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lunedì 24 novembre 2025

Ermogene, martire o no

Una gita a... Agrigento (la porta araba).
24 novembre: Sant'Ermogene di Agrigento (martire? IX secolo?)

"È commemorato il 24 novembre nel Sinassario Costantinopolitano e nei menei greci, ma di lui non si sa niente". Così la Bibliotheca Sanctorum, e chi siamo noi per saperne di più? I menei sono martirologi in lingua greca, da cui alcuni agiografi traggono un distico dedicato a Ermogene, però trascritto in latino: 

Caedens, Hermogenes, ex genere mortalium
pudore fastum generis imples daemonum.

Una cosa interessante di questo distico è che nessuno riesce a capire cosa voglia dire: l'ho infatti ricopiato per questo, confidando nel fatto di vivere nel Paese coi licei classici che il mondo ci invidia. Figurati se tra tanti classicisti non troverò finalmente qualcuno in grado di sciogliere il secolare mistero. 

Un'altra informazione galleggiante sull'oblio è che Ermogene dovrebbe essere vissuto a cavallo tra VIII e IX secolo, insomma contemporaneo di Carlo Magno: ma se questi nel frattempo invadeva i Longobardi nell'Italia del nord, giungendo fino a Roma e facendosi incoronare a sorpresa (seh, sorpresa), Ermogene, se è davvero vissuto nello stesso periodo, dovrebbe avere assistito all'evento più traumatico del Medioevo siciliano, ovvero l'invasione araba. È in effetti considerato l'ultimo vescovo di Agrigento dell'epoca bizantina; il suo successore sarebbe arrivato soltanto dopo la conquista normanna, più di cent'anni dopo. Forse per questo motivo Ermogene è definito, da taluni, martire; in effetti, figurati se i Saraceni non perdevano l'occasione di tagliar la testa a un vescovo; e figurati se un vescovo perdeva l'occasione di salire al cielo martire. Tutto molto logico e verosimile, salvo che no, sui menei si legge proprio "egli finì in pace i suoi giorni..." L'affermazione è così insolita che ha portato l'autore della scheda su Santiebeati, Raimondo Lentini, a retrodatare il santo di cinque secoli: "Ermogene fu uno di quei santi martiri dell'ultima persecuzione che, sopravvissuti ai patimenti, finirono la vita in pace ai tempi di Costantino". Martiri mancati, insomma, a cui mancò l'occasione, non il coraggio; magari erano già in cella pronti a essere schedulati durante un mezzogiorno al Colosseo coi leoni, senonché Costantino firma l'Editto e niente, tana libera tutti. Questo pur di giustificare la strana ambiguità, per cui un "Ermogene martire" sarebbe però morto nel suo letto. Aggirando con un certo imbarazzo la soluzione più ovvia; forse Ermogene non morì martire perché... gli arabi di Sicilia non perseguitavano i cristiani. 

Cioè, aspetta. Un po' lo facevano. Non è che fossero questi campioni di tolleranza. In particolare negli anni dell'invasione, che fu lunga e tormentata, con frequenti rovesciamenti di fronte, lunghi assedi ed epidemie a peggiorare la situazione. In quel periodo i cristiani, sì, rischiavano la pelle, in quanto nemici o potenziali alleati dei nemici. Ma una volta cacciati i Bizantini, e installato un potere centrale a Palermo, gli arabi non si comportarono con cristiani ed ebrei in modo molto diverso che negli altri territori già conquistati a partire dal secolo VII: chi voleva restare cristiano ed ebreo, poteva assolutamente farlo. 

Certo, avrebbe pagato più tasse.

