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mercoledì 30 luglio 2025

Un femminicidio nel secolo XI

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30 luglio: Santa Godeleva, vergine e martire (1040-1070)

In francese è nota (poco) come Sainte Godelein de Gistel; ma siccome è nata in quello che oggi è il dipartimento francese del Pas-De-Calais, vicino a Dunkerque, dove si parla già fiammingo, è anche chiamata Godelieve. Oggi non la conoscono in molti, ma nel medioevo deve avere avuto un momento di notorietà locale rilevante, se papa Urbano II decise di canonizzarla appena diciassette anni dopo la sua morte violenta. La causa di tanta popolarità era l'acqua di un pozzo che a quanto pare aveva sviluppato miracolose proprietà curative, da quando vi avevano scoperto il cadavere della povera Godeleva. Lo stesso pontefice ne aveva accettato lo status di martire, benché tecnicamente si dovrebbe definire tale solo chi muore per difendere la fede cristiana (come i crociati che Urbano avrebbe più tardi mandato allo sbaraglio in Terrasanta). Godeleva invece era stata fatta uccidere più prosaicamente da un marito che non la sopportava: un ulteriore esempio di come i femminicidi potessero generare fiammate d'indignazione popolare anche mille anni fa – fiammate che prendevano la forma della devozione religiosa, e se la forma non era proprio quella adatta la deformavano a piacere: la gente la venerava come martire, il papa si adeguò. 

Godeleva è figlia di un barone piccardo che ritiene conveniente prometterla sposa a un nobile di origine danese, Bertholf di Gistel, nipote di Baldovino IV conte delle Fiandre. La ragazza avrebbe invece preferito fare voto di verginità ed entrare in un monastero, o almeno così scrive il primo biografo della santa. Quest'ultimo, il monaco Drogon de Bergues-Saint-Winoc, non è il solito compilatore di leggende al chilo: vive nell'abbazia di Gistel, sorta attorno al pozzo miracoloso, e scrive appena dieci anni dopo l'omicidio, quando i fatti sono ancora impressi nella memoria collettiva. Il fatto che il matrimonio sia stato celebrato relativamente tardi (Godeleva aveva già 25 anni) ci fa supporre che Drogon stia scrivendo qualcosa di vero: finché poté preservare la propria verginità senza disobbedire ai genitori, Godeleva non avrebbe manifestato il desiderio di mettere famiglia. E però nemmeno Drogon si azzarda a dire che Godeleva si sia sottratta al matrimonio, ribellandosi al volere del padre o alle avances del fidanzato. Questo renderebbe il suo martirio un po' più simile a quelli delle antiche leggende, ma Drogon non sembra interessato a intessere paragoni del genere; evidentemente in quel periodo e in quella zona l'obbedienza ai genitori e ai mariti era più apprezzata del rispetto di un voto di verginità. 

Le nozze comunque sono un disastro: il monaco ci tiene a farci sapere che Bertholf si comportò male con Godeleva sin dalla prima notte. Il matrimonio non viene consumato, ma di nuovo: la responsabilità non è fatta cadere su Godeleva (che accettando il matrimonio non poteva più opporre resistenza al coniuge), bensì al "disinteresse" di Bertholf, che la tratta subito con freddezza. Al lettore medievale, abituato a matrimoni combinati, la situazione non doveva sembrare così originale: capitava spesso che gli sposi non si piacessero: perlomeno non subito. Ci vuole tempo, si usava dire. Bertholf invece sembra avere fretta di sbarazzarsi della moglie: non solo si rifiuta di consumare il matrimonio (il che rendeva legalmente più semplice la procedura di annullamento), ma comincia a mettere in giro voci calunnianti su di lei. Nel frattempo Godeleva è di fatto prigioniera nel castello del marito, maltrattata da una suocera proterva che malsopporta i suoi atti di carità nei confronti dei poveri: finché non riesce a scappare e tornare dai genitori. E se vi state chiedendo: ma come faceva una ragazza di vent'anni a scappare da sola da un castello fiammingo e tornare a casa in Piccardia?, ebbene, riflettete sulla situazione. 

Abbazia di Gistel
Una fuga del genere rendeva ancora più semplice per Bertholf ripudiarla legalmente: l'avrà fatta scappare lui stesso, o la suocera proterva. E bisogna ammettere che se tutto fosse finito così, secondo i piani del marito insoddisfatto, Godeleva non sarebbe morta strangolata e gettata in un pozzo. A mettersi di traverso è il padre, che forse teme che Bertholf non restituisca la dote, e insiste con le autorità affinché il genero si riprenda in casa la moglie, onorando i suoi doveri coniugali. Per Bertholf è una figuraccia: deve chiedere perdono pubblicamente al vescovo di Tournai e promettere che da lì in poi sarà un buon marito. Non ne ha ovviamente la minima intenzione, ma a questo punto che opzioni gli restano? Ha provato ad annullare il matrimonio spargendo pettegolezzi su di lei e non ha funzionato. L'ha fatta scappare dal padre, e il padre gliel'ha riconsegnata. Ripudiarla ormai è impossibile – tanto più che si è messo in mezzo pure l'arcivescovo. Non resta che il divorzio alla fiamminga, l'uxoricidio. Non lo sto giustificando, eh?, sto solo cercando di immaginare come possa aver ragionato un marito insoddisfatto di mille anni fa – e vi vedo, sapete, vi vedo che state pensando "ma che te ne frega di come ragionava un marito insoddisfatto, ma provati a mettere piuttosto nella testa della poverina" – ehi lo so, ma la poverina è diventata santa, e ai dannati chi ci pensa? E invece è la psicologia dei dannati che dovrebbe interessarci, no? Non per giustificarli, ma per capirli, prevenirli, seh vabbe', ma insomma  Bertholf si mette a premeditare un omicidio. 

