Avete presente quella fase in cui l'appuntamento sta andando bene, siete a vostro agio, e all'improvviso la persona con cui siete usciti vi chiede: Qual è il tuo eresiologo preferito? E voi a pensare, mannaggia questa non la so. La musica preferita ce l'avevo, l'artista contemporaneo preferito ce l'avevo, ma l'eresiologo? Cosa serve seguire quotidianamente il Catalogo dei santi ribelli se poi nel momento del bisogno... avete ragione, amici cari, a volte serve una risposta breve, precisa, inappuntabile: il mio, il nostro, il vostro eresiologo preferito è Ireneo di Lione che non bruciava nessuno ma confutava montanisti e gnostici, che è tutto quello che bisogna chiedere a un eresiologo: poche menate, e tutte sulle chiappe di quei frignoni dei montanisti e quegli snob degli gnostici.
28 giugno: Sant'Ireneo di Lione (145-203), eresiologo
Quando nel 193 papa Vittore perse la pazienza contro i Quartodecimani – cristiani orientali che celebravano la Pasqua come gli ebrei nel quattordicesimo giorno del mese di Nisan, qualsiasi fosse la sua posizione nella settimana – e stava per scomunicarli, a evitare il primo vero scisma della cristianità intervenne con una lettera al pontefice Ireneo di Lione, a quel punto già il teologo più autorevole dell'Occidente. Ireneo (che in greco significa "pacifico") in realtà era nato a Smirne, e poteva vantarsi di aver ascoltato il vangelo direttamente dalle labbra del grande Policarpo, che a sua volta lo aveva ascoltato da Giovanni Evangelista in persona; e siccome i Quartodecimani facevano risalire a Giovanni l'abitudine di festeggiare la Pasqua nella data ebraica, può darsi che la tolleranza muovesse da un certo affetto che provava per le sue origini e i suoi maestri. Ma Ireneo, che trasferendosi in Gallia aveva imparato rapidamente la lingua locale, era una persona di buon senso, come per fortuna ce n'è anche tra gli eresiologi: se per molti di loro si tratta di schedare e censurare ogni devianza dal retto pensiero (che coincide con il proprio), Ireneo per lo più rifuggiva le spaccature del capello in quattro e vedeva con sospetto proprio le inutili complicazioni.
Gli eretici che si trovò ad affrontare, dalla sua cattedra di Lione, furono soprattutto i montanisti e gli gnostici. I primi aspettavano la fine del mondo, come del resto i cristiani; ma di questa attesa escatologica che permeava gli strati più insoddisfatti della società romana avevano fatto uno spettacolo a base di profeti e profetesse itineranti, con rivelazioni e indicazioni sempre più precise sul luogo e sul tempo in cui si sarebbe combattuto l'Armageddon. Integralisti dell'apocalisse, a volte i montanisti sembravano guidati da un cupio dissolvi che li portava ad autoaccusarsi presso le autorità – e può darsi che alcune successive leggende di santi che fanno di tutto per essere martirizzati nel modo più violento siano ispirate alle mattane dei montanisti. Ireneo era preoccupato dal diffondersi di questa setta, motivo per cui avrebbe anche compiuto un viaggio a Roma per riferire al papa; ma purtroppo non ci è rimasto un suo intervento sul tema. Invece conosciamo molto bene quello che pensava sugli gnostici, dal suo libro più cospicuo che abbiamo conservato, Smascheramento e rovesciamento della falsa gnosi (ma i latini preferivano chiamarlo col solito titolo Adversus Haereses, così era più facile confonderlo con omonime opere di Tertulliano o Epifanio).
Se il montanismo era probabilmente un fenomeno popolare, che speculava sulla paura e la speranza della fine del mondo, la gnosi sembrava più una reazione aristocratica al cristianesimo, un tentativo di assorbirlo e trasformarlo nell'ennesima setta misterica per pochi affiliati e iniziati. Ciò che più irritava Ireneo era appunto questa deriva esoterica, l'idea che i quattro vangeli fossero troppo semplici per contenere le Verità autentiche, e che queste fossero state affidate da Gesù a poche persone elette, in segreto. Il segreto, poi, a quanto pare era la solita tiritera di marca orientale: Dio è perfetto, la materia no, quindi il primo non può avere creato la seconda; dev'essere intervenuto un demiurgo a creare un problema là dove prima c'era la perfezione. Se somiglia al buddismo forse è solo per una convergenza evolutiva, anche il buddismo potrebbe essere nato come reazione intellettuale/aristocratica al folklore popolare indù. A questa ricorrente svalutazione della materia, della carne, dell'imperfezione, Ireneo contrappone orgogliosamente un solido cristianesimo basato sulla carne – di Cristo – e sulla carta – dei vangeli. Gesù non ci ha chiamato servi, ma fratelli: e ai fratelli si dice la verità. Chi vuole essere buon cristiano non deve seguire nessun percorso misterico, né svenarsi per conquistare le confidenze di un guru o di una profetessa: tutto quello che ci serve è nei vangeli, accessibili a chiunque sappia leggerli o anche solo ascoltarli. Secondo la tradizione, Ireneo morì martire a Lione verso il 203.
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