Fu un metodo straordinariamente efficace, che spiega in parte la diffusione a macchia d'olio dell'Islam, un po' meno rapida di quello di solito immaginiamo perché i popoli conquistati non diventavano immediatamente musulmani, salvo la classe dirigente; i sottoposti ci mettevano un po' di tempo. Presto o tardi, in ogni caso, il richiamo dello sgravio fiscale si rivela irresistibile, e la maggioranza si converte; dopodiché, alla pressione fiscale si aggiunge la pressione sociale, i cristiani patiscono sempre più la condizione minoritaria che impedisce loro di migliorare le proprie condizioni, ottenendo incarichi più importanti o attraverso matrimoni con famiglie più ricche e benestanti; e il risultato è che nel giro di qualche generazione, la società si islamizza: ma quasi mai completamente. È un processo efficace, (anche per una clausola diabolica: quando ti converti all'Islam, non puoi più tornare indietro, l'apostasia è punibile con la morte) ma che richiede qualche generazione, e che spiega come mai in Sicilia e persino nella Spagna meridionale, che fu controllata dagli arabi per un periodo molto più lungo, il cristianesimo rimase largamente praticato. Tutto questo è abbastanza noto (come sono note le diverse eccezioni), per quanto confligga con l'opinione comune che invece descrive la società islamica come quella dei Borg di Stat Trek, un unico organismo determinato ad assimilare ogni individuo. Che l'Islam abbia una tendenza assimilatrice non è che si possa negare: dovunque è arrivato ha senza dubbio dato un grande contributo a uniformare molte usanze non solo religiose, e spesso anche la cultura, l'arte e la stessa lingua, in ottemperanza a un testo sacro che diceva, in certe regioni della terra per la prima volta, che tutti sono uguali davanti a Dio. Ma questa idea che appena un esercito arabo arrivava in una città, ogni chiesa si trasformava immediatamente in moschea e ogni cristiano in un circonciso, ecco, ha più a che vedere con una millenaria propaganda che con le nostre conoscenze storiche. 

Questa concezione poi nella storiografia popolare contribuisce a formare l'idea dell'"invasione araba", ovvero un improvviso straripamento dalla penisola arabica – per lo più desertica, e fino a pochi anni prima scarsamente popolata – di una fiumana inarrestabile di invasori musulmani, in grado di invadere e islamizzare nel giro di qualche decennio mezzo mondo conosciuto, dalla Persia fino alla Spagna, come un'epidemia. Tutte le innovazioni umane, in effetti, si possono descrivere come epidemie, che hanno come vettore l'uomo: salvo che in molti casi a viaggiare non è tanto l'uomo, ma soprattutto le informazioni. L'Islam, come tante altre religioni e idee prima di esso, non si installò attraverso massacri e sostituzioni di popoli, ma con la pressione fiscale e sociale. Le chiamiamo "invasioni arabe", ed effettivamente possiamo dimostrare che decine di migliaia di arabi si spostarono dall'Arabia ad altri Paesi, mescolandosi soprattutto con la classe dirigente: ma la maggior parte degli abitanti sono rimasti, in questa e in altre occasioni, gli stessi. Possiamo paragonare l'invasione araba, mutatis mutandis, a quella napoleonica, che indubbiamente portò migliaia di effettivi francesi in giro per l'Europa (e alcuni di questi fecero brillanti carriere); però non è che i francesi si sostituirono ai tedeschi del Reno, o agli italiani della Repubblica Cisalpina, o agli spagnoli. Furono soprattutto le idee dei francesi a imporsi immediatamente a nuove classi dirigenti che erano tutto sommato abbastanza liete di riceverle e metterle in pratica. Forse, se Napoleone fosse durato un po' di più, anche gli italiani e i dalmati compresi nell'Impero avrebbero iniziato davvero a parlare francese e a considerarsi francesi, così come i siciliani a un certo punto cominciarono a considerarsi arabi; ma ci volle tempo, ed evidentemente non si convinsero mai del tutto. Anche ad Agrigento, che faceva parte del vallo occidentale della Sicilia, la parte più arabizzata, dove si stima che comunque metà della popolazione era ancora cristiana al momento in cui arrivarono i Normanni. 

Questa è la cosa forse più difficile da accettare, per chi la Storia non la studia ma la impugna: che gli arabi di Sicilia fossero per lo più siciliani, e che "arabo", "musulmano", ma anche "cristiano" non siano costellazioni del sangue, ma idee che possono passare da una persona all'altra, non sempre in punta di spada; a volte basta anche un balzello, o anche, perché no, una conversione interiore: sì, esistono anche quelle. Nel frattempo qualcuno di voi avrà già decifrato il distico qui sopra, che sempre secondo Raimondo Lentini significherebbe qualcosa come: "Allontanandoti, o Ermogene, dal genere umano, colmi di vergogna l'arroganza della razza dei demoni". Non è chiaro in che senso Ermogene dovrebbe allontanarsi dal genere umano: forse è un'allusione al misterioso martirio, un sacrificio che avrebbe fatto impazzire di vergogna i demoni. Difficile non pensare che in questi ultimi siano rappresentati i saraceni, a cui Ermogene insegna come muore un cristiano: come un eroe, anche quando morire non è affatto una scelta obbligata. 

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