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sabato 31 agosto 2024

L'altro san Giuseppe

31 agosto: San Giuseppe d'Arimatea (I secolo), seppellitore di Gesù

Filippino Lippi ftg. il Perugino
All'inizio e alla fine della vita di Gesù di Nazareth compaiono due Giuseppe: a entrambi, i vangeli dedicano pochi versetti, ma cruciali; entrambi non dicono nulla, ma fanno qualcosa di necessario senza cui il cristianesimo non esisterebbe. Di Giuseppe l'artigiano abbiamo già parlato: fu il padre putativo di Gesù e lo protesse da Erode. Giuseppe di Arimatea invece è il membro del Sinedrio che ottiene da Ponzio Pilato il permesso di deporre Gesù in un sepolcro. Un'azione più cruciale di quanto possa sembrare.

Perché il cristianesimo esista, occorre che Gesù sia risorto, ovvero il suo corpo deve scomparire da un luogo in cui era custodito. Ciò pone un grosso problema di logica narrativa agli evangelisti, già nella primissima fase: occorre stabilire con autorevolezza che le cose siano andate in un modo in cui generalmente non andavano. I crocefissi infatti non venivano sepolti: il supplizio (riservato agli schiavi ribelli) non terminava con la morte fisica del condannato, ma prevedeva che il cadavere fosse esposto alle intemperie e all'attenzione dei predatori necrofagi. Questo, secondo una mentalità condivisa dai Romani e dalla maggior parte degli abitanti dei territori da loro occupati, implicava che la loro anima non avrebbe trovato pace dopo la morte. I cadaveri esposti venivano sorvegliati proprio per evitare che fossero deposti da parenti o amici, con un'efficienza tale che è molto più facile oggi per gli archeologi imbattersi in fossili del neolitico che nei resti di qualche condannato romano. Il fatto che il corpo di Gesù di Nazareth non fosse reperibile, insomma, di per sé non era una notizia; a meno che lo stesso Gesù non fosse stato deposto. Ma per staccarlo dalla croce occorreva il permesso dell'autorità romana (quella che poche ore prima aveva emanato la condanna) e l'intercessione del Sinedrio ebraico (che aveva richiesto quella condanna con insistenza). 

Giuseppe può sembrare quel tipo di personaggio plasmato da un'esigenza narrativa: dev'essere un membro del Sinedrio, perché altrimenti non avrebbe abbastanza autorevolezza per chiedere al prefetto di staccare un condannato dalla croce; e tuttavia dev'essere anche un seguace di Gesù, evidentemente messo in minoranza nel momento in cui i colleghi deliberano di consegnarlo ai Romani; deve persino possedere una sepoltura vuota appena fuori le mura, di cui disporre rapidamente. 

Questo non significa necessariamente che Gesù di Nazareth non sia stato deposto e sepolto; è possibile infatti che al tempo di Pilato, in una terra di recente occupazione come la Giudea, i cadaveri fossero staccati dalle croci, per ottemperare alle norme rituali ebraiche. Uno dei rarissimi resti di un cadavere crocefisso è stato trovato proprio in una tomba in Palestina, e lo stesso Giuseppe Flavio, ebreo paganizzato, riporta di essere riuscito a ottenere la sepoltura di almeno uno dei tre parenti crocefissi per ribellione. Si trattava comunque di un'eccezione alla prassi, qualcosa che richiedeva da subito una spiegazione plausibile, e questo forse spiega come mai Giuseppe d'Arimatea sia uno dei pochi personaggi che compare in tutti e quattro i vangeli. 

Ogni evangelista vi aggiunge qualcosa che tradisce il punto di vista dell'autore; per Marco è coraggioso, per Luca è buono e giusto e disapprova la decisione del Sinedrio di chiedere la morte di Gesù – insomma è un rappresentante della minoranza. Matteo non menziona il sinedrio, ma con la sua tipica attenzione al dettaglio economico, precisa che la tomba era nuova, e che Giuseppe l'aveva comprata per sé. Giovanni, come spesso fa, aggiunge dettagli ridondanti e non del tutto verosimili, nominando un altro discepolo (Nicodemo) e affermando che i due avrebbero unto il cadavere di Gesù – il che però li avrebbe resi impuri proprio alla vigilia di una festa. 

Malgrado l'importanza del suo ruolo, Giuseppe scompare subito: non è menzionato negli Atti degli Apostoli; nel secolo successivo gli viene intestato un vangelo apocrifo, ma non si registrano particolari leggende su di lui, finché nel Medioevo non finisce invischiato nella mitologia bretone del Graal: sarebbe stato infatti lui a raccogliere nel calice il sangue di Cristo, o a riceverlo in sogno da Cristo stesso. E nonostante nelle più antiche storie del Graal di Giuseppe non si facesse menzione, presto o tardi gli viene attribuito una missione apostolica nelle isole britanniche. 

venerdì 30 agosto 2024

La tempesta (di Brassens)

Un disco per l'estate 2024

 Si-       Mi-
Che delizia la pioggia! che orrore il sereno!

             La7
Non c'è cosa più triste dell'arcobaleno.

Re
Il cielo blu mi fa star male,
              Fa#
perché il più grande amore che mai mi fu dato
        Si-                     Do#7             Fa#     Si-
io lo devo ad un cielo cupo ed imbronciato:
            Mi-            Sol Fa# Si-
ad un furioso temporale.

Una notte d'autunno, sopra la mia magione,
una folgore, con terribile esplosione
s'era venuta a scaricare.
Giù dal letto schizzata, ancora semisvestita,
la mia bella vicina, tremante ed impaurita,
all'uscio mio venne a bussare:

"Sono sola ho paura! Aprite vi prego,
mio marito è lontano a causa del suo impiego
(o direi meglio del suo guaio),
che lo obbliga a uscire sotto l'acqua sferzante
per la buona ragione che fa il rappresentante
dei parafulmini d'acciaio".

Lode a Benjamin Franklin per la bella invenzione!
Abbracciandola a me le diedi protezione,
e poi... l'amore fece il resto.
Tu, di punte di acciaio, venditore provetto,
Non pensasti a piazzarne neanche una sul tuo tetto!
Error non fu mai più funesto.

Quando Pluvio andò oltre nel suo vagabondaggio
la mia bella, ripreso un poco di coraggio,
tornò nel proprio appartamento;
ad attender lo sposo con coperte e cordiale,
e alle prossime piogge, a un nuovo temporale,
già ci fissammo appuntamento.

Con un'ansia crescente io mi misi da allora
a scrutare fremente i cieli ad ogni ora,
giorno e notte, notte e giorno;
a spiar nembi e cirri, sempre più preoccupato,
a fare gli occhi dolci anche a un cumulostrato,
ma lei non fece più ritorno.

Seppi poi che il marito, in quella notte famosa,
parafulmini aveva seminato a iosa;
e milionario divenuto,
se l'era portata in quei luoghi laggiù,
dove non piove mai, e il cielo è sempre blu,
laddove il tuono è sconosciuto.

Ma voglia Dio che il mio pianto a tamburo battente
la raggiunga e le parli del tempo inclemente
che ci portò su in paradiso;
e le dica che un fulmine un po' mascalzone
m'ha lasciato nel cuore una piccola incisione
con i contorni del suo viso.

giovedì 29 agosto 2024

Il beneamato C

(Continua la lunga intervista alle Solite Stronze, una specie di gruppo punk femminista postmaschilista che ha pubblicato questo disco abbastanza insensato, Perché non mi scrivi? Perché non telefoni?)  


E siamo arrivati a una delle canzoni più interessanti, ma anche più discutibili dell'album, ovvero...

Na na na na na na na na na na na na... CAZZO!

Suppongo che il testo sia di Lady Tourette.

Puoi supporre il cazzo che vuoi.

Anche stavolta il brano si presta a più chiavi di lettura...

No.

Come no?

C'è una sola chiave.

Che peraltro è una chiara metafora fallica (la chiave, intendo). 

Un tale ha mollato una tale, e la tale si lamenta pubblicamente. Fine. Quale altri chiavi pensi di poter usare, brutto porco?

Beh, mi era sembrato che almeno l'uso del termine "cazzo", nel brano, fosse quantomeno ambiguo.

Grazialcazzo che è ambiguo. Abbiamo giocato sul fatto che "un cazzo" in italiano significhi non solo "un organo sessuale maschile", ma anche "nulla". Perciò all'inizio della canzone sembra che lei stia dicendo: non mi manca niente di te.

Ma a un certo punto si capisce che qualcosa effettivamente le manca...

Un cazzo.

Ammetterete almeno che è un colpo di scena, voglio dire, fin qui non avevate certo lesinato il turpiloquio...

Noi non lesiniamo nulla.

...ma del... "cazzo", chiamiamolo così, non si era mai parlato e non sembrava una dimenticanza, quanto una vera e propria scelta di campo. Invece qui qualcuno ammette di sentire non dico la necessità, ma la mancanza del...

E questa ti sembra una contraddizione? Stiamo dicendo a un uomo che c'è una sola cosa che ci manca di lui, ed è l'organo sessuale.

