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domenica 14 settembre 2025

Sette spade nel cuore

15 settembre: Beata Vergine Maria addolorata. 

Palermo

Oh madonnina dei dolori,
quanti dolori avete voi...
Oh madonnina dei dolori,
adesso vi racconto i miei.

Siamo alla fine del Cinquecento, quasi Millesei, in un bosco di lecci in Abruzzo. Un pastore si volta e scopre, su una pietra, una raffigurazione della Madonna trafitta da sette spade. Il fatto che fino a quel momento nessuno ci avesse fatto caso fa già pensare al miracolo: comunque la pietra viene trasportata nella chiesa più vicina. Il mattino dopo, però, i pastori la trovano di nuovo lì. All'inizio pensano a uno scherzo, ma siccome la cosa continua a ripetersi, presto le autorità si arrendono al volere della Madonna, che evidentemente chiede che un santuario sia costruito proprio nel bosco. Questo tipo di miracoli non è affatto infrequente, e di solito viene elaborato per spiegare l'esistenza di un luogo di culto, in questo caso il santuario di Colli. Anche l'iconografia della Madonna trafitta non può più di tanto sorprendere: era già da  tempo una delle patrone di Pescara. Però mi sembra una storia che meglio di altre illustra la devozione per la Madonna dei dolori: una cosa che appare all'improvviso anche se sembra esserci sempre stata, senza che nessuno sappia esattamente da dove viene. Una donna trafitta da sette spade non è un'immagine così usuale: qualcuno deve essersela inventata, in un certo momento e in un certo luogo: ma quando, e chi? Non si capisce. Alcune celebrazioni mariane sono il risultato di lunghi dibattiti dottrinali che coinvolgono scuole di intellettuali, finché la gerarchia non decide di pronunciarsi ufficialmente: è il caso dell'Immacolata, o dell'Assunzione, o della Madre di Dio. In altri casi potremmo dire che succede quasi il contrario: ci sono celebrazioni che restano in sordina per secoli, confinate in ambiti locali, che piano piano prendono piede senza che i teologi sappiano cosa pensare al riguardo: finché non arriviamo ai giorni nostri e nessuno veramente sa chi ha cominciato a venerare la Beata Vergine Maria Addolorata. 

Le sette spade rappresentano sette momenti in cui Maria deve avere sperimentato un forte dolore. Sono tutte ferite morali, oggi diremmo psicologiche: del resto la questione del dolore della Madonna era teologicamente spinosa. Se consideriamo il dolore fisico come una conseguenza del peccato originale (Adamo ed Eva nell'Eden non lo provavano?), restava da stabilire se la Madonne fosse stata concepita col peccato originale o senza – una questione che si sarebbe trascinata fino al 1870. Ma mentre i teologi dibattevano, e le autorità esitavano a prendere una posizione, i pastori adoravano una Madonna trafitta già da secoli. Dei sette dolori si comincia in effetti a parlare a un certo punto del Basso Medioevo; all'inizio la spada è una sola, quella prevista dall'anziano profeta Simeone durante la presentazione di Gesù al Tempio. "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori", avverte Simeone prendendo in braccio il bambino: e rivolgendosi a Maria soggiunge: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima". Dunque almeno di una spada si parla nel Vangelo, dei quattro, più attento alle vicende interiori di Maria. Le spade però diventano presto cinque nell'elaborazione dei misteri del Rosario (contrapposti a cinque "Gaudi", ovvero momenti in cui Maria era stata felice). Non è un caso che a diffondere questa preghiera siano soprattutto i domenicani, da sempre militanti nella fazione 'maculista', ovvero contrari al concetto di Immacolata Concezione, devoti a una Maria un po' più umana e sofferente di quella venerata ad esempio dai francescani. A investire maggiormente sull'icona di Maria sofferente sarà però il terzo grande ordine religioso nato nel XIII secolo, ovvero i Servi di Maria. Questi ultimi sarebbero stati fondati da un gruppo di devoti benestanti fiorentini, ritiratisi sul Monte Senario, che avrebbero ricevuto istruzioni in merito da un'apparizione della Madonna in lacrime (all'inizio si chiamavano  Compagnia di Maria Addolorata). Nel loro stemma compaiono sette gigli che somigliano già a sette else di sette spade. Questa iconografia potrebbe avere ispirato qualcuno ad aumentare i misteri da cinque a sette, ma potrebbe essere stato il contrario: ovvero l'insistenza sui Sette Dolori potrebbe aver portato i cronisti a modellare la storia dell'Ordine affinché i primi fondatori risultassero esattamente sette – di loro non è che si sappia un granché: la diffusione dei Servi deve molto all'attività di un predicatore che proveniva dai domenicani, Pietro da Verona

