Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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lunedì 4 agosto 2025

La riconosci? È la Palestina

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– A un certo punto ho quasi smesso di scrivere qua sopra. Questo ha, credo, molto a che fare con Gaza. Questo sito somiglia sempre più a un enorme messaggio nella bottiglia, un'agenda che qualche alieno tra qualche secolo troverà interessante decifrare – ecco, non vorrei offrire agli alieni lo spettacolo di uno che si faceva i fatti suoi durante una catastrofe umanitaria di cui il mio governo era complice. Anche se nei fatti è così; Gaza mi deprime, ma non ha cambiato nessun'altra mia abitudine: continuo ad ascoltare musica, guardare film e serie, seguire la politica interna, persino a lavorare; ma appena mi capita di formulare un pensierino su un film o su una riforma ministeriale, lo trovo ridicolo e fuori luogo, come Luigi XVI che mentre scoppiava la rivoluzione annotava sul suo quaderno le prede di caccia. Solo di Gaza si dovrebbe parlare: ma anche a proposito di Gaza, da un certo punto in poi, qualsiasi parola mi è sembrata oscena. Non farei peraltro che ripetere pensieri che ho già scritto (alcuni vent'anni fa!), ovvero darmi ragione mentre il mondo brucia. Come se ci fosse gloria nell'aver visto una catastrofe e nel non aver potuto farci niente. Nessuna gloria, anzi frustrazione e vergogna. 

– L'ho presa come una pausa, ma Gaza non è una pausa. Non è uno spiacevole episodio di barbarie, dopodiché la civiltà riprenderà come prima – magari un po' più pensosa di prima, con qualche anniversario in più sul calendario, e ricominceremo a fare le classifiche dei film. Non credo possa finire così, e se finirà così sarà orribile. Continuo a vedere due sole possibilità: o (1) l'opinione pubblica mondiale prende atto che quel che è successo è osceno, imponendosi sulle autorità nazionali e sovranazionali affinché siano puniti non solo i responsabili, ma i sostenitori economici e i fiancheggiatori mediatici; o (2) da qui in poi qualsiasi massacro sarà concesso, in nome di un bene più grande che coinciderà di volta in volta con le priorità di uno di quei partiti nazionalisti e razzisti che stanno prendendo il potere un po' dappertutto tra USA, Europa e Israele. Lo scenario (1) prevede la fine del sionismo; il (2) la fine della democrazia occidentale. Ora io non so voi, ma la democrazia occidentale mi sembra molto più in crisi del sionismo. Si direbbe che molti uomini ricchi e potenti, alla vigilia di una crisi ambientale che sconvolgerà gli assetti sociali, abbiano già fatto la loro scelta su cosa tenere e cosa scartare. Ovviamente non sono d'accordo, ma la mia opinione ha mai contato qualcosa? La mia opinione, comunque, è che Gaza abbia messo l'Occidente al bivio: o il sionismo, o l'umanità. Gaza ci insegna che le due cose non sono conciliabili: in futuro avremo l'una o l'altra. 

– Come sempre, quando l'aut-aut è più netto, c'è sempre chi a tentoni cerca una via di mezzo, un algoritmo che salvi capre e cavoli, un compromesso che prevede, di solito, garanzie per chi sperava di salvarsi sbilanciandosi il meno possibile (i moderati sono sempre convinti di avere maggiori chance di sopravvivere, e rimangono sbalorditi quando la Storia dà loro torto, il che avviene spesso). Stavolta però non si tratta di mediare tra mercato e Stato, o tra libertà individuale e responsabilità collettiva, o tra fede o ragione. È una scelta un po' più secca, insomma da una parte c'è un genocidio, dall'altra l'umanità: la via mediana risulta più impervia del solito. Chi sta provando a costruirla si trova davanti una situazione impossibile: non ha i mezzi né forse la volontà di fermare il massacro, ma vorrebbe in un qualche modo prendere le distanze, far notare che tutto quel che succede, per quanto magari inevitabile, non è comunque successo col suo consenso: Not In His Name. Così per esempio Macron, Starmer e altri capi di governo hanno deciso di riconoscere lo Stato palestinese (che ha un seggio all'ONU dal 1998...) Significa che lo difenderanno? No. Che almeno sospenderanno i flussi di armi che dai loro Paesi giungono all'esercito che lo sta radendo al suolo? Nemmeno. Che alla fine di questa crisi si impegneranno a ripulire la Striscia dalle macerie e dalle bombe inesplose, affinché sia restituito sicuro ai legittimi e riconosciuti abitanti? Non sta scritto da nessuna parte, quindi molto probabilmente no. Maestà, il popolo ha fame. D'accord, ne riconosciamo l'esistenza. (È curioso che in questo frangente nessuno tiri fuori come al solito lo Spirito di Monaco, che in tutti gli altri casi sembra un precedente obbligato: Netanyahu può fare quello che vuole e invadere i Paesi che vuole, è un diritto che nessuno gli contesta).

– Anche in Israele c'è chi cerca questa impossibile via mediana, e lì almeno bisogna riconoscere che la situazione è lacerante: riconoscere che il sionismo si è mostrificato, che ha trasformato Israele nel Faraone, significa rinnegare la stessa acqua in cui si è nati e cresciuti. Se si potesse in un qualche modo dividere, separare, trovare un termine ad quem dopo il quale il sionismo è diventato altro da sé, mentre prima era buono e giusto... nell'intervista a Repubblica, David Grossman propone il 1967. Prima il sionismo era una speranza, dopo è diventato oppressione. Ora, non è che la cosa non possa avere un senso: ma non si può notare come prima del '67 David Grossman (classe 1954) fosse un bambino: dopo il '67, un giovane adulto in grado di guardarsi attorno con più attenzione. Magari è una coincidenza, ma se osservate la media umana che vi trovate intorno, noterete come l'Età dell'Oro a cui vogliono tornare è quasi sempre quella in cui i genitori ancora gli compravano il gelato. 

– L'intervista è considerata importante perché Grossman usa il termine "genocidio", che prima a quanto pare era appannaggio di qualche povero estremista (tra cui una corte di giustizia internazionale): adesso la usa Grossman, e questo significa che (a) è lecito usarla e (b) il sionismo è salvo, perché malgrado tutto esprime intellettuali in grado di dissentire così fortemente nei confronti del loro governo. L'intervista rappresenta in sé stessa un tentativo di compromesso, una bozza di contratto dove si propone un do ut des neanche tanto sottile: da qui in poi usare il termine "genocidio" non sarà più necessariamente antisemita; in compenso dovete riconoscere che il sionismo non ne è del tutto colpevole, perché persino durante il genocidio esprimeva comunque forti segni di dissenso interno, espressi da pensosi intellettuali. Grossman è così attento a mantenersi entro i confini del sionismo che non si preoccupa nemmeno di esprimere un minimo di empatia nei confronti dei palestinesi, quel minimo che anche i politici più scafati e disumani sanno di dover simulare in questi casi. Ha il "cuore spezzato", sì, prova un "immenso dolore", ma per una tragedia che riguarda il suo popolo e lui stesso. "Voglio parlare come una persona che ha fatto tutto quello che poteva per non arrivare a chiamare Israele uno Stato genocida. E ora, con immenso dolore e con il cuore spezzato, devo constatare che sta accadendo di fronte ai miei occhi."

– Sì, i palestinesi muoiono, ma non è questa l'emergenza. L'emergenza è "trovare il modo per uscire da questa associazione fra Israele e il genocidio". "Prima di tutto, non dobbiamo permettere che chi ha sentimenti antisemiti usi e manipoli la parola genocidio". Quando si arriva alle proposte operative, il discorso crolla miseramente: Grossman non riesce neanche a dire le parole "cessate il fuoco" (forse le dà per scontate), o a suggerire timidamente che il suo governo, dopo quasi tre anni di bombardamenti, potrebbe semplicemente accettare uno scambio di prigionieri e far tornare gli ostaggi a casa. Grossman resta "disperatamente fedele all’idea dei due Stati", alla quale ammette di immaginare alternative; anche lui, come Macron, non sembra voler notare che uno dei due Stati sia ormai un cumulo di macerie. La Palestina che immagina dovrà essere "uno Stato vero, con obblighi reali, non con un’entità ambigua come l’Autorità palestinese". Ovvero? "È chiaro che dovranno esserci condizioni ben precise: niente armi".
Cioè insomma un San Marino, un Liechtenstein (però ridotto a un cratere di cemento)? E quando in Cisgiordania entra un colono e si mette a sparare a pecore ed esseri umani, i palestinesi cosa faranno? Per quale motivo non dovrebbero pensare di armarsi per difendersi da un aggressione armata, chi glielo dovrebbe impedire? In questo Stato dovrebbero disputarsi "elezioni trasparenti da cui sia bandito chiunque pensa di usare la violenza contro Israele".
Elezioni trasparenti che devono essere trasparentemente vinte da palestinesi filoisraeliani. Grossman immagina una situazione in cui i palestinesi siano contemporaneamente liberi, indipendenti, ma disarmati (nel bel mezzo del Medio Oriente), ed evidentemente controllati da un'autorità che decide chi è che può presentarsi alle elezioni. L'ONU? Quindi ci mettiamo i caschi blu? O più semplicemente le forze d'occupazione israeliane, per cui si tratta semplicemente di cancellare i documenti con scritto "ANP" e metterci un'altra sigla?
Grossman sembra non accorgersi che quello che descrive non è un progetto, ma la realtà. Un'entità statale dei palestinesi, praticamente disarmata, che ormai non convoca più elezioni perché probabilmente le vincerebbe chi sta facendo la guerra ai coloni e agli israeliani esiste già, ha persino un seggio all'ONU, e si chiama appunto ANP. Ovvero l'unica soluzione che viene in mente a Grossman è quella che è stata adottata fin qui, e che ci ha portato a quello che lui stesso considera un genocidio. 

– Il giorno dopo, sempre su Repubblica, Liliana Segre risponde a Grossman: e per quanto ci si sia affannati a vendere le due interviste in un dibattito tra due posizioni diverse, la Segre alla fine conferma sostanzialmente il compromesso grossmaniano: quel che sta succedendo è terribile, il termine "genocidio" è ammissibile ma antipatico perché verrebbe immediatamente strumentalizzato dagli antisemiti, che a volte nemmeno se ne accorgono, in quanto sono antisemiti inconsci, forse a causa di troppe giornate della memoria (!!!) Vale la pena replicare?
Liliana Segre è un personaggio pubblico, giustamente stimato e riverito, in quanto testimone diretta della Shoah. Quello è il suo ruolo pubblico e il suo campo di competenza. Quando parla della Shoah, parla della sua esperienza personale ed è il caso di fare silenzio e ascoltarla. Quando parla della Shoah. 
Quando parla della questione israelopalestinese, ne parla perché qualcuno la mette in mezzo. Non è un'esperta di diritto internazionale, né che io sappia della storia del conflitto israelopalestinese. La sua opinione è parziale come quella di chiunque altro. Può essere in effetti curioso domandare alla Segre cosa pensa del massacro a Gaza, ma non si vede perché debba essere considerata un'autorità in materia, né perché intorno al suo parere si debba giocare questa assurda partita a rubabandiera tra due supposte squadre: quelli che si sentono costretti a convincere la Segre che si può usare la parola "Genocidio" (e fino a quel momento la insulteranno, raffinata strategia che chissà quante partite ha fatto vincere) e quelli che dovrebbero puntare tutto sulla riluttanza della Segre a usare la parola "Genocidio", perché finché lei non la vorrà usare, tutto ok, non è genocidio, sia messo a verbale, qualora poi si scopra che invece era genocidio noi non avevamo gli strumenti, ci fidavamo della Senatrice a Vita.  È il fabiofazismo definitivo, questa necessità quotidiana di Venerabili Anziani da cui dobbiamo aspettare che chiamino le cose coi loro nomi, perché finché non lo fanno loro noi non ci sentiamo autorizzati. Da gente con un'età in cui non ti rinnovano la patente pretendiamo l'opinioni dirimente su ciò che sta succedendo oggi davanti ai nostri occhi. Liliana Segre ha 95 anni, non dovrebbe più essere la portavoce di nessuno, né l'obiettivo polemico di nessun altro. Andrebbe lasciata in pace.

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