Immagina la cosa a sessi inversi.

Beh, sarebbe qualcosa di inascoltabile, oggi.

Precisamente. L'uomo ridotto alla sua mera dimensione erettile. Mi fanno ridere certe compagne che si lamentano per come le donne vengono esibite nei porno, dico: ma gli uomini invece, nei porno, li avete visti? A volte letteralmente gli si vede solo l'aggeggio, appoggiato lì come una maniglia, un fermaporte.

Un fermaporte?

La canzone dice che un uomo non è un granché, dopodiché dice che l'uomo è un cazzo, prova a completare il sillogismo.

Non so se ce la faccio.

Na na na na na na na na na na na na, cazzo....

mercoledì 28 agosto 2024

Partire non è tutto, certamente (c'è chi parte e non dà niente)

(Un disco per l'Estate 2024)




Nel 1980 don Paolo Petta, un sacerdote paolino aggregato alla diocesi dell'Alto Volta, scomparve senza lasciare tracce nella provincia dello Yatenga. L'ipotesi che fosse stato rapito da una tribù in rivolta contro il governo centrale ebbe un'indiretta conferma quando dieci anni dopo in un cespuglio della savana fu ritrovato un sacco di patate coi contrassegni della FAO, simile in tutto e per tutto a quelli che Petta portava con sé nelle distribuzioni di cibo agli indigenti. Forse a causa di questo bizzarro ritrovamento, nei villaggi circostanzi don Petta è conosciuto come Msomsou Dmaca Potatos, o Le Missionaire Aux Pommes De Terre: "Signore, avevamo fame", recita una canzone molto popolare nello Yatenga "E tu ci hai mandato il Missionario con le patate. Oh Signore quant'era buono il Missionario con le patate. Non era duro con noi, era così tenero, signore mandaci presto un altro Missionario con le patate". C'è da dire che gli abitanti dello Yatenga sono conosciuti in tutto il Sahel centrale per l'umorismo discutibile. Un'altra prova della permanenza di Petta nella regione sono alcuni canti tradizionali che – fatto incredibile – presentano testi in lingua italiana, con ogni probabilità tratti da un canzoniere liturgico, forse il Canta La Gioia del 1979. Qui ne ascoltiamo due nella versione dei Penta Koste.

martedì 27 agosto 2024

Ruino anch'io come l'antico impero

(Un disco per l'estate 2024). 


Ma il tempo vola ed è già il 27 agosto: e come avrete facilmente calcolato sono esattamente 468 anni che Carlo V d'Asburgo rinunciò alla corona del Sacro Romano Impero, che per tanti anni aveva cinto senza che il sole vi tramontasse quasi mai. Qualche mese dopo sarebbe entrato nel monastero di San Girolamo di Yuste, in Estremadura, ma questo non c'è bisogno di raccontarvelo perché vi ricordate senz'altro il più grande successo dei Gotterfunken, su testo di August Von Platen (esiste anche una versione italiana su testo di Giosue Carducci, chi l'ha ascoltata cambia volentieri argomento). 


lunedì 26 agosto 2024

Sbatti le ali, muovi le antenne

(Sto ascoltando l'album delle Solite Stronze in compagnia di due di loro, in teoria dovrei intervistarle ma non si stanno molto prestando).


Alla fine di Ti amo ti odio mi lasci indifferente c'è un altro omaggio a Mina... o forse è una parodia?

Non chiedere a me, io già tanto se so chi è Mina.

Sei grande grande grande, con te dovrò combattere...

È una pezza che abbiamo messo per coprire il finale di Ti amo, che era abbastanza pasticciato.

Ecco, uno degli aspetti che mi hanno colpito di più del vostro album è questo horror vacui che si manifesta tra una traccia e l'altra...

Eh?

Mi riferivo alla paura del vuoto. Ogni canzone comincia immediatamente dopo l'altra, non c'è silenzio e a volte nemmeno introduzioni strumentali, il che forse funzionerebbe sui vecchi supporti analogici, ma su bandcamp...

Sì, in effetti il master era una traccia sola di mezz'ora, ma bancamp non le consente.

Non è che abbiamo paura del vuoto, noi non abbiamo paura di niente. Non ci piace perdere tempo in convenevoli. Le introduzioni, i finali, sono solo perdite di tempo. Le canzoni vanno cagate in tempo reale.

Verso la fine è come se il vostro album cominciasse a sfilacciarsi, compaiono abbozzi di canzoni che sembrano abbandonate a sé stesse, ad esempio c'è questa Canzone della felicità, il cui testo evidentemente non è vostro...

Adesso lo è. 

È un brano che mi tormenta sin da quando andavo all'asilo, non ho mai smesso di sentire una voce in testa che lo cantava. 

Quindi stravolgerlo in questo modo è un modo di confessare questa ossessione, o di superarla...

Diciamo che adesso la canzone è mia, se mi canta in testa è comunque roba mia.

C'erano altri motivi per inserire nel disco un minuto di Canzone della felicità cantata su una musica lenta e straniante?

Ci stai accusando di allungare il brodo?

In questo caso avremmo potuto allungarlo di più, cioè, dura un minuto. Ed è uno dei minuti più importanti dell'album, secondo me.

Addirittura.

È un momento non tanto di felicità, ma di abbandono dopo la felicità. È come una finestra che si apre improvvisamente su un'età dell'oro, e subito si richiude.

E suppongo si richiuda sulle note di Una canzone impegnata, un altro brano di quel filone che potremmo definire cringe.

Vedi che ce la fai a dire cringe.

Mi costa un certo sforzo.

La cosa buffa di questo pezzo è che all'inizio aveva davvero un testo impegnato, poi ci siamo resi conto che in mezzo alle altre sarebbe suonata ridicola.

...e paracula.

Quindi avete tolto un testo che parlava di "temi importanti" per sostituirlo con...

Una metariflessione sull'impegno politico, che ci pone davanti al primo problema di chiunque scelga l'impegno: perché lo sto scegliendo? Voglio migliorare il mondo o voglio portarmi a letto qualcuno che lo vuole migliorare?

Se lo chiedi a me, io voglio tutto.

Naturalmente. Tutti desideriamo tutto. Si tratta di unire il desiderio alla consapevolezza.

La protagonista della canzone però non otterrà tutto.

La protagonista non otterrà niente, perché non ha raggiunto questa consapevolezza. Era indecisa tra gratificazione affettiva e impegno, e non ha avuto entrambe le cose. Non ha neanche capito qual è il problema. E va bene così. L'importante è che lo capisca il pubblico.

domenica 25 agosto 2024

Il re crociato e la diarrea

25 agosto: San Luigi IX, l'ultimo crociato (1214-1270)

Come si fa a non mettere
il ritratto del Greco
Se durante le olimpiadi vi siete chiesti: ma insomma perché hanno invitato atleti e triatleti da tutto il mondo a bagnarsi nella Senna? Ci tenevano così tanto, a esportare la loro Escherichia coli? ebbene, sì, per i francesi non è un batterio qualsiasi: è un attributo regale e divino; senza di esso non avrebbero mandato nemmeno un re sul calendario. L'Escherichia non uccise semplicemente Luigi IX, ma gli fornì uno scopo per vivere e un metodo (non indolore) per morire. 

Luigi IX fu l'ultimo re crociato; morì a Tunisi nel 1270 e il suo cadavere fu bollito per evitare che arrivasse a Parigi già decomposto: ma questo lo sanno più o meno tutti. È l'unico re di Francia proclamato santo (Carlo Magno non conta), e di conseguenza è santo patrono della Francia. Avendo egli molto regnato e finanziato e patrocinato, è anche patrono dei carpentieri, dei barbieri e dei parrucchieri, dei distillatori, dei marmisti, dei merciai, dei ricamatori, ma se devo essere sincero io non invoco Luigi IX quando vado a tagliarmi i capelli o scheggio un marmo o bevo un distillato. Il momento tipico in cui mi capita di pensare a Luigi IX è... quando soffro di dissenteria. Imbarazzante, sì, specie se mi succede in viaggio e mi succede quasi in tutti i viaggi, a un certo punto: mi ritrovo prigioniero in un piccolo servizio igienico (specie se sono in Francia, dove il gabinetto è quasi sempre segregato dal bagno, come un confessionale) a patire i crampi e pensare a Luigi IX. 

