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mercoledì 30 giugno 2004

Woody e Natalia

A un certo punto del collegio docenti, il mio cellulare si è arreso. La carne è triste, ahimè! E io ho vinto a tutti i giochi. Non c'erano più palline da scoppiare, mattoni da sistemare, vermi da ingrassare, astronavi, macchinine, tris, poker, game over, basta, utente, mi arrendo, pietà.

Nell'aula magna la gente va e viene, parlando di libri di testo.
Il termometro dice: 34°.
Il calendario dice: "29 giugno 2004"
Il mio contratto dice: "scade il 30 giugno".
Una circolare ministeriale dice… non si capisce assolutamente cosa, ma il senso è che tra 3 mesi avrò meno punti in graduatoria di quanti ne ho adesso. Potrebbe sembrare strano, ma ormai non lo è più. Anche 12 mesi fa ne avevo più di adesso. Se insisto ancora in questa professione, finisce che mi tolgono la laurea, il diploma, la patente, la cresima e la comunione.

E adesso di cosa parlano. Di vacanze di Natale.
Natale, figurati.
Così ho spostato la sedia contro il muro, di modo da appoggiare la testa. Ora, se riesco a pensare a qualcosa di inutile, mi posso addormentare. Natale. Arrivarci, a Natale. Che uno fa per dire, ma sul serio: cosa farò, io, a Natale? Sarò infine insieme a te? Sarò ancora insieme a te? Starò bene? Starò male?

Di certezze ne ho pochine, e mi ci appendo come posso: so che d'estate farà caldo, ma a settembre verranno le prime piogge, e Woody Allen presenterà un film a Venezia, e Natalia Aspesi dirà che è il più riuscito degli ultimi dieci anni. E in ottobre io lo andrò a vedere. Quello lo so per certo. E basta, direi.

Non è tantissimo, ma almeno.
Zzz.

martedì 29 giugno 2004

Io credo in San Precario, ma temo forte che sia uno di quei santi sudamericani un po' bastardi, quelli che prima di Colombo erano divinità indie dai nomi orribili, tipo tetuccapaticac (solo a dirli si creano crepe nei muri), e che sono stati fatti santi alla bene meglio, con ancora dei pezzi di carne umana tra i denti.

Così, in effetti, io credo in lui, ma allo stesso tempo mi guardo le spalle, e dormo quasi sempre con un orecchio solo, e il telefono in ricarica. C'è sempre qualche imprevisto, uno sconosciuto che chiama e pretende di conoscerti, e che gli dovevi consegnare qualcosa tre mesi fa. E dire che Kafka aveva un contratto a tempo indeterminato. Cosa ne sapeva della vita, con le sue assurde incombenze? Del senso di colpa originale e primigenio? Cosa ne sapeva? Eh? Eh? Arrenditi, Franz, non ci arrivi al ginocchio. A noialtri scarafaggi del XXI sec.

Poi magari il santo cannibale ti passa una grazia: e ti ritrovi con tutto in ordine, un lavoro consegnato, e la sera libera, e nessuno tra i piedi, e magari c'è pure un bel film in tv, e si potrebbe persino pensare di andare a dormire a un orario decente. Senza l'ansia del giorno dopo. Senza puntare la sveglia, t'immagini?

Ma avrei dovuto staccare il telefono.
"Pronto, ciao, ti disturbo? Sono Chiara".
"Ah, Chiara, ciao".

Io conosco duecento chiare, dalle elementari alle medie all'università se ne aggiungevano sempre due o tre, devo anche aver convissuto con una qualche chiara, e poi ce n'è una che sta a Varese e mi chiede sempre quando mi vieni a trovare, a Varese. Ciaaao, qualunque Chiara tu sia, sono le dieci e mezzo di mattina e sto già bleffando. San Precario, aiutami.

"Senti, ho qui un problema con un libro, siamo in ritardo e…"
Tombola! È quella Chiara che mi dà i soldi, se io le risolvo i problemi. Magnifico. Meraviglioso. Mi alzo anche da letto, guarda (mi dondolo sulla corazza finché…)
"Allora ce lo stiamo dividendo, e pensavo che magari ne vuoi fare un po'".
"In effetti ho una settimana libera".
"Benissimo, allora se ti va ti do Ottanta cartelle".
"Ottanta?"
"Perché, sono poche?"
"No… aspetta… di cosa parla…"
"Comodini".
"Comodini? Ottanta cartelle? Una settimana?"

Le persone che vanno avanti nella vita sono quelle che non si fanno prendere alla sprovvista, che sanno immaginarsi scenari sempre nuovi, e io appena svegliato dovrei immaginarmi quante cartelle di comodini riesco a fare nella canicola, in una settimana in cui non ho quasi niente da fare, cioè, quasi niente tipo (adesso che ci penso):
– due esami e un collegio docenti
– un pezzo per l'università
– questa casa è un cesso, e se non pulisco entro sabato mattina, la mia donna si renderà conto che convive con un enorme scarafaggio
– ci sono le partite degli europei, inoltre
– e il blog, questo meraviglioso passatempo

"Chiara, non so… non sono sicuro di farcela".
"Che fai, rinunci?"
Barcollando, ho raggiunto la cucina, c'è del caffè freddo da qualcheparte. Ma bisogna prima aggirare una fila di bollette, che ci fanno lì? Devo averle messe appoggiate così per ricordarmi di pagarle. E poi c'è una voce che mi dice non è giusto. Non è giusto dover prendere decisioni in questo tipo di situazioni. Dovresti avere un calendario d'impegni, un conto del dare e dell'avere, una partita doppia, una partita iva, una partita vinta. Per una volta. Io sono lo schiavista di me stesso, è così? Ma ho dei complici, non è vero?

"E se te ne faccio Quaranta?"
"Sessanta".
Massì, dopotutto non è mica necessario dormire, nella vita. Con questo caldo, poi.
"Va bene, sessanta".
"Perfetto-ti-mando-subito-il-contratto-l'-originale-in-copia-e-tutto..."

Svanisce nel brusio di fondo, mentre la caffeina fredda entra finalmente in circolo e mi chiarisce la situazione: sono un coglione. Non potrò farcela mai. Non si fa carriera nella schiavitù. Ci si spezza il collo e basta.
Neanche il tempo di svegliarsi da sonni inquieti.

lunedì 28 giugno 2004

L'invasione degli ultraCarpi

Non mi fa nessun effetto, davvero. È solo un pezzo di carta. Io rimango il buon vecchio ragazzo di campagna che conoscete bene.

***

"È poi venuto, il vigile?"
"Sì, stamattina. Una firma e via. Ah, e ha detto che possiamo chiedere un permesso per il parcheggio".
"Ma non l'avevi già chiesto?"
"Sì, ma adesso è diverso, scusa! Adesso vado al comando e gli dico: sentite un po'…"
"Come gli dici, scusa?"
"Sentite un po'…"
"A proposito, mio padre insiste che devo cambiare la macchina…"
"E fa bene! Che tra un anno non vale più niente".
"Sì, ma proprio adesso, con tutte le spese che…"
"Eppoi così ci compriamo una toiota".
"Eeeh?"
"Sì, un gippone della toiota, hai presente quelli robusti ma non troppo grandi, che li parcheggi bene anche in centro".
"Stai scherzando, sì?"
"Ma cosa c'è di male, scusa? Ce l'ha anche la tipa qui al primo piano, la tabaccaia…"
"Appunto, lei è una tabaccaia, ha la ricevitoria e un doppio appartamento al primo piano; mentre noi abbiamo un solaio…"
"Una mansarda".
"Noi abbiamo una mansarda e viviamo nel precariato, perciò…"
"Senti, io sono un po' stufo di questa cosa del precariato, come se fosse una punizione il precariato. Io ci vivo bene nel precariato, hai notato? Hai visto quanto ho fatturato nel mese di maggio? E allora?"
"E allora?"
"E allora niente, e poi arrivo a casa e per parcheggiare devo fare manovra tra una jaguar e una lancia, hai notato? Hai visto che qui fuori c'è una jaguar e una lancia? E a me tocca far la manovra in opelcorsa? E ti sembra giusto? D'accordo che è un turbodisel, però…"
"Senti, sei sicuro di stare bene?"
"Sto benissimo, perché? Mi vedi male?"
"No… è che…"
"Senti, c'è una cosa che ti volevo dire sa un po' di tempo in qua. Dovremmo comprarci uno specchio".
"Sì, hai ragione. No, aspetta. Cos'hai detto?"
"Uno specchio. Ogni volta che voglio riassettarmi per uscire devo andare fino in bagno…"
"Ogni volta che vuoi riassettarti?"
"…e finisce che pesto il tappetino bianco con le scarpe, è una cosa odiosa, non trovi?"
"Sì, è una cosa odiosa, ma…"
"Detto per inciso, è ora che mi compro un paio di sandali buoni".
"Mi sembrava che ti piacessero i birchenstoc".
"Non so… sai cosa? Non mi fido. Hanno due cifre".
"Hanno cosa?"
"Il prezzo a due cifre. Non mi fido. E poi, dai, sotto i portici sembrerei un pezzente. D'altrocanto le camper infradito sono un po'… non so, un po' troppo indi, mboh. O forse un po' troppo radical chic. Non so, ci sto pensando".
"…"
"Come hai detto? Parla più forte. Ti vedo un po' pallida, hai fame? Vuoi che andiamo un attimo alla galleria alimentare?"
"Al mercato, intendi?"
"Massì, così ci fermiamo alla boutique del pane".
"…che sarebbe poi il forno. Amore, qui c'è qualcosa che non va".
"Certo che c'è qualcosa che non va, in questa casa, te lo detto, manca uno specchio da parete, e poi…"
"No, no. C'è qualcosa che non va in te".
"In me? Il profumo?"
"No, no, non quello".
"Meno male, è chelvinclain".
"Da quando sono arrivata, oggi… non lo so, mi sembri diverso".
"Diverso? Io?"
"Ti giuro".
"Ma tu scherzi".
"Non sei più il ragazzo semplice con cui ho deciso di condividere la buona e la cattiva sorte, sembri… sembri…"
"Amore, senti, con tutto il rispetto, che cazzo dici? Non è che sei in quei giorni, per caso? Che prima lo so meglio è".
"No… no…"
"Mah, mi pareva. Comunque adesso accendi la tv, se non ti dispiace, che alla Vita in Diretta c'è un servizio su Pitti Uomo".
"Mio Dio".
"Dai, su, che non è niente. A proposito, quand'è che chiamiamo il vigile anche per te?"

***

Da ieri sono ufficialmente carpigiano. Che effetto mi fa? Nessun effetto. È solo un pezzo di carta.
(Ho bisogno di un paio di sandali nuovi).

venerdì 25 giugno 2004

Piano a chiamarla "Intelligence"

Anche oggi acquisirete una discreta quantità d'informazioni sull'Iraq. Che lo vogliate o no la radio, la tv, internet, i giornali, faranno di tutto per tenervi informati. Vi spiegheranno che ieri in Iraq è morto un altro centinaio di persone, e vi racconteranno una discreta quantità di inesattezze.

Stavo per dire "bugie", ma per dire una parola così grave dovrei avere una verità in tasca, e non ce l'ho. Di Iraq, man mano che si va avanti, ne capisco sempre meno. Purtroppo, non sono il solo. Alcuni esempi.

Al Zarkawi: anche oggi sentirete dire varie volte che Al Zarkawi è "il luogotenente di Bin Laden in Iraq", "il capo di Al Quaeda in Iraq", eccetera. Tutte queste, se non sono bugie, sono comunque inesattezze. Ne abbiamo già parlato: non ci sono evidenze che Al Zarkawi faccia parte di Al Quaeda. O perlomeno, non ha mai dichiarato di farne parte. Né Al Quaeda da parte sua ha mai rivendicato le gesta di Al Zarkawi, che io sappia. Anzi, in alcuni comunicati le avrebbe sconfessate: ma poi bisognerebbe dimostrare che i comunicati vengono davvero da Al Quaeda, e non si può.
La questione, mi rendo conto, è meramente terminologica, perché in realtà sappiamo poco sia di Al Zarkawi che di Al Quaeda. Il primo è un terrorista di origine giordana che, come Bin Laden, si è fatto le ossa nella resistenza antisovietica in URSS; poi è stato un po' qua e un po' là, flirtando con curdi ed hezbollah, finché non ha messo su un campo di addestramento per terroristi all'arma chimica nel curdistan iracheno – l'unica regione dell'Iraq non controllata da Saddam Hussein. Qui nel 2003 è stato per tre volte misteriosamente graziato dall'amministrazione USA, che ha impedito alla Cia di colpirlo: nello stesso periodo Bush e soci erano alla febbrile ricerca di prove della complicità di Saddam Hussein con Bin Laden. Alla fine l'Iraq è stato bombardato e invaso; Saddam Hussein arrestato; invece Al Zarkawi è più libero che mai. Da un anno in qua ha rivendicato un numero impressionante di attentati (compresa Nassiriya), nei quali sono morti soprattutto degli iracheni: anche ieri, su cento morti e trecento feriti, le vittime americane sono appena una manciata.

