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giovedì 29 gennaio 2009

Quel che resta del Carlino

La versione di Ana Laura

La vita è un po' cambiata da quando non pranzo più nei bar.
Uno penserebbe: in meglio. In effetti non mi struggo più lo stomaco a piadine. E passo mesi senza sfiorare un solo Resto del Carlino.
Voi lo sapete cos'è il Resto del Carlino. Se siete di Firenze si chiama La Nazione, a Milano si chiama Il Giorno, ovunque si chiama Quotidiano Nazionale, e di solito si aggiunge: “ma com'è caduto in basso?” Anch'io una volta dicevo così, poi ho smesso. Secondo me a un certo punto degli anni Novanta il QN ha raggiunto quei 273 gradi sottozero oltre i quali nulla può scendere, nemmeno l'indecenza. Per certe cose adesso è addirittura migliorato: insomma, è una specie di free-press un po' più caotico graficamente, salvo che si paga e ci scrive sopra Massimo Fini(*).

Al QN, per fare un esempio, oggi hanno aperto con la cattura degli stupratori rumeni e hanno pensato di titolare BASTARDI. Poi hanno pensato che forse era un po' forte la scritta BASTARDI, e hanno deciso di metterla tra virgolette, «BASTARDI». Che sia chiaro che non è quello che noi giornalisti pensiamo di loro, dei «BASTARDI». No, noi siamo garantisti e li consideriamo innocenti fino a prova contraria. Ma se la gente di Guidonia li chiama «BASTARDI», noi possiamo forse venir meno al nostro dovere di cronaca e non titolare «BASTARDI»? Quelle virgolette sono le spallucce del giornalista che dopo aver montato un linciaggio si volta e scrolla le spalle: la gente è così, che ci posso far?

Pensa che una volta il Carlino era l'organo di stampa della maggioranza silenziosa, o ve la ricordate la maggioranza silenziosa? Era uno spasso. Gretta e fascista quanto quella di adesso, ma almeno taceva. Almeno si difendeva dietro titoli grigi e compassati, dietro analisi banali e rassicuranti. Così oltre a gretta e fascista risultava ipocrita, insomma era come se t'invitasse a ribellarti, a dare sfogo alla tua rabbia adolescenziale fondando complessi rock e scrivendo parolacce nei testi. Ma adesso.

Adesso io i ragazzini non li invidio, seriamente, perché come fai a dar corpo alla tua rabbia adolescenziale contro il grigiore ipocrita del mondo degli adulti, quando l'organo di stampa degli adulti è più incazzato di te e senza ritegno titola «BASTARDI»? Si sono presi pure il turpiloquio, e magari fossero ipocriti no, sono sinceri... al punto che ora forse l'unica vera ribellione è l'eleganza. Per esempio quando ascolti Marracash o Fabri Fibra non è certo la spessa coltre di parolacce che ti fa sobbalzare, ma le rare volte che ti piazzano un congiuntivo, che ti azzeccano una metafora, quelle infiorescenze d'intelligenza selvatica e istintiva come la ginestra nata sull'orlo del vulcano, quegli imprevedibili sforzi di tener dentro ogni tanto la rabbia ed esprimersi in modo chiaro e compito, che nell'era della maggioranza ringhiosa stridono peggio di un'unghia alla lavagna.

Mentre rifletto su ciò sono già a pagina 6, ché con tutte queste foto si fa prima a sfogliare QN che a scrollare Dagospia. Lì parlano del caso Battisti. Se stavate pensando che ormai nulla si potesse dire di nuovo su Cesare Battisti, riflettete a cosa significa per QN la fuga di un latitante in Brasile, e la conseguente crisi diplomatica. Cioè, se fosse scappato in Bolivia era finita lì, ma signori, è in Brasile. Pensate a quanti calciatori e ballerine improvvisamente intervistabili su anni di piombo ed estradizione. Per esempio oggi tocca ad Ana Laura Ribas. Dite la verità, che in due settimane di “caso Cesare Battisti”, l'opinione di Ana Laura Ribas non ve l'aveva ancora fatta leggere nessuno. Certe cose le trovi solo su QN.

A quel punto però mi va di traverso la piadina. Perché contrariamente a tutte le aspettative, quel che dice la Ribas è interessante sul serio. Vi ricordate quella storia per cui chiunque, in qualsiasi momento, vi può insegnare qualcosa? Maledizione, vale anche per lei.

Lei sentirà spesso qualcuno dal suo Paese. Che le dicono sulla vicenda Battisti?
«Ho appena parlato con mio fratello che sta a San Paolo. Secondo lui è una ritorsione per la faccenda di Alberto Cacciola, un finanziere milanese che in Brasile controllava un istituto di credito andato in bancarotta nel 2000. Ha causato un sacco di danni a moltissime famiglie. Era stato condannato a 13 anni ma, quando il Governo brasiliano ha chiesto l’estradizione all’Italia, è stata negata. Per molti in Brasile si potrebbe trattare di una ritorsione per quei fatti».


Niente di speciale, per carità, il parere di un parente al telefono. Ma è illuminante. Chi è questo Alberto Cacciola? Non ne avevo mai sentito parlare. Condanna a 13 anni? L'Italia nega l'estradizione? Ehi, ma è una notizia questa. La devo imparare sul Resto del Carlino, dalla valletta Ana Laura Ribas cui l'ha detta il fratello?
Torno a casa e faccio un controllo: della questione Cacciola hanno parlato a suo tempo anche Messaggero, Corriere, Repubblica, riportando le dichiarazioni del ministro della giustizia brasiliano. Solo che non me n'ero accorto. Sono un lettore distratto e superficiale, e chissà quante volte mi sfugge la sostanza dei problemi. Stavolta per esempio mi sarebbe sfuggita per sempre... se non mi fossi ritrovato in un bar a leggere un'intervista ad Ana Laura Ribas, sul Resto del Carlino. Insomma d'ora in poi mi toccherà passare al bar più spesso

(*) Che è sempre il Massimo; per esempio ieri, in seguito all'ordinanza anti-ristoranti etnici nel centro di Lucca, concludeva: “Stiamo diventando il Paese dei divieti. Un Paese talebano senza nemmeno i vantaggi di un regime talebano”. I vantaggi di un regime talebano?

martedì 27 gennaio 2009

Attende i suoi lettori all'ingresso

Gentili lettori, un saluto dal piccolo blog Leonardo che l'altro giorno ha compiuto otto anni e nessuno di voi se n'è accorto.
Ma lui vi vuole bene lo stesso, perché anche se è uno dei blog più vecchi in giro, è pur sempre un bimbo di otto anni che ha bisogno sopra ogni cosa di affetto e considerazione.
E veniamo al tradizionale giochino: qual è stato il pezzo migliore del 2008? Non cercate d'essere originali a ogni costo, scegliete il primo che vi viene in mente. Se non ricordate nulla (i blog fanno questo effetto) ecco alcuni candidati:

* Il futuro di chi ha memoria (e con la Giornata della Memoria anche quest'anno siamo a posto).

* è un Mercato Pazzerello
Sì, ma un colpo solo mica basta. Nella cassaforte di una filiale, quanto ci sarà? Centomila? Va bene, si tira un po’ il fiato, e poi? Ci vuole un reddito. Potrei fare il corriere. In effetti sarei un buon corriere. Le autostrade le so tutte e mi piace girarle, fermarmi agli autogrill e non pensare a niente.

* Beware de negher
“Di marocchini ce n'è uno al civico 12, e basta. Creda a me che faccio il postino”.
“Massì, se non sono marocchini saranno extra... albanesi, zingari... tutti uguali...”
“Rumeni. Rumeni ce ne sono tre famiglie all'angolo. Sembra gente tranquilla, eh. Però è vero che i ragazzini son sempre in giro”.
“E fanno una paura...”

* Incubo di una notte di mezza estate
C'è il Presidente Napolitano che entra in una banca con un sacchetto in mano, e dice: “Buongiorno”...
(Questo forse non l'avrei inserito, ma si è classificato secondo alla Blogfest, senza che io l'avessi nemmeno indicato: insomma a qualcuno è piaciuto).

* Fiori per Algernon
Come vedi la nostra discussione prosegue ancora intorno allo stesso problema, che credo di poter sintetizzare così: in questi anni di volgarizzazione indotta delle masse pilotata dallo strapotere mass-mediatico, in che misura noi intellettuali possiamo rompere il “guscio” accademico e tornare a parlare a quelli che non si sentono coinvolti dai nostri discorsi, la cosiddetta (perdonami il termine vago), “gente”?

* Mangia la metafora
“Ti dà più fastidio un pompino reale che un pompino metaforico”.
“Probabilmente sì. Sbaglio?”
“Certo che sbagli. Reali o metaforici, i pompini sono tutti uguali. Anzi...”
“Magari salta fuori che la realtà è meglio della metafora”.
“Beh, sì. Viva la sincerità”.

* Apocalipstick
Quasi un meme.


* La scuola di Pippo (come diventare razzisti, I)
Per un attimo, un attimo solo, Pipino vorrebbe essere anche lui un nero scaraventato sulle spiagge di Lampedusa da una carretta del mare, solo per il gusto di esprimere con la stessa rozzezza i propri sentimenti, cazzo, mi hanno fregato di nuovo. Uno si sbatte per tutta la vita, mette al mondo un figlio, gli insegna l'educazione, e poi vlam! Te lo prendono e te lo sbattono nel ghetto con i figli dei neri.

* 21st Century Schizoid Anchormen
Oggi pare che l'Imputata Bionda abbia scambiato uno sguardo con l'Imputato Scuro. Forse era uno Sguardo d'Intesa, ma potrebbe anche essere uno Sguardo di Disapprovazione, in effetti l'unica sarebbe fartelo vedere, ma in quel momento il cameraman s'era distratto, comunque fidati. È tutto? Sì, perché le deposizioni erano noiosissime e noi non vogliamo farti cambiare canale, soprattutto adesso che tra tre minuti c'è la pubblicità. E quindi... beh, abbiamo pensato di approfondire mostrandoti la fila di gente che c'è fuori! Una fila di gente che vorrebbe entrare a vedere l'Orribile Processo, non lo trovi morboso?

Questi sono i pezzi che sono più piaciuti a me; ma quali saranno piaciuti ai lettori?
Ci sono vari parametri: uno è il numero di commenti (purché non siano il risultato di un botta e riposta tra due commentatori incarogniti, di cui uno sono sempre io); un altro è il picco di accessi (che però può anche dipendere da un solo blog importante che mi ha lincato); un altro ancora è il conteggio dei link. Questo lo rileva in automatico Blogbabel. Quest'anno i tre parametri concordano nell'incoronare post dell'anno questa antipatica chiosa a un pezzo di Facci. Mah.