Quest'ultimo ne morì, il che non è affatto eccezionale. Un sacco di gente muore di dissenteria tutti i giorni, è anzi uno dei modi più tipici in cui muoiono gli esseri umani, nonché uno dei meno dignitosi, fuori dalla Francia. Ma Luigi ne era il re, e prima di morirne ne soffrì per molti anni, almeno a partire da quella guerra che condusse in Aquitania per ridurre a più miti consigli i valvassori fedeli ai Lusignano e il loro insidioso alleato, Enrico re d'Inghilterra (e vassallo di Luigi). Proprio mentre inseguiva gli inglesi per ricacciarli una buona volta per tutte in mare, il che avrebbe magari evitato alla Francia quei Cent'anni di guerra nel secolo successivo, Luigi fu colto dalla prima grande crisi di dissenteria, che lo portò a un passo dalla tomba, e ribadisco, non sarebbe stato nulla di eccezionale: un sacco di soldati morivano così, per il tifo o lo scorbuto o qualche virus o batterio, spruzzando acqua scura nei canali di scolo e poi rendendo l'anima a Dio esausti come spugne strizzate. Luigi aveva già provveduto a nominare l'erede e la reggente: sua madre ovviamente, che già aveva retto il regno quando lui era un ragazzino orfano di padre. Tutto era pronto per lasciare questa terra ed essere già venerato come il più santo dei re francesi, quand'ecco che la dissenteria cessò, senza nemmeno fermenti lattici. 

Luigi promette di liberare Gerusalemme.
A volte capita, ma se capita a Luigi IX di Francia non può che essere un miracolo, e se è un miracolo non è che basta ringraziare, tirare su magari un santuario e andare avanti, no; Luigi era quel tipo di cristiano che vede la grazia in termini di contratto, se ne aveva ricevuto una evidentemente era per qualcosa che aveva promesso, e quella promessa diventava un debito indifferibile. Può davvero darsi che durante una colica Luigi avesse promesso di riconquistare Gerusalemme, da qualche anno ripresa dai Mori, e in effetti era l'unico re cristiano abbastanza potente da riuscirci. Ma avrebbe dovuto essere una conquista militare seria, non una manfrina diplomatica come quella portata a termine da quel senzadio di Federico II di Svevia – che in cambio del titolo di Re di Gerusalemme aveva rinunciato a difenderne l'accesso al mare, col risultato che qualche anno dopo nuove bande di turcomanni se ne erano impossessati facilmente. Luigi voleva liberare Gerusalemme così seriamente che fu il primo crociato a rinunciare a entrarvi: aveva infatti compreso che nella scacchiera del Medio Oriente Gerusalemme era una casella periferica. Il vero re da battere – l'emiro Fakhr-ad-Din Yusuf – regnava in Egitto: era là che bisognava colpire e fu là per l'Egitto che Luigi salpò dal porto fatto costruire per l'occorrenza, Aigues-Mortes ("acque morte"): un nome che era già un fosco presagio, benché paesaggisticamente preciso, in quanto sorgeva sulla palude della Camargue. Con Luigi viaggiava un esercito di ventimila uomini, enorme per i tempi. 

L'esordio fu incoraggiante: i francesi presero Damietta e l'emiro era già pronto a scambiare un porto così importante con Gerusalemme, città strategicamente trascurabile. Luigi era troppo pio per mercanteggiare, o forse abbastanza avveduto da capire che Gerusalemme, senza un porto, sarebbe stata presto perduta per l'ennesima volta, e continuò a dar battaglia nella valle del Nilo. A Mansura perse molti uomini ma vinse la battaglia; nel frattempo però si era rifatto vivo il sintomo del dubbio, la dissenteria. Tra tifo e scorbuto non c'era da meravigliarsi: migliaia di soldati stavano spruzzando a morte, ma per Luigi il problema trascendeva il piano intestinale. Forse la dissenteria era il modo in cui Dio gli stava dicendo che tutto sommato no, non era degno di liberare Gerusalemme. A Fariskur fu fatto prigioniero, il che gli permise perlomeno di guarire una seconda volta grazie all'intervento di un medico dell'emiro. Per qualche anno rimase prigioniero di lusso, mentre sua madre metteva insieme i soldi del riscatto, e forse furono gli anni più sereni della sua vita adulta, passata interamente a interpretare il ruolo del re saggio e pio. Visitò persino Gerusalemme, il che non equivaleva a sciogliere il voto perché quando finalmente rientrò in Patria si gettò immediatamente in un progetto di riforma dei costumi che avrebbe fatto di lui non solo un Re Santo, ma il Re di una nazione di santi: niente più giochi d'azzardo, al bando i dadi e le scacchiere (per le carte da gioco era troppo presto), proibita la prostituzione, taverne aperte solo ai viaggiatori, e così via. Si direbbe che dopo aver visto i Paesi in cui vigeva la sharia, avesse deciso di importarla in Francia. Se ci fosse riuscito, e poi avesse vinto una crociata, chi l'avrebbe vinta davvero? Avremmo scritto Arabia capta ferum victorem cepit, o l'equivalente nella lingua del Corano? È una domanda inutile, non è mai successo. Non solo Luigi non ha vinto nessuna crociata, ma non è nemmeno riuscito a togliere il vino ai francesi – probabilmente un'impresa più difficile. 

Sembra già Gerusalemme (ma è Aigues-Mortes).

Di alcune delle sue misure proibizionistiche, Luigi fece in tempo a constatare l'inefficacia: la prima a saltare fu il divieto di prostituirsi, che a quanto pare rese più difficile la vita delle donne oneste in quanto i clienti non riuscivano a distinguerle dalle meretrici clandestine. La prostituzione fu così concessa in determinati quartieri, per lo più fuori dalle mura delle città. A parte qualche contrattempo del genere, verso il 1267 Luigi doveva essersi convinto di avere santificato quanto bastava il proprio regno, perché comunicò ufficialmente il suo desiderio di intraprendere una nuova crociata, l'ottava; l'obiettivo immediato stavolta era Tunisi, dove un emiro dava segnali ambigui di insofferenza nei confronti dei mamelucchi egiziani. Luigi era convinto di poterlo battezzare e farne un proprio vassallo. Le cose non andarono esattamente così, e non molto dopo aver preso Tunisi con la forza, Luigi si ritrovò al cospetto dell'antico nemico, il virus intestinale. Morì di tifo o di scorbuto, o di schistosomiasi, e appena fu morto la crociata finì, era l'ultima, nessuno voleva più combatterne tranne lui. Morì invocando "Gerusalemme" e spruzzando, morì in modo eroico e ridicolo, e non posso farne a meno di pensarci ogni volta che mi ritrovo anch'io in una cella stretta come un confessionale, alle prese col Nemico che mi dice: ma chi ti credi di essere, ma Gerusalemme dove, non lo vedi che merda sei, e merda tornerai? San Luigi, prega per me.

sabato 24 agosto 2024

Per sempre insieme a te

(Disco Estate 2024)


Stasera che per voi è un qualsiasi sabato sera d'agosto, per i seguaci del Meeting di Rimini è l'ultima sera del Meeting di Rimini. Le inibizioni saltano, la voglia di stare assieme ribolle contro la dura realtà che li attende al risveglio. Non so se sia ancora come ai primi anni Novanta, quando tutto sembrava alla portata dei convenuti al Meeting di Rimini: potere, soldi, successo, sostanze, e non bisognava nemmeno firmare un contratto col demonio, o forse sì ma sembrava comunque un tizio serio, affidabile, con un esibito rispetto per le tradizioni. 

(I sopravvissuti alla festa del 1991 non ne parlano volentieri. Alcuni non ricordano, altri non vogliono, altri sono in cura da allora, uno è missionario nel golfo di Guinea).

venerdì 23 agosto 2024

Non azzardarti a decifrare i miei sentimenti nei tuoi confronti

(Continuo a intervistare le Solite Stronze, boh, chissà cosa mi ero messo in testa di trovare, comunque andiamo avanti).

Andiamo avanti e arriviamo al settimo pezzo...

Dobbiamo proprio?

Eh?

Sì, questo si potrebbe anche skippare.

Cioè è un pezzo che non vi piace?

Ma non è che non mi piace...

Mi piace, non mi piace, sono pareri soggettivi...

Laddove questo pezzo fa oggettivamente cagare.

Però scusate, stiamo cercando di fare promozione, se non ci credete nemmeno voi...

No no, noi ci crediamo, cioè alla fine in poco tempo secondo me abbiamo realizzato un disco decente.

Che sarebbe stato anche meglio se Azzolina...

Ah, è un pezzo di Azzolina questo.

Non si capisce?

In effetti è un altro brano che non ti aspetti in un disco punk, sembra una specie di... 

Di...

Boh.

Vero? Non si capisce veramente che roba sia.

Io non credo di averci suonato niente.

In compenso l'argomento è sempre lo stesso, ovvero c'è un tizio che non risponde al telefono.

Sì ma l'hai sentita? "Questo filo mi strozza il cuore", che roba è?

Beh non so se dirtelo...

Dirmi cosa?

Prometti di non prendermi in giro.

Noi non promettiamo niente.

Una volta i telefoni avevano il filo.

Oddio, dici che intendeva quello? Il cazzo di filo del telefono?

Non so, a me è venuto in mente subito.

Per forza, sei un dinosauro di merda.

E ovviamente, "tu tu tu tu" è il rumore che facevano i telefoni occupati... a volte lo fanno ancora, ma è abbastanza raro.

Cioè "tu tu tu" è un cazzo di gioco di parole?

Magari adesso che lo sai il pezzo assume una diversa profondità.

La profondità del cazzo che mi frega.

