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domenica 23 novembre 2025

Papa Clemente (e i fili de le pute)


23 novembre: San Clemente I, papa e martire (I-II secolo)

Il primo Papa dovrebbe essere stato Pietro apostolo – senza il quale Roma non sarebbe la sede apostolica più importante, quindi è fondamentale che il primo sia Pietro; e pazienza se le prove del suo apostolato in città sono molto labili. Dopo di lui (crocefisso, secondo la tradizione, nel 64), è il caos; i cronisti ecclesiastici nominano tre successori di cui non si sa praticamente nulla: Lino, Cleto e Anacleto. Potrebbe trattarsi anche della stessa persona. E questa persona potrebbe anche essere Clemente, che nel canone di solito viene dopo Anacleto, ma è il primo vescovo di Roma di cui abbiamo informazioni abbastanza consistenti. Forse per questo Tertulliano, tra gli altri, lo considerava il primo successore di Pietro; del resto Ireneo di Lione sosteneva che nelle sue orecchie "riecheggiava ancora la predicazione degli Apostoli", insomma Clemente doveva aver conosciuto Pietro (e forse Paolo) di persona. Il che non esclude che tra il pontificato di Pietro e quello di Clemente non possa essercene stato un altro (o due, o tre, magari molto brevi). Epifanio da Salamina suggerisce che Clemente, dopo essere stato nominato successore proprio da Pietro, avrebbe rinunciato alla carica in favore di un pastore più anziano; il che non è assolutamente dimostrabile, come tante cose che scrive Epifanio; ma è molto più verosimile di quando lo stesso Epifanio si mette a raccontare di eretici che si nutrono di feti umani. Pensiamo anche solo a Bergoglio, che secondo alcuni avrebbe implorato i cardinali di non eleggerlo nel 2005, così che alla fine a Wojtyla subentrò Ratzinger... E a proposito di quest'ultimo, Clemente è anche il primo papa che avrebbe rinunciato alla cattedra prima della sua morte naturale – per ragioni di forza maggiore, quanto nel 97 sarebbe stato deportato in Crimea per ordine dell'imperatore Traiano. Al suo posto avrebbe nominato un certo Evaristo, ed è proprio scrivendo un pezzo su Evaristo papa, che nell'ottobre del 2011 io misi per iscritto sul Post che nulla impediva a un pontefice di dimettersi. A scriverlo oggi sembra niente di che, ma era una cosa che non succedeva da cinque secoli, e invece sarebbe avvenuta poco più di un anno più tardi, nel febbraio 2013.

Clemente sarebbe morto martire in Crimea, secondo la tradizione annegato con un'ancora al collo affinché la smettesse di convertire i locali. Il che permise più volte a qualcuno di ritrovarne i resti in loco e donarli a un suo successore in cambio di qualche favore; il caso più eclatante fu quello di San Cirillo, che nel nono secolo doveva convincere papa Niccolò I a lasciarlo evangelizzare gli slavi nella loro lingua. Insomma se oggi si usa ancora l'alfabeto cirillico, in qualche modo è anche grazie a San Clemente. Di lui si conserva una lettera ai cristiani di Corinto che dimostra una buona conoscenza delle Scritture anche veterotestamentarie; da cui l'ipotesi che come Pietro non fosse un cittadino romano, ma un liberto di origine ebraica o greca (mentre per lo stesso motivo è abbastanza implausibile che si tratti del senatore Flavio Clemente, il marito di Santa Domitilla: entrambi furono vittime della piccola persecuzione promossa da Domiziano nel 95). La lettera è importante anche perché dimostra, nei confronti dei cristiani di una chiesa orientale, un atteggiamento già pontificale: Clemente non afferma esplicitamente di essere, in quanto successore di Pietro, in cima a una gerarchia; non lo dice ma si comporta già come tale, sembra che lo dia per scontato. 

Clemente, infine gioca un ruolo imprevisto e... imbarazzante nella storia della lingua italiana, anche se per molto tempo nei libri di scuola abbiamo preferito non parlarne. Nella basilica romana a lui dedicata (eretta prima del 1100) si trova un affresco piuttosto malandato che riprende un episodio di una Passio del VI secolo. Clemente è perseguitato da un patrizio romano, Sisinnio, che ha ordinato ai suoi servi (Gosmario, Albertello, Carboncello) di legare il santo e trascinarlo in prigione. Ma i servi, accecati dallo Spirito, hanno confuso il corpo del Papa con una colonna di marmo, e per quanto l'abbiano ben legata, non riescono a spostarla. Si tratta di una scena complessa, che forse l'anonimo pittore riteneva di non riuscire a illustrare adeguatamente, dal momento che decise di corredare l'immagine con i discorsi diretti che aleggiano intorno ai personaggi, come fumetti. In particolare, accanto a Carvoncello qualcuno dice "Falite dereto co lo palo Carvoncelle!" (Carvoncello, spingi da dietro con il palo!); accanto ad Albertello si legge: "Albertel traite!", e accanto a Sisinnio: "Fili de le pute traite". Tutte e tre le frasi probabilmente sono da intendere come ordini pronunciati da Sisinnio. Sopra la colonna, invece, si legge una scritta che dobbiamo attribuire al santo: "Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis". Questo ovviamente è latino, e significa: a causa della vostra durezza (di cuore) avete meritato di trascinare le pietre. Tutto abbastanza chiaro, salvo che tra il santo e i pagani c'è un divario linguistico molto forte. In effetti, se Clemente parla in latino, Sisinnio e i suoi schiavi in che lingua parlano? Hanno già le proposizioni articolate ("co lo palo", "de le pute"), quindi latino non lo è più. Deve trattarsi di un'iscrizione in lingua volgare, salvo che è... la prima in assoluto che troviamo in una chiesa. La prima in assoluto che troviamo in un contesto narrativo. Una storia in cui il volgare è la lingua dei pagani, rozzi e incolti anche quando sono patrizi; mentre il latino è la lingua della giustizia e della fede. L'unica attestazione di una lingua volgare italiana scritta si trova, lo sapete, nel placito di Capua ("Sao ke kelle terre...", ma in quel caso si tratta di una testimonianza giurata raccolta da un notaio. Certo, ci sarebbe anche l'indovinello veronese, che potrebbe essere più antico addirittura di due secoli, ma in quel caso più che volgare potrebbe trattarsi di un latino maccheronico. 

Con l'iscrizione di San Clemente per la prima volta (per quanto ne sappiamo) qualcuno ha usato il volgare italiano per raccontare una storia. Ed è... un po' imbarazzante, insomma fino a qualche tempo fa nei manuali di Storia della letteratura si tendeva a omettere la circostanza per cui la prima frase letteraria in volgare dovrebbe essere "Fili de le pute, traite". Anche se in fondo, perché no? Significa che l'italiano letterario ha esordito senza pudore, dimostrando subito l'espressività trucida di cui è capace, e prestandola allo scopo di mostrare la rozzezza del potere, anche quando è esercitato da un nobile antico. Comandare ci svilisce, ci abbassa al rango degli schiavi che pretendiamo di possedere; ci rende sboccati e ridicoli; e non sposta nessun santo, non sposta nemmeno una colonna. Se la letteratura italiana comincia così, tutto sommato la rivendico.  

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