L'uomo di paglia era piu' triste di me
(ma ora si e' rassegnato
perche' la vita non e' cosi' male
e a lui non dispiace)
Non vorrei, in un giorno comunque triste, riaprire una vecchia polemica della gioventu’, non vorrei ma lo faccio: a meta’ degli anni Settanta i Pink Floyd erano quattro tromboni miliardari, in grado di arrangiare graziosamente un vuoto cosmico di idee. La volgarizzazione del progressive rock, la riduzione di ogni velleita' psicadelica al quattro quarti lento, con inserti di waltzer e saltuari virtuosismi. La corista sgozzata di the great Gig in the Sky e’ come se urlasse Aiuto, ho solo due accordi e devo finire la facciata di questo costosissimo album. Qualcuno li trova ancora il piu’ grande complesso rock mai esistito.
E’ senz’altro una persona che non sa ballare. Negli anni Settanta ai concerti si stava seduti. Gli stupefacenti in commercio non favorivano il movimento. Oggi e’ diverso. Non voglio dire che e’ meglio o che e’ peggio. Usi e consumi diversi, droghe diverse.
Ma il rock e’ nato per ballare, santo Dio. Chuck Berry ballava. Elvis ballava. I Beatles ballavano. Poi vengono questi anni amorfi in un cui si sta seduti ad ascoltare suoni quadrofonici. Syd se ne era andato. Buon per lui. Male per noi.
Non sono venuto a piangere Syd Barrett, che da trent’anni e’ l’esempio piu’ fulgido di artista postumo in vita. Con momenti paradossali: il tuo ex gruppo ti dedica un disco, e tu sei ancora vivo. Un giorno passi in sala di registrazione per un salutino. Ti fanno ascoltare questa suite maestosa tutta dedicata a te, Shine on you crazy diamond, e tu: “Un po’ datata, non trovate?”
Altroché, Syd. Un walzer funebre, un liscio ambient, musica da camera per matricole di conservatorio. Un po’ datata? In confronto Strauss è punk. Ieri, naturalmente, Shine on you e Wish you were here hanno invaso tutti i palinsesti. Un musicista pazzo muore, e tutti si mettono a cantare una canzone che non ha scritto, e nemmeno gli piaceva.
Nel 1987 i quattro miliardari, ridotti a tre, scesero per promuovere un altro inutile discone di platino. Il risultato indiretto – oltre all’abbassamento della laguna di Venezia di qualche micron – fu un revival di tutta la loro discografia presso i ragazzini. Dischi facili da trovare: spesso bastava fregarli ai babbi o ai fratelli maggiori (una mia zia aveva la cassettina di Animals, un’altra il vinile di Middle). Another brick divenne un tormentone da discoteca, davanti al fuoco si cantava Wish you were here, eccetera. Certo, da qui a riscoprire il primo disco, bisognava fare un certo percorso. Bisognava essere particolarmente snob, o balordi, o romantici.
In quel periodo in Italia nacquero simultaneamente una manciata di band con una sola cosa in comune: prendevano il nome da canzoni di Syd Barrett. L’ho scoperto solo di recente, da quel libro sul rock anni ’80 allegato a Rumore. Non so bene che musica facessero.
Poteva essere musica di ogni tipo. In the Piper at the gates of dawn c’è di tutto. Orge psicadeliche, canzoncine minimali, robusti pezzi pop. È un disco del 1967, targato Parlophone. Nella sala a fianco i Beatles incidevano Sgt. Pepper. Ora come ora, se dovessi mettermi ad ascoltare un disco per il puro gusto di ascoltarlo, sceglierei The piper. Perché forse sono ancora uno snob, o un balordo, o un romantico.
Syd aveva dei maestri giovani: i Beatles, gli Stones di Between the Buttons, i Kinks. E aveva premonizioni: una chitarra protohendrixiana, la retorica spaziale che sarà di Bowie, il misticismo, gli schizzi acustici, il surrealismo. Barrett era persino divertente, una dote che i Pink avrebbero perso per sempre. In Bob Dylan’s blues (che iniziò a circolare intera soltanto all’inizio degli anni Novanta), si prende gioco di un mostro sacro della controcultura con un’ironia che al tempo non era così a buon mercato. Insomma, nella sua pazzia sembrava esserci molto criterio.
Dopo the Piper viene the Madcap laughs. Un disco per metà registrato in un pomeriggio, col rumore delle pagine sfogliate tra una strofa e l’altra. Barrett è anche il padre di tutti i musicisti fatti in casa. Oggi suona terribilmente indie.