Proseguiamo con un brano che invece mi sembra molto più affine alla vostra sensibilità.

Ecco sì, questo l'ho scritto io. 

Non avevo quasi dubbi. E senza dubbio è uno dei più energici, eppure paradossalmente è il brano che comunica una maggiore sensazione di imbarazzo.

Di che?

Voleva dire che è un pezzo cringe.

E perché non l'ha detto?

L'ha detto con parole sue. 

L'ho detto con parole mie. È forse questa la frontiera del punk nel 2024? Calarsi con orgoglio in una situazione cringe?

Ma che cazzo ne so. È un pezzo in cui rivendico l'incoerenza affettiva, senza aver paura del cringe perché è il cringe che deve avere paura di me.

Questa cosa me la segno, anche se non sono sicuro di averla capita.

Però suona bene. 

giovedì 22 agosto 2024

Titus Oates, vergogna del genere umano

22 agosto: Santi John Kemble e John Wall, vittime del complottismo anticattolico. 

Titus Oates, in un periodo in cui non gli girava granché bene. 

Essere cattolici nel XVII secolo in Inghilterra era abbastanza complicato, come dimostra la quantità di martiri sul calendario. John Wall era un frate minore a Worcester, dove svolgeva anche clandestinamente mansioni sacerdotali; John Kemble a Hereford riuscì ad amministrare i sacramenti cattolici per cinquant'anni senza mettersi nei guai sino al 1679, quando entrambi finirono rastrellati durante uno degli episodi più eclatanti di isteria anticattolica in Inghilterra, il Complotto Papista. 

A questo punto mi interrompo un attimo perché scrivere di santi è meno facile di quanto possa sembrare, e ti mette quotidianamente davanti alla tua non-santità. Magari fossero tutti leggende da dileggiare. No, la maggior parte sono uomini e donne in carne ossa che fecero il possibile per dare un senso alla propria vita, secondo una scala di valori che non è evidentemente la mia, ma ci riuscirono, e soprattutto nel percorso riuscirono a migliorare la vita di tante persone. Consolarono gli afflitti, curarono gli infermi, sfamarono gli affamati, eccetera, e qualche secolo dopo eccomi qua con la mia tastierina a prenderli in giro per due clic, che bella idea che ho avuto.

Avrei fatto meglio a concentrarmi sui bricconi, come raccomandava Gianni Rodari. Studiarli uno al giorno, dettagliare le loro malefatte. Sarebbe stato più divertente, istruttivo, e soprattutto ogni sera avrei lasciato la tastiera sentendomi migliore di qualche ladro di pensioni o infame traditore o sfruttatore di meretrici. Il problema è che sui calendari ci vanno i santi, non i bricconi. Così spero che mi perdoneranno John Kemble e John Wall, se invece che sulla loro vita inappuntabile mi concentro su quella assurda del loro accusatore, Titus Oates: l'inventore del Complotto Papista. 

Il Complotto fu il Pizzagate del secolo XVII, una storia completamente sballata messa in giro da personaggi sin dall'inizio visibilmente non attendibili, ma cavalcato da una o più parti politiche per ragioni elettorali. Per "personaggi visibilmente non attendibili" mi riferisco soprattutto a Titus Oates, figura più dickensiana che shakespeariana: sembra veramente inventato da uno scrittore che voglia eccitare il pubblico con lo spettacolo di una malvagità senza redenzione. Ma nessuno scrittore ha inventato Titus Oates; e se qualche storico potrebbe averlo ritratto in modo caricaturale, partiva comunque da un modello in carne, ossa e niente scrupoli.

Titus nasce nel 1649 a Oakham, nel Rutland, nel centro dell'Inghilterra, da una famiglia di filatori che riescono a mandarlo a Cambridge. Un suo tutor anni dopo lo avrebbe definito "a great dunce", un gran somaro: ma con una buona memoria, che sarebbe tornata utile nella professione di delatore. A Cambridge Titus resta per tre anni, rimediandone non una laurea ma una reputazione di omosessuale che avrebbe trattenuto altri dal cercare un lavoro nel campo ecclesiastico. Titus invece si finge laureato (funzionava anche allora) e riesce a farsi ordinare sacerdote anglicano. Nel 1674 è già curato di una parrocchia anglicana a Hastings, ma non si accontenta: volendo subentrare a un preside locale nella direzione di una scuola, lo accusa di avere avuto rapporti sodomitici con uno studente. Il processo scagiona il preside, e Oates deve fuggire da Hastings per evitare un procedimento per falsa testimonianza sotto giuramento. 

In questi casi era meglio mettere tra sé e i giudici almeno un mare di distanza, sicché Oates riesce a farsi nominare cappellano del vascello militare Adventure. Con l'Adventure, Oates riesce ad arrivare a Tangeri, ma viene presto accusato di sodomia: un reato per cui era prevista la pena di morte, che Titus evita in quanto cappellano. Radiato dalla marina di Sua Maestà, Titus si ritrova latitante a Londra e viene presto arrestato e portato a Hastings, dove riesce inesplicabilmente a fuggire, per la seconda volta. Aveva evidentemente qualche amico nei posti giusti, o forse lo ricattava. Questo spiegherebbe come mai dopo tante disavventure riesca a farsi ammettere a corte di Henry Howard, settimo duca di Norfolk. Pur essendo protestante, il duca trovava necessario mantenere un cappellano della religione anglicana, a disposizione dei membri protestanti della famiglia. Titus non sarebbe rimasto lungo presso il duca, ma è durante questo periodo che sviluppa un interesse per il cattolicesimo. Interesse che si concretizza con una conversione ufficiale, avvenuta nel mercoledì delle ceneri del 1677. Che si trattasse di una mossa insincera potremmo anche solo sospettarlo dal fatto che nello stesso periodo scrive (e firma!) una serie di pamphlet anticattolici insieme al pastore battista Israel Tonge.

Carlo II, secondo John Michael Wright

Sia come sia, l'adesione al cattolicesimo consente a Titus di viaggiare e fingere altri titoli di studio: tutto questo grazie ai Gesuiti, che lo accolgono e lo inviano prima nella sede di Saint Omer in Francia, e poi al Royal English College di Valladolid. Qui studia per diventare un sacerdote cattolico, il che però avrebbe richiesto una competenza nella lingua latina che Titus non poteva fingere. A lasciare perplessi i suoi insegnanti erano anche le affermazioni blasfeme che gli sfuggivano nelle conversazioni, nonché gli attacchi alla corona inglese; insomma nel giro di due anni Titus fu espulso anche dai gesuiti. In seguito sosterrà di aver conseguito a Valladolid una laurea in teologia: ma soprattutto racconterà di essere entrato nei gesuiti per carpirne i diabolici segreti. Il che tutto sommato è verosimile, anche se non essendo riuscito a carpirne decise di inventarsene lui. 

Il manoscritto che descriveva il complotto di un centinaio di gesuiti per uccidere re Carlo II speculava su un sentimento anticattolico che dopo il Complotto delle Polveri era molto forte; i gesuiti, e in generale tutti i "papisti" erano accusati dal popolo di aver portato in Inghilterra la peste del 1665 e appiccato il Grande Incendio del 1666, insomma in assenza di ebrei (espulsi dall'Inghilterra già nel XIII secolo) i cattolici erano divenuti i capri espiatori preferiti dalla popolazione. Il sentimento anticattolico era diventato un collante per una comunità divisa da un punto di vista religioso tra anglicani e protestanti di diverse confessioni. Il re Carlo II, che aveva ripristinato la monarchia dopo la rivoluzione in cui suo padre aveva perso la testa, aveva il suo daffare a rassicurare i sudditi sul fatto che non volesse ricongiungere la Chiesa inglese con la romana. Il fatto che avesse sposato una cattolicissima principessa portoghese certo non aiutava, così come l'idea di muovere guerra agli olandesi (protestanti) col sostegno dei francesi (cattolici). Correva voce che in cambio di questo supporto, Carlo II avesse segretamente promesso al cugino Luigi XIV di convertirsi al cattolicesimo: ed era vero. Correva voce che il fratello di Carlo ed erede al suo trono, Giacomo duca di York, si fosse già convertito: ed era vero pure questo. Gli inglesi che in generale avevano salutato il ritorno di uno Stuart sul trono, dopo la dittatura cromwelliana, non avrebbero tollerato un'altra Maria la Sanguinaria. Insomma Titus Oates si trova a vivere in un periodo e in un luogo dove c'è una sentita necessità di un libello anticattolico, qualcosa che dimostri inappuntabilmente che i cattolici sono ancora terroristi assetati di sangue come ai tempi di Guy Fawkes; qualcuno prima o poi quel libello l'avrebbe scritto. Decide di scriverlo lui, con l'aiuto di Israel Tonge che però secondo gli storici credeva in quello che Oates stava inventando. Tonge soprattutto è funzionale a mettere in scena il ritrovamento, nell'abitazione che condivideva con un medico, sir Richard Barker. Quest'ultimo decide di mostrarlo a sir Christopher Kirkby, un chimico che aveva il privilegio di assistere il re nei suoi esperimenti scientifici. 