Questo Al Zarkawi (a dare per buono quel che lui dice di sé, che non è proprio il massimo dell'oggettività) è soprattutto un massacratore di iracheni, che segue una strategia chiara solo a lui. Quando qualche mese fa rivendicò gli attentati di Bagdad e Kerbala (130 morti), sembrava avere nel mirino soprattutto gli sciiti: il suo obiettivo era la guerra civile tra fazioni religiose. Oggi invece ce l'ha con tutti, sunniti e sciiti, purché collaborazionisti del regime filo-americano. Ma in occidente è famoso soprattutto per i suoi snuff a base di teste tagliate, che vanno forte al mercato nero (chissà che non servano anche da autofinanziamento), mettono in crisi le opinioni pubbliche nei paesi alleati, e ci rinsaldano nella nostra idea di essere in guerra contro la barbarie. In questi snuff, Zarkawi ha perso la faccia, nel senso che, come Bin Laden, non appare più a volto scoperto; in compenso sembra aver riacquistato una gamba che gli avevano amputato, e perso l'accento giordano. Allora, secondo me, in questa storia c'è qualcosa che non va. Poi, ripeto, anche se riuscissi a dimostrare che quel Zarkawi non è Zarkawi e non taglia le teste per conto di Al Quaeda, non avrei risolto nessun problema: la cosa che m'indispone è la libertà con la quale stampa, tv e radio, continuano a ripeterci che Zarkawi è un uomo di Al Quaeda. Non in cattiva fede, ma perché non hanno niente di meglio da dirci.

Al Quaeda: Già, perché (questo è il punto), dopo tre anni che siamo in guerra contro Al Quaeda, di Al Quaeda non sappiamo ancora niente. È una sigla buona per qualsiasi cosa, un po' come la federazione anarchica informale. Ormai qualsiasi beduino un po' sospetto, dall'Atlante a Islamabad (passando per le moschee italiane), deve per prima cosa dimostrare di non aver "legami con Al Quaeda".
Il problema è che questa ignoranza non è responsabilità dei media. È un'ignoranza effettiva. E allora c'è davvero qualcosa che non va, perché è proprio per sapere qualcosa su Al Quaeda è da tre anni che noi occidentali bombardiamo, invadiamo e torturiamo. Moralismi a parte: a cosa è servita una Guantanamo o un Abu Ghraib? A poco o a niente, secondo questo lungo articolo del NY Times (via Brodo)

In confronto agli effettivi di Al Quada trattenuti altrove dalla Cia, i detenuti di Guantanamo hanno offerto solo una modica quantità d'informazioni di effettivo interesse […] "Guantanamo ha offerto una ben piccola tessera del mosaico", ha detto un'autorità militare USA che ha studiato il dossier in dettaglio. "È stata utile e valida in certe aree. Ma non è stata certo la madre di tutta l'intelligence".

(Consiglio sempre di leggere, le mie traduzioni sono a braccio e faziose).

Nel settembre 2002, a 8 mesi dai primi arrivi di detenuti a Cuba, un dossier top secret della CIA si poneva già interrogativi sulla loro importanza, dal momento che (a detta di ufficiali ed ex ufficiali che hanno letto il dossier) molti dei presunti terroristi sembravano reclute di basso livello arrivate in Afganistan per aiutare i talebani, o addirittura uomini innocenti raccolti nel caos della guerra.

Dopo quasi due anni, a detta degli stessi ufficiali, le prove a carico di molti detenuti sono ancora così vaghe che gli inquirenti sono stati in grado di procedere al tribunale militare soltanto contro 15 sospetti, sei dei quali già designati per essere processati dal Presidente Bush. Altri 35 o 40 casi sarebbero allo studio da parte degli inquirenti
.

Lo scandalo non è solo la detenzione senza garanzie costituzionali, la tortura, etc.. Lo scandalo è che tutte queste cose siano spacciate come inevitabili per arrivare a dei fantomatici risultati. E io, uomo bianco e occidentale, non solo mi trovo correo di crimini contro l'umanità, ma mi devo anche bere la mia dose quotidiana di puttanate su Al Quaeda e sulla guerra in Iraq. Una delle più clamorose dell'ultima settimana è stata la leggenda dei "trecento ceceni kamikaze telecomandati", che hanno fatto allibire Adriano Sofri (via Witt). Una notizia totalmente inverosimile e campata in aria che per un giorno è stata proposta da stampa, tv e internet come degnissima di fede. Per dire a che livello basso siamo.

E ce ne sarebbe ancora da dire, ma ormai sono le otto. Adesso riaccendo la radio. E non chiedo di meglio di sentire un videomessaggio ufficiale di Bin Laden, che dice "è tutta colpa mia" e riconosce Al Zarkawi come suo luogotenente. Perché guardate, qui non è questione di litigare su una notizia, di tirarla da una parte o dall'altra: è proprio che queste notizie che ci danno, da qualsiasi parte si prendano, non sono solide: si strappano, fanno acqua. E una qualunque certezza farebbe comodo, anche una scomoda. Ci sarà poi sempre qualcuno, molto più esperto di me, che dirà che io rifiuto di credere a una notizia per motivi ideologici: può anche darsi, ma anche per credere ai "legami di Al Quaeda" o ai "trecento kamikaze telecomandati", ci vuole una bella dose di ideologia, tagliata magari con qualcosa di più forte. Allora, se proprio non posso andare in giro senza un'ideologia, preferisco una che mi fa dubitare a una che pretende di farmi mandar giù qualsiasi stronzata sia nel piatto del giorno. Questione di gusti, probabilmente.

giovedì 24 giugno 2004

Protestanti, mica coglioni
Guida alla sottile differenza

Ma adesso, moralismi e "lealtà" a parte, vogliamo fare un piccolo sforzo? Perché non proviamo a ragionare in termini di economia?
L'economia, si sa, è la scienza che ci insegna a massimizzare i profitti ed eliminare gli sprechi. Da un punto di vista economico, per quale motivo danesi e svedesi avrebbero dovuto lottare per 90', quando potevano tranquillamente giocarsi un semplice partitella di allenamento in attesa dei quarti di finale (nel rispetto, badate bene, dei regolamenti?)

Da un punto di vista economico, cos'è un calciatore internazionale? Un professionista - in una professione in cui si resiste al massimo una quindicina d'anni, e poi si tirano i remi in barca; in quei quindici anni, la possibilità di giocare un buon europeo si può presentare due, tre volte al massimo. Per quale motivo al mondo un professionista dovrebbe giocarsi una qualificazione ai quarti già in tasca? Sarebbe un pazzo, uno sprovveduto, uno che non pensa al suo futuro. Vi pare che i nordici siano fatti così?

Da un punto di vista economico, cos'è un Europeo per un professionista? Apparentemente, un episodio no profit: si guadagna al massimo qualche premio partita, briciole rispetto ai budget di un Euroclub. Ma per un professionista danese, o svedese, (o o bulgaro, o ceco, o fiammingo…) l'Europeo è la vetrina da non mancare, il posto dove esporsi in Eurovisione col cartellino del prezzo. E un professionista danese o svedese dovrebbe giocarsi l'opportunità di esporsi nei quarti di finale per una questione di "lealtà"? Quando ha la possibilità di sistemare la famiglia con un gol, un assist, un dribbling? Dal punto di vista economico, è un'assurdità.

Da un punto di vista economico, è chiaro che la nazionale italiana ha poche possibilità. Che motivazioni hanno i suoi giocatori? La patria, la chioma, etc.. Ma dall'altra parte del video non c'è nessun danaroso Presidente che sogna di comprarseli. Giocano già nel campionato più gonfiato del mondo, e le loro quotazioni sono troppo alte per essere appetibili. Possono anche aver imparato l'Inno a memoria, ma se gli avversari giocano per sistemarsi, non c'è speranza. Persino un terzinaccio bulgaro, contro l'Italia, può trovare la motivazione. Vuoi che non ci sia già un posto per lui, in qualche panchina di serie a o b o c?

Da un punto di vista economico, se noi ci fossimo trovati nella situazione degli scandinavi, avremmo fatto la medesima ragionevolissima cosa. E quando dico "noi" non dico la nostra nazionale: dico proprio me e te che mi leggi: se ci offrissero, in cambio di un piccolo artificio (nemmeno illegale!) la possibilità di una ribalta, un palcoscenico, un ingaggio, un mega-aumento, la rifiuteremmo? No, noi no. Ma, questo è il punto, pensavamo che loro non l'avrebbero mai fatto. Perché sono scandinavi, protestanti, alti, biondi, mica come noi.

Questo, se volete, è il nostro dramma nazionale. Noi siamo cialtroni e cattolici, e fieri d'esserlo, ma abbiamo bisogno che da qualche parte in Europa o nel mondo ci siano dei protestanti che abbiano lealtà e giudizio anche per noi. In loro abbiamo più fiducia nei che in noi stessi. Loro non fingono (noi fingiamo). Loro non rubano (noi rubiamo). Loro, se sono nostri alleati, è solo per il nostro bene. Loro, se vengono a liberarci, è per un calcolo disinteressato, per pura bontà. Insomma, loro sono migliori di noi, ma quel tipo di migliore di cui non si nutre invidia, perché ti lascia libero di goderti i tuoi difetti. Quel primo della classe generoso che ti fa copiare i compiti. È sempre alto e biondo, ma ogni tanto cambia lingua. Da sessant'anni in qua parla soprattutto inglese: prima parlava tedesco: è sempre un amicone che ci onora della sua amicizia, ci fa copiare tutto e non ci chiede nulla in cambio.

È una bella invenzione, questo amico biondo. Eppure, basterebbe ragionarci un po'. Tornare ai fondamentali. Cos'è l'etica protestante? Non è, prima di tutto, un'etica del lavoro? Noi li volevamo leali, loro sono stati professionali. C'è una bella differenza.

E cos'è la professionalità? È la capacità di far fronte ai propri impegni con costanza, massimizzando profitti ed eliminando gli sprechi. Ragionando dal punto di vista (indovinate un po') economico.

…mentre nello stesso tempo, da un'altra parte del mondo, c'è un popolo di sognatori che ancora ragiona in termini di lealtà, e crede che sia tutto un gioco, e attende la sua Vittoria, che le porga la chioma. Aspetta, aspetta e spera.

mercoledì 23 giugno 2004

Tutta colpa di Montale, 2

(continua da lunedì)

Tante cose avrei da rimproverargli ancora, ma è tardi, sempre più tardi, e in fondo il problema è un altro.

È che io sono un pasticcione che non riesce a risolvere il suo rapporto con i fogli di carta, gli appunti, i documenti, le copie conformi, le fatture, e questo è un problema, col lavoro che faccio. Con qualsiasi lavoro che io faccia. (Come un benzinaio allergico alla nafta). E di chi è la colpa? È sua.

Quel modello di scribacchino sciatto e geniale, che si prende due appunti sul retro di un biglietto del tram, poi lo scorda nel panciotto, lo ritrova cinque anni dopo in lavanderia e ci scrive una poesia – quello che non solo è disordinato di costituzione, ma pretende anche il medesimo disordine da chi convive con lui, quello che guai a svuotargli il cestino, magari c'è dentro un mottetto in stato di fermentazione.

