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Non credo. Gli italiani di domani di cose da rimproverarci ne hanno in abbondanza, senza troppo interrogarsi su questa perversione tutta nostra per cui se uno è bravo a presentare sarà anche un ottimo direttore artistico – il motivo per cui ancora oggi un Amadeus o un Conti diventano improvvisamente personaggi importanti e potentissimi da cui dipende il mercato discografico e lo showbusiness, e il giorno prima stavano leggendo le domande ai concorrenti nel preserale, che senso ha? Nessun senso. È in qualche modo colpa di Pippo Baudo, o meglio è colpa di chi come noi si è convinto che Pippo-Baudo non fosse una persona in carne e ossa ma, come Faraone, una carica imperiale: che dopo Pippo Baudo avremmo avuto altri PippoBaudi presentatori/direttori/talentscout compresi in un solo corpo, in unione ipostatica. Non è vero, non si vede perché dovrebbe esserlo, e gli italiani di domani non ci crederanno: del resto non guardano la tv (né si vede perché dovrebbero) per più di venti secondi; questo tipo di fruizione rapsodica, saltellante di clip in clip, è l'esatto opposto di quella che ci avvolgeva in quegli anni Ottanta in cui Baudo divenne, se non l'ideatore, certo l'imperatore della diretta-flusso, un minestrone lunghissimo di cui oggi Techetecheté può al massimo riproporci gli ingredienti più saporiti, mentre quello che veramente ricordiamo noi è il brodo che non potevamo evitare: troppo giovani non solo per uscire, ma anche per cambiare canale. Appena fu possibile, ci congedammo e Pippo Baudo, come i migliori parenti, non fece più di tanto per trattenerci. Al massimo, se ci capitava in un sabato uggioso di trattenerci in casa, lo ritrovavamo al suo posto e non c'era nulla di più rassicurante.
Per quanto non sia stato il primo conduttore di Domenica In (una diretta mostruosa, che occupava tutto il pomeriggio festivo), vi arrivò abbastanza presto e naturalmente, come l'attore che scopre il testo teatrale più adatto a far brillare le sue capacità; qualunque altro suo collega a quel punto si sarebbe detto soddisfatto di regnare sulla domenica degli italiani, ma lui no: a un certo punto riuscì a mettere assieme la diretta del sabato sera (Fantastico) con quella della domenica pomeriggio; sempre nello stesso periodo Fantastico fu sottoposto a quel processo di dilatazione che da quel momento è diventata la principale caratteristica, e la peggiore magagna, delle trasmissioni italiane in chiaro; non finiva mai, c'era sempre qualche ospite o qualche collegamento, chi si addormentava sul divano non era del tutto sicuro che Fantastico non durasse alla fine tutta la notte, e che anche durante la diretta della Messa domenicale, Pippo Baudo non stesse ancora presentando qualcosa davanti a telecamere che restavano momentaneamente spente solo in ossequio a Sua Santità – chi altri avrebbe avuto il coraggio di interrompere Pippo Baudo? Persino Sanremo, prima di Baudo, erano tre serate e a mezzanotte si tirava la serranda.
Questa necessità di un'estrema irradiazione tradiva già allora qualcosa di patologico. Ci sono persone che usano la tv per diventare famose; dopodiché magari restano in tv perché quel tipo di fama non sopravviverebbe altrove, però per loro la tv resta uno strumento, magari l'unico che hanno imparato a usare. Baudo no, Baudo fa parte di un gruppo di persone che non so se esista anche in altri Paesi, che diventano famose per andare in tv, dopodiché vita e tv coincidono e a un certo punto non ha più senso domandarsi come mai continuino a essere lì, e cosa stiano esattamente facendo; voi smettereste di andare in bagno, in cucina, in camera da letto? Ecco, Enrico Mentana non può smettere di andare in diretta (anche se a una cert'ora non ci sono più notizie: del resto la notizia è lui), né poteva smettere di farsi inquadrare Maurizio Costanzo, anzi la tv serviva a Maurizio Costanzo per sopravvivere grazie alla nostra attenzione, più che a noi per assistere a interviste di Maurizio Costanzo. Baudo sarebbe rimasto importante e potente anche se avesse presentato un po' meno, ma quando per qualche motivo effettivamente gli capitava di allontanarsi dalle telecamere, tutti avevamo la sensazione che ne soffrisse molto. Il periodo di astinenza durava qualche stagione, durante le quali provava magari a fare altro (una volta andò in tournée con una commedia musicale!) Inevitabilmente tornava in tv, un po' invecchiato – come tutti: ma nel suo caso era impossibile non avvertire la sensazione che Baudo deperisse soltanto lontano dai riflettori televisivi. Per questo motivo non poteva tenersene lontano, e non per una mania di protagonismo che non gli abbiamo mai imputato; Baudo aveva capito da subito, istintivamente, che il presentatore è un maggiordomo, a volte un intervistatore, persino un dj, e spesso una spalla comica; in quest'ultimo ruolo in particolare Beniamino Placido riconobbe la sua superiorità su tanti altri presentatori che magari avevano più personalità, ma in questo modo rischiavano di distrarre il pubblico, di offuscare la stella in scena.
