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venerdì 28 marzo 2025

Il santo più brutto di Sicilia

28 marzo: San Cono di Naso (1139-1236), eremita diversamente bello. 

Se non ci credete andate a controllare: esiste un santo che non solo si chiama Cono (e non è neanche l'unico: ce n'è un altro che ha fatto vincere una coppa del mondo di calcio all'Uruguay), ma essendo morto nei pressi di Naso, in provincia di Messina, è tradizionalmente conosciuto come Santo Cono di Naso. Il bisticcio di parole potrebbe non essere del tutto casuale; in fondo il nome latino "Cono" viene più spesso tradotto Conone (e i martirologi contano ben nove Santi Conone). Anche il paese non è tanto chiaro perché si chiami "Naso" e non "Nasso", visto che probabilmente è stato fondato da Greci che pensavano di avere individuato una Naxos, "terra fertile". Oppure visto dal mare il paese alle pendici dei monti Nebrodi sembrava un'isola, e allora dovrebbe chiamarsi Neso, da Nesos. Se invece gli abitanti hanno preferito Naso un motivo ci deve pur essere, tanto che su Messinaweb si azzarda l'idea che si tratti proprio del latino nasum, magari riferito alla forma del promontorio di Capo d'Orlando che da satellite, con qualche sforzo, può sembrare simile a un naso (ma i latini il satellite mica l'avevano). Rimane sul tavolo l'ipotesi che il nome del santo e il nome del paese si siano in un qualche modo attirati a vicenda: Conone di Nasso non sarebbe interessato a nessuno; Cono di Naso invece ti rimane in mente, ed è l'esatto motivo per cui il 28 marzo ho deciso di scrivere di lui invece che di, boh, san Proterio, vescovo di Alessandria d'Egitto, che pure fu linciato dai monofisiti. San Cono, invece, fu accusato da una ragazza di averla messa incinta (proprio lui, un anziano eremita!), e condotto in piazza per essere pubblicamente fustigato. Quando le guardie cominciarono a spogliarlo, il popolo scoprì dalle ferite che il santo era già abituato a fustigarsi da solo con molta efficacia, e lo assolse per acclamazione. Che fine fece la ragazza madre non è dato sapere. 

A quel punto Cono faceva l'eremita, ma da giovane aveva fatto carriera presso il vicino monastero di San Basilio, fino a diventarne l'abate. Quando poi, al ritorno da un viaggio in Terrasanta, aveva appreso la morte dei genitori, aveva deciso di donare l'intera eredità al monastero: in questo modo non solo poté finalmente realizzato quel versetto del Vangelo di Luca che gli aveva fatto scegliere la vita monastica ("Chi non rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo"), ma riuscì a liberarsi anche dalle sue responsabilità di abate e a prepensionarsi in una grotta dove meditava e si flagellava in solitudine e santa pace. Di Cono si raccontano diversi miracoli che lo hanno reso relativamente popolare tra Sicilia orientale e Calabria, anche perché le agiografie più diffuse circolano nel Cinque-Seicento, un periodo in cui la diffusione della stampa crea un mercato interessante per chi le sparava più grosse. Ad esempio un giorno il marchese Trigona avrebbe ricevuto un monaco di Naso venuto ad acquistare frumento; non avendo con sé del contante, avrebbe lasciato al marchese in pegno un prezioso anello. Siccome però non tornava a ritirarlo, il marchese sarebbe andato a cercarlo a Naso, dove nessuno sembrava sapere nulla del monaco misterioso. Finché in un convento non avrebbe trovato un quadro raffigurante San Cono: era lui! Ma era anche morto cinquecento anni prima. Impressionato dall'evidente miracolo, il marchese decise di fondare un intero paese in provincia di Catania, che si chiama e di dargli il nome del Santo.

Il legame tra il santo e il nome della località è rivelato da un dettaglio dello stemma comunale, dove sotto un leone rampante giallo in campo azzurro è esibito un naso tra due orecchie; una bizzarria araldica che trarrebbe origine dagli insegnamenti di San Cono, in particolare dall'ammonimento ad "aver buon naso, ascoltare assai e parlar poco".

Un carattere fondamentale di San Cono è la bruttezza. Secondo la Bibliotheca Sanctorum la sua statua aveva "occhi grandi e spaccati, naso aquilino, labbra grosse, faccia... bronzina, larghissima", e potrebbe trattarsi dell'unica volta in dodici volumi più appendice che gli autorevoli autori decidono di citare un proverbio dialettale: Avi ’a facci ’i san Conu. Gli stessi concittadini, capite? che pure lo festeggiano più volte all'anno per la protezione garantita contro epidemie, turchi e terremoti, quando vogliono contrariare l'interlocutore gli dicono: avete la faccia di San Cono. Era così brutto?