Avvisato prontamente da Kirkby di questo diabolico complotto di cento gesuiti per assassinarlo, il re non rimane così impressionato: la sua vantata disponibilità nel ricevere i sudditi a corte faceva sì che complotti del genere gli venissero ventilati spesso. Ma perché mai i cattolici avrebbero dovuto uccidere proprio lui, che garantiva loro la libertà di culto in Inghilterra? Allo stesso tempo non si poteva ignorare un'accusa che veniva da personaggi autorevoli, e così la pratica viene passata a Thomas Osborne, duca di Leeds e uomo chiave di quella fazione parlamentare che si cominciava a chiamare Tory. Osborne tutto era fuorché un ingenuo, per cui è molto difficile che abbia deciso di sostenere in buona fede due personaggi come Tonge e Oates e la loro storia di gesuiti assassini. È più probabile che abbia aiutato i due a rendere la storia più credibile, suggerendo altri nomi che avrebbe visto volentieri cadere in disgrazia. Il 28 settembre, presso il Consiglio Privato del Re, Oates accusa formalmente 541 gesuiti e altre personalità di fede cattolica, tra cui l'arcivescovo di Dublino, il medico della regina e il segretario di Maria Beatrice d'Este, duchessa di York e moglie dell'erede al trono. 

Maria Beatrice d'Este, che gli inglesi
chiamano "Mary of Modena", 
si vede che in inglese suona bene.

Questa udienza è il capolavoro di Titus Oates, che riesce a imporsi come teste credibile malgrado una reputazione non proprio immacolata. A impressionare il Consiglio è la memoria prodigiosa con cui snocciola nomi e dettagli del Complotto; qualcuno avrebbe potuto arguire che li conosceva a memoria perché il Complotto se lo era inventato lui, ma ognuno crede sempre a quel che vuole credere. Pescando a strascico qualcosa prima o poi si trova, e in questo caso si scoprì un incriminante carteggio privato tra il segretario di Maria Beatrice e il confessore di Luigi XIV. Il Consiglio fornì a Oates una scorta armata con il compito di arrestare i gesuiti di cui conosceva gli indirizzi, avendoli frequentati al tempo della sua conversione. 

Qui cominciano i fatti di sangue. Il 17 ottobre sir Edmund Berry Godfrey, un magistrato anglicano, viene trovato in un fosso, strangolato e trafitto dalla sua stessa spada. Godfrey stava indagando sul Complotto e aveva ricevuto le dichiarazioni ufficiali di Oates e Tonge. Finalmente un delitto di chiara matrice cattolica, qualcosa che può comprovare che i cattolici uccidono. Oates ha il vento in poppa ma forse non ha la percezione dei propri limiti, e a fine novembre accusa la regina di aver progettato con il medico di corte l'avvelenamento del re. Qui Carlo II perde la pazienza e decide di interrogare personalmente Oates. Trovandosi per la prima volta davanti a un inquirente che non crede volentieri alle sue bugie, Oates comincia a perdersi in contraddizioni e smentite. Per rafforzare la sua posizione, ha l'ingenua idea di raccontare di un suo colloquio col Reggente di Spagna. Carlo II, che lo aveva conosciuto personalmente negli anni dell'esilio, chiede a Oates di descriverlo. Oates non ha la minima idea di come sia fatto il Reggente, e Carlo II lo mette in stato di arresto. Questa caduta in disgrazia dura appena due giorni, perché il Parlamento non approva la mossa del Re e minaccia una crisi costituzionale. Non solo Oates viene liberato, ma essendo il suo benessere di interesse nazionale, il parlamento gli garantisce un alloggio a Whitehall a spese dello Stato, e una pensione annuale di 1200 sterline. Ma siamo pur sempre nel Seicento: a che serve una pensione annuale se non hai un cognome e uno stemma nobiliare? Oates briga presso le autorità araldiche finché non riesce a farsi consegnare lo stemma di una casata estinta; nel frattempo cerca di combinare un matrimonio con la figlia del marchese di Shaftesbury.

Nel giro di tre anni 15 sudditi di fede cattolica vengono giustiziati (tra cui John Kemble e John Wall). Oliver Plunkett, arcivescovo di Armagh, viene impiccato, sbudellato e squartato alla vecchia maniera. Dopodiché il vento cambia. Arresti e processi proseguono, ma i giudici sono sempre più titubanti. Dopo aver fornito agli inglesi un capro espiatorio, ora il Complotto poteva servire a incriminare chi lo aveva promosso: in particolare Thomas Osborne, che in parlamento si era fatto troppi nemici e che stava per essere rinchiuso nella Torre di Londra. 

Nell'estate del 1681 la campana comincia a suonare anche per Titus Oates. Il 31 agosto riceve l'ordine di sgomberare i suoi appartamenti: non solo non obbedisce, ma accusa pubblicamente il re e il duca di York. Tanto bastava per arrestarlo per sedizione. Nel frattempo Carlo II, sempre più insoddisfatto dei suoi parlamenti, ne scioglie un paio. I sudditi sembrano dalla sua parte, forse impiccando qualche cattolico ha ottenuto la loro fiducia. Qualche protestante cerca di ucciderlo davvero, ma la sua morte improvvisa nel 1685 secondo gli storici fu più probabilmente causata da un'insufficienza renale, magari in parte dovuta ai suoi esperimenti col mercurio. Al suo posto sale al trono il fratello Giacomo, ora Giacomo II: è quello che i protestanti temevano da anni, e in effetti il Complotto Papista non era che parte delle misure prese dai nemici di Giacomo per impedire che la corona d'Inghilterra fosse cinta da un re cattolico. Per Oates, soprattutto, è una pessima notizia. Uno dei giudici che aveva creduto volentieri alle sue storie quando si trattava di mandare al patibolo cattolici innocenti, lo definisce "una vergogna per il genere umano"; non potendo condannarlo a morte (non era una pena prevista per il reato di spergiuro) lo condanna al carcere a vita e a essere "frustato per le strade di Londra cinque giorni all'anno per il resto della sua vita".

Si stabilisce inoltre che nel 1685 i giorni siano consecutivi: il primo giorno viene messo alla gogna davanti ai cancelli di Wstminster Hall, dove i passanti potevano lanciargli le uova. L'indomani fu esposto a Londra, il terzo giorno attaccato a un carretto e frustato da Aldgate a Newgate; il quarto giorno da Newgate a Tyburn. Oates sarebbe rimasto in prigione fino al 1689, quando gli equilibri religiosi vengono sconvolti da una nuova rivoluzione, quella Gloriosa. I protestanti inglesi, sempre più insofferenti di un sovrano assoluto e cattolico come Giacomo II, si erano rivolti al genero di quest'ultimo, l'olandese Guglielmo d'Orange, che nel 1688 viene incoronato con la moglie Maria (figlia di Giacomo). Oates viene graziato e indennizzato con una pensione di 260 sterline all'anno, che poi diventarono 300. Morì nel 1705, dimenticato più o meno da tutti: una frase che nel suo caso suona persino pietosa. Il Complotto era stato un fenomeno di costume; sull'assassinio di sir Godfrey era stata composta una ballata popolare, che un grande disegnatore, Francis Barlow, aveva illustrato con una storia divisa in vignette. I personaggi di Barlow parlavano mediante dei fumetti che uscivano dalle loro bocche; può darsi che l'espediente non fosse nuovo, ma la storia di Barlow è il più antico esempio di storia a fumetti che ci sia arrivata. Quanto a me, ho appena finito di scrivere la mia storia di Titus Oates e mi sento decisamente una persona migliore. Dopo tutto non ho mai inventato complotti per mandare in prigione nessuno. Quasi mai.


mercoledì 21 agosto 2024

Forse hai sentito dire che mi drogo


(Un disco per l'estate 2024)

Riflettendoci, la definizione di Massive Attack del Basso Mantovano non portò fortuna ai Depre Caspica. La coniò un indieblogger nel periodo in cui una recensione favorevole costava un paio di biglietti omaggio alla sagra della polenta di Gonzaga, e in un qualche modo gli restò appiccicata anche dopo il repentino scioglimento, avvenuto durante un soundcheck alla festa della musica di Guidizzolo in cui volarono le panche. 

Così i Depre sono rimasti un fenomeno di ultranicchia, sconosciuti già sulle altre sponde del Mincio e del Po; forse è un peccato e forse è meglio così, prima o poi tutti si svendono e loro in particolare davano la sensazione di poterlo fare veramente per poco. Ma Forse hai sentito dire che mi drogo rimane un bozzetto interessante, Pianura lasciava intravedere una via mediopadana all'hip hop, e Autostrade continua a darmi un brivido, non so neanch'io perché. 

martedì 20 agosto 2024

È l'uomo X me, fatto apposta X me

(Prosegue la lunga intervista con le Solite Stronze)


Ecco, se nel brano precedente c'era un chiaro riferimento a Battisti – per quanto non vogliate ammetterlo...

