[Dieci anni fa non esistevano gli iPhone. In effetti, non esistevano nemmeno gli iPod, e i telefonini avevano il display in bianco e nero. La cosa più trendy della Apple era uno scatolone di plastica blu. I computer delle persone normali erano scatoloni di lamiera bianca. Niente banda larga, niente youtube. Niente facebook, ovviamente. In Italia non esistevano neanche i blog, tranne questo (e quello di Ludik). Per festeggiare la sopraggiunta anzianità, la redazione pubblica dieci pezzi di dieci anni diversi. Questo è del novembre 2002, e saluta la nascita di un quotidiano vecchio, pardon, nuovo, pardon, boh, non si capisce più, è passato troppo tempo].
Segni del tempo. (Un omaggio al Riformista, più o meno dieci anni dopo).
Sto ascoltando Are you experienced?, come oggi prescrive Polaroid, e intanto penso: però è una cosa strana, la nostalgia. Non sempre ha a che vedere coi ricordi. A volte è pura fantasia, è un universo parallelo che ci costruiamo coi ricordi degli altri. E non serve aver vissuto in un periodo per rimpiangerlo, anzi.
E poi è strano come certi periodi siano familiari a tutti e altri no. Tra un revival e l'altro ci sono zone d'ombra che nessuno ancora ha iniziato a rimpiangere. Prima o poi torneranno di moda – tutto torna di moda – ma nel frattempo a me piacciono così, accessibili e poco frequentate.
Quella manciata d'anni tra Ottanta e Novanta, per esempio, mentre veniva giù la cortina di ferro e Andreotti regnava, assai meno popolare allora di quanto non sia diventato dopo tangentopoli e un paio di processi per mafia. Vi ricordate? No, non vi ricordate, è un'epoca sbiadita, se cercate un volto o un ritornello non vi viene in mente niente. A furia di rievocare il Boom, il Sessantotto, gli anni di piombo, i favolosi Ottanta, abbiamo cancellato dalla memoria cache il passato più recente. Poco male, sarà divertente re-installarlo tra qualche anno, e giocarci.
Tutti i ricordi che ho di quegli anni sono per sottrazione – per esempio, ricordo che Internet non c'era, eppure si viveva; i cellulari ispiravano un misto d'invidia e disapprovazione, e Andreotti li fece tassare; in tv non c'erano tutti quei talk show politici di adesso, eppure non ci sentivamo affatto disinformati: forse compravamo qualche giornale in più.
Ecco, questo me lo ricordo bene: nelle edicole c'erano ottimi quotidiani. Per esempio, c'era il Riformista di Polito, che poi non so che fine abbia fatto. Una pietra miliare.
Oggi forse è difficile rendersene conto, ma in tempi in cui la dialettica della sinistra consisteva in eterne schermaglie tra PCI e PSI, il "Riformista" ebbe il merito di proporre una terza via, qualcosa di veramente innovativo. In tempi in cui tutti, a destra e sinistra, facevano blanda professione di fede europeista, "il Riformista" fu il primo a criticare seriamente le politiche protezionistiche della Comunità Europea, specie in materia agricola. Peccato non aver conservato certi editoriali, scommetto che ci troverei in seme tutta l'ideologia noglobbal d'oggigiorno… E poi, la scelta tutt'altro scontata di puntare il futuro della sinistra su un giovane politico di buone speranze, D'Alema… Insomma, per certe cose, quel piccolo quotidiano di opinione era davvero dieci anni avanti.
Ma non era solo una questione di politica. "Il Riformista" è stato il primo quotidiano ad accorgersi della svolta generazionale di quegli anni. Fu il primo a far caso a un mondo giovanile che esplodeva: il mondo delle autogestioni, delle prime braghe grigioverdi, dei 99 Posse, (anche di Jovannotti, ahimè). Insomma, fu il primo quotidiano a prendere atto che i figli dei sessantottini stavano prendendo la patente.
Tutto questo dieci anni fa, più o meno. Poi ci sono state le imitazioni, e le imitazioni delle imitazioni, e dell'originale si sono perse le tracce.
Eppure a me capita sempre più spesso, in questi giorni di dibattito politico rovente, di pensare: chissà cosa ne penserebbe, oggi, "il Riformista". Sarebbe noglobbal o siglobbal? Darebbe addosso ai giudici o ai loro corruttori? Continuerebbe a sostenere il vecchio timoniere o lo affonderebbe senza pietà? Sono domande senza senso, lo so. Nessuna verità è valida in assoluto: l'importante è trovarsi nel momento giusto con le idee giuste. In quella manciata di anni tra Ottanta e Novanta, il Riformista aveva forse le idee migliori in circolazione. Probabilmente quelle stesse idee, su un quotidiano di oggi, le troveremmo patetiche. Ma è il destino del giornalismo, anche di quello buono, non durare che l'éspace d'un matin, lo spazio di un mattino.
Intanto il disco è finito. Are you experienced?, Jimi Hendrix, 1967. L'ho messo su perché oggi Hendrix avrebbe compiuto sessant'anni. Mio padre li ha compiuti in giugno. È buffo pensarci.
Mio padre nel '68 stava mettendo su un'autofficina. Non mi pare che nutra molta nostalgia per quegli anni. Per lui i Beatles furono una meteora: fecero il botto nel '65 e quattro anni dopo si erano già sciolti. Non fece neanche in tempo ad affezionarsi. È strano pensare che i 99 Posse sono durati molto di più. È strana tutta questa storia della nostalgia, dei ricordi finti che sono più struggenti di quelli veri, del passato che possiamo modellare a nostro piacimento, tanto ci sfugge lo stesso. È strano, è curioso. Ma è anche tardi, adesso.
Non perdetevi domani mattina (sì, giovedì 28 novembre 2002) questo pezzo del Riformista:
Tra corsi di cucito e dibattiti sulla guerra nei licei va in scena l’autogestione
Amano il vestiario militare, leggono la biografia del Che, ascoltano Jovanotti e i 99 Posse: ecco i figli dei sessantottini, la nuova generazione di studenti italiani.
Viaggio nel mondo della scuola che si appresta ad essere okkupata.
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giovedì 30 dicembre 2010
mercoledì 29 dicembre 2010
La quinta sofistica
Li conoscete da un pezzo; ma sapreste distinguerli?
Uno è Nicky Vendola, orgoglio delle Puglie e speranza della Sinistra e della Libertà: l'obama bianco-ma-gay, l'uomo che potrebbe battere Bersani nelle primarie di coalizione del centrosinistra, e (un po' più difficilmente) portare il primo orecchino a Palazzo Chigi.
L'altro è Alfonso Luigi Marra, avvocato cassazionista con l'hobby della scrittura: i suoi saggi torrenziali, a metà tra narrativa e speculazione filosofico-economico-antropologica, non se li filerebbe nessuno, non fosse per i meravigliosi spot che paga di tasca sua e sono una delle cose per cui vale la pena lasciare la tv accesa a Natale e Ferragosto.
Sono due persone diverse. Hanno idee diverse. Si fanno votare da persone diverse. Ma sapreste riconoscerli unicamente da quello che scrivono? Ecco il piccolo test di fine anno che farà arrabbiare e divertire grandi e piccini. Sapete riconoscere, tra queste dieci citazioni, quali sono quelle prese da libri e discorsi di Vendola, e quali invece sono attinte dal corpus Alfonsoluigimarriano? Usare google non vale. Tanto non si vince niente - salvo un'accresciuta conoscenza di entrambi i pensatori. Le soluzioni sono in fondo.
1) "Leggendo “Il Corricolo”, un bellissimo libro di Dumas figlio, quel che stupisce di Napoli, teatro solo 150 anni fa delle gesta di quella nobilissima, sapientissima plebe, è che sia riuscita a ricavare dal suo inenarrabile misticismo un minimo di razionalità per adattarsi ad un modernismo che non condivide. Valori fra i quali una certa fierezza guappesca da interpretarsi, nel suo modello ideale, come ultima forma di dignità possibile di fronte alla sarchiaponica ma feroce bestialità dell’apparato".
2) "Cambia molto se la democrazia è non soltanto la fotografia sincronica degli umori ideologico-culturali del presente ma se, in qualche maniera, ha una capacità, se possiamo dire così, di proiezione diacronica, di prospettazione che va oltre il limite generazionale, se il ‘bene comune’ lo preserva con lungimiranza, se assume la bisessuazione del linguaggio che la fonda come principio di realtà ed esodo dalla gabbia del neutro-maschile".
3) "Cos’è il machismo? E’ l’elaborazione dell’angoscia dell’impotenza che il genere maschile si porta dalla notte dei tempi appresso".
4) "La cultura patriarcale/repressiva ha pertanto inibito alla donna l’orgasmicità, cioè la possibilità di “vedere” la sua sessualità; con il duplice effetto di reprimere la donna e di interdire la dialogicità alla società".
5) "Il paganesimo è la nostalgia di un divino non ossificato nelle metafore del potere maschile".
6) "Il fenomeno neomelodico quale segnale di riflusso dall’abdicazione culturale e ai dialetti indotta dalla metà degli anni sessanta per annettere le popolazioni meridionali al consumismo".
7) "Finzioni tipiche anche del potere inteso come una forza in sé di cui ciascuno è per certi versi vittima e per altri protagonista, perché ha avuto la necessità di avere il consenso di tutti, e tutti appunto ha dovuto coinvolgere per potersi svolgere, pur rimanendo nel contempo verticistica e prevalentemente rappresentata dai detentori del potere economico".
8) "In quest’epoca di precisione e nitidezza digitali e di dissolvenza delle condizioni e delle relazioni sociali, la domanda che ci si fa è la stessa per tutti: dove accidenti sono finito nella vicenda sociale?"
9) "Le persone, non solo non sono uguali, ma sono tutte diverse e, fatti salvi (è ovvio) i diritti fondamentali, hanno diritti diversi fondati appunto sulla loro diversità".
10) "Violenza significa lasciare che la brutalità dei mezzi diventi il cannibale che si mangia la bontà dei fini".
Le citazioni sono prese da Cerazade e da Marra.it (via Inkiostro).
Uno è Nicky Vendola, orgoglio delle Puglie e speranza della Sinistra e della Libertà: l'obama bianco-ma-gay, l'uomo che potrebbe battere Bersani nelle primarie di coalizione del centrosinistra, e (un po' più difficilmente) portare il primo orecchino a Palazzo Chigi.
L'altro è Alfonso Luigi Marra, avvocato cassazionista con l'hobby della scrittura: i suoi saggi torrenziali, a metà tra narrativa e speculazione filosofico-economico-antropologica, non se li filerebbe nessuno, non fosse per i meravigliosi spot che paga di tasca sua e sono una delle cose per cui vale la pena lasciare la tv accesa a Natale e Ferragosto.
Sono due persone diverse. Hanno idee diverse. Si fanno votare da persone diverse. Ma sapreste riconoscerli unicamente da quello che scrivono? Ecco il piccolo test di fine anno che farà arrabbiare e divertire grandi e piccini. Sapete riconoscere, tra queste dieci citazioni, quali sono quelle prese da libri e discorsi di Vendola, e quali invece sono attinte dal corpus Alfonsoluigimarriano? Usare google non vale. Tanto non si vince niente - salvo un'accresciuta conoscenza di entrambi i pensatori. Le soluzioni sono in fondo.
1) "Leggendo “Il Corricolo”, un bellissimo libro di Dumas figlio, quel che stupisce di Napoli, teatro solo 150 anni fa delle gesta di quella nobilissima, sapientissima plebe, è che sia riuscita a ricavare dal suo inenarrabile misticismo un minimo di razionalità per adattarsi ad un modernismo che non condivide. Valori fra i quali una certa fierezza guappesca da interpretarsi, nel suo modello ideale, come ultima forma di dignità possibile di fronte alla sarchiaponica ma feroce bestialità dell’apparato".
2) "Cambia molto se la democrazia è non soltanto la fotografia sincronica degli umori ideologico-culturali del presente ma se, in qualche maniera, ha una capacità, se possiamo dire così, di proiezione diacronica, di prospettazione che va oltre il limite generazionale, se il ‘bene comune’ lo preserva con lungimiranza, se assume la bisessuazione del linguaggio che la fonda come principio di realtà ed esodo dalla gabbia del neutro-maschile".
3) "Cos’è il machismo? E’ l’elaborazione dell’angoscia dell’impotenza che il genere maschile si porta dalla notte dei tempi appresso".
4) "La cultura patriarcale/repressiva ha pertanto inibito alla donna l’orgasmicità, cioè la possibilità di “vedere” la sua sessualità; con il duplice effetto di reprimere la donna e di interdire la dialogicità alla società".
5) "Il paganesimo è la nostalgia di un divino non ossificato nelle metafore del potere maschile".
6) "Il fenomeno neomelodico quale segnale di riflusso dall’abdicazione culturale e ai dialetti indotta dalla metà degli anni sessanta per annettere le popolazioni meridionali al consumismo".
7) "Finzioni tipiche anche del potere inteso come una forza in sé di cui ciascuno è per certi versi vittima e per altri protagonista, perché ha avuto la necessità di avere il consenso di tutti, e tutti appunto ha dovuto coinvolgere per potersi svolgere, pur rimanendo nel contempo verticistica e prevalentemente rappresentata dai detentori del potere economico".
8) "In quest’epoca di precisione e nitidezza digitali e di dissolvenza delle condizioni e delle relazioni sociali, la domanda che ci si fa è la stessa per tutti: dove accidenti sono finito nella vicenda sociale?"
9) "Le persone, non solo non sono uguali, ma sono tutte diverse e, fatti salvi (è ovvio) i diritti fondamentali, hanno diritti diversi fondati appunto sulla loro diversità".
10) "Violenza significa lasciare che la brutalità dei mezzi diventi il cannibale che si mangia la bontà dei fini".
Le citazioni sono prese da Cerazade e da Marra.it (via Inkiostro).
lunedì 27 dicembre 2010
Il futuro è nel frigo
[Tra un mese questo blog compie 10 anni, e li festeggia ripubblicando 10 pezzi del suo polveroso archivio. Questo è del febbraio 2001, e trae ispirazione da un tormentone di quegli anni: ogni volta che da qualche parte c'era una fiera dell'elettronica, SMAU e consimili, i giornalisti si precipitavano a scrivere l'imminente arrivo di un frigorifero che si sarebbe fatto la spesa da solo. 10 anni più tardi quel frigo lo devo ancora vedere, e sì che ne avrò cambiati tre. In compenso adesso ho l'ascensore. Ma non lo uso quasi mai].
Il futuro è fattorino
Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non penso che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.
Infatti tra un paio d’anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore). Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.
Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc.. Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l’ordine ai fattorini. Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d’animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.
Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.
Il futuro è fattorino
Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non penso che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.
Infatti tra un paio d’anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore). Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.
Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc.. Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l’ordine ai fattorini. Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d’animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.
Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.
domenica 26 dicembre 2010
La fine è vicina
Giovedì il Tizio ha parlato per più di due ore, e si capiva che in mezzo a tante parole voleva davvero dirci qualcosa. Ma cosa?
Ecco, io ho questa teoria (#55): dietro tante parole, SB voleva dirci che è stanco, e che se non lo disturbiamo, se lo lasciamo dormire per altri due anni, lui nel 2013 potrebbe anche decidere di andarsene in pensione.
Un affare, insomma. (La fine di Berlusconi è on line sull'Unità.it e si commenta, per ora, qui. Buon anno!)
Possiamo prendere la conferenza-fiume di Berlusconi come l'ennesima prova della sua megalomania, oltre che del suo buonumore, ora che le nuvole del 14 dicembre sembrano essersi aperte. Ma dal momento che sono gli ultimi giorni dell'anno, e abbiamo quanto mai bisogno di sperare in un 2011 migliore, possiamo anche vederla in un altro modo: con il discorso di giovedì, Berlusconi ha annunciato nientemeno che la sua fine. Sì. Il suo ritiro dalla politica. Sembra impossibile, eppure è successo.
Ecco, io ho questa teoria (#55): dietro tante parole, SB voleva dirci che è stanco, e che se non lo disturbiamo, se lo lasciamo dormire per altri due anni, lui nel 2013 potrebbe anche decidere di andarsene in pensione.
