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martedì 23 dicembre 2025

I dischi di Natale dei Beatles?


Qualche anno fa, qualcuno lo ricorderà, mi misi per il Post a stilare la più verbosa classifica dei brani dei Beatles mai pubblicata – un pretesto per glossarnee ogni canzone. Il risultato fu pubblicato anche in un volume che potrebbe essere un'idea se non sapete più che regalo comprare al nonno. Ma benché nell'occasione sia riuscito a scrivere qualcosa a proposito di più di 250 brani, alcuni ne rimasero fuori. Si tratta per lo più di cosiddette rarità ("rarità" nel caso dei Beatles significa che le conosce solo qualche decina di milioni di appassionati). Un discorso a parte poi lo meriterebbero i dischi di Natale – ecco, qualcosa nell'aria mi dice che oggi è il momento di quel discorso a parte. E Buon Natale, come si dice da noi.


The Beatles Christmas Record (1963)
Per quanto suoni festoso e natalizio, il Christmas Record del 1963 dovrebbe essere stato inciso già il 17 ottobre, durante la sessione per il singolo I Want to Hold Your Hand / This Boy che nell'anno successivo avrebbe permesso ai Quattro di sfondare negli USA. Ora, siccome l'obiettivo originario era scrivere qualcosa a proposito di ogni brano dei Beatles, qui si tratta di stabilire se il Christmas Record vada incluso nel canone – a occhio, no. Non era stato concepito come tale; i Quattro non suonano e per la maggior parte dei cinque minuti non cantano nemmeno. I dischi di Natale per i fansclub britannici erano considerati dei semplici messaggi di auguri (e di scuse per non aver risposto a tutta la posta dei fans, "non ho abbastanza penne", spiega John). Venivano allegati al giornalino del club e avevano la stessa funzione che oggi potrebbe avere una clip su instagram o tictoc. Non erano nemmeno concepiti per durare: venivano incisi su un supporto (il flexidisc) economico e particolarmente fragile. Nel 1971 furono finalmente raccolti su un LP che nessuno sentì la necessità di ristampare fino al 2017.
D'altro canto, è pur vero che i Beatles stanno cantando delle canzoni, su un disco che è stato pubblicato ufficialmente, e quindi perché non dovremmo contare tra i brani anche la loro versione del canto tradizionale Good King Wenceslas e della canzone della Renna Volante (con il gioco di parole Ringo/Renna)? Il flexi se non altro conferma che ormai i Quattro si trovavano a loro agio nei personaggi mediatici che si erano costruiti. L'unico che tra lazzi e frizzi prova a fare un discorso serio è ovviamente Paul, che spiega come il miglior posto del mondo sia proprio quello dov'è in quel momento: la sala d'incisione. Ogni desiderio stava diventando realtà, Natale era già arrivato a ottobre, e sarebbe durato tutto l'anno.


Another Beatles Christmas Record (1964).



Inciso il 26 ottobre, al termine della sessione conclusiva di Beatles For Sale, è probabilmente il meno musicale dei flexidisc natalizi, anche se è interessante proprio per alcune trovate rumoriste che anticipano sperimentazioni molto successive: all'inizio c'è un tentativo di suonare Jingle Bells che degenera subito, con pianoforte, armonica in chiave sbagliata e quello che sembra un kazoo (probabilmente è carta velina su un pettine, la riascolteremo solo in Lovely Rita e sembrerà una straordinaria innovazione). I Quattro leggono un copione scherzandoci sopra, i ruoli ormai sono chiari: Paul è il ragazzo fortunato che continua a meravigliarsi e ringraziare per tutti i dischi che vende, e soprattutto per l'enorme privilegio di lavorare in uno studio ("qui abbiamo inciso le prime nostre canzoni... sembrano tanti anni fa"). Lennon è il ragazzaccio che lo prende in giro. (Paul: "se non fosse per voi fans, chissà dove sarei..." John: "A militare"). George è il beatle concreto che ha dei prodotti da promuovere: "Grazie per aver visto il film, mi aspetto che qualcuno lo veda anche più volte... il prossimo sarà diverso, col colore" (John: "il verde!"); Ringo è lo svagato: "Vi domanderete dove siamo stati quando non eravamo qui, ebbene in... Australia... Nuova Zelanda... Stati Uniti... Australia... no aspetta l'ho già detta"). In coda una canzone popolare irlandese, Can You Wash Your Father’s Shirt, si spegne quasi subito: ma l'urlo "Christmas!" che continua a riverberare nel silenzio è una gran trovata, anzi penso che la riciclerò nel prossimo nastrone natalizio.




