E ci riuscirò. O cadrò provandoci. Sull'Unita.it. Si commenta laggiù.Fino a febbraio tutto sommato l'anno scolastico fila abbastanza liscio. Certo, riprendersi dalla lunga pausa natalizia non è semplice, ma nessuno rinuncerebbe a quelle due settimane tra Natale e Befana. I guai veri cominciano a marzo.
È sempre andata così. C'è persino chi dà la colpa all'ora legale – e in effetti, quando ti trovi davanti venticinque studenti assonnati, il dubbio ti viene. Poi ci sono i malesseri di stagione, le prime allergie. Tutte cose di routine, che si ripetono ogni anno. Dovremmo saperle prevedere, eppure no. Ogni primavera, tra marzo e aprile, è come se i programmi scolastici deragliassero dai binari, in un modo sempre imprevedibile. Certi anni ci si ferma, non si riesce più a proseguire. Certi altri si va avanti anche più del dovuto. Il guaio è che sembra non ci sia un modo per saperlo prima: ogni anno è una storia a sé. Ma perché? Ho una teoria.
Secondo me è tutta colpa della Pasqua. Una festa meravigliosa, ricca di simboli religiosi e tradizionali, eccetera. Però è una festa mobile, che oscilla nel calendario in un modo che resta misterioso a chi non s'intenda di mesi lunari. Apparentemente basta dare un'occhiata al calendario all'inizio dell'anno, e il problema è risolto. E, come per il Natale, chi rinuncerebbe a quei cinque, sei giorni di pausa? Ma il fatto che ogni anno cadano in una settimana diversa rende oggettivamente difficile programmare il lavoro nelle classi. Manca del tutto quell'automatismo per cui a dicembre siamo abituati – insegnanti e studenti – a tirare al massimo fino al ventitré dicembre, e a riprenderci dopo il sei gennaio: un ritmo che si apprende alle elementari e ci si porta con sé fino al liceo e oltre. In primavera un ciclo del genere non esiste: ogni anno i nostri bioritmi si devono adattare a un ciclo diverso. Aggiungi l'ora legale, i raffreddori, le allergie, le gite, i ponti tra aprile e maggio, e la frittata è fatta. Non ci sarebbe un modo per migliorare le cose?
Io una proposta ce l'avrei, e mi è già capitato di proporla: si potrebbero sostituire le vacanze di Pasqua con una settimana di vacanze di Primavera, come quelle che si festeggianoin tante altre nazioni europee. Se poi decidessimo di celebrarla tra le feste nazionali del 25 aprile e il primo maggio, avremmo anche risolto il problema dei ponti primaverili, che certi anni portano via anche una settimana, mentre in altri anni (come questo, ahinoi) sono del tutto assenti - un altro fattore che rende ogni anno scolastico diverso dall'altro. Probabilmente sarebbe una buona cosa anche per il comparto turistico: con una settimana a disposizione, qualche famiglia in più riuscirebbe a concedersi una piccola vacanza. Il due maggio poi torneremmo tutti quanti a scuola, e avremmo quaranta giorni per la volata finale.
Prima obiezione: in questo modo molti celebreranno il 25 aprile e il primo maggio bloccati in autostrada. Questo in realtà accade già, ogni volta che i calendari scolastici o lavorativi ci propongono un ponte. Se però il ponte diventa una settimana fissa, la mentalità potrebbe cambiare: le famiglie avrebbero un po' di tempo in più per organizzare partenze e rientri in modo intelligente, invece di affrettarsi al casello per la classica gita mordi-e-fuggi.
Seconda obiezione: proporre di abolire la Pasqua è cosa da empi senzadio. In effetti non mi spingo a tanto: del resto la Pasqua cade di domenica e non pone nessun problema a chi redige i calendari scolastici. Non pone molti problemi neanche il Lunedì dell'Angelo, volgarmente detto Pasquetta, e quindi proporrei di mantenerlo in segno di rispetto alla tradizione, alla cultura, alle radici cristiane eccetera. Ma ho qualche difficoltà a credere che gli studenti cristiani (ammesso che siano ancora la maggioranza, in Italia) abbiano bisogno di una settimana di astinenza dallo studio e dal lavoro per riflettere sulla Risurrezione: i loro genitori tutto quel tempo a disposizione non ce l'hanno, di solito lavorano fino al Venerdì Santo e sono già in ufficio o in officina al martedì.
E tuttavia non vorrei farne una battaglia di laicità, col rischio di perderla (come nel caso dell'ora di religione o del crocefisso). Ammettiamo pure che la Chiesa abbia qualche diritto sul calendario scolastico statale. Però anche la Chiesa si rinnova, in certi periodi è stata addirittura un fattore di rinnovamento. Il calendario solare è uno di questi casi: è stato un Papa a riformarlo, sono stati i vescovi a sostituire le meridiane con gli orologi meccanici nei campanili. Se oggi viviamo tutti con un calendario solare al polso o in tasca, se l'unica festa lunare rimasta diventa per noi un fattore ansiogeno, la Chiesa ha la sua parte di responsabilità. http://leonardo.blogspot.com