Ultimo ma primo, vorrei segnalare Soffrire per uno scopo, che è uno dei più assurdi che ho scritto, ma per me sintetizza in modo efficace quello che volevo fare nel 2008: chiudere coi pipponi politici e scrivere storielline divertenti. Non è proprio andato così, e poi in realtà anche le storielline alla lunga stancano. In generale la lista del 2008 mi sembra inferiore a quella dell'anno prima, anche se nell'ultimo anno mi sembrava di essere più in palla. Forse però ho rischiato meno; del resto tra i pezzi che vi erano più piaciuti nel 2007 c'erano cose piuttosto impegnative, come Storia di Mària, che oggi probabilmente non avrei tempo né voglia di fare.

A proposito, quale sarà stato il pezzo peggiore dell'anno? Dite voi, io non saprei. Quelli che mi sembrano brutti evito di rileggerli. Il più inutile, sulla distanza, mi sembra questo, ma è facile dirlo col senno del poi.

La principale novità del 2008 sono state le vignette: non ne ho fatte molte, ma erano veramente le prime che facevo. Imparare qualcosa di nuovo alla mia età è commovente. In cima a questo pezzo c'è quella che è piaciuta di più (ispirata a un documento autentico). In effetti fa ancora una certa impressione. Ma la presenza del correttore automatico resta inspiegabile.

Il 2008 se n'è già finito nell'ultimo cassetto di quell'archivio in cui credo sempre di custodire ingenti tesori (e invece ogni tanto vado a controllare e pesco ragnatele e poco altro). Come sarà il 2009? Beh, non ne ho la minima idea. Sul serio, questo è un blog che va per i fatti suoi e non si riesce a programmare. Pensate che a inizio anno pensavo di scrivere solo cose leggere e divertenti.

Un discorso a parte meriterebbero quelli che stanno per dirmi che una volta ero meglio, che ultimamente sto esagerando in questa o quell'altra cosa, oppure mi sto ripetendo, ecc. ecc. Non perché non abbiano ragione: di sicuro c'è stato un momento in cui scrivevo meglio di adesso. Ma guardiamoci negli occhi, io sto buttando roba qua dentro da otto anni, come faccio a non ripetermi mai? La risposta è semplice: non ce la faccio. Mi ripeto spesso e volentieri, e molte cose che vi fanno incazzare nel 2009 le ho riprese da pezzi del 2006, o del 2001, per tacere di tutte le volte che mi ripeto senza accorgermene come vostro nonno. Io ho i miei alti e i miei bassi, come tutti, ma alla fine della fiera sono sempre io, e c'è un numero finito di cose che so e di cose in cui credo. Insomma se da un po' di tempo in qua vi piaccio meno, può darsi che stiate cambiando voi.

Come quel gruppo che tre anni fa vi sembrava il massimo e l'ultimo cd non l'avete nemmeno scaricato, perché, boh, non v'interessa più.
Come quella radio che ascoltavate sempre come se non si potesse farne a meno, finché un giorno ne avete fatto a meno, e adesso v'infastidisce anche solo captarla di sfuggita.
Come quelli che si lamentano perché la Gialappa non fa più ridere: ma vi siete visti? Avete trentacinque anni, è chiaro che non può più farvi ridere. Sarebbe ben triste il contrario. E' ora di lasciar spazio ai ragazzini, se ce n'è. E se non ce n'è, tanti saluti e buonanotte. E' stato molto divertente.

lunedì 26 gennaio 2009

La stagione fredda

(Un'ipotesi)

Si sa come vanno queste cose: un primo caso 'buca' l'attenzione del pubblico; sull'ondata emotiva che ne segue viene dato risalto a casi simili che in altri momenti scomparirebbero tra le brevi di cronaca (ammesso che nei giornali ci siano ancora, le brevi di cronaca). Da questo deriva un certo ritmo stagionale dell'attenzione dei media, per cui si ha la sensazione (leggendo il giornale o guardando il tg), di vivere il mese dei cani feroci, quello dei bulli scolastici, o dei preti pedofili... mentre quest'ultimo è stato decisamente il mese degli stupri.

E non ha senso nemmeno augurarsi che finisca presto: tanto meglio se l'ondata serve a prendere consapevolezza di un problema che c'è da sempre. I media saranno anche superficiali, ma in alcuni casi la superficialità è già molto migliore del silenzio.

C'è però un'altra possibilità, e cioè che l'attenzione selettiva dei media sia giustificata da un'effettiva recrudescenza dei casi di stupro.
Io non ho elementi per affermarlo; ma nemmeno posso escludere a priori che da qualche mese a questa parte in Italia si stupri di più. In questo caso, oltre alle solite chiacchiere sulla sicurezza (che non si può garantire al cento per cento, come Berlusconi ha fatto notare con la sua consueta delicatezza) sarebbe utile domandarsi, semplicemente, cosa ci sta succedendo. È naturalmente vero che viviamo in una società violenta, maschilista ecc., ma non possiamo essere diventati più violenti e più maschilisti nel giro di qualche settimana. Ci dovrebbe essere, insomma, un fattore contingente, qualcosa che avrebbe portato alla violenza persone che fino a qualche tempo fa non ne sentivano la necessità.

L'unico fattore di questo tipo che mi è venuto in mente è il decreto Carfagna, che ha tolto molte (non tutte le) prostitute dalla strada. E quindi potrebbe aver tolto ad alcune persone (violente e maschiliste già da prima) un modo economico per concludere la serata. Questo non spiegherebbe tutti i casi, e di sicuro non quello di capodanno. Ma l'eventuale recrudescenza riguarda gli stupri extra-domestici, e in parte proprio quelli consumati in macchina, a tarda ora.

E quindi? E quindi niente, non ho mica soluzioni. Avevo solo un'ipotesi, piuttosto rozza, ma comunque era inutile che la tenessi per me: su un giornale non ci potrebbe nemmeno stare, su un piccolo blog sì.

giovedì 22 gennaio 2009

Tutto il mondo è sagrato

"Ho imparato a non predicar in piazza..."

Le immagini dei musulmani che durante manifestazioni pro-Gaza pregavano in piazza del Duomo a Milano e in piazza Maggiore a Bologna hanno fatto molto scalpore, benché la cosa fosse assolutamente legale (pregare in pubblico non è un reato), e addirittura condotta alla presenza delle forze dell'ordine. Sono stati accusati di avere fatto un gesto provocatorio, il che è senz'altro vero: pregare in pubblico contiene sempre una dose di provocazione, soprattutto durante una manifestazione, che è un evento che dev'essere provocatorio, altrimenti tanto vale stare a casa.

Ma diciamo la verità: quello che ha reso provocatorie quelle preghiere non è tanto l'immagine di centinaia di musulmani inginocchiati, quanto lo sfondo su cui si stagliavano: il Duomo di Milano, la Basilica di San Petronio. Al punto che qualcuno si è spinto ad affermare che quanto successo sia conseguenza diretta della mancanza di moschee in Italia: come se si fossero ridotti a pregare nella piazza più centrale della città perché mancava loro una struttura adatta in periferia. Ma quello è un altro problema. In realtà i musulmani volevano manifestare davanti a tutti, e hanno chiesto e ottenuto dalle autorità competenti della Repubblica Italiana di poterlo fare nelle piazze centrali di Milano e di Bologna: e le autorità non potevano non concederlo, perché manifestare è un diritto, e pregare durante una manifestazione (ripeto) non è un reato. Fino a oggi, almeno. Ma domani?

Nei giorni successivi diversi organi di stampa hanno parlato di preghiera musulmana “sul sagrato del Duomo”, mostrando un'ignoranza architettonica abbastanza sospetta, come ha ben rilevato Malvino. Il sagrato è lo spazio immediatamente prospiciente una chiesa, di solito delimitato da gradini, che per i cattolici è già luogo consacrato: in effetti alcune cerimonie (battesimo, veglia pasquale) si celebrano in parte sul sagrato. Ma le stesse foto dello scandalo dimostrano che i musulmani, meno digiuni di architettura e più attenti alla sensibilità cattolica di parecchi giornalisti, non hanno affatto pregato sul sagrato.

È vero che si sono inginocchiati in direzione della Mecca. È vero che lo hanno fatto in piazze italiane segnate dalla presenza di monumenti appartenenti alla Storia della religione cattolica. Ma siamo in Italia, e in Italia c'è una chiesa importante più o meno in ogni piazza importante: cosa facciamo, vogliamo proibire le manifestazioni in tutte le piazze importanti? Pare di sì. Da quello che ha annunciato il ministro Maroni sembra di capire che da qui in poi nei centri storici le manifestazioni saranno off limits. Si faranno in periferia, così eviteranno di provocare qualcosa o qualcuno.

Ah, e siccome non par bello proibire i cortei soltanto ai musulmani, che in teoria hanno gli stessi diritti degli altri, i cortei nei pressi di luoghi di culto (cioè più o meno dovunque sorga un centro cittadino) d'ora in poi saranno proibiti a tutti. Anzi, no: probabilmente qualche manifestazione cattolica si potrà fare, sarà sufficiente mascherarla da veglia di preghiera: non c'è infatti nulla di provocatorio infatti nel pregare all'interno del Sagrato, e ormai (lo abbiamo capito) tutti i centri storici sono sagrati. In attesa di allargare il concetto di sagrato all'Italia tutta.

La cosa curiosa, che i telegiornali si sono affrettati a spiegare, è che “i musulmani sono d'accordo”, e che addirittura “hanno già chiesto scusa” (alla Chiesa o allo Stato? C'è differenza?) per la provocazione di venti giorni fa. Si vede che alla fine sono persone pragmatiche. Fino a venti giorni fa magari erano convinti di vivere in uno Stato laico, dove il permesso di manifestare si richiede in prefettura o in questura. Poi leggendo i giornali avranno capito che le cose non vanno così: che se in una piazza italiana c'è una chiesa, quella piazza non è più italiana, è della Chiesa, e d'ora in poi probabilmente i permessi li chiederanno direttamente al prete (e coi preti neri, quelli piccoli, molto spesso funzionerà: sono sempre quelli rossi, i graduati, che danno problemi).

Questo succede tra ieri e oggi, senza che quasi nessuno abbia da eccepire: compresi quelli che in piazza a manifestare ci andrebbero due volte al mese. Magari mi sto sbagliando, eh? Magari nell'ultima mezz'ora, mentre scrivevo, sono uscite duecento dichiarazioni scandalizzate per un decreto che lede la libertà di associazione e la libertà di parola, oltre a tonanti dichiarazioni di tutti i principali dirigenti di PD, IdV e sinistra extraparlamentare; nonché un bel post di Beppe Grillo, che di fedeli in Piazza Maggiore ne portò ben più di Maometto. Magari è così, ma lasciatemi dire che fino a una mezz'ora fa sembrava che Maroni potesse proibirci di manifestare nei centri storici senza che nessuno avesse da dire niente. Come se le nostre libertà diventassero meno fondamentali quando ci tocca condividerle coi musulmani.