Noi non ammettiamo niente.

Addirittura nell'Uomo X me citate Vito Pallavicini.

Chi?

Quello che ha scritto il testo della canzone di Mina.

Che canzone?

L'uomo per me.

Ah, cazzo, pensavo l'avessimo scritta noi.

No, sono due canzoni diverse, sta facendo del casino.

Voglio dire che alla fine non ci sarebbe niente di male ad ammettere che voi ricicliate un certo tipo di immaginario, magari per dissacrarlo. Anche i punk lo facevano.

Anche i punk lo fanno

Sì, appunto. Immagino che sia un'altra canzone in cui un topos maschile – l'uomo geloso e violento – viene rovesciato.

Non viene affatto rovesciato.

No?

È effettivamente un uomo geloso e violento. Era un periodo che mi stavo intrippando su tiktok coi video sui fidanzati gelosi, hai presente.

Ah sì.

Come no, sei proprio uno che va tu tiktok a guardare video di fidanzati gelosi.

Ne ho sentito parlare... E anche stavolta assistiamo a un rovesciamento, ovvero il fidanzato geloso è manovrato dalla ragazza, è una specie di gorilla che serve a farle il vuoto intorno, così gli altri uomini la lasciano in pace.

Credo che questo sia il destino del maschio, francamente.

Davvero?

Cioè non mi piace fare previsioni per il futuro...

No future.

Ma credo che nel momento in cui avremo realizzato che l'aggressività maschile è un tratto insopprimibile, ci si porrà il problema di sfruttarlo al meglio... già adesso, se dai un'occhiata alle palestre, è come se stessimo allevando maschi stupidi e aggressivi.

La grossa cazzata è che qualcuna ancora pensa che esistano maschi da riproduzione, o da compagnia, invece no, noi stiamo dicendo, fanculo tutto questo, il maschio è carne da cannone.

Il vero salto culturale che dobbiamo fare tutte insieme, è capire che i maschi servono esclusivamente al lavoro e al combattimento. La compagnia ce la possiamo fare da sole, e per quanto riguarda la riproduzione, la scienza ormai ci ha fornito soluzioni pratiche che riducono al minimo la necessità di liquido seminale. Ovviamente parliamo di un cambio di prospettiva che non può avvenire dall'oggi al domani, ci vorrà come minimo un'altra generazione.

Quindi sta' tranquillo, nonno, tu non ci sarai.

Meno male... ma a questo punto non posso che domandarmi: non è sempre stato così? I maschi stavano in guerra e le donne restavano a casa – o nei conventi – a consolarsi tra loro...

Ma si trattava comunque di società patriarcali.

Indubbiamente, all'atto pratico una società matriarcale come la prospettate sarebbe molto diversa? Uomini a combattere e donne a casa, non notate come una convergenza evolutiva?  

Può darsi, ma ti ripeto, il passato non ci interessa più di tanto.

Fuck the Past.

E chi è Giovanna?

È un nome che suonava bene. 

lunedì 19 agosto 2024

Amami per quello che sono, un condominio in condono

(Un disco per l'estate 2024)

Tra le meteore della discomusic italiana, Giorgio Di Giorgio non merita di essere ricordato soltanto con gli aneddoti sulle sue crisi d'astinenza (tipo quel mattino che lo trovarono in mutande tra Gabicce e Misano mentre cercava di sniffarsi la linea di mezzeria della SS Adriatica). Di Giorgio era un dj raffinato e un paroliere non privo di autoironia, come testimonia questo pezzo relativamente recente in cui si atteggia a stagionato gigolò di riviera.

domenica 18 agosto 2024

Locandiera, imperatrice, santa

18 agosto: Sant'Elena (248-329), madre di Costantino. 

Una versione ringiovanita di Sant'Elena 
sogna la Santa Croce prima di svegliarsi
e andare in Terrasanta a recuperarla 
(Veronese). 

Nel 326 Costantino, ormai incontrastato Augusto di tutto l'impero, condanna a morte il figlio di primo letto (Crispo), colpevole di avergli insidiato la seconda moglie, Fausta. Poi se ne pente, forse si rende conto della sua innocenza, e fa uccidere anche Fausta. Il senso di colpa derivato da queste esecuzioni, secondo il successore Giuliano, avrebbe portato Costantino ad avvicinarsi al cristianesimo: l'unica religione che avrebbe potuto perdonargli un simile peccato. Non possiamo fidarci di Giuliano (che irrideva il perdonismo dei cristiani), né degli altri cronisti, tutti di estrazione cristiana e generalmente teneri con l'imperatore che aveva posto fine alle persecuzioni. Però è sintomatico che la svolta religiosa di Costantino porti sotto i riflettori un personaggio femminile, forse l'unico spendibile dopo che l'imperatore aveva fatto fuori la seconda moglie: Flavia Giulia Elena, sua madre. 

Su di lei le fonti dicono poche cose e tutte contraddittorie: ad esempio per Eusebio da Cesarea fu il figlio Costantino a convertirla, mentre Ambrogio, forse riflettendo sul fatto che Costantino si fece battezzare solo sul letto di morte, era propenso a immaginare il contrario: una di quelle mamme che lottano tutta la vita per convertire il figlio, come Monica, madre di Agostino. In generale viene presentata come un modello per le future regine o imperatrici: non si immischia nella politica, ma spende danaro e tempo in beneficienza, soccorrendo gli afflitti anche travestendosi da donna del popolo. Del resto era una donna del popolo: quando il generale Costanzo Cloro l'aveva trovata e messa incinta, da qualche parte in Bitinia, era una stabularia. Così almeno la definisce Ambrogio: bona stabularia. Che potrebbe significare: una brava locandiera. Ma anche: una brava figlia di un locandiere. In ogni caso non una nobildonna. 

Elena aveva seguito il padre di suo figlio nella sua lunga trafila per diventare Cesare e poi Augusto, mettendosi da parte quando a Costanzo era stato imposto un matrimonio di rango: solo dopo il trionfo del figlio era arrivata a Roma come moglie di un Augusto, e quindi Augusta: anche se nessuno è mai stato in grado di stabilire se i due fossero regolarmente sposati (almeno in un passo Girolamo osa definirla concubina). 

La fama di Elena è legata al ritrovamento di alcune importantissime reliquie, avvenuto durante un viaggio in Terrasanta intrapreso in tarda età (secondo Eusebio aveva 80 anni quando tornò) che forse serviva a ribadire l'unità dell'Impero mentre Costantino era impegnato in Occidente. Elena avrebbe recuperato la sacra Croce, insieme a quelle dei ladroni (quella Sacra fu riconosciuta perché faceva i miracoli), i Santi chiodi (uno dei quali sarebbe stato fuso nella Corona Aurea) e altri tesori subito portati a Roma. Anche Elena ovviamente, alla sua morte, sarebbe diventata una reliquia preziosa: sepolta prima in un sontuoso mausoleo fuori Roma, poi traslata a Costantinopoli, almeno finché non arrivano i crociati nel XIII secolo, dopodiché le voci si moltiplicano, chi la vuole a Parigi, chi a Venezia. A Roma è rimasto il mausoleo, la cui facciata, franando, ha rivelato una grande quantità di anfore che però nel frattempo i romani si erano messi a chiamare pignatte; così il mausoleo è diventato Tor Pignattara.


sabato 17 agosto 2024

Chiara le cose le sa e basta

17 agosto: Chiara della Croce (1268-1308), la monaca che sapeva tutto. 

Gesù appare a Chiara,
le imprime alcune immagini sul cuore,
e la invita alla santa delazione. 

Tra i vari doni fatti da Dio a Chiara di Montefalco (oggi in provincia di Perugia), forse come ricompensa per aver cominciato a flagellarsi e a mettersi il cilicio sin dalla prima infanzia, e aver seguito la sorella maggiore Giovanna prima nel reclusorio e poi nel monastero agostiniano da lei fondato... tra i vari doni vi era quello della Scienza Infusa: ovvero sapeva tutto o quasi tutto senza doverlo imparare; lo sapeva e basta. Questo spiega molte cose, ad esempio come mai fosse eletta badessa del monastero della Santa Croce alla morte della sorella, benché avesse appena 23 anni; come mai i cardinali più influenti non disdegnassero di corrispondere con lei o addirittura di incontrarla, e soprattutto come riuscì a denunciare al pontefice la setta dei Fratelli dello Spirito di Libertà. Perché è pur vero che i Fratelli battevano la campagna umbra diffondendo idee pericolosamente eretiche, ma lei, tutta chiusa nel suo eremo e rivolta alle cose del cielo, come faceva a saperlo?

