Forse perché non ho mai avuto molte illusioni sulla statura politica e morale di Giorgia Meloni, che mi ritrovo sempre meno in sintonia con chi la rimprovera. È un po' come Berlusconi, ai tempi in cui i suoi detrattori sbagliavano costantemente obiettivo: quello corrompeva la guardia di finanza, e loro gli davano del nano pelato. Aa Meloni invece l'altrieri ha osato non riconoscersi nel Manifesto di Ventotene, il che non può essere una sorpresa per chiunque conosca un po' sia lei sia il Manifesto: ma improvvisamente questo diventa un delitto di lesa maestà, all'improvviso una mattina il Manifesto di Ventotene diventa una specie di carta costituzionale benché nessun parlamento l'abbia approvata, e la maggior parte di noi l'abbia nemmeno letta. Però Repubblica la pubblica in edicola, e Benigni ci farà la sua predica annuale, quindi aa Meloni come si permette. Ora, quand'è successa questa cosa? Quand'è che Spinelli e Rossi, la cui eredità politica sembrava essersi perduta nell'immediato dopoguerra, sono diventati i nostri Padri Fondatori?
Non ne ho idea, è un caso che sinceramente non ho seguito. L'idea che la carta sia l'atto di concezione dell'Unione Europea mi è sempre sembrata una forzatura: Spinelli e Rossi avevano qualche buona idea (ma anche qualche abbaglio, inevitabile vista la situazione in cui scrivevano), ma non credo che senza le loro idee non avremmo avuto i trattati di Roma e poi di Maastricht. Così come è una forzatura affermare che l'europeismo sia nato a Ventotene, quando ne parlava ed esempio Mazzini già un secolo prima. A Ventotene la sinistra italiana arriva tardi, credo a metà degli anni Novanta: non ho argomenti per dimostrarlo, soltanto labili suggestioni (una Festa Nazionale dell'Unità a Reggio Emilia, più di vent'anni fa, con un padiglione che ricostruiva scala 1:1 la camera di Spinelli).
Ad esempio l'anno scorso è uscito Un altro ferragosto di Virzì, che essendo il sequel di Ferie d'agosto è ambientato a Ventotene. Nel film Sandro, che già in Ferie era l'archetipo dell'intellettuale di sinistra declassato, ha sviluppato un'ossessione per una specie di pollaio che avrebbero costruito i confinati, e se ricordo bene ha chiesto l'intervento della Sovraintendenza ai beni culturali per preservare il monumento antifascista. Nel frattempo sta sempre peggio di salute e ha allucinazioni in cui vede Spinelli, Rossi, le rispettive mogli, e ovviamente Pertini: tutto un Walhalla laico di eroi che lo attende al di là della malattia. Mentre lo guardavo trovavo tutto molto appropriato, e allo stesso tempo cercavo di ricordarmi se nel film di un quarto di secolo prima Sandro avesse mai anche solo accennato agli antifascisti al confino sull'isola.
L'ho voluto riguardare e ho avuto conferma che no del 1996, Sandro dei confinati non parlava mai, e sì che non teneva molto spesso la bocca chiusa. Rivista con gli occhi di oggi, una dimenticanza del genere è inspiegabile: insomma, il primo film che mette in luce la nuova lotta di classe tra ceto riflessivo impoverito e borghesia berlusconiana abbruttita è ambientato nell'isola che fu il simbolo dell'antifascismo: una metafora cotta e servita, eppure gli sceneggiatori non ne approfittano mai, come mai? Forse nel '96 gli sceneggiatori non sentivano la necessità di sottolineare quanto fosse importante Ventotene per l'antifascismo e l'europeismo perché, come tutti noi, al tempo il manifesto lo ignoravano, dei confinati avevano sentito parlare molto vagamente, e Ventotene l'avevano scelta magari perché era più facile girare lì che, poniamo, a Ponza. Tutti questi Grandi Padri che Sandro si crea nel secondo film, circondandosi di figure serie e sorridenti un po' come Fazio quando sceglie gli ospiti di riguardo, sono adozioni molto tardive, di gente che si è ritrovata orfana di Gramsci e Che Guevara a quaranta o cinquant'anni. Può darsi che gli autori del secondo film l'abbiano ammesso, quando a un certo punto ci fanno scoprire (spoiler) che il pollaio è un falso storico, l'ha rimesso assieme il figlio di Sandro da bambino. È un retroterra culturale postumo, non necessariamente posticcio, perché ai manifesti si può aderire a qualsiasi età. Bisogna però leggerli. Aa Meloni un po' lo ha letto – anche solo un paragrafo – e ovviamente non le è piaciuto, il che è abbastanza in linea col personaggio e la sua storia. Chi invece se la prende con lei, lo ha letto davvero? Non necessariamente. È una generazione cresciuta riempiendo gli scaffali dei soggiorni di supplementi editoriali (libri, vhs, cd, dvd, album di figurine) senza sentire l'esigenza di aprirli troppo, a rischio di consumarli.