Un affare, insomma. (La fine di Berlusconi è on line sull'Unità.it e si commenta, per ora, qui. Buon anno!)
Possiamo prendere la conferenza-fiume di Berlusconi come l'ennesima prova della sua megalomania, oltre che del suo buonumore, ora che le nuvole del 14 dicembre sembrano essersi aperte. Ma dal momento che sono gli ultimi giorni dell'anno, e abbiamo quanto mai bisogno di sperare in un 2011 migliore, possiamo anche vederla in un altro modo: con il discorso di giovedì, Berlusconi ha annunciato nientemeno che la sua fine. Sì. Il suo ritiro dalla politica. Sembra impossibile, eppure è successo.
Certo, questa fine occorre leggerla tra le righe (centinaia di righe). Però, giovedì scorso Berlusconi si è lasciato scappare due o tre dettagli che, messi insieme, tracciano una exit strategy per il berlusconismo. Primo: B. ha smentito di essere interessato al Quirinale nel 2013. I più smaliziati osservatori ci ricorderanno che ogni serio aspirante al colle passa gli ultimi anni a schermirsi e smentire. Ma è stato un anno duro per tutti (anche per lui), proviamo a credergli. Secondo: dopo il 2013 B. non sembra nemmeno interessato a restare a Palazzo Chigi. Naturalmente il successore dovrà essere un uomo di fiducia: qualcuno che attualmente è già nella squadra di governo. Ma non sarà più lui, è già qualcosa. Terzo: ha intenzione di impedire a sua figlia Marina un eventuale ingresso in politica, e quella parola (“impedire”) è una delle più pesanti adoperate in più di due ore di diretta.
Se ne deduce che, se tutto va in un certo modo, a partire dal 2013 la famiglia Berlusconi potrebbe essere fuori dalla politica – forse semplicemente perché non ne avrà più bisogno: gli ultimi processi dovrebbero essere andati in prescrizione, e comunque amici di famiglia siederanno a Palazzo Chigi, al Quirinale, e su buona parte degli scranni parlamentari. Tuttavia tutti questi signori, una volta miracolati, non avrebbero a parte la gratitudine nessun motivo per anteporre gli interessi di Mediaset a quelli della repubblica. Gli stessi figli di B., qualora decidessero malgrado tutto di scendere in campo, non raccoglierebbero l'intera eredità politica del padre. Il centrodestra si dividerebbe tra postberlusconiani di stretta osservanza e personaggi alternativi al berlusconismo, come Fini (vien da sorridere, ma ormai è così); da una divisione del genere potrebbe persino avvalersi la sinistra. In un modo o nell'altro, la transizione dal berlusconismo alla democrazia potrebbe cominciare. Sarebbe un percorso ancora lungo, e irto di ostacoli: ma quello più ingombrante (Berlusconi stesso) non dovrebbe esserci più. Magari sarà su uno sdraio di Antigua ad abbronzarsi davvero. Basta aspettare il 2013. In fondo il senso del lungo discorso è tutto qui. Perché non vogliamo aspettare il 2013?
Perché ci ostiniamo a parlare di alleanze anti-berlusconiane, addirittura di CLN, perché continuiamo a immaginare un fronte unito da Vendola a Fini? Perché continuiamo a ragionare sulle eventuali elezioni anticipate come se si trattasse di un referendum su Berlusconi? È una domanda retorica: lo facciamo perché lui stesso ha deciso così, quando ci diede questa legge elettorale. È soprattutto il premio di maggioranza alla Camera a rendere indispensabili le grandi ammucchiate. Quando la legge passò, Berlusconi era sicuro che sarebbe sempre riuscito ad affascinare almeno una metà degli italiani. Ora non ne è più così sicuro. Sotto il cerone è stanco, senza prospettive. Nel momento più lucido della conferenza ha ammesso di non avere nessuna idea su come guidare l'Italia fuori da una crisi strutturale che mette in discussione il benessere raggiunto nel secondo dopoguerra. È una crisi che considera inevitabile, causata dall'immissione nel mercato mondiale di milioni di lavoratori asiatici sottopagati, di cui non vuole e non può sentirsi responsabile. Quello che intende fare, da qui al 2013, è sorridere sulle macerie e suggerire a tutti un bagno di ottimismo: stringere le mani ai capi di Stato e organizzare per loro meravigliose feste, con fondali di cartone e statue ricostruite per l'occasione. Quello che gli serve sono altri due anni di passerella: due anni per dimostrare a tutti che, senza essere l'unto del signore, è comunque un politico instancabile con un grande senso dell'umorismo. E poi promette che se ne andrà, senza farci altro male.
In pratica ci sta chiedendo l'onore delle armi: sa di essere mortale (e questa è una notizia), ma vuole andarsene invitto. Sui libri di Storia ha intenzione di lasciare il suo sorriso, non la smorfia di dispetto degli sconfitti. Dunque non abbiamo che lasciarlo governare ancora un po', magari con qualche transfuga di Casini, o Casini stesso. Il messaggio della conferenza, più o meno consapevole, era questo.
In profondità ce n'è un altro: se invece abbiamo intenzione di sfidarlo, se vogliamo davvero la campagna di primavera, lui non avrà nessuna pietà. Le sfide lo ricaricano, è cosa nota. Ha già in mente il nuovo nome del nuovo partito, il nuovo slogan. Sfodererà tutti i vecchi trucchi e ne inventerà di nuovi: sorriderà da milioni di manifesti, si pianterà davanti alle telecamere e nessun Minzolini avrà più il coraggio di sfumarlo. E a quel punto addio 2013: ce lo terremo finché campa, e forse anche un po' di più. Non c'è dubbio che possa succedere. Ma per ora lui stesso sembra scongiurarci di non farlo, di non provocarlo, di lasciarlo sfumare lentamente. Vuole che lo amiamo, o almeno che facciamo finta – per altri due anni. Altri due anni di non governo, di riforme che distruggono, di tagli senza prospettive. Ce la possiamo fare? Buon 2011. Il peggio magari è alle spalle. http://leonardo.blogspot.com
venerdì 24 dicembre 2010
Et itervm ventvrvvs est cvm gloria
Il secondo avvento
“Allora, Don Peppino...”
“Oh, Agnese, eccoti”.
“Si tratta di due persone. Un signore di mezza età e una...”
“Fammi un favore intanto, allungami un Mago”.
“Un mago?”
“Un Re Mago, avrai presente com'è un Re Mago, no? Nella scatola delle statuine, quelli grossi a dorso di cammello”.
“Aaaah, un magio! ma me lo poteva dire... pensi che avevo capito un mago con la bacchetta magica e il cappello...”
“Seh, Harry Potter. E allora, 'sto Mago arriva o no?”
“Vuole il bianco o il negro?”
“E dammeli tutti e due, che non si dica mai... oh. Ecco. Se li metto qui dietro le palme, cosa dici?”
“Ma don Peppino, io sapevo che i Magi si mettono alla Befana”.
“All'Epifania. Lo so. Però sono i pezzi più belli che abbiamo. Artigianato napoletano dell'Ottocento. Parliamoci chiaro, Agnese, non fosse per questi magi, il nostro presepe parrocchiale sarebbe...”
“'na mezza ciofeca”.
“E bada a come parli, nella casa del Signore. Mi dovevi dire qualcosa?”
“Sì, don Peppino, per via di quei due... un signore di mezza età e una ragazzina”.
“Ah”.
“Lui dice che vengono da fuori, erano qui per rinnovare il permesso di soggiorno, se ne ripartono appena possono”.
“Certo, certo, come no”.
“Lui dice che pensava di ripartire in giornata, ma si è trovato una coda lunghissima in questura che non se l'aspettava... quando ha visto venir sera hanno provato a cercare un albergo, ma sa com'è. E gli hanno detto di provare qui”.
“Ovviamente”.
“Don Peppino, ma scusi, ma di Re Magi quanti ce ne vuol mettere?”
“Te l'ho detto, sono i pezzi più belli che abbiamo”.
“Sì, però così tanti non vanno bene”.
“È che sono indeciso. Vedi questi qui, più piccoli, sui dromedari... sono meno antichi degli altri, però... mi sembrano più eleganti, cosa dici?”
“Mah, per me...”
“Con queste finiture in oro che riflettono l'illuminazione... li mettiamo un po' più lontani alla stalla, così non si nota la differenza di proporzioni, e vedrai che...”
“Don Peppino, insomma, qui stiamo a fare un'eresia”.
“Ma cosa dici, un'eresia. Non sai nemmeno di cosa parli”.
“Sarò anche ignorante e quel che vuole lei, però sei Re Magi in un presepe non si sono mai visti”.
“Ne sei sicura?”
“E insomma lo sanno tutti che i Re Magi sono tre”.
“Lo sanno tutti. E dove starebbe scritto?”
“E che ne so io... nel Vangelo”.
“Che Vangelo? Matteo, Marco, Luca... Che Vangelo?”
“Me lo dica lei”.
“Perché vedi Agnese, se tu il Vangelo l'avessi preso in mano sul serio, anche una volta sola, lo sapresti che il numero di magi non c'è, né in Luca né in Matteo. Non è specificato, capisci? Tu pensi che siano in tre perché li hai sempre visti in tre. Ma è un numero come un altro. Due sembravano pochi, quattro sarebbero costati troppo, e così la gente ne metteva tre. Ed è rimasta l'usanza. Però io qui ho due serie, e sono tutti pezzi molto belli, e francamente se devo scegliere tra quei pastori lerci e questi re Magi...”
“Ma dopo non ci sta più spazio per le pecore”.
“Le pecore son tutte grigie. Si son prese il fumo di cent'anni di candele, sembrano sorci giganti. Allora, qui i casi sono due: o usciamo a comprarne di nuove...”
“S'era deciso di fare economia”.
“Ecco, appunto. Oppure lasciamo perdere le pecore e aumentiamo i Magi, che fanno una più bella figura. Ma mi stavi dicendo di quei due. Cosa vogliono?”
“E cosa pensa che vogliano. Chiedevano un posto per dormire”.
“Gliel'hai detto, che in canonica siamo al completo?”
“Gliel'ho spiegato. Hanno chiesto di dormire qui”.
“Eh, certo, come no. Nella casa del Signore. Ci mettiamo due materassi e il vaso da notte”.
“Don Peppino, lo so che è una cosa che non andrebbe fatta. Però fuori sta notte va sottozero... lei li mette qui, li chiude a chiave, e domani sul presto io...”
“Se vogliono escono lo stesso”.
“Ma pensa che possano rubare? Ma non c'è niente di prezioso”.
“Le statuine”.
“Don Peppino, andiamo, le statuine”.
“Artigianato dell'Ottocento. Agnese, noi qui abbiamo un servizio da offrire. Quando vengono i fedeli sotto Natale, e avrai notato che magari si svegliano tardi tutto l'anno, ma sotto Natale non mancano mai, ci sono certe cose che vogliono vedere. Ci sono delle cose a cui tengono, e noi gliele dobbiamo dare, Agnese, sennò tanto vale piantare baracca e burattini”.
“Ma aspettiamo domani a montarlo, il presepe, li mettiamo a dormire qui, e domani...”
“Domani è domenica, e cosa gli mostriamo ai nostri fedeli? Al posto del presepe, un materasso con due stranieri? Da dove dicono di venire?”
“Palestina”.
“Come no. La balla dell'asilo politico. Ci provano tutti. Fidati che sono marocchini come tutti gli altri. Ti hanno mostrato documenti?”
“No. L'uomo dice che si chiama Yussuf. La ragazzina non dice niente”.
“Seh, Yussuf. Tutti Yussuf, si chiamano. E secondo te io domattina ai fedeli, al posto del presepe, ci devo mostrare Yussuf”.
“Don Peppino, lo so, ma se li svegliamo presto...”
“Quello che mi fa più rabbia, Agnese, è che tu magari mi prendi pure per un fanatico. Uno che potrebbe salvare la vita a 'sto Yussuf e invece si preoccupa per le statuine. Perché tu alla fine pensi che io sto giocando con le statuine, che questo è un gioco per me. È questo che mi fa ammattire”.
“Ma io lo so che lei...”
“Il problema è che queste statuine sono il mio lavoro e la mia fede, Agnese, lo capisci o no? Che se volevo fare l'assistente sociale non studiavo per prendermi questo vestito, e non stavo a venire qui, e che va bene l'accoglienza, va bene tutto, ma c'è un limite anche per don Peppino. Adesso mi dici di metter via il presepe per far posto a Yussuf. E il prossimo Yussuf che ha bisogno? Spostiamo la Madonna di Lourdes?”
“Ma è solo per una notte..”
“Una notte, come no. E avranno freddo. Però magari potremmo bruciare un po' di roba, qui, per scaldarli. Tutte 'ste croci, eh? Potremmo infilarle nella stufa a legna”.
“Don Peppino, non dica così”.
“E anche queste statuine. Cosa vuoi che siano delle statuine dell'Ottocento davanti a Yussuf. Questo bambino di legno qui, per esempio, Agnese, lo riconosci?”
“E certo che lo riconosco”.
“E invece magari dopo cinquant'anni che ci passi davanti ti rendi conto che non l'hai mai visto davvero, non ci hai mai riflettuto sul serio. Allora avanti, Agnese, cosa ci vedi?”
“Cosa vuole che ci veda, don Peppino... il bambino, ci vedo”.
“Ma tu ci credi, Agnese, che questo bambino è Gesù Cristo Dio, che si è fatto uomo per salvarci dai nostri peccati, e di nuovo verrà nella gloria, per giudicare... continua tu, Agnese, per giudicare?”
“...i vivi e i morti”.
“Ma ci credi o no?”
“E certo che ci credo”.
“Che lo vedrai, nella sua gloria, quando ritorna, nel Secondo Avvento”.
“Certo”.
“E quindi lo sai che noi siamo qui per testimoniare, e che queste statuette, questo giochino, sono un modo per rendere testimonianza, per ricordare alla nostra gente, ai bambini, agli anziani, che Gesù è in mezzo a noi, per ricordare che bisogna fargli spazio, al momento giusto”.
“Massì...”
“E il giorno che tornerà, il giorno che lo vedrai, perché hai detto che ci credi, Agnese: cosa gli dirai? Signore, scusa, ma quel giorno invece di renderti testimonianza dovevamo far posto a uno nemmeno battezzato, Yussuf, e a sua figlia che...”
“Non è sua figlia”.
“Andiamo bene. Non è sua figlia. E perché sta con lui?”
“Non me l'ha voluto dire”.
“Ma quanti anni avrà?”
“Don Peppino, lei lo sa, queste donne straniere... non me ne intendo”.
“Dimmi quanti anni ha, secondo te”.
“Non più di quindici”.
“Perfetto, allora chiamiamo i carabinieri, che un tetto glielo trovano”.
“No, Don Peppino, non si può. La ragazza ha bisogno di stare tranquilla stanotte. Molto tranquilla”.
“Perché. Cos'ha questa ragazza”.
“Parecchia pancia”.
“Che tipo di pancia?”
“Quella di nove mesi, secondo me”.
“Ma che ne sai, tu, mica ti intendi di donne straniere”.
“Di donne no, di pance sì”.
“Massì, in fondo, che male c'è. Veniamo pure in Italia. Sposiamo pure le bambine, mettiamole pure incinta. Tanto se non si trova un tetto alla fine c'è sempre un prete che ci mette la pezza”.
“Don Peppino, ho capito, allora facciamo così: lei li mette nella mia stanza e col presepe ci resto io”.
“Agnese, per carità non mi fare la santa”.
“E che sarà mai. Mi metto su quella panca lì dietro, lei non sa quante ore ci ho già dormito su quella panca”.
“Lo so, Agnese, però non ti ci addormenti, se non ci sono io che attacco la predica”.
“E lei mi metta il musimatic, vedrà che a mezzo nastro mi addormento. Così, se proprio deve venire stanotte Gesù a giudicare i vivi e i morti, qui trova tutto regolare, va bene?”
“Agnese...”
“Punto la sveglia alle sei”.
Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
Era il Post sotto l'Albero. Buon Natale.
“Allora, Don Peppino...”
“Oh, Agnese, eccoti”.
“Si tratta di due persone. Un signore di mezza età e una...”