Ed ecco che mi ritrovo una montagna di biglietti e fatture e retri di fotocopie e liste per la spesa, e maledetta, maledetta la poesia che mi viene sempre in mente in questa situazione:

Le parole
se si ridestano
rifiutano la sede
più propizia, la carta
di Fabriano, l'inchiostro
di china, la cartella
di cuoio o di velluto
che le tenga in segreto;

le parole
quando si svegliano
si adagiano sul retro
delle fatture, sui margini
dei bollettini del lotto.
sulle partecipazioni
matrimoniali o di lutto;

le parole
non chiedono di meglio
che l'imbroglio dei tasti
nell'Olivetti portatile,
che il buio dei taschini
del panciotto, che il fondo
del cestino, ridottevi
in pallottole;

le parole
non sono affatto felici
di essere buttate fuori
come zambracche e accolte
con furore di plausi
e disonore;

le parole
preferiscono il sonno
nella bottiglia al ludibrio
di essere lette, vendute,
imbalsamate, ibernate;

le parole
sono di tutti e invano
si celano nei dizionari
perché c'è sempre il marrano
che dissotterra i tartufi
più puzzolenti e più rari;

le parole
dopo un'eterna attesa
rinunziano alla speranza
di essere pronunziate
una volta per tutte
e poi morire
con chi le ha possedute
.

(Le parole, da Satura II, 1962-1970)

Sì, Eugenio, bravo, ben detto, ma la garanzia dell'aspirapolvere, porcapaletta, dov'è, dov'è.

martedì 22 giugno 2004

The passion of the Hrist

Evviva l'Italia, evviva la Bulgaria, che ci ha fatto dono del Pippero…

Oggi si gioca contro la Bulgaria, e nell'aria sento il ben noto profumo di complotto, ma mi togliete una curiosità?
È da dieci anni che io mi domando una cosa.

USA '94, semifinale Bulgaria-Italia. La prima squadra è la rivelazione del torneo, ai quarti ha mandato a casa i campioni del mondo tedeschi, ma tutto sommato si tratta di Hristo Stoichkov più dieci onesti session men. La seconda, dopo una serie incredibile di espulsioni e infortuni, è un'armata Brancaleone che ormai fa perfino tenerezza, e tra espulsioni e infortuni si trascina di fase in fase soprattutto grazie all'abilità di Baggio a segnare negli ultimi minuti. Voi la ricordate, quella partita? Onestamente.

(USA '94 è vittima di una grande rimozione collettiva. Baresi in lacrime, Zola espulso per aver toccato la palla coi piedi in area, Maradona che sembra volerti entrare in casa e mangiarti, Maradona che esce dal campo mano nella mano con un'infermiera addetta alle urine, e già sente che lo stanno accompagnando al patibolo. Tanti brutti ricordi, ma alla fine sembra ridursi tutto a Baggio che sbaglia un rigore).

Insomma, vi ricordate Italia-Bulgaria del 1994? Vi ricordate che a metà del secondo tempo, con l'Italia vincente per uno o due a zero, il CT bulgaro sostituì, tra tutti, proprio Hristo Stoichkov? Dico a voi, spostatevi per una volta dalla vostra panchina virtuale dell'Italia; provatevi a sedere su quella della Bulgaria. Siete bulgari, ok? Non c'è niente di male, ma nel mondo siete famosi per: gli yogurt, il mistero delle voci di Elio e le Storie Tese, il voto all'unanimità, e per aver tentato di ammazzare un Papa polacco (che non è nemmeno vero). E per Hristo Stoichkov. Uno dei calciatori più forti d'Europa, del mondo di sempre. Vi ha portato ai Mondiali americani a spese della Francia. Ha ancora qualche possibilità di portarvi in finale. Contro il Brasile. Una finale Brasile-Bulgaria, v'immaginate? Beh, a questo punto voi cosa fate? Mandate in panchina Hristo Stoichkov. No, dico. Vi sembra una cosa normale?

Stava male? Non mi sembra che stesse male. Ma io, da CT bulgaro, lo avrei tenuto in campo anche su un piede solo. Cosa facevo, lo risparmiavo per la finale terzo-quarto posto? (nella finale terzo-quarto, i bulgari furono sepolti dalla Svezia).

Adesso, non è che io sia un avido lettore di stampa sportiva, ma non ho mai trovato una spiegazione razionale per quella sostituzione. Faccio appello a chi passa di qui, ce n'è sempre qualcuno più informato di me (sul calcio, ce ne sono parecchi di più informati di me). Voi ricordate l'episodio? Ricordate come lo presentò la stampa? Ricordate se qualche giornalista gridò al complotto? Io ho un bel da cercare, non me ne ricordo. Come se si potesse complottare solo ai danni dell'Italia, mai in favore. Inverosimile – anche solo per la legge dei grandi numeri.

E se non fu complotto, riuscite a trovare qualche altra spiegazione razionale? Se sì, vi ringrazio. È imbarazzante, con tutti i problemi che ci sono al mondo, avere anche una sola cellula del cervello che continua a farsi una domanda stupida dal 1994.

Servizi segreti bulgari… e italiani, via
Sentite come pompa il Pippero!

lunedì 21 giugno 2004

Che tu t'intenda di tornio o di computer; di pianoforte o di niente, semplicemente; che tu sia bianco o nero, giallo o marron; non importa. Se sei italiano, ti tocca fare il tema d'italiano. Come il battesimo e i tre giorni, quei quattro fogli protocollo ogni mesemmezzo di scuola non te li leva nessuno.

Che poi, a cosa serve il tema d'italiano? A diventare più bravi. Bravi a fare cosa? A fare il tema d'italiano. C'entrerà col fatto che l'Italia è ricca di editorialisti e corsivisti, tutta gente che al liceo prendeva ottopiù. I più sfigati, invece, aprono i blog, dove possono continuare a scrivere temini d'italiano tutta la vita (e qualcuno che ti dia un ottopiù lo trovi sempre). Ma di chi è la colpa? I titoli di quest'anno ci suggeriscono una pista. Impervia, scabrosa, ma affascinante. La pista ligure.

È tutta colpa di… Eugenio Montale

Oddio, tutta colpa sua, no: ma le sue brave responsabilità le ha.

Per esempio, è il principale responsabile di un fenomeno frequente nei mesi finali del quinto anno, e cioè lo stilnovismo di ritorno. La donna angelicata, inavvicinabile, che salva il povero poeta con uno sguardo o viceversa, lo danna negandogli un saluto… insomma tutto l'apparato iper-romantico che nella migliore ipotesi era stato introiettato e metabolizzato nel terzo anno, con Tanto gentile e tanto onesta pare etc.. (Per fortuna che dopo Dante e Petrarca c'è Boccaccio, a incoraggiare la socializzazione tra studenti di sessi opposti). Chi poteva immaginarsi che lo stilnovismo sarebbe rientrato dalla finestra, proprio a metà del Novecento? Quando poi i diplomandi cominciano a chinare la schiena nel corridoio, e tremano e non riescono a salutare la biondina del quarto anno che pare splendere di luce propria, di chi è la colpa? Di Marylin Manson, magari. Ma una volta su cento, sarà pure colpa di Eugenio Montale.

Si veda la poesia proposta alla maturità, la Casa sul Mare. È degli anni Venti, ma avrebbe potuto essere dei Quaranta. Sempre la solita storia, la vita è male, il viaggio è finito, forse tu ti puoi ancora salvare, lo spero tanto, addio. E a quel punto ti immagini il giovane Eugenio morente tra le braccia, non so, di Greta Garbo, e un crescendo di violini della Paramount:

Greta: "Eugenio, sono io!"
Eugenio: "Tu… ma ormai è troppo tardi. Addio".
Greta: "No! Eugenio! Non dire così! Possiamo farcela".
Eugenio: "Tu. Tu puoi ancora farcela. Salvati finché sei in tempo".
Greta: "Oh, Eug…"
Eugenio: "Vorrei prima di cedere segnarti codesta via di fuga labile come nei sommossi campi…"
Greta: "Eugenio! Ma perché non si capisce mai quello che dici…"

Perché usava parole strane (atte a farsi apprezzare dai prof di lettere), sembra un poeta più serio d'altri, quel giovane Montale: ci vuole un certo sforzo esegetico per rendersi conto che, tutto sommato, è solo il classico poeta un po' disperato e un po' timido con le ragazze. Per capire la sua poetica, gli studenti sottolineano l'espressione "Correlato Oggettivo", qualcosa che Montale pretendeva di aver inventato in anticipo su T. S. Eliot: in sostanza, una pratica di bigiotteria interiore, per cui qualsiasi ninnolo, un orecchino, una forbice, una carrucola, una biella, diventava rappresentazione del male di vivere (o della donna-angelo, a scelta). E a quel punto la poesia diventava una cornucopia di soprammobili, tabacchiere, foto ingiallite, cocci di bottiglia, cassettini, scantinati, se siete un po' allergici agli acari e alle muffe non vi consiglio la poesia di Montale.

Qui bisogna aggiungere una cosa: nel suo eterno rovistare cantine e solai, nel suo riverniciare in stile Novecento carabattole stilnoviste e arie di melodrammi, Montale è stato il migliore. Se il poeta è un artigiano di parole, in Italia non ce n'è stato uno più bravo di lui. Ma – questo è il punto – il poeta nel Novecento voleva essere un'altra cosa. Un progettista. Il secolo era iniziato a furia di manifesti, decaloghi, diktat: "le poesie si fanno così e così". Poesie automatiche, facili da comporre, bastava seguire le istruzioni. Varie volte nel secolo si è riproposta quest'ansia progettatrice, che magari non creava belle poesie, ma formava generazioni di aspiranti poeti. Tra una generazione e l'altra, rispuntava Eugenio Montale, puntuale come la risacca. Montale non spiegò mai agli altri come dovevano scrivere: lui stesso non era del tutto in grado di spiegare quel che faceva. Un vecchio falegname, che nell'era del truciolato si ostina a montare i suoi pezzi a mano. Una cosa molto veteroborghese, proprio anni Trenta, ma sulla distanza il truciolato lo sbatti via, e ai muri ci metti lui. Così, anche chi con lo stilnovismo ha definitivamente chiuso, non può fare a meno di sobbalzare ai primi tre versi: Il viaggio finisce qui: nelle cure meschine che dividono l’anima che non sa più dare un grido… forse non dice un granché di nuovo, ma si poteva dire meglio di così?

(Continua)

venerdì 18 giugno 2004

Ma quando cresci

A un certo punto i calciatori hanno smesso d'invecchiare. Si vede perfino dalle foto. O è un'impressione mia?

Ho qui davanti un almanacco Panini del 1984, con Bruno Conti in copertina. Bruno Conti, per me, è un uomo. È sempre stato un uomo. Mi costa fatica ammettere che quando vinse la Coppa del Mondo aveva la mia età. Riguardandolo, mi accorgo della muscolatura notevole, e dell'addome che sporge lievemente: negli anni Ottanta era ancora un attributo mascolino. E mi sembra un uomo, maturo e affidabile.

In fondo è una questione di punti di vista. Io guardo il mondo da un punto in movimento (anche voi, del resto). Attraverso il mondo precipitando, ma in mancanza d'attrito ho l'impressione di galleggiare fermo, mentre il mondo mi precipita intorno. E le cose più vicine appaiono distorte, una specie di effetto Doppler. A un certo punto la figura del calciatore si è distorta, è passata da eterno adulto (mio padre…) a eterno ragazzo, bambinone, pupo. Quando è successo? Provo a guardarmi indietro. Paolo Maldini.

Paolo Maldini, in effetti, sembrava non crescere mai. Il Tom Cruise, il Michael J. Fox del calcio italiano: quando comincerà ad assomigliare a un adulto? (Se ci rifletto bene, mi accorgo che gli sto chiedendo di invecchiare prima di me, di precipitare più alla svelta). Accanto a lui giocava Franco Baresi, l'ultimo grande adulto. Forse la generazione di mio padre finisce con Baresi (Franco), la mia comincia con Maldini (Paolo). E forse anche la mia è già finita. Da qualche anno in qua i calciatori mi sembrano tutti bambocci.

D'altro canto, non devo neanche dare eccessivo peso alla mia soggettività. Può darsi che siano davvero un po' tutti bambocci. Troppi soldi troppo presto, e un modello di giovanilismo estenuato, perché il calcio è marketing e il marketing punta tutto sul grande target giovanile. L'orecchino, il tatuaggino, l'acconciatura carina… e poi questi addomi concavi, questo nuovo modello di mascolinità fortemente innaturale (gli antropologi di domani guarderanno alle copertine di Men's Health come noi guardiamo le foto delle donne africane che si allungano il collo coi collari o gli aborigeni che si allungano labbra o lobi delle orecchie: "che strani gusti… mah… era la loro cultura").