The Beatles Third Christmas Record (1965)



"Uno dei nostri anni migliori, da quando li contiamo. E noi sappiamo contare un sacco di grandi anni". Il 1965 è veramente l'anno cruciale della storia dei Quattro. Le canzoni incise sono 36, più o meno come l'anno precedente, ma a parte un paio sono tutte originali: la rivalità cordiale ma sempre meno sotterranea tra Lennon e McCartney (con il secondo per la prima volta in lieve vantaggio) è il motore che li consente di consegnare alla Storia della musica almeno una dozzina di brani che cambieranno le carte in tavola per tutti. È più che appropriato, così, che il disco di Natale cominci con una versione ubriaca di Yesterday – l'unica autoparodia incisa ufficialmente dai Beatles, che poi nel corso del messaggio diventerà Christmas Day. Stavolta a quanto pare c'era stato un tentativo di produrre un disco di Natale più professionale (una finta trasmissione da una radio pirata, quelle che stavano stravolgendo i gusti dei teenager inglesi promuovendo i dischi che la BBC non aveva il coraggio di suonare). Il progetto fu accantonato e i Quattro rimasero fedeli al format dei due anni precedenti: canzoni balorde e qualche messaggio di ringraziamento per le lettere del fanclub, sempre meno sincero "grazie soprattutto per le lettere con la gomma da masticare". Lennon è il probabile autore di due frammenti originali: una canzonaccia natalizia da pub, Happy Christmas to Ya List’nas, e una filastrocca, Christmas Comes, But Once in a Year. Nel mezzo i Quattro tentano di intonare qualcosa di sensato, dal tradizionale Auld Lang Syne che Lennon dirotta verso Eve of Destruction, e It's the Same Old Song dei Four Tops, immediatamente stoppata da George Harrison che anche stavolta sembra il più sobrio del gruppo e ricorda agli altri che non si può, c'è il copyright. Così alla fine tornano su Yesterday, il pezzo che per poco non era uscito come un singolo solista di Paul, e che tra tante pietre miliari posate nel 1965 forse è stata la decisiva. All'inizio del 1965 i Beatles erano ancora una rock band, più eclettica di altre, ma dal sound sempre riconoscibile; alla fine del 1965 erano un progetto musicale aperto a qualsiasi possibilità. Nel mezzo c'era stata Yesterday, un brano che Paul non sapeva da dove gli era venuto, e che vincendo una lunga titubanza aveva inciso con un quartetto d'archi – e senza il contributo degli altri tre, che qui sembrano volerla massacrare senza pietà. O forse era un tentativo di farla propria, visto che ai concerti non sapevano ancora come arrangiarla. Dopo Yesterday i Beatles non sarebbero stati più gli stessi e per quanto questo fosse già un presagio della fine, nessuno in quel momento aveva la minima intenzione di tornare indietro.


Pantomime (1966)


Everywhere It's Christmas
(non attribuita)

Nel 1966, per la prima volta, i Beatles non riescono a incidere l'album invernale; e questo malgrado l'altra attività fondamentale del gruppo – i concerti – si sia interrotta del tutto a fine agosto. Lennon poi si è assentato per recitare in How I Won the War e quando si ricongiunge coi tre è troppo tardi per lavorare a un intero 33 giri: quello inciso prima dell'estate ha richiesto quasi tre mesi di lavoro. Del resto l'asticella è sempre più alta, nessuno si aspetta più dai Beatles una collana di canzoncine incise in fretta e furia: anzi ora il loro nome è legato a produzioni innovative e di qualità. Persino quella buffonata del flexidisc di Natale per il fan club: persino quella va realizzata con cura e professionalità. Pur rimanendo nell'ambito della buffonata: Everythere It's Christmas, il primo brano, rimane nel solco delle strofe goliardiche improvvisate soprattutto da Lennon nei dischi precedenti, anche se qui McCartney lo accompagna al piano. Il brano apre e chiude il disco come una parentesi, proprio come nel 1967 capiterà a un altra canzone un po' buffonesca, Sgt Pepper's Lonely Hearts Club Band; e in generale tutti i sette minuti del flex sembrano una parodia di quei primi acerbi concept album coi recitativi parlati, che arriveranno nei negozi di dischi inglesi solo verso il 1967.