“Fammi un favore intanto, allungami un Mago”.
“Un mago?”
“Un Re Mago, avrai presente com'è un Re Mago, no? Nella scatola delle statuine, quelli grossi a dorso di cammello”.
“Aaaah, un magio! ma me lo poteva dire... pensi che avevo capito un mago con la bacchetta magica e il cappello...”
“Seh, Harry Potter. E allora, 'sto Mago arriva o no?”
“Vuole il bianco o il negro?”
“E dammeli tutti e due, che non si dica mai... oh. Ecco. Se li metto qui dietro le palme, cosa dici?”
“Ma don Peppino, io sapevo che i Magi si mettono alla Befana”.
“All'Epifania. Lo so. Però sono i pezzi più belli che abbiamo. Artigianato napoletano dell'Ottocento. Parliamoci chiaro, Agnese, non fosse per questi magi, il nostro presepe parrocchiale sarebbe...”
“'na mezza ciofeca”.
“E bada a come parli, nella casa del Signore. Mi dovevi dire qualcosa?”
“Sì, don Peppino, per via di quei due... un signore di mezza età e una ragazzina”.
“Ah”.
“Lui dice che vengono da fuori, erano qui per rinnovare il permesso di soggiorno, se ne ripartono appena possono”.
“Certo, certo, come no”.
“Lui dice che pensava di ripartire in giornata, ma si è trovato una coda lunghissima in questura che non se l'aspettava... quando ha visto venir sera hanno provato a cercare un albergo, ma sa com'è. E gli hanno detto di provare qui”.
“Ovviamente”.
“Don Peppino, ma scusi, ma di Re Magi quanti ce ne vuol mettere?”
“Te l'ho detto, sono i pezzi più belli che abbiamo”.
“Sì, però così tanti non vanno bene”.
“È che sono indeciso. Vedi questi qui, più piccoli, sui dromedari... sono meno antichi degli altri, però... mi sembrano più eleganti, cosa dici?”
“Mah, per me...”
“Con queste finiture in oro che riflettono l'illuminazione... li mettiamo un po' più lontani alla stalla, così non si nota la differenza di proporzioni, e vedrai che...”
“Don Peppino, insomma, qui stiamo a fare un'eresia”.
“Ma cosa dici, un'eresia. Non sai nemmeno di cosa parli”.
“Sarò anche ignorante e quel che vuole lei, però sei Re Magi in un presepe non si sono mai visti”.
“Ne sei sicura?”
“E insomma lo sanno tutti che i Re Magi sono tre”.
“Lo sanno tutti. E dove starebbe scritto?”
“E che ne so io... nel Vangelo”.
“Che Vangelo? Matteo, Marco, Luca... Che Vangelo?”
“Me lo dica lei”.
“Perché vedi Agnese, se tu il Vangelo l'avessi preso in mano sul serio, anche una volta sola, lo sapresti che il numero di magi non c'è, né in Luca né in Matteo. Non è specificato, capisci? Tu pensi che siano in tre perché li hai sempre visti in tre. Ma è un numero come un altro. Due sembravano pochi, quattro sarebbero costati troppo, e così la gente ne metteva tre. Ed è rimasta l'usanza. Però io qui ho due serie, e sono tutti pezzi molto belli, e francamente se devo scegliere tra quei pastori lerci e questi re Magi...”
“Ma dopo non ci sta più spazio per le pecore”.
“Le pecore son tutte grigie. Si son prese il fumo di cent'anni di candele, sembrano sorci giganti. Allora, qui i casi sono due: o usciamo a comprarne di nuove...”
“S'era deciso di fare economia”.
“Ecco, appunto. Oppure lasciamo perdere le pecore e aumentiamo i Magi, che fanno una più bella figura. Ma mi stavi dicendo di quei due. Cosa vogliono?”
“E cosa pensa che vogliano. Chiedevano un posto per dormire”.
“Gliel'hai detto, che in canonica siamo al completo?”
“Gliel'ho spiegato. Hanno chiesto di dormire qui”.
“Eh, certo, come no. Nella casa del Signore. Ci mettiamo due materassi e il vaso da notte”.
“Don Peppino, lo so che è una cosa che non andrebbe fatta. Però fuori sta notte va sottozero... lei li mette qui, li chiude a chiave, e domani sul presto io...”
“Se vogliono escono lo stesso”.
“Ma pensa che possano rubare? Ma non c'è niente di prezioso”.
“Le statuine”.
“Don Peppino, andiamo, le statuine”.
“Artigianato dell'Ottocento. Agnese, noi qui abbiamo un servizio da offrire. Quando vengono i fedeli sotto Natale, e avrai notato che magari si svegliano tardi tutto l'anno, ma sotto Natale non mancano mai, ci sono certe cose che vogliono vedere. Ci sono delle cose a cui tengono, e noi gliele dobbiamo dare, Agnese, sennò tanto vale piantare baracca e burattini”.
“Ma aspettiamo domani a montarlo, il presepe, li mettiamo a dormire qui, e domani...”
“Domani è domenica, e cosa gli mostriamo ai nostri fedeli? Al posto del presepe, un materasso con due stranieri? Da dove dicono di venire?”
“Palestina”.
“Come no. La balla dell'asilo politico. Ci provano tutti. Fidati che sono marocchini come tutti gli altri. Ti hanno mostrato documenti?”
“No. L'uomo dice che si chiama Yussuf. La ragazzina non dice niente”.
“Seh, Yussuf. Tutti Yussuf, si chiamano. E secondo te io domattina ai fedeli, al posto del presepe, ci devo mostrare Yussuf”.
“Don Peppino, lo so, ma se li svegliamo presto...”
“Quello che mi fa più rabbia, Agnese, è che tu magari mi prendi pure per un fanatico. Uno che potrebbe salvare la vita a 'sto Yussuf e invece si preoccupa per le statuine. Perché tu alla fine pensi che io sto giocando con le statuine, che questo è un gioco per me. È questo che mi fa ammattire”.
“Ma io lo so che lei...”
“Il problema è che queste statuine sono il mio lavoro e la mia fede, Agnese, lo capisci o no? Che se volevo fare l'assistente sociale non studiavo per prendermi questo vestito, e non stavo a venire qui, e che va bene l'accoglienza, va bene tutto, ma c'è un limite anche per don Peppino. Adesso mi dici di metter via il presepe per far posto a Yussuf. E il prossimo Yussuf che ha bisogno? Spostiamo la Madonna di Lourdes?”
“Ma è solo per una notte..”
“Una notte, come no. E avranno freddo. Però magari potremmo bruciare un po' di roba, qui, per scaldarli. Tutte 'ste croci, eh? Potremmo infilarle nella stufa a legna”.
“Don Peppino, non dica così”.
“E anche queste statuine. Cosa vuoi che siano delle statuine dell'Ottocento davanti a Yussuf. Questo bambino di legno qui, per esempio, Agnese, lo riconosci?”
“E certo che lo riconosco”.
“E invece magari dopo cinquant'anni che ci passi davanti ti rendi conto che non l'hai mai visto davvero, non ci hai mai riflettuto sul serio. Allora avanti, Agnese, cosa ci vedi?”
“Cosa vuole che ci veda, don Peppino... il bambino, ci vedo”.
“Ma tu ci credi, Agnese, che questo bambino è Gesù Cristo Dio, che si è fatto uomo per salvarci dai nostri peccati, e di nuovo verrà nella gloria, per giudicare... continua tu, Agnese, per giudicare?”
“...i vivi e i morti”.
“Ma ci credi o no?”
“E certo che ci credo”.
“Che lo vedrai, nella sua gloria, quando ritorna, nel Secondo Avvento”.
“Certo”.
“E quindi lo sai che noi siamo qui per testimoniare, e che queste statuette, questo giochino, sono un modo per rendere testimonianza, per ricordare alla nostra gente, ai bambini, agli anziani, che Gesù è in mezzo a noi, per ricordare che bisogna fargli spazio, al momento giusto”.
“Massì...”
“E il giorno che tornerà, il giorno che lo vedrai, perché hai detto che ci credi, Agnese: cosa gli dirai? Signore, scusa, ma quel giorno invece di renderti testimonianza dovevamo far posto a uno nemmeno battezzato, Yussuf, e a sua figlia che...”
“Non è sua figlia”.
“Andiamo bene. Non è sua figlia. E perché sta con lui?”
“Non me l'ha voluto dire”.
“Ma quanti anni avrà?”
“Don Peppino, lei lo sa, queste donne straniere... non me ne intendo”.
“Dimmi quanti anni ha, secondo te”.
“Non più di quindici”.
“Perfetto, allora chiamiamo i carabinieri, che un tetto glielo trovano”.
“No, Don Peppino, non si può. La ragazza ha bisogno di stare tranquilla stanotte. Molto tranquilla”.
“Perché. Cos'ha questa ragazza”.
“Parecchia pancia”.
“Che tipo di pancia?”
“Quella di nove mesi, secondo me”.
“Ma che ne sai, tu, mica ti intendi di donne straniere”.
“Di donne no, di pance sì”.
“Massì, in fondo, che male c'è. Veniamo pure in Italia. Sposiamo pure le bambine, mettiamole pure incinta. Tanto se non si trova un tetto alla fine c'è sempre un prete che ci mette la pezza”.
“Don Peppino, ho capito, allora facciamo così: lei li mette nella mia stanza e col presepe ci resto io”.
“Agnese, per carità non mi fare la santa”.
“E che sarà mai. Mi metto su quella panca lì dietro, lei non sa quante ore ci ho già dormito su quella panca”.
“Lo so, Agnese, però non ti ci addormenti, se non ci sono io che attacco la predica”.
“E lei mi metta il musimatic, vedrà che a mezzo nastro mi addormento. Così, se proprio deve venire stanotte Gesù a giudicare i vivi e i morti, qui trova tutto regolare, va bene?”
“Agnese...”
“Punto la sveglia alle sei”.
Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
Era il Post sotto l'Albero. Buon Natale.
giovedì 23 dicembre 2010
I figli di Bearzot
Per vincere domani
A vederlo da qui, il Calcio italiano sembra avere avuto due incarnazioni, che per comodità possiamo chiamare “in bianco e nero” e “a colori”. Dunque il calcio in bianco e nero è un mondo di leggende, sacrifici, uomini di poche parole dal destino spesso tragico, magliette a strisce strette e senza scritte, riprese accelerate. Il calcio a colori è un mondo di stelle e stelline, scritte ovunque, indossatori di scarpe, spot di telefoni, risse in campo e sugli spalti, azioni al rallentatore. Al centro di questo grande cambio di paradigma, per un curioso accidente, c'è il Mundial del 1982, e la nazionale di Bearzot, coi suoi uomini che hanno un piede nel mondo antico e uno già in quello moderno, ma non appartengono davvero a nessuno dei due.
Aspettate, aspettate, non cliccate via. Non sono venuto qui a dirvi che il nostro mondiale è stato più bello del vostro; vorrei soltanto cercare di spiegare ai più giovani e ai più anziani che per noi, che eravamo al mondo da nemmeno dieci anni, fu qualcosa di diverso e irripetibile, né una saga in bianco e nero né una fiction a colori. Un romanzo, un incredibile romanzo, il primo vero romanzo che abbiamo visto consumarsi tra la tv e i giornali (quanti giornali! E che titoli! Me ne ricorderò sempre uno, che forse non era nemmeno in prima pagina, in un maiuscoletto che pugnalava il cuore: IL CAMERUN CI FA PAURA).
Vorrei spiegare che prima di tutti i grandi romanzi di formazione degli anni Ottanta, prima di Pat Morita che ti fa dare la cera e togliere la cera, prima di Rocky che spacca la legna, persino prima dei napoletani che sfidano a football gli yankees della base Nato e ovviamente si fanno massacrare, finché Bud “Bulldozer” Spencer non si rompe i coglioni ed entra in campo, prima che qualcuno dicesse “coniglio” a Michael J. Fox, insomma, prima di ogni cosa, ci fu quella nazionale pesante, che non riusciva a giocare contro la Polonia, non riusciva a battere il Perù; quella nazionale criticata da tutti che aveva paura del Camerun, quella nazionale passata al secondo turno per una pietosa differenza reti, quella nazionale che quando si ritrovò in un girone a tre con Brasile e Argentina fu data per spacciata dai nostri saggi padri.
Noi invece, non sapendo davvero nulla di calcio, che altro potevamo fare se non sperare, pregare, sognare che i potentissimi sudamericani si liquefacessero come nella Bibbia accade agli empi nemici di Israele. E così fu: il Dio della nostra infanzia ascoltò le querule preghiere dei suoi figli piccoli e quella nazionale, già vergogna delle italiche genti, si rialzò sferragliante come Mazinga prima che gli diano il colpo di grazia, e sconfisse l'Argentina di Maradona, trionfò sul Brasile di Zico e Falcao, passeggiò sulle spoglie della Germania di Muller e Rummenigge, e ci diede il primo vero lieto fine della nostra vita; non una semplice vittoria: una crescita, un riscatto. Lo avevamo sognato, ora il sogno era realtà. Ed era appropriato che i protagonisti di questa avventura avessero nomi bizzarri, da romanzo ungherese: Zoff, Bearzot (anche se poi chi segnava i gol portava cognomi più rassicuranti: Rossi, Tardelli).
L'allenatore, in particolare, fu immediatamente assunto nel nostro olimpo di nonni rassicuranti, con Pertini ed Enzo Ferrari (che per me a nove anni avevano davvero il volto intercambiabile): uomini saggi che tenevano dritto il timone, incuranti delle sconfitte passeggere, essi vegliavano sui nostri sonni e ovviavano ai disastri dei nostri genitori. Senza di loro, Gilles Villeneuve non sarebbe stato che un locale campione d'autoscontro. Erano loro ad aver pescato Paolo Rossi dal vortice del calcioscommesse; ad aver creduto in lui per quattro lunghe partite mentre si aggirava per l'area avversaria struggendosi nel tentativo di rammentarsi le regole del giuoco. E i nostri saggi padri lo fischiavano, maledicendo Bearzot e chi ce l'aveva mandato, e l'Argentina '78 era un'altra cosa, per tacer del Messico.
Come poteva non scattare l'immedesimazione, come potevamo non sentirci tutt'uno con quel Paolo Rossi timido, incapace, distrutto dalle critiche, che a un certo punto si sblocca e piazza tre gol ai brasiliani? Era ovvio che prima o poi sarebbe successo anche a noi: ci saremmo sbloccati. Avremmo spiccato il volo e superato in elevazione tutte le difficoltà. Non è escluso che da qualche parte, nella nostra testa, ci crediamo ancora: ci sbloccheremo prima o poi, la faremo vedere a tutti. Forse sarebbe bastato trovare un saggio maestro, un nonno partigiano, un Bearzot che credesse in noi.
Non ci furono sequel al romanzo: chiusa la copertina Bearzot tornò immediatamente un comune mortale, il selezionatore di nazionali mediocri, che non si qualificarono agli Europei e uscirono agli ottavi in Messico. Ci furono altri mondiali, e anche se non abbiamo mai smesso di tifare per gli azzurri, da qualche parte nel nostro cuore c'era come una resistenza, l'idea che nessuna fiaba sarebbe mai stata bella come quella di Bearzot. Magari piangemmo persino nel '90, quando la cavalcata trionfale di Baggio e Schillaci si schiantò sulla più bituminosa Argentina mai vista: piangemmo, ma qualcosa dentro di noi diceva meglio così, ci sta bene, abbiamo voluto vincere tutte le partite e ci siamo dimenticati che non c'è vera gloria senza sofferenza.
Soffrimmo di più per l'Italia di Sacchi, che in partenza poteva sembrare ancora più arrogante di quella di quattro anni prima, ma poi fu messa in ginocchio da infortuni e squalifiche che la resero un'armata brancaleone, trascinata di peso da Baggio fino al malinconico finale. In seguito i calciatori diventarono sempre meno simpatici, eppure avevano un modo di mettersi nei guai che ti costringeva a credere in loro, a sperare nel riscatto, a cercare nel fondo del nostro cuore il Dio delle vittorie assurde che avevamo pregato nel 1982. Persino l'europeo di Grecia diventò interessante soltanto quando Totti si fece cacciare, e Cassano scese in campo e segnò, ma Svezia e Danimarca fecero melina e allora pianse: sì, Cassano pianse. Due anni dopo, in pieno scandalo Moggi, era di nuovo una questione di riscatto: i nostri gladiatori pompati e tatuati dovevano dimostrare di essere professionisti all'altezza, e forse ce la fecero, ma poi.