Tutto questo non mi piace, non mi è mai piaciuto, sin dal primo momento, dal primo spot orientato su di me. Così guardo indietro, ai campioni del Mondo. Quelli sì che erano uomini. Giganti. Poi arriva Gigi Riva e mi scuote un po' di certezze.

Riva è una figura mitica per me, di quelle scolpite nel bianco e nero. Ieri, in un'intervista alla radio che non riesco a lincare, ha detto che Totti ha sbagliato, sì, ma che lui sa quanto le marcature a uomo possano essere esasperanti (il giornalista ricorda che Riva è il solo calciatore a essersi fratturato due gambe in maglia azzurra). Che Totti ha sbagliato, ma ai suoi tempi avrebbe spesso voluto prendere i suoi marcatori a rivoltellate. Che è giusto che Totti paghi, ma ai suoi tempi al fischio finale si metteva a rincorrere i suoi mastini, "e quattro o cinque li ho anche presi, non lo dico per vantarmi". Che non dobbiamo mitizzare la sua generazione, non era affatto più matura di questa. Sottointeso: quel che è cambiato davvero è la prova video.

La prova video. L'ossessione della diretta. Una telecamera fissa su Totti per 90 minuti. Un reality show su Totti. E quanto assomigliano ai calciatori bambinoni, i protagonisti dei reality show. Anche loro tengono stretta la pancia, portano orecchini e treccine, sembrano in grado di reggere lo stress della diretta, finché, prima o poi, sbroccano. Sono lì apposta per sbroccare, d'altra parte. È per questo che li guardiamo.

Bene, ho trovato il colpevole perfetto: il Grande Fratello. La ripresa televisiva moderna, invasiva e pervasiva, che ci rende tutti più patinati e più immaturi. È colpa sua se non vinceremo mai la Coppa del Mondo dei nostri papà (e nemmeno gli Europei). I nostri genitori probabilmente non erano dei santi, né dei campioni di eleganza: ma quando posavano per una foto si presentavano eleganti e ben pettinati. Così anche in campo, dove si picchiavano con meno complimenti di noi: ma il montaggio, compiacente, filtrava e ci restituiva un'immagine di uomini adulti e responsabili. Ma oggi la telecamera sempre in diretta restituisce ogni vaffa, ogni sputo. Tira fuori il peggio da ognuno di noi, perché è quel peggio che ci piace guardare. O no?

O forse no. È difficile descrivere la realtà mentre si precipita. Ma tante filippiche sul bel tempo che fu, si potrebbero riassumere in una sola frase: perdonatemi, sto invecchiando. I calciatori sono tutti più giovani di me, adesso. Non posso che trattarli da ragazzini. E mi dispiace per Totti, davvero. È dura rovinarsi una carriera per dieci minuti di follia.

Del resto i tempi cambiano, le mode si adeguano, e anche la tendenza del pupone irresponsabile potrebbe avere i giorni contati. La "mia generazione" si è ritrovata le strade e le case piene di telecamere, e non ha saputo fare di meglio che salutare con la manina, sputare e mettersi le dita nel naso. La prossima generazione troverà un modo di eludere anche questo controllo. Reagirà, crescerà, in modi e forme che io non posso nemmeno immaginare, e forse nemmeno capirò. Continuerò a precipitare brontolando che non ci sono più i calciatori di una volta, quelli che vinsero il Mundial.

(Ma se i puponi, nelle loro divise attillate, stringessero i denti e andassero avanti, sarei così felice di essermi sbagliato).

giovedì 17 giugno 2004

Vanità di vanità, tutto è vanità, dice il signore, e quei sorrisi sui cartelloni elettorali, sembrano tutti vecchi e scemi stamattina.

Io penso al 17 giugno 1983, venerdì, eravamo sotto elezioni anche allora. Ogni sera su Rai1 alle 20.30 c'era Tribuna Elettorale, con un politico per volta. Il 17 giugno toccava ad Almirante, MSI. Sono l'unico al mondo che se ne ricorda. Ero a cena dai miei zii del piano di sotto, mio padre e mia madre erano via. Non ero abituato a cenare davanti alla tv. Non ero abituato a una tavolata di otto persone. In effetti, non ero ancora abituato a niente.

(E Radio Tirana trasmette
musiche balcaniche, mentre
danzatori bulgari
a piedi nudi su bracieri ardenti).

A farmi conoscere Battiato fu mio cugino più grande, sparando al massimo volume la cassetta dell'Arca di Noè dal piano inferiore. Fu un'educazione musicale subliminale, per prima cosa imparai i giri di basso che facevano vibrare il pavimento. Adoravo mio cugino più grande, avrei voluto capire la musica e sorridere come lui. Mio cugino più piccolo, invece, era il mio migliore amico. Aveva nove mesi in meno di me. I miei due cugini dividevano la stanza congruente a quella che occupavo io, sul piano superiore. Eppure io li invidiavo. Invidiavo il loro letto a castello.

(Il mondo è piccolo,
il mondo è grande – e avrei bisogno
di tonnellate
d'idrogeno).

Mia madre era partita al mattino, prima del previsto: mi aveva svegliato per farsi una foto, con me, sul balcone.

Più tardi, in cortile, scesi dal ciliegio per assistere alla grande novità: il mio cugino grande si era fatto tagliare un foglio di compensato per farci un plastico, un plastico per trenini elettrici, ma fatto bene. Una cosa seria. In qualche modo io e il mio cugino più piccolo dovevamo aiutarlo, che lui lo volesse o no. Il plastico attirò tutta la nostra attenzione fino alle quattro del pomeriggio, quando squillò il telefono. Vennero a dirmi che era per me: a dieci anni, è una cosa che dà i brividi.
Mio padre chiamava da Carpi, era tranquillo e allegro. Oggi dovrei scrivere: "sembrava tranquillo e allegro", ma non ero così sveglio nel 1983. Nessuno mi aveva insegnato a preoccuparmi. Mi disse tutto andava bene, che era un maschio, e mi disse il nome. Il nome era già deciso, e anche il sesso io lo avevo capito da mesi, senza ecografia. Non c'era nulla di cui stupirsi, insomma. Eppure sembrava tutto così strano. Che accadesse così, banalmente, in un pomeriggio di sole, mentre giocavo coi trenini.

Più tardi, correvo per andare da qualche parte, correvo in mezzo all'officina, e a un certo punto ritenni opportuno gridare: "ho un fratello". Avevo un fratello. Ma anche dopo anni di speranze, e nove mesi di preparazione psicologica, la parola continuava a suonarmi strana. E ancora oggi.
E quella foto sul balcone, chissà dov'è finita

[…]

mercoledì 16 giugno 2004

(Ma voi ci siete arrivati, alla fine del pezzo di ieri? Io mi sono addormentato a mezzo).

Ché non sono solo il ben noto politologo, sapete, ma anche un esperto di musica di prim'ordine, almeno, è quel che dice Enzo.

A tal proposito ricordo un episodio illuminante.
Seconda metà degli anni 80: mentre molti voi rimasticavate gli avanzi insapori del Joshua Tree, io mi davo alla ricerca di nuove tendenze su… non so, poteva essere Telesanterno od Odeon, in ogni caso dava le repliche di Sky Music, in inglese, spesso senza neanche i sottotitoli.

Fu verso le nove della sera – in tinello i miei genitori e mio fratello indugiavano al desco vespertino – che, in virtù di pochi spezzoni di video e interviste, io ebbi la rivelazione di due band che avrebbero sconvolto la musica degli anni Novanta. Fu forse la prima volta che ci pensai, agli anni Novanta (nutrivo molte speranze, sugli anni Novanta).

Il primo era un gruppo fascinoso ed esangue. Su un fraseggio ipnotico ed elementare, una voce atona scandiva:

You're naked as the day
Naked as the day you were born


Si chiamavano Weather Prophets, mi sembrarono subito fortissimi. Dopo di loro, un video di ossessi mezzi nudi (era un po' presto per individuarli a colpo sicuro come californiani). Nudità a parte, il pezzo attirava l'attenzione: accordi strani, un'energia nuova. La canzone si chiamava Knock me down.

Era la fine dell'autunno. Mia zia voleva sapere cosa poteva regalarmi per Natale. Vivendo a Cavezzo (Mo), era l'unica di famiglia a poter entrare facilmente presso un rivenditore di 33 giri, così ne approfittai. Feci una scelta di rottura. Gli anni Ottanta dovevano finire, con tutta la loro plastica e la loro opulenza. Si tornava nudi, nudi come il giorno in cui eravamo nati. Fu così che la mia minuscola collezione di 33 LP acquisì Mayflower, immortale capolavoro dei Weather Prophets (per intenderci, c'è Sgt. Pepper, Aqualung, Highway 61, The dark side of the moon, Remain in light e Mayflower).

In seguito, sapete com'è, si cresce, ci si evolve, e quel disco rimase per molto tempo nel dimenticatoio. A un certo punto cadde proprio nel vergognatoio. Ultimamente lo riascolto più volentieri. Sembra un perfetto disco indiepop. Ehi, forse mi ero solo sbagliato di decennio… Ma veniamo a quegli altri, come si chiamavano... i Red Hot Chili Peppers.

In seguito i RHCP misero a punto quella nota miscela di funk e rock, sbancarono e aprirono la strada a una nuova generazione di ascoltatori di rock, una vera rivoluzione del mercato musicale Usa, il grunge, eccetera.
Ma knock me down c'entra molto poco con tutto questo. Era il primo pezzo di John Frusciante alla chitarra, ed era dedicato al suo predecessore, morto di overdose. Ironicamente, lo stesso Frusciante sarebbe uscito dal gruppo per lo stesso motivo, qualche anno dopo. L'eroina avrebbe continuato a tener compagnia ai RHCP per un pezzo (gli '80 non finiscono mai, in un certo senso).

Ai tempi di Knock me down i RHCP erano un gruppo hard rock con pretese strane. Come se stessero cercando la ricetta di una ciambella attraverso una serie di tentativi, di solito senza buco. Quando poi la trovarono, si misero a sfornare ciambelle a ripetizione, ma ovviamente i trendsetters come me non ci trovano più nulla d'interessante, preferiscono tornare con la mente ai ricordi delle schifezze che ci fecero mangiare. A distanza di anni, Knock me down continua a darmi dei brividi: perché? Forse un giro armonico strano, accordi che mi sembravano quasi jazz (non credo che lo siano).

E poi parlava di morte. (Ma anche Naked as the day you were born dei Weather Prophets parlava di morte. Quella sera io cercavo una speranza per un decennio, e invece stavo assistendo, senza saperlo, a una specie di parata funebre. Ora che so le lingue, non prendo più abbagli del genere, ed è un peccato).

È un pezzo di convenienza, in effetti, quasi un coccodrillo. Sei un cantante rock, un apprendista divo: cosa puoi chiedere al tuo amico chitarrista morto? Anthony Kiedis domandava, letteralmente, dei pugni: se vedi che mi sto alzando, knock me down, sbattimi al tappeto. Mostrami che non sono "più grande della vita".

Quest'idea, di chiedere pugni ai morti, mi ha molto colpito, ed è forse il motivo per cui non frequento molto i cimiteri. Sì che di pugni avrei bisogno, e di qualcuno che mi rammentasse quanto sono piccolo, e quant'è grande la vita, quante cantonate ho preso, quanti libri e riviste e gruppi pop che non sono decollati mai, quant'è fragile tutto questo castello di parole che mi costruisco addosso E quanto mi manca una tua parola, una battuta, un buffetto, anche un pugno. Quanto mi manchi. Buttami giù.

Karaoke esistenziale, Ciak, 19!

Never too soon to be through:
Being cool too much, too soon.
Too much for me, too much for you
You’re gonna loose in time.

Every turn looking to burn
Some never learn, live and learn
Stop your searching for a curse
Before you end up in a hearse…

Don’t be afraid to show your friends
That you hurt inside, inside
Pain’s part of life – don’t hide behind your false pride
It’s a lie, your lie

Don’t slip away and don’t forget
I’ll give you more than you can get
It’s so lonely – when you don’t even know
yourself – come to me.

If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life

If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life

I’m tired of being untouchable
I’m not above the love
I’m part of you and you’re part of me
Why did you go away?

