Che poi riflettendoci bene, con la crisi che c'è nel settore, le redazioni che tagliano, le testate che chiudono... come si saranno sentiti i giornalisti italiani alla notizia che c'è un loro collega che, da solo, vale dieci milioni? Non si saranno sentiti un po' contenti, di riflesso, un po' comunque orgogliosi?
No, secondo me no.
Ho una teoria #24 è sull'Unità.it, e si commenta qua).
(Colgo l'occasione per salutare i compagni di Metilparaben, nuovi arrivati nel sito del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e sopravvissuto a Walter Veltroni).
Ma Santoro, quei dieci milioni, li vale o no? I soldi che in varie forme la Rai sborserà (se tutto andrà in porto) sono davvero un prezzo di mercato? Non ha molto senso chiederselo, dal momento che quel mercato in Italia non esiste più: c'è un monopolio di fatto, con qualche enclave protetta, qualche paradiso perduto su satellite o digitale. Meglio considerare i dieci milioni come la clausola di un contratto di pace tra un monarca assoluto e un corsaro riottoso, che per qualche anno è riuscito a trovare giudici favorevoli, ma che sapeva di non poter resistere all'infinito. Dal suo punto di vista è una vittoria, e non vedo perché chi in questi anni ha apprezzato le sue scorrerie nel servizio pubblico non dovrebbe essere felice per lui. Certo, quei dieci milioni li prenderanno dalle nostre tasche, ma ne hanno presi anche di più per pagare l'Isola dei Famosi o Sanremo: sopravviveremo. Forse dovremo aspettare due anni, a causa di un'altra clausola nel contratto: ma è già successo, aspetteremo. Quando il berlusconismo sarà consegnato ai libri di storia, forse ci piacerà ricordare Santoro non come Custer, ma come un brigante gentiluomo che rifacendosi a vecchie carte costituzionali cadute in disuso mandava segnali di rivolta dal suo studio in via Nomentana, a pochi passi dal castello di Nottingham. I soldi che rubava ai perfidi sceriffi del Re, li regalava a noi poveri di informazione sotto forma di reportage di qualità. Tutto molto romantico, ma non è che potesse durare in eterno. A un certo punto o si fa la rivoluzione o ci si ritira in campagna.
L'invidia neanche troppo malcelata di molti suoi colleghi è comprensibile. In un momento difficilissimo per tutto il settore, Santoro dimostra che in qualche modo è (o era) possibile anche in Italia fare grandi cifre con l'informazione di qualità. I dieci milioni di Santoro sono un fulmine a ciel sereno scoccato nell'annus terribilis del giornalismo, a cui seguirà probabilmente un annus terribilior e tanti altri anni terribillimi. La stampa è in crisi anche nei Paesi dove la gente legge davvero, figurarsi da noi. In sostanza i lettori di tutto il mondo evoluto stanno passando dalla carta al web, e i giornalisti non sono pronti al salto – non è soltanto inerzia, è che su web non si è ancora riusciti a trovare un sistema per campare di giornalismo. I servizi a pagamento non decollano, le pubblicità sono sempre più intrusive ma non riescono a forare l'attenzione dei lettori. Un giornalista su carta si paga ancora l'affitto; un blogger, o è ricco di famiglia o vive di espedienti (no, io non sono ricco di famiglia). Peraltro molti giornalisti italiani vivevano già prima di un espediente chiamato “contributi all'editoria”: per fare un esempio il Riformista, che al tradimento di "Sant'Oro" ha dedicato la sua prima pagina di giovedì, nel 2008 riceveva dallo Stato tre milioni e quattrocentomila euro. Parliamo di un quotidiano con una tiratura che non supera le ventimila copie. Annozero è un prodotto guardato da milioni di telespettatori. Ma il confronto non ha senso: Santoro è un corsaro, il Riformista una specie protetta.
Se il giornalismo su carta vive giorni difficili, il giornalismo in tv, fuori dal duopolio Rai-set (e dalle enclavi protette Sky e La7), per ora semplicemente non vive. Gli esperimenti come YouDem o RedTV, per quanto siano riusciti a coinvolgere professionisti bravi e mandare in onda cose pregevoli, non hanno un pubblico oltre a quello degli addetti ai lavori, e durano finché qualcuno ha la volontà politica e un po' di soldi per mandarli avanti, nel disinteresse più o meno generale di inserzionisti e telespettatori. Ora in questo panorama deprimente, quasi una città fantasma del vecchio west, arriva Michele Santoro coi suoi speroni luccicanti, dieci milioni di euro e un'idea di televisione che potrà non piacere a tutti (a me a volte non piace), ma che di sicuro ha un pubblico vero. Gli basta portare un milione di persone su un nuovo canale per cambiare la storia della televisione italiana. L'esperimento di Raiperunanotte gli ha mostrato che la cosa è fattibile: perché continuare a rischiare nei dintorni del castello di Nottingham, quando può comprarsi una Sherwood tutta sua?
Tutto giusto, eppure... Ha fatto bene a combattere, ha fatto bene a patteggiare, farà benissimo se investirà quei soldi in un prodotto innovativo che può rivoluzionare la tv italiana. Eppure questo addio alla Rai ci fa paura. Con Santoro se ne va uno degli ultimi spazi condivisi della televisione italiana. Senza mai nascondere il suo orientamento, Santoro era riuscito a confezionare una trasmissione che poteva essere vista dall'elettore di Di Pietro e da quello di Berlusconi. Per farlo aveva dovuto smussare gli aspetti più piazzaioli dei suoi vecchi programmi. In compenso grazie a lui qualche telespettatore di centrodestra ha potuto ascoltare la D'Addario o Massimo Ciancimino, che difficilmente troveranno ospitalità in altri programmi. Senza spostare probabilmente un solo voto, Santoro ha offerto uno spazio di confronto a due Italie che ormai vivono nella stessa nazione leggendo (poco) giornali diversi e credendo a verità diverse.
Ho una teoria: Santoro non è finito, ma questo spazio sì: i telespettatori di centrodestra non lo seguiranno nella sua Sherwood privata, confinata in qualche angolo del telecomando. A Santoro resta un affezionatissimo pubblico di sinistra: quello che ogni giovedì assiste alle orazioni di Travaglio in religioso silenzio, ma che in fondo non impara nulla che non sappia già. E lo si è già visto durante la diretta al Paladozza: se Annozero viene abbandonata al suo pubblico di riferimento, si sbraca. Esclude il confronto, imbarca cantanti e comici, si appesantisce di lunghe prediche ai convertiti, diventa un ghetto allegro e festante, ma pur sempre un ghetto. Sarebbe molto triste, per lui e per noi, se Santoro si ritrovasse tra qualche anno presentatore e spalla comica di una specie di Concertone settimanale.