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domenica 16 febbraio 2025

La Trappola Trans


Riassunto della puntata precedente: il Sanremo di Carlo Conti è, come si poteva prevedere, un passo indietro sia da un punto di vista artistico, sia del costume. È un festival che non può negare che esistano delle questioni aperte, dei conflitti in corso: ma invece di affrontarli li mette in scena in una versione edulcorata o farsesca: un Tale e Quale Show in cui al posto del cantante che l'anno scorso proponeva di fermare un genocidio ce n'è un paio che cantano, per l'ennesima volta, Imagine come se fosse mai servita a qualcosa; al posto del Benigni faro della sinistra antiberlusconiana c'è un Benigni anziano costretto ad autoprofanarsi ritornando all'Inno del Corpo Sciolto; e al posto del movimento Lgbt c'è Malgioglio. In particolare la grande assente sarebbe la queerness. Ora, il dibattito sulla queerness è stato fatto infinite volte e giunge sempre a un punto di stallo: c'è chi considera il queer come liberatorio sempre e comunque, e c'è chi è portato a immaginare che anche il queer, come qualsiasi altro atteggiamento umano, possa raggiungere un limite X oltre il quale risulti controproducente alla causa che dovrebbe difendere. Io perlomeno tendo a pensarla così, ma non perché mi ritenga un "moderato" nemico di qualche "massimalista": semplicemente credo che ogni contenuto possa essere distorto fino a trasformarsi nella parodia di sé stesso. 

Ad esempio due anni fa, dopo l'ultima esibizione di Rosa Chemical, il dubbio mi è venuto: ma non è che l'hanno fatto apposta? Chiara Ferragni, tra l'altro, era appena salita nell'empireo delle maestre di vita. Una scenetta che all'inizio mi era sembrata semplicemente estemporanea e di cattivo gusto è stata ripresa dalla stampa di destra con un'attenzione morbosa, perché? In un qualche modo sembrava dare forma allo stereotipo del travestito pericoloso che approccia eterosessuali e li converte alla fluidità – uno stereotipo che, ribadisco, non ha riscontri nella cronaca o nel mondo reale, ma che evidentemente fa parte dell'immaginario di tanti italiani, ed è un immaginario omofobo nel vero senso del termine "fobia", che prima di odio è paura. Se il movimento Lgbt ne ha tratto qualche vantaggio, io non l'ho visto. Davvero Rosa Chemical sembrava se lo fossero inventato i Feltri e i Sallusti a tavolino, con tutti i tatuaggi e gli ammiccamenti giusti per spaventare la maggioranza silenziosa. Nei mesi successivi è partita un'operazione di ridimensionamento della famiglia Ferragni che forse era inevitabile – avevano raggiunto troppo presto la quota Benigni, ormai erano i fari dell'opposizione al governo, ma si trattava di celebrità fragili, ancora affidate ad aziende a conduzione famigliare e tanta attenzione su di loro ha reso più evidenti le loro magagne. Questo però è già un altro discorso. Il discorso che volevo fare, me ne rendo conto mentre me lo scrivo, è il solito dai tempi di Genova: come fa un movimento a difendersi dagli agenti provocatori, da chi ne assume i comportamenti più estremi per suscitare un facile scandalo e suscitare una reazione violenta? Nel caso della queerness, la situazione si fa ancora più spinosa perché distinguere un queer dalla parodia di un queer è un'impresa davvero difficile – se non è Malgioglio. 

Qualche giorno fa, sull'organo dell'ipocrisia fintoprogressista, Paola Concia è stata così gentile da spiegarci che il movimento Lgbt italiano è stato rovinato dal "massimalismo". Copio e incollo: 

Abbiamo iniziato a copiare le rivendicazioni di oltre oceano, leggendo con ammirazione che i sessi erano più di due, che si dovevano avere bagni di genere neutro, che la fluidità di genere doveva diventare legge di stato, che le donne biologiche dovevano essere definite come persone che mestruano per non offendere nessuno, che esisteva un diritto alla filiazione da parte delle coppie omosessuali maschili e così via. Giorno dopo giorno, si è fatta strada l’idea tra noi che non bastava chiedere leggi contro le discriminazioni e per il matrimonio egualitario oppure una modifica della legge sulle adozioni e sulla legge 164/82 sulle persone transessuali - battaglie su cui avremmo potuto trovare al nostro fianco milioni di cittadini - ma che bisognava andare oltre. Gestazione per altri, schwa, asterischi e fluidità sono diventate le nostre parole d’ordine e i nostri campi di battaglia. Parcellizzare i diritti è diventato il nostro mantra, quando la garanzia dei diritti universali è sempre stata la nostra bussola.

