22 aprile – Santə Alessandra, Apollo, Isacco e Cordato, martirə in Nicomedia nel 303.
Alessandra è una leggendaria moglie di Diocleziano, che avrebbe tentato di difendere i cristiani presso l'imperatore persecutore per eccellenza; quest'ultimo, dopo averla torturata un po' con le sue mani l'avrebbe fatta decapitare. Non sono poi tanti i casi in cui il torturatore-persecutore della martire è il marito (che in una versione alternativa non è il solito Diocleziano, ma il re persiano Damazio). Alessandra non solo ha le carte in regola per essere considerata patrona delle vittime dei mariti violenti, ma si trova anche tradizionalmente inserita in un gruppo di martiri dell'altro sesso (Apollo, Isacco e Cordato dovrebbero essere dei funzionari o dei servi che avevano cercato di difenderla). I martirologi a questo punto dovrebbero recare la dicitura "Santi Alessandra, Apollo, Isacco e Cordato", con il maschile plurale che è il genere tradizionalmente adottato nel caso un insieme contenga elementi di entrambi i generi grammaticali (è il cosiddetto "maschile sovraesteso"). Io qui invece ho usato lo schwa, perché volevo vedere che effetto faceva.Lo schwa (che in italiano si può anche scrivere scevà) è "una vocale centrale media, che nell'alfabeto fonetico internazionale viene indicata con il simbolo ə". Da qualche mese sta circolando in alcuni ambienti on e off line la proposta di utilizzarlo in tutti i casi in cui l'italiano preveda il maschile sovraesteso. La prassi vuole che in questi casi si usi il genere maschile (che in fondo non esiste, è un "non femminile"); ma appunto, la prassi si può sempre cambiare. All'esigenza di stabilire una parità tra i due generi grammaticali si sovrappone (e in certi casi si confonde) la messa in discussione del binarismo di genere, che nei Paesi anglofoni ha ispirato la proposta di pronomi personali "gender neutral", come "they" al singolare, per indicare qualcuno che potrebbe essere sia "he" sia "she" ma anche non riconoscersi in nessuno dei due. Rispetto ad alcune proposte avanzate negli ultimi 30 anni, come l'asterisco, Lo schwa introduce un'evoluzione importante: lo schwa non viene proposto soltanto come un segno grafico, ma anche fonetico. Non si tratta di una semplice convenzione grafica, ma di modificare effettivamente la fonetica della lingua italiana. Negli ultimi giorni il comune di Castelfranco Emilia ha fatto parlare di sé annunciando che da qui in poi lo userà nei documenti pubblici.
Per quel che vale il mio parere – non molto – lo schwa non mi sembra una soluzione efficace a un problema che comunque c'è. Le mie ragioni sono abbastanza banali: è un simbolo scomodo. Scomodo da trovare sulla tastiera (ma quello si potrebbe risolvere, anche € all'inizio era introvabile) e scomodo soprattutto da leggere: da lontano sembra troppo simile a una a minuscola, e molte volte mi è già capitato di percepirlo come una a, prima di rendermi conto che lo stavo leggendo male. Quando provi poi a scriverlo su un foglio o su una lavagna, ti rendi conto che è oggettivamente difficile tracciare uno schwà che non si possa confondere con una a – in effetti il relativo successo di una proposta del genere è anche un segno di tempi in cui la scrittura è sempre più digitale e sempre meno manuale. Non escludo che parte del mio fastidio derivi da un'incipiente presbiopia, ma insomma a me lo schwa non piace, come non piacciono tutti i simboli poco leggibili perché poco distinguibili da altri più usati. Capisco comunque e rispetto le ragioni di chi lo usa, e capirei e rispetterei anche chi non lo vuole usare, se soltanto riuscisse a spiegarsi civilmente e non brandisse armi inesistenti o citasse regole grammaticali che conosce spesso per sentito dire.
