La campagna di diffamazione nei confronti di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, va inserita nella più ampia battaglia che Israele sta conducendo contro l'ONU. A sua volta questa battaglia non è che uno degli episodi più significativi della guerra tra Israele e la realtà – non essendo in fin dei conti l'ONU che una vaga autorità sovranazionale, con poteri nulli o molto blandi, ma che non può che ratificare l'evidenza: ad esempio se c'è un genocidio, non può impedirsi di notarlo ed esprimere crescente preoccupazione. Questo è intollerabile per il movimento sionista, che si ritiene ormai al di sopra di qualsiasi giudizio: ogni critica, anche quando priva di conseguenze, è comunque una minaccia alla sua stessa esistenza, e la sua stessa esistenza è prioritaria rispetto a ogni altro fenomeno (in particolare rispetto all'esistenza del popolo palestinese: ma persino della vita di centinaia di ebrei, che può essere serenamente sacrificata). L'Onu, che non ha ancora accettato tutto questo, non può che essere una "palude antisemita", le sue agenzie covi di terroristi, tra cui quella Francesca Albanese che ha l'impudenza di documentare il genocidio in rapporti sempre più cospicui e puntuali. E siccome chi ha la pazienza di ascoltare l'Albanese e di leggere quel che scrive non vi troverà una sola parola di odio nei confronti degli ebrei, non resta che allargare la definizione di antisemitismo, di modo che includa qualsiasi tipo di critica nei confronti di qualsiasi cosa Israele possa avere mai fatto o possa fare da qui in poi.
Non è nemmeno una novità; che in particolare negli ultimi vent'anni l'etichetta "antisemita" è stata appioppata con tale disinvoltura da perdere ogni pregnanza, come succede alle parole che ci fioriscono troppo spesso sulle labbra. La deriva semantica è andata di pari passo con l'affermarsi della "Definizione operativa di antisemitismo" dell'IHRA. Questa definizione ha una lunga storia, su cui non mi dilungo; diciamo che si tratta di una risposta pseudo-istituzionale a una domanda che durante la Seconda Intifada diventava sempre più pressante: preso atto che l'antisemitismo è sempre e comunque da condannare, cos'è questo antisemitismo? Domanda più che legittima: il problema è che forse non è stata posta alle persone giuste. La Definizione è un pasticcio, non sono il primo a dirlo né il più competente; ma credo sia utile ricordarlo, perché c'è chi continua a impugnarla come se fosse uno strumento affilato e non una pistola di gomma. Qualche giorno fa un radiologo di Toronto ha avvertito l'Albanese che se tentasse di venire in città, potrebbe essere arrestata: e perché? Perché in Canada la Definizione operativa di antisemitismo è legge. E benché gli sia stato prontamente obiettato che no, la Definizione è per definizione "non-legally binding", ormai la pista era tracciata e molti montoni hanno ritenuto necessario accodarsi.
Per aver ricordato a italiani e tedeschi le politiche genocide del loro passato, Francesca Albanese è stata accusata di "holocaust inversion", che non è una mossa speciale in un gioco di ruolo, ma una violazione del penultimo comma della Definizione: quello che ci ricorda che "Fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei Nazisti" è antisemitismo (quindi anche ricordare agli italiani che in passato hanno commesso un genocidio è antisemitismo? Sì, nel momento in cui gli italiani oggi sono alleati degli israeliani. Più che un rapporto di causa-effetto qui siamo alla libera associazione di idee: ogni volta che in una conversazione ti viene in mente l'Olocausto, potresti essere antisemita). Ora devo confessare una cosa.#FrancescaAlbanese is dangerous. And, if her invitation to the University of #Toronto is upheld, I will also be there to explain who she is, why her hatred of #Israel is the new face of #antisemitism, and how, since October 7, she has become a mouthpiece for #Hamas. https://t.co/4GytZzs75B
— Bernard-Henri Lévy (@BHL) October 25, 2024
Per molti anni – troppi – ho cercato di rispettare la Definizione, come se fosse una cosa seria. Mi era sembrata da subito un po' parziale e discutibile, ma credevo che criticarla sarebbe stato controproducente. Pensavo invece che rispettandola io avrei reso le mie critiche a Israele inattaccabili anche dal più parziale degli osservatori. Stavo insomma commettendo l'errore che così spesso rimprovero agli altri: accettare le regole del gioco che mi impone l'avversario, confidando di essere comunque in grado di batterlo, perché? Probabilmente perché mi credevo in possesso di prodigiose capacità dialettiche che avrebbero trionfato contro ogni cattiva fede. L'IHRA mi chiedeva di non paragonare "la politica israeliana contemporanea" a quella dei nazisti? Ok, non l'avrei fatto, in fondo la reductio ad Hitlerum è sempre la mossa di chi ha scarsa immaginazione, scarsa cultura, io invece avrei paragonato Israele a Sparta, toh. (Nello stesso periodo Netanyahu ci informava che l'Olocausto era un piano escogitato dal Gran Muftì di Gerusalemme, un palestinese, anzi il primo palestinese perché sempre secondo Netanyahu i palestinesi negli anni Quaranta non esistevano).
Nota bene: continuo a pensare che il paragone diretto tra Shoah e Nakba sia fuorviante. Non ho intenzione di chiamare nazisti gli israeliani che radono al suolo Libano e Palestina; peraltro credo che ormai non ce ne sia bisogno, le atrocità che commettono sono molto meglio documentate di quelle dei vecchi documentari in bianco e nero. Detto questo no, in coscienza non posso accettare che "Fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei Nazisti" sia antisemitismo. Sarà pessima propaganda, criticabile in quanto tale (come d'altro canto è criticabile chi paragona ai nazisti i combattenti palestinesi), ma vorrei una volta tanto ricordare che l'antisemitismo è, letteralmente, l'odio nei confronti degli ebrei. Gli ebrei sono senz'altro un insieme complesso di persone, che forse elude qualsiasi definizione univoca (una religione, ma anche una comunità laica, in certi periodi un gruppo etnico), ma non possono essere ridotti in buona fede alla "politica israeliana contemporanea" qualsiasi essa sia. Persino se volessimo confondere ebrei e israeliani (e non ci è concesso), ebbene non è mai successo che il 100% degli israeliani approvasse le politiche del governo... e a proposito: perché non ci è concesso confondere ebrei e israeliani?
Perché i due insiemi non coincidono, come dovrebbe essere chiaro a chiunque avesse frequentato la scuola dell'obbligo con profitto; ma anche perché l'ultimo comma della Dichiarazione afferma che "Considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato di Israele" equivale ad antisemitismo. Esatto, i due ultimi comma della Dichiarazione si contraddicono tra loro in modo così palese da farci dubitare che chi li ha messi vicini non abbia semplicemente voluto prendere in giro chiunque tenti di prendere la Dichiarazione sul Serio. Prima ci viene detto che criticare in un certo modo la politica israeliana è antisemitismo; in seguito ci viene ricordato che confondere Israele con gli ebrei è antisemitismo. Ne dobbiamo concludere che siamo tutti antisemiti, compreso chi ha stilato la Dichiarazione; sicuramente chi la prende per oro colato; il che mi induce a dissociarmi, troppo tardi ma meglio che mai (continua).
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