Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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sabato 19 marzo 2016

Senza Pannella (avremmo fatto schifo lo stesso?)

Quando si tratta di parlare di Pannella - e di tenersi possibilmente il peggio per sé - sarei tentato di buttarla sul generazionale, ovvero: sarà anche stato un grande, ma io purtroppo sono arrivato tardi e mi sono beccato gli avanzi. Dite che è stato un grande attivista, un maestro per tutti, e volentieri ci credo (anche se tutti questi grandi discepoli in giro non li vedo, anzi, vedo personaggi spesso orribili e tipicamente trasformisti); io però ho solo fatto in tempo a vedere il vecchio Crono che ingoia il vecchio Partito Radicale con la supercazzola del "partito transnazionale" e lo sostituisce con un comitato intestato a sé stesso. Dite che è stato il protagonista delle grandi lotte civili degli anni Settanta; che senza di lui non ci sarebbe il divorzio, non ci sarebbe l'aborto - io però sono arrivato nel periodo in cui faceva raccogliere firme a macchinetta col risultato di far inceppare lo strumento, il referendum abrogativo.

(Non voglio dire che Pannella sia responsabile dei referendum inutili e dannosi: non ci fosse stato lui, avrebbe cominciato qualcun altro. Il numero di firme richieste dalla legge è evidentemente basso e così ci provano tutti; lui è stato semplicemente uno dei primi a pensare che con qualche centinaia di migliaia di firme avrebbe potuto mettere il cappello su questioni enormi. Funziona tuttora così, anzi, non funziona: prendi quest'ultimo referendum sulle licenze petrolifere. Una questione tecnica, di importanza relativa, spacciata come l'arma finale democratica contro la nostra dipendenza dagli idrocarburi. Il referendum non raggiungerà il quorum, le cose non cambieranno, ma i promotori avranno dimostrato il loro impegno. Il referendum abrogativo è la droga dei movimenti: dà a migliaia di attivisti la sensazione di fare qualcosa, di ottenere qualcosa).

Ma dicevamo di Pannella, insomma: sarà stato un grande ma io sono arrivato tardi e mi sono preso la parte peggiore: i discepoli impresentabili, il trasformismo tattico condotto con cinismo e spregio del ridicolo, i bofonchii incomprensibili, eccetera. Potrei risolverla così e sarebbe un modo per litigare con meno persone. Perché io non è che abbia voglia di litigare sempre con tutti, vero?

Vero?

Però non posso neanche prendervi in giro - e i discorsi generazionali quasi sempre questo sono: immaginose prese in giro, talvolta gradevoli ma sempre un po' offensive. È scontato che negli ultimi trent'anni Pannella abbia dato il peggio di sé. Temo sia un destino, per chi è alla ribalta da tanto tempo. Ma era pur sempre il peggio di Marco Pannella: non qualcosa di radicalmente nuovo. Diciamo una riproposta stanca di vecchi numeri che i nostri genitori forse trovavano geniali, ma avevano la tv in bianco e nero e appena due canali.

L'Espresso
Il solo fatto che ci siano in Italia migliaia di persone convinte che Pannella abbia promosso gli storici referendum sul divorzio e sull'aborto, che cos'è se non la prova della straordinaria capacità del personaggio di imporre la sua visione dei fatti? Ogni volta pazientemente bisognerebbe ricordare che no, il divorzio era già legge e quel referendum, il primo referendum, lo promossero i cattolici per abrogarlo: che Pannella col suo piccolo partito fece campagna per il NO, e la fece certamente con più coraggio dei comunisti di Berlinguer che avevano paura di perdere contatto con parte del loro bacino elettorale.

Pannella non aveva nulla da perdere perché già al tempo non lo votava nessuno; questo gli consentiva più libertà di movimento, ma il solo pensiero che quasi venti milioni di italiani abbiano votato NO perché glielo chiedeva un partito che due anni dopo prese l'1% alle elezioni, ecco: questa è una presa in giro e non è così gradevole. Quanto al referendum del 1981, i radicali lo promossero per abrogare parte della legge 194 (estendendo ad esempio il diritto di abortire anche alle minorenni) - e lo persero. A cosa servì? A dimostrare che i radicali all'aborto ci tenevano davvero, più di tutte le altre forze che avevano lottato in parlamento per ottenere una legge quasi decente. Da questo punto di vista ha funzionato.

