essere brutti e intriganti? Ma no bambini, non si può smettere d’un giorno all’altro. Anzi continuarono, e se possibile peggiorarono, sapendo che il Re li spiava, e da quel giorno ogni volta che tiravano fuori la lingua davanti allo Specchio, era espressamente per fare una pernacchia al Re Impiccione.
Quest’ultimo capì che la cosa non poteva andare avanti. E allora un giorno ebbe un’idea: prese la penna d’oca e scrisse un Editto Regale. E mandò i banditori in ogni angolo del Regno a dire: “Udite udite! Siccome il Re non ne può più, di vedere dallo Specchio quanto brutti siete ed intriganti, d’ora innanzi vi proibisce di usare i vostri specchi di casa! Rompete quindi i vostri specchi in mille pezzi, copriteli o consegnateli all’autorità competente, con decorrenza immediata, perché smorfie ne avete fatte già abbastanza”.
I sudditi all’inizio non erano molto contenti, ma dovettero rompere i loro specchi o consegnarli, per amore o per forza; e da quel giorno il Re non vide più smorfie e cattiverie e delitti nel suo Regno, e fu contento.
E adesso, bambini miei cari, potete ricominciare a taglieggiarvi gli snack e a farvi di vinavil; se la ragazzina molestata continua a frignare potete provare coi ceffoni; se il ragazzino effeminato è triste può provare a sporgersi dal cornicione; e chi vuol cominciare a giocare a bowling coi banchi, in attesa della campanella, è benvenuto.
Ma se qualcuno osa tirare fuori un videofonino, com’è vero Dio, in virtù dei poteri a me conferiti vi spezzo quelle braccine, e ve le faccio mangiare.
martedì 10 aprile 2007
chi è senza peccato
Che vergogna?
L’antefatto: in seguito ad alcune dichiarazioni del Portavoce della Conferenza Episcopale Italiana, card. Bagnasco, che sembravano equiparare le coppie di fatto agli incesti e alla pedofilia, sul muro del Duomo di Genova è apparsa la scritta “Bagnasco vergogna”. La scritta ha fatto molto scalpore: il card. è stato messo sotto scorta…
“Paolovi a Pioxii, Paolovi a Pioxii, rispondi Pioxii”.
“Qui Pioxii, novità?”
“Niente di nuovo. L’uomo-rosso si è svegliato alle sei, come al solito”.
“Durante la notte? Sonno standard?”
“Secondo i sensori ha scalciato un po’ durante la fase REM, ma niente di insolito”.
“Sì, lo fa più o meno tutte le notti. Il capitano dice che è ok, mica possiamo impedirglielo”.
“Mia cognata che prendeva a calci mio fratello nel sonno prende una pillola che…”
“No Paolovi. Il capitano ha detto di no. Ora dov’è l’uomo-rosso?”
“In corridoio. Ha finito la colazione e sta per entrare nello studio”.
“Mi raccomando, Paolovi, massima attenzione. Comincia la rassegna stampa mattutina”.
“Confermo, Pioxii. Ha iniziato con Avvenire. Tutto bene”.
“Riesci a vederlo bene, Paolovi? L’ufficio è illuminato? Nessun disturbo?”.
“Nessun disturbo. Ha preso in mano Il Sole 24 Ore. Nulla da segnalare”.
“Bene così. Ma chiamami al minimo…”
“…un momento, Pioxii! L’uomo-rosso ha aggrottato il sopracciglio! Ripeto, ha aggrottato il sopracciglio!”
“Riesci a capire cosa sta sfogliando?”
“Un attimo. Sembrerebbe… è la Repubblica. Cronaca nazionale”.
“Fammi vedere. O-cacchio”.
Firenze - Anni di violenze, psicologiche e fisiche, di plagi e coercizioni nei confronti di bambini, ragazzi, intere famiglie, abusi e violenze sessuali su bambine e ragazzine minorenni, consumati nell´ombra di una canonica e mai venuti a conoscenza di nessuno fino ad oggi.
“Pioxii, mi ricevi?”