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E ora qualcosa che non c'entra davvero nulla, ma siccome si parla di film, segnalo che su Raiplay c'è ancora non so per quanto The Fabelmans in versione originale coi sottotitoli: un altro film in cui a un certo punto ci sono lunghe scene in una scuola dove ragazzi e ragazze interagiscono, si parlano, si innamorano, ma soprattutto si bullizzano come belve e si pestano a sangue. Queste scene, che sono familiari alla mia generazione più dei Promessi Sposi, forse non le avrei mai trovate così strane se poi nella vita mi fossi ritrovato di nuovo nella scuola media, un posto dove ovunque vada il preadolescente devono esserci in media 1-2 adulti a guardarlo, tranne in bagno; e ciononostante colluttazioni se ne verificano ogni giorno, senza gli eccessi delle scuole americane, per il semplice motivo che appunto: adulti ce ne sono dappertutto, e per quanto non sempre siano svelti di riflessi, sono comunque un grosso deterrente che impedisce al cervello del preadolescente di anche solo concepire pestaggi organizzati o assalti alla baionetta nei corridoi.
Insomma se mi chiedete perché la società USA sembra subito più violenta della nostra, senz'altro sono convinto che un certa disponibilità di armi c'entri per qualcosa; ma poi l'idea forse cattolica che i ragazzini van guardati. Senonché.
Senonché in molte scuole adesso va di moda questa DADA, ovvero "Didattiche per Ambienti Di Apprendimento", che significa in soldoni che invece di spostare gli insegnanti dall'aula della classe A all'aula della classe B, sposti le classi dall'aula dell'insegnante A all'aula dell'insegnante B. Come tutte le didattiche, ha una sua funzionalità: ad esempio negli USA diverse materie sono opzionali, per cui è normale che gli studenti cambino non soltanto aula, ma proprio classe, ovvero trovino altri studenti, a seconda della materia. Da noi però succede questa cosa, che molte novità vengono accettate un po' alla svelta perché bisogna semplicemente mostrare ai genitori che stiamo innovando, e a parte questo non è che possiamo permetterci più elasticità di tanto, perché l'organico è quello che è (anzi lo tagliano), quindi le classi rimangono le stesse, però... cambiano aula. Se lo chiedete a me, spostare classi di 25 ragazzi invece che insegnanti singoli è un'autoevidente assurdità logistica, che serve semplicemente per limare altri minuti di intervallo tra una lezione e l'altra: è normale che gli studenti se ne dicano entusiasti, così come molti genitori che appunto, come me sono cresciuti più coi telefilm americani che con Leopardi. Poi in questo modo servono gli armadietti, vi immaginate? Proprio come nelle highschool, ma quanto sarà figo? Quindi qual è il problema?
Mah, ditemi voi. Se l'insegnante A resta fermo nella sua aula A, e l'insegnante B nella sua aula B, cosa succede nei corridoi compresi tra A e B? Esatto, un sacco di ragazzi di tutte le classi liberamente in giro. Capite che ci sono le premesse per cominciare anche noi a scrivere film e serie in cui ci si accoltella sui pianerottoli, è finalmente un gap con la scuola anglosassone che stiamo per colmare, vi immagino entusiasti, e poi tra vent'anni da tutto questo bullismo chissà che geni incompresi verranno fuori, che Spielberg, che Watterson, finalmente.