(In controluce, la situazione mi sembra dimostri abbastanza bene la miopia di questo nuovo movimento ateista, che invece di far fronte comune con altre religioni minoritarie per difendere la laicità dello Stato, si barrica nella sua piccola trincea del Dio-non-c'è e si lascia accerchiare. Ma è un discorso lungo, per oggi ne ho dette anche abbastanza).

mercoledì 21 gennaio 2009

Per solutori miserabili

Che cosa apparirà?

Ma se mi metto a riflettere seriamente su chi potrebbe essere l'Obama italiano, se metto insieme tutte le macchie che fanno il leopardo:
  • una faccia nuova e un po' diversa
  • di minoranza ma anche da establishment, 
  • abbastanza giovane, 
  • con qualche peccato di gioventù, ma scontato da una conversione irreprensibile,
  • una fede profonda
  • disposizione a Cambiare l'Italia
  • ambizione ferocissima
  • fundraiser implacabile e disinvolto
  • uso aggressivo dei nuovi media
  • quel patriottismo che non stucca mai
  • e non dimentichiamo il bel sorriso
se poi coloro i puntini, se unisco i tratti... quello che alla fine salta fuori (se già non lo avete capito) è fin troppo simile a lui.
Allora copro tutto con un bel nero, proprio come quando da bambino sbagliavo il gioco coi puntini. Luce al minimo, massimo contrasto – ma quel ghigno non se ne vuole andare via.

martedì 20 gennaio 2009

My Own Private Obama

Obama è uno specchio

Noi, in realtà, di Obama
sappiamo poco.

Ne sappiamo poco perché finora ha fatto poco; e anche quel poco che ha fatto ci interessava meno del mito che gli abbiamo costruito intorno.
A questo punto non ha nemmeno senso chiedersi chi Obama sia: ancora un po' di tempo e lo vedremo. Forse è più interessante domandarsi cosa abbiamo voluto che fosse fin qui.

Ora è facile osservare che in Obama ciascuno di noi ha visto più o meno quel che voleva vedere, con l'entusiasmo acritico del tifoso che cerca riscatto dopo anni di sconfitte della sua squadra. Come se Obama dovesse per forza giocare per noi. Ma sì: dava l'impressione di essere sempre dalla nostra. Qualunque cosa dicesse (ma poi cosa diceva in realtà? Boh).

Non c'è neanche bisogno di fare esempi, ma facciamoli: i trentenni di belle speranze esclusi dalla stanza dei bottoni lo hanno seguito come il Mosè della loro generazione attraverso il Mar Rosso del vecchiume; i baby-boomers già rincoglioniti ci hanno rivisto Kennedy pari-pari (esattamente come col giovane Clinton, 16 anni fa); i nerd hanno visto in lui il trionfo dell'aggregazione via internet; gli afroamericani lo hanno visto afroamericano; i liberal hanno voluto vederlo liberal; gli evangelici lo hanno visto evangelico; persino qualche musulmano sarà riuscito a vederlo musulmano; e così via.

Non spetta a me stabilire quale di queste proiezioni sia più o meno sballata dalle altre, né pronosticare chi taglierà per primo il traguardo della gara tra i delusi-da-Obama; mi limito a notare che finora ognuno di noi ha usato Obama più o meno come uno specchio – ma gli specchi presto o tardi deludono, per costituzione.

Voglio dire che Obama ci deluderà, perché non può corrispondere a ciascun nostro ideale – e se anche lo facesse, ogni nostro segreto ideale ha un lato oscuro, di cui ci accorgiamo soltanto le rare volte che lo vediamo realizzato.

Anch'io naturalmente mi sono fatto il mio Obama su misura. Non l'ho voluto troppo di sinistra, perché so che non reggerebbe la prova della realtà; non l'ho preteso filopalestinese, era troppo chiedere: se per una volta rifiutasse di usare il veto all'Onu sarebbe già un miracolo al di sopra delle mie aspettative. Si vede che invecchio, da quanto poco sono disposto a farmi illudere.
Non è un trentenne brillante, il mio Obama; non è un MLK più sexy, non giocherella con l'iphone, ma ha anche lui un suo dettaglio personalizzato. Il mio Obama è fondamentalmente un figlio d'immigrato.

Non è nemmeno il colore in questione, qui: è lo stesso colore di milioni di statunitensi da generazioni. Ma il padre di Obama era un keniota – e, pare, neanche il massimo dei padri.
L'Obama che mi porto a scuola oggi è un figlio di extracomunitari che viene accolto da una società multietnica senza una piega, e nel giro di una generazione porta un cognome buffissimo sulla targhetta dell'ufficio più famoso del mondo. Questo è quanto basta per creare una leggenda, e quel che conta ancor di più della leggenda: un precedente.

Potrà gasarvi un Presidente cool, vi elettrizzerà un presidente telematico, ma quello che cambia veramente per me sta semplicemente in quel cognome assurdo. Diversissimo e simile a tutti i cognomi assurdi che mi trovo intorno a scuola: cinesi, magrebini, rumeni. Nessuno di loro, per quanto sgobbone, diventerà Presidente. Ma oggi sanno che non è giusto. Questo è quello che Obama ha già insegnato a loro e a me. Ed è parecchio.

venerdì 16 gennaio 2009

sofismi su Israele, 9-10

(Comincia qui, continua qui)


9. Attacco all'Antisemita

Il sillogismo è abbastanza noto: gli israeliani sono ebrei; tu ce l'hai con loro; quindi ce l'hai con loro perché sono ebrei. Non li odi perché bombardano, non li odi perché espropriano, non li odi perché segregano; li odieresti anche se non facessero nulla di tutto ciò, perché il vero motivo per cui li odi è che sono ebrei.
Smontare questo sofisma non è affatto facile, sapete? In realtà l'unica dimostrazione empirica richiederebbe la collaborazione degli israeliani: se smettessero anche solo per un breve tempo di espropriare, bombardare, segregare, a quel punto sarebbe più facile distinguere chi critica Israele per queste cose dagli antisemiti tout court.

Da un punto di vista logico, l'antisemitismo di un critico di Israele si smonta in un attimo, grazie a quel famoso rasoio di Occam: se l'esercito di Israele fa cose oggettivamente odiose (ad es. bombardare scuole disarmate); se il governo gliele ordina; se il popolo le sostiene, non c'è affatto bisogno di inventarsi un astratto “odio per gli ebrei” che giustifichi le mie critiche: entia non sunt multiplicanda. Da un punto di vista logico.
I guai cominciano quando si passa alla comunicazione. Occorre criticare Israele senza suggerire nessun tipo di odio razziale. Beh, non è facile. Diciamo anche che è maledettamente difficile.
Ci sono motivi contingenti: un critico di Israele, oggi, si trova schiacciato tra quelli che hanno tutto l'interesse a fraintendere quello che dici e ad affibbiarti patenti di antisemitismo, e quelli che sono antisemiti davvero (e non sono mica pochi): gruppetti neofascisti che tentano insolite accozzaglie rosso-brune, teppisti che dopo anni di svastiche hanno imparato a disegnare la Stella di David, semplici provocatori... e musulmani. I musulmani, in realtà, non sai mai cosa stiano gridando alle manifestazioni, ma è sufficiente inneggiare Hamas per associarsi a un movimento che (lo abbiamo visto) assume tratti antisemiti.

Giusto per complicare la situazione, nell'ultimo decennio ha preso piede la definizione di “antisemitismo di sinistra”, una vera e propria piaga che ammorberebbe la coscienza di generazioni, denunciata da cronisti coraggiosi, come Piero Citati:

Quanto agli antisemiti di sinistra, sono talmente tanti che non oso nemmeno nominarli.


E si capisce, il coraggio uno non se lo può dare – poi però l'omertà diventa un peso insostenibile, ed ecco la preziosa testimonianza

Ricordo soltanto una giovane, non so se casariniana o carusiana o agnolettiana, che proclamava ad alta voce: «Quelli che non ha ucciso Hitler, li ammazzeremo noi».

Da far accapponare la pelle, la giovinetta di sinistra che si augura ad alta voce di terminare l'opera di Hitler; soprattutto considerando il numero di vittime che il terrorismo casariniano-carusiano-agnolettiano ha fatto in questi anni dieci anni di lotta armata senza quartiere. Il pezzo di Citati, pubblicato nel torrido agosto 2006 mentre i carabinieri partivano per andare a mettere una pezza in Libano, e salutato da molti come un formidabile j'accuse nei confronti del nuovo strisciante odio etnico, esemplifica un po' l'atteggiamento dei nostri intellettuali di fronte al fenomeno: è una cosa terribile, gli antisemiti di sinistra sono tanti che non si possono nemmeno nominare, fanno cose orribili, per esempio... una ragazzina ha detto una scemenza. Dove? Mah, a una manifestazione. Citati, lei va alle manifestazioni col taccuino e si scrive le frasi? O gliel'hanno raccontata? O l'ha vista in tv? Ma è sicura che fosse di sinistra quella ragazzina? Ha una minima idea di come si vestano quelle di sinistra? Ma pensate che qualcuno gli abbia fatto anche solo una di queste domande, a Piero Citati?

Di antisemitismo di sinistra si è cominciato a parlare parecchio più o meno nel 2003, con la pubblicazione di un controverso dossier commissionato dall'Unione Europea (in un primo momento annunciato in ambienti neoconservatori come un tuonante atto d'accusa contro gruppi di sinistra: quando poi lo abbiamo letto abbiamo scoperto quello che sapevamo già, e cioè che in Italia i responsabili di aggressioni e atti vandalici contro gli ebrei sono quasi tutti esponenti di movimenti o tifoserie di destra).
Quel dossier non mi ha mai convinto, forse perché definiva Informazione Corretta un sito web “imparziale nel giudizio” (dai, con tutta la più buona volontà...): però è un documento utile per capire cosa si intende per “antisemitismo di sinistra”. Un concetto che io trovo una contraddizione in termini: se uno è antisemita crede nelle razze pure e impure, per cui non può essere di sinistra; se uno è di sinistra, come fa a dire o fare cose antisemite? Può dirle per sbaglio?

Il sito Web Che fare?, appartenente ai gruppi
dell'estrema sinistra, riporta elementi antisionisti, del fondamentalismo filoarabo e antiamericani, oltre a ricorrenti stereotipi contro gli ebrei, utilizzati in passato e attualmente: le lobby ebraiche, il rapporto con la Massoneria, il complotto internazionale, il potere economico mondiale in mano agli ebrei, ebrei circoncisi con il marchio del dollaro sono tutti esempi di slogan più e più volte ripetuti.