I motivi per cui lo schwa non mi piace sono anche quelli per cui fino a qualche giorno fa pensavo che non avrebbe mai vinto la sua battaglia (a questi motivi però ne va aggiunto un altro, credo decisivo, che rivelerò soltanto in fondo al pezzo). Che lo schwa fosse diventato materia di dibattimento lo avevo scoperto leggendo gli interventi della sociolinguista Vera Gheno. All'inizio lei stessa ne parlava come di un'ipotesi scherzosa e forse si limitava a includerla in un elenco di soluzioni possibili (l'asterisco, il punto, lo spazio, la "u", ecc.), ognuna delle quali presentava pregi e difetti. In questo come in altri casi comunque non dipende dal linguista decidere chi vincerà: la Gheno non si è mai stancata di ricordarci che la lingua la fanno i parlanti, che insomma dipende tutto da noi e dalla nostra volontà di innovare o no. Sempre a lei, in un secondo momento, mi pare che si debba l'osservazione che lo schwa stava prendendo piede, seppure in ambienti molto circoscritti, proprio a causa dei suoi limiti, proprio perché era un simbolo difficile da trovare e da pronunciare: questa difficoltà richiedeva impegno, e questo impegno finiva per gratificare gli attivisti che lo usavano. A questo punto se siete ingegneri un po' state soffrendo (oppure, se state soffrendo, sapete che siete un po' ingegneri dentro); se invece avete una formazione più umanista, può darsi che stiate già annuendo mentalmente, perché gli umani spesso seguono queste strade tortuose e non previste dagli ingegneri: invece di passare dalla via comoda, un sacco di gente si affolla su quella difficile, e lo fanno esattamente perché è difficile, perché richiede disciplina e sancisce il tuo ingresso in una comunità di iniziati che ti riconoscono anche dalle vocali che adoperi. I motivi per cui non credevo che la schwa non avesse una chance sono diventati i motivi per cui potrebbe invece farcela. Però.
Però un conto è vincere il derby con l'asterisco e con altri astrusi simboli non pronunciati: un altro conto è ritrovarsi sulla carta intestata di un comune italiano. Può davvero lo schwa uscire dalla nicchia, e diventare il ventisettesimo carattere del nostro alfabeto? Dipenderà da molte cose, più sociali e politiche che linguistiche perché alla fine davvero la lingua si adatta a chi la parla: ok alle elementari non ve lo spiegavano così... ma alle elementari avevate bisogno di sicurezze. Dipenderà molto da quanto se ne parla, e questo mi sollecita un consiglio a tutti gli odiatori dello schwa: non lo sopportate, vi sembra un brutto scherzo, volete che scompaia? E allora non usatelo, non leggetelo, ma soprattutto non prendetevi gioco dello schwa. Lo so che sembra uno zimbello perfetto: ma più lo prenderete in giro, più lo spargerete in giro. Più la gente lo vedrà, più lo riconoscerà, e troverà sempre meno strana l'idea che qualcuno lo usi davvero. Se davvero quel che vi preme è la purezza della lingua italiana e del suo vocalismo, lo schwa dovete fare voto di non pronunciarlo mai: e di proibire ai vostri cari di pronunciarlo non solo in vostra presenza.
Se invece la vostra priorità è sfottere il politically correct, presto o tardi il politically correct vincerà, e i vostri figli vi chiameranno genitorə. Non è davvero la prima volta che un fenomeno linguistico si impone grazie all'avversione di una parte dei parlanti – forse è uno dei motivi per cui a un certo punto abbiamo smesso di parlare latino. Pensate a quanti concetti storici o estetici hanno adottato un nome che all'inizio era considerato uno sfottò: il barocco, l'impressionismo, i macchiaioli, il cubismo, i fauves, il punk, i no global: tutti nomi coniati per prendere per il culo minoranze che dopo un po' li hanno rivendicati come bandiere, e adesso stanno sui libri. Per fare l'esempio più vicino a noi (così vicino che riguarda di nuovo Vera Gheno), pensate cos'è successo a "petaloso". La parola non esisteva; una collaboratrice della Crusca si limitò a osservare che era ben formata, e che il successo della parola dipendeva come sempre dalla disponibilità dei parlanti a farla propria. Si vide presto che i parlanti non avevano tutta questa necessità di usare la parola "petaloso", salvo un ristretto ma agguerrito circolo di attivisti di destra che si mise a rovesciare sull'innocuo neologismo una carica polemica degna di fenomeni ben più interessanti, arrivando a coniare il concetto di "sinistra petalosa". Da un punto di vista linguistico, il risultato è che oggi "petaloso" esiste, (per esempio su treccani.it) soprattutto grazie a loro. Ecco, se volete che lo schwa resti all'ordine del giorno, non avete che da seguire lo stesso sentiero.