Baudo non correva mai questo rischio: tutti oggi ricorderanno tanti talenti da lui scoperti e lanciati, ma lui era in grado di far brillare personaggi men che mediocri; accanto a lui anche un intervento del corvo Rockfeller (il burattino del ventriloquo più scarso mai visto in tv) diventava un evento. La natura gli aveva dato la prestanza adatta; un'altezza notevole ma non troppo, che è una caratteristica di tante spalle comiche, dai clown bianchi in poi fino a Pinotto, Ciccio Ingrassia, Raimondo Vianello; e una voce stentorea e inconfondibile, che secondo Gigi Sabani non si poteva imitare. Lui perlomeno – imitatore ufficiale della tv italiana anni '80 – non ci era mai riuscito, e ogni volta che in un'intervista lo ammetteva, il dubbio ci attraversava: non ci riesce perché effettivamente il timbro ha qualcosa di imponderabile, un'alchimia che coinvolge soltanto il microfono che gli ha davanti e che diffusa via etere riesce a ipnotizzare milioni di italiani ma non può essere riprodotta, come il volto della vergine della Guadalupe che perde il suo incanto se provi a fotografarlo? O non sarà semplicemente che Sabani non ci riusciva perché Baudo era troppo potente e non avrebbe mai accettato di sentirsi ridotto a un tormentone, come era successo a Mike Bongiorno ("Allegriaaa!") e allo sventurato Enzo Tortora ("Orrore"?) Bisogna dire che anche in seguito, quando arrivarono imitatori più tecnicamente dotati di Sabani, nessuno riuscì a produrre un'imitazione di Baudo di cui si conservi memoria. L'unica che mi resta in mente purtroppo è quella agghiacciante che gli autori di Drive In delegarono a Gianfranco D'Angelo; uno sberleffo livido e prolungato che non risparmiava Katia Ricciarelli, e che prevedeva sketch in cui Baudo allevava e addestrava i suoi parrucchini – che vergogna, ricordarsi di queste cose. Tanto livore ai tempi poteva stupire (non avevamo ancora capito che il livore era la musa specifica di Antonio Ricci) e veniva magari associato al fatto che Baudo fosse un traditore: uno dei primi a passare dalla Rai a Mediaset, e il primo a tornare indietro. Interessante è anche il motivo per cui Baudo non poteva funzionare, su quella Canale 5 in cui Mike Bongiorno, Corrado e Vianello trovarono l'habitat ideale; per questi tre, non si trattava che rifare sé stessi, ma tutti i giorni invece che una volta la settimana, e con stipendi congruamente moltiplicati. Per Baudo invece si trattava di rinunciare alla diretta, e magari lui stesso in un primo momento era convinto di poterci riuscire – salvo scoprire che invece no, anche una lieve differita gli toglieva il senso di quello che stava facendo, come un Rocco Siffredi che avesse firmato un contratto milionario per scoprire troppo tardi che il nuovo impresario non avrebbe potuto permettersi attrici vere ad affiancarlo, bensì costosissime e confortevoli bambole di plastica. Baudo senza diretta moriva: non è forse un caso che nel momento in cui per qualche motivo dovette temporaneamente allontanarsene, non pensò di sostituirla col cinema, ma col ben più faticoso teatro.La sua vita era la sua arte, e la sua arte doveva avvenire davanti a tutti, in comunione spirituale con un Paese intero; a parte questo, Baudo non chiedeva niente, non era niente. Pur di apparire una volta alla settimana davanti a tutti, aveva rinunciato ad avere una personalità propria, delle idee, dei gusti: la Prima Repubblica del resto non imponeva confessioni pubbliche di fede; al massimo una vigilanza attenta