“Forte e chiaro, Paolovii. Il sopracciglio è ancora aggrottato?”
“C’è di più. L’uomo-rosso ha portato la mano alla fronte. Ripeto. L’uomo-rosso ha portato la mano alla fronte”.
“Maledizione!”
Ed è innanzitutto alla Chiesa, anziché ad avvocati e tribunali, che si rivolgono fin dal gennaio 2004, inviando alla Curia di Firenze esposti e memoriali, e ottenendo vari incontri personali - prima con l´allora arcivescovo Silvano Piovanelli e poi con l´arcivescovo Ennio Antonelli e con l´ausiliare Claudio Maniago. Con l´unico risultato, nel settembre 2005, di un trasferimento del "priore" «per motivi di salute» in un´altra parrocchia della Diocesi. Da qui la decisione di appellarsi al Papa. La prima volta con una lettera del 20 marzo 2006, con allegati dieci dettagliati memoriali di venti vittime di abusi, a cui risponde il cardinale Camillo Ruini, ricordando alle vittime, sentito Antonelli, che il sacerdote sotto accusa dal 31 marzo ha lasciato anche la Diocesi e augurandosi che questo «infonda serenità nei fedeli coinvolti a vario titolo nei fatti».
“Che faccio, Pioxii, intervengo?”
“Sì, intervieni. Non possiamo correre il rischio. Via! Fuori!”
“Fermi là, Eminenza! Mani in alto, bene in vista!”
“Ma in nome di Nostro Signore Santissmo, cosa c’è? Chi è quest’uomo nascosto nella mia credenza?”
“Eminenza, voglia scusarmi! Sono un uomo della sua scorta, nome in codice Paolovi”.
“Paolovi? Che nome singolare. E perché mi sta spiando, Paolovi?”
“Ordini superiori, Eminenza. Lei lo sa di quella brutta scritta…”
“Mi è senz’altro giunta la notizia. Ebbene?”
“Ebbene, è mio specifico dovere impedire che scritte come queste si possano realizzare”.
“E cioè…”
“E cioè noi vegliamo giorno e notte affinché lei non si debba mai vergognare, e abbiamo il dovere di intervenire qualora lei accenni anche il minimo segno di vergogna”.
“Ma io non mi stavo vergognando. Di cosa dovrei vergognarmi?”
“Eminenza, si stava stropicciando gli occhi con le dita, col dovuto rispetto…”
“Un bruscolino nell’occhio, agente. Tutto qui”.
“Ah. Quindi lei non si stava…”
“Ma no. Si figuri. Posso abbassare le mani adesso?”
“Ma certo, ma certo eminenza. Mi scusi ancora. Vuole un fazzoletto?”
“No. Ho i miei”.
“La prego di scusarmi ancora”.
“Non c’è nulla di cui scusarsi: ognuno risponde ai suoi superiori. Ma riferisca ai suoi che tanto zelo è eccessivo. In fondo è solo una scritta sul muro. Basta una mano di bianco”.
“È davvero così facile?”
“A Dio piacendo, sì. A chi sciogliamo in terra, le ricordo, sarà sciolto anche in cielo. Vada, vada”.
giovedì 5 aprile 2007
the spaghetti incident
Perché non dovremmo chiamarci cristiani
Gita scolastica a Roma, capitale – tra l’altro – della Cristianità. Ara Pacis, Santa Maria del Popolo, Trinità dei Monti, eccetera; e la sera si mangia dalla Nina. Al momento di scegliere il menù, la figlia della Nina previdente ci chiede se abbiamo alunni musulmani.
Non molti, in verità: i turchi sono rimasti a casa per questioni di budget; i pakistani non si sa (dei pakistani non si capisce mai niente). Il magrebino superstite lascia intendere con una smorfia che se nessuno gli avesse chiesto niente non avrebbe disdegnato l’amatriciana, ma se proprio la Nina lo vuol sapere, ebbene sì: è musulmano praticante, e quindi Niente Porco.