Siete avvertiti: se usate questo repertorio, siete antisemiti. Secondo me tutto sommato ci può stare: l'unica mia perplessità è legata alle “lobby ebraiche”. Se dico che negli Usa esiste una lobby che cerca di mantenere il governo su posizioni filo-israeliane, affermo una cosa antisemita?

Ma poi, ha senso farsi domande del genere? Tanto ci sarà sempre qualcuno che capirà male, e qualcuno che farà di tutto per capire male. Io alla fine della fiera sono solo un blog. Posso fare tutti gli sforzi che voglio per criticare Israele nel modo più politically correct possibile; poi succede come alla Fiera del Libro di Torino: arriva Vattimo, dice due scemenze sui Savi di Sion, et voilà! Ecco squalificato tutto il movimento filopalestinese italiano. Perché? Che ci sia un complotto internazionale, una lobby massonica che paga Vattimo per dire la prima sciocchezza che gli frulla in testa e sputtanarci tutti quanti? No, le cose sono più semplici: un professore universitario in pensione è abituato a gettare le sue piccole o grandi Verità su un pubblico di laureandi, dottorandi, assistenti e altri yesmen; non è minimamente abituato a soppesare tutto quello che dice per evitare fraintendimenti pericolosi: e quindi cade nel primo tranello che trova, e se non ce ne sono se li fabbrica da solo.


10. Attacco al nazista, o Sillogismo del Gran Muftì.

Sillogismo: i palestinesi sono nemici di Israele: gli israeliani sono ebrei; i nazisti li sterminavano: i palestinesi sono nazisti! E sei nazista anche tu che li difendi.
Possibile che qualcuno scriva veramente roba del genere? Sì, lo fanno. E si credono pure astuti, perché sanno una cosa che tu non sai: come si scrive “Gran Muftì”.

Per “Gran Muftì” si intende in realtà Mohammad Amin al-Husayni, leader nazionalista prima panarabo e poi palestinese, che dal 1921 al 1948 fu effettivamente Gran Muftì (autorità giuridico-religiosa islamica) di Gerusalemme. Al-Husayni capeggiò la rivolta araba degli Anni Trenta, quando i kibbutz ebraici erano presi di mira dai cecchini palestinesi. Ma fece uccidere anche parecchi arabi, rei di non sostenere una linea più morbida con gli ebrei, o semplicemente perché parteggiavano per fazioni avversarie alla sua. Nel frattempo tesseva relazioni diplomatiche con Italia e Germania, nella speranza di far fronte comune contro inglesi ed ebrei. L'occasione venne nel 1941, quando quattro generali filo-Asse fecero un golpe in Iraq. Ma andò male: gli inglesi si ripresero Iraq e Palestina, e al-Husayni scappò in Germania, diventando definitivamente un uomo del Reich. La sua mansione specifica fu organizzare le SS musulmane in Bosnia, una cosa che mi riempie di stupore ogni volta che la rileggo: c'erano SS musulmane in Bosnia. Se non bastasse a qualificarlo come nazista, molti studiosi ritengono che abbia partecipato attivamente allo sterminio degli ebrei. Alla fine della guerra scappò in Svizzera, e nel 1948 era di nuovo il leader palestinese durante la guerra che non a caso i palestinesi chiamano Catastrofe. Arafat continuò a considerarlo (in mancanza di meglio?) un eroe della causa palestinese, e fino a un certo punto lasciò intendere di essere suo nipote. Ma in generale Al-Husayni ha reso davvero un servizio catastrofico alla sua causa: ha diviso i palestinesi, facendo guerra anche a molti di loro, e ha procurato loro quella fama di nazismo che filtra la legge di Godwin. Ovvero: in una discussione sulla questione israelo-palestinese citare Hitler è ammesso, perché in una determinata situazione storica i palestinesi (alcuni) si sono alleati dei nazisti in chiave anti-ebraica. Questo è incontrovertibile, malgrado anche la studiosa israeliana Idith Zertal abbia riconosciuto che “la demonizzazione del Gran Muftì serve a ingigantire la minaccia-Arafat”. Per demonizzazione s'intende quello che ha osservato lo storico americano Peter Novick (trad. mia):
Il Muftì è stato per molti versi un personaggio riprovevole, ma una sua partecipazione significativa all'Olocausto, sostenuta più volte nel dopoguerra, non è mai stata sufficientemente comprovata. Questo non ha trattenuto i curatori dei quattro volumi dell'Enciclopedia dell'Olocausto dal dargli un ruolo di primissimo piano. L'articolo sul Muftì è due volte più lungo di quelli su Goebbels e Goering, più lungo di quelli di Himmler e Heydrich, più di quello su Eichmann... di tutte le voci biografiche, è superato in lunghezza (di poco) solo da quello su Hitler.
Se Al-Husayni è tanto popolare, è perché si presta alla perfezione al ruolo di padre dell'"islamofascismo", un ibrido che andava per la maggiore anche in Iraq, finché non ci siamo messi a mercanteggiare la pace con i mullah.
Dunque, tecnicamente, chi cita il Gran Muftì segna un punto per Israele: era un alleato di Hitler. Parte del popolo palestinese, in un periodo della sua storia, è stato alleato di Hitler, persino complice di Hitler. Quanto ne possano sapere di Hitler a Gaza o nei campi profughi, è irrilevante: gli eredi di un popolo che sessant'anni fa ha collaborato con Hitler devono continuare a pagare per il loro errore. Quindi gli israeliani han ben ragione di bombardare loro – ehi, aspetta, ma a quel punto avrebbero il diritto di bombardare anche noi, che con Hitler abbiamo collaborato un po' di più. E i tedeschi. E perché no, i giapponesi. E... sì, vabbè, ma perché darsi tanta pena? I palestinesi sono dietro casa, son comodi, facciamo che il Male Assoluto se lo espiano loro.

(Continua, ma il più è fatto)

giovedì 15 gennaio 2009

Dio c'è ma ha preso il taxi

That bus is going nowhere

Learn the subways, Kevin. Use them. Stay in the trenches. Only way I travel.

Il dibattito sull'esistenza di Dio sui blog italiani è una cosa fantastica. Senza ironia. Beh, di sicuro, è più eccitante del dibattito sull'arte di Allevi.

Dunque, in soldoni il fatto è questo: Atei comprano pubblicità su autobus per avvertire che Dio non c'è.

La mia domanda è: che razza di atei siete? Perché ce ne sono di deboli e di forti. Gli atei deboli ritengono che l'esistenza di Dio non sia dimostrata e probabilmente non dimostrabile; gli atei forti invece sono assolutamente sicuri che Dio non ci sia.
Dalla scritta che avete scelto direi che siete Atei forti: per voi Dio proprio non c'è. Beh. È una presa di posizione netta, bravi. Ma chi ve l'ha detto?
Gli scienziati no di sicuro, l'esistenza di Dio non è affar loro. Difficile che ve l'abbiano detto i filosofi (e anche se fosse: vi fidereste dei filosofi?)
Perché vedete, l'ateismo “forte” ha una debolezza logica, un tallone d'Achille: la non-esistenza di Dio non è dimostrabile.
A questo punto c'è sempre chi protesta che la questione è l'esistenza di Dio, il cui onere della prova spetterebbe a chi ci crede: come se Dio fosse un crimine, di cui siamo tutti innocenti fino a prova contraria. Ma questa è teologia, mica giurisprudenza: l'Universo è decisamente grande; come puoi sostenere che qualcosa in esso (compreso il suo creatore) non esista “fino a prova contraria”? Tutto può esistere, finché non provo il contrario. Il pianeta inquadrato dai telescopi a 128 anni da luce da me esisteva assai prima che qualcuno sulla terra potesse immaginare l'idea di “pianeta”.
Voi un telescopio così potente in casa non l'avete: e tuttavia sostenete che Dio non c'è. Come l'avete capito?
Ci siete arrivati con l'intuito? Allora siete degli “illuminati”. Ve l'ha detto un uomo/donna più saggio/a di cui vi fidate totalmente? Allora siete discepoli di un “guru”, o “profeta”. E la vostra convinzione che Dio non esista si chiama “Fede”. Lo so che da dentro le cose sembrano diverse, ma vi assicuro: fuori dal bus la percezione è questa. E la scritta sul bus, per quanto ben congegnata, vi garantisco che porta quel retrogusto di arroganza tipico degli slogan dei missionari: “Ehi voi che aspettate l'autobus, lo sapevate che avete vissuto una vita nelle tenebre della superstizione? Beh, svegliatevi”.
Proprio così. Svegliatevi. Lo slogan dei Testimoni. Perché, credete che abbiano una coscienza meno complicata e moderna della vostra? Anche loro hanno una Fede. Gliel'ha rilevata un Profeta. La differenza principale tra voi e loro è che voi siete simpatici dilettanti, con un'idea, uno slogan e poco altro. Loro invece sono sulla piazza da un secolo e macinano proseliti, perché hanno da offrire molto di più: hanno una Storia. Hanno una speranza: La Fine Dei Tempi È Vicina! 144.000 Persone Non Moriranno Mai! Queste sono idee che ti fanno salire su un autobus, altro che Dio non esiste goditi la vita.
Goditi la vita? Con la recessione, la disoccupazione e la guerra? Ehi, senti un po', Ateo Forte: me li dai tu i soldini per godermi la vita? Me la ricarichi tu la Social Card? No? E allora scusami, ma le tue sottigliezze ontologiche non mi interessano. Ogni giorno che mi sveglio è un problema in più, e quest'autobus l'ho preso giusto per recarmi dal mio pusher di Oppio dei Popoli preferito.

Torniamo alla prima domanda: che razza di atei siete? Atei razionalisti?
E allora dovreste saperlo che anche la religione è una sovrastruttura, e che non si smonta mica con la reclame su un autobus. Esisterà finché esisteranno determinati parametri sociali ed economici e determinati rapporti di potere.
Potrei capire se mi diceste che per cambiare la società bisogna pur partire da qualcosa, e che voi avete deciso di partire dalla messa in discussione del concetto di Dio. Posso capire, ma mi sembra una priorità bislacca; la mia è ridurre le ingiustizie sociali. E so che si può fare anche con l'aiuto di tanta gente che crede nell'esistenza di Dio con dimostrazioni fallaci tanto quanto le vostre.