Poi, l'ho scritto, almeno in me qualcosa si è rotto – qualcosa, credo, tra la testata di Zidane e la scenetta odiosa di Totti con la coppa in mano. Non riesco più ad appassionarmi, mi sembro una donna che vede ventidue idioti a spasso per un prato e cambia canale. Non capisco - se mai l'ho capito - che senso abbia far giocare miliardi di budget contro milioni di debiti, non riesco più a trovare motivi d'interesse. Non posso nemmeno dire che rimpiango il calcio che fu: se riguardo al Mundial dell'82 con gli occhi di oggi, mi rendo conto che fu una bella impresa, sì, ma come tante altre, nulla di davvero eccezionale: non ci voleva un genio a capire che quel Brasile non sapeva difendersi, e Bearzot probabilmente non era un genio.
L'unica cosa che mi porto dentro, alla quale non voglio rinunciare, è il mio concetto di vittoria, che è quello dei film degli anni Ottanta dove Rocky deve sempre prima andare al tappeto, sanguinare, vedere doppio, spaccare la legna, mettere la cera, togliere la cera... per vincere domani. Il mio concetto di vittoria è che la vittoria in sé non m'interessa. Non voglio essere il più forte, non trovo nessuna gloria nel nascere Maradona. Non ci sarebbe gloria nemmeno nel battere il Brasile, se prima non hai avuto paura del Camerun. Per me l'unica vittoria che abbia senso è la vittoria di Paolo Rossi, che sbeffeggiato dal mondo intero spicca il volo, supera due ciclopi brasiliani in elevazione e la mette dentro. Perciò mi troverete sempre coi perdenti: non perché mi piaccia perdere, ma perché sto aspettando l'unica vittoria che mi farebbe godere realmente: la vittoria di Davide su Golia, di Bearzot sui mostri del calcio, di Pertini sui fascisti i nazisti e i democristiani. Voi tifate pure per la vostra squadra miliardaria: mica vi giudico, e mi fareste un piacere se non giudicaste me. Siamo semplicemente diversi, abbiamo avuto educazioni diverse, ci siamo letti romanzi diversi negli anni in cui leggere i romanzi ci serviva davvero. Adesso per capirsi forse è tardi, voi state da una parte, io dall'altra, e non m'importa quante palle mi mettete dentro: l'importante è la sola palla che un giorno metteremo noi. Ne basterà una sola, a un certo punto ci sbloccheremo, scenderà Bulldozer, il signore degli Eserciti, vi faremo un culo così, la palla schiacciata in meta scoppierà e non ne verranno fabbricate altre, non ci saranno rivincite, il mio romanzo finirà in quel momento.
A vederlo da qui, il Calcio italiano sembra avere avuto due incarnazioni, che per comodità possiamo chiamare “in bianco e nero” e “a colori”. Dunque il calcio in bianco e nero è un mondo di leggende, sacrifici, uomini di poche parole dal destino spesso tragico, magliette a strisce strette e senza scritte, riprese accelerate. Il calcio a colori è un mondo di stelle e stelline, scritte ovunque, indossatori di scarpe, spot di telefoni, risse in campo e sugli spalti, azioni al rallentatore. Al centro di questo grande cambio di paradigma, per un curioso accidente, c'è il Mundial del 1982, e la nazionale di Bearzot, coi suoi uomini che hanno un piede nel mondo antico e uno già in quello moderno, ma non appartengono davvero a nessuno dei due.
Aspettate, aspettate, non cliccate via. Non sono venuto qui a dirvi che il nostro mondiale è stato più bello del vostro; vorrei soltanto cercare di spiegare ai più giovani e ai più anziani che per noi, che eravamo al mondo da nemmeno dieci anni, fu qualcosa di diverso e irripetibile, né una saga in bianco e nero né una fiction a colori. Un romanzo, un incredibile romanzo, il primo vero romanzo che abbiamo visto consumarsi tra la tv e i giornali (quanti giornali! E che titoli! Me ne ricorderò sempre uno, che forse non era nemmeno in prima pagina, in un maiuscoletto che pugnalava il cuore: IL CAMERUN CI FA PAURA).
Vorrei spiegare che prima di tutti i grandi romanzi di formazione degli anni Ottanta, prima di Pat Morita che ti fa dare la cera e togliere la cera, prima di Rocky che spacca la legna, persino prima dei napoletani che sfidano a football gli yankees della base Nato e ovviamente si fanno massacrare, finché Bud “Bulldozer” Spencer non si rompe i coglioni ed entra in campo, prima che qualcuno dicesse “coniglio” a Michael J. Fox, insomma, prima di ogni cosa, ci fu quella nazionale pesante, che non riusciva a giocare contro la Polonia, non riusciva a battere il Perù; quella nazionale criticata da tutti che aveva paura del Camerun, quella nazionale passata al secondo turno per una pietosa differenza reti, quella nazionale che quando si ritrovò in un girone a tre con Brasile e Argentina fu data per spacciata dai nostri saggi padri.
Noi invece, non sapendo davvero nulla di calcio, che altro potevamo fare se non sperare, pregare, sognare che i potentissimi sudamericani si liquefacessero come nella Bibbia accade agli empi nemici di Israele. E così fu: il Dio della nostra infanzia ascoltò le querule preghiere dei suoi figli piccoli e quella nazionale, già vergogna delle italiche genti, si rialzò sferragliante come Mazinga prima che gli diano il colpo di grazia, e sconfisse l'Argentina di Maradona, trionfò sul Brasile di Zico e Falcao, passeggiò sulle spoglie della Germania di Muller e Rummenigge, e ci diede il primo vero lieto fine della nostra vita; non una semplice vittoria: una crescita, un riscatto. Lo avevamo sognato, ora il sogno era realtà. Ed era appropriato che i protagonisti di questa avventura avessero nomi bizzarri, da romanzo ungherese: Zoff, Bearzot (anche se poi chi segnava i gol portava cognomi più rassicuranti: Rossi, Tardelli).
L'allenatore, in particolare, fu immediatamente assunto nel nostro olimpo di nonni rassicuranti, con Pertini ed Enzo Ferrari (che per me a nove anni avevano davvero il volto intercambiabile): uomini saggi che tenevano dritto il timone, incuranti delle sconfitte passeggere, essi vegliavano sui nostri sonni e ovviavano ai disastri dei nostri genitori. Senza di loro, Gilles Villeneuve non sarebbe stato che un locale campione d'autoscontro. Erano loro ad aver pescato Paolo Rossi dal vortice del calcioscommesse; ad aver creduto in lui per quattro lunghe partite mentre si aggirava per l'area avversaria struggendosi nel tentativo di rammentarsi le regole del giuoco. E i nostri saggi padri lo fischiavano, maledicendo Bearzot e chi ce l'aveva mandato, e l'Argentina '78 era un'altra cosa, per tacer del Messico.
Come poteva non scattare l'immedesimazione, come potevamo non sentirci tutt'uno con quel Paolo Rossi timido, incapace, distrutto dalle critiche, che a un certo punto si sblocca e piazza tre gol ai brasiliani? Era ovvio che prima o poi sarebbe successo anche a noi: ci saremmo sbloccati. Avremmo spiccato il volo e superato in elevazione tutte le difficoltà. Non è escluso che da qualche parte, nella nostra testa, ci crediamo ancora: ci sbloccheremo prima o poi, la faremo vedere a tutti. Forse sarebbe bastato trovare un saggio maestro, un nonno partigiano, un Bearzot che credesse in noi.
Non ci furono sequel al romanzo: chiusa la copertina Bearzot tornò immediatamente un comune mortale, il selezionatore di nazionali mediocri, che non si qualificarono agli Europei e uscirono agli ottavi in Messico. Ci furono altri mondiali, e anche se non abbiamo mai smesso di tifare per gli azzurri, da qualche parte nel nostro cuore c'era come una resistenza, l'idea che nessuna fiaba sarebbe mai stata bella come quella di Bearzot. Magari piangemmo persino nel '90, quando la cavalcata trionfale di Baggio e Schillaci si schiantò sulla più bituminosa Argentina mai vista: piangemmo, ma qualcosa dentro di noi diceva meglio così, ci sta bene, abbiamo voluto vincere tutte le partite e ci siamo dimenticati che non c'è vera gloria senza sofferenza.
Soffrimmo di più per l'Italia di Sacchi, che in partenza poteva sembrare ancora più arrogante di quella di quattro anni prima, ma poi fu messa in ginocchio da infortuni e squalifiche che la resero un'armata brancaleone, trascinata di peso da Baggio fino al malinconico finale. In seguito i calciatori diventarono sempre meno simpatici, eppure avevano un modo di mettersi nei guai che ti costringeva a credere in loro, a sperare nel riscatto, a cercare nel fondo del nostro cuore il Dio delle vittorie assurde che avevamo pregato nel 1982. Persino l'europeo di Grecia diventò interessante soltanto quando Totti si fece cacciare, e Cassano scese in campo e segnò, ma Svezia e Danimarca fecero melina e allora pianse: sì, Cassano pianse. Due anni dopo, in pieno scandalo Moggi, era di nuovo una questione di riscatto: i nostri gladiatori pompati e tatuati dovevano dimostrare di essere professionisti all'altezza, e forse ce la fecero, ma poi.
Poi, l'ho scritto, almeno in me qualcosa si è rotto – qualcosa, credo, tra la testata di Zidane e la scenetta odiosa di Totti con la coppa in mano. Non riesco più ad appassionarmi, mi sembro una donna che vede ventidue idioti a spasso per un prato e cambia canale. Non capisco - se mai l'ho capito - che senso abbia far giocare miliardi di budget contro milioni di debiti, non riesco più a trovare motivi d'interesse. Non posso nemmeno dire che rimpiango il calcio che fu: se riguardo al Mundial dell'82 con gli occhi di oggi, mi rendo conto che fu una bella impresa, sì, ma come tante altre, nulla di davvero eccezionale: non ci voleva un genio a capire che quel Brasile non sapeva difendersi, e Bearzot probabilmente non era un genio.
L'unica cosa che mi porto dentro, alla quale non voglio rinunciare, è il mio concetto di vittoria, che è quello dei film degli anni Ottanta dove Rocky deve sempre prima andare al tappeto, sanguinare, vedere doppio, spaccare la legna, mettere la cera, togliere la cera... per vincere domani. Il mio concetto di vittoria è che la vittoria in sé non m'interessa. Non voglio essere il più forte, non trovo nessuna gloria nel nascere Maradona. Non ci sarebbe gloria nemmeno nel battere il Brasile, se prima non hai avuto paura del Camerun. Per me l'unica vittoria che abbia senso è la vittoria di Paolo Rossi, che sbeffeggiato dal mondo intero spicca il volo, supera due ciclopi brasiliani in elevazione e la mette dentro. Perciò mi troverete sempre coi perdenti: non perché mi piaccia perdere, ma perché sto aspettando l'unica vittoria che mi farebbe godere realmente: la vittoria di Davide su Golia, di Bearzot sui mostri del calcio, di Pertini sui fascisti i nazisti e i democristiani. Voi tifate pure per la vostra squadra miliardaria: mica vi giudico, e mi fareste un piacere se non giudicaste me. Siamo semplicemente diversi, abbiamo avuto educazioni diverse, ci siamo letti romanzi diversi negli anni in cui leggere i romanzi ci serviva davvero. Adesso per capirsi forse è tardi, voi state da una parte, io dall'altra, e non m'importa quante palle mi mettete dentro: l'importante è la sola palla che un giorno metteremo noi. Ne basterà una sola, a un certo punto ci sbloccheremo, scenderà Bulldozer, il signore degli Eserciti, vi faremo un culo così, la palla schiacciata in meta scoppierà e non ne verranno fabbricate altre, non ci saranno rivincite, il mio romanzo finirà in quel momento.
martedì 21 dicembre 2010
Il sacrificio di Fini
Il guaio di esserci appassionati di politica, magari quindici o vent'anni fa, e di non essercene ancora inspiegabilmente stancati, è che rischiamo di essere vittima delle nostre inutili frustrazioni, di vecchi rancori che non hanno più senso, perché non siamo mica al bar sport qui, non ci stiamo mica sfottendo tra interisti e milanisti; a parte che anche lì, se alla fine Ibrahimovic può passare al Milan, perché non potrebbe Fini apparentarsi col PD? Chi siamo noi per dire di no, da quale pilastro di granitica coerenza ci sporgiamo con l'aria dei duri e dei puri? E perché continuiamo ad avercela con D'Alema, che senso ha tenersi al dito per tutti questi anni uno sgarbo, una cattiva parola? Già, sono detriti di vecchie passioni che non hanno più senso, se mai lo hanno avuto - io però non lo voterò, Gianfranco Fini; e non mi fiderò di D'Alema. Lo so che tutti cambiano, e ammetto che Fini è molto cambiato, e voglio sperare che D'Alema avrà imparato dai tanti suoi errori: ugualmente, grazie, no. E' un comportamento irrazionale, me ne rendo conto. Un comportamento che non fa onore a un elettore moderno, democratico, postideologico, postballevarie.
Mi resta il dubbio che sia un problema di cognomi. Voglio dire: se al posto di "Gianfranco Fini" e tutto quello che mi rappresenta dal MSI a Berlusconi, ci fosse uno sconosciuto che dice le cose che Fini ha detto negli ultimi mesi, lo voterei? Accetterei di votare una coalizione dove c'è anche lui in un bel collegio blindato? Ho votato per la Binetti, ho mandato Calearo in parlamento, probabilmente sì, ci manderei anche lui. Non si chiamasse Gianfranco - oh, Gianfranco, perché sei tu Gianfranco? rinnega il tuo nome. Sì, potrei accettarlo. Peccato che chi mi consiglia una mossa del genere sia lo stratega di cento battaglie perdute, Massimo D'Alema - ma anche lui, perché si ostina a farsi chiamare così? Basterebbe che la stessa strategia me la suggerisse "Mario Rossi", e potrebbe sembrarmi ragionevole. Lo vedete? E' un problema di cognomi, e delle lunghe storie che ci sono dietro.
Proviamo a farne a meno. Cancelliamo il cognome D'Alema, cancelliamo il nome Gianfranco, e anche i nomi dei partiti, cancelliamo tutto. Tabula rasa. Fingiamo di essere atterrati da pochi minuti su un pianeta XYZ, dove due anni fa ci sono state le elezioni con una legge elettorale uninominale con sbarramento al 4%. Hanno partecipato alla competizione il Polo Arancione, il Centro Giallo, il Polo Marron e la Rifondazione Bordeaux. Le percentuali si sono ripartite più o meno così:
Sì, sono una schiappa coi grafici, grazie. La collocazione dei partiti a destra, a centro e a sinistra non ha nulla a che vedere con le rispettive ideologie, che non conosciamo assolutamente. L'unica cosa che sappiamo è che gli elettori dei due principali blocchi detestano i dirigenti del blocco opposto. Come avrete notato la mezza torta non arriva al 100%: in effetti mancano briciole, che non passeranno comunque lo sbarramento (non lo passano nemmeno i bordeaux, se è per questo). L'impressione generale è di equilibrio: con questi numeri il Centro Giallo potrebbe fare da ago della bilancia - se non si trattasse, appunto, di uninominale con sbarramento al 4% (la faccio semplice, in realtà è più complicata, lo so). Infatti la vera ripartizione dei seggi in Parlamento sarà questa:
Come dicevamo i Bordeaux sono scomparsi: in nessun distretto del pianeta erano abbastanza radicati da oltrepassare lo sbarramento. I Gialli no, ma soltanto perché sono ben radicati in una regione; una regione periferica, ancorché molto popolata, e dotata di una classe dirigente particolarmente corrotta e di organizzazioni criminali eccezionalmente professionali. Quindi, in sostanza, gli Arancioni, col 46% dei suffragi, hanno i numeri per governare, e i Marron i numeri per stracciarsi le vesti, aprire un dibattito interno, cambiare i vertici, tutte quelle cose che un Partito di solito fa quando perde.