Ora, a mio avviso questo discorso è interessante perché non una sola cosa di quelle descritte dalla Concia è dimostrabile – si tratta in effetti di talking points, parole d'ordine che quasi sempre sono state escogitate o messe in rilievo dalla stampa di destra. "Leggendo con ammirazione che i sessi erano più di due": se ne può parlare – se ne parla da decenni – ma c'è stata una concreta iniziativa legislativa in tal senso? "Si dovevano avere bagni di genere neutro": li avevamo all'università negli anni '90, più che altro per le limitazioni architettoniche, succede anche in molti bar; qualcuna/o è morta/o per questo? "Le donne biologiche dovevano essere definite come persone che mestruano": sul serio? È stato l'argomento di una rivendicazione seria di un movimento strutturato, o una boutade che ha fatto un po' discutere? "Diritto alla filiazione da parte delle coppie omosessuali maschili": questa è più seria, ed è triste vederla infilata in un mazzo di sciocchezze. Davvero, mancano soltanto i lego transgender di Mattia Feltri, è veramente strano che non li abbia tirati fuori, forse non ha fatto in tempo. "Gestazione per altri, schwa, asterischi e fluidità sono diventate le nostre parole d’ordine e i nostri campi di battaglia": ancora lo schwa, sul serio? L'ultima volta che ho controllato, erano stati pubblicati quattro libri contro lo schwa e ancora neanche un libro intero a favore – anche perché chi se lo leggerebbe un libro intero sullo schwa, santo Dio. Lo schwa, con buona pace di chi prova davvero a usarlo, è un feticcio della destra, non del femminismo. Fin qui è servito molto più a spaventare che a includere, il che è abbastanza buffo perché a differenza di Rosa Chemical non viene nemmeno a twerkarti sulle ginocchia; è una letterina abbastanza innocua che puoi benissimo evitare di leggere, se ti fa davvero così schifo. 

Quel che si capisce è che Paola Concia a un certo punto si è sentita scavalcata da un attivismo che chiedeva cose diverse da quelle che chiedeva lei, e ha deciso che queste cose non erano giuste e che quell'attivismo nuoceva alla sua causa. Il che è comprensibile e legittimo. Quel che non è legittimo è sostituire le istanze che non approvi con una parodia. Probabilmente capita a tutti di farlo, ebbene, a volte la chiamiamo 'satira' ed è accettabile. Se invece stai scrivendo un manifesto del movimento lgbt riformista no, siamo più dalle parti della bassa propaganda che si crede intelligente, e infatti siamo sul Foglio. "Massimalismo" è un termine che da decenni individua la cattiva fede di chi lo usa; mi verrebbe da far presente che la Concia potrebbe prendere le distanze dal "massimalismo" di chi ha deciso che la questione palestinese si risolve spianando la Palestina, ma cadrei nella stessa trappola.  Mentre invece è da un'altra trappola che volevo mettere in guardia, anche se non sono sicuro che esista. Ma nel dubbio – e nel buio – uno non fa male a dire a chi ha vicino: ehi, occhio, forse ci sono delle trappole.

Ehi, state attentə. Può darsi che anche in passato alcune vostre forme di lotta o di espressione abbiano goduto di un'esposizione particolare non perché funzionavano, ma perché i vostrə avversarə le consideravano talmente eccessive da trasformarsi in autoparodie. A torto o a ragione, non importa: ma può darsi che di alcuni argomenti si sia parlato di più perché a loro interessava che ne parlaste. Può anche darsi che ve ne siate resə conto ma abbiate comunque pensato di cavalcare il drago; forse vi illudevate di domarlo, o semplicemente vi stavate divertendo, e tanta attenzione lusingava quell'amor proprio senza il quale nessuno lotterebbe per nessuna causa. Non vi giudico, non credo avrei fatto meglio di voi. L'unica cosa che posso dire è: attentə, forse ci sono delle trappole. 

2 commenti:

  1. Piccola aggiunta (che non so quanto aggiunga, ma tant'è).

    nel mondo della programmazione è abbastanza noto il concetto di "code smells" ("odori" o "puzze" del codice): se leggendo velocemente del codice si individuano certi pattern (gli "smells") é probabl probabile che siano presenti certi specifici problemi.
    È un metodo infallibile? No: richiede di confermare il problema con letture più attente nel contesto specifico, è prono ad eccezioni e falsi positivi, etc.
    Funziona, in generale? Sì, in una percentuale altissima di casi.

    Leggendo le parole della Concia, ed avendo di quest'ultima solo vaghe distanti informazioni (parlamentare di lungo corso, di sinistra, associata a tematiche LGBTQ+, lesbica?) il "code smell" è abbastanza forte: sono molti dei talking point del femminismo TERF.

    (Mistificazione / parodizzazione delle istanze che si oppongono; un vago senso di "dove andremo a finire signora mia"; un tiptap attorno al concetto di "ok i diritti, ma non esageriamo"; disponibilità ad andare a pescare alleati poco presentabili ma disponibili a fornire supporto sull'istanza specifica; ...)

    Una breve ricerca conferma: per motivi anagrafici (è nata nel '63) e di banale posizionamento (molto vicina ad ArciLesbica, che negli ultimi dieci anni è diventata chiaramente TERF Central) il linguaggio ed il messaggio dell'articolo tornano perfettamente.

    Capito questo, personalmente avrei smesso di leggere (il suo pezzo su Il Foglio), ma grazie per aver "preso il proiettile" al posto mio :)

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    1. Vabbè ma da anni è notoriamente un'alfiera delle terf italiane, pieno di dogwhistle il suo articolo

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