Non fosse diventata la data ingestibile che è diventata, mi sarebbe piaciuto il sette ottobre tornare sulla memoria dei Santi Sergio e Bacco, quelli che secondo John Boswell, oltre a essere cristiani (il che mal si adattava al loro mestiere di militari sotto Diocleziano), erano anche sposati tra loro. Per dimostrare questa cosa Boswell doveva commettere diverse forzature – il che non esclude del tutto che non possa aver intravisto una forma di matrimonio omosessuale tollerata dalla società imperiale del terzo secolo. Ma siccome, anche quando parliamo di Storia, parliamo soprattutto di noi, il fatto che questa forma di matrimonio omosessuale sia esistita davvero è in fondo meno rilevante della necessità che provava Boswell di recuperarla, di identificarla: perché ci teneva così tanto? Voleva evidentemente dimostrare che la comunità LGBT è sempre esistita nel corso dei secoli – anche se ritrovarne le tracce richiede agli storici una straordinaria attenzione al dettaglio nascosto. Ok, e però ultimamente mi è venuta un'altra idea, che forse è una sciocchezza. Mi è venuta dando un'occhiata a queste fiction in costume che, oltre a una ricostruzione più o meno fedele di un ambiente storico, sfoggiano una larga quota di attori appartenenti a minoranze che in quell'ambiente, a rigore, non dovrebbero starci. Il che non avrebbe molto senso, senonché queste fiction un sacco di gente le guarda: e questo basta a spiegare il perché vengano prodotte. Perché la gente vuole vedere attrici afroamericane conciate da damigelle vittoriane? Beh, in linea di massima perché sono belle da vedere; aggiungono spezie alla pietanza, e probabilmente la loro presenza rende queste fiction più gradite al pubblico africano e afroamericano, che finalmente può guardarsi un romance senza notare costantemente che tutti sono bianchi. Questo non significa che gli autori e gli spettatori ignorino l'anacronismo; ma se hanno voglia di specchiarsi in un'attrice in crinoline, perché una fiction non dovrebbe servirgliela? Ecco, il sospetto è che con Sergio e Bacco, Boswell abbia tentato un'operazione simile. Sapeva che tutto sommato era impossibile dimostrare che due legionari omosessuali del III secolo fossero una coppia ufficiale: però avrebbe voluto vederli, nonché intuiva che un certo pubblico li avrebbe apprezzati. Si potrebbe obiettare che la Storia non è una fiction; giusto; ma parliamo di quel settore della storiografia che è sempre stato il più malleabile, l'agiografia: sin dall'inizio composto da leggende che dovevano adattarsi ai costumi e alla morale di chi le raccontava. Boswell non ha fatto che aggiungere la sua leggenda al corpus che ci passiamo di generazione in generazione: non sarà magari Storia nel più rigoroso senso del termine, ma è comunque materiale che agli storici serve e servirà. Non dirà nulla di utile sull'omosessualità nell'esercito dioclezianeo, ma qualcosa di utile la dirà su di noi che ne stiamo discutendo.