Dopo due anni succede una cosa abbastanza imprevista: una spaccatura nella coalizione di maggioranza provoca un travaso di seggi verso il Centro Giallo, che si ribattezza pomposamente Terzo Polo Giallo. Il problema è che di poli, per definizione, anche sul pianeta XYZ ce ne possono essere soltanto due: è la regola del gioco, chi vince prende più o meno tutto. I dati del terzo grafico sono presi da un sondaggio della settimana scorsa; nel frattempo pare che l'ondata gialla si sia un po' sgonfiata, comunque prendiamoli per buoni. Ecco qua:
Come vedete, sono tornati i Bordeaux, che nel frattempo si sono scissi tra Bordeaux e Lillà. I primi qui valgono da soli un 4,5%, e quindi hanno qualche chances di tornare in Parlamento; quanto al Centro, pardon, Polo Giallo, la sua sopravvivenza è fuori discussione, non fosse per quei famosi distretti elettorali della regione periferica eccetera.
Ma questi sono solo sondaggi. Vincerà chi sa interpretare meglio lo spirito del gioco. Direi che i principi fondamentali sono:
1) Piacere al proprio elettorato di riferimento. Sembra banale, in realtà è la cosa più difficile. L'astensione è sempre più forte, e penalizza le due coalizioni più grandi. In realtà un partito che riuscisse a piacere davvero al suo elettore-tipo potrebbe vincere le elezioni infischiandosi di qualsiasi alleanza o apparentamento.
2) Coprirsi alle estremità. Esse sono popolate da partitini piccoli e minuscoli, che con i loro 0,5 per cento non vinceranno mai una circoscrizione, ma possono essere decisivi nel far perdere il concorrente moderato. Gli arancioni lo sanno bene, e alla loro estremità hanno tirato su qualsiasi cosa, compresi i topi di fogna. I marron hanno più difficoltà: anche se si alleano coi Bordeaux, rimane il problema dei Lillà. Che non danno eccessivi pensieri, comunque.
3) Proporsi al Centro, per erodere qualche voto ai Gialli e addirittura agli avversari. Da anni ci provano tutti, in realtà non ci riesce nessuno.
Il problema, per i due veri concorrenti (Arancioni e Marron), è sempre quello della "coperta troppo corta": coprendoti alle estremità ti scopri al Centro; e mentre tiri di qui e di là vieni meno al primo principio: rimanere fedeli al proprio elettore. In effetti quello che ha dato la marcia in più agli Arancioni è un leader in grado di assorbire le contraddizioni senza risolverle: sotto il suo mantello mette insieme nordisti e meridionali, liberisti e statali, cattolici e mignotte, incredibile ma è così. Ah, inoltre possiede quasi tutte le reti televisive, buffo.
Rimane da capire cosa succederà ai Gialli. Non scompariranno, ma non possono in nessun modo vincere le elezioni. Possono invece farle perdere. A chi? Le possibilità stavolta sono soltanto due:
a) Se partecipano da soli, possono dare notevoli fastidi agli Arancioni: molto più grossi di quelli che i Bordeaux potrebbero dare ai Marron. Basta raccogliere un due per cento qua e un tre per cento là per far perdere agli Arancioni decine di seggi. E con decine di seggi in meno si perdono le elezioni.
b) Se partecipano con i Marron, l'effetto di disturbo nei confronti degli Arancioni viene a mancare del tutto. Inoltre i Marron rischiano di strappare la coperta: di non convincere il proprio elettorato o quello dei Bordeaux, che potrebbe ripiegare sui Lillà o sul partitino di un ex comico televisivo. Potrebbero compensare la perdita di voti con i seggi che sicuramente guadagneranno in quella famosa regione un po' corrotta: ma li dovranno spartire, probabilmente a tutto vantaggio di quel Centro Giallo che manterrà un'identità diversa, e che dopo le elezioni, anche in caso di vittoria, potrebbe comunque decidere di andarsene per i fatti suoi, o tornarsene in braccio a Papà Arancione. Visto che non c'è un solo Giallo importante che non abbia un passato arancione (uno veramente c'è: si chiama Rutelzxcvcvzx, conta lo 0,5, e ha cambiato più partiti che cravatte).
Dunque, io se fossi nei Marron, non avrei neanche un attimo di esitazione: Cercherei di coprirmi agli estremi, aprendo ai Viola, magari anche ai Lillà e al comico televisivo. E abbandonerei i Gialli al loro destino: molti di loro cadranno sotto lo sbarramento, ma il loro sacrificio non sarà vano: toglieranno ai candidati Arancioni quel due, quel tre per cento che serviva a farli vincere. E' chiaro che ai Gialli non piacerà il loro ruolo di vittime sacrificali, ma siccome sono mesi che litigano con gli Arancioni e li considerano i nemici del futuro e della libertà, si tratta di essere coerenti e di affrontare serenamente il giudizio degli italiani, pardon, il giudizio degli abitanti del pianeta XYZ. Quindi su, ragazzi, che chi muor per la Patria vissuto è assai. Al limite vi faremo un monumento. E verremo a dar le briciole ai piccioni.
Tutti d'accordo, insomma? No. So che è incredibile, ma c'è tra le fila dei Marroni un fine politologo che insiste per un'alleanza Bordeaux-Marron-Gialla. Si chiama Mario Rossi, e io non ho motivi per dubitare delle sue competenze (in realtà non lo conosco molto) ma veramente non riesco a capire il suo ragionamento. Davvero crede che i Marron riusciranno a prendere qualche voto in più alleandosi con quelle facce gialle che per anni i loro elettori hanno visto sui manifesti nemici? Ma se anche vincessero, quanto a lungo durerebbe l'arcobaleno giallo-bordeaux-marron? Sono domande a cui Mario Rossi non risponde. Certo, ha l'aria di saperla lunga, e voglio pensare che i rudi calcoli che qui ho fatto io li abbia fatti anche lui. E quindi? Niente, a questo punto non mi resta che fidarmi di Mario Rossi. In fondo sono appena arrivato sul pianeta Xyz, devo ancora imparare tante cose; mentre lui ha l'aria di uno che la sa lunga. E poi chissà quante elezioni ha già vinto.
Mi resta il dubbio che sia un problema di cognomi. Voglio dire: se al posto di "Gianfranco Fini" e tutto quello che mi rappresenta dal MSI a Berlusconi, ci fosse uno sconosciuto che dice le cose che Fini ha detto negli ultimi mesi, lo voterei? Accetterei di votare una coalizione dove c'è anche lui in un bel collegio blindato? Ho votato per la Binetti, ho mandato Calearo in parlamento, probabilmente sì, ci manderei anche lui. Non si chiamasse Gianfranco - oh, Gianfranco, perché sei tu Gianfranco? rinnega il tuo nome. Sì, potrei accettarlo. Peccato che chi mi consiglia una mossa del genere sia lo stratega di cento battaglie perdute, Massimo D'Alema - ma anche lui, perché si ostina a farsi chiamare così? Basterebbe che la stessa strategia me la suggerisse "Mario Rossi", e potrebbe sembrarmi ragionevole. Lo vedete? E' un problema di cognomi, e delle lunghe storie che ci sono dietro.
Proviamo a farne a meno. Cancelliamo il cognome D'Alema, cancelliamo il nome Gianfranco, e anche i nomi dei partiti, cancelliamo tutto. Tabula rasa. Fingiamo di essere atterrati da pochi minuti su un pianeta XYZ, dove due anni fa ci sono state le elezioni con una legge elettorale uninominale con sbarramento al 4%. Hanno partecipato alla competizione il Polo Arancione, il Centro Giallo, il Polo Marron e la Rifondazione Bordeaux. Le percentuali si sono ripartite più o meno così:
Sì, sono una schiappa coi grafici, grazie. La collocazione dei partiti a destra, a centro e a sinistra non ha nulla a che vedere con le rispettive ideologie, che non conosciamo assolutamente. L'unica cosa che sappiamo è che gli elettori dei due principali blocchi detestano i dirigenti del blocco opposto. Come avrete notato la mezza torta non arriva al 100%: in effetti mancano briciole, che non passeranno comunque lo sbarramento (non lo passano nemmeno i bordeaux, se è per questo). L'impressione generale è di equilibrio: con questi numeri il Centro Giallo potrebbe fare da ago della bilancia - se non si trattasse, appunto, di uninominale con sbarramento al 4% (la faccio semplice, in realtà è più complicata, lo so). Infatti la vera ripartizione dei seggi in Parlamento sarà questa:
Come dicevamo i Bordeaux sono scomparsi: in nessun distretto del pianeta erano abbastanza radicati da oltrepassare lo sbarramento. I Gialli no, ma soltanto perché sono ben radicati in una regione; una regione periferica, ancorché molto popolata, e dotata di una classe dirigente particolarmente corrotta e di organizzazioni criminali eccezionalmente professionali. Quindi, in sostanza, gli Arancioni, col 46% dei suffragi, hanno i numeri per governare, e i Marron i numeri per stracciarsi le vesti, aprire un dibattito interno, cambiare i vertici, tutte quelle cose che un Partito di solito fa quando perde.
Dopo due anni succede una cosa abbastanza imprevista: una spaccatura nella coalizione di maggioranza provoca un travaso di seggi verso il Centro Giallo, che si ribattezza pomposamente Terzo Polo Giallo. Il problema è che di poli, per definizione, anche sul pianeta XYZ ce ne possono essere soltanto due: è la regola del gioco, chi vince prende più o meno tutto. I dati del terzo grafico sono presi da un sondaggio della settimana scorsa; nel frattempo pare che l'ondata gialla si sia un po' sgonfiata, comunque prendiamoli per buoni. Ecco qua:
Come vedete, sono tornati i Bordeaux, che nel frattempo si sono scissi tra Bordeaux e Lillà. I primi qui valgono da soli un 4,5%, e quindi hanno qualche chances di tornare in Parlamento; quanto al Centro, pardon, Polo Giallo, la sua sopravvivenza è fuori discussione, non fosse per quei famosi distretti elettorali della regione periferica eccetera.
Ma questi sono solo sondaggi. Vincerà chi sa interpretare meglio lo spirito del gioco. Direi che i principi fondamentali sono:
1) Piacere al proprio elettorato di riferimento. Sembra banale, in realtà è la cosa più difficile. L'astensione è sempre più forte, e penalizza le due coalizioni più grandi. In realtà un partito che riuscisse a piacere davvero al suo elettore-tipo potrebbe vincere le elezioni infischiandosi di qualsiasi alleanza o apparentamento.
2) Coprirsi alle estremità. Esse sono popolate da partitini piccoli e minuscoli, che con i loro 0,5 per cento non vinceranno mai una circoscrizione, ma possono essere decisivi nel far perdere il concorrente moderato. Gli arancioni lo sanno bene, e alla loro estremità hanno tirato su qualsiasi cosa, compresi i topi di fogna. I marron hanno più difficoltà: anche se si alleano coi Bordeaux, rimane il problema dei Lillà. Che non danno eccessivi pensieri, comunque.
3) Proporsi al Centro, per erodere qualche voto ai Gialli e addirittura agli avversari. Da anni ci provano tutti, in realtà non ci riesce nessuno.
Il problema, per i due veri concorrenti (Arancioni e Marron), è sempre quello della "coperta troppo corta": coprendoti alle estremità ti scopri al Centro; e mentre tiri di qui e di là vieni meno al primo principio: rimanere fedeli al proprio elettore. In effetti quello che ha dato la marcia in più agli Arancioni è un leader in grado di assorbire le contraddizioni senza risolverle: sotto il suo mantello mette insieme nordisti e meridionali, liberisti e statali, cattolici e mignotte, incredibile ma è così. Ah, inoltre possiede quasi tutte le reti televisive, buffo.
Rimane da capire cosa succederà ai Gialli. Non scompariranno, ma non possono in nessun modo vincere le elezioni. Possono invece farle perdere. A chi? Le possibilità stavolta sono soltanto due:
a) Se partecipano da soli, possono dare notevoli fastidi agli Arancioni: molto più grossi di quelli che i Bordeaux potrebbero dare ai Marron. Basta raccogliere un due per cento qua e un tre per cento là per far perdere agli Arancioni decine di seggi. E con decine di seggi in meno si perdono le elezioni.
b) Se partecipano con i Marron, l'effetto di disturbo nei confronti degli Arancioni viene a mancare del tutto. Inoltre i Marron rischiano di strappare la coperta: di non convincere il proprio elettorato o quello dei Bordeaux, che potrebbe ripiegare sui Lillà o sul partitino di un ex comico televisivo. Potrebbero compensare la perdita di voti con i seggi che sicuramente guadagneranno in quella famosa regione un po' corrotta: ma li dovranno spartire, probabilmente a tutto vantaggio di quel Centro Giallo che manterrà un'identità diversa, e che dopo le elezioni, anche in caso di vittoria, potrebbe comunque decidere di andarsene per i fatti suoi, o tornarsene in braccio a Papà Arancione. Visto che non c'è un solo Giallo importante che non abbia un passato arancione (uno veramente c'è: si chiama Rutelzxcvcvzx, conta lo 0,5, e ha cambiato più partiti che cravatte).
Dunque, io se fossi nei Marron, non avrei neanche un attimo di esitazione: Cercherei di coprirmi agli estremi, aprendo ai Viola, magari anche ai Lillà e al comico televisivo. E abbandonerei i Gialli al loro destino: molti di loro cadranno sotto lo sbarramento, ma il loro sacrificio non sarà vano: toglieranno ai candidati Arancioni quel due, quel tre per cento che serviva a farli vincere. E' chiaro che ai Gialli non piacerà il loro ruolo di vittime sacrificali, ma siccome sono mesi che litigano con gli Arancioni e li considerano i nemici del futuro e della libertà, si tratta di essere coerenti e di affrontare serenamente il giudizio degli italiani, pardon, il giudizio degli abitanti del pianeta XYZ. Quindi su, ragazzi, che chi muor per la Patria vissuto è assai. Al limite vi faremo un monumento. E verremo a dar le briciole ai piccioni.
Tutti d'accordo, insomma? No. So che è incredibile, ma c'è tra le fila dei Marroni un fine politologo che insiste per un'alleanza Bordeaux-Marron-Gialla. Si chiama Mario Rossi, e io non ho motivi per dubitare delle sue competenze (in realtà non lo conosco molto) ma veramente non riesco a capire il suo ragionamento. Davvero crede che i Marron riusciranno a prendere qualche voto in più alleandosi con quelle facce gialle che per anni i loro elettori hanno visto sui manifesti nemici? Ma se anche vincessero, quanto a lungo durerebbe l'arcobaleno giallo-bordeaux-marron? Sono domande a cui Mario Rossi non risponde. Certo, ha l'aria di saperla lunga, e voglio pensare che i rudi calcoli che qui ho fatto io li abbia fatti anche lui. E quindi? Niente, a questo punto non mi resta che fidarmi di Mario Rossi. In fondo sono appena arrivato sul pianeta Xyz, devo ancora imparare tante cose; mentre lui ha l'aria di uno che la sa lunga. E poi chissà quante elezioni ha già vinto.
lunedì 20 dicembre 2010
Che fare?
Va bene, insomma, è andata così. Ma adesso cosa farete?
Cosa fare dopo la spranga è sull'Unita.it, e si commenta qui, (ma anche qui, e magari in altri posti che non so). In bocca al lupo a chi ne ha un gran bisogno.
Cosa fare dopo la spranga
Se c'è qualcosa che ho trovato discutibile, nelle parole di Saviano sugli scontri di Roma, è l'evocazione degli anni anni di piombo, “la trappola degli anni '70, di cui si sente già il puzzo”: l'idea, insomma, che gli incappucciati di lunedì diventino, man mano che si alza la tensione, i brigatisti di domani. È una teoria suggestiva, che si è sentita tante volte, e che a mio parere non funziona. La spranga non conduce alla p38, così come la canna non porta infallibilmente all'eroina.