Non è escluso, e in generale la vita dell'eremita non aiuta a preservare la bellezza (Benoit-Joseph Labre è l'eccezione). Ma l'opinione più diffusa è che il volto veramente sgradevole, se non spaventevole, più che quello del santo fosse quello della statua che lo raffigurava, e che veniva portata in processione a settembre. La bruttezza proverbiale di questa statua aveva una spiegazione, che magari serviva a coprire l'incapacità dell'artista, lo scarso gusto del committente e il braccino corto di chi non trovava i fondi per farne scolpire una migliore: era brutta come diventò brutto il santo, quando apparve miracolosamente durante un'incursione dei turchi e li mise in fuga proprio in virtù della sua insostenibile bruttezza, che purtroppo non possiamo verificare perché la statua era di legno e rimase polverizzata durante un incendio nel 1920. L'importanza della leggenda è tale che anche la statua contemporanea di San Cono, benché sia scolpita con abilità e competenza, conserva qualche dettaglio dissonante, un vago strabismo, insomma ormai si è deciso che Cono dev'essere brutto, almeno in effigie.

martedì 25 marzo 2025

Di santi assassini e pugnali

Beerk beeerk. 
26 marzo: San Bercario (VII secolo), abate assassinato

Se fino al terzo secolo per diventare santi occorreva, in sostanza, morire male – santità e martirio coincidevano – dal quarto in poi la categoria si apre a figure magari meno coraggiose, disposte a patire digiuni e solitudine ma non necessariamente torture e uccisioni: prima gli eremiti e poi i monaci. Eppure anche nei monasteri, questi luoghi in teoria lontani dal mondo e vicini a Dio, ogni tanto qualcuno moriva ammazzato. Abbiamo già visto come Benedetto, l'ispiratore della regola monastica più diffusa, dovette salvarsi da più di un attentato ai suoi danni, ed erano tutti organizzati da confratelli scontenti o invidiosi. Se le vicende di Benedetto possono apparire per lo più leggendarie, molto più concreto è il pugnale che due secoli dopo, nel monastero di Montier-en-Der (Champagne), trafigge a morte l'abate Bercario: lo ha maneggiato un suo confratello e figlioccio, Daguino, per vendicarsi di una punizione subita, in un giovedì santo. Bercario non dispone degli strumenti miracolosi di Benedetto: non può salvarsi la vita ma prima di chiudere gli occhi salva l'anima al suo assassino, perdonandolo. Oltre che per questo gesto magnanimo, Bercario è ricordato per avere fondato monasteri maschili e femminili nella valle della Marna, anche se proveniva dall'Aquitania. Ciononostante io non riesco a non immaginarmelo un po' scontroso e irruente, mentre rampogna il suo sottoposto. Dev'essere il potere dei nomi propri: siccome si chiama Bercario, io me lo immagino a berciare. Ovviamente mi sbaglio, perché "Bercario" deriva dal germanico Berachar, che ha qualcosa a che vedere con l'orso (ber) e con i soldati (hari). "Berciare" invece è un verbo italiano di etimo incerto, anche se è suggestiva l'idea che all'inizio fosse il verso dell'orso. (Berciario potrebbe comunque anche essere una variante di Bertario, che non ha un orso nella radice, ma l'aggettivo beraht, "celebre")


Foto di Benjamin Smith 
Abbazia di Brantôme. (Dordogna), 
statua di inizio Novecento. Sicario è il neonato.

26 marzo: San Sicario (VI secolo), vescovo inesistente di Lione

Sempre il 26 marzo alcuni martirologi ricordavano un vescovo di Lione, Sicario; senonché il nome sembrava più inverosimile di altri a Godfried Henschen. Quest'ultimo era il primo collaboratore di Jean Bolland, il gesuita che nel Seicento con gli Acta sanctorum trasforma l'agiografia in una disciplina storiografica. Henschen era persino più scrupoloso del maestro, e quando chiese di controllare davvero presso gli archivi della diocesi di Lione, saltò fuori che Sicario non c'era. Ora è vero che la gente dà ai figli i nomi più strani, anche nell'Alto Medioevo, quando le lingue germaniche si ritrovano improvvisamente a circolare in mezzo agli embrioni delle lingue neolatine; ma sicarius in latino vuol dire assassino, chi è chiamerebbe suo figlio così? Tra l'altro deriva proprio da sica, pugnale ricurvo di origine trace, il che mi ha fatto fantasticare, perché per Erodoto i traci avevano la lingua più antica del mondo: il Faraone che aveva fatto il solito esperimento di allevare dei neonati proibendo a tutti di parlare con loro, aveva a malincuore scoperto che essi crescendo parlavano in lingua trace, e non egiziana (quando Federico II rifece l'esperimento, i bambini morirono, dettaglio realistico che ci fa purtroppo dubitare che si tratti anche stavolta di una leggenda). 

Erodoto oggi probabilmente scriverebbe fake news su Atlantide per acchiappare i clic dei terrapiattisti, ma i Traci potrebbero davvero essere stati i primi indeuropei approdati in Europa. Così quando mi capita di vedere dei sikh in giro ho sempre pensato che il loro nome derivasse dal pugnale che gli adulti devono portare sempre con sé. Mi sbagliavo anche in questo caso, sikh in sanscrito significa "discepoli". Quanto al loro pugnale, che in ogni momento ricorda loro che devono essere disposti a combattere per la verità, si chiama kirpan.

Come aveva fatto un San Sicario a finire nei martitologi? Henschen, che di mestiere vagliava manoscritti slabbrati e scoloriti, supponeva che qualcuno avesse commesso un refuso scrivendo Sygarius in luogo di Syagrius, Siagrio, un nome molto più diffuso. Io aggiungo un dettaglio: magari l'agiografo aveva ancora in testa il nome "Bercarius", che aveva trascritto pochi paragrafi prima, tanto più che anche nella sua storia c'è un pugnale. Non capita anche a voi? Dovete scrivere "Siagrio", ma state pensando a "Bercario", e allora scrivete "Sicario". Dopodiché magari vi accorgete del refuso, ma a cancellarlo c'è il rischio di rovinare un intera pagina di pergamena, e poi chi lo sente l'abate. Tanto chi vuoi che vada a leggersi i santi minori del 26 marzo, che è sempre quaresima...

Qualche secolo più tardi, da qualche parte un bambino muore dopo il parto, appena in tempo per essere battezzato. Questo permette ai genitori la consolazione di seppellirlo in terra consacrata, come un piccolo santo: e siccome magari è nato e morto il 26 marzo, i genitori scelgono di chiamarlo Sicario: è un nome strano, ma se è sul calendario è ok. Nel frattempo magari il sintagma "sicaire" non suonava più così omicida, magari nell'uso comune era già stato sostituito da assassin che come è noto significa in arabo "dedito all'hashish", e deve il suo successo europeo alla leggenda del Veglio della Montagna, riportata da Marco Polo. Le ossa del piccolo giungono, attraverso i secoli, a Brantôme, un'abbazia in Dordogna che comincia a festeggiare un San Sicario il 2 maggio (la data della traslazione delle reliquie?) E siccome ogni santo reclama una sua leggenda, qualcuno ha immaginato che Carlo Magno avesse fatto dono all'abbazia delle ossa di un neonato caduto durante la strage degli innocenti. In seguito anche questa origine deve avere annoiato un predicatore in fissa con gli ebrei, ed ecco circolare la storia di un piccolo Sicario rapito e assassinato dagli ebrei: del resto è quel periodo dell'anno. E se nemmeno questa leggenda è abbastanza truculenta, nell'Enciclopedia della scienza proibita del 1990, Gremese Editore, robaccia da far impallidire Erodoto, si favoleggia di certe blasfeme "messe di San Sicario", celebrate da preti indegni e apostati in chiese abbandonate e sconsacrate della Guascogna, possibilmente infestate da pipistrelli e rane nel fonte battesimale. Lo scopo di queste celebrazioni sataniche sarebbe accorciare la vita della persona a cui vengono dedicate: così alla fine potrebbe averci messo più di mille anni, ma quell'errore di trascrizione ha veramente creato un Santo Assassino. E chissà cosa potrebbe nascere, tra un po', dagli errori che lascio in giro tutti i giorni.

giovedì 20 marzo 2025

Due film che non c'entrano nulla


Forse perché non ho mai avuto molte illusioni sulla statura politica e morale di Giorgia Meloni, che mi ritrovo sempre meno in sintonia con chi la rimprovera. È un po' come Berlusconi, ai tempi in cui i suoi detrattori sbagliavano costantemente obiettivo: quello corrompeva la guardia di finanza, e loro gli davano del nano pelato. Aa Meloni invece l'altrieri ha osato non riconoscersi nel Manifesto di Ventotene, il che non può essere una sorpresa per chiunque conosca un po' sia lei sia il Manifesto: ma improvvisamente questo diventa un delitto di lesa maestà, all'improvviso una mattina il Manifesto di Ventotene diventa una specie di carta costituzionale benché nessun parlamento l'abbia approvata, e la maggior parte di noi l'abbia nemmeno letta. Però Repubblica la pubblica in edicola, e Benigni ci farà la sua predica annuale, quindi aa Meloni come si permette. Ora, quand'è successa questa cosa? Quand'è che Spinelli e Rossi, la cui eredità politica sembrava essersi perduta nell'immediato dopoguerra, sono diventati i nostri Padri Fondatori?

Non ne ho idea, è un caso che sinceramente non ho seguito. L'idea che la carta sia l'atto di concezione dell'Unione Europea mi è sempre sembrata una forzatura: Spinelli e Rossi avevano qualche buona idea (ma anche qualche abbaglio, inevitabile vista la situazione in cui scrivevano), ma non credo che senza le loro idee non avremmo avuto i trattati di Roma e poi di Maastricht. Così come è una forzatura affermare che l'europeismo sia nato a Ventotene, quando ne parlava ed esempio Mazzini già un secolo prima. A Ventotene la sinistra italiana arriva tardi, credo a metà degli anni Novanta: non ho argomenti per dimostrarlo, soltanto labili suggestioni (una Festa Nazionale dell'Unità a Reggio Emilia, più di vent'anni fa, con un padiglione che ricostruiva scala 1:1 la camera di Spinelli). 

Ad esempio l'anno scorso è uscito Un altro ferragosto di Virzì, che essendo il sequel di Ferie d'agosto è ambientato a Ventotene. Nel film Sandro, che già in Ferie era l'archetipo dell'intellettuale di sinistra declassato, ha sviluppato un'ossessione per una specie di pollaio che avrebbero costruito i confinati, e se ricordo bene ha chiesto l'intervento della Sovraintendenza ai beni culturali per preservare il monumento antifascista. Nel frattempo sta sempre peggio di salute e ha allucinazioni in cui vede Spinelli, Rossi, le rispettive mogli, e ovviamente Pertini: tutto un Walhalla laico di eroi che lo attende al di là della malattia. Mentre lo guardavo trovavo tutto molto appropriato, e allo stesso tempo cercavo di ricordarmi se nel film di un quarto di secolo prima Sandro avesse mai anche solo accennato agli antifascisti al confino sull'isola. 


L'ho voluto riguardare e ho avuto conferma che no del 1996, Sandro dei confinati non parlava mai, e sì che non teneva molto spesso la bocca chiusa. Rivista con gli occhi di oggi, una dimenticanza del genere è inspiegabile: insomma, il primo film che mette in luce la nuova lotta di classe tra ceto riflessivo impoverito e borghesia berlusconiana abbruttita è ambientato nell'isola che fu il simbolo dell'antifascismo: una metafora cotta e servita, eppure gli sceneggiatori non ne approfittano mai, come mai? Forse nel '96 gli sceneggiatori non sentivano la necessità di sottolineare quanto fosse importante Ventotene per l'antifascismo e l'europeismo perché, come tutti noi, al tempo il manifesto lo ignoravano, dei confinati avevano sentito parlare molto vagamente, e Ventotene l'avevano scelta magari perché era più facile girare lì che, poniamo, a Ponza. Tutti questi Grandi Padri che Sandro si crea nel secondo film, circondandosi di figure serie e sorridenti un po' come Fazio quando sceglie gli ospiti di riguardo, sono adozioni molto tardive, di gente che si è ritrovata orfana di Gramsci e Che Guevara a quaranta o cinquant'anni. Può darsi che gli autori del secondo film l'abbiano ammesso, quando a un certo punto ci fanno scoprire (spoiler) che il pollaio è un falso storico, l'ha rimesso assieme il figlio di Sandro da bambino. È un retroterra culturale postumo, non necessariamente posticcio, perché ai manifesti si può aderire a qualsiasi età. Bisogna però leggerli. Aa Meloni un po' lo ha letto – anche solo un paragrafo – e ovviamente non le è piaciuto, il che è abbastanza in linea col personaggio e la sua storia. Chi invece se la prende con lei, lo ha letto davvero? Non necessariamente. È una generazione cresciuta riempiendo gli scaffali dei soggiorni di supplementi editoriali (libri, vhs, cd, dvd, album di figurine) senza sentire l'esigenza di aprirli troppo, a rischio di consumarli. 

***



E ora qualcosa che non c'entra davvero nulla, ma siccome si parla di film, segnalo che su Raiplay c'è ancora non so per quanto The Fabelmans in versione originale coi sottotitoli: un altro film in cui a un certo punto ci sono lunghe scene in una scuola dove ragazzi e ragazze interagiscono, si parlano, si innamorano, ma soprattutto si bullizzano come belve e si pestano a sangue. Queste scene, che sono familiari alla mia generazione più dei Promessi Sposi, forse non le avrei mai trovate così strane se poi nella vita mi fossi ritrovato di nuovo nella scuola media, un posto dove ovunque vada il preadolescente devono esserci in media 1-2 adulti a guardarlo, tranne in bagno; e ciononostante colluttazioni se ne verificano ogni giorno, senza gli eccessi delle scuole americane, per il semplice motivo che appunto: adulti ce ne sono dappertutto, e per quanto non sempre siano svelti di riflessi, sono comunque un grosso deterrente che impedisce al cervello del preadolescente di anche solo concepire pestaggi organizzati o assalti alla baionetta nei corridoi. 

Insomma se mi chiedete perché la società USA sembra subito più violenta della nostra, senz'altro sono convinto che un certa disponibilità di armi c'entri per qualcosa; ma poi l'idea forse cattolica che i ragazzini van guardati. Senonché. 

Senonché in molte scuole adesso va di moda questa DADA, ovvero "Didattiche per Ambienti Di Apprendimento", che significa in soldoni che invece di spostare gli insegnanti dall'aula della classe A all'aula della classe B, sposti le classi dall'aula dell'insegnante A all'aula dell'insegnante B. Come tutte le didattiche, ha una sua funzionalità: ad esempio negli USA diverse materie sono opzionali, per cui è normale che gli studenti cambino non soltanto aula, ma proprio classe, ovvero trovino altri studenti, a seconda della materia. Da noi però succede questa cosa, che molte novità vengono accettate un po' alla svelta perché bisogna semplicemente mostrare ai genitori che stiamo innovando, e a parte questo non è che possiamo permetterci più elasticità di tanto, perché l'organico è quello che è (anzi lo tagliano), quindi le classi rimangono le stesse, però... cambiano aula. Se lo chiedete a me, spostare classi di 25 ragazzi invece che insegnanti singoli è un'autoevidente assurdità logistica, che serve semplicemente per limare altri minuti di intervallo tra una lezione e l'altra: è normale che gli studenti se ne dicano entusiasti, così come molti genitori che appunto, come me sono cresciuti più coi telefilm americani che con Leopardi. Poi in questo modo servono gli armadietti, vi immaginate? Proprio come nelle highschool, ma quanto sarà figo? Quindi qual è il problema?

Mah, ditemi voi. Se l'insegnante A resta fermo nella sua aula A, e l'insegnante B nella sua aula B, cosa succede nei corridoi compresi tra A e B? Esatto, un sacco di ragazzi di tutte le classi liberamente in giro. Capite che ci sono le premesse per cominciare anche noi a scrivere film e serie in cui ci si accoltella sui pianerottoli, è finalmente un gap con la scuola anglosassone che stiamo per colmare, vi immagino entusiasti, e poi tra vent'anni da tutto questo bullismo chissà che geni incompresi verranno fuori, che Spielberg, che Watterson, finalmente. 

mercoledì 19 marzo 2025

Oggi a Gaza, domani a chi

Mondoweiss
Nei giorni migliori mi concedo di pensare che se pure Gaza verrà annientata – cosa può restarne, dopo l'ennesimo bombardamento? – il suo sacrificio non sarà stato vano. L'empio è caduto nella trappola tesa con le proprie mani. Tempo una generazione, e anche i suoi discendenti avranno vergogna di lui. Ci domanderanno: come è potuto succedere? E noi che abbiamo assistito a tutto questo, anche se troppo spesso distoglievamo lo sguardo per sopravvivere, qualche spiegazione potremo offrirla. Gaza dimostra, bruciando, che ogni nazionalismo – anche il più nobile, anche il più giustificato – ha un esito disumano. Se persino il popolo più oppresso può diventare tanto spietato con un altro popolo in cui avrebbe tanti motivi per specchiarsi: se persino Israele può diventare in breve tempo il Faraone, l'argomento è chiuso. Qualcuno obietterà che dopo il Novecento non c'era nemmeno bisogno di riaprirlo: che Gaza è una lezione non solo atroce, ma ridondante. Ma nei giorni migliori vorrei riuscire a trarre anche da un massacro qualcosa di utile.

Nei giorni peggiori temo che sia solo l'inizio: che i tabù infranti a Gaza quando l'artiglieria ha cominciato a bersagliare ospedali e scuole non siano che i primi bagliori di una nuova era di massacri abbacinanti. Che la Palestina sia soltanto il punto nevralgico dove prima che altrove l'edificio umano manifesta le sue crepe. E no, nessuno si domanderà come sia potuto succedere, perché succederà ancora e ancora in Cisgiordania o in Yemen e in tanti altri luoghi, finché magari non succederà a noi, se non ci saremo trovati un padrone abbastanza potente. Ma se già oggi per molti di noi è normale che sia successo, perché le prossime generazioni dovrebbero trovarlo illogico, o sbagliato? Chi di noi ha assistito a tutto questo lamentandosene, passerà per un pazzo o un inetto. Chi corregge il beffardo si attira insulti, chi riprende l'empio riceve affronto.

Non so che dire, ma credo che siamo a un bivio importante. Ci sono stati in passato massacri peggiori che Gaza, ma nessun massacro è stato così ben documentato, e a volte mi domando se non sarà davvero questo a perderci definitivamente. Perché dovremo scegliere: o cancellare tutto, dimenticare, per poi magari riscoprire quanto accaduto tra una generazione, quando vergogna e sensi di colpa saranno scesi entro limiti accettabili – o normalizzare tutto, come i ragazzi israeliani che fanno i balletti scemi su tiktok, come tutti i ragazzi del mondo, ma sui ruderi dei bombardamenti, indossando la biancheria di profughi e di morti, e irridendo il loro accento. Non riesco sinceramente a pensare a qualcosa di più osceno, ma è perché sono stato cresciuto in un certo modo, in particolare con un rispetto per la vita umana che in questi giorni mi sta paralizzando. Se fossi un giovane israeliano non potrei permettermelo, se fossi un giovane israeliano dovrei salvare la mia nazione dal perfido nemico stupratore e rapitore, e se anche solo per un istante pensassi a lui come a un essere umano, quel dubbio mi travolgerebbe, in certi casi potrebbe uccidermi. Se fossi un israeliano che telecomanda droni assassini su una popolazione inerme concentrata in quella che il mio governo aveva definito una safe zone, che potrei pensare? Devono essere bestie, altrimenti non mi sarebbe concesso ucciderli. E per essere sicuro che siano bestie, devo allenarmi a trattarle come tali. Sarà questo il nostro futuro


In fondo non è troppo diverso dal nostro passato. Per quanto terribilmente aggiornata, la violenza degli israeliani è socialmente molto simile a quella scatenata dagli imperi coloniali, soprattutto nelle zone dove gli europei cercavano di radicarsi. Per questo il paragone più preciso non è quello abusato con la Germania nazista, ma l'apartheid sudafricano, e forse la questione irlandese. Così, nei giorni migliori mi ricordo che anche l'apartheid sembrava invincibile, e per decenni l'Ulster è rimasta una piaga aperta. Forse un giorno anche a Gaza tutto questo sembrerà assurdo come dovrebbe sembrarci il passato. L'empio sarà preso nelle proprie iniquità, tenuto stretto dalle funi del suo peccato. L'empio fa un'opera illusoria, ma chi semina giustizia ha una ricompensa sicura.

martedì 18 marzo 2025

Un alieno a Lucca

18 marzo: San Frediano (✝ 588), patrono di Lucca. 

San Frediano devia il Serchio (Filippo Lippi)

Parlando del sesto secolo, devo confessare un pregiudizio: secondo me non abbiamo la minima idea di cosa sia successo. In Italia, perlomeno. Altrove era quasi un secolo decente, in Persia addirittura un buon secolo: ma da noi, quando si parla di epoche buie, alla fine stiamo parlando del secolo VI. Ci siamo entrati che eravamo praticamente ancora cittadini Romani – di un impero momentaneamente sospeso, ma da neanche trent'anni – ne siamo usciti che non avevamo la minima idea di chi fossimo e dove ci trovavamo a vivere. Nel secolo precedente erano arrivati Eruli, Goti e tanti altri, ma in un qualche modo un equilibrio si era trovato; Teodorico era stato un re migliore di tanti imperatori fantoccio. Nel quinto secolo il tentativo dei Romani d'Oriente di riconquistare l'Italia porta a una guerra di trent'anni che spiana la strada a un'epidemia che potrebbe avere dimezzato la popolazione. Quando alla fine i figli di conquistati e conquistatori sembrano aver recuperato un modus vivendi, ecco arrivare i Longobardi che probabilmente hanno le idee meno chiare di tutti. Questi avvenimenti poi ci vengono narrati per lo più da uno di loro (Paolo Diacono), però vissuto due secoli dopo e determinato a dimostrare che i Longobardi avevano proprio fatto bene a riportare pace e ordine in una penisola disastrata: ma è forte il sospetto che Diacono, oltre a dover recuperare fatti e detti ormai remoti, stia cercando nella storiografia una compensazione per le sconfitte più recenti che hanno reso i Longobardi sudditi dei Franchi. Lo stesso Diacono alla fine è un funzionario alla corte carolingia, probabilmente bullizzato in quanto Longobardo, e chissà quanta bile spurgava scrivendo storie su quanto nobilmente i suoi antenati avevano governato i loro pezzi d'Italia. Così insomma quel poco che sappiamo sul sesto secolo italiano ci arriva da fonti non così attendibili, e questo spiegherebbe come mai sia il periodo in cui gli agiografi si sfrenano e inventano, per certi Santi, storie meravigliose che nessuno può andare a confutare.

Prendi San Frediano: nella sua storia, per come c'è arrivata, non c'è molto che abbia senso. Tanto per cominciare era irlandese – o almeno avrebbe sostenuto di esserlo: il suo nome all'inizio suonava come "Frigianu" che potrebbe essere irlandese come frigio, ed era figlio di un re dell'Ulster in un periodo in cui nelle Isole Britanniche c'erano più re che avvocati – sul serio, probabilmente se avevi un po' di terra, un'azienda agricola con qualche centinaio di servi, ti proclamavi re del tale scoglio e nessuno aveva argomenti per contestare la tua intronizzazione. Detto questo, che accidenti ci fa il figlio di un re dell'Ulster in Toscana nel secolo più brutto della storia d'Italia? Ma che domande, fa l'eremita su un monte tra Lucca e Pisa. Cioè di montagne non ne poteva trovare di più vicine a casa? Beh, in Irlanda effettivamente no. Ora, non è escluso che l'Italia centrale fosse già un polo di attrazione per i pellegrini di tutta l'Europa Occidentale che almeno una volta nella vita volevano vedere Roma e le tombe degli apostoli: dopodiché alcuni invece di tornare a casa si sceglievano un eremo in Umbria, o Toscana, terre che a mio personale parere non avrebbero avuto bisogno di matti da fuori, ma non è escluso che possa essere successo.
Basilica di San Frediano

Così come non è impossibile che quando gli chiesero da dove veniva, Frediano rispondesse citando in assoluto l'isola più lontana che conosceva, che tutti conoscevano, perché non aveva la minima intenzione di chiarire le sue origini. Magari era pisano e a Lucca per aver successo doveva fingere di venire dall'altro capo del mondo. Oppure era un alieno, o un uomo venuto dal futuro: ipotesi che darebbero un senso a quel che succede poi, perché i lucchesi del sesto secolo decidono che è la persona giusta per fare il vescovo. Ovvio no? La carica ecclesiastica più importante, in un momento in cui il potere amministrativo è vacante o completamente scomparso; una carica evidentemente elettiva, che molto spesso nelle leggende viene assegnata per acclamazione, sicché immaginiamo quanti notabili in città ambissero a un ruolo di tale prestigio e responsabilità, eh però sul monte c'è un eremita che viene da un posto lontanissimo, quindi è meglio acclamare lui. La scelta inconsulta si rivela, neanche a farlo apposta, la più saggia, perché l'eremita venuto da un'isola lontana e pietrosa capisce che il problema n.1 di Lucca è la palude, e che la soluzione non può che essere deviare il Serchio, fino a quel momento un affluente dell'Arno. Il che è effettivamente un'ottima idea: è solo strano che venisse a un eremita di origine irlandese – a meno che laggiù non avessero già iniziato a canalizzare, ma non ne sappiamo nulla. Nella versione più favolosa (riportata anche da Gregorio Magno), a Frediano basta tracciare il segno con un rastrello o col suo pastorale, e il Serchio lo segue in direzione del mare. Sembra un tentativo di spiegare il nome del fiume (in latino sarculus è il rastrello): la classica etimologia popolare, perché gli antichi lo chiamavano Auserculus, piccolo Auser (parola etrusca che secondo Svetonio indicherebbe la divinità). 

In altre versioni, Frediano a Roma non ha solo visitato i luoghi santi ma ha anche studiato idraulica: e malgrado prima che lo disturbassero i lucchesi preferisse farsi i fatti suoi su un monte, ora che è vescovo non vede l'ora di mettere le sue competenze a frutto. Sembra la classica pezza messa da un agiografo un po' più attento degli altri ai problemi di coerenza narrativa, ma avrebbe più senso se Frigiano/Frediano non fosse un semplice eremita, bensì il capo di una comunità monastica, magari di regola irlandese, come quelle che Colombano di Bangor stava cominciando a fondare nella parte occidentale del continente. Purtroppo le date non tornano, perché Colombano non avrebbe lasciato l'Irlanda prima del 590, e avrebbe fondato l'abbazia di Bobbio (oggi in provincia di Piacenza) solo nel 614. Siccome però stiamo parlando del sesto secolo, le date vanno prese con le pinze. Non sarebbe l'unico caso in cui l'iniziativa di bonificare la palude sarebbe stata presa da una comunità monastica, il cui leader non necessariamente era un esperto di idraulica, ma in seno alla comunità era più facile trovarne uno: i monaci erano all'avanguardia per quel che riguardava la trasmissione dei saperi, e avevano già cominciato a ricopiare i manoscritti antichi. La nomina a vescovo potrebbe essere persino la conseguenza, e non la causa dell'opera di bonifica: un abate che ti risolve il problema delle piene è decisamente degno del titolo.

Anche l'erezione del duomo sarebbe una sua responsabilità: non solo l'avrebbe progettato, ma anche spostato miracolosamente i blocchi di marmo più pesanti. In effetti di fianco all'altare maggiore c'è ancora un monolite di pietra calcarea di metri 5,22x4,05 detto il Sasso di San Frediano. Vi si legge, in latino: O tu che leggi, chiunque tu sia: sei di pietra se questa pietra non ti muove all'ammirazione e alla venerazione di San Frediano. È un'iscrizione cinquecentesca: fino a quel secolo il Sasso aveva fatto da base all'altare. Frediano insomma è un superuomo, il sunto leggendario dei fatti di un secolo in cui tra tanta distruzione qualcuno comunque aveva ricominciato a costruire qualcosa, ma chi? già a poche generazioni di distanza nessuno riusciva a ricordarlo, e ai bambini che chiedevano non restava che raccontare che boh, sarà stato Frediano. Ma da dove veniva? Eh, da lontano.