Noi sappiamo che la Storia non ci sta preparando nessuna rapida palingenesi. Sappiamo che la scienza, la medicina e l'economia, con tutti i loro progressi, non riescono a impedire che miliardi di persone vivano male: al punto che c'è forse più sofferenza umana sulla terra oggi di quanta ce ne sia mai stata in passato.
Viviamo in un'epoca di diagnosi rigorose e cure imperfette. La nostra scienza funziona benissimo quando deve spiegarci di che malattia stiamo soffrendo, o perché il nostro Paese è in recessione. Funziona assai peggio come erogatrice di speranze. A tutt'oggi non ci sono ricette per gran parte dei mali che ci affliggono, fisici e morali. Forse vale la pena di guardare all'oppio con un occhio diverso.

Le grandi religioni, quelle che azzerano il calendario, si sono sempre affermate in periodi di crisi simili a questo. Prendiamo il cristianesimo: se ha avuto lo straordinario successo che sappiamo, è perché ha individuato un "mercato" che nessun prodotto era più in grado di soddisfare. Il mercato della sofferenza e della disperazione – e quando dico "mercato", non parlo per metafore. Dal III secolo in poi, le comunità cristiane hanno portato alla luce un soggetto economico che prima non esisteva: il bisognoso. In un mondo che ignorava (oltre che la luce elettrica e la penicillina) qualsiasi forma di Welfare State, i cristiani iniziarono a raccogliere fondi con lo scopo di destinarli a vedove, orfani, perseguitati, poveri. In seno allo Stato militare (che tassava i cittadini ormai quasi esclusivamente per mantenere burocrazia ed esercito), nasceva un'idea di Stato assistenziale. Non è curioso che la fratellanza musulmana (che in Palestina si chiama Hamas) sia nata e cresciuta nei Paesi arabi nella stessa maniera? La fratellanza sostituisce (male) l'assistenza sociale in Paesi in cui i poveri sono abbandonati a loro stessi. Tutto questo è giusto? No. Ma tutto questo può essere cambiato rapidamente?

Se tu sei ateo, forse è perché te lo puoi permettere. Hai un buon lavoro, che dà un senso a parte della tua vita; e una famiglia abbastanza confortevole. Se soffri di qualcosa, puoi acquistare le medicine che ti servono. Puoi anche investire parte della tua vita e dei guadagni in svaghi e in oppiacei non metaforici. Insomma, non hai così bisogno di Dio. Così magari puoi diventare ateo. Perché sei più intelligente di altri? Più informato? O perché sei un privilegiato?
E a chi non è altrettanto fortunato – o intelligente – cos'hai da proporre? Puoi garantire un lavoro a tutti i poveri della terra? Una famiglia confortevole? Medicine a prezzi equi? Divertimento occidentale? No, non Puoi. Guardiamoci in faccia: stiamo bloccando le frontiere; è evidente che non ci sono abbastanza risorse per tutti. Ma allora, cos'hai da proporre ai poveri della terra, di meglio del caro-vecchio-oppio-dei-popoli?
Una scritta su un autobus? Tutto qui?
Tu non ci sali spesso sugli autobus, vero?
Dovresti.

(metà pezzo viene da qui)

martedì 13 gennaio 2009

Sporcdrughè live in Maranello

(25 giugno 2008)
  • Quaranta gradi in casa e il condizionatore piscia acqua, il tecnico al telefono ha detto per carità non azionatelo, noi magari tra due mesi lo ripariamo. Bene, ma stasera piuttosto di restare in questo sottotetto t'accompagno a Maranello a vedere i Bluvertigo.

  • No, no, tranquilla che non lo scrivo, un post sui Bluvertigo, è vero che mi sono un po' antipatici, ma è un'antipatia senza nessun significato sociale o politico, mi stan sulle balle e basta, che senso ha parlarne? Poi sembra di essere gli stronzi.

  • C'è che sono miei coetanei, e dei miei coetanei non mi va di parlare. I giovani sono patetici, i vecchi rincoglioniti, ma i coetanei no-comment. Effettivamente stavano vendendo dischi, o romanzi, mentre io non lo facevo. Io in quel periodo, soprattutto, ignoravo. Più che altro per dribblare l'invidia, che è una bestia brutta.

  • Però poi vorrei anche dirti che non mi sono perso niente, che le mie intuizioni sui coetanei avevano del buono. In effetti, spiegami com'è che ogni volta che ripescano qualche residuato dei Novanta sembra più vecchio dell'artista omologo anni Ottanta? Ma è un discorso che vale per il mondo intero, vuoi mettermi gli Oasis con gli U2? Probabilmente c'erano fattori universali che hanno determinato che l'ultimo decennio del secolo fosse un decennio di mezzecalze.

  • Uno di questi fattori è la saturazione. In campo musicale, o di costume, i Novanta arrivano dopo quarant'anni ininterrotti di evoluzione stilistica, in pratica era impossibile inventare qualcosa di nuovo: e allora si citava. Si citava per necessità, perché non si aveva veramente molto di originale da fare, però a un certo punto citare diventò il gioco più hip che c'era in città, si passavano lunghe serate a misurarsi – tu non puoi capire, erano cose soprattutto da maschietti – lunghe sedute a vedere chi citava più lungo. Tutto senza nessuna capacità selettiva, gli Alphaville valevano quanto Battiato, vinceva chi aveva più memoria e più dischi vecchi in casa. Ecco, i Bluvertigo (a proposito, siamo qui da mezz'ora, quando attaccano?) mi sembravano, mi sembrano, i rappresentanti quegli anni postmoderni nel senso che bastava la parola “postmoderno” per sembrare chissachi, e invece la verità era che si andava in giro oberati da un'enorme “cultura” divorata e maldigerita, una mole di dati che non riuscivamo a disciplinare e saltava fuori sempre a sproposito: testi di canzoni e dialoghi di film responsabili di storie finite male con ragazze che poi si sono sposate al primo stronzo e tutto il resto.

  • Comunque i Novanta sono passati, e non so se lo hai notato; la gente cita meno. Per vari motivi, ma uno dei primi credo sia internet. Per esempio, gli Oasis hanno fatto conoscere a molti ragazzini i Beatles; passo successivo, i ragazzini si sono scaricati i Beatles; terza fase, hanno smesso di cagare quei pianobaristi dei fratelli Gallagher. Tutta quella straordinaria memoria che ci serviva negli anni Novanta per trovare il pezzo giusto da mettere nella cassettina giusta, oggi non ci serve più, un clic e via - la possibilità di farsi archivi enormi e portabili ha banalizzato quelle capacità di memoria e di critica che in quegli anni non erano mica un lusso, erano un esigenza. Analogamente, se proprio mi viene l'insano desiderio di vedere qualcuno pittato come i Duran Duran ai tempi di Rio, faccio molto prima a mettermi su youtube che a venire qui a Maranello ad aspettare questi cazzo di Bluvertigo che, ha detto il tipo, “cominceranno tra mezz'ora per problemi logistici”. Logistici?

  • Allora siamo qui seduti all'ombra del monumento ad Enzo Ferrari a forma di stronzo. Dietro c'è una chiattona che ripensa alla sua prima cassettina dei Bluve “nel novantasei”. Davanti c'è una ragazzina DEL novantasei che guarda il backstage con sguardo canino e rapace: “Cioè, se sapessi come fare a entrar lì... è come se... (spiega all'amica)... qual è il tuo gruppo preferito? I Tokio Hotel? Cioè, è come se i Tokio Hotel fossero lì dietro...”

  • Sì, ecco, dimenticavo, c'è questa cosa della televisione. C'è che Morgan è andato in tv, quest'anno, e pare che abbia salvato da solo un programma di giovani talenti con Simona Ventura. E quindi adesso da vecchio arnese anni Novanta si trova sbalestrato sul target dei Tokio Hotel. Secondo me ha fatto bene, eh. Però anche solo se dico così, si capisce che sotto sotto intendo il contrario, che per me un citazionista succube delle proprie citazioni, uno che si traveste per eludere il problema dell'identità, è perfetto per la tv, dove si colloca tranquillamente nella fascia di brontoloni televisivi tra Sgarbi e Zeri; inoltre, siccome il format di Simona Ventura è la versione nobile e hip di Amici di Maria De Filippi, avrei buon gioco a constatare che Morgan si è trasformato nella versione nobile e hip di Platinette. Poi tu t'incazzi ma cosa ci posso fare se questo passa tre mesi pittato in vari modi a difendere l'integrità artistica contro la dittatura del Televoto, e poi porta al trionfo una boyband salentina di trentenni con la pancetta che steccano pure? Ecco, meno male che cominciano a suonare. Andiamo in mezzo, però, perché da qui non si sente tanto bene, eh.

  • Si sente male anche in mezzo, e lui non si regge in piedi. Ma non è questo il problema. Il problema è che è giù di voce. Veramente parecchio giù di voce. Non stecca, non sbaglia a suonare, ma la voce è un graffio che fa male a sentirla. Per fortuna che parecchie strofe sono su una nota sola. La gente comincia a dire “drògati meno”. 

  • Mi viene in mente che io sono cresciuto in un posto un po' più piccolo, ma sostanzialmente simile, dove ai tempi della mia prima infanzia c'era una cumpa nota come “i drogati”, i quali si ritrovavano al pomeriggio, bada bene, nel cortile davanti alla chiesa, e fumavano. Erano effettivamente gli anni dell'eroina a prezzi popolari. In seguito però seppi da fonte attendibilissima che “i drogati” non si drogavano affatto. Fumavano Marlboro, proprio come nel pezzo degli Offlaga. Però ci tenevano a essere chiamati “i drogati”, e li posso capire: è una gran consolazione, se vivi in un paesone, lo sguardo della vecchietta che passa, ti fissa e pensa Sporcdrughè.

  • Poi penso a una cosa che mi ero scordato, e che mi ha rimesso in mente Enzo: che negli anni Novanta, per esempio, abbiamo *lavorato* anche a una rivista dove una volta comparve un'intervista a Morgan, non fatta da noi, ma da uno che, vivendo veramente negli anni Novanta, Morgan lo idolatrava. E dunque a un certo punto gli chiedeva: perché ti pitti le unghie? Cioè, noi stavamo cercando di mettere su una rivista letteraria, e su questa rivista un tizio chiedeva al suo cantante pop la ragione intrinseca del suo pittarsi le unghie. Ma vabbè. Comunque Morgan rispose che se le pittava per studiare le reazioni della gente, per esempio, se poi entrava dal tabaccaio, cosa avrebbe pensato di Morgan e delle sue unghie nere?