Proviamo per una volta ad accantonarli, quei puzzolenti anni '70, e a dare un'occhiata al passato più recente. Dieci anni fa, per esempio, in Italia c'era un movimento composito e più o meno organizzato che aveva per obiettivi i vertici internazionali. Tute bianche a nord, Rete No Global a sud, e una spolverata di anarcoinsurrezionalisti qua e là, oltre ai fantomatici Black bloc dal nord Europa. Anche a quei tempi di spranghe e di caschi se ne videro parecchi, anche allora la repressione fu pesante. Bene, dove sono i 'violenti' di dieci anni fa? Hanno formato gruppi terroristici? No, non è successo. Nessuno è entrato nelle vecchie organizzazioni, come le Br, ridotte a una setta di reduci; nessuno ne ha fondate di nuove. A meno di non voler contare i bombaroli dei cassonetti, quegli anarchici informali che sono pure l'organizzazione terroristica autoctona oggi più temuta dal ministero degli Interni (il che equivale a dire che oggi non esiste una organizzazione terroristica italiana degna di nota).
Persino nei momenti più difficili, quando a Genova i manifestanti furono caricati e torturati con una brutalità sistematica che non aveva precedenti, nemmeno il più esagitato attivista prese mai seriamente in considerazione l'opzione del terrorismo. La stagione della p38 è finita, in Italia e in generale in Europa: semmai sono stati gli anni Settanta un'eccezione, nata e alimentata all'ombra della cortina di ferro, in una situazione geopolitica che non esiste più. Tirarli fuori è un riflesso condizionato dei reduci – che a questo punto vanno verso la sessantina. Chi è più giovane dovrebbe preoccuparsi d'altro.
Per esempio: se dopo la spranga non c'è la P38, cosa c'è? Ecco, il problema è un po' questo. Per Berlusconi c'è la campagna elettorale, che paradossalmente è cominciata proprio col voto di fiducia del 14 dicembre; e dal suo punto di vista non poteva iniziare meglio. L'immagine di Piazza del Popolo a ferro e a fuoco era esattamente quello che gli serviva per dimostrare ai suoi tele-elettori di età medio-avanzata che l'unica alternativa a lui è il Caos. Il favore reso dai vandali a Berlusconi è tanto evidente che siamo stati in molti, a caldo, a pensare agli infiltrati. È un sospetto che rimane legittimo, anche dopo che è stato identificato il ragazzo del famoso “cappotto marron”; se non altro perché certi metodi in Italia sono stati usati più volte, Cossiga insegna; ma visto che mi ero ripromesso di non parlare più dei '70, mi basta ricordare che di infiltrati ce ne furono a Genova, che si misero perfino a fabbricare molotov; e se nel frattempo i quadri della polizia non sono troppo cambiati, gli uomini al governo sono più o meno gli stessi. Certo, per trasformare un corteo in una battaglia non basta una manciata di agenti provocatori; eppure alcuni dettagli restano inquietanti: quel camion di cantiere pieno di badili e pale, lasciato in bella mostra a pochi passi dal Senato; il modo in cui la camionetta dei finanzieri è stata lasciata in prima fila, quasi a fare da esca, che ricorda in modo sinistro la dinamica di Piazza Alimonda.
Detto questo, diversi studenti hanno probabilmente scelto la spranga convinti che quella fosse l'unica opzione praticabile in quel momento. Sono stati messi in condizione di farlo da un governo che finora ha irriso le loro richieste, e al momento giusto li ha messi all'angolo, col vecchio trucco della 'zona rossa'. È andata così: ma adesso? Cosa succede dopo la spranga?
Detto questo, diversi studenti hanno probabilmente scelto la spranga convinti che quella fosse l'unica opzione praticabile in quel momento. Sono stati messi in condizione di farlo da un governo che finora ha irriso le loro richieste, e al momento giusto li ha messi all'angolo, col vecchio trucco della 'zona rossa'. È andata così: ma adesso? Cosa succede dopo la spranga?
Potrebbe anche non succedere più niente: la spranga sarebbe semplicemente l'inizio della fine. A volte è successo. La risposta di molti giovani (e meno giovani) a Saviano è stata: non c'eri, non puoi capire, è da un anno che manifestiamo pacificamente e non succede nulla, adesso siamo stanchi. La spranga come segno di disperazione, di stanchezza. Ci può stare. Il problema è che di solito dopo la stanchezza e la disperazione non viene nulla di buono: la rassegnazione, il più delle volte. Qualcuno si radicalizzerà, raccogliendo le provocazioni del governo che blatera di "daspo" e "arresti preventivi". Qualcun altro non raccoglierà; ci saranno distinguo e secessioni; qualcuno, semplicemente se ne andrà, come il quindicenne che era in piazza a tirare verdura alla polizia, aggredito da un cappuccio nero, che si è svegliato all'ospedale e ha già fatto sapere che nei cortei non verrà più: uno in meno. Altri emigreranno all'estero, altri resteranno e si rassegneranno a un futuro difficile, magari aspettando la prossima riforma sbagliata, la prossima ondata di protesta, la prossima repressione.
Io però voglio essere ottimista: la spranga potrebbe anche essere un errore da cui si impara. Gli studenti che in questi giorni sono entrati in sciopero della fame sono già entrati con molta serietà in una fase diversa, ugualmente rischiosa, ma lontana dalle trappole mediatiche. Certo, non si tratta semplicemente di dire “no” al tafferuglio, ma di inventarsi qualcosa di nuovo. Anche in questo caso ci sono precedenti: chi ricorda Genova nel 2001 non dovrebbe dimenticarsi che l'anno dopo ci fu il Forum Mondiale di Firenze, tre meravigliosi giorni di incontri e non di scontri, per la stizza di Oriana Fallaci che era venuta apposta a fiutare il sangue e i fumogeni, e trovò una festa di gente che discuteva di tagli alle emissioni e Tobin Tax (le cose di cui oggi, troppo tardi, si parla ai vertici veri).
Il guaio è che a distanza di così pochi anni di quel Forum non si ricorda quasi più nessuno. Delle mazzate di Genova, sì, ci ricordiamo. Persino delle p38 degli anni Settanta, che sono roba dei nostri genitori, a volte dei nonni. Ma dei grandi cortei pacifici contro la guerra in Iraq no, si è quasi persa la memoria. È come se il tempo spazzasse via tutto, gli errori e le cose buone che abbiamo fatto, e ci lasciasse soltanto il ricordo delle mazzate che abbiamo preso o dato. E questo, purtroppo, resta il più grande argomento a favore della spranga.http://leonardo.blogspot.com
venerdì 17 dicembre 2010
Di putridi e di puri
Rifiuti berlusconi, fonte di ogni male?
(An english version)
Ma cos'è questa puzza?
Leonardo.
Eh? Chi mi chiama?
Leonardo, rispondi attentamente. Ricordi il tuo cognome?
È personale.
Che professione svolgevi?
Come sarebbe a dire “svolgevo”... scusate, però, risponderò volentieri a tutte le domande, ma aprite una finestra, perché questa puzza io...
Ricordi la tua data di nascita?
Certo. Ahem. Undici. Ventinove. Settantatredici... scusate, è strano, ho un'... un'amniocentesi...
Ricordi la tua data di morte?
No, quella proprio no, mi dispiace.
In che anno ritieni di essere?
Io... boh, dalle parti più o meno del Duemila e...
Mi spiace, ma non c'è un modo gentile per dirtelo: siamo nel 2273.
Peeerò.
Ora, rispondi con franchezza. Pensi di essere vivo o morto?
Uhm, se sono vivo dovrei essere molto, molto anziano. D'altronde, nel secondo caso... si spiegherebbe la puzza.
Leonardo, sei stato resuscitato.
No! Sul serio! Ma io lo sapevo, infatti, meno male che sono rimasto cattolico fino alla fine, lo sapevo che...
Non è la resurrazione cattolica.
Lo sapevo. Fregato anche stavolta. Siete musulmani?
Siamo antiberlusconiani.
State scherzando.
No. La nostra civiltà – che è sorta sulle ceneri della vostra – poggia su solidi pilastri morali, uno dei quali è il rifiuto di ogni berlusconi.
Ma no, anche quelli piccoli e biondi? Che vi hanno fatto di male?.
Già, è pur vero che ai tuoi tempi “Berlusconi” era ancora un nome proprio. No, per noi “berlusconi” è un nome comune e rappresenta tutto ciò che è malvagio, meschino, appariscente, tronfio, vaniloquente, egoista, fine a sé stesso, amorale e fiero d'esserlo, ignorante e fiero d'esserlo...
Va bene, ho capito.
...Maschera di plastica, fonte di ogni malizia, fonte d'ogni corruttela, torre eburnea nello sterco delle miserie umane...
Ho detto che ho capito.
Quando si cominciano le litanie berlusconiane non si possono interrompere, altrimenti bisogna ricominciarle da capo.
Ci credete parecchio, in questa cosa.
È il pilastro della nostra civiltà. Il rifiuto di ogni berlusconi.
Mi fa piacere, e mi sento onorato di poter partecipare in qualche modo partecipare, anche se... non mi si potrebbe deodorare in qualche modo?
Vai benissimo così.
Se lo dite voi.
Dici di sentirti onorato. Perché?
Beh, mi avete resuscitato... voglio dire, grazie.
Perché credi di essere stato resuscitato?
Non saprei... suppongo che non lo facciate con tutti, ecco.
No. C'è già fin troppa gente in giro.
Ecco. Magari resuscitate persone che in un qualche modo sono state importanti, che hanno lasciato cose interessanti...
Se tu ci avessi lasciato cose interessanti, perché resuscitarti? Ci terremmo le tue cose e ti porteremmo dei fiori ogni tanto.
Giusto.
Devi sapere che oggi, 29 settembre 2173, noi come ogni anno “festeggiamo” - si fa per dire - il Berlusconi originario.
E quindi mi avete resuscitato perché... sono un antico antiberlusconianiano, ecco, volete una testimonianza oculare, capisco.
Leonardo, ogni 29 settembre noi resuscitiamo un berlusconiano del passato, un uomo che incarni la vergogna della nostra ex civiltà, per processarlo e per punirlo come merita.
Aaaaah, come quel Papa del medioevo, processato da cadavere, una cosa così. E io chi sarei, un testimone?
Tu sei l'imputato.
Eh?
Alzati in piedi.
Non ce li ho, e comunque, anche se li avessi.... ehi, mi sto alzando! Galleggio nell'aria! La vostra tecnologia è davvero straordinaria!
È la tecnologia dei pupi medievali, ti abbiamo attaccato dei fili e ti stiamo sollevando come una marionetta.
Molto scenografico comunque. Mi dispiace, capisco la vostra ritualità, però... c'è il problema che io non sono un berlusconiano.
Ti dichiari innocente, quindi.
Ma certo. Voglio dire, capisco che lorsignori non possano aver letto tutto quello che ho scritto a riguardo, però...
Sei uno degli autori più conosciuti e studiati del secolo XXI.
Ah sì? Questa poi.
Non vantarti! ciò è berlusconi.
Mi rendo conto, e tuttavia mettetevi in me, prima mi resuscitate e poi mi dite che sono letto e studiato...
Non per le tue qualità. Quindici anni fa è collassata internet, e tutte le opere del vostro secolo sono andate perdute.
E i libri di carta?
Li avevamo già bruciati come combustibile. Per far funzionare internet.
E quindi...
Tutto quello che ci resta del secolo XXI è metà di un libro di Bruno Vespa, i sessantatré vangeli di Marco Travaglio, e una chiavetta usb con alcuni tuoi post redatti tra il 2001 e il 2010.
Beh, credo che sia più che sufficiente per dimostrare che io non ero berlusconiano, anzi sono sempre stato un acceso...
Silenzio, fratelli, silenzio! Mondatevi d'ogni berlusconi. Leonardo, hai o non hai scritto, nel dicembre del 2010, che bisognava amare Berlusconi?
Sì, ma mica ero serio, io...
Hai o non hai scritto nell'aprile del 2009, che occorreva “educare le giovani generazioni a darla a B. per il gusto di farlo, senza pretendere contropartite televisive o parlamentari”?
Probabilmente sì, è il mio stile, ma...
Riconosci queste tue affermazioni del giugno 2010? “Io voglio Berlusconi per venti minuti tutte le sere, a reti unificate. Mi stanno bene Santoro e Floris, purché i loro ospiti parlino unicamente di Berlusconi, e ne parlino bene. Io voglio sanzioni pecuniarie, non per chi parla male di Berlusconi, ma per chi omette di parlarne bene in qualsiasi discorso. Voglio una lode a Berlusconi in calce a tutti i resoconti sportivi della Gazzetta, a tutti gli oroscopi, a tutte le recensioni del Mucchio.”
Uh, il Mucchio, me n'ero dimenticato del Mucchio.
Oppure, dicembre 2009: “Io ho fatto tesoro degli insegnamenti di un politico geniale, che ha vinto molte elezioni e che prima di far politica faceva marketing, e che ai suoi esperti di comunicazione raccomandava sempre di pensare al cliente come a un bambino di 11 anni, neppure tanto intelligente”.
Sì, è mia anche questa, ma scusate, non è che al rogo con la carta ci avete mandato anche tutta l'ironia, eh?
Non prenderti gioco di noi! Non attentarti nemmeno! Ciò è...
...è Berlusconi.
Noi conosciamo benissimo l'ironia. Abbiamo Socrate e abbiamo Pirandello. Noi riconosciamo lo scetticismo filosofico e il sentimento del contrario.
Mi fa piacere, quindi avrete capito che...
Quindi non possiamo notare tutte le volte in cui per anni hai usato l'ironia per umanizzare Berlusconi, per dare forme umane al Male incarnato. In questo modo hai aiutato i tuoi lettori a convivere con la Bestia.
Ma non esageriamo, io...
Quando hai cercato di umanizzare lo scandaloso amante di Noemi Letizia, l'orribile gaffeur di Strasburgo, non eri dunque consapevole di quello che facevi?
Ma io semplicemente cercavo il risvolto umano...
E sbagliavi, perché nulla di umano v'era nel Maligno! L'amarissima pillola che gli italiani per più di vent'anni hanno dovuto inghiottire, tu pretendevi di zuccherarla con la tua ironia a buon mercato.
Va bene, ma c'ero anch'io in quei vent'anni, ho sofferto anch'io. A volte scrivere era solo un modo per sfogarsi...
Lo udite? Confessa! Confessa di aver trascorso quegli anni a scribacchiare raccontini in cui si umanizzava il Malvagio, invece di insorgere, come sarebbe stato suo preciso dovere, contro la Biscia fatta carne.
Sentite, io sono un uomo, un cadavere anzi, di un altro secolo, e quindi i vostri toni non li riesco a condividere, però ammetto che qualche ragione potreste avercela, voglio dire, riflettendoci, se avessi scritto meno e fossi insorto un po' di più, magari il berlusconismo finiva prima... perché è finito a un certo punto, no?
Certo che è finito!
Ecco, scusate, poi potete anche condannarmi se vi va, ma mi togliete la curiosità di spiegarmi com'è finito? Perché non riesco proprio a ricordarmelo, forse ero già sottoterra.
Siamo stati salvati dagli Uomini Puri. Quelli che non hanno collaborato col male, come hai fatto tu. Quelli che non hanno addolcito la perfidia con la finta ironia dei deboli, cioè la tua.
Uomini puri. Chi l'avrebbe detto.
Certo tu non li conoscevi.
Eh no. Ma da dove sono saltati fuori, scusate.
Erano in clandestinità. Fuori dal circuito mediatico, dove sarebbero stati intercettati e resi inoffensivi, come te.
Già, probabilmente era l'unica. Restare nascosti nelle grotte. Non sporcarsi le mani.
Alcuni erano al confino, altri in prigionia, ma non hanno mai smesso di lottare e sperare. Nomi scolpiti sui nostri templi, nomi che tu nemmeno conosci: Gianfranco Fini, Pierferdinando...
Eh?
Non interrompere il Sacro Appello dei Camerati che salvarono l'Italia dalla fetida serpe. Gianfranco Fini, colonna di rettitudine, che mai si piegò alle lusinghe di Arcore; Pierferdinando Casini, campione di castità, che con un solo sguardo convertì alla purezza centinaia di escort; Enrico Mentana...
Mentana?