Il disco successivo è meglio arrangiato, ma meno interessante. Poi viene il vuoto. Barrett non è mai riuscito a registrarne un terzo. Continuava a incidere tracce di chitarra su tracce di chitarra, all’infinito. Questa, che credo sia una testimonianza di Gilmour, per me è l’immagine stessa della follia. Un loop.
(E anche la frase ricorrente: “vive in campagna con la madre”. Mi sembrava il massimo dell’abiezione, ritirarsi in campagna con la madre).
Non sono venuto a piangere Syd. Per qualche anno e’ stato un mio idolo. Mi cercavo idoli strani, nelle bancarelle dei dischi a meta’ prezzo. Poi ho rovesciato la medaglia: ho iniziato a pensare che dopotutto non mi andava di finire cosi'. La sua faccia spiritata e’ una delle tante che ho scartato mentre cercavo la mia. Ammesso che io l’abbia trovata. Due grandi dischi e poi trent’anni di disordine mentale non mi sembravano un grande affare.
Oggi sto cercando di pensarla diversamente. Syd e’ sopravvissuto a un sacco di gente, coetanei e piu’ giovani di lui: Hendrix, Morrison, e compagnia. In un certo senso la pazzia lo ha salvato da una malattia molto piu’ mortale, l’industria del rock. “Viveva in campagna con la madre”. Beh, ho visto destini peggiori.
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
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grazie. davvero :)
RispondiEliminaConcordo assolutamente, anzi mi sono accorto che abbiamo scritto sostanzialmente le stesse cose: http://www.suzukimaruti.it/index.php/2006/07/12/paradossi-floydiani/
RispondiEliminaMeddle, non Middle. Tanto per farmi odiare da subito.
RispondiEliminaPersonalmente non ho mai amato particolarmente "The dark side of the moon" e "Wish you were here", ma in "Animals", "the Wall" e "the Final Cut" è venuto fuori di prepotenza Roger Waters, che la sa lunga. Sicuramente più marpione e attento al businesse (vedi ad esempio tutta la retorica sul muro), ma per me i walzeristi sono Gilmour e Mason. Intendiamoci, se Syd Barret è Jim Morrison dopo il Viagra, Roger Waters è più Freddie Mercury senza le giarrettiere, quindi tutt'altro genere che ci ha messo degli anni a essre ritenuto accettabile e remunerativo per gli standard miliardari del gruppetto (posso immaginare che nei primi album dopo Barret fosse più remunerativo mungere la vacca sperando che pochi si accorgessero che era morta). Comunque RW c'ha il suo spessore, e non indifferente.
Poi, quando se n'è andato anche Waters, il buio. Concertoni-revival, dischi insulsi (i gamberetti sono buoni, la nutella è buona, facciamo i gamberetti con la nutella), roba che manco gli U2 di Zooropa sono così indigesti.
IMHO, naturalmente.
Arturo
Anch'io sto riascoltando molto "The Piper..".
RispondiEliminaIo non li disprezzo i PF, ma certo senza Barrett quella spensierateza e ironia non l'hanno più avuta.
E anche io mi son fatto il ragionamento dell'ultimo capoverso. Chissà se ha davvero vissuto male.
I veri Pink Floyd sono quelli della parte live di Ummagumma e di PF Live at Pompeii. Tutti le opere successive sono dischi postumi :-)))
RispondiEliminaMinkia...ma solo minkia sai dire?Oggi sì.
RispondiEliminaArturo, hai scritto Barret con una t sola. Anatrema!
RispondiElimina(A me Zooropa piaceva)
Non e'che ce l'ho con Roger, io parlavo solo dei Pink Floyd alla meta' dei '70, quelli straosannati di dark side e wish you were here.
Waters aveva le sue carte: per me i veri Pink Floyd stanno tra il primo lato di More e Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict .
E' sorprendente quante cazzate riesci a scrivere in un solo post
RispondiEliminasenza neanche impegnarmi
RispondiEliminabella, la chiusa.
RispondiEliminavisto che ci sono, i pink floyd di quel periodo lì piacevano (in quel periodo lì) a un mio compagno di classe antipatico. sono cose che segnano.
Oggiù, mi farò odiare anch'io :-P
RispondiEliminaBarrett 1946
Hendrix 1942
Morrison 1943
meddle, NON middle
RispondiElimina:-)