A farmi tornare su Sergio e Bacco è un altro dettaglio, che rileggendolo mi ha fatto sobbalzare. Sappiamo che nell'antichità i due soldati venivano raffigurati come una coppia anagraficamente asimmetrica: Sergio un adulto, Bacco un ragazzo. Questa iconografia, che forse nasce nel momento in cui un cameo che ritraeva Onorio e sua moglie viene scambiata per un'immagine dei due santi, non si discosta da quella tipica di tante altre coppie di santi dello stesso periodo: anche Faustino è un po' più grande di Giovita (che spesso ha capelli lunghi e a volte diventa davvero una ragazza). Anche Crispino e Crispiniano, che non sono soldati ma ciabattini, sin dal nome ci autorizzano a pensare che uno sia il padre e l'altro il figlio (o il servo). Insomma per gli artisti tardoantichi era normale immaginare una coppia di santi anagraficamente asimmetrica: un adulto e un giovane. Questa cosa, invece, oggi non funzionerebbe: la famosa icona di Sergio e Bacco dipinta da Robert Lentz per il gay pride di Chicago del 1994 li ritrae come due giovani uomini della stessa età. Questo dettaglio mi ha fatto sobbalzare perché mi ha fatto venire in mente un film di due anni fa, Stranizza d'amuri di Giuseppe Fiorello. È un film che è stato variamente apprezzato per come mette in scena una relazione omosessuale sbocciata in un contesto molto difficile – la provincia siciliana degli anni '80, e che termina con un omicidio: il delitto di Giarre. Tanto più terribile quanto rimane insoluto: quei due ragazzi non si sa chi li abbia ammazzati, e in un certo senso non importa: a desiderarli morti era l'intero contesto in cui erano stati scoperti. Il film funziona: considerato il retroterra televisivo di Fiorello poteva essere molto peggio, ma temo che uno dei motivi per cui è stato apprezzato e finirà senz'altro tra i film a tematica LGBT consigliati dai manuali scolastici è la più grave infedeltà nei confronti del fatto di cronaca: i protagonisti del film sono infatti due ragazzi più o meno della stessa età. Ma le due vittime del delitto di Giarre, che portano gli stessi nomi, erano una coppia molto meno simmetrica: Giorgio Agatino Giammona aveva 25 anni (ed era già stato "denunciato" dieci anni prima sempre per omosessualità). Antonio Galatola ne aveva solo 15. Non è difficile capire perché Fiorello abbia preferito cambiare la storia, e però se ci pensate il paradosso è notevole. Dopo il delitto, Giammona e Gamatola vennero riconosciuti da una fetta importante dell'opinione pubblica come vittima di un pregiudizio. La parola "omofobia" forse non esisteva ancora e sicuramente non era molto adoperata, ma il concetto era ben chiaro e già censurato; tuttora l'Arci Gay ricorda il loro martirio come un atto fondativo.
Ecco, allora mi domando: a quasi mezzo secolo di distanza, se scovassimo un ragazzo di 25 anni in atteggiamenti intimi con un minore di 15, come reagiremmo? Li considereremmo due amanti sventurati nel pieno esercizio dei loro sacrosanti desideri, o individueremmo nella situazione un molestatore (adulto) e un molestato (minore)? E in questo secondo caso, quanto sarebbe diversa la nostra reazione da quella dei compaesani di Giammona, che lo ritenevano colpevole di avere sedotto un ragazzino? Peraltro credo che la questione si porrebbe anche nel caso di una coppia eterosessuale: per quanto a 15 anni si sia già entrati nell'età del consenso, ho la sensazione che i rapporti asimmetrici siano sempre meno tollerati dall'opinione pubblica: nei film ormai sono scomparsi; gli stessi anziani attori che tendono a cambiare le compagne ogni tot anni sempre più esecrati. Quest'ultima evoluzione è la conseguenza di una inesorabile de-patriarchizzazione della società: i rapporti tra uomini e donne sono sempre più paritari, e forse anche i gay sentono la necessità di uniformarsi al modello standard. Una necessità che a un certo punto riscrive la Storia: non solo quella antica (Sergio e Bacco), che comunque era già leggendaria, ma anche quella recente (Giammona e Galatola) che pure richiederebbe un maggiore rispetto per i documenti, per la verità insomma. Perché è così importante che i due innamorati-vittime abbiano la stessa età, a dispetto dei fatti? Perché bisogna escludere categoricamente, bisogna evitare che qualsiasi spettatore possa anche solo farsi venire il sospetto che uno dei due abbia sedotto l'altro. Non importa quanto questo possa essere avvenuto innumerevoli volte nella storia dell'uomo, e magari persino nella storia effettiva delle due vittime di Giarre: questa idea dev'essere completamente censurata e respinta; il desiderio reciproco deve essere gemmato spontaneamente in entrambi, magari non nello stesso momento ma in una situazione da subito consensuale. Deve essere andata così, perché se non fosse andata così, qualcuno potrebbe immaginare che Galatola sia stato in un qualche modo manipolato dal compagno più grande; che abbia ceduto a pressioni indebite; che in un luogo di un grande amore si sia trattato di una forma di violenza, magari psicologica prima ancora che fisica; ma oggi ci interessano anche quelle.