Il più coraggioso e schivo dei reporter, che per vent'anni in clandestinità diffuse i samizdat che inchiodavano lo strapotere di Mediaset; Carlo Taormina....
CHI???
...faro della giustizia, intrepido magistrato che tra cento e mille perigli e attentati perseguì il Perfido fino a incriminarlo; e il più savio dei savi, colui che senza affettare alcuna ingiusta pietà lo consegnò stanco e tremante alla folla che brandiva i forconi...
Questo fammelo indovinare. Gianni Letta.
Bravo. Ma come puoi ricordare...
Non importa. Quindi voi siete stati salvati da Fini, Casini, Mentana, Taormina, Letta...
Non insozzare con la tua lingua putrida i nomi dei Puri che ci liberarono dal Male!
Già, giusto, ciò sarebbe berlusconi. Facciamola finita. Mi dichiaro colpevole. Chiedo la pena di morte.
Ma sei già morto.
Quindi che pena avevate in mente?
Getteremo le tue ossa nel Secchia, cancelleremo tutto quello che hai scritto, raschieremo il tuo nome da ogni documento, e lasceremo che ruggine e muffa devastino i luoghi che ti diedero la luce.
Il policlinico di Modena? capirai lo sforzo.
Ma infatti.
Minima spesa massima resa.
Eh, sai com'è, la crisi, i tagli al budget.
Giustamente, siamo nel ventitreesimo secolo, mica si possono buttar via i soldi nei processi ai morti.
Sarebbe troppo una cosa quasi...
Quasi berlusconi.
Ce l'avevo sulla punta della lingua.
Comincio a capirvi. Posso andare?
No, no, adesso entrano i bambini.
Ma che schifo, gli fate vedere un cadavere appeso?
Hanno tutti una freccetta in mano, chi ti becca in testa vince un Gianfranco di cioccolato.
Fico.
(An english version)
Ma cos'è questa puzza?
Leonardo.
Eh? Chi mi chiama?
Leonardo, rispondi attentamente. Ricordi il tuo cognome?
È personale.
Che professione svolgevi?
Come sarebbe a dire “svolgevo”... scusate, però, risponderò volentieri a tutte le domande, ma aprite una finestra, perché questa puzza io...
Ricordi la tua data di nascita?
Certo. Ahem. Undici. Ventinove. Settantatredici... scusate, è strano, ho un'... un'amniocentesi...
Ricordi la tua data di morte?
No, quella proprio no, mi dispiace.
In che anno ritieni di essere?
Io... boh, dalle parti più o meno del Duemila e...
Mi spiace, ma non c'è un modo gentile per dirtelo: siamo nel 2273.
Peeerò.
Ora, rispondi con franchezza. Pensi di essere vivo o morto?
Uhm, se sono vivo dovrei essere molto, molto anziano. D'altronde, nel secondo caso... si spiegherebbe la puzza.
Leonardo, sei stato resuscitato.
No! Sul serio! Ma io lo sapevo, infatti, meno male che sono rimasto cattolico fino alla fine, lo sapevo che...
Non è la resurrazione cattolica.
Lo sapevo. Fregato anche stavolta. Siete musulmani?
Siamo antiberlusconiani.
State scherzando.
No. La nostra civiltà – che è sorta sulle ceneri della vostra – poggia su solidi pilastri morali, uno dei quali è il rifiuto di ogni berlusconi.
Ma no, anche quelli piccoli e biondi? Che vi hanno fatto di male?.
Già, è pur vero che ai tuoi tempi “Berlusconi” era ancora un nome proprio. No, per noi “berlusconi” è un nome comune e rappresenta tutto ciò che è malvagio, meschino, appariscente, tronfio, vaniloquente, egoista, fine a sé stesso, amorale e fiero d'esserlo, ignorante e fiero d'esserlo...
Va bene, ho capito.
...Maschera di plastica, fonte di ogni malizia, fonte d'ogni corruttela, torre eburnea nello sterco delle miserie umane...
Ho detto che ho capito.
Quando si cominciano le litanie berlusconiane non si possono interrompere, altrimenti bisogna ricominciarle da capo.
Ci credete parecchio, in questa cosa.
È il pilastro della nostra civiltà. Il rifiuto di ogni berlusconi.
Mi fa piacere, e mi sento onorato di poter partecipare in qualche modo partecipare, anche se... non mi si potrebbe deodorare in qualche modo?
Vai benissimo così.
Se lo dite voi.
Dici di sentirti onorato. Perché?
Beh, mi avete resuscitato... voglio dire, grazie.
Perché credi di essere stato resuscitato?
Non saprei... suppongo che non lo facciate con tutti, ecco.
No. C'è già fin troppa gente in giro.
Ecco. Magari resuscitate persone che in un qualche modo sono state importanti, che hanno lasciato cose interessanti...
Se tu ci avessi lasciato cose interessanti, perché resuscitarti? Ci terremmo le tue cose e ti porteremmo dei fiori ogni tanto.
Giusto.
Devi sapere che oggi, 29 settembre 2173, noi come ogni anno “festeggiamo” - si fa per dire - il Berlusconi originario.
E quindi mi avete resuscitato perché... sono un antico antiberlusconianiano, ecco, volete una testimonianza oculare, capisco.
Ma sentitelo, il serpente.
Non si rende nemmeno conto.
Silenzio, silenzio.
Aaaaah, come quel Papa del medioevo, processato da cadavere, una cosa così. E io chi sarei, un testimone?
Tu sei l'imputato.
Eh?
Alzati in piedi.
Non ce li ho, e comunque, anche se li avessi.... ehi, mi sto alzando! Galleggio nell'aria! La vostra tecnologia è davvero straordinaria!
È la tecnologia dei pupi medievali, ti abbiamo attaccato dei fili e ti stiamo sollevando come una marionetta.
Molto scenografico comunque. Mi dispiace, capisco la vostra ritualità, però... c'è il problema che io non sono un berlusconiano.
Ti dichiari innocente, quindi.
Ma certo. Voglio dire, capisco che lorsignori non possano aver letto tutto quello che ho scritto a riguardo, però...
Sei uno degli autori più conosciuti e studiati del secolo XXI.
Ah sì? Questa poi.
Non vantarti! ciò è berlusconi.
Mi rendo conto, e tuttavia mettetevi in me, prima mi resuscitate e poi mi dite che sono letto e studiato...
Non per le tue qualità. Quindici anni fa è collassata internet, e tutte le opere del vostro secolo sono andate perdute.
E i libri di carta?
Li avevamo già bruciati come combustibile. Per far funzionare internet.
E quindi...
Tutto quello che ci resta del secolo XXI è metà di un libro di Bruno Vespa, i sessantatré vangeli di Marco Travaglio, e una chiavetta usb con alcuni tuoi post redatti tra il 2001 e il 2010.
Beh, credo che sia più che sufficiente per dimostrare che io non ero berlusconiano, anzi sono sempre stato un acceso...
Bestemmiatore!
Vipera!
Sì, ma mica ero serio, io...
Hai o non hai scritto nell'aprile del 2009, che occorreva “educare le giovani generazioni a darla a B. per il gusto di farlo, senza pretendere contropartite televisive o parlamentari”?
Probabilmente sì, è il mio stile, ma...
Riconosci queste tue affermazioni del giugno 2010? “Io voglio Berlusconi per venti minuti tutte le sere, a reti unificate. Mi stanno bene Santoro e Floris, purché i loro ospiti parlino unicamente di Berlusconi, e ne parlino bene. Io voglio sanzioni pecuniarie, non per chi parla male di Berlusconi, ma per chi omette di parlarne bene in qualsiasi discorso. Voglio una lode a Berlusconi in calce a tutti i resoconti sportivi della Gazzetta, a tutti gli oroscopi, a tutte le recensioni del Mucchio.”
Uh, il Mucchio, me n'ero dimenticato del Mucchio.
Oppure, dicembre 2009: “Io ho fatto tesoro degli insegnamenti di un politico geniale, che ha vinto molte elezioni e che prima di far politica faceva marketing, e che ai suoi esperti di comunicazione raccomandava sempre di pensare al cliente come a un bambino di 11 anni, neppure tanto intelligente”.
Sì, è mia anche questa, ma scusate, non è che al rogo con la carta ci avete mandato anche tutta l'ironia, eh?
Non prenderti gioco di noi! Non attentarti nemmeno! Ciò è...
...è Berlusconi.
Noi conosciamo benissimo l'ironia. Abbiamo Socrate e abbiamo Pirandello. Noi riconosciamo lo scetticismo filosofico e il sentimento del contrario.
Mi fa piacere, quindi avrete capito che...
Quindi non possiamo notare tutte le volte in cui per anni hai usato l'ironia per umanizzare Berlusconi, per dare forme umane al Male incarnato. In questo modo hai aiutato i tuoi lettori a convivere con la Bestia.
Ma non esageriamo, io...
Quando hai cercato di umanizzare lo scandaloso amante di Noemi Letizia, l'orribile gaffeur di Strasburgo, non eri dunque consapevole di quello che facevi?
Ma io semplicemente cercavo il risvolto umano...
E sbagliavi, perché nulla di umano v'era nel Maligno! L'amarissima pillola che gli italiani per più di vent'anni hanno dovuto inghiottire, tu pretendevi di zuccherarla con la tua ironia a buon mercato.
Va bene, ma c'ero anch'io in quei vent'anni, ho sofferto anch'io. A volte scrivere era solo un modo per sfogarsi...
Lo udite? Confessa! Confessa di aver trascorso quegli anni a scribacchiare raccontini in cui si umanizzava il Malvagio, invece di insorgere, come sarebbe stato suo preciso dovere, contro la Biscia fatta carne.
Sentite, io sono un uomo, un cadavere anzi, di un altro secolo, e quindi i vostri toni non li riesco a condividere, però ammetto che qualche ragione potreste avercela, voglio dire, riflettendoci, se avessi scritto meno e fossi insorto un po' di più, magari il berlusconismo finiva prima... perché è finito a un certo punto, no?
Certo che è finito!
Ecco, scusate, poi potete anche condannarmi se vi va, ma mi togliete la curiosità di spiegarmi com'è finito? Perché non riesco proprio a ricordarmelo, forse ero già sottoterra.
Siamo stati salvati dagli Uomini Puri. Quelli che non hanno collaborato col male, come hai fatto tu. Quelli che non hanno addolcito la perfidia con la finta ironia dei deboli, cioè la tua.
Uomini puri. Chi l'avrebbe detto.
Certo tu non li conoscevi.
Eh no. Ma da dove sono saltati fuori, scusate.
Erano in clandestinità. Fuori dal circuito mediatico, dove sarebbero stati intercettati e resi inoffensivi, come te.
Già, probabilmente era l'unica. Restare nascosti nelle grotte. Non sporcarsi le mani.
Alcuni erano al confino, altri in prigionia, ma non hanno mai smesso di lottare e sperare. Nomi scolpiti sui nostri templi, nomi che tu nemmeno conosci: Gianfranco Fini, Pierferdinando...
Eh?
Non interrompere il Sacro Appello dei Camerati che salvarono l'Italia dalla fetida serpe. Gianfranco Fini, colonna di rettitudine, che mai si piegò alle lusinghe di Arcore; Pierferdinando Casini, campione di castità, che con un solo sguardo convertì alla purezza centinaia di escort; Enrico Mentana...
Mentana?
Il più coraggioso e schivo dei reporter, che per vent'anni in clandestinità diffuse i samizdat che inchiodavano lo strapotere di Mediaset; Carlo Taormina....
CHI???
...faro della giustizia, intrepido magistrato che tra cento e mille perigli e attentati perseguì il Perfido fino a incriminarlo; e il più savio dei savi, colui che senza affettare alcuna ingiusta pietà lo consegnò stanco e tremante alla folla che brandiva i forconi...
Questo fammelo indovinare. Gianni Letta.
Bravo. Ma come puoi ricordare...
Non importa. Quindi voi siete stati salvati da Fini, Casini, Mentana, Taormina, Letta...
Non insozzare con la tua lingua putrida i nomi dei Puri che ci liberarono dal Male!
Già, giusto, ciò sarebbe berlusconi. Facciamola finita. Mi dichiaro colpevole. Chiedo la pena di morte.
Ma sei già morto.
Quindi che pena avevate in mente?
Getteremo le tue ossa nel Secchia, cancelleremo tutto quello che hai scritto, raschieremo il tuo nome da ogni documento, e lasceremo che ruggine e muffa devastino i luoghi che ti diedero la luce.
Il policlinico di Modena? capirai lo sforzo.
Ma infatti.
Minima spesa massima resa.
Eh, sai com'è, la crisi, i tagli al budget.
Giustamente, siamo nel ventitreesimo secolo, mica si possono buttar via i soldi nei processi ai morti.
Sarebbe troppo una cosa quasi...
Quasi berlusconi.
Ce l'avevo sulla punta della lingua.
Comincio a capirvi. Posso andare?
No, no, adesso entrano i bambini.
Ma che schifo, gli fate vedere un cadavere appeso?
Hanno tutti una freccetta in mano, chi ti becca in testa vince un Gianfranco di cioccolato.
Fico.
giovedì 16 dicembre 2010
53 teorie
Su internet la qualità dei commentatori è inversamente proporzionale al prestigio dell'autore. Non ci sono più gli Anarchici Informali di una volta. Gli israeliani sono esseri umani come noi, che qualche volta rubano gli organi (come noi). Matrix racconta la storia degli attentatori dell'11 settembre. Molta maniaci del presepe non aprirebbero mai la loro stalla a una famiglia di rifugiati. Il leghista medio a scuola si sente schiacciato tra stranieri e radicalscic. Del resto le quote stranieri sono una fregatura. E anche l'olocausto rischia di diventare una catena di Sant'Antonio. Quando potremo progettare un mondo virtuale lo faremo più o meno come quello di Avatar: e se servirà l'unobtanium, saccheggeremo tutti i mondi non virtuali che ne contengano. Ma riusciremo per allora a vivere senza Vasco Errani? Internet mi ha fatto risparmiare tantissimo in aspirapolveri. Certo, le escort lo usano per pubblicare annunci gratis: è uno scandalo, dovrebbero pagare i quotidiani. Berlusconi, non lo direste mai, ma qualche elezione ogni tanto la perderebbe volentieri. E i preti pedofili? Se si sposano, diventano meno pedofili? Io non credo. Berlusconi, dicevo, a volte perderebbe volentieri, ma gli passa subito. I veri vincitori sono i leghisti: ma quand'è che vanno al governo e combinano qualcosa? Comunque le elezioni non sono andate così male. I terremoti non si possono prevedere, nemmeno su internet. Le eruzioni del Vesuvio sì, ma quelle non interessano a nessuno. È morto Raimondo Vianello, dopo anni di congelamento. Gli emiliani sono come i tortellini: buoni, ma anche basta. Per cancellare la Resistenza dalle scuole bisogna prima studiarla, la Resistenza, nelle scuole. Quando guardo un film italiano mi sembra che la mia vita sia più interessante, poi mi addormento e sogno zombi a Milano. Il Consiglio di Stato dice che chi non vuole fare l'ora di religione ha diritto a un insegnante che gli insegni qualcos'altro. A un certo punto in primavera sembrava che Santoro valesse dieci milioni; sai quanti quotidiani di sinistra ci paghi con dieci milioni? Io comunque sarei per abolire le vacanze pasquali, non avete idea del risparmio. Certi film avrebbero solo bisogno di una buona stroncatura, Fofi dovrebbe adoperarsi di più in tal senso. L'Inno nazionale, per esempio, ormai ti tocca rivalutarlo – magari non la prima strofa. Gli insegnanti odiano i test, hanno paura di diventare ingranaggi di una macchina che non capiscono. Tanto più ora che comunque il petrolio per fare andare le macchine sta finendo. Dicevo che se io se fossi in Berlusconi ogni cinque anni farei governare un po' il centrosinistra, così mi riposo, loro mettono a posto il bilancio, e poi alle elezioni li straccio. Ma basta parlare di Berlusconi, cominciamo a parlare degli eredi di Berlusconi. In tanti anni su internet non avevo mai visto foto di bambini svestiti e picchiati, finché non ho cominciato a frequentare i siti antipedofili. Sbaglio? Mi correggerò, ma in 48 ore non ci riesco. Tanta gente per salvare le donne condannate a morte farebbe qualsiasi cosa, salvo ospitarle. La Gelmini vuole premiare gli insegnanti che truccano meglio i test. Isoradio dovrebbe informarmi sul traffico, non servirmi indigeste madeleine sui peggiori anni della mia vita. Asterix è un collaborazionista al soldo dell'Impero McDonald. Veltroni, in Africa, sarebbe più sereno. Mussolini, che sia esistito o no, ha scritto diari interessanti. Ma un Ministero a Milano crea più posti di lavoro che a Roma? La verità è che se volessimo una scuola più laica dovremmo studiare più Bibbia. Grazie, siete un pubblico meraviglioso. Quando l'artista punta il dito (medio) noi guardiamo il dito (medio). Il problema non sono i giornalisti spazzatura, sono i lettori di spazzatura. Saremmo un grande Paese se solo accettassimo di essere un grande Paese del Terzo Mondo, e Berlusconi lo sa. Anche Celentano lo sa, ma non sa come si scrive. Ruby invece è una mitomane. Perché prevenire le inondazioni quando basta farti inquadrare con una vanga per vincere le elezioni? Ho scritto una cazzata? E che sarà mai. I radicali sono liberi di fare quel che gli pare, ok, ma perché devo votarli io? Perché i vecchietti non vanno in pensione, invece di andare a escort e azzuffarsi nei locali? Forse col digitale terrestre si calmeranno, guarderanno le repliche dei telefilm e non voteranno più Berlusconi. Che non ne può più, secondo me. Ma non molla: non ci libererà finché non lo ameremo.