Il menù viene dunque passato al setaccio, alla rigorosa ricerca di ingredienti non halal: nel giro di pochi minuti viene riproposto al ragazzo un menù alternativo rigorosamente de-suinizzato e de-alcolizzato, in ottemperanza alla normativa del Corano e del Levitico. E quindi soddisfatti cominciamo a sforchettare: buon appetito multiculturale!
A questo punto una ragazzina arriva e dice: Prof, ma non c’è un menù senza carne?
No, senza carne non c’è, perché? Non dirmi che hai un problema con la carne, adesso.
È che prof, oggi sarebbe Venerdì. Di Quaresima.
E poi uno dovrebbe preoccuparsi per Bagnasco. Bagnasco. Ma si provi piuttosto un paio di pantaloni, Bagnasco: vedrà quanto son comodi. E si posson portare dappertutto: al Tempio come nelle catacombe.
Gita scolastica a Roma, capitale – tra l’altro – della Cristianità. Ara Pacis, Santa Maria del Popolo, Trinità dei Monti, eccetera; e la sera si mangia dalla Nina. Al momento di scegliere il menù, la figlia della Nina previdente ci chiede se abbiamo alunni musulmani.
Non molti, in verità: i turchi sono rimasti a casa per questioni di budget; i pakistani non si sa (dei pakistani non si capisce mai niente). Il magrebino superstite lascia intendere con una smorfia che se nessuno gli avesse chiesto niente non avrebbe disdegnato l’amatriciana, ma se proprio la Nina lo vuol sapere, ebbene sì: è musulmano praticante, e quindi Niente Porco.
Il menù viene dunque passato al setaccio, alla rigorosa ricerca di ingredienti non halal: nel giro di pochi minuti viene riproposto al ragazzo un menù alternativo rigorosamente de-suinizzato e de-alcolizzato, in ottemperanza alla normativa del Corano e del Levitico. E quindi soddisfatti cominciamo a sforchettare: buon appetito multiculturale!
A questo punto una ragazzina arriva e dice: Prof, ma non c’è un menù senza carne?
No, senza carne non c’è, perché? Non dirmi che hai un problema con la carne, adesso.
È che prof, oggi sarebbe Venerdì. Di Quaresima.
E poi uno dovrebbe preoccuparsi per Bagnasco. Bagnasco. Ma si provi piuttosto un paio di pantaloni, Bagnasco: vedrà quanto son comodi. E si posson portare dappertutto: al Tempio come nelle catacombe.
martedì 3 aprile 2007
tu non pensi secondo Dio, ma come gli uomini
Nessuno si attenti a zittire Bagnasco
Mettiamola così: negli ultimi anni in Italia si sono aperte splendide opportunità, per i preti (anche grazie alla pochezza di molti laici, specie quelli in perenne fregola referendaria). E tuttavia in fin dei conti restano pur sempre preti. Che possono fare, a parte parlare e parlare? E parlando e parlando, che possono fare, a parte scoprire le proprie debolezze e contraddizioni?
In sostanza: Bagnasco è caduto in una trappola. Parlando e parlando, gli è uscita una castroneria che resterà alla Storia. Non fosse il suo mestiere, ci sarebbe da compatirlo: lui mica pensava di sollevare tutto questo polverone. Non era una Nota ufficiale del CEI, se provate a cercarla sul Sito Ufficiale o altrove farete molta fatica: l’infelice paragone tra convivenza, pedofilia e incesto gli è uscita dalle eminenti labbra a un convegno di animatori della cultura e della comunicazione della diocesi di Genova. E insomma, chi se l’aspettava un’imboscata dei giornalisti del Secolo XIX? Puntuale è infatti fiorita la smentita: Bagnasco non intendeva davvero paragonare, è stato frainteso, estrapolato, eccetera eccetera. Già: ma come fa notare il pur prolisso Malvino, il testo completo non lo ha ancora pubblicato nessuno. Può anche darsi che Bagnasco volesse dire il contrario di quel che i maledetti giornalisti hanno estrapolato: ma in attesa della pubblicazione integrale, l’impressione è che Bagnasco abbia detto esattamente le cose ampiamente riportate dai virgolettati – anche se avrebbe preferito che i giornalisti non lo ascoltassero. Ma appunto, questo è il grosso limite dei preti, ancorché “animatori della cultura e della comunicazione”: a furia di parlare, c’è il rischio che qualcuno ti ascolti sul serio.