Too late to tell you how I feel
I want you back. but I get real
Can you hear my falling tears
Making rain where you lay
Finding what you’re looking for

Can end up being such a bore?
I pray for you most every day
My love’s with you now fly away
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life

(It’s so lonely when you don’t even know yourself
It's so lonely)

martedì 15 giugno 2004

All'erede di Berlinguer, che ha passato una sera della sua vita a gridare al complotto perché le proiezioni di un sondaggio non gli piacevano.
Al fondatore dei Democratici di Sinistra, che continua a farsi rifilare dei sondaggi farlocchi e a mettere in imbarazzo metà Italia.
Al presidente della Commissione Europea, all'ex sindaco di Roma, a tutti i politici intelligenti e competenti che hanno faticato per mesi e mesi per metter su una lista unitaria – in occasione di una consultazione elettorale proporzionale. Che è un po' come andare in montagna con le pinne.

È a causa di gente come voi che anche un povero pirla come me si sente un politologo, stasera. Grazie.

Bar Italia

In Italia la politica fa litigare le persone.
Questo non accade in molti altri Paesi al mondo, credo. Ci sono Paesi in cui per motivi politici ci si ammazza: altri dove la politica non è un argomento interessante, perché chi si trova al pub, al club, o al circolo del cucito condivide le medesime opinioni. In Italia, no: non ci si ammazza più, non si tace ancora. Dal dopoguerra in poi, ci siamo fissati in una situazione intermedia: si litiga. Peppone e Don Camillo hanno cambiato bandiere, professione, parole, ma hanno mantenuto invariata la disponibilità ad accapigliarsi. Questo rende l'Italia, tuttora, uno dei Paesi dove si vota di più, e si vive ogni appuntamento elettorale con maggior partecipazione. Anche se poi, alla resa dei conti, i numeri sono sempre più o meno gli stessi. Perché siamo sempre gli stessi anche noi: e questa nostra abitudine a litigare ci spinge ad arroccarci nelle nostre posizioni.
Il fenomeno ha a che vedere con la logica del bar: se lì mi conoscono per interista, io devo essere interista fino in fondo. Allo stesso modo, se in una conversazione da bar io ho preso le difese di Berlusconi, io e Berlusconi resteremo legati per la vita: i suoi successi saranno i miei, le sue sconfitte le pagherò io, in termini di sfottò e risatine. Questo litigio permanente è sopravvissuto a una rivoluzione epocale, ma superficiale: a cavallo tra '80 e '90 gli italiani hanno cambiato tutti i Partiti dell'arco parlamentare. Oggi i simboli più vecchi sulla scheda sono quelli di Verdi e Lega Nord. Ma intanto, con l'introduzione del sistema uninominale, il litigio si è polarizzato su due posizioni inconciliabili (con buona pace dei terzisti): anticomunisti e antiberlusconiani. A un certo punto (1994?), il Paese è sembrato spaccarsi a metà. Non si è più risaldato.
Ciononostante, grazie all'uninominale, abbiamo finalmente l'alternanza. Ma è radicalmente diversa rispetto ai modelli anglosassoni e continentali. In USA o UK a fare la differenza è veramente una fascia di elettorato intermedio che di volta in volta sceglie la proposta più ragionevole o allettante dell'uno o dell'altro schieramento. In Italia questa fascia sensibile e fondamentale non ha mai deciso nulla, e rimane ancora da stabilire se esista davvero. Mentre le indicazioni della 'base' sono rimaste tutto sommato le stesse (45% a 45%, più o meno), a fare la differenza è stata l'ingegneria degli schieramenti.

Quanti partiti ci sono in Italia? Semplificando, distillando le percentuali e le sigle di dieci anni di Seconda Repubblica, potremmo contarne sette (che di volta in volta hanno cambiato nomi, simboli, leader, perfino ideologie).
C'è un partito di centrodestra, liberale, che in situazione ottimale prende circa il 20% dei suffragi: Forza Italia. C'è un partito di destra, identitario e 'sociale', intorno al 10%: AN. Poi c'è la Lega, identitaria, autonomista e bizzosa, intorno al 5.
Dall'altra parte, c'è una situazione quasi speculare. Il grande partito progressista, intorno al 20%; un partito più moderato, al 10%; e i comunisti, identitari e bizzosi, al 5.
Cosa manca? I democristiani. A parte le schegge finite un po' dappertutto, i resti della balena sopravvivono tranciati a metà tra destra e sinistra: di qua Udeur, di là UDC. Eppure neanche questi due tronconi sono stati determinanti nel successo di uno o dell'altro schieramento.

Quello che è stato decisivo, nel 1994, nel 1996 e nel 2001, sono stati i partiti bizzosi, che di volta in volta hanno deciso se correre da soli o col gruppo. Nel 1994 Berlusconi vinse con Lega e AN; dall'altra parte mancava il Ppi, che correva solo (o con Segni, che non cambia molto). Nel 1996 Berlusconi perse perché non aveva i voti della Lega; dall'altra parte Prodi aveva DS, Ppi e Rifondazione. Nel 2001 Rutelli non aveva più Rifondazione, e fu battuto da Berlusconi, che nel frattempo aveva recuperato la Lega. Il bello è che tutti questi personaggi, a loro modo, hanno detto di voler conquistare il "voto moderato". Ma quando hanno vinto, hanno vinto per un altro motivo: grazie al voto "bizzoso".

(Lo definisco "bizzoso" perché trovo fuorviante il termine "estremista". In sé, Rifondazione non è più estremista di Forza Italia, e AN non ha nulla da invidiare alla Lega. Le privatizzazioni dei governi di sinistra furono più estreme di quelle di Berlusconi; d'altro canto qualsiasi posizione 'estrema' sulla guerra è pur sempre meglio dell'attendismo a oltranza dell'Ulivo. Ma quello che caratterizza Lega e Rifondazione sono state proprio le 'bizze': lo star dentro e il chiamarsi fuori, etc.. Mentre AN è un partito 'estremo', ma disciplinatissimo).

Dunque, alla fine, il nostro destino è stato in gran parte nelle mani di Bertinotti e Bossi: due segretari piuttosto autoritari, che aderiscono alle coalizioni una volta su due, e barcamenandosi tra partitino di lotta e partitino di governo tirano avanti egregiamente.

Detto questo, cosa ci possiamo aspettare tra due anni? La grossa incognita è Bossi. Per il resto, è facile immaginare una rivalsa del centrosinistra, con la Lega che corre sola e lascia zoppo il centrodestra. Tutto questo, a prescindere da Berlusconi: i suoi elettori delusi si travaseranno su Fini o Casini, ma difficilmente salteranno il fossato tra i due schieramenti. Bisognerebbe ammettere di aver sbagliato, e questo, al Bar Italia, non si fa.

Ps: Dal modello che ho proposto manca anche quello che una volta si chiamava (e si potrebbe continuare a chiamare) l'"arcobaleno": una serie di cespugli nello spazio tra DS e Rifondazione: Verdi, PCdI, e adesso Di Pietro-Occhetto. Faccio fatica a descriverlo, perché è il posto in cui sto io. Immagino che anche questo, visto da lontano, non sembri un granché. Ma io non ci sto malaccio.

lunedì 14 giugno 2004

Aggregatore della domenica

Politica. Seguire le proiezioni la sera delle elezioni è quanto di più stupido si possa fare, ma comunque.
Mi pare che il dibattito verta sul bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Io sarei per il pieno: l’Ulivo batte Berlusconi, amen. Ma ragionando solo sul listone dell’Ulivo, su quello che storicamente rappresenta (l’alleanza tra cattolici progressisti e progressisti tout court, una riedizione del compromesso storico); calcolando che una lista del genere si ferma al 30% dell’elettorato; considerando che un risultato del genere nel 2004 è considerato una vittoria, c’è di che sconsolarsi. (E dico, siete sicuri che separati non avreste preso qualcosa di più?) Poi, siamo tutti liberi di cantar vittoria, stasera, meno Beckham.

Qualche giorno fa Squonk scriveva:

L'idea che in politica non esistono elettori "indecisi" mi sembra tanto naive che faccio fatica a credere che Leonardo ne sia davvero convinto.

Credo che siamo tutti indecisi (io per primo certe indecisioni le ho superate in cabina). Ma secondo me la gran parte degli indecisi non sanno se votare o no per un dato schieramento: se votare per il grande partito di riferimento o per i ‘cespugli’ che incanalano il voto di protesta. La gran parte degli indecisi, insomma, sono delusi (alla Neri, per capirci).
Esisteranno, poi, degli indecisi ‘di centro’ che si sentono liberi di scegliere, volta per volta, un polo piuttosto che un altro, a seconda del programma. Di sicuro esisteranno. Ma quanti? La mia azzardata impressione è che la loro quantità sia proporzionale al numero di appassionati di calcio che ogni anno scelgono di tifare la squadra che incarna al meglio la loro idea del gioco. I tifosi neutrali, insomma. Ne esistono molti, in Italia? E val la pena di fare la campagna elettorale per loro?

Calcio. Oggi pomeriggio gioca l’Italia. Io spero che vinca giochicchiando male, o al limite pareggi. La mia unica possibilità di affezionarsi agli azzurri deriva dalle cattive prestazioni nella prima fase di un torneo. E' il solito rituale emotivo e scaramantico.

Scusate, mi sono sb… Mi sbaglio spesso. Un post della settimana scorsa, “meno furti per tutti", avrei potuto risparmiarmelo, limitandomi a lincare il Servizio antibufala di Paolo Attivissimo, che aveva già ‘smontato’ la bufala della depenalizzazione del borseggio da febbraio. (Scoperto grazie a Valdemarin). Il sito di Attivissimo, in effetti, è imprescindibile per queste cose, eppure io prescindo spesso. Perché? Forse non gli ho mai perdonato di avermi smontato la storia delle matite dei cosmonauti sovietici, un mito della mia adolescenza.

Ci hanno lasciato. Io, di fare coccodrilli, non ne posso proprio più. È uno degli aspetti più frustranti di avere un blog un po’ frequentato. Muore Manfredi e fai finta di niente? Non ho trovato niente d’interessante da dire, mi dispiace. La cosa più bella e sensata in rete mi sembra l’abbia scritta Riccardo Orioles.

Gli ostaggi. Il pezzo di Bonini e D’Avanzo su Repubblica di sabato è importante, secondo me, perché mette il dito sul problema delle fonti. Il giorno dopo il ritorno degli ostaggi è circolato in Italia un messaggio che rivendicava la loro esecuzione. Da dove veniva? Da un sito Internet. Attendibile? Mica tanto. Come nel caso del video di Berg, i media mainstream hanno subito dato risalto a una notizia, senza darsi troppa pena d’indagare sulla serietà della fonte. Insomma, “un sito Internet ha mostrato" sta diventando l’equivalente del XXI secolo della frase “l’ha detto la televisione"…

Libera Marzaglia in libera Modena A chi si fosse affezionato alla causa di Libera (o dell’autopista di Marzaglia, segnalo un breve e bell’articolo su Diario di questa settimana. Il concerto-corteo di sabato è stato impressionante. Sul sito di Libera si parla di tremila persone: se mi dicevano il doppio, io ci avrei creduto. Niente incidenti, e poi con chi? Le forze dell’ordine erano qualche decina di poliziotti allibiti (il questore s’immaginava una passeggiata). Il momento migliore: gli anarchici che piantano in piazza Grande un albero motore. È sempre più difficile rilassarsi a Marzaglia, tra cave di ghiaia e Frecce Tricolori. E fuoristrada.

Fuoristrada, già, io vivo nella capitale dei fuoristrada. È una cittadina di 60.000 abitanti, totalmente piatta e asfaltata. Ah, “Opulenta Provincia che sei gretta e grezza e perennemente insegui quei quattro milanesi coteletta che ti pare abbiano capito tutto…" Eppure c’era un periodo in cui bastava la promessa di una bicicletta a scatenare drammi collettivi…

Un po’ di ego È ancora on line, direi, la mia intervista di venerdì sera con Pietro di MieTerreRadio. (È lui che intervista me, cioè). Un’altra intervista, un po’ più vecchia (e lunghissima), sta qui. Alla prossima

venerdì 11 giugno 2004

Apri gli occhi

Va bene, domani si vota (forse ne avete sentito parlare). Europee e un bel po' di amministrative.
Sono elezioni molto importanti, ma non sono un referendum sul governo. È pericoloso vivere ogni esercizio di democrazia come un referendum sul governo. È ingiusto convertire tutto in un dato sulla popolarità di Berlusconi.