In controluce poi mi piace vedere il dibattito tra due grandi scuole che avrebbero, sulla sessualità, idee inconciliabili: per i LGBT boswelliani, gli omosessuali sono una specie di razza a parte, che pur dovendo nascondersi è sempre esistita e ha sempre avuto le stesse esigenze: affetto reciproco su un piano abbastanza paritario, e riconoscimento sociale. Per i kinseyani, l'omosessualità è una tra le tante pratiche sessuali che a uomini e donne capita di praticare, il più delle volte clandestinamente, a volte in assenza di altre opzioni che troverebbero più interessanti, per cui l'incredibile percentuale di americani che confessava a Kinsey a fine anni '40 di avere avuto esperienze omosessuali (37%!) si poteva spiegare con la leva militare: ovvero, essendo ognuno di noi più fluido di quanto vuole ammettere, in mancanza di partner dell'altro sesso potremmo essere portati a fare, di necessità, omosessualità. A volte senza neanche desiderarlo, ma per venire incontro alle esigenze pressanti di qualche compagno di branda. È un tipo di esperienza che con l'esaurirsi degli eserciti di leva e dei collegi è sostanzialmente sparita dal nostro orizzonte, contribuendo a fortificare l'idea che gli omosessuali siano una tribù ermeticamente separata. Questo ci porterebbe poi a fraintendere una gran parte dell'omofobia contemporanea, che è ancora ispirata a una figura che stiamo tendendo di rimuovere: il pederasta. E sì che la letteratura, anche solo di qualche decennio fa, ce ne forniva esempi generosi: ma preferiamo non farci troppo caso (vedi il modo in cui il culto di Pasolini è resistito a tutte le campagne stile #metoo che pure mettevano nell'obiettivo personaggi dalla sessualità molto meno manifestamente predatoria).Il pederasta è l'omosessuale adulto che corteggia i ragazzini. Oggi di solito lo confondiamo con il pedofilo (che molesta minori sotto l'età del consenso), figura sulla quale concentriamo il massimo dell'esecrazione possibile; per cui non è infrequente sentire accuse di pedofilia rivolte a persone che hanno avuto rapporti con giovanetti/e nell'età del consenso. Il concetto di pederastia non si concilia molto con la nostra concezione, ormai tribale, dell'omosessualità. Paradossalmente, molti omofobi tradiscono una concezione assai più fluida: se temono il pederasta è perché sono i primi a sospettare che una certa percentuale di omosessualità alligni in ciascuno di noi, e aspetti esattamente un intervento esterno per venire alla luce. Il che, secondo loro, avrebbe conseguenze sociali tragiche: se tutti quelli che custodiscono nei propri lombi una discreta percentuale di omosessualità scoprissero di averla... crollerebbero le nascite (che sono già crollate), fine della civiltà, invasioni barbariche, apocalisse. Ok, ma molto più delle conclusioni, è interessante la premessa. Un pederasta non è che 'violenta': di solito 'seduce': questo lo rende molto più pericoloso, in quanto vettore di quella malattia sociale che per l'omofobo è l'omosessualità. Molti omofobi la pensano così. Ma noi che invece omofobi non siamo, i pederasti abbiamo smesso di riconoscerli. Non esistono. O li scambiamo, appunto, coi pedofili, o li ridipingiamo sui quadri perché abbiano esattamente la stessa età dei loro fidanzatini. E se facciamo un film, gli leviamo dieci anni di età. [È già molto lungo e non ho ancora iniziato a parlare di Guadagnino, per cui forse continua].
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