Chi la informava? Il resoconto steso dal biografo di Chiara, Berengario di Sant’Africano, lascia perplessi. Dobbiamo credere che Chiara venga abbordata da un tale fra' Giacomo che cerca di convincerla che l'inferno non esiste e che l'anima in vita possa perdere il desiderio. Queste idee fra' Giacomo le avrebbe esposte alla santa, in un colloquio orale: ovvero non abbiamo documenti scritti. E se vi state chiedendo come avrebbe fatto un frate a entrare in un monastero femminile agostiniano per spiegare che l'inferno non esiste, ebbene, l'unica spiegazione possibile è che questo fra' Giacomo fosse un confessore delle monache. Messa in guardia da un sogno premonitore, Chiara respinge le idee di fra' Giacomo, il quale a questo punto potrebbe anche dirsi va bene, ci ho provato, pazienza, dopotutto questa tiene corrispondenza con tutti i cardinali, forse è meglio concentrarsi su obiettivi meno rischiosi, pastorelle, artigiani. Invece no! Fra' Giacomo decide di rivolgersi al leader del Libero Spirito, Bentivegna da Gubbio: vieni con me da Chiara di Montefalco, vediamo se riusciamo a convincerla che il libero amore è praticabile (in realtà non possiamo essere sicuri che i Fratelli del Libero Spirito praticassero il libero amore: è una delle più classiche accuse che si muovevano nei processi per eresia). E Bentivegna da Gubbio come aveva reagito all'invito? Bentivegna, che in gioventù era riuscito a evitare per un pelo il rogo abbandonando al loro destino l'Ordine degli Apostoli di Gerardo Segarelli; Bentivegna che per salvarsi la pelle aveva preso il saio dei Frati Minori, e per l'eloquenza e la rettitudine ormai godeva in zona della fama di santo, Bentivegna avrebbe detto: ma perché no? andiamo assieme a raccontare tutte le nostre idee eretiche a un'amica dei vescovi come Chiara della Croce, cioè in pratica andiamo a costituirci e vediamo se ci carcerano a vita o ci bruciano subito.

Chiara e Bentivegna avrebbero avuto, secondo Berengario, almeno due colloqui, durante i quali il frate invano avrebbe discettato per ore di desiderio e libero arbitrio, citando versetti delle Scritture; tutto vano, perché Chiara, essendo Scienza Infusa, non aveva bisogno di conoscere le Scritture e nei fatti non le aveva mai lette (non fate quella faccia. Voi li leggereste i libri, sapendo già come vanno a finire?) In compenso aveva Gesù che di notte le appariva e le pregava di essere più severa con le idee eretiche di quel frate. Così Bentivegna se ne sarebbe andato senza riuscire a convertire le monache al libero amore: e di lì a poco sarebbe stato arrestato in quanto eretico, anzi eresiarca. Indovinate chi aveva fatto la soffiata: Chiara della Croce, esatto. Gesù le aveva pregato di scrivere una lettera al cardinale Napoleone Orsini.

Ubertino da Casale nel film.

Le cose strane non finiscono qui. A condurre il processo fu chiamato Ubertino da Casale, che in quel periodo era il cappellano del cardinale. Se ricordate vagamente il suo ruolo nel Nome della rosa, potreste stupirvi di trovarlo pochi anni prima nei panni di inquisitore. Ma Ubertino è una figura complessa. Anche lui, come Bentivegna, in gioventù aveva sognato una rivoluzione pauperistica, ispirata alla figura di Francesco d'Assisi ma soprattutto alle profezie di Gioachino da Fiore. Qualche anno prima che Celestino salisse il Soglio, proprio Ubertino aveva previsto un "papa angelico" che avrebbe trasformato la Chiesa in un regno di pace e di rettitudine; il che poi lo aveva maggiormente esposto alla delusione quando Celestino aveva abdicato. Ubertino era uno dei massimi rappresentanti della corrente spirituale dei francescani, quella più vicina al pensiero di Francesco, più lontana ai diktat dei pontefici, e più esposta alle accuse di eresia. Cinque anni prima che scoppiasse il caso Bentivegna, anche Ubertino era caduto in disgrazia: papa Benedetto XI gli aveva proibito di predicare e lo aveva mandato al confino alla Verna (lo stesso eremo dove anni prima era stato mandato a morire Francesco). Ubertino però era sopravvissuto, aveva scritto l'Arbor vitae crucifixae Jesu Christi, in cui ribadiva le tesi millenariste di Gioachino che in un qualche modo riuscivano ancora a far breccia, perché già nel 1305 lo troviamo alla corte del cardinale, che lo ritiene l'uomo giusto per condannare un collega come Bentivegna. Che senso ha.

Non lo so. Sembra quel momento in cui nei romanzi o nelle serie un personaggio complesso viene messo davanti a un bivio. O rimani quello che sei, tutto d'un pezzo, e vai in malora; o capisci come va il mondo: e per dimostrarci che hai capito ora tradisci un tuo collega. Ubertino e Bentivegna provenivano dallo stesso humus culturale: Ubertino aveva studiato di più, Bentivegna aveva occupato posizioni più estreme, ma a vederli da poco lontano erano entrambi due fraticelli sediziosi. Se Ubertino voleva dimostrare ai cardinali di essere cambiato, di essere più ragionevole, predisposto al compromesso, forse la condanna di Bentivegna era il prezzo da pagare. Non c'era nemmeno bisogno di bruciarlo: Bentivegna, messo davanti alle sue idee, le riconobbe come eretiche e la condanna a morte fu commutata nel carcere a vita. 

Ma la domanda è: come faceva Ubertino a conoscere le idee più eretiche di Bentivegna? C'è una risposta plausibile e una ufficiale. La risposta plausibile è che Ubertino lo avesse frequentato, e magari in parte ne avesse condiviso le opinioni. Insomma, processando Bentivegna, Ubertino stava processando una parte di sé stesso: il che non si poteva ovviamente mettere per iscritto. La risposta ufficiale è che Ubertino apprese ogni informazione da Chiara della Croce, che oltre a sapere tutto per definizione, aveva avuto con Bentivegna quei provvidenziali colloqui. 

Per cui mi rimane questo sospetto, che riconoscendo a Chiara la Scienza Infusa, la Chiesa abbia voluto blindare la sua testimonianza – e semplificare la posizione di Ubertino. Il quale Ubertino subito dopo il processo sarebbe diventato il referente più autorevole e ragionevole degli spirituali, quello che veniva mandato avanti quando si trattava di negoziare. Il che non lo avrebbe messo al riparo da guai successivi; tanto che dovette a un certo punto abbandonare l'Ordine (ed entrare nei benedettini), e forse morì assassinato, ma in età già avanzata, nel 1330.    

Chiara invece sarebbe morta poco dopo il processo, a quarant'anni; la maggior parte dei quali passati a macerarsi con torture che la rendevano, anche agli occhi del più entusiasta degli agiografi "più da ammirare che da imitare". Il corpo le fu aperto, non tanto per indagare sulle cause della morte, quanto per trovare segni miracolosi che ne accelerassero la canonizzazione; sul cuore gli improvvisati anatomopatologi trovarono incisi vari simboli della Passione di Gesù tra i quali il Crocifisso, il flagello, la colonna, la corona di spine, i tre chiodi e la lancia, la canna con la spugna, quante cose si possono incidere su un cuore umano, che è grande più o meno come un pugno? E nella cistifellea trovarono tre sfere di uguale diametro, che furono subito interpretate come un riferimento alla Trinità, mentre io mi immagino questa poveretta a cui tra una flagellazione e l'altra magari capitava di soffrire un po' per i calcoli alla cistifellea, se non li avete avuti non avete idea, a cosa serve sapere tutto se sai anche quanto fanno male i calcoli alla cistifellea.

venerdì 16 agosto 2024

Amami a pacchi

(Un disco per l'estate 2024)


 

Quando trent'anni fa Anselmo Focaccia, in arte Xilitolo, pubblicò la sua versione blueseggiante di Amami a pacchi, ci fu chi gridò alla profanazione del classico di Andrea De Fabrizi, un brano che in effetti dietro al nonsense celava una sua profondità. 

La situazione era un po' più complicata perché Xilitolo anche in sede processuale riuscì a dimostrare che il brano non era di De Fabrizi, ma risultava registrato a un tale "Robbi Giovannini", un improbabile bluesman di Goretto, delta del Po. Negli anni più di un musicologo, non avendo veramente niente di meglio da fare, ha tentato di dimostrare che Robbi Giovannini non era che Xilitolo sotto falso nome, il quale con un astuto sotterfugio avrebbe convinto i funzionari siae a retrodatare agli anni Sessanta un demo molto più recente. Ma Xilitolo non lo freghi, è uno che sgraffigna testi ad altri autori da una vita. 

Proprio quando ormai eravamo rassegnati, una sensazionale scoperta ha riaperto il caso: qualche anno fa, nel mercatino delle pulci di Alassio un egittologo in vacanza ha recuperato un 45 giri del 1959 di "Dario Balestra e la sua Orchestra" che probabilmente in seguito era stato usato come fondo per la sabbiera di un gatto, perlomeno questa è la spiegazione più plausibile per la peculiare cattiva condizione del reperto. E però anche se l'incisione era a brandelli, da quei brandelli si evince che lo sconosciuto Balestra stava cantando lo stesso testo di Robbi Giovannini, anche se su una base musicale che niente aveva di blues. E quindi, insomma, chi ha scritto davvero Amami a pacchi? E perché questo dovrebbe interessarvi? Eh vabbe' abbiate pazienza, ho questi quattro pacchi e non sapevo dove piazzarli. 

giovedì 15 agosto 2024

Sta' zitto quando parli


Sì, insomma, durante questa estate musicalmente discutibile mi sono preso la briga di sbobinare una conversazione che ho avuto con due membre delle Solite Stronze, un collettivo punk eccetera. Siamo al quinto pezzo e se skippate non vi biasimo.