Detto questo, io mi dovrei augurare una vittoria di Berlusconi. Oddio, vittoria. Diciamo una modesta affermazione del centrodestra. Tanto anche in caso di sconfitta non se ne andrebbe (e sarebbe ingiusto pretendere che lo facesse). Resterebbe al suo posto per altri due anni. Due anni da animale ferito, con il controllo del parlamento, del governo e delle tv. Cosa sarebbe in grado di fare? Non so, e a questo punto non sono nemmeno curioso di saperlo. Per contro, una vittoria anche di misura lo calmerebbe, lo conforterebbe nelle sue capacità. Forse gli manca solo questa piccola vittoria per credersi onnipotente. E un vecchio leader che si crede onnipotente mi spaventa molto meno di un leader ferito che lotta per la sopravvivenza. Insomma: meglio portare pazienza altri due anni…

Due anni?

No, scusate. Mi rimangio tutto. Le europee, le amministrative, sono cose importantissime. Ma Berlusconi è un incubo e io ci sono dentro da tre anni. C'è qualcosa di male nel desiderio di svegliarsi?
Svegliarsi da un incubo, non significa ritrovarsi in paradiso. Non significa aver risolto nessun problema. Siamo in guerra, siamo in crisi, siamo sull'orlo di diverse catastrofi. Tutti questi problemi, domattina, dovremo affrontarli. Ma proprio per questo, c'è qualcosa di male nel desiderio di aprire gli occhi?

Io ho un problema col sonno (forse ve ne siete resi conto). Mi capita a volte di restare sospeso tra sonno e veglia: sono sveglio, ma non riesco a muovermi. Vorrei gridare, ma non riesco ad aprire la bocca. Non devo spaventarmi. Devo concentrarmi. A volte basta contare fino a dieci, e l'incubo scompare. E se fosse tutto qui? E se domani bastasse contare fino a dieci tutti insieme?
Pensate che non ne valga la pena? E se vi chiedessi di farlo per me?
Fate conto che sia il mio compleanno. Non chiedo altro. Tutti insieme, dai.

giovedì 10 giugno 2004

Dubbi e rasoi

Siccome non sono un esperto, non conosco il peso elettorale della liberazione degli ostaggi. Di sicuro il successo dell’operazione riscatta tante figuracce di Frattini e compagnia. Ma sposta voti? Io ho questa mia idea, che i voti più di tanto in Italia non si spostino (non da un polo all’altro). Al massimo si rianimano: la liberazione degli ostaggi può funzionare da stimolo per una fetta di elettorato di centrodestra che avrebbe disertato le urne perché poco motivata (se non proprio disgustata). Ma non credo che nessun elettore di centrosinistra cambi idea per aver visto Stefio e co. liberi. Quanto agli “indecisi”, secondo me non esistono. Mi rendo conto che molti professionisti della politica la pensano diversamente, e costruiscono tutta la loro azione sulla “conquista degli indecisi”: poi però perdono le elezioni, almeno due volte ogni tre. Che è una percentuale piuttosto pesante.

(Questo vale anche da Requiescat per una vecchia idea che avevo io, per cui il blog ‘impegnato’ doveva cercare di convincere le persone lungo ‘il fronte moderato’. Vedo bene che non funziona, e che in realtà ognuno scrive soltanto per portare conforto a quelli che la pensano come lui e insultare gli altri. Mi metto in mezzo).

Un’altra cosa che non riesco a capire è perché una buona notizia (la liberazione di tre persone) dovrebbe in un qualche modo portare acqua al mulino di chi ha voluto questa guerra, e toglierne a chi non l’ha voluta. Sono sicuro che se la vicenda si fosse conclusa tragicamente, gli stessi blog mi avrebbero rinfacciato la notizia più o meno con le stesse parole. Fortunatamente non possiamo fare la prova, ma mi basta ricordare quello che mi è stato scritto ai tempi del barbaro assassinio di Quattrocchi (e poi Nick Berg, il cuoco ‘sgozzato’, eccetera). Insomma, se ammazzano qualcuno, io “rosico”: se si liberano devo rosicare lo stesso. In realtà, io sono abbastanza contento, perché invece della speculazione su dei morti, oggi si specula su tre vivi.
Dopodiché, la guerra non è meno guerra perché tre ostaggi sono in salvo: ed è la guerra il problema. Si poteva evitare, ora si cerca di mettere una pezza, ma non è facile. La nuova risoluzione Onu non è la migliore delle risoluzioni possibili, ma è un’ulteriore conferma che la politica di potenza unilaterale Usa è tramontata: ci si aspetterebbe che qualche vecchio cantore dell’unilateralità ritornasse sulle sue idee, ammettesse di essersi sb… ma no, niente. Bush ha sempre ragione, Bush oggi è multilaterale, ergo, Bush è sempre stato multilaterale. Ah, non fa una grinza.

Infine, i dubbi sulla “liberazione”. I dubbi restano lì dov’erano ieri. Nessuna novità. Ora, lo so anch’io che si può dubitare per partito preso, e che è anzi una pratica assai condivisa (su Indy, su Macchianera, ecc.). Ma una certa dose di dubbio, davanti a una coincidenza del genere (liberati a 4 giorni dalle elezioni), mi sembra ragionevole. Di più: mi sembra uno dei minimi requisiti della ragione.

La ragione, poi, ha degli strumenti tutti suoi per cercare di spiegare le coincidenze. Ragionevolissimo è Brodo: invece di dover immaginare un complotto, un pilotaggio, una sapiente regia, etc., è sufficiente pensare che Governo e Intelligence (e forze USA, siamo seri) si fossero dati un calendario con una perentoria data di scadenza: l’Election Day. Questo modo di ragionare, che elimina le teorie complesse e privilegia quelle semplici ed economiche, si chiama “rasoio di Occam”, dal nome di un filosofo medievale che più volte lo adoperò per sfrondare gli inviluppi aristotelici. Per funzionare, il rasoio, funziona. Ma, come dire, lascia un po’ insoddisfatti.

Se i filosofi hanno il Rasoio, i filologi hanno un altro strumento, che si chiama “Lectio Difficilior” (in latino: “la versione più difficile”). Si tratta di questo: quando due manoscritti di un testo presentano, poniamo, una parola scritta in due modi diversi, a quale delle due versioni dobbiamo credere? Alla più difficile. L’errore è sempre una banalizzazione, una semplificazione di qualcosa che in principio era complicato. I filologi c’insegnano a dubitare dei copisti, anche quando animati dalle migliori intenzioni: il rischio di banalizzare, di semplificare quello che non era semplice, è sempre in agguato. Oggi che siamo tutti un po’ copisti, quando copia-incolliamo, linchiamo, diffondiamo, dovremmo ricordarci un po’ più spesso della Lectio Difficilior.

Messe uno di fianco all’altra, Rasoio di Occam e Lectio Difficilior si elidono: il primo rade tutte le teorie astruse, la seconda ci insegna a diffidare delle ricostruzioni troppo semplici. E alla fine ne sappiamo quanto prima: troppo poco. Non ci resta che aspettare altri input, se arriveranno. Altrimenti la storia d’Italia aggiungerà una scheda al suo archivio di misteri. Che sono tanti. E che spiegano, parzialmente, il perché oggi metà Italia non creda a quel che dice l’altra metà.

mercoledì 9 giugno 2004

Dubbi sugli ostaggi? Beh, in effetti. Il post di riferimento è su Progetto Mayhem. Io credo che valga la pena di aspettare qualche informazione in più.

Cambiando non del tutto argomento, è arrivata anche a voi questa?

Meno delitti per tutti..... con un abile artificio!
Venerdi' al mio amico G. viene rubato il portafoglio alla stazione di Roma.
Se ne rende conto solo quando, arrivato a casa a Milano, deve pagare il taxi.
A questo punto decide di andare a denunciare il borseggio subito, come chiunque nei suoi panni avrebbe fatto.
In questura pero' gli viene precisato che da quest'anno la legge e' cambiata, per cui un borseggio compiuto da ignoti non si puo' piu' denunciare (e quindi registrare) come reato di borseggio, ma come semplice smarrimento.
La denuncia di borseggio si puo' fare solo se il borseggiatore e' colto in flagrante, altrimenti sei solo un cretino che si e' perso il portafoglio.

E ci manca solo che il funzionario ti dica anche: "Fesso!".
A questo punto la riflessione sorge spontanea: ma perche' mai un cittadino scippato non puo' denunciare lo scippo, ma deve passare per il fesso che s'e' perso i soldi da solo?
Poi mi e' tornato in mente il contratto con gli italiani che l'attuale Presidente del Consiglio stipulo' con ogni cittadino italiano quasi tre anni fa.
Al punto 2 del contratto si legge: "Attuazione del Piano per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini" che prevede tra l'altro l'introduzione dell'istituto del "poliziotto,o carabiniere, o vigile di quartiere" nelle citta', con il risultato di una forte riduzione del numero di reati rispetto agli attuali 3 milioni.
Allora ho pensato: ma se il reato di borseggio si puo' denunciare solo in flagranza altrimenti e' smarrimento, a questo punto dal 2004 in poi gran parte delle denunce (e quindi del conteggio dei reati) sparira' dalle statistiche?
Incuriosito dalla scoperta, sono andato a cercare sul sito del Censis quanti sono stati i borseggi nell'ultimo anno.
I conteggi del 2003 non sono ancora disponibili, ma pare che nel 2002 siano stati denunciati 154.000 borseggi.
Certo, in qualche caso il borseggiatore sara' stato pure colto in flagranza dal cittadino-Superman del momento, ma se i reati in Italia nel 2001 erano 3 milioni, cio' significa che con la scaltra mossa della nuova legge sulle denunce, in un batter d'occhio e senza potenziare la sicurezza i reati sono gia' diminuiti al 5% circa!"
E adesso ce lo scrive anche sui manifesti della sua campagna elettorale per le elezioni europee!
Fate girare questo messaggio.
Copiate, incollate, postate o spedite.
Perche' e' giusto che lo sappia piu' gente possibile della nuova norma sulle denunce e della conseguente presa in giro, non solo i probabili 154.000 futuri "non-piu'-borseggi"


Allora, questo è un classico esempio di notizia fai-da-te che si propaga in rete: uno scrive una mail con un piccolo fatto vero e poco noto, lo manda in giro, copiate-incollate-postate et voilà. Si parla molto di blog, ma i blog tutto sommato hanno dato una nuova veste a una cosa che c'è già: copiate-permalincate-commentate, etc..
In questo modo il "popolo della rete" riesce a costruirsi nuove conoscenze, aggirando i media tradizionali. Tutto molto bello.
Anzi, no.

Perché no?
Perché questa mail non è attendibile, semplicemente. Uno che non conoscete vi dice che il suo amico G.… dove sono i riscontri? "Da quest'anno la legge e' cambiata". Quale legge? Non si dice, non si sa.
Il senso generale della mail è: Berlusconi traccheggia sui numeri della microcriminalità. È una tesi credibile, perché Berlusconi ha già dimostrato di essere in-credibile. Ma, di che numeri stiamo parlando? L'amico dell'amico G dice di essere stato nel "sito del Censis". Perché non ce lo linca, visto che c'è stato? Perché, se leggete bene, non ha trovato nulla. Solo un dato vecchio (154.000 borseggi nel 2002), che gli consente di fare una proiezione: su tre milioni di reati denunciati (nel 2001…), i borseggi erano il 5%.

E adesso ce lo scrive anche sui manifesti della sua campagna elettorale per le elezioni europee!

Veramente, no.

Ho qui sotto il suo lepido opuscolo. Parla di furti nelle case (-17% tra 2003 e 2000), furti d'auto (-9%), rapine in casa (-20,4%), omicidi per rapina (-54%, però!). Io, personalmente, non credo a una sola virgola, ma di borseggi non parla. Perché?

Ma soprattutto, esiste davvero questa nuova "legge" che proibisce ai cittadini di denunciare i furti con destrezza? Davvero è passata inosservata a tutti i media mainstream? Cioè, ma in che Paese viviamo? E non c'è modo di controllare una notizia così?
Beh, veramente un modo c'è. Banale banale.