Orowayna (non attribuita).

"Our story opens in Corsica". La copertina di Pantomime, per la prima volta, indica una scaletta di canzoni e recitativi. "Orowayna" è il secondo brano, che comincia immediatamente dopo il primo, non dissimilmente da quanto sarebbe successo in Sgt Pepper's: l'album che in quei giorni stavano cominciando a mettere assieme, anche se non se ne rendevano ancora conto. Paul sta raccontando una bislacca leggenda natalizia ambientata in Corsica, e il coretto che lo accompagna svela per la prima volta nella produzione dei Quattro una sensibilità per un tipo di musica 'etnica', nonché la pratica di scandire sillabe a caso, scelte per il suono evocativo.


Please don't bring your banjo back 

"Ti prego, non portarti dietro il banjo, non so dov'è finito. Me ne ero appena andato quando divenne la cosa nuova. Banjo, banjo dappertutto, non riesco a scordarmi le loro canzoni... e se ne vedo in giro un altro, andrò a comprarmi un grosso pallone". 

Le mode vanno e vengono, i Beatles devono anticiparle – e allontanarsene rapidamente. È un lavoraccio, qualcosa che oggi sarebbe affidato a un algoritmo, vent'anni fa a un ufficio marketing: nel 1966 a quattro ragazzi di Liverpool con un po' di esperienza, molto fiuto, e qualche collaboratore che per fortuna continua a fidarsi ciecamente di loro. Il 1966 è apparentemente l'anno meno produttivo dei sette che hanno trascorso incidendo assieme: a metà dicembre, invece del solito LP, avranno da offrire al pubblico soltanto un 45 giri, che tra l'altro non riuscirà nemmeno ad arrivare al primo posto nella classifica inglese (non ci riuscirà perché è un singolo "con due lati A", Strawberry Fields Forever e Penny Lane, e i negozi comunicano le vendite soltanto di uno dei due titoli). In tutto, contando il singolo natalizio, quello primaverile (Paperback Writer) e l'album (Revolver) risultano "appena" 19 incisioni. Se la quantità è un po' calata, la qualità è sempre in crescita: Revolver oggi è considerato quasi unanimemente l'album più importante. È anche uno di quelli che ha richiesto più tempo, e segna l'inizio di una fase in cui i tempi in sala di registrazione si dilateranno. Una situazione in generale più congeniale a McCartney che ai colleghi: tra i quali Lennon sta già dando la sensazione di perdersi, di non riuscire a spiegare quello che vuole a George Martin, e a volte anche a sé stesso.



Christmas Time Is Here Again (1967)



Col titolo Christmas Time Is Here Again indichiamo ormai due oggetti molto diversi. Il primo è il flexidisc natalizio del 1967, che riprende il formato a 'siparietti' dell'anno precedente, ma con un'ambizione più organica – si tratterebbe di una serie di provini di artisti esordienti per una trasmissione radiofonica natalizia. Il secondo è il tema ricorrente del flexidisc, cantato insieme dai Quattro: una sorta di ritornello che quasi trent'anni dopo sarebbe stato ritagliato e rimontato come un brano a se stante per il lato B del singolo Free As A Bird. Benché ottenute con lo stesso materiale, le due Christmas Time sono profondamente diverse.

