20 novembre: San Dasio martire (303)
Di San Dasio di Durostorum si conosceva poco più che il nome, quando nel 1890 il filologo belga Franz Cumont scoprì in un manoscritto del XI secolo una Passio dedicata a lui. Sopprimete lo sbadiglio: è vero, le Passio si somigliano un po' tutte, ma proprio per questo quella di San Dasio sembrò a Cumont, per contrasto, parecchio originale, in quanto dettagliava un rito praticato in ambito militare ma non attestato in nessun'altra fonte. Dasio, legionario di stanza nella Mesia (oggi Bulgaria) sarebbe stato sorteggiato tra i compagni per diventare il re dei Saturnali, una celebrazione pagana molto festosa, in cui avrebbe goduto di vari diletti a spese dei compagni, con l'intoppo che al termine dei festeggiamenti sarebbe stato sgozzato e sacrificato agli dei. Dasio si sarebbe non sorprendentemente rifiutato, adducendo come scusa il fatto di essere cristiano. Questo non gli risparmiò il martirio, ma in compenso poneva agli studiosi un problema: davvero alla fine dei Saturnalia si commetteva un sacrificio umano? Cumont era scettico, e sospettava che si trattasse di un errore di traduzione. Per Léon Parmentier invece il passo era stato tramandato correttamente, ma piuttosto che un avvenimento reale rispecchiava la propaganda cristiana dei primi secoli, risoluta a descrivere i riti pagani nel modo più sanguinario possibile. Il dibattito sarebbe rimasto confinato nelle pubblicazioni specialistiche, senonché proprio in quel momento irrompe sulla scena James George Frazer.
Frazer è considerato popolarmente l'inventore dell'antropologia culturale, la quale però si è quasi subito ribellata al suo inventore, e ha fatto bene. Lo stesso Frazer visse abbastanza a lungo da vedere l'evoluzione di una scienza, magari non proprio 'dura', ma nei confronti della quale il suo Ramo d'oro appariva come un'affascinante speculazione basata su assunti indimostrabili. Probabilmente il suo vero merito è avere fatto appassionare ai riti arcaici una generazione di studenti che appena ha potuto fare ricerche serie lo ha rinnegato, ma senza di lui non si sarebbero nemmeno messi a ricercare – come certi autori imbarazzanti che leggi a vent'anni e di cui nascondi i tascabili sgualciti dietro libri più seri, ma la passione per la lettura te l'hanno nutrita loro. Anche ai suoi tempi, il Ramo d'oro era più considerato dai letterati che dagli etnologi. Il modo in cui recupera la leggenda di San Dasio è abbastanza esemplare del suo metodo; malgrado il sacrificio umano in onore del dio Saturno non sia attestato in nessun'altra fonte, e malgrado le Passio non siano considerate fonti molto attendibili nemmeno dagli agiografi cattolici, Frazer non può trattenersi dall'ipotizzare che il martirio di Dasio fosse l'unica testimonianza rimasta di un antichissimo rito comune a tutte le civiltà arcaiche. Un rito connesso con il ciclo delle stagioni e la morte di un Dio. A parte la Passio di Dasio, Frazer poteva citare il bizzarro caso del Re di Nemi, un sacerdote della dea Diana che viveva in un bosco sacro presso Ariccia, sul lago di Nemi e otteneva il suo incarico... sfidando e uccidendo il re precedente. Solo gli schiavi fuggitivi potevano accedere al ruolo, ottenendo in caso di vittoria anche la libertà. La tradizione era andata avanti almeno fino al primo secolo dC: ne parla Ovidio, ne parla Svetonio, anche loro non esattamente le fonti più attendibili che può aspettarsi uno studioso, ma per Frazer tanto bastava a stabilire che questi duelli/sacrifici fossero ciò che restava di diffusi riti ancestrali. Nel capitolo più controverso – poi espunto dalle edizioni successive del Ramo d'Oro, e relegato in appendice – Frazer collega il martirio del re dei Saturnali a quello di Gesù Cristo, che in effetti prima di crocefiggere i legionari avevano coronato come re: è in effetti è l'agnello che toglie i peccati, il capro espiatorio, insomma tutto si tiene, no? No, non proprio, è una storia che fa acqua da tutte le parti, però è una storia fantastica, ogni tanto nelle notti insonni gli antropologi smuovono qualche volume di Lévi-Strauss e tirano fuori la loro copia sgualcita del Ramo d'oro, e inalando voluttuosamente l'odorino di muffa di un tascabile troppo tempo rimasto a contatto con una parete umida, si rimettono a leggere del re di Nemi e di San Dasio.
21 novembre: Sant'Agapio di Cesarea, campione di martirio (306)
Può darsi che il luogo comune dei cristiani dati in pasto alle belve sia un'invenzione letteraria dei primi agiografi: questo tipo di supplizio era infatti riservato a schiavi ribelli o disertori. Ma l'immagine del cristiano che testimonia la sua fede al centro di un'arena, di fronte a un pubblico esterrefatto e combattuto tra la pagana bramosia di sangue e l'ammirazione per l'eroismo, era troppo efficace perché gli scrittori non vi ricorressero puntualmente. Nelle pagine di Eusebio da Cesarea, Agapio diventa un "atleta della pietà", che col suo eroismo cambia le regole del gioco: chi veniva a vedere un uomo sbranato dagli animali, avrebbe visto un cristiano morire da martire. Detto questo, forse Eusebio esagera, descrivendo un Agapio così desideroso di farsi mangiare vivo che si sarebbe slanciato "correndo verso un'orsa scatenatagli contro e si offri con gran letizia per servirle di cibo": un entusiasmo che oltrepassa il limite sottile tra determinazione al martirio e impulso suicida, che il lettore non può ricollegare al fatto che l'esecuzione era stata più volte rimandata, insomma forse a quel punto Agapio non ne poteva più. Lo stesso Eusebio sembra rendersi conto che Agapio con quell'abbraccio ha un po' desiderato, e sceglie di non dare immediata soddisfazione all'aspirante martire: l'orsa lo ferisce, ma senza ucciderlo, e men che meno mangiarlo. Riportato in cella, ferito e sanguinante, Agapio deve attendere un giorno intero prima di venire terminato in un modo meno spettacolare ma più efficace: gettato in mare con una pietra legata ai piedi.

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