Drin, drin
"Pronto, Polizia di Stato".
"Pronto, è l'ufficio denunce? Scusi, un'informazione. Ho sentito dire che adesso, se scopro di aver subito un furto… insomma, appoggio un attimo un portafogli sul tavolino e… se non posso dimostrare che è un borseggio, posso solo denunciarlo come smarrimento".
"No, perché?"
"Cioè, a voi non risulta?"
"No. Se lei è stato borseggiato, viene qui e denuncia il borseggio".
"Anche se non ho assistito al borseggio".
"Certo".
"La ringrazio"
"Di niente".
Clic.


Così, in dieci secondi, mi pare di avere appurato che la notizia è una bufala. Ma in realtà no.
Ho solo appurato che in Questura a Modena ti accettano una denuncia di borseggio anche se non hai visto il borseggiatore: a Milano, invece (forse) no. La legge è cambiata? Può darsi, ma non so quale. Può darsi che sia solo un regolamento interno della PS. Può darsi che sia una Legge vera, che sia stata cambiata e che all'ufficio denunce di Mo ancora non lo sappiano. In effetti, può darsi qualsiasi cosa.
L'unica cosa che ho appurato è che l'anonimo inviatore di mail non ha elementi sufficienti per sostenere quello che dice. Ma potrebbe anche avere ragione! Come si fa a capirlo davvero? Come si fa a costruire davvero una conoscenza?

Bisognerebbe telefonare a un campione statistico di uffici denunce. O salire a un livello più alto. Fare una ricerca sulle leggi discusse in parlamento. Insomma, bisognerebbe dedicarci del tempo e del lavoro.
In pratica, bisognerebbe essere giornalisti. Non perché il giornalista ha il bollino dell'albo che rende rispettabili le cose che dice: ma perché il giornalista ha il tempo, la professionalità e, si spera, la curiosità per indagare su un caso come questo.

Morale (e va bene per questo caso, ma anche per molte cose che stasera si dicono sul caso ostaggi): gran parte delle notizie fai-da-te che circolano in rete, non sono notizie. E nemmeno sono bufale: in realtà esprimono soltanto una fame di notizie. Aspettano il professionista che sappia lavorarci su. Purtroppo molto spesso non lo trovano. Questo, secondo me, è il problema.

(La chiamata non l'ho registrata, bensì ricostruita a memoria: le virgolette non sono deontologiche).

martedì 8 giugno 2004

Avendo un blog, io dovrei scrivere di me, e infatti non faccio altro.
Dopo tre anni e più che scrivo di me, dovrei aver capito almeno chi sono e cosa penso: e invece è incredibile, più vado avanti e meno ci capisco. Chi sono davvero? Perché non riesco a conoscermi meglio? E di chi è la colpa, acciderbola?

È tutta colpa di…
Re Ludwig il Pazzo

Ludwig il Pazzo è stato Re di Baviera. Lo sapevate che c'era un regno in Baviera? In effetti non ha fatto molto parlar di sé. Ma sicuramente avete visto da qualche parte il castello di Neuschwanstein. Magari sul coperchio di un puzzle da 1000. Neuschwanstein è il classico castello delle fiabe, salvo che è tutto vero, ed è stato fatto costruire nel bel mezzo dell'Ottocento da Re Ludwig, non a caso detto il Pazzo.
Mentre re Ludwig spendeva i suoi talleri in questo e altri palazzi assurdi e immaginifici, un altro re, Guglielmo di Prussia, si dava da fare a unificare la Germania in un grande Reich, il secondo: questo è il motivo per cui tuttora la capitale della Germania è Berlino. Se Ludwig fosse stato un re assennato avrebbe comprato cannoni, non castelli: e adesso il Reichstag sarebbe a Monaco. Ma c'è anche chi ha provato a vederla diversamente: mentre Guglielmo dilapidava talleri in armi di distruzione di massa, conducendo guerre orribili e insensate, Ludwig investiva sul solo piano che meriti davvero le attenzioni di uno statista moderno: l'immaginario. Alla fine la Germania si è fatta, ma tra le principali mete del turismo di massa ci sono i castelli da fiaba di re Ludwig, vere anticipazioni di Disneyland. Berlino, non fosse per un muro crollato e un tempio greco rimontato in loco, non se la filerebbe nessuno.

Ludwig fu anche il protagonista di un omonimo film di Visconti, per cui in parte è anche colpa di questo grande regista. E del fatto che in quarta superiore non riuscissimo a deciderci su dove andare in gita. Una mattina la prof di tedesco era inciampata in una digressione su Re Ludwig, i castelli della Baviera, il grande film di Visconti… la Baviera significava almeno 50 ore di corriera in quattro giorni: perfetta. Ma siccome eravamo una classe coscienziosa, chiedemmo anche di spegnere la luce e prendere visione del film.

Io, se penso ai film di Visconti che ho visto a scuola, tuttora mi meraviglio. Mi sembra impossibile essermi visto tutto il Gattopardo in terza media: cosa avevo fatto di male? Sì che non è un brutto film, e c'è anche Terence Hill: ma in terza media? E restavamo tutti ai nostri posti zitti e buoni? Se penso che a una mia classe ho fatto vedere Romeo + Juliet, mi rendo conto del gap.
Quanto a Ludwig, da allora non l'ho più rivisto. La vaga trama che ricordo è la seguente: Ludwig eredita la Baviera come io potrei ereditare una fabbrichetta da mio padre (sì, magari). Siccome io non so niente di fabbrichette, ma sono il figlio che ha studiato, cosa farei? Probabilmente, se avessi solo vent'anni, smantellerei i macchinari e cercherei di convertire il capannone in un Rock café per intellettuali. Ovviamente dilapiderei una fortuna e mi renderei ridicolo. Questo è, appunto, il destino di Re Ludwig. Vuole fare della Baviera la terra dei poeti e degli artisti: una parola. La prima cosa che fa è invitare Wagner, che gli scuce un sacco di soldi e poi lo smolla. In seguito emerge anche la dimensione omoerotica del problema: Ludwig s'infatua di attori e poeti. Ma col tempo finisce per perdere i parametri della realtà: mentre fuori infuria la guerra, si isola in palazzi lussuosi e contesti orgiastici. Il Michael Jackson dell'Ottocento.

Ecco, scritto così sembra un film interessante, vien quasi voglia di rivederlo. E invece ricordo di essermi annoiato tantissimo. Comunque.
Verso la fine del film, Ludwig ormai è un prigioniero, creduto pazzo e destituito di ogni potere. Un giornalista va a intervistarlo. E dopo qualche battuta e molto silenzio, Ludwig dice questa frase che a distanza di anni ricordo così: "Lei cerca di capirmi, ma io voglio rimanere un mistero. Per gli altri, e per me stesso".

Questa frase mi è rimasta scritta dentro.
E non importa quel che dico o scrivo tutti i giorni, e tutte le notti: ogni cosa alla fine è bugia, spunto divertente, storiella interessante. In mezzo ci sono io, e di me non si capisce nulla. E non ci capisco nulla neanch'io.
Proprio come re Ludwig il pazzo, maledetto. È tutta colpa sua.

lunedì 7 giugno 2004

Soldatini di plastica

Ieri sera, ho dormito con lei!
Sotto lenzuola di nylon,
trasparente.
Il cielo, potevo vederlo,
ed i suoi occhi
erano le stelle più grandi.

Lei aveva paura:
diceva che
il Grande Drago era arrabbiato
e che presto si sarebbe svegliato,
ma io non posso
crederci più.

In questa piazza, dove ci amiamo,
tutto sembra un gioco,
e i militari, là in fondo
soldatini di plastica.


Nota:
troverete che questo pezzo è più brutto del solito, e in effetti probabilmente è così: ora non vale accampare scuse, ma io ne ho qui due.
La prima è: è molto tardi e domani sveglia-presto.
La seconda: è stata scritta da un ragazzo di quindici anni (e li dimostra tutti). Sì, però quindici anni fa, questo è il punto.
E se non vi va di fare i conti, li faccio io per voi: sette giugno 1989.
(Intanto, nella mia vecchia città, c'è una piazza che è sempre libera).

venerdì 4 giugno 2004

Oggi non riesco a essere a Roma, spero che la falange non si formalizzerà.

Invece vorrei invitare chi vuole a Modena, sabato pomeriggio: c'è la Paolino Paperino Band, storico gruppo punk celebrato dal Panaro al Canale d'Otranto. Non suonano insieme da più di dieci anni: si sono riuniti perché Libera sta per essere sgomberata.
Libera è uno spazio sociale libertario anarchico che non disturba nessuno. Ma a voi forse disturba solo il sentir parlare di uno spazio sociale libertario anarchico. È questione di gusti. Invece, vi piacciono i motori? Le autopiste? E l'acqua alla ghiaia? Restate in linea.

Quest'autopista non s'ha da fare

Secondo me quella degli spazi autogestiti in campagna è una particolarità emiliana. Altrove i centri sociali restano in città, interpretano e gestiscono un disagio tutto urbano. In Emilia (o perlomeno, tra Mo e Reggio), questi spazi nascono in Centro, ma finiscono per scivolare oltre la tangenziale, nell'aperta campagna. Astuzia delle amministrazioni? Non sarà che a Modena persino il disagio ormai è automunito? Arriva un sacco di gente a Libera, il sabato e il venerdì. Giovani e ragazzini che si accalcano intorno al biliardino e ballano nella stalla. Più che disagio, è che a Libera si sta bene. Il bere costa poco, l'entrata proprio niente. Nessuno si preoccupa di come sei vestito. Il deejay è pure bravo, e di sabato fa una scaletta Sessanta-Settanta-Ottanta. I ragazzini ne vanno matti. La stalla non sarà proprio a norma: ma è bello ballarci dentro. Da un anno in qua hanno messo pure i sanitari. Cosa vuoi di più dal sabato?

(Magari voi preferite locali più in, da raggiungere sfrecciando in autostrada. E vi piace l'acqua alla ghiaia? Restate in linea).

Quattro anni fa la stalla era scoperta e mancava l'acqua corrente. Una volta installatosi, il collettivo anarchico/libertario "gli Agitati" ha ricostruito il tetto, intonacato, fatto scavare un pozzo, installato i pannelli solari, senza chiedere un soldo a nessuna istituzione. E siccome intorno era tutta campagna, il collettivo si è fatto anche il suo orto biologico, ha piantato 150 alberi, e persino un vitigno autoctono raro, su indicazioni di un celebre enologo. Tutte cose molto belle. Ma non resterà niente. L'orto, il vitigno, la stalla, sarà tutto spazzato via, perché è d'intralcio. Il Comune di Modena ha deciso di costruire una pista a Marzaglia.

Sì, il Comune (con l'appoggio di Confcommercio, Unione Industriali, DS, Margherita, Montezemolo, Panini…). Sì, una pista per le automobili. Si è pensato che non ce n'erano abbastanza, in Emilia Romagna (9 appena). In fin dei conti oltralpe "Modena" è solo il nome di un modello d'auto sportiva, no? Perché non capitalizzare la cosa?

"L'autodromo in questione occuperebbe un'area di circa 290.000 mq e, stando al progetto presentato […] nell'area circoscritta dalla pista maggiore hanno già trovato collocazione un museo dei motori, un albergo, un centro commerciale. […]
L'area in cui verrebbe collocato l'autodromo è attualmente costituita da campi coltivati a foraggio e grano: inutile dire che queste coltivazioni verrebbero irrimediabilmente distrutte poiché il progetto dell'autodromo contempla l'abbassamento dell'area di circa 5 metri (con lo scopo di ricavarne ghiaia, che in questi tempi di alta velocità è estremamente preziosa…)"


La ghiaia. L'autodromo, di per sé, è un vecchio progetto che sonnecchia nelle delibere comunali da anni. È un grosso investimento, un progetto che comunque comporta dei rischi. Ma la ghiaia è un altro discorso. È la sete di ghiaia ad aver riaperto la questione autodromo. E infatti intorno a Libera è già stata aperta una cava. Così ora gli abitanti dello spazio autogestito hanno i martelli nelle orecchie tutto il giorno. Durerà mesi, e non è detto che gli Agitati ne vedranno la fine: il Comune ha dato la concessione di scavare anche nel loro territorio. Da allora gli agitati si considerano "in stato di sgombero". E da sei mesi, ormai, rompono le scatole ai modenesi sulla loro situazione. Cortei, feste, incontri col sindaco in carica e col sindaco in pectore (a Modena siamo troppo avanti, conosciamo il nome del sindaco sei mesi prima di votarlo).