CC BY-SA 4
Ma insomma, questi sette dolori, in cosa consistono? Il primo, già citato, è il dolore per la profezia di Simeone – immaginatevi la scena, un vecchio vi prende in braccio il bambino, gli fa un sacco di complimenti ma spiega anche che porterà caos e divisioni e che anche voi sarete trafitti da una spada. Poi c'è il dolore sperimentato durante la fuga in Egitto: sì, Maria di Nazareth è una profuga, ogni tanto vale la pena di ricordarlo. Il terzo dolore è quello sperimentato quando a dodici anni Gesù viene smarrito a Gerusalemme, e ritrovato soltanto dopo tre giorni, nel Tempio, in mezzo ai Dottori; se avete perso vostro figlio anche solo per cinque minuti al parco sapete bene che ci sono spade che bruciano meno. Seguono quattro momenti collegati alla Passione di Gesù, ma desunti dalle stesse tradizioni medievali da cui nasce la Via Crucis; poiché i vangeli dicono che Maria era presente alla Crocifissione, si dava per scontato che lo avesse visto sulla via del Calvario (quarto dolore), ai piedi della croce (quinto dolore), durante la deposizione (sesto) e la sepoltura (settimo). Anche qui, è impossibile capire se al numero di sette ci sia arrivati perché, contandoli accuratamente, i momenti in cui Maria sembrava soffrire erano proprio questi e non uno di meno, o se la sua vicenda sia stata stiracchiata perché la raffigurazione delle sette spade esisteva già e andava giustificata. Di solito, quando troviamo un'immagine diffusa e venerata in Paesi diversi, abbiamo la sensazione che sia molto antica, spesso più antica del cristianesimo. L'Addolorata, pure molto popolare, non dà la stessa sensazione. Ovvero: mentre molti altri avatar della Madonna sono evidenti rielaborazioni di miti pagani, da Iside ad Artemide, l'Addolorata è qualcosa di nuovo, secondo me; qualcosa che prima del cristianesimo non risultava (o forse era stato cancellato quasi del tutto, per rispuntare più tardi). 

L'idea di venerare una donna in quanto sofferente; di venerare la stessa sofferenza in forma di donna; se è esistito un culto del dolore nel mondo precristiano, è qualcosa che ha fatto perdere le sue tracce. Così questa festa un po' sottotraccia, che ai teologi secondo me non piace perché nasce dalla devozione popolare e confligge con dibattiti più importanti, è forse la festa mariana più originale, quella che ci spiega cos'è stato il cristianesimo per centinaia di generazioni di uomini e soprattutto di donne; una religione che metteva in primo piano il dolore, sia quello dell'uomo che quello della donna, su un piano quasi egualitario: a ogni ferita di Cristo ne corrisponde una nel cuore di Maria. È anche la celebrazione meno attuale, in un mondo dove il dolore è visto sempre di più come un errore da correggere – mentre alcune subculture che lo esaltano sono spesso portate avanti da donne


16 settembre: San Ninian (IV-V secolo), apostolo dei Pitti

A Whithorn, nel Galloway, insomma nella Scozia meridionale, c'è un rudere scoperchiato che potrebbe essere il primo edificio in muratura di tutta la Scozia. È quel che resta della Candida casa (in latino: "Bianca capanna"), un monastero sorto intorno alla prima chiesa scozzese, fatta costruire intorno al 397 dal protovescovo Ninian. Di lui ci parla Beda il Venerabile, vissuto quattro secoli dopo ma non era un contafrottole, prova ne è che non riferisce particolari miracoli: già solo avere eretto una chiesa in pietra in mezzo al Paese dei Pitti (chiamati così dai Romani per l'abitudine a dipingersi il volto e il corpo) era cosa encomiabile. Secondo Beda, Ninian era un britanno che aveva evangelizzato i Pitti, intitolando la prima diocesi scozzese al quasi coevo Martino di Tours; da questo asciutto resoconto gli agiografi successivi partiranno per ricamare una storia più elaborata in cui Ninian è figlio di un re cristiano che converte un re pagano, nonché discepolo di Martino che gli manda i suoi muratori di fiducia: si dà per scontato che i Pitti non sapessero mettere pietra su pietra. Gli storici però hanno la sensazione che questa primissima missione cristiana nelle terre oltre i valli romani abbia avuto un successo effimero; pesa sui Pitti la definizione che qualche decennio dopo affibbia loro San Patrizio d'Irlanda, ovvero "apostati". Il termine lascia intendere che qualcuno li avesse a un certo punto battezzati, ma che questa evangelizzazione fosse stata di breve durata. In ogni caso Ninian è riconosciuto e venerato come il primo vescovo scozzese; il monastero sorto intorno alla candida casa restò un importante centro culturale per tutto il medioevo e fu abbandonato soltanto dopo la riforma protestante.