Se invece non volete che prenda piede, rimanete immobili. I neologismi son come le vespe, agitarsi è controproducente. Mentre fate il vostro esercizio di immobilità, magari provate a indagare sulle ragioni della vostra aggressività, perché davvero, anche quando litighiamo per un accento, sotto quell'accento c'è sempre qualcosa di più interessante. Parlo per me: ogni volta che infierisco contro la barbara usanza di togliere l'accento da sé stesso, io lotto contro una concezione elitaria della lingua, che difende i suoi privilegi tendendo ad accumulare nei manuali di ortografia eccezioni su eccezioni, non importa quanto astruse. Voi, invece, quando reagite con tutto questo fastidio a un banale grafema, cosa state difendendo realmente? La superiorità del genere maschile sul femminile? Faccio fatica a crederci, manco Pillon o Adinolfi secondo me ci credono più davvero. La vostra infanzia, le 26 lettere appese a quella parete che sosteneva le vostre certezze elementari? E scusate se ve lo chiedo: siete per caso del nord Italia? Perché lo schwa, diciamolo: suona un po' troppo napoletano.
Ecco, questo credo sia il vero motivo per cui potrebbe non farcela. Se vuoi lanciare un fenomeno linguistico prima o poi devi prendere Milano, e a Milano lo schwa non è che suoni alieno, anzi. Suona heimlich, diremmo in quella lingua in cui la stessa parola può significare sia "domestico" sia "inquietante". Smorzare i plurali con una vocale muta o quasi muta significa rinnegare una settentrionalità acquisita col benessere, accettare il proprio destino di capitale della diaspora meridionale, di Seconda Napoli, e abbracciare finalmente la lingua rimossa dei nonni e degli zii. Forse sarà inevitabile, ma come si dice: ha da passare una nottata.
Lo schwa è un simbolo troppo indistinguibile dalla a, su questo siamo d'accordo; ma quei geni del male non hanno pensato ad altre vocali intermedie esistenti nelle lingue europee? La O sbarrata dei norvegesi, per esempio? O una vocale con la dieresi, alla tedesca? Sarebbero evidenti e molto più facilmente interpretabili dello schwa. Ci starebbe anche la Y: in greco si pronuncerebbe a metà tra la I e la U, come la U dei francesi (che però da noi verrebbe pronunciata U e basta) o la U con dieresi dei tedeschi. (Abbiate pazienza: non ho voglia di aprirmi la mappa della tastiera per cercare i caratteri unicode corrispondenti a quelli citati...)
RispondiEliminaForse non ci hanno pensato poiché... le cose capitano e basta, non c'è un comitato centrale che dirige le azioni, bensì tanti comportamenti individuali indipendenti la cui disarmonica somma è la lingua.
EliminaQualcuno ha iniziato ad usare lo schwa piuttosto che la y di "ciao povery" o la ø di "føtti il pøtere" e... così è stato.
Come le lagrime si son mutate in lacrime ed il giuoco in gioco, allo stesso modo un giorno alcune persone hanno iniziato a trovare normale lo schwa :)
Sicuro; ma a me sarebbe sembrato più naturale usare simboli noti e già usati come vocali intermedie anziché andarsene a cercare uno che è usato quasi solo nell'alfabeto fonetico e che è troppo facilmente confondibile con una a minuscola. Anche nelle incongruenze che una lingua si porta dietro la tendenza è seguire la linea di minor resistenza. A me potrebbe pure andar bene lo schwa, però a questo punto bisogna riformularlo, dargli un'identità grafica ben definita, come hanno appunto la y, la ø e altri caratteri diffusi in Europa. E lo schwa maiuscolo, poi? Esiste? la Y e la o sbarrata maiuscola (arrrgh, perché non ne hai messa una nel tuo commento? Ho usato il copia & incolla per quella minuscola... :-) ) ci sono. Proprio perché lo schwa ha così tanti problemi ritengo quella di usarlo una moda passeggera, come lo è stato l'asterisco in quell'obbrobrioso quanto ormai desueto "tutt*".