Ecco, un brano che invece secondo me vi mette a fuoco è Sta' zitto quando parli.

Ma datti fuoco a te, coglione.

Scusa, è solo un modo di dire... mettere a fuoco significa definirsi meglio, come... come gli obiettivi delle macchine fotografiche che...

Delle macchine cosa?

Ops.

Ehi lo hai sentito? Ha detto "macchine fotografiche".

Vabbe' dai, non vuol dire, anch'io ne ho una a casa, ce l'aveva mia nonna.

Senti, ma il nostro album come l'hai ascoltato, col grammofono?

Va bene, ho capito, siete tanto punk e trasgressive e avete questa necessità di trattarmi come il nonno rincoglionito, anche se a conti fatti il punk è più vecchio di me...

Ma non si è rincoglionito.

E lo fate proprio mentre stiamo ascoltando una canzone come Sta' zitto quando parli, che addirittura parodizza Lucio Battisti.

Lucio chi?

Non fare la furba, dai. Sai benissimo chi è Lucio Battisti.

È quello con la barba e il berretto di lana?

Naaah, quello era Caruso.

State cercando di negare che Sta' zitto quando parli sia una parodia dei Giardini di marzo, malgrado gli evidenti debiti intertestuali?

Noi neghiamo sempre tutto.

No Future.

Ma anche No Past.

Soprattutto No Past. E aggiungo Fuck. Fuck the past.

Comunque anche stavolta il brano termina con una sorpresa che mette un po' tra parentesi tutto il brano, credevamo che la voce cantante non sopportasse un tizio che non riesce più a stare zitto, e invece capiamo che l'ha portato in un parco...

...per limonarlo.

E adesso ci dirai che questa cosa non ti sembra così femminista.

No, io non vi sto dicendo niente.

Perché ce lo devi spiegare tu, il femminismo.

No no, io non spiego niente.

Ma anche stavolta si tratta di capovolgere il punto di vista, cioè ti piacerebbe essere trascinata nel parco da una tizia che non ha nessuna intenzione di ascoltare quello che dici, una che da te vuole una semplice e immediata gratificazione di natura fisica e poi mandarti affanculo?

Ah quindi è un capovolgimento delle parti che dovrebbe servire a farci capire come ci si sente quando...

Non cercare di spiegare una canzone a chi l'ha scritta, idiota. Tra l'altro lo sai quanto ci ho messo a scriverla?

Non saprei?

Meno del tempo che ci stiamo mettendo ora a parlarne. Andiamo avanti.

Puoi almeno dirmi se hai mai sentito I giardini di marzo e...

Ho detto andiamo avanti, nonno!


mercoledì 14 agosto 2024

Little Big Love Gone Wrong

(Un disco per l'estate 2024).

E così siamo arrivati al genere cantautori-spoof, un bacino praticamente inesauribile. Evidentemente certi generi si prestano più di altri alla parodia; oggi poi, con l'intelligenza artificiale il giochino è fin troppo semplice, e infatti ha già smesso di essere divertente.

Angelo Sbaglioni probabilmente non esiste; i suoi brani sembrano scritti da un'AI a cui è stato dato un prompt preciso: ricopia la prima strofa di una canzone d'autore italiana, quindi inserisci il verso: "poi all'improvviso la droga", e prosegui a ruota libera. Nel caso di Questo piccolo grande amore, il risultato è un delirio orgiastico che finisce con qualcuno che deve seppellire qualcun altro di nascosto. 

martedì 13 agosto 2024

Un papa e il suo antipapa (in miniera)

13 agosto: Ponziano papa e Ippolito antipapa (III secolo)

San'Ippolito si fa un selfie (Antonio del Ceraiolo)

Di solito vengono definiti "antipapi" quei papi che in seguito non sono vengono più considerati tali, per cui l'eventuale conclave che li ha eletti viene considerato nullo, il loro nome eliminato dai documenti e ignorato dalla numerazione progressiva. Siccome la storia la scrivono abitualmente i vincitori, gli antipapi quasi sempre fanno una cattiva fine: uccisi o esiliati – qualcuno è riuscito a dimettersi pacificamente, ma è difficile farlo quando ti sei convinto di essere il papa. 

Il caso di Ippolito di Roma è abbastanza diverso: del resto è considerato il primo antipapa della Storia. È anche uno dei due antipapi che è stato considerato santo. Benché venga definito "di Roma", Ippolito proveniva forse dall'Asia minore. Qualche cronista lo definisce vescovo, anche se non è chiaro di che. Senz'altro era un personaggio di grande cultura e dotato di una certa verve polemica; come altri scrittori cristiani del tempo, la sfogava contro gli eretici, nei quali amava rintracciare le radici provenienti dalla cultura filosofica greca, anche per il gusto di sfoggiare la stessa cultura, mentre la censurava. Nella sua foga dialettica Ippolito non guardava in faccia a nessuno e a un certo punto accusò lo stesso papa, Zefirino, di intelligenza coi modalisti. 

I modalisti pensavano che Padre e Figlio fossero solo due "modi" di essere dell'unico Dio. Zefirino forse era tiepido nei loro confronti, ma Ippolito lo considerava "privo d'istruzione", insomma non abbastanza colto per capire la loro eresia e prenderne le distanze. Ippolito sentiva la necessità di un pontefice più dotato intellettualmente, e aveva anche in mente il candidato ideale: sé stesso. 

Invece alla morte di Zefirino (217) l'incarico passò a Callisto, un presule fautore di una linea morbida coi modalisti, ma soprattutto un maneggione con almeno una bancarotta alle spalle. Da come ne scrive, capiamo che Ippolito non riusciva a darsi pace del fatto che un tizio nato schiavo, che aveva fatto carriera amministrando i fondi del padrone (e perdendoli) fosse diventato il capo della comunità cristiana in città. Oggi sappiamo che nel terzo secolo la Chiesa aveva ormai acquisito una funzione sociale: oltre a predicare il ritorno di Cristo, presbiteri e diaconi raccoglievano fondi presso i membri più facoltosi e li ridistribuivano a chi aveva bisogno non solo di parole di vita eterna, ma anche di cure mediche o assegni di invalidità. È probabile insomma che i fondi che Callisto amministrava fossero quelli della comunità, e che questo gli avesse consentito di far carriera meglio di un teologo. 

Ippolito però questa dimensione del problema non la vedeva, o non voleva vederla: scandalizzato da una nomina che riteneva così poco meritocratica, provocò il primo scisma occidentale rifiutandosi di accettare il nuovo papa, e affermando anzi che il nuovo pontefice autentico era lui. Qualcuno gli dovette dar retta (non sappiamo quanti) perché lo scisma sarebbe durato per 18 anni, fino al 235. Nel frattempo sul Soglio ufficiale si succedettero Callisto, Urbano I e Ponziano. Durante il pontificato di quest'ultimo l'imperatore Massimino il Trace diede il via a una nuova persecuzione anticristiana, tanto che Ponziano, catturato e condannato, decise di dimettersi: ed è il primo papa ad averlo fatto, ufficialmente (delle dimissioni di Clemente non abbiamo informazioni sicure). Può darsi che la decisione sia stata influenzata dal fatto che in città esisteva una Chiesa alternativa, ovvero quella retta da Ippolito, che avrebbe potuto a quel punto reclamare il titolo; in tal caso si trattò di una precauzione inutile, perché anche Ippolito fu arrestato e condannato. 

Il papa e il suo antipapa sarebbero stati condannati "ad metalla", ovvero ai lavori forzati in una miniera sarda, dove si sarebbero incontrati. Può darsi che Ippolito abbia trovato in Ponziano un interlocutore più degno – dopotutto proveniva da famiglia nobilissima, a differenza di Callisto. Oppure fu il duro lavoro in miniera che permise a entrambi di guardare alle controversia teologica da una più giusta prospettiva, ma insomma la leggenda dice che prima di trovare insieme il martirio, Ippolito e Ponziano si sarebbero riappacificati e avrebbero chiesto ai rispettivi discepoli di fare altrettanto. Il primo scisma d'occidente si sarebbe dunque risolto in miniera, lasciandoci il sospetto di quanti altri scismi si sarebbero potuti risolvere così: i vescovi non si mettono d'accordo sul filioque? Ad metalla! C'è un papa ad Avignone e uno a Roma, qual è quello giusto? Mandiamoli entrambi in miniera! Lutero ce l'ha con Tetzel, chi avrà ragione? Ne discutano in miniera, e così via.