sul repertorio dei comici, per cui il corvo Rockfeller probabilmente risultava molto meglio gestibile di Beppe Grillo (ecco, magari Ricci ce l'aveva anche per l'estromissione di Grillo). Che abbia in un qualche modo 'scoperto' Franco Battiato non può sorprendere: Battiato in quel momento andava comunque fortissimo e stava proponendo esattamente quel tipo di musica che Baudo sapeva che in quel momento avrebbe funzionato, popolare ma misteriosa, apparentemente colta, ideale da programmare tra la presentazione di un libro e una puntata di Happy Days. Ma di Battiato, Pippo Baudo amava più di tutte Mal d'Africa, la canzone più satura di reminiscenze di un'infanzia siciliana, e in questo si tradiva come raramente l'ho visto fare: un'altra volta mentre un discorso da talk virò senza preavviso sulla ricetta della cassata (e gli si illuminò il viso, e si mise a opporre agli interlocutori degli argomenti suoi!), oppure quando combinò come in un agguato l'incontro tra Franchi e Ingrassia.
Concludo con un aneddoto la cui fonte che non riesco a rintracciare, per cui magari me lo sono fabbricato in sogno: in quel caso perdonatemi. Così come l'accentramento del potere nelle mani dell'imperatore, a partire almeno dal secondo secolo, è una diretta conseguenza della pressione dei popoli barbarici, così l'impero di Baudo sulla tv nazionale è una conseguenza diretta dell'invasione, nei primi anni Ottanta, delle reti private. Prima i palinsesti erano troppo angusti; dopo ci fu spazio in abbondanza, e Baudo era patologicamente adatto a lasciarseli affidare. Oggi ovviamente se pensiamo alle reti private, ci viene in mente Berlusconi, che però arrivò in un secondo momento e non ne apprezzava affatto i sapori regionali; voleva semplicemente rilevarne il più possibile e trasformarle in un network nazionale che avrebbe affidato ai volti già noti della RAI. Ma all'inizio le reti private erano qualcosa di completamente diverso – qualcosa di sgangherato e irresistibile. Una delle prime nacque in Sicilia, e il fondatore pensò bene, per il programma inaugurale, di chiedere consiglio a Pippo Baudo: a cui la RAI non aveva ancora fatto firmare nessun contratto esclusivo, del resto fino a quel momento l'esclusività era garantita dal monopolio nazionale. Baudo non si limitò a concedere la sua augusta presenza, ma volle presentare una diretta fiume, e a quel che mi sembra di ricordare, rimase davanti alle telecamere per venti ore. Probabilmente chi detiene le bobine della trasmissione ha in cassaforte il Pippo Baudo più schietto, libero di essere sé stesso, un po' più siciliano di quanto Roma gli consentiva di essere. Probabilmente non il Baudo che amiamo, e neanche quello che meritiamo.
Dopodiché, non ha più molta importanza. Pippo Baudo è morto. Qualcuno a questo punto sentirà l'esigenza di rispondere "Viva Pippo Baudo", ma no: questo tipo di risposta aveva un preciso senso, nella liturgia della corona francese, e serviva a identificare immediatamente l'erede al trono. Pippo Baudo non ha avuto successori: non erano previsti. Lui stesso non li ha indicati, e se non li ha indicati lui non si vede chi altro possa averne trovati. È sopravvissuto per anni alla televisione che ha creato, alle esigenze che assolveva, e poi un sabato sera anche Pippo Baudo è morto: fine. I posteri faranno fatica a capire, ma sarà l'ultimo dei loro problemi.
La diretta è questa https://www.youtube.com/watch?v=leU7gkkqBQk
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