17 settembre: Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), badessa, scrittrice, compositrice, mistica, teologa, botanica, diagnosta, naturopata, crittografa, mi sarò anche dimenticato qualcosa

Questo in realtà più che un pezzo su Santa Ildegarda è un appunto, lasciato qui perché è uno dei pochi posti dove non lo perderò, in pubblico affinché io mi senta più vincolato: prima o poi devo scrivere un pezzo vero su Santa Ildegarda. Devo rimediare a questa cosa piuttosto imbarazzante per cui avevo già un libro sui Santi a mio nome in libreria, quando una lettrice molto gentile mi chiese: ma non hai scritto niente su Santa Ildegarda, e io risposi eh? Santa Chi? Una monaca, del medioevo, molto apprezzata, ah no scusa, mai sentita nominare, sarà la classica visionaria dimenticata in qualche convento sperduto, aspetta che do un'occhiata e... sbraaang, è come se mi fosse piovuto in testa il Riesenkodex. 

Il Riesenkodex è un manoscritto in cui Santa Ildegarda, prima di morire all'augusta età di 81 anni, volle raccogliere tutto quello che aveva scritto: visioni, corali monofoniche, altre visioni, codici segreti, angelologie, senza risparmiare sulle miniature (non incluse però i trattati di erboristeria). Ne risultò un tomo di cm.45x30x15, dal peso di 15 kg, Santa Ildegarda non si risparmiava. In un certo senso è la Leonardo da Vinci del secolo XII: come Leonardo, non aveva fatto studi regolari (era entrata a 8 o 10 anni in un monastero benedettino femminile che non prevedeva l'istruzione accademica); come Leonardo, un po' se ne crucciava ma la cosa non le impediva di incuriosirsi e immischiarsi in ogni branca dello scibile umano. Rispetto a Leonardo non sapeva dipingere (in compenso era una compositrice di musica sacra notevolissima e innovatrice), per cui il rispetto del pubblico dovette guadagnarselo con le visioni mistiche. "Visione" è un termine che forse a lei non sarebbe piaciuto; perlomeno in una lettera molto tarda afferma di non essere mai caduta "in preda all'estasi", ma di aver sperimentato sin da bambina nella sua anima la visione del riflesso divino in tutte le anime del mondo: una specie di sesto senso con cui contemplava lucidamente ogni fenomeno dell'universo. La lucidità era indispensabile perché a mettere per iscritto le visioni si poteva anche rischiare processi per eresia, ma Ildegarda seppe muoversi bene, ottenendo abbastanza presto il favore di un papa al quale mandò il suo primo libro, nel quale non si riuscì a trovare nulla che contraddicesse le scritture: da lì in poi nessuno osò contrastarne gli interventi, e Ildegarda ne approfittò per fare a modo suo. Sin da giovane aveva dimostrato un carattere abbastanza caparbio; quando decise che doveva trasferire le sue monache in un altro monastero, e il vescovo non lo permetteva, si mise a letto e sfidò il vescovo a spostarla da lì. L'episodio è descritto come un miracolo, ma in controluce possiamo vederci un episodio di resistenza passiva: il vescovo poteva senz'altro ordinare a un paio di guardie di pigliarla per le gambe o i capelli, ma che figura ci avrebbe fatto con i fedeli che ormai la veneravano come santa? Un'altra volta riuscì a ottenere che un eretico restasse sepolto in terra consacrata, sostenendo che prima di morire si era riconciliato con Dio, e nessuno osò contraddirla. Ildegarda studiava, insegnava, addirittura predicava in giro per la Renania: non fece tantissimi tour, ma per una donna del XII secolo si trattava comunque di una situazione straordinaria. Dovunque la precedeva anche la fama di guaritrice, che si era guadagnata non invocando lo Spirito Santo a vanvera, ma studiando tutti i trattati di botanica e farmacopea che aveva potuto trovare, aggiungendoci l'esperienza maturata col tempo. Ildegarda, che a qualche femminista dà un po' fastidio perché nei suoi trattati accenna spesso all'inferiorità della sua condizione di donna non letterata (ma lo fa per dimostrare che lo Spirito parla anche attraverso gli umili), è invece diventata un personaggio di culto nell'area della medicina olistica e dell'erboristeria new age – un'area dalla quale cerco di tenermi il più lontano possibile, e questo spiega ma non scusa la mia ignoranza. È una cosa che mi dà un po' fastidio perché certo, senz'altro Ildegarda ragionava in termini di micro e macrocosmo, cercando nella natura i riflessi del corpo umano, praticando salassi e prescrivendo impacchi di pietre preziose che oggi sappiamo essere inutili se non dannosi. Lo faceva perché quella era la medicina più avanzata del tempo, ma se vivesse oggi sarebbe esperta di diagnostica e fisica delle particelle, non perderebbe tempo con i quattro stati delle materie – sì, mi rendo conto, è una proiezione che non ha senso. Ma prima o poi scriverò qualcosa di più sensato su Santa Ildegarda di Bingen, lo prometto. Se nel frattempo volesse pregare per me, ho un dolorino al ventre che non si spiega.

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