Ora, può darsi che a voi diano fastidio gli spazi autogestiti. Sono poco puliti, non rispettano la 626, attirano i pancabbestia, fanno una concorrenza sleale a discoteche e birrerie (e circoli Arci). Aggiungerò: molto spesso sono un po' autoreferenziali. Molto spesso chi occupa finisce per preoccuparsi soltanto della sua occupazione e del suo sgombero. Proprio come chi prende casa e smette di andare ai cortei pacifisti perché è preoccupato per l'affitto. È lo stesso tipo di sclerosi, in fondo.

Ma riflettendoci, Libera non è così. Se fosse una mera questione di domicilio, gli "Agitati" riuscirebbero a farsene dare un altro. Magari un po' più in là, sempre più lontano, ma cosa importa? L'amministrazione dai e dai un posto te lo trova. Cosa non farebbe, per il quieto vivere.
Invece gli Agitati hanno deciso di restare finché non dovranno venire a sgomberarli. Hanno deciso di fare casino, di creare un caso. Perché hanno capito che in gioco non c'è solo la loro stalla. C'è un po' del bene di tutti.
Io non sono anarchico, dopotutto, e con loro ci ho persino litigato: ma tante volte sono stato ospite nel loro spazio e sono stato bene. Adesso mi sento vecchio e non ci vado più tanto: ma mi piace pensare che un po' di ragazzini stiano ballando a Marzaglia piuttosto che in una discoteca o che so. Libera è aperta a chiunque: basta che non spacci e non fai battute sessiste (per esempio, "bella figa" non si può dire). Finché c'è Libera siamo un po' più liberi tutti. E quella cava a trenta metri da Libera, non è così lontana dalle nostre case.

Perché sotto la ghiaia ci sono le falde, c'è l'acqua che beviamo. Lo sapevate? A Libera lo dicono da mesi. Hanno riempito di ghiaia le bottigliette d'acqua e ci hanno messo l'etichetta: "Acqua cava! Cava la sete per sempre".

"Abbiamo appreso dai quotidiani locali che una ditta di escavazione di ghiaia è stata multata di 3089 euro per aver superato di gran lunga i 12 metri di profondità consentiti, in una cava di Marzaglia.
Sappiamo che il comune di Modena ha deciso di attivare il polo che è sito a 200 m. da un importante acquedotto cittadino che alimenterebbe il Centro Storico.
Se i controlli del Comune non sono preventivi e costanti non esiste nessuna garanzia per la nostra salute.
In qualsiasi momento esiste il pericolo che in qualsiasi cava si superino i metri consentiti e si intacchino le falde con grave pericolo per tutti".


Non è buffo pensare il collettivo anarchico degli Agitati che si agita e lotta per la qualità dell'acqua dei rispettabili signori e signore del Centro Storico?
E non fa un po' pensare, questo Centro Storico, adulto e rispettabile com'è, che chiede l'autopista nuova come un bambino stanco delle vecchie macchinine? Insomma, chi si sta comportando meglio in questa storia? Possibile che un gruppetto di anarchici stia dando una lezione a un'amministrazione progressista?

I dirigenti DS hanno commissionato a Democenter (loro stessi) un progetto di un autodromo esattamente nell'area dove noi da 3 anni stavamo costruendo un progetto diametralmente opposto al loro. L'hanno commissionato senza dirci niente e quando qualcuno di noi ha chiesto a Democenter dove era previsto quel progetto hanno pure mentito dicendo che sarebbe sorto da un'altra parte. Tutto questo è inaccettabile. […] Noi comunichiamo ufficialmente alla città che abbiamo deciso di non andarcene e di non accettare nulla in cambio. Chiediamo quindi, chiaramente a chi vuole, di schierarsi e di dirci quale vuole essere il livello di solidarietà.

Mi dispiace aver tenuto un livello basso, in questi mesi. Avevo tante cose da fare. Sabato alle 16.30 cercherò di essere in Piazzale Sant'Agostino. Invito tutti quelli a cui piaceva il punk. Invito anche quelli che a cui il punk non piaceva - ma nemmeno l'acqua alla ghiaia.

(I brani in corsivo sono presi da L'autogestione è possibile!, Autoproduzioni Libera).

giovedì 3 giugno 2004

Chi non ha memoria non ha futuro, va bene: ma la terza G?

(...I vostri nati torcano il viso da voi).

La terza G, quest'anno, ha fatto il Novecento (beh, diciamo che ha fatto il Novecento e mezzo: da Cavour a Tiennammen).
Detta così sembra banale, ma provatevi voi, a passare un anno intero nel Novecento. Non è un secolo comodo.

La terza G, quest'anno, ha letto vari libri, tra cui: Se questo è un uomo, il Diario di Anna Frank. Sono libri che vagamente conosceva già, perché molto prima di essere terza G, è passata attraverso varie Giornate della Memoria, in cui i prof leggevano alternativamente pagine di Se questo è un uomo e pagine del Diario di Anna Frank.
Il prof sbrigativo e privo di fantasia, di solito apre Se questo è un uomo a pagina uno e fa leggere la poesia proemiale. Quella poesia è molto bella, accorata, e agghiacciante. Negli ultimi versi, il poeta chiede al lettore di ricordare. Anzi, lo implora. No, ma che implora: lo minaccia. Se non vi ricordate, "vi si sfaccia la casa", "la malattia vi impedisca", dice. Con Anna Frank ci vuole più metodo, bisogna trovare le pagine giuste, perché nelle prime non parla di Lager, ma dei purissimi fatti suoi.
"Prof, non sembra neanche un'ebrea".
"Cos'hai detto?"
"Niente".

La terza G, quest'anno, è passata indenne attraverso varie visite d'istruzione, tra le quali: Museo del Deportato, Campo di Concentramento, Tempio israelitico. In quest'ultima occasione la Terza G ha potuto osservare i danni arrecati alla struttura dallo squilibrato (musulmano) che si è fatto esplodere a un angolo della Sinagoga quest'inverno, con due taniche di benzina in una macchina. La terza G si è fatta anche fare una foto col poliziotto che sta di piantone, di giorno e di notte (ma no, non è sempre lui, fanno i turni). Poi una signora molto gentile ha fatto entrare la Terza G nel Tempio, ha spiegato cosa sono le strane scritte sulla facciata, che cos'è la tenda che sta al posto dell'altare, perché non sono raffigurate figure umane, cosa sono i rotoli, etc. La terza G ha ascoltato compunta e non ha fatto chiasso.
"Prof?"
"Sì?"
"Ma quella signora… è un'ebrea?"
"Certo che è un'ebrea, perché?"
"No, niente".

La terza G ha avuto occasione di parlare d'attualità, di commentare i giornali. La guerra, ma anche le notizie locali, per esempio quel cippo ai morti nei campi di sterminio che è stato tirato giù a mazzate nel quartiere. Un atto vandalico come un altro.

La terza G, quest'anno, si è studiata la seconda guerra mondiale per bene: le leggi razziali, le deportazioni, i lager, le camere a gas. I sei milioni. Capito? S e i m i l i o n i. Guarda che non è un dettaglio. Guarda che è molto importante. Guarda che se non lo sai neanche domani, ti metto insuf.
"Prof, ma lei…"
"Non sono un ebreo, no".

La terza G, quest'anno, ha avuto anche il tempo per guardare diversi film, tra cui: il Grande Dittatore; La vita è bella (durante il quale Ferraguti e la Bardanti hanno avuto un approccio dietro il proiettore), Arrivederci Ragazzi; Il giardino dei Finzi-Contini. In più i prof si sono raccomandati: per tv daranno una fiction su un Giusto che ha aiutato gli ebrei durante la guerra: guardate, registrate, ricordate. La terza G ha registrato, magari passando sopra al nastro della fiction dell'anno scorso. O dell'anno prima.

La terza G, in un modo o nell'altro, è arrivata al penultimo giorno di scuola, e si è ritrovata due ore buche con il solito prof tappabuchi.
Il prof tappabuchi era più insofferente del solito del suo ruolo di tappabuchi, perché era stato avvertito del buco con 5' di anticipo, e tre ore dopo doveva andare a tappare un altro buco a 40 km di distanza, così è arrivato in classe, ha fatto silenzio con due urli, e dopo una sommaria consultazione li ha mandati in aula video, raus.

"Guardiamo un film, prof?"
"Guardiamo un film, Terza G".
"Che film guardiamo, prof?"
"Non ne ho la minima idea, si vedrà".

Gli scaffali dell'aula video sono ingombri di vhs dalla copertina nera, anonime, e il prof tappabuchi non sa dov'è il catalogo: tanto è tutta roba desueta, documentari sulla pericolosità delle centrali nucleari (negli anni '80 ce l'avevano col nucleare). Poi ci sono i film, ma una Terza al penultimo giorno di scuola ormai ha visto tutto il vedibile. Il prof tappabuchi sa che non è il caso di mandare in onda Il Gattopardo o Ladri di Biciclette. Di film ancora proponibili, in realtà, ce n'è uno solo. È un film toccante e divulgativo, senza immagini troppo perturbanti, colmo di umanità: sembra fatto apposta per la Terza G. Sennò, al limite, c'è Excalibur: sangue, sesso, armature cromate. Ma proprio al limite.

"Che film guardiamo, prof?"
"Allora, ci sarebbe questo film molto bello, che si chiama Schindler's List".
"Di cosa parla, prof?"
"Ehm… il film parla dello sterminio degli eb…"

A questo punto la Terza G, che ha sopportato pazientemente un anno di Novecento, ha un moto, un moto solo di ribellione, e come fosse un sol uomo, o una sola donna, la Terza G risponde: "No".
No. Basta sterminio. Non se ne può più. È giugno, insomma.

Il prof tappabuchi guarda la Terza G come se fosse un sol uomo (coi brufoli) o una sola donna (coi brufoli comunque), e pur nella sua umiltà di tappabuchi si chiede dove ha sbagliato. Dove abbiamo sbagliato. E se ci fosse per una volta un modo di non sbagliare.
"Vabbè, Excalibur".
"Sì, Excalibur, bello!"

Si ficcano in fondo all'aula e si mettono a parlare tra loro. Uter Pendragon giace con la moglie del suo migliore amico e loro manco se ne accorgono. Fuori è una bella giornata, gli uccellini cinguettano, la scuola è finita, il Novecento anche. Buone vacanze.

mercoledì 2 giugno 2004

Guttuso: Ritratto di MimiseFratelli d'Italia,
l'Italia è un po' stanca.
è al verde, va in bianco,
e il rosso l'ha in banca.
Dov'è la Vittoria,
diciamolo, dove?
Son qui dalle nove
e Vittoria non c'è.

Fratelli d'Italia,
l'Italia è per terra,
è in crisi, in declino,
ed è pure un po' in guerra.
Dove sei, Vittoria,
La volta che servi?
Che rabbia, che nervi,
l'Italia imprecò.

Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò

Fratelli d'Italia, l'Italia è un po' a pezzi,
per quanto la osservi non ti raccapezzi:
ché dopo tre anni di aiuti a Tremonti,
né mari né monti ne possono più.

Fratelli d'Italia, l'Italia è precaria:
stivale spaiato che scalcia nell'aria.
Dov'è la Vittoria? Ma quanto fattura?
Di monte in pianura l'Italia franò.

Stringiamoci a corte,
(ma con un' "o" sola!)
Siam pronti alla morte,
finché è una parola.
Stringiamoci a corte,
aduliamo il più forte,
se ha le gambe corte
in ginocchio si sta.

Fratelli d'Italia,
l'Italia sta fresca.
Di quanti cantieri
si cinse la testa…
Dov'è la Variante?
Perché è così tardi?
Chiedete a Lunardi,
l'Italia non sa.

Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è rotta:
nessuno al timone
che tenga una rotta.
Dov'è la Vittoria
(o almeno un Pareggio?)
Qui dal male al peggio
in picchiata si va.

Fratelli d'Italia,
rompete le righe.
Chi mai v'ha promesso
tre anni di sfighe?
E chi v'ha arruolato
alla guerra infinita,
pensando a una gita,
l'Italia tradì.

Fratelli d'Italia,
sorelle e cognate,
non datevi vinti,
non vi rassegnate.
L'Italia è in ginocchio,
ma non è finita.
Siam pronti alla vita,
l'Italia chiamò.

Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò