28 marzo: San Cono di Naso (1139-1236), eremita diversamente bello.
Se non ci credete andate a controllare: esiste un santo che non solo si chiama Cono (e non è neanche l'unico: ce n'è un altro che ha fatto vincere una coppa del mondo di calcio all'Uruguay), ma essendo morto nei pressi di Naso, in provincia di Messina, è tradizionalmente conosciuto come Santo Cono di Naso. Il bisticcio di parole potrebbe non essere del tutto casuale; in fondo il nome latino "Cono" viene più spesso tradotto Conone (e i martirologi contano ben nove Santi Conone). Anche il paese non è tanto chiaro perché si chiami "Naso" e non "Nasso", visto che probabilmente è stato fondato da Greci che pensavano di avere individuato una Naxos, "terra fertile". Oppure visto dal mare il paese alle pendici dei monti Nebrodi sembrava un'isola, e allora dovrebbe chiamarsi Neso, da Nesos. Se invece gli abitanti hanno preferito Naso un motivo ci deve pur essere, tanto che su Messinaweb si azzarda l'idea che si tratti proprio del latino nasum, magari riferito alla forma del promontorio di Capo d'Orlando che da satellite, con qualche sforzo, può sembrare simile a un naso (ma i latini il satellite mica l'avevano). Rimane sul tavolo l'ipotesi che il nome del santo e il nome del paese si siano in un qualche modo attirati a vicenda: Conone di Nasso non sarebbe interessato a nessuno; Cono di Naso invece ti rimane in mente, ed è l'esatto motivo per cui il 28 marzo ho deciso di scrivere di lui invece che di, boh, san Proterio, vescovo di Alessandria d'Egitto, che pure fu linciato dai monofisiti. San Cono, invece, fu accusato da una ragazza di averla messa incinta (proprio lui, un anziano eremita!), e condotto in piazza per essere pubblicamente fustigato. Quando le guardie cominciarono a spogliarlo, il popolo scoprì dalle ferite che il santo era già abituato a fustigarsi da solo con molta efficacia, e lo assolse per acclamazione. Che fine fece la ragazza madre non è dato sapere.
A quel punto Cono faceva l'eremita, ma da giovane aveva fatto carriera presso il vicino monastero di San Basilio, fino a diventarne l'abate. Quando poi, al ritorno da un viaggio in Terrasanta, aveva appreso la morte dei genitori, aveva deciso di donare l'intera eredità al monastero: in questo modo non solo poté finalmente realizzato quel versetto del Vangelo di Luca che gli aveva fatto scegliere la vita monastica ("Chi non rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo"), ma riuscì a liberarsi anche dalle sue responsabilità di abate e a prepensionarsi in una grotta dove meditava e si flagellava in solitudine e santa pace. Di Cono si raccontano diversi miracoli che lo hanno reso relativamente popolare tra Sicilia orientale e Calabria, anche perché le agiografie più diffuse circolano nel Cinque-Seicento, un periodo in cui la diffusione della stampa crea un mercato interessante per chi le sparava più grosse. Ad esempio un giorno il marchese Trigona avrebbe ricevuto un monaco di Naso venuto ad acquistare frumento; non avendo con sé del contante, avrebbe lasciato al marchese in pegno un prezioso anello. Siccome però non tornava a ritirarlo, il marchese sarebbe andato a cercarlo a Naso, dove nessuno sembrava sapere nulla del monaco misterioso. Finché in un convento non avrebbe trovato un quadro raffigurante San Cono: era lui! Ma era anche morto cinquecento anni prima. Impressionato dall'evidente miracolo, il marchese decise di fondare un intero paese in provincia di Catania, che si chiama e di dargli il nome del Santo.Il legame tra il santo e il nome della località è rivelato da un dettaglio dello stemma comunale, dove sotto un leone rampante giallo in campo azzurro è esibito un naso tra due orecchie; una bizzarria araldica che trarrebbe origine dagli insegnamenti di San Cono, in particolare dall'ammonimento ad "aver buon naso, ascoltare assai e parlar poco".Un carattere fondamentale di San Cono è la bruttezza. Secondo la Bibliotheca Sanctorum la sua statua aveva "occhi grandi e spaccati, naso aquilino, labbra grosse, faccia... bronzina, larghissima", e potrebbe trattarsi dell'unica volta in dodici volumi più appendice che gli autorevoli autori decidono di citare un proverbio dialettale: Avi ’a facci ’i san Conu. Gli stessi concittadini, capite? che pure lo festeggiano più volte all'anno per la protezione garantita contro epidemie, turchi e terremoti, quando vogliono contrariare l'interlocutore gli dicono: avete la faccia di San Cono. Era così brutto?
Non è escluso, e in generale la vita dell'eremita non aiuta a preservare la bellezza (Benoit-Joseph Labre è l'eccezione). Ma l'opinione più diffusa è che il volto veramente sgradevole, se non spaventevole, più che quello del santo fosse quello della statua che lo raffigurava, e che veniva portata in processione a settembre. La bruttezza proverbiale di questa statua aveva una spiegazione, che magari serviva a coprire l'incapacità dell'artista, lo scarso gusto del committente e il braccino corto di chi non trovava i fondi per farne scolpire una migliore: era brutta come diventò brutto il santo, quando apparve miracolosamente durante un'incursione dei turchi e li mise in fuga proprio in virtù della sua insostenibile bruttezza, che purtroppo non possiamo verificare perché la statua era di legno e rimase polverizzata durante un incendio nel 1920. L'importanza della leggenda è tale che anche la statua contemporanea di San Cono, benché sia scolpita con abilità e competenza, conserva qualche dettaglio dissonante, un vago strabismo, insomma ormai si è deciso che Cono dev'essere brutto, almeno in effigie.