Non c'entra quasi niente, ma volevo annotare che all'altezza dell'autunno 2025, Gerry Scotti si è ritrovato di nuovo re del preserale televisivo, quindi della televisione tout court e... fino a qualche anno fa non sarebbe stato esagerato aggiungere "dell'Italia intera", ma la tv in chiaro non conta più così tanto, chi la guarda? Forse giusto le famiglie a cena la lasciano in sottofondo; così che ogni tanto qualcuno prova ad azzeccare la frase della Ruota della Fortuna. Riprendendosi in estate un vecchio programma che tutti conoscevano ma nessuno sembrava particolarmente rimpiangere, Scotti ha piazzato un incredibile doppio knock out, togliendo dai palinsesti quasi quarant'anni Striscia la Notizia, e superando regolarmente il programma dei pacchi su Rai1. Persino da un punto di vista culturale non gli si può che essere riconoscenti: in tanti anni, Striscia ha fatto tutto quello che ha potuto per abbassare il livello delle nostre discussioni e del nostro umorismo, mentre i Pacchi sono un gradevole invito al gioco d'azzardo, ogni giorno a ora di cena sulla prima rete nazionale. Viva la Ruota, viva Gerry Scotti, rendetevi conto di cosa mi tocca festeggiare all'altezza dell'autunno 2025.
Gerry Scotti è in tv da quando io ero alle medie, e lo odiavo. Ho un ricordo molto preciso di lui che mi guarda mentre mando giù la pasta, non a cena ma a pranzo, quando resto solo in cucina e su un televisorino in bianco e nero mi presenta i video degli Arcadia, degli Erasure. Io sono un preadolescente già un po' splenetico che si porta dal pulmino delle medie dei pensieri in testa che neanche ti immagini, lui un bonaccione bassolombardo che vuole farmi il simpatico ad ogni costo; nel giro di pochi mesi avrei imparato a classificarlo come un socialista, ancora prima che effettivamente si candidasse. Nell'anno seguente la mia antipatia per Scotti mi porta a spegnere la tv nella striscia di 15 minuti che gli avevano ritagliato (presentava delle vecchie candid camera americane, l'antesignano di Paperissima), e riaccenderla immediatamente dopo. Una cosa curiosa è quello che mi metto a fare in quei 15 minuti tra il pranzo e Dj Television: ho deciso di leggere la Bibbia, un quarto d'ora al giorno, perché a dire le solite preghierine mi annoio. Così uno dei motivi per cui quando venite qui ci trovate divagazioni sui Profeti o sul Vangelo o sugli Atti, ebbene anche questa cosa la dovete a Gerry Scotti: pensate a quanto davvero può essere importante un presentatore italiano.
Col tempo poi ho imparato ad apprezzare anche Gerry – no, non è vero, non ci ho messo del tempo, fu una conversione rapidissima, il tempo di vedere al suo posto quel ragazzino garrulo insopportabile, che il titolo in sovraimpressione battezzava assurdamente "Jovanotti". L'ho visto sorridere, credo di avergli sentito dire "Ciao Ragazzi" o come si diceva nel 1989 e ho immediatamente pensato: ridatemi Gerry. E alla fine è sempre stato così, il meno peggio della cumpa. Quello che non aveva bisogno di sembrare giovane, neanche quando lo era (ce li ha mai avuti, i capelli?), quello che ci stava provando con la politica prima di tutti ed era il più impolitico quando la sua ditta divenne un partito. Non un fenomeno, non un imbonitore, non un direttore artistico: un presentatore che fa il suo mestiere e stop. Il vero erede di Mike Bongiorno, sicuramente: ma perché stiamo parlando ancora di lui e non di San Folco?
Perché si tratta di San Folco Scotti, forse il primo santo in Italia ad essere designato con quello che oggi chiamiamo cognome. "Scotti" è molto diffuso tra Pavia e Piacenza, anche da prima che i cognomi si stabilizzassero nella forma che abbiamo oggi. Secondo la tradizione, gli "Scotti" di Pavia sarebbero discendenti di veri e propri Scoti – più probabilmente irlandesi – emigrati nella bassa Lombardia per sfuggire alle scorrerie vichinghe, intorno all'anno Mille: e ora che ve l'ho scritto, improvvisamente vi sembrerà di riconoscere nelle curve del suo volto gioviale qualche traccia celtica – non sembra il volto più adatto a spuntare dalla tonaca di un monaco di San Cipriano? Gerry Scotti (nato a Camporinaldo) potrebbe davvero essere un lontano parente del Pietro Scotti che a Marudo nel 1860 fondò il riso Scotti. Il clan ha dunque un suo santo nel calendario, di cui si racconta che fu vescovo sia di Piacenza sia di Pavia, il che gli permise di sanare le discordie tra le due città; salvo che, indovinate: non è esattamente vero. Non tanto per il fatto che pavesi e piacentini continuano a guardarsi in cagnesco, ma perché se uno dà un'occhiata alle date si rende conto che Folco non resse mai entrambe le diocesi contemporaneamente.
Era nato intorno al 1165 a Piacenza, parente povero degli Scotti più prestigiosi della città: entrato nei canonici di Sant'Eufemia, riuscì in un qualche modo a completare i suoi studi a Parigi. Di ritorno in città, divenne il braccio destro del vescovo Grimerio e lo seguì in esilio quando i piacentini, con una mossa che ancora oggi ha dello scandaloso, pretesero di far pagare le tasse anche al clero. La crisi fu in un qualche modo risolta, e Grimerio e Folco poterono tornare in città, dove quest'ultimo cominciava a riscuotere un certo successo anche come predicatore. Alla morte di Grimerio, Folco appariva come il suo naturale successore, ma la nomina approvata dal clero cittadino non fu mai ratificata dal papa Innocenzo III. C'era un problema politico: Innocenzo III aveva appena rotto con l'imperatore Ottone IV, per passare dalla parte di quel ragazzino recentemente salito sul trono di Sicilia, Federico II di Svevia. I piacentini erano rimasti fedeli a Ottone e Innocenzo non vedeva la necessità di assecondarli, confermando la nomina del loro vescovo. Così per qualche anno Folco rimase sulla cattedra piacentina come un facente funzione: una posizione scomoda, se è vero che il successore si ritrovò con tutti i cittadini scomunicati.
Finché durante i lavori del concilio Laterano IV non morì il vescovo di Pavia e papa Onorio III decise di trasferire Folco in quella sede, dove finalmente questi divenne un vescovo con tutti i crismi; a Piacenza però nel giro di pochi mesi gli subentrò Vicedomino Alberico, sicché questa immagine di Folco come doppio vescovo ed eroico pacificatore delle due città sembra francamente esagerata. Senz'altro partecipò a diverse missioni diplomatiche, dimostrando anche un certo talento come intermediario; ma forse l'unico riavvicinamento che ottenne tra piacentini e pavesi fu che anche questi ultimi, dopo qualche anno, tentarono di far pagare le tasse al clero e lo cacciarono. Nel frattempo però Federico II aveva imparato ad apprezzarlo, al punto che lo rimandò in città come legato imperiale. Dopo la tumultuosa epoca comunale, Folco fu quasi dimenticato; nel Cinquecento la traslazione del suo corpo nella nuova cattedrale di Pavia provocò un ritorno d'interesse; benché non fossero noti miracoli di sorta, Folco era pur sempre un santo e anche i piacentini lo vollero inserire tra i vescovi ufficiali della città – benché fosse vero solo fino a un certo punto. E siccome, appunto, miracoli non ce n'erano e anche la biografia in sé non risultava molto interessante, nacque questa leggenda del santo pacificatore. Nel frattempo, il clero continua a non pagare l'IMU – forse è questo il vero miracolo.
| Mettono tutti questa immagine, ma non è necessariamente lei. |
Quello di Balsamia è il classico esempio di santa inventata per tenere un punto: in questo caso il punto è che se i francesi sono cattolici, lo devono comunque ai romani. Anche il culto di Santa Petronilla si sviluppa per lo stesso motivo, ma perde vigore col rapido tramontare della dinastia carolingia. Di Santa Balsamia invece si comincia a parlare verso il 1300, e non è un caso. Qualcuno, scartabellando tra vecchi martirologi (in particolare quello di Usuardo), scopre l'esistenza di un tale San Celsino di Reims, un santo talmente poco conosciuto che non ha nemmeno una scheda su santiebeati.it, un sito che ha schede persino sui cani (non sto scherzando), ma su San Celsino di Reims niente. Di questo Celsino, anche Usuardo sapeva pochissimo: ma gli scappa di scrivere che era fratello di latte di San Remigio. Apriti cielo: Remigio è il vescovo che ha battezzato Clodoveo, primo re franco a convertirsi dal cristianesimo ariano a quello ortodosso, e quindi considerato unanimemente come primo re di Francia. Ma se Remigio aveva un fratello di latte, lui e il fratello dovevano averlo succhiato dalla stessa donna; ecco dunque nascere il culto per una Santa Nutrice, madre di Celsino e balia di Remigio. Poi, essendo magari "Nutrice" un nome che rivela troppo la sua natura fittizia, a qualcuno viene in mente di chiamarla "Balsamia": il suo latte sarebbe un balsamo che avrebbe nutrito i due santi e portato il cristianesimo in Francia. Ora, San Remigio è una figura molto meno evanescente di Celsino. Su di lui le agiografie avevano già lavorato parecchio: tra le altre cose almeno un cronista aveva sentito la necessità di sottolineare che era stato allattato in casa, da sua madre (santa anch'essa). Dunque perché inventarsi questa nutrice balsamica? Nessun vero motivo, senonché verso il XIV secolo comincia a diffondersi l'idea che Balsamia fosse giunta direttamente da Roma. Siamo in presenza di una metafora incarnata: Balsamia non è una vera nutrice, ma è il latte della Fede e della Sapienza che da Roma viene inviato ai francesi. Potrebbe non trattarsi di un caso se che questa leggenda prende il volo in un periodo in cui i papi erano francesi e a Roma non si sognavano nemmeno di metter piede.
Nessun commento:
Posta un commento
Puoi scrivere qualsiasi sciocchezza, ma io posso cancellarla.