Il flexi natalizio è l'ultima occasione per i Quattro di incidere qualcosa in quell'anno (il 1967) che più di tutti identifica una fase precisa della loro produzione: tant'è che anni dopo, pubblicando Fab, George Harrison spiegò che voleva scrivere una canzone "alla '67". È l'anno più sperimentale: dopo la cesura del 1966, in cui i Beatles avevano inciso relativamente poco (un LP e due singoli) e pubblicato tutto, nel 1967 le sessioni ad Abbey Road (e non solo) diventano più frammentarie ed episodiche e presentano un bilancio di almeno 25 brani, alcuni dei quali resteranno nel cassetto per un anno o persino di più (Carnival of Light aspetta ancora la pubblicazione). Il disco primaverile, Sgt Pepper's, in un certo senso è l'ultimo a rispettare la formula del long playing con 13-14 canzoni, che i Beatles avevano pazientemente rispettato dal 1963, ma che evidentemente stava stretta; l'uscita invernale, Magical Mystery Tour, arriverà nei negozi inglesi con un formato bizzarro (un doppio EP). È anche l'anno della tragica morte del manager, Brian Epstein, che sembra non lasciare un segno superficiale nella produzione dei Quattro – anche se nel medio termine sarà uno dei fattori del loro scioglimento.


 
The Christmas Record 1968 



Per la prima volta i Quattro non incidono assieme il disco con gli auguri di Natale (il che retrospettivamente fu interpretato come un segno della disgregazione), ma inviano i loro contributi al dj Kenny Everett. Non sappiamo in che misura quest'ultimo sia responsabile del collage sonoro – tra l'altro di qualità sorprendente, considerato che allora si lavorava ancora a quattro piste. Il risultato è meno pretenzioso di Revolution 9, ma forse più interessante. E tuttavia si avverte la sensazione che una certa spinta propulsiva si sia esaurita: a ogni Natale i Quattro dimostravano di poter fare qualcosa di più, stavolta si sente la presenza in sala di un regista la cui preoccupazione principale è dimostrare che questo disco non è troppo diverso dai precedenti: i Beatles sono ancora i Beatles, continuano a strimpellare inni bislacchi composti per l'occasione (l'unico vero contributo musicale originale è una schitarrata di Paul, Happy Christmas, Happy New Year, Happy Easter) e a maltrattare il loro repertorio (Obladì Obladà stonata apposta, Helter Skelter accelerata a 45 giri, Nowhere Man devastata da "Tiny Tim" e il suo ukulele). Non è chiaro se i virtuosismi ritmici dei battiti di mano siano stati realizzati da Ringo, qui in grande rilievo ma sempre più come attore che musicista. John aggiunge una poesia per lui e Yoko, George sembra come sempre il più tranquillo, l'acqua cheta che sta per mettere in crisi i ponti.




The Beatles Seventh Christmas Record (1969) 


Non era mai capitato che il disco di Natale cadesse in un periodo tanto 'silenzioso': i Beatles non pubblicavano materiale inedito da settembre, un'enormità per loro. Il vuoto era stato parzialmente riempito da Cold Turkey, un singolo della Plastic Ono Band; e anche il settimo disco di Natale dà la sensazione che John e Yoko stiano prendendo il controllo della barca. George sparisce quasi immediatamente, dopo aver salmodiato i suoi auguri come un hare krishna; Ringo fa una cosa simile ma ne approfitta per reclamizzare svergognatamente il suo ultimo film, The Magic Christian: quasi una strizzata d'occhio subliminale. Paul è l'unico ad aver fatto i compiti: forse è già rinchiuso nel suo cottage e tra le varie canzoni che sta provando alla chitarra ne ha senz'altro una adatta ad augurare un buon Natale e un felice Anno Nuovo. Ma dura appena mezzo minuto: negli altri sei, sostanzialmente, ascoltiamo John e Yoko fare i buffoni; il che oggi forse ci commuove, ma al tempo doveva sembrare abbastanza spiazzante, perché fino a pochi anni prima, in questi dischi John faceva il buffone con Paul, e invece ora è Yoko a prestarsi agli scherzi, con una disponibilità sorprendente. Mentre lo ascoltavano, i fans non avevano del tutto rinunciato alla speranza che il silenzio fosse solo temporaneo, e che i Quattro si sarebbero presto rimessi assieme. Era una speranza che il disco di Natale non nutriva affatto, anzi.

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