  • Questa cosa ci fece molto riflettere. Coniammo anche un'espressione, purtroppo intraducibile, che doveva riassumere una certa velleità ribelloide affetta da inestirpabile provincialismo: épater le tabacchèin. Cercammo anche di raffigurarci il quadretto: un tabaccaio qualsiasi degli anni Novanta, con un'intera stanza di videopoker abusivi, alle spalle precedenti per ricettazione e spaccio. Le cinque del pomeriggio. Entra Morgan, chiede un lollipop, e lo scarta facendo ben vedere le sue unghie pittate di fresco. Il tabaccaio sovrappensiero non reagisce – sta pensando che se la rumena non si sbriga a pagare il subaffitto del seminterrato bisogna sloggiarla con le maniere forti, ma è una grana – e allora Morgan glielo dice: “ehi, hai notato che ho le unghie pittate di nero? Che te ne pare? Sono o non sono un ragazzaccio? Un maudit?”

  • Insomma, non ha voce. Tu non hai idea di cosa riescano a combinare i cantanti quando non hanno voce. Mio cugino per esempio si buttava a pesce dovunque, senza nessuna pretesa di essere sorretto, si buttava anche sulla batteria, e poi il batterista voleva menarlo, ma in un qualche modo la serata era risolta. Una cosa che mi faceva abbastanza ridere erano quelli che guardavano Xfactor e commentavano quant'è fatto Morgan, ma perché non gli dicono niente? Cioè: secondo voi Simona Ventura dovrebbe dire a Morgan “Vacci piano?” Ma ti ripeto: non stecca e non sbaglia a suonare, quindi è abbastanza lucido.

  • E continuano. “Fatti di meno! Drughèèèè! Ecc.” E io vorrei urlare Lasciatelo Stare, è giù di voce e sta cantando da un'ora, non vedete che a suo modo ce la sta mettendo tutta? Non vedete che si vergogna anche lui, ma tira avanti, e se c'è l'acuto ti fa pure l'acuto, soffre ma lo fa? Ma sarebbe come barare. Oggi il gioco è questo: lui fa lo Sporcdrughè, e noi siamo il suo pubblico di tabacchini.

  • Se dio vuole comincia a far fresco. Speriamo di dormire stanotte. No, ti giuro, no, non lo scrivo un pezzo su Morgan, in fondo mi è simpatico.

domenica 11 gennaio 2009

sofismi su Israele, 6-8

Prima di continuare coi sofismi, vorrei rispondere a chi ha commentato "cose chiare e sensate. Ma chi lo va a spiegare alla "casalinga di voghera"?

Ecco, per una volta credo che la famosa casalinga sia vittima di un pregiudizio. La immagino davanti a un tg qualsiasi mentre scuote la testa, piange per le vittime e biasima i bombardatori. Non riesco a immaginarmela mentre mi fa un'equazione Kissinger o rilascia patenti di antisemitismo. Questi sofismi non sono pane per i suoi denti. Sono invenzioni intellettuali, concepite e collaudate da intellettuali per convincere altre persone che su internet o sui giornali cercano di farsi un'idea approfondita. È per questo che mi fanno paura. Non pretendo che la casalinga di Voghera debba farsi un'idea anche solo vaga di tutto quello che è successo dal '48 a oggi; ma perché giornalisti e ministri devono raccontarmi balle? E devono essere per forza balle così inverosimili?

6. Sofisma del matrimonio gay
Questo è di conio recente, ma ha già riscosso un certo successo. Come fai a mettere sullo stesso piano un movimento oscurantista come Hamas e un Paese laico come Israele, dicono, un Paese dove i gay si possono sposare?

Non so cosa ne pensino i gay, ma io trovo un po' fastidioso l'uso del “matrimonio gay” come cartina di tornasole della laicità di una nazione. Peraltro, non è nemmeno vero che i gay si possano sposare legalmente: la giurisdizione israeliana riconosce semplicemente la validità di matrimoni gay contratti in altri Paesi. Ma chi ha a cuore l'etichetta laica di Israele dovrebbe lasciare perdere l'argomento “matrimonio” in generale: sposarsi in Israele è una faccenda complicata. Il matrimonio civile non esiste: i matrimoni religiosi si possono contrarre soltanto tra membri della stessa comunità religiosa, secondo il sistema dei Millet ereditato dalla legislazione ottomana, che a quei tempi era veramente all'avanguardia in fatto di pluralismo religioso, ma oggi segna un po' il passo dei tempi – soprattutto a confronto con quelle democrazie laiche e occidentali alle quali si paragona spesso Israele.
Quindi: i cristiani si possono sposare coi cristiani, i musulmani coi musulmani, i drusi coi drusi, gli ebrei con gli ebrei – ma anche così è troppo facile, in realtà non tutti gli ebrei israeliani hanno diritto di contrarre matrimonio con ebrei ortodossi o di discendenza sacerdotale (i kohen). Anche i figli illegittimi sono sottoposti ad alcune limitazioni. Su tutto questo ha giurisdizione il Gran Rabbinato, che a partire dal 1947 ha negoziato con il primo governo di Ben Gurion un accordo tra Stato e religione affine ai nostri concordati. Con la differenza (non mi pare da poco) che in Italia ci si può sposare anche al di fuori della Chiesa, e con qualcuno che in una chiesa non ci è entrato nemmeno per battezzarsi. Siete ancora sicuri che Israele sia un Paese così laico?

È vero che la situazione è bilanciata dalla prontezza coi cui Israele riconosce i matrimoni civili contratti all'estero: tanto che nel 2000 si è calcolato che uno sposo/a israeliano su dieci ha sconfinato per celebrare il suo matrimonio (Cipro è la tappa preferita). Tra questi, anche quelli contratti tra persone dello stesso sesso. Quanto questo renda Israele un Paese laico, decidetelo voi.

Naturalmente non penso che nessun gay, messo di fronte all'alternativa se vivere a Tel Aviv o Gaza, nutrirebbe molti dubbi (come se i gay di Gaza avessero davvero questa scelta; e come se la loro priorità in questo momento fosse il matrimonio, e non il pane e le medicine); e tuttavia non credo che la tolleranza sia un valore assoluto piovuto dal cielo, che gli israeliani hanno e i palestinesi no; ritengo che dipenda fortemente da una serie di parametri tra i quali, fondamentali, la cultura e il benessere. Dove c'è benessere e cultura di solito i gay se la passano molto meglio. Ma la cultura e il benessere di Tel Aviv e in generale di Israele sono in parte basati sullo sfruttamento delle risorse di Gaza e della Cisgiordania. Troppo comodo accusare i palestinesi di oscurantismo a pancia piena.

E comunque nemmeno il benessere israeliano si può dare per scontato. Il Paese si dibatte in una crisi economica decennale, la corruzione è endemica, e la militarizzazione del conflitto è anche una risposta a queste tensioni. Israele non è il Paese laico che molti credono, ma non è nemmeno una teocrazia di fanatici. Eppure chi ha visto almeno una volta i coloni di Hebron o gli ortodossi di Mea Sharim sa che l'integralismo ebraico esiste, è già una forza elettorale con cui i governi devono fare i conti, e ha margini di crescita.


7. Sofisma benaltrista, o dell'"indignazione selettiva"
Prima o poi arriva quello che ti chiede: perché parli solo di Israele? Dov'eri quando uccidevano i cristiani nel Darfour? I Tutsi in Ruanda? I palestinesi, però in Giordania? Com'è che salti fuori sempre e solo quando si tratta di Israele? Pacifista a senso unico! Indignato selettivo! Ecc.

Questo è un sofisma solo in parte. È vero che il conflitto israelo-palestinese ha una copertura diversa dagli altri. È vero che ha sempre coinvolto noi italiani più che altri. Ci sono ragioni storiche e culturali perché questo avviene (una vicinanza particolare con la cultura araba, un senso di colpa nei confronti della nostra comunità ebraica, ecc.); ciò non toglie chi si ricorda delle guerre soltanto quando le fa Israele possa risultare fastidioso. Resta tuttavia un argomento ad personam: anche se parlassi solo di Israele, non merito di essere giudicato per quello che dico in quel momento? Di quanti conflitti devo aver parlato prima di avere il diritto di parlare di quello di Israele? O il senso è che devo stare zitto e lasciar parlare i professionisti? In pratica non si deve parlare di Israele su un blog, a meno che non sia un blog di politica estera.

(Ora rispondo per me:) Questo non è un blog di politica estera. È un sito un po' generalista con qualche interesse un po' più specifico: il movimento dei movimenti (quando si muoveva), la scuola italiana, il pd, i fatti miei. Di solito cerco di scrivere cose originali, e difficilmente potrei concepirne di originali su Darfour e Tibet. Raramente mi metto a scrivere di guerre e di stragi. Ma in tutta coscienza, se dopodomani gli uzbeki cominciassero a bombardare i kazaki a tappeto, e su internet e su blog e quotidiani io trovassi una lunga serie di complimenti ai saggi uzbeki che hanno fatto bene a bombardare i kazaki che li minacciavano nella loro stessa esistenza... probabilmente m'interesserei alla storia, la studierei, cercherei di capire perché il mio giudizio sulla vicenda mi sembra tanto diverso da quello degli altri, e alla fine ne scriverei. Ovvero: non è Israele il punto qui. Se volete sapere cosa succede in Israele leggete Haaretz, leggete il Guardian. Il punto qui è come gli italiani parlano di Israele. Ne parlano in un modo stranissimo, che m'incuriosisce e un po' mi spaventa, quando semplicemente non mi fa arrabbiare. Di questo sto parlando: della guerra no, non ho molto da dire, così come non avevo molto da dire sul Darfour.

8. Sofisma dei bambini morti
Questo è proprio passato di moda, per un motivo semplice. 
Si tratta di una forma particolare della mozione degli affetti in virtù della quale quando tu stai cercando di spiegare le ragioni di un conflitto, qualcuno ti replica postando la foto dell'ultima vittima delle autobombe – meglio in tenera età, e fotografata a cadavere non ancora ricomposto – con una didascalia che di solito dice: guarda cosa fanno i porci che tu difendi! Guarda! Guarda! E li difendi ancora? Allora Guarda ancora un po'! Guarda! Guarda! E forse un giorno capirai.

Io in realtà non ho mai capito perché la foto dovesse essere più convincente della semplice notizia: insomma, se sento alla radio che un autobomba ha straziato due bambine, dovrei essere abbastanza adulto da capire la gravità della cosa senza bisogno di un'immagine, no? Se dopo una notizia del genere non mi converto immediatamente alla Guerra al Terrore e continuo a concepire il conflitto israelo-palestinese come un fenomeno complesso, cosa potrà fare di più una foto sgranata?