Ho una teoria compie un anno. È stato faticoso e incredibile, e il meglio deve ancora arrivare. Buon 2011.
Ho una teoria compie un anno. È stato faticoso e incredibile, e il meglio deve ancora arrivare. Buon 2011.
mercoledì 15 dicembre 2010
Uno cento mille Cossiga
Update: questo pezzo è stato originariamente pubblicato con le immagini prese da questo post di Mazzetta che mostravano un manifestante curiosamente equipaggiato con armi e strumenti in dotazione alla polizia. Le immagini successivamente sono state diffuse un po' dappertutto, e il tizio è stato identificato come uno studente, per esempio sul Post e su Indymedia (Indymedia Lombardia in questo caso, Indy Roma ha altre priorità). Credo che il senso del mio pezzo non cambi di molto se le tolgo.
Comunque coraggio
Sono stanco, è stata una giornata dura. Immagino che molti abbiano riflettuto molto più di me, e fatto notare il paradosso di un voto di fiducia che ci avvicina alle elezioni. È ovvio che con una maggioranza così risicata Berlusconi non sarà in grado di governare: è altrettanto naturale che non sia nelle sue intenzioni (è discutibile che governasse prima). L'importante è restare al centro della scena e dimostrare che nessuna maggioranza è possibile: quindi nessuna riforma della legge elettorale è possibile. Così, a occhio, il vero vincitore è Bossi, che voleva le elezioni a primavera e le avrà. E le vincerà, probabilmente. Più appannata appare, per ora, la stella del suo alleato. Però da qui a primavera c'è tutto il tempo per organizzarsi e riportare a casa il risultato. Chi è scettico, pensi a quanto sembrava spacciato Berlusconi qualche settimana fa, sommerso dagli schizzi del bunga bunga. Gli si è lasciato un mese di tempo, ecco il risultato. La sua fine, quando sarà, verrà alle spalle e improvvisa: non c'è alternativa, se gli lasci un po' di tempo lui si riorganizza e ti sistema. Qualcuno da comprare lo troverà sempre.
Sono stanco, e invidio chi a sinistra già sta facendo partire il training autogeno: dai che a primavera possiamo farcela. Mi spiace molto, ma secondo me no: non abbiamo i numeri, soffriamo una legge elettorale che ci penalizza, mentre il nostro avversario controlla i media che orientano il giudizio del grosso dell'elettorato – che non si orienta ancora su facebook, e nemmeno nelle riserve indiane di Annozero o Ballarò. L'offensiva mediatica che stiamo per subire sarà la più violenta; in effetti la mia unica speranza è che fallisca per esagerazione. In fondo i registi, i Fede e i Vespa sono anziani, conoscono perfettamente il loro pubblico anziano ma potrebbero anche rimbecillirsi un po', calcare troppo la mano. Finora non è mai successo, ma chissà.
Nel frattempo Roma brucia, e per loro non c'è uno scoop migliore. Che gli utenti di Minzolini e Mimun abbiano chiaro che oltre Berlusconi c'è il caos, l'anarchia, il black block con la kappa che da anni non ha più niente a che vedere con il gruppo storico: non si tratta semplicemente di pigrizia dei cronisti, ormai dobbiamo accettare il neologismo: quando in mezzo a un corteo spuntano caschi neri e radio della polizia, ivi è il black block, e il gioioso spontaneismo di qualsiasi onda verde o arcobaleno è finito.
Non sarò il solo stanotte o domattina a citare Cossiga; fa lo stesso, non m'interessa essere originale: citiamo tutti Cossiga, all'infinito, alla noia, diventi l'ultimo Cossiga the new Pasolini; metti che qualche studente non lo abbia mai sentito e in queste stesse ore si stia convincendo che lanciar sassi a un celerino è cosa fighissima. Dunque, studenti, mentre vi esprimo la massima stima, vi scongiuro di non ascoltare i consigli di quelli della mia generazione o successive, chiunque vi rompa le palle con le masturbazioni sul sessantotto o il settantasette o il gìotto di Genova e di meditare unicamente queste frasi dell'ex Ministro degli Interni Franceso Cossiga, boia:
"Infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città...
Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì".
"l'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita"
"Io aspetterei ancora un po', e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di 'Bella ciao', devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti"..
Voi avete tutto quello che vi serve per essere più furbi di quanto lo siamo stati noi: un ampio dossier di errori da cui imparare. Permettete il riassunto: ogni vetrina rotta sono cinquanta voti in più all'animale. Se una videocamera riprende, i voti diventano mille. Chi tira al poliziotto, è un poliziotto. Se non lo è lo diventa in quel momento. Lasciate che si spacchino la testa tra loro, li pagano per questo. Voi non vi paga nessuno: state in gruppo, urlate, non cedete alle provocazioni. Le cose non cambieranno domani e nemmeno dopodomani. Nessuno vi ha mai detto che sarebbe stato facile. O ve l'hanno detto? Mentivano. Comunque coraggio.
Sono stanco, è stata una giornata dura. Immagino che molti abbiano riflettuto molto più di me, e fatto notare il paradosso di un voto di fiducia che ci avvicina alle elezioni. È ovvio che con una maggioranza così risicata Berlusconi non sarà in grado di governare: è altrettanto naturale che non sia nelle sue intenzioni (è discutibile che governasse prima). L'importante è restare al centro della scena e dimostrare che nessuna maggioranza è possibile: quindi nessuna riforma della legge elettorale è possibile. Così, a occhio, il vero vincitore è Bossi, che voleva le elezioni a primavera e le avrà. E le vincerà, probabilmente. Più appannata appare, per ora, la stella del suo alleato. Però da qui a primavera c'è tutto il tempo per organizzarsi e riportare a casa il risultato. Chi è scettico, pensi a quanto sembrava spacciato Berlusconi qualche settimana fa, sommerso dagli schizzi del bunga bunga. Gli si è lasciato un mese di tempo, ecco il risultato. La sua fine, quando sarà, verrà alle spalle e improvvisa: non c'è alternativa, se gli lasci un po' di tempo lui si riorganizza e ti sistema. Qualcuno da comprare lo troverà sempre.
Sono stanco, e invidio chi a sinistra già sta facendo partire il training autogeno: dai che a primavera possiamo farcela. Mi spiace molto, ma secondo me no: non abbiamo i numeri, soffriamo una legge elettorale che ci penalizza, mentre il nostro avversario controlla i media che orientano il giudizio del grosso dell'elettorato – che non si orienta ancora su facebook, e nemmeno nelle riserve indiane di Annozero o Ballarò. L'offensiva mediatica che stiamo per subire sarà la più violenta; in effetti la mia unica speranza è che fallisca per esagerazione. In fondo i registi, i Fede e i Vespa sono anziani, conoscono perfettamente il loro pubblico anziano ma potrebbero anche rimbecillirsi un po', calcare troppo la mano. Finora non è mai successo, ma chissà.
Non sarò il solo stanotte o domattina a citare Cossiga; fa lo stesso, non m'interessa essere originale: citiamo tutti Cossiga, all'infinito, alla noia, diventi l'ultimo Cossiga the new Pasolini; metti che qualche studente non lo abbia mai sentito e in queste stesse ore si stia convincendo che lanciar sassi a un celerino è cosa fighissima. Dunque, studenti, mentre vi esprimo la massima stima, vi scongiuro di non ascoltare i consigli di quelli della mia generazione o successive, chiunque vi rompa le palle con le masturbazioni sul sessantotto o il settantasette o il gìotto di Genova e di meditare unicamente queste frasi dell'ex Ministro degli Interni Franceso Cossiga, boia:
"Infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città...
Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì".
"l'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita"
"Io aspetterei ancora un po', e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di 'Bella ciao', devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti"..
Voi avete tutto quello che vi serve per essere più furbi di quanto lo siamo stati noi: un ampio dossier di errori da cui imparare. Permettete il riassunto: ogni vetrina rotta sono cinquanta voti in più all'animale. Se una videocamera riprende, i voti diventano mille. Chi tira al poliziotto, è un poliziotto. Se non lo è lo diventa in quel momento. Lasciate che si spacchino la testa tra loro, li pagano per questo. Voi non vi paga nessuno: state in gruppo, urlate, non cedete alle provocazioni. Le cose non cambieranno domani e nemmeno dopodomani. Nessuno vi ha mai detto che sarebbe stato facile. O ve l'hanno detto? Mentivano. Comunque coraggio.
lunedì 13 dicembre 2010
He's an impresario
Alla fine, in fondo, SB vorrebbe solo che lo amassimo. L'amore ci libererebbe. E allora amiamolo, e non pensiamoci più (sull'Unità.it; si commenta qui).
Durante un bagno di folla un quarantenne con problemi psichiatrici aggredisce Silvio Berlusconi, fratturandogli due denti e il setto nasale. È successo esattamente un anno fa – il13 dicembre 2009, e anche se per tutta la settimana seguente non parlammo d'altro, oggi facciamo perfino fatica a ricordarcene. Tranne Berlusconi: difficilmente può essersi dimenticato un anniversario tanto doloroso. È vero che in quegli istanti reagì con una rapidità formidabile, uscendo una seconda volta sul predellino e mostrando una smorfia sanguinante ai fotografi. Tanta prontezza nello strumentalizzare persino il proprio sangue, trasformando il povero Tartaglia in un emblema di quell'opposizione “capace solo di odiare”, portò molti sul web ad avanzare il sospetto che l'episodio fosse stato concertato.
In realtà il dolore e lo smacco per l'aggressione furono autentici. Berlusconi – lo si legge da qualche settimana su un dispaccio filtrato su wikileaks – riteneva di essere stato in pericolo di vita, o così almeno ne parlò all'ambasciatore americano: questione di centimetri, e la famigerata statuetta avrebbe potuto ucciderlo. Nei giorni successivi cadde in uno stato di depressione – se dobbiamo credere a Gianni Letta: e perché non credergli? Anche Letta ne sta parlando coi diplomatici americani. “È un impresario teatrale”, spiega Letta; “vuole che tutti lo amino”. Come dargli torto. Davvero, forse in quelle poche parole di un suo amico sincero c'è tutto quello che ci serve sapere su di lui.
Sabato, a quasi un anno di distanza, Berlusconi si è concesso l'ennesimo predellino milanese, apparendo nei pressi di un gazebo del Pdl. Un modo rapido e informale per togliere ai manifestanti del PD l'onore della prima posizione nei titoli del telegiornale. Ma anche la rivincita su Massimo Tartaglia (assolto in estate perché dichiarato incapace di intendere e di volere) e su tutti i rappresentanti del Partito dell'Odio e dell'Invidia: compresi quelli che domani cercheranno di metterlo in minoranza alle camere. Stavolta si è dimostrato abbastanza lucido: non ha promesso ai suoi fedeli miracoli contro i rifiuti o contro il cancro. Non ha affatto nascosto che i prossimi mesi saranno difficili, qualunque sia l'esito del voto di martedì. Sempre più deluso dello scarso amore con cui gli italiani lo ricambiano, Berlusconi crede comunque di poter vincere la conta di domani; sa di poter terminare la legislatura, pur con qualche difficoltà, e di avere buone carte per rivincere le elezioni e magari succedere a Napolitano al Quirinale. Per recuperare la fiducia dei parlamentari e degli elettori non gli mancano certo le risorse e gli strumenti: quello che in questa fase sembra averlo definitivamente abbandonato è l'entusiasmo: in fondo, chi glielo fa fare?
Non è una domanda così peregrina: in fondo gran parte dei problemi strutturali che sono venuti al pettine in questo periodo in Italia hanno radici assai più profonde del berlusconismo. Criminalità organizzata, corruzione, dissesto territoriale (giusto per fare alcuni esempi) sono tutti problemi che esistevano prima di lui e, ahinoi, esisteranno anche quando ce ne saremo liberati. Non è stato lui ad aver trasformato grandi aree del meridione in discariche, anche se non sta facendo molto per risolvere il problema; non dipende certo da lui la crisi finanziaria che ha messo in crisi l'area dell'euro.
Viceversa la sua determinazione a voler restare saldamente al potere, a legare alla sua immagine il destino dell'Italia proprio nel momento in cui questo destino non appare un granché roseo, è qualcosa su cui gli storici si interrogheranno a lungo. Certo, si potrebbe rispondere che lo fa per salvare i suoi interessi, mandando a monte i processi a suo carico e gratificandosi con tante leggine ad personam o ad aziendam. È una risposta razionale, ma non del tutto soddisfacente. Se si trattasse semplicemente di affari e processi, SB avrebbe potuto cedere da tempo la prima linea a qualche fedele di partito o a un membro della famiglia. Invece è ancora lì, stanco, ma non domo, già sui blocchi di partenza per la sua sesta campagna elettorale.
Forse sbagliamo nel cercare una risposta razionale a una determinazione così ostinata. Forse alla fine ha semplicemente ragione Letta: he's an impresario, tutto questo teatrino che ci allestito intorno è solo uno strumento per farsi amare. Lo scrisse anche in un libro, prontamente stampato da Mondadori subito dopo l'aggressione dell'anno scorso: L'Amore Vince Sempre Sull'Invidia E Sull'Odio. Pensavamo fosse uno slogan come un altro, neanche dei suoi migliori (un po' troppo lezioso), e invece è un programma sincero. Berlusconi non vuole semplicemente ottenere la maggioranza più uno dei seggi. Vuole che lo amiamo, e non ci lascerà liberi finché non ci avrà convinti, tutti, che è degno del nostro amore.
A questo punto ho una proposta. Amiamolo. So che non è semplice, ma se è tutto quello che vuole, accontentiamolo. È da anni che riempiamo quotidiani, programmi televisivi, monologhi teatrali, perfino blog di messaggi di odio per lui. Se invece cominciassimo a scoprire per lui qualche statua, a intitolargli un paio di piazze in vita a Firenze o a Bologna? Ma chiediamo pure alla Rai di dedicargli una fiction (a spese nostre, s'intende) in cui sconfigge i comunisti e porta in Italia la tv a colori. Se cominciassimo ad ammettere qua e là che in fondo è un brav'uomo, un po' mascalzone, ma tanto simpatico, forse l'ostinazione che a ottant'anni lo spinge ancora sui predellini verrebbe meno. E magari le prossime elezioni non sarebbero più un referendum pro e contro di lui. Certo, il ritiro di Berlusconi dalla politica non significherebbe la fine immediata del berlusconismo: quello è un fenomeno più profondo, e c'è già un'altra generazione di videoleader che scalda i motori. Però i problemi si risolvono uno alla volta. http://leonardo.blogspot.com