Gesù, che di comunicazione un po’ ne capiva, spesso e volentieri stava zitto: il silenzio si addice ai profeti e ai re. Piuttosto di dire qualcosa di avventato, si metteva a scarabocchiare nella sabbia. Coi preti è diverso: loro nel dubbio parlano. E da qualche tempo in qua, parlano senza rete.
Nessuna nostalgia, per carità: eppure non si può fare a meno di osservare che ai tempi della Dc un incidente del genere non sarebbe scoppiato. Qualche cavallo di razza avrebbe preso il telefono e – con tutta l’umiltà del caso – ammonito fraternamente sua Eccellenza a non cadere più in simili trappoloni, e lasciare la politica a chi la faceva di mestiere. L’unità politica dei cattolici era una specie di filtro che dei preti lasciava passare qualche santa parolina ogni tanto. Oggi è diverso. Sparsi in cinque partiti in concorrenza tra di loro, i cattolici fanno a gara ad attaccarsi alle sottane (dei vescovi). I vescovi se ne sono accorti e, come fanciulle in fiore, parlano, parlano. E voi non avete che lasciarli parlare:
Un primo appunto: se parla agli animatori della comunicazione, forse è meglio che adoperi frasi più brevi e incisive. E magari concetti un po’ più chiari: cos’è la “concezione autotrascendente”? qualcosa che trascende, va bene, ma allora perché “auto”? Qualunque cosa sia, sembra proprio che non esistano altri “criteri oggettivi per giudicare il bene e il male”. Oggettivi? Sua Eminenza sta dicendo che l’unico criterio morale oggettivo è… autotrascendente? Se è così, ok: ma forse c’è un modo per comunicarlo meglio.
Poi c’è un certo malcelato disprezzo per le masse, che si vestono di democrazia ma che sono prontissime a cambiarle non appena torna di moda il nero (il che a volta in effetti avviene: e di solito nei paraggi c’è qualche prete che parla parla e approva). Quindi si arriva al famigerato “perché dire di no?” Il senso è abbastanza chiaro: per Bagnasco l’unica morale oggettiva arriva da Dio; quel che legifera la maggioranza non ha importanza, perché la maggioranza è fascista o sta per diventarlo. Per di più, la maggioranza non ha gli strumenti per “dire di no” a chi difende un’aberrazione morale in nome della libertà. Potrebbe avere un senso, non fosse che i due casi citati da Bagnasco siano due clamorosi autogol. Infatti:
1. Il partito olandese non si è candidato alle elezioni, per mancanza di firme; evidentemente le masse vestite di democrazia non sono ancora pronte a tanta liberà. Per ora l’organizzazione ufficiale che nell’Occidente si è spesa di più per coprire i pedofili rimane la Chiesa Cattolica. In nome di non si sa ancora quale morale oggettiva o autotrascendente: Gesù aveva per i pedofili parole di fuoco, si vede che lui non era ancora autotrasceso abbastanza.
2. Il fratello e la sorella che “hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene” non vivono in Inghilterra, ma in Germania (come sanno più o meno tutti i lettori di quotidiani tranne Bagnasco) dove l’incesto è reato, appunto; anche in Italia del resto è reato, ma punibile solo se dà pubblico scandalo. Qui Eminenza confonde la regola con l’eccezione: l’esempio semmai prova che le maggioranze vestite di democrazia riescono a dire di no all’incesto anche senza l’intervento di Bagnasco.
Nella seconda parte della citazione salta fuori nientemeno che il “criterio antropologico dell’etica che riguarda la natura”. Sarebbe a dire? Ricordiamo che Bagnasco parla a braccio, e ha già scambiato una volta la Germania per Inghilterra. Ma insomma, l’impressione è che sua eminenza persista nel lapsus di ritenere la morale cattolica fondata nell’“oggettività” e addirittura nella “natura” (o nell’“antropologia”). Ma quando mai? La Bibbia è un campionario di casi morali aberranti; il Vangelo (che contiene un “comandamento nuovo”) non è fondato sull’oggettività, ma sul paradosso. I miti erediteranno la terra. Chi non ha peccato scagli la prima pietra. È più facile per un crine di cammello entrare nella cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli. E cosi via. È tutto così poco “oggettivo” e “naturale” che i preti del tempo, chiacchierini quanto i nostri, a un certo punto ritennero giusto crocifiggerlo in quanto bestemmiatore. Con tutto che parlava poco.
Bagnasco invece parla, parla. E voi fatelo parlare.
Mettiamola così: negli ultimi anni in Italia si sono aperte splendide opportunità, per i preti (anche grazie alla pochezza di molti laici, specie quelli in perenne fregola referendaria). E tuttavia in fin dei conti restano pur sempre preti. Che possono fare, a parte parlare e parlare? E parlando e parlando, che possono fare, a parte scoprire le proprie debolezze e contraddizioni?
In sostanza: Bagnasco è caduto in una trappola. Parlando e parlando, gli è uscita una castroneria che resterà alla Storia. Non fosse il suo mestiere, ci sarebbe da compatirlo: lui mica pensava di sollevare tutto questo polverone. Non era una Nota ufficiale del CEI, se provate a cercarla sul Sito Ufficiale o altrove farete molta fatica: l’infelice paragone tra convivenza, pedofilia e incesto gli è uscita dalle eminenti labbra a un convegno di animatori della cultura e della comunicazione della diocesi di Genova. E insomma, chi se l’aspettava un’imboscata dei giornalisti del Secolo XIX? Puntuale è infatti fiorita la smentita: Bagnasco non intendeva davvero paragonare, è stato frainteso, estrapolato, eccetera eccetera. Già: ma come fa notare il pur prolisso Malvino, il testo completo non lo ha ancora pubblicato nessuno. Può anche darsi che Bagnasco volesse dire il contrario di quel che i maledetti giornalisti hanno estrapolato: ma in attesa della pubblicazione integrale, l’impressione è che Bagnasco abbia detto esattamente le cose ampiamente riportate dai virgolettati – anche se avrebbe preferito che i giornalisti non lo ascoltassero. Ma appunto, questo è il grosso limite dei preti, ancorché “animatori della cultura e della comunicazione”: a furia di parlare, c’è il rischio che qualcuno ti ascolti sul serio.
Gesù, che di comunicazione un po’ ne capiva, spesso e volentieri stava zitto: il silenzio si addice ai profeti e ai re. Piuttosto di dire qualcosa di avventato, si metteva a scarabocchiare nella sabbia. Coi preti è diverso: loro nel dubbio parlano. E da qualche tempo in qua, parlano senza rete.
Nessuna nostalgia, per carità: eppure non si può fare a meno di osservare che ai tempi della Dc un incidente del genere non sarebbe scoppiato. Qualche cavallo di razza avrebbe preso il telefono e – con tutta l’umiltà del caso – ammonito fraternamente sua Eccellenza a non cadere più in simili trappoloni, e lasciare la politica a chi la faceva di mestiere. L’unità politica dei cattolici era una specie di filtro che dei preti lasciava passare qualche santa parolina ogni tanto. Oggi è diverso. Sparsi in cinque partiti in concorrenza tra di loro, i cattolici fanno a gara ad attaccarsi alle sottane (dei vescovi). I vescovi se ne sono accorti e, come fanciulle in fiore, parlano, parlano. E voi non avete che lasciarli parlare:
Nel momento in cui si perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana, non vi è più un criterio di giudizio per valutare il bene e il male e quando viene a cadere un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male, il vero e il falso, ma l’unico criterio o il criterio dominante è il criterio dell’opinione generale, o dell’opinione pubblica, o delle maggioranze vestite di democrazia – ma che possono diventare ampiamente e gravemente antidemocratiche, o meglio violente – allora è difficile dire dei no, è difficile porre dei paletti in ordine al bene. Perché dire di no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia? Perché dire di no? Perché dire di no all’incesto come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? E via discorrendo, perché poi bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali. Oggi ci scandalizziamo ma, a pensarci bene, se viene a cadere il criterio antropologico dell’etica che riguarda la natura umana, che è anzitutto un dato di natura e non di cultura, è difficile dire ‘no’. Perché dire no a questo a quello o a quell’altro. Se il criterio sommo del bene e del male è la libertà di ciascuno, come autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o più sono consenzienti, fanno quello che vogliono perché non esiste più un criterio oggettivo sul piano morale e questo criterio riguarda non più l’uomo nella sua libertà di scelta ma nel suo dato di natura. Vi è necessità di porre dei paletti a una società che sta andando alla deriva.