Questa strana tendenza toccò il suo apice quando Al Zarqawi fece inquadrare il povero Nick Berg mentre lo decapitava, producendo il primo vero snuff video che ebbe un discreto successo in tv. Ebbene, in quell'occasione molti stimati opinionisti si comportarono come quel tuo amico delle medie che ti teneva la testa mentre ti faceva vedere Non aprite quella porta in vhs: Guarda! Devi guardare! Sennò non capisci! Sennò non sei uomo. Ricordo Antonio Polito:
Consigliamo a tutti di guardare il video della decapitazione dell'ostaggio americano, che circola su Internet. Bisogna guardare in faccia l'orrore, anche se non è degno dell'umanità degli occhi che lo guardano. Quella testa mozzata a fatica, con tutto il lavorio fisico che comporta, e il tempo che ci vuole, e l'abisso in cui sprofonda un po' alla volta, nella più odiosa delle torture, la vittima, è in fin dei conti la ragione per cui l'Occidente è in guerra con il terrorismo islamico.
[...]Pacifisti e antiamericani guardino quel video, poi decidano qual è il problema del mondo. 

Insomma, finché i pacifisti e gli antiamericani non avessero visto lo snuff, non avrebbero capito. Inutile ragionare. Bisogna guardare. Tutto, fino in fondo. Se non guardi sei una checc... no, volevo dire, se non guardi non puoi capire il problema del mondo.
Era il 2004: sulla tv in chiaro andavano forte i realities e le teste mozzate. In seguito entrambi i generi hanno perso molto smalto, e oggi è difficile trovare un morticino utilizzato a mo' di argomento. Forse anche perché i morticini di questi giorni sono tutti palestinesi, e quindi non sono convincenti: l'argomento funziona solo con le vittime israeliane e occidentali.
Detto questo, qualche foto di morticino qua e là l'ho vista – per esempio su beppegrillo.it. Io non le mostro: hanno senz'altro un valore documentario, ma non le considero un argomento. Mi piace pensare di avere a che fare con interlocutori che riescono a provare pietà per una persona senza bisogno di vederla martoriata in digitale.

(Ne avrei ancora parecchi, ma se preferite la pianto qui)

venerdì 9 gennaio 2009

5 sofismi su Israele

Io non credo che ci sia nulla di male nel voler difendere Israele in una discussione. Il problema è il come. Tanti sedicenti avvocati della causa di Israele portano avanti i loro ragionamenti con una serie di argomenti fallaci (o sofismi) che mi fanno rabbrividire, e che finiscono per ottenere il risultato opposto: rendermi più sospettoso nei confronti degli israeliani. Molti dei quali resterebbero sconvolti, credo, leggendo certe castronerie con cui li si difende qui da noi. A volte sembra che il conflitto israelo-palestinese abbia una logica tutta sua, che funziona solo dal Giordano al mare, e che se provassimo ad applicare altrove (anche da noi) provocherebbe caos e distruzione nel giro di pochi minuti.

Col tempo ho finito per riconoscere alcuni di questi sofismi da lontano; tanto che a un certo punto ho pensato di fare cosa utile mettendoli in una lista, con tanto di sottolink. Sarà un pezzo un po' lungo, ma ne vale la pena se può risparmiarci lunghe e sterili discussioni in futuro. Un'avvertenza per gli studiosi di logica e retorica: in questo pezzo molte definizioni sono usate in modo popolare e improprio. Anche i sofismi, per esempio, non sono proprio tutti sofismi (alcuni credo siano tropi). Confido nel vostro perdono.

1. Mozione degli affetti.
Si parla di Israele e a un certo punto qualcuno sbotta: “se non sei israeliano non puoi capire”; oppure “se non hai amici israeliani non puoi capire”, o “se non sei stato laggiù”, “se non ti è morto nessuno in un bar”, “se non ti è mai piombato un razzo in casa”, “se non hai mai dovuto mandare i figli su autobus separati”, ecc. ecc.
Purtroppo l'affetto è un'arma a doppio taglio: chi scrive queste cose molto spesso mostra lacrime sincere. Ma non si rende conto (o finge di non sapere) che da qualche parte ci sono anche amici di palestinesi, e parenti delle loro vittime; forse che non sanguinano anche loro, eccetera?
Io diffido terribilmente dalla mozione degli affetti, che portata alle estreme conclusioni significa questo: solo le persone coinvolte davvero in una guerra o in un crimine hanno il diritto di parlarne. Sembra una cosa di buonsenso, e infatti lo era: al tempo dei regni barbarici. Ma persino i Barbari a un certo punto si sono resi conto che la giustizia non spetta alle vittime o ai parenti delle loro vittime, bensì a qualcuno che, proprio perché non è stato toccato negli affetti, può decidere con serenità e oggettività. Così è rinato il diritto. Oggi chi metterebbe il parente di una vittima nella giuria che giudica un presunto assassino? Sì, molti giornalisti italiani lo farebbero. Ma ogni volta che qualcuno ne parla, è come se proponesse una momentanea regressione al medioevo. Grazie, no. Paradossalmente, israeliani e palestinesi sono le persone meno in grado di discutere della loro guerra con oggettività e serenità. La loro rabbia e la loro disperazione sono comprensibili. Ma non ha senso scimmiottarle in una discussione.

2. Sofisma del "meno peggio"
“Sì, certo, Israele ha molti difetti, ma... non puoi metterla sullo stesso piano di Hamas”.
Non c'è dubbio che Israele sia meno peggio di Hamas. E figurarsi, io sono sempre stato un patito della formula del “meno peggio”. Ho sempre votato per il meno peggio e lavorato per il meno peggio. Ma attenzione: la tattica del meno peggio funziona solo a patto che il meno peggio di oggi sia peggiore di quello di domani. In Israele accade il contrario: ogni guerra aumenta il divario tra vittime israeliane e vittime palestinesi. Quello che era nato come conflitto tra popoli è diventato guerra di religione.
Il “meno peggio” diventa un sofisma quando viene usato per giustificare qualsiasi cosa: Israele può ammazzare cento palestinesi per ogni sua vittima perché... “è meno peggio”? Sicuri che lo sia ancora? Cosa dovrebbe fare, esattamente, per non esserlo più? Israele non si può criticare finché si macchierà di azioni appena appena meno peggio di quelle di Hamas?
Il sofisma del meno peggio è tra quelli che hanno senso solo se riferiti a Israele; prendi Arafat, ad esempio. Non c'è mai stato dubbio che fosse un interlocutore “meno peggio” di Hamas. E allora perché gli israeliani non hanno accettato di fare la pace con lui? Perché con lui la regola non valeva: era un palestinese.

3. Sofisma del “cratere”
Una variante del precedente, che ho letto anche di recente nei commenti. L'argomentazione più o meno è questa: “è vero che Israele sta facendo cose orribili, ma queste cose non sono niente rispetto a quelle che potrebbe fare grazie al suo potenziale militare”, (variante: “sono niente rispetto a quelle che col suo potenziale militare faremmo noi”). Da cui l'immagine dell'israeliano che si torce le mani perché potrebbe fare di Gaza un cratere in pochi secondi, e invece è costretto a sminarla casa per casa. Questo tipo di logica funziona solo nel conflitto arabo-israeliano: è una cosa folle. Qualsiasi strage può essere perdonata (ma solo agli israeliani) o almeno relativizzata, perché loro potrebbero farne anche di peggio. Ed effettivamente ne fanno sempre di peggio, ma finché non si arriva al cratere è ok.
Ma questa è esattamente la logica che porta al cratere.

4. Sofisma di UDdelMO
Non è un discepolo di Abelardo, ma una sigla che sta per "Unica Democrazia del Medio Oriente". Che sarebbe Israele, come notano i suoi fans un giorno sì e l'altro pure.
Ma scusate, e la Turchia? E non hanno avuto elezioni regolari i palestinesi? Ma anche se fosse: il fatto che gli israeliani abbiano un governo eletto democraticamente li autorizza a fare di Gaza quel che vogliono? La democrazia non è un valore assoluto: è solo un sistema di governo – il meno peggio, secondo qualcuno. Non è il governo dei buoni o dei bravi: è il governo dei più. È normale che difenda gli interessi dei più, in modo non necessariamente virtuoso o efficace.
Ciò che è buono per la maggioranza degli israeliani non è necessariamente giusto. Anche una maggioranza può avere torto. Già gli antichi avevano notato che in situazioni di emergenza la democrazia può essere controproducente: l'attuale crisi di Gaza non ci sarebbe stata se i partiti al governo a Gerusalemme non avessero sentito la necessità di mostrare al loro elettorato che sanno rispondere a Hamas colpo su colpo. Perché quando si dice che Israele sia una democrazia, si finge di non sapere quanti difetti abbiano le democrazie: necessità di compiacere piccoli partitini anche xenofobi, politiche clientelari, demagogia, corruzione (un avvicendamento tra Olmert e Netanyahu non è proprio il massimo che una democrazia possa augurarsi)...

Quando si passa alla Striscia di Gaza, il sofisma della democrazia viene totalmente capovolto. Ovvero: siccome la maggioranza dei palestinesi di Gaza ha votato per Hamas, sono tutti responsabili e quindi si meritano i bombardamenti. Ho capito bene? La democrazia dà a Israele il diritto di bombardare e a Gaza il diritto di prendersi le bombe. Uno che tentasse di argomentare il contrario (Hamas ha il diritto di bombardare perché ha vinto le elezioni, e se con un Qassam uccide un bimbo israeliano è ok, perché suo padre ha votato per Olmert) quanti punti antisemitismo totalizzerebbe? Non so, ma direi parecchi.

5. Sofisma della morte potenziale, o equazione Kissinger.
Questa andava molto forte ai tempi della Seconda Intifada. Già allora si diceva che i palestinesi “minacciassero l'esistenza dello Stato d'Israele”: poi però bastava contare le vittime per scoprire che morivano più dei loro nemici. Strano modo d'impostare un genocidio.
E tuttavia qualcuno non ha rinunciato a valorizzare le cifre dei caduti nel modo più filoisraeliano possibile. L'esempio classico (ma in Italia si leggevano cose del genere tutti i giorni sul Foglio) è quello di Henry Kissinger, che un giorno invece di dire “i palestinesi hanno fatto cinquanta morti israeliani in 3 giorni” affermò “gli attacchi suicidi hanno ucciso l'equivalente di 2500 americani in tre giorni”. Per ottenere una cifra di "2500 americani" Kissinger aveva moltiplicato le vittime degli attentati (50) per la popolazione degli USA (250 milioni) e diviso il tutto per la popolazione d'Israele (5 milioni). E si capisce che “l'equivalente di 2500 americani” suona peggio di “50 israeliani”; il problema è che non ne erano morti 2500, ne erano morti 50, c'è differenza. O no?
Chi decide di ragionare come Kissinger, grosso modo la pensa così: Israele è piccola e quindi ogni perdita è immensamente più preziosa. Anche questo ragionamento funziona solo con Israele: nessuno si sognerebbe mai di chiamare un morto palestinese “l'equivalente di 50 morti americani”.
L'equazione Kissinger contraddice anche il postulato dell'uguaglianza degli uomini, e lo sostituisce con un altro: tutte le nazioni, piccoli e grandi, hanno un tot di dignità che va diviso per il numero di abitanti. Il Liechtenstein, per esempio, ha trentamila abitanti: se ne ammazzi uno, ammazzi l'equivalente di diecimila cittadini americani: genocidio! Molto meglio sparare a un cinese, che è l'equivalente di un quarto di cittadino americano (una banale amputazione). Sì, sto scherzando. Ma c'è gente che queste cose le afferma davvero, in tutta serietà, senza accorgersene.