lunedì 17 marzo 2025

Armiamoci, e qualcuno partirà


– La manifestazione europeista di sabato aveva una piattaforma talmente confusa che avrei potuto andarci anch'io – perché per quanto "riarmo" sia una parola indigesta, se si trattasse di sganciarci dagli USA e riconoscere che abbiamo priorità diverse (al di là del matto che cambia idea tutti i giorni, anche prima e dopo di lui gli USA avevano e avranno priorità diverse), se si trattasse di dissolvere la Nato e riprenderci le nostre responsabilità difensive, io non avrei obiezioni. Ma nessuno in piazza ha osato proporlo, e quindi dopo esserci andato mi sarei andato parecchio a disagio. Avrei trovato perlopiù anziani preoccupati non tanto dal rischio di un'escalation militare nell'Europa orientale, ma dal fatto che a est c'è un dittatore cattivo che tortura la gente, cosa che noi europei a quanto pare non facciamo (in effetti queste cose le amiamo delegare). Anziani preoccupati non tanto dalla necessità di ridefinire il nostro rapporto con gli USA, ma perché a ovest c'è un matto cattivo che non rispetta i trattati – come se invece tutte le decisioni che abbiamo preso fin qui fossero sagge e razionali. Dagli anziani ci si aspetterebbe almeno saggezza, e invece sembrano il segmento più eccitato da semplificazioni che fino a qualche anno fa avrebbero trovato offensive.

– La causa di tanta eccitazione e tanta semplificazione sono i quotidiani, di cui i boomer sono ormai gli ultimi lettori. Viene spontaneo ricordare i girotondini di vent'anni fa – la confusione esistenziale di Michele Serra ricorda molto quella di Nanni Moretti. Coi girotondini Repubblica cercava di intestarsi una resistenza antiberlusconiana del ceto medio-riflessivo che dopo le elezioni del 2001 era perlopiù rimasto in casa, terrorizzato prima dal Movimento dei Movimenti bastonato a Genova, e poi dal contraccolpo dell'11 settembre. Ma era un'altra repubblica, e soprattutto un'altra Repubblica. Quella di adesso è, le piaccia o no, l'house organ di Stellantis, che ha bisogno del piano di riarmo molto più di quanto Putin abbia bisogno dell'Ucraina occidentale. Non so quanto Serra se ne renda conto e alla fine temo non abbia molta importanza, se non per una questione mia affettiva che non ha senso approfondire. 

– L'età media era molto elevata, anche se confrontata con quella di un 25 aprile medio. Al 25 aprile la bandiera più sventolata ormai è la palestinese, ieri era proibito portarla: qualche cosa vorrà dire. Dopodiché immagino che gli organizzatori non si siano sospettati neanche per un istante razzisti, mentre parlavano a una piazza tutta bianca (non solo di capelli) dell'eccezionalità della nostra cultura occidentale europea. Nel frattempo a Gaza manca l'acqua potabile perché i nostri alleati israeliani hanno staccato la corrente agli impianti di desalinizzazione. La coincidenza la noteranno più i posteri, forse sarà la cosa che più noteranno della manifestazione di sabato.

– La questione ucraina sembra davvero troppo cruciale e delicata per farla descrivere agli ucraini, che pure in Italia ci sono, ma sui palchi di queste manifestazioni non salgono, non parlano. Forse qualcuno si dimentica di invitarli. Oppure un tipo di retorica è diventata fastidiosa a loro molto prima che a noi.

– Mettiamoci un po' di ottimismo della volontà. È servita una micidiale guerra di posizione con centinaia di migliaia di morti, ma i tedeschi hanno ufficialmente smesso di credere nell'austerità. Ottocento miliardi è una cifra ipotetica, buttata lì per spaventare il nemico, ma una volta accettato che situazioni emergenziali giustificano spese eccezionali, sarà molto più facile individuare le eccezioni, anche perché il futuro di crisi ce ne riserva tante, probabilmente più climatiche che geopolitiche. Ma se possiamo investire in furgoni, purché blindati, si tratterà di convertirli in autoambulanze e camion dei pompieri e siamo abbastanza creativi per farlo. Se poi il M5S torna al governo, non si può escludere che scopriamo la necessità di un bonus facciate per rendere finalmente le nostre dimore sicure anche da un punto di vista strategico: e prima che i tedeschi capiscano che li abbiamo presi in giro anche stavolta, potrebbero passare altre due eurolegislature. Viva l'Europa.

– Credo che Elly Schlein – che da due anni si muove su una lama sottile ondeggiando molto ma non è ancora precipitata – abbia bisogno del sostegno di tutti noi, dove "noi" è un insieme che probabilmente include gente molto più a sinistra di me ed Elly Schlein. Il PD poteva spaccarsi, o appiattirsi sulla linea dell'Armiamoci e Partite che piace molto ai suoi parlamentari, e molto meno ai suoi elettori. È riuscita a elaborare una risposta più complessa, a mantenere la linea e a parare i colpi, presentandosi anche lei in piazza (anzi, è stata tra i primi ad aderire, depotenziando tutta l'iniziativa perché tra la sua idea di Europa e quella molto vaga di Serra c'è una sensibile differenza). Si poteva fare di meglio? Ovviamente. Qualche politico oggi in Italia avrebbe saputo fare di meglio? Guardatevi in giro.

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