Ci mette della creatività. Per prima cosa convince la moglie di aver conosciuto una "signora" che è in grado di rinsaldare un matrimonio. La cosa puzza un po' di stregoneria, ma la povera Godeleva ci casca e viene convinta a incontrare questa "signora" nel cuore della notte tra il 6 e il 7 luglio 1070. Due servitori sono incaricati di prelevarla dalla sua camera (in abito da notte) e portarla al rendez-vous con la signora. Godeleva non lo sa, ma i servitori sono incaricati anche di strangolarla con un laccio che in certe raffigurazioni diventa una specie di asciugamano (più facile da dipingere) e gettarla in un pozzo, con lo scopo di far sembrare la morte accidentale: si era svegliata con una gran sete, si è affacciata al pozzo, son cose che capitano. La gente mormorerà, ma senza prove o testimoni nessuno si darà la pena di indagare sul nipote del conte, il quale tra l'altro non è nemmeno nei pressi, è a Bruges in viaggio d'affari. Quando torna, già listato a lutto, la fa estrarre dal pozzo e seppellire immediatamente, prima che qualcuno si dia troppa pena di osservare il cadavere. Questa non è una leggenda di santi, è ancora un fatto di cronaca. Durante il matrimonio vengono distribuite pagnotte ai presenti; dopo un po' dovrebbe essere finito, ma i fedeli continuano ad accorrere e il pane non finisce mai, ecco: questa invece è la leggenda di santi che comincia. La maggior parte dei miracoli non vengono messi per iscritto da Drogon, ma sono aggiunti in seguito, in appendice. 

Non è molto chiaro come l'omicidio sia stato scoperto: la leggenda più intrigante racconta che Bertholf si sia risposato e abbia avuto una figlia cieca, Edith, che avrebbe guarito la propria menomazione proprio bevendo dal pozzo ormai considerato miracoloso. A quel punto sarebbe stato Bertholf a confessare il crimine. Per espiarlo sarebbe partito per la Terrasanta, in un momento in cui i turchi non avevano ancora chiuso gli accessi ai pellegrini, e quindi non era nemmeno necessario vestirsi da crociato e combattere. Se la sarebbe cavata con poco, insomma. Quel che è chiaro è che dieci anni dopo il pozzo era già un luogo che attirava malati da tutta la regione – il che probabilmente portava altri soldi nelle casse del signore uxoricida di Gistel. Forse anche per attenuare questa sgradevole evidenza, Edith avrebbe fatto ereggere intorno al pozzo un monastero che esiste ancora, e di cui fu la prima badessa. Godeleva potrebbe essere la patrona di tutte le mogli e fidanzate che scappano dall'uomo violento, per tornare a una famiglia che poi dice, dai, ma stai esagerando, in fondo è una persona sensibile, dai, riprovaci, cosa può andare storto. 


30 luglio: San Leopoldo da Castelnuovo di Cattaro, frate e confessore (1866-1942). 

Il confessionale
Bogdan Ivan Mandić non è nato, come si legge talvolta, a Castelnuovo d'Istria (oggi Podgrad, Croazia), ma a Castelnuovo di Cattaro (oggi Herceg Novi, Montenegro). Qui a otto anni, per aver commesso una marachella, fu trascinato dalla sorella davanti al parroco, che lo costrinse a inginocchiarsi al centro della Chiesa. "Ne fui profondamente rattristato. Perché trattare tanto duramente un bambino per una colpa così lieve? Quando sarò grande, voglio farmi frate, diventare confessore e trattare le anime dei peccatori con molta bontà e misericordia". Alla fine andò così. Non fu un percorso del tutto lineare: in mezzo ci si mise il proposito, maturato a vent'anni nel seminario di Udine, di tornare nei Balcani e convertire gli ortodossi; un progetto che ai suoi superiori non interessava – l'equilibrio delicato dell'Impero Austro-ungarico si basava anche sul reciproco rispetto delle fedi religiose – per cui dopo un paio d'anni a Zara lo trasferiscono a Thiene e poi a Padova. Bogdan, che entrando nei Cappuccini ha preso il nome di Leopoldo, fa buon viso a cattivo gioco e riscopre la vocazione dell'infanzia: perdonare i peccatori. Diventa un confessore seriale, come padre Pio nell'altro cantone dell'Adriatico. Da bambino un prete lo aveva trattato male; invece di maturare odio per quel prete o tutta la categoria, Leopoldo decise di prenderne il posto ed essere un prete migliore. L'esigua statura (135 cm) gli rende forse meno scomoda la piccola cella in cui passa più di dieci ore al giorno ascolta chiunque e perdonando tutti – la confessione in questo consiste, ascoltare e perdonare. Non sempre è quello che serve, ma evidentemente può aiutare. Col tempo abbiamo forse scoperto terapie che funzionano meglio, ma costano di più. Un giorno arriva un peccatore poco pratico, di quelli che si confessano una volta in vent'anni. Leopoldo non è ancora in postazione, ma gli dice di accomodarsi. Il peccatore non sa bene come funziona il sacramento, per cui entra nel piccolo confessionale, si siede al posto di Leopoldo e si mette a parlare. Leopoldo non fa una piega, si inginocchia al suo posto e lo ascolta. Quando si rende conto dell'equivoco, Leopoldo lo congeda con un sorriso.
La cella di Leopoldo esiste ancora: il fatto che si sia salvata dal bombardamento del 14 maggio 1944 viene collegato a un desiderio profetico che avrebbe espresso ai suoi confratelli, di preservarla affinché "rimanesse un monumento della divina misericordia".

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