Ognuno ha la propria storia e i propri ricordi, legati all'età, certamente. Io posso dire che da quando ho iniziato ad avvicinarmi alla vita politica e sindacale (lontano 1969), ho sentito parlare del "Manifesto di Ventotene" e di Altiero Spinelli, Rossi e Colorni. Se ne parlava negli anni settanta del secolo scorso, quando Spinelli era pure commissario europeo. Se ne parlava anche quando, negli anni ottanta, si faceva più realistico l'obbiettivo di realizzare una Unione Europea. Per farla breve, sono abbastanza sorpreso dalla sufficienza con la quale viene liquidata una storia tutt'altro che marginale o sconosciuta. Non c'è retorica nel considerare quel manifesto e quelle persone, Spinelli in particolare, tra i precursori e fondatori dell'idea di un ' Europa unita.
RispondiEliminaDi precursori all'idea di un'Europa unita ce ne sono parecchi: Giuseppe Mazzini, Altiero Spinelli, Victor Hugo, ecc...
EliminaPersonalmente trovo un po' futile dire che Spinelli sino a pochi anni fa non se lo filava nessuno, visto che perlomeno in Italia è figura nota fra i federalisti europei.
Ma quanti sono e quanti sono stati i federalisti europei italiani? Se consideriamo l'idea di Europa intesa come Stati Uniti d'Europa o Repubblica Federale Europea, ossia uno stato unitario con un governo unitario che risponde ad un voto di fiducia del parlamento e che abbia competenze in materia di lavoro, sanità, difesa, energia e commercio... beh, di federalisti europei ce ne sono sempre stati pochini.
La destra è nazionalista per definizione: ben venga l'Europa ma solo se gli stati nazionali hanno il veto, non sia mai che la nostra purezza nazionale ne abbia nocumento.
I centristi sono freddini: a loro interessa un'Europa dei commerci, magari con tante regole e tante cariche di nebulosa nomina in modo da poter intrallazzare un sottosegretario in cambio di due righe in aiuto all'azienda di mio cuggino.
Anche la sinistra ha avuto difficoltà con il concetto di Europa federale: molti comunisti novecenteschi la vedevano come uno strumento capitalista, quindi nemica; poi è stata vista come qualcosa che inciuciava con le grandi aziende e dunque da vedere con sospetto.
Gli italiani sono stati veramente europeisti solo negli anni 90, ma non perché ritenevano genuinamente che occorresse superare lo stato-nazione, bensì perché ritenevano la classe dirigente italiana uno schifo e ben venga quindi qualcuno da fuori.
Quale Europa è stata realizzata? Di sicuro non l'Europa federale che voleva Spinelli: in Europa il grosso delle decisioni è presa dai governi nazionali che hanno scritto trattati che prevedono diritti di veto un po' per tutto e nel dubbio i ministri sono indicati dai singoli paesi.
In pratica, è stata realizzata l'Europa che volevano i democristiani: un posto ideale per intrallazzare e ben lontano da uno stato unitario.
E ovviamente quest'Europa "democristiana" è il perfetto capro espiatorio per tutto ciò che i politici locali non riescono a fare: per decenni politici locali hanno scaricato sull'Europa (intesa come blob generico e indefinito) ogni colpa in modo da avere un facile nemico.
Dopo che Trump ha fatto capire che non muoverà un dito per difendere gli europei in caso di attacco russo (semmai, simpatizzerà con Putin), molti europei si sono scoperti indifesi e hanno reagito correndo ad armarsi, ma anche in questo caso non è l'Unione Europea che si riarma, bensì i singoli stati, in ordine sparso e ciascuno a modo suo.
Certo, se negli anni 90 invece di realizzare l'Europa dei democristiani fosse stata realizzata l'unione politica, oggi non saremmo qui a lamentarci dell'Europa che non funziona e di tanti staterelli che corrono a riarmarsi in ordine sparso e duplicando i costi, ma occorre anche capire che purtroppo, checché ci si riempia la bocca di Europa culla della democrazia e simili, all'europeo medio non interessa molto superare il piccolo nazionalismo ottocentesco e anzi è molto orgoglioso di tifare per la propria squadra locale, di mangiare le proprie specialità regionali e di parlare il proprio dialetto.
Il fatto che questo nazionalismo localista ci costi un sacco di soldi non è un problema che interessa all'europeo medio: ho il mio riso di Baraggia, il Vercelli ha fatto gol e figurati se vado a mescolarmi con quelli di Novara che parlano così strano.