Oggi l'equazione Kissinger non va più per la maggiore, ma continuo a leggere conti stranissimi. Per esempio, siccome i Qassam facevano relativamente poche vittime (dico poche rispetto all'ecatombe che ne è seguita), invece di scrivere “Hamas questa settimana ha fatto due vittime”, mi è capitato di leggere: “Hamas sta prendendo a bersaglio duecentomila israeliani”, o addirittura “Hamas ha sotto tiro il dieci per cento della popolazione di Israele”. Coi Qassam. Così si sovrappone ad arte il numero dei veri caduti col numero dei caduti che i palestinesi potrebbero fare se avessero infinite munizioni e infinito tempo a disposizione. Naturalmente questa logica è applicabile soltanto ai nemici di Israele.

Continua...

giovedì 8 gennaio 2009

Salva il mondo, scioglie la pancia

Le pazze avventure del Dott. Arci, 23.

“Buon 2010 a tutti. Siamo qui in diretta dalla casa di Arci, il famoso inventore che...”
“Ehilà, buongiorno. Stavo giusto tirando fuori le pizzette. Si serva pure”.
“Che gentile, ma no, grazie”.
“Un paio d'ostriche, allora?”
“No, no, non mangio ostriche”.
“Aspetti. So cosa fa per lei. Lei è un tipo da cocktail di scampi”.
“Veramente, ecco... non ce la faccio a mangiare durante le riprese”.
“Ah. Io però posso?”
“Se proprio non può farne a meno”
“Beh, no”.
“...stavo dicendo, buon 2010. Siamo venuti a incontrare Arci, l'Uomo dell'anno 2009 secondo Time... e secondo tutti noi”.
“Oddio, che brutta copertina quella. Glielo avevo detto che ero meglio di profilo”.
“Arci è anche l'unico esempio da qualche secolo a questa parte di essere vivente deificato in vita...”
“Chomp. Sglush. Glom”.
“... ne avrà sentito parlare, in diversi atolli della Polinesia sono stati innalzati templi alla sua persona”.
“Sì, ma devo dire che i loro frutti di mare sono stati una delusione. Invece c'è un frutto simile alla noce di cocco che è... interessante. Vuole assaggiarne?”
“Grazie, no. Arci, lei è stato da alcuni definito il Salvatore dell'Umanità, anche se questa definizione è stata rigettata da alcuni pensatori laici che...”
“Chomp. Gnam. Glom”
“Sostengono sia troppo riduttiva: lei infatti non avrebbe salvato soltanto l'Umanità, ma l'intero ecosistema planetario”.
“Burp! Scusate”.
“Vabbè, questa la tagliamo, ma non potrebbe contenersi un po'?”
“Beh, no, perché? L'ha detto lei, io sono il dio polinesiano, se lei fosse un dio non rutterebbe in camera?”
“Non ha tutti i torti. Riprendiamo. Dunque, Arci, siamo qui oggi per ricordare il giorno che ha cambiato la Storia del mondo. È vero che lei era proprio su questo divano?”
“Sì, il divano è questo. Il palazzo tutto intorno l'ho fatto ricostruire demolendo il centro storico della città in cui abitavo, ma il divano ho voluto lasciarlo. Mi ricorda di quando ero un povero inventore sfigato”.
“Ed è proprio qui che ha avuto l'illuminazione che...”
“Non mi piace la parola illuminazione. I pastorelli hanno le illuminazioni. Io sono uno colto, uno che ha studiato un sacco di cose, sa? Per questo l'idea è venuta a me e non ad altri. Proooooot”.
“Taglia! Dio mio, questo è orribile”.
“Scusate, devo averci dato dentro coi fagioli iersera”.
“Aprite la finestra! Subito”.
“Non si preoccupi. C'è un sistema di rilevazione del metano che fa partire la ventilazione in un attimo, non sente già un gradevole odore di mughetto?”
“Gelsomino”.
“Quel che è. Su, adesso che non la inquadrano: prenda almeno un paio di babà al rum”.
“Uno solo”.
“Non si preoccupi. L'intervista verrà benissimo, vedrà... ma lei dovrebbe mangiare di più, è un grissino. A proposito di grissini...”
“Riprendiamo”.
“Aspetti, mi è venuta voglia di grissini al sesamo e rosmarino...”
“Sig. Arci, le chiedo un grande favore...”
“Per lei qualunque cosa”.
“Potrebbe astenersi dal cibo per cinque minuti?”
“In effetti, non so se posso”.
“Un favore personale. Per me”.
“E va bene. Ma lei deve fare qualcos'altro per me, ok?”
“Mi lasci indovinare. Resto a cena?”
“Esatto”.


“Tre, due, uno... azione. Arci, ci racconti quel pomeriggio di gennaio che cambiò le sorti dell'Umanità”.
“Del pianeta”.
“...e del pianeta”.
“Sì, beh, ero appunto su questo divano, che cercavo di digerire un pranzo... quello dell'Epifania, mi pare. Lei sa come ci si sente in Emilia all'Epifania”.
“Devastati”.
“Dopo quindici giorni di feste coi parenti, lasagne, zamponi e abbondante senso di colpa. E dunque ero lì, nell'abbiocco postprandiale, e guardavo distrattamente la tv, quando è passata la pubblicità di quel prodotto... posso dire il nome del prodotto?”
“No”.
“Chissà quante volte avevo già visto lo spot senza pensarci... del resto sotto le feste mostrano sempre queste compresse che “riducono le calorie”. Una cosa assurda, pensavo”.
“Cioè, fino a quel giorno aveva sempre pensato che fosse assurdo”.
“No, no, fino a quel giorno non ci avevo neanche pensato, io quando guardo la tv non necessariamente penso, sa? A volte posso vedere lo stesso spot per trenta volte senza nemmeno capire cosa dovrei comprare. Non so se capita anche a lei”.
“Io non guardo molta tv”.
“Giusto. Comunque quel pomeriggio per la prima volta ho ascoltato veramente lo spot, e ho pensato: ma questa è una truffa! Come fanno a dire che riducono le calorie? Un conto è il grasso corporeo, un altro è una caloria, che è un'unità di misura di energia e non si può “ridurre”. È una cosa che va contro i principi della termodinamica, capisce?”
“No”.
“Già, giusto, beh, dunque. Deve sapere che esistono tre principi, anzi, quattro, che...”
“Arci, la prego, questo è il servizio per il pomeridiano della rai, non può pretendere di spiegare i principi della termodinamica alle casalinghe”.
“Ma perché no? Vabbè, per farla breve: nulla si crea e nulla si distrugge, e quindi nessuno può seriamente proporti di ridurre le tue calorie con una pillola. È una truffa. Almeno, io la pensavo così”.
“Però ha deciso di provare lo stesso”.
“Sì, perché vede, io sono fatto così, le cose le provo. Mi sono detto: mal che vada racconterò la mia esperienza fallimentare al mio amico Leonardo, che ci scriverà un post buffo. Ha presente Leonardo, no?”
“No”.
“Era il blog dell'anno scorso”.
“Roba vecchia, continuiamo con la sua storia. Quindi lei ha deciso di provare le famose pillole”.
“Già”.
“E ha scoperto che funzionavano”.
“Una cosa incredibile. Sulle prime pensavo che si trattasse di autosuggestione... ma quella funziona soltanto se sei convinto che funzioni, io ero sicuro del contrario. Allora ho analizzato le pastiglie, cercando di capire come funzionavano. Io m'intendo un po' di chimica, sa, ma è stato un lavoraccio”.
“Le ha preso molto tempo?”
“Quasi una mezza giornata. Insomma, ho capito che tra gli ingredienti delle pastiglie c'era una molecola con straordinarie particolarità, che... sì! Riduceva le calorie. Impossibile, ma lo faceva lo stesso. Era una straordinaria scoperta”.
“C'è una cosa che non ho mai capito. La scoperta l'avevano fatta quelli della ditta farmaceutica, no?”
“Sì, e avevano anche brevettato la molecola”.
“E la usavano soltanto come dimagrante?”
“Incredibile, lo so, ma è già successo. Vede, erano un laboratorio farmaceutico e quindi non avevano mai pensato di poterla usare per scopi diversi... Sono i difetti della cultura specialistica. Pensi la polvere da sparo: i cinesi l'hanno scoperta, ma ci facevano i fuochi artificiali. Non avevano mai pensato di usarla per le armi...”
“In realtà sì, ci avevano pensato e le usavano anche”.
“Ahem, beh, ops, comunque il senso è quello. Loro erano farmacisti, geniali ma farmacisti. Io invece sono un inventore a tutto tondo”.
“E quindi le è venuto subito in mente di...”
“Di usarla per climatizzare le case. Beh, ovviamente. Bastava procurarsi un po' della molecola e vaporizzarla nell'atmosfera: funziona come la nebbia”.
“Ma la nebbia si vede”.
“Perché la nebbia non lascia passare la luce. Invece la molecola vaporizzata non fa passare il calore”.
“Però era coperta da copyright”.
“Appunto. Non me l'avrebbero venduta mai. E allora ho pensato che avrei dovuto salvare il mondo”.
“Stabilizzando i ghiacciai in Groenlandia e Antartide”.
“Sì, tutto il problema relativo al riscaldamento globale. In Antartide non vigono le normative copyright del WTO, e quindi prima che mi potessero far qualcosa io ero già diventato l'uomo più buono del mondo... da lì in poi è stato tutto in discesa; prima hanno ritirato tutte le denunce, e alla fine il copyright me l'hanno pure regalato. Con tutta la pubblicità che gli ho fatto gratis, del resto”.
“Ma secondo lei era colpa dell'inquinamento?”
“Boh, chissenefrega. Comunque adesso tutti possono inquinare finché gli pare. E... io posso mangiare in continuazione senza perdere la linea. Crontch”.
“Ma mi aveva promesso...”
“Non sente questo buon odore? I biscotti sono pronti. E se i biscotti sono pronti vuol dire che i cinque minuti sono finiti. Ora, col suo permesso, devo cominciare a preoccuparmi degli antipastini di stasera. Broap”.
“Ehm. Va bene. Questo è tutto da casa Arci, l'uomo che ha salvato l'Umanità...”
“Il pianeta”.
“...e il pianeta. A voi studio”.