Un primo appunto: se parla agli animatori della comunicazione, forse è meglio che adoperi frasi più brevi e incisive. E magari concetti un po’ più chiari: cos’è la “concezione autotrascendente”? qualcosa che trascende, va bene, ma allora perché “auto”? Qualunque cosa sia, sembra proprio che non esistano altri “criteri oggettivi per giudicare il bene e il male”. Oggettivi? Sua Eminenza sta dicendo che l’unico criterio morale oggettivo è… autotrascendente? Se è così, ok: ma forse c’è un modo per comunicarlo meglio.
Poi c’è un certo malcelato disprezzo per le masse, che si vestono di democrazia ma che sono prontissime a cambiarle non appena torna di moda il nero (il che a volta in effetti avviene: e di solito nei paraggi c’è qualche prete che parla parla e approva). Quindi si arriva al famigerato “perché dire di no?” Il senso è abbastanza chiaro: per Bagnasco l’unica morale oggettiva arriva da Dio; quel che legifera la maggioranza non ha importanza, perché la maggioranza è fascista o sta per diventarlo. Per di più, la maggioranza non ha gli strumenti per “dire di no” a chi difende un’aberrazione morale in nome della libertà. Potrebbe avere un senso, non fosse che i due casi citati da Bagnasco siano due clamorosi autogol. Infatti:
1. Il partito olandese non si è candidato alle elezioni, per mancanza di firme; evidentemente le masse vestite di democrazia non sono ancora pronte a tanta liberà. Per ora l’organizzazione ufficiale che nell’Occidente si è spesa di più per coprire i pedofili rimane la Chiesa Cattolica. In nome di non si sa ancora quale morale oggettiva o autotrascendente: Gesù aveva per i pedofili parole di fuoco, si vede che lui non era ancora autotrasceso abbastanza.
2. Il fratello e la sorella che “hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene” non vivono in Inghilterra, ma in Germania (come sanno più o meno tutti i lettori di quotidiani tranne Bagnasco) dove l’incesto è reato, appunto; anche in Italia del resto è reato, ma punibile solo se dà pubblico scandalo. Qui Eminenza confonde la regola con l’eccezione: l’esempio semmai prova che le maggioranze vestite di democrazia riescono a dire di no all’incesto anche senza l’intervento di Bagnasco.
Nella seconda parte della citazione salta fuori nientemeno che il “criterio antropologico dell’etica che riguarda la natura”. Sarebbe a dire? Ricordiamo che Bagnasco parla a braccio, e ha già scambiato una volta la Germania per Inghilterra. Ma insomma, l’impressione è che sua eminenza persista nel lapsus di ritenere la morale cattolica fondata nell’“oggettività” e addirittura nella “natura” (o nell’“antropologia”). Ma quando mai? La Bibbia è un campionario di casi morali aberranti; il Vangelo (che contiene un “comandamento nuovo”) non è fondato sull’oggettività, ma sul paradosso. I miti erediteranno la terra. Chi non ha peccato scagli la prima pietra. È più facile per un crine di cammello entrare nella cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli. E cosi via. È tutto così poco “oggettivo” e “naturale” che i preti del tempo, chiacchierini quanto i nostri, a un certo punto ritennero giusto crocifiggerlo in quanto bestemmiatore. Con tutto che parlava poco.
Bagnasco invece parla, parla. E voi fatelo parlare.