EliminaIo è dai tempi delle scuole che sono in difficoltà col maschile sovraesteso: semplicemente al mio orecchio suona falso. Ricordo un racconto fantastico in cui una regina si rivolgeva ad un popolo composto prevalentemente da donne e qualche sporadico uomo tradotto in Italiano con "Miei sudditi, noi siamo un popolo di donne, ma i pochi uomini fra voi..."
EliminaLo schwa non sarà bello, ma finalmente cerca di porre un rimedio a questa lacuna grammaticale; si poteva scegliere un simbolo migliore? Forse, ma meglio lo schwa di nulla, almeno iniziamo a migliorare le cose.
A Milano ce la può fare perché è esotico e ai milanesi piacciono le cose esotiche perchè vogliono sentirsi internazionali (il piatto tipico di Milano è il sushi)
RispondiEliminaPiuttosto, come si scrive in corsivo?
Il meridione non è esotico, è heimlich.
EliminaA milano comunque il 90% della popolazione è del sud, eh. Nel senso dovrebbero parlare a milano come parlano d’estate quando tornano a casa
EliminaPer fare il precisino della fungia, nel titolo "martirə" non sarebbe necessario, dal momento in cui si dice anche "le martiri" al femminile.
RispondiElimina"Santə" va bene ma su "genitorə" avrei dei dubbi, dato che il femminile di genitore in fondo è genitrice, non genitora.
Mi è capitato tempo fa di leggere un articolo con questa 'famosa' schwa ed è stata una fatica immensa, ma non per colpa di Lei, poverina, ma per tutti gli altri termini di contorno tipo le preposizioni articolate che si trascinavano nonostante Lei il loro genere natio. Ad esempio, ho incontrato degli amici, diventa deglə amicə o dellə amichə?
RispondiEliminane uzu Esperanton, ĉu ne?
RispondiEliminaIo sarei contrario alla "ə" perché essendo un grafico non esiste, come molte lettere accentate, in tutte i font e la maiuscola "Ə" è decisamente brutta e mi rovinerebbe tutti i titoli. Tuttavia, il tuo discorso fila: i poveri disadattati (lo dico con tutta l'umana comprensione e la pietà possibile) che come maschi, etero e bianchi si sentono minacciati dal politicamente corretto si fottano! Combattendo contro il politicamente corretto lo rafforzano, grazie a dio!
RispondiEliminaIn verità ti dico che ai miei tempi, che sono più o meno gli stessi tuoi e di Adinolfi, le lettere erano 21, almeno qui, nell'arretrato mezzogiorno.
RispondiEliminaE la figura che hai usato è una che serve a raffrontare lo stesso carattere in (credo; anch'io presbiopia e/o AstraZeneca) tre diverse tipefacce senza seriffi.
EliminaHo scritto mica una sciocchezza? Emoticon dubbiosa.
RispondiEliminaLa lingua evolve e di solito non va dove la si vuole costringere.
RispondiEliminaQuesto sia in positivo che in negativo.
Vado fuori tema di proposito, vorrei criticare l’orribile pronuncia della palatale laterale sonora del digramma “gl” dove invece andrebbe pronuciato “li”. Tale pronuncia è abusata in quel nord che comprende sicuramente anche Castelfranco Emilia.
Ostentato da Salvini nel suo mantra “prima gli itagliani” è pressoché ovunque ribadito dalle reti lombarde che lo propugnano a tutte le ore, che già possiamo ritenere responsabili per la diffusione dell’uso erroneo del “piuttosto che”.
a tuttschwa i mentecattschwa della schwa maiuscola: ma me dite quale cazzo de parola, nome o meno, comincerebbe mai per schwa?
RispondiElimina(a meno che non stiate pensando di scrivere in lapidario o, come si dice oggi, urlato; nel qual caso potete andare affanculo subito, direttamente e senza passare dal via - almeno per quanto riguarda me)
(mi associo a qualcuno sopra: le lettere di noi boomer italofoni sono ventuno)