Dal punto di vista di Pannella, quasi tutto ha funzionato. Regalare hashish in piazza, in retrospettiva, non ci ha fatto fare molti passi verso la depenalizzazione: in compenso ci ricordiamo tutti di Pannella conciato come Babbo Natale. Di tanti digiuni, che cosa ci è rimasto se non il corpo di Marco Pannella. Nessuno nega la sua importanza. Forse la sua lotta più sincera è stata quella per la personalizzazione della politica: in fondo è stato il primo a mettere il proprio cognome su uno stemmino elettorale, il primo a creare un partito azienda, seppure di dimensioni artigianali. Il primo a dimostrare che si può fare politica anche senza elettori: che ovunque c'è una battaglia per un diritto, lì arrivano le telecamere e c'è la possibilità di attirare l'attenzione, imbavagliandosi se serve; certo, la politica non è solo questo. Qualche risultato bisogna anche portarlo a casa e Pannella è sempre stato molto accorto nell'intestarsi i risultati altrui. Senza di lui avremmo divorziato e abortito lo stesso, più o meno con le stesse difficoltà; forse non avremmo banchetti referendari tutti i sabati in centro, partiti ridotti a liste elettorali stilate da personaggi più o meno carismatici che hanno registrato il marchio e cacciano chi vogliono. Vorrei poter dire che Pannella non è stato soltanto questo, ma onestamente non posso. Diciamo che sono arrivato tardi, e anche voi, se non volete litigare, fate finta di crederci.

martedì 17 novembre 2015

Avevamo il 5% e avevamo ragione

Avevo in bozza la fine del ragionamento sul partito di sinistra del 5%, che questa settimana sembra abbastanza superato (alligna in me almeno il germe dell'ottuso-bravo-cittadino, quello che nei momenti di crisi si stringe alla bandiera e alle istituzioni; al punto che riesco ad apprezzare un buon discorso di Renzi e persino qualche degno intervento di Angelino Alfano; e a sospirare al pensiero che nelle stanze dei bottoni ci siano loro e non altre creature sempre meno antropomorfe).

Una cosa però la voglio buttare giù, visto che in questi giorni è facile andare col ricordo al periodo della guerra al terrore. Bene, se c'è stato un momento, negli ultimi vent'anni, in cui una sinistra minoritaria ha dimostrato di essere utile, se non necessaria, è stato quello. Non eravamo tantissimi, non avevamo necessariamente categorie più raffinate dei neocon che avversavamo; non eravamo eleganti, non sapevamo capitalizzare i successi dei forum sociali e dei cortei no-war. Non eravamo l'avanguardia intellettuale del Paese e non meritavamo senz'altro di conquistare l'egemonia; però avevamo ragione.

Ce lo hanno mostrato i fatti, lo ha ammesso persino il mellifluo Tony Blair. Qualsiasi ingenua analisi postata su un blogghetto amatoriale (che mi costa una certa fatica andarmi a rileggere) sembra comunque illuminata da una spaventosa chiaroveggenza, se solo la paragono alle ciarle che nello stesso periodo facevano sbrodolare alla povera Fallaci. Avevamo ragione sui rischi di destabilizzazione del Medio Oriente, avevamo ragione nel liquidare a sberleffi le ideologie contraddittorie dello scontro di civiltà e dell'esportazione della democrazia; eravamo forse un po' più ingenui quando parlavamo di petrolio, ma almeno avevamo capito che sotto la trama religiosa c'è sempre la cara vecchia economia.

In seguito c'è chi è partito per la tangente; chi aveva troppo fiuto per i retroscena ha iniziato a vedere false flag e scie chimiche; però l'intuizione iniziale era buona, e veniva da un ambiente che conservava gli strumenti per vedere quello che altri non potevano o non volevano vedere, per diplomazia o per interesse o pura e semplice insipienza. Non è che abbia nostalgia di quello spazio e di quel momento (che non è mai riuscito a costituirsi in un partito organizzato, peraltro). Ma credo che molti giovani avrebbero bisogno proprio di un ambito del genere, dove coltivare un sano dubbio post-ideologico e imparare a irridere gli impavidi arruolatori di ogni stazza ed età. Certo, le elezioni non si vincono subito e forse non si vinceranno mai. C'è però anche altro nella vita: e anche il piccolo orgoglio di avere avuto i dubbi giusti e quasi sempre ragione non è da sbatter via. Ci si può costruire qualcosa.

(Vien quasi la vertigine, a pensare quanto ero stupido quando avevo sempre ragione. A me poi piacerebbe anche aver torto ogni tanto, son quel classico Tramaglino a cui piacerebbe annoiare il prossimo raccontando i propri errori di gioventù. Ne avessi fatti un po' di più! e invece quasi niente).

sabato 3 ottobre 2015

Civati e la battaglia sbagliata, o forse no

Il Fatto
In questi giorni mi è capitato di scoprire che un po' nei banchetti di Possibile ci speravo. Non ho collaborato e nemmeno firmato; sono contrario ai referendum abrogativi, sia per principio che per strategia - e però mi sarebbe piaciuto, a questo punto dell'anno, congratularmi con Civati per il risultato insperato, in un bel post in cui comunque avrei rimarcato e misurato la mia distanza. Invece la raccolta è fallita, e a me stranamente dispiace.

Adesso potrei prendermela con un aspirante leader che sbaglia tattica e tempi, si aliena le simpatie di quelli con cui dovrà giocoforza allearsi, consumando le energie preziose dei suoi attivisti. Ma non ci riesco. Un po' perché ho la sensazione di averne già lette diverse, in giro, di analisi di questo tipo - mescolate a sfottò da ultras, del resto la formazione culturale del commentatore politico medio è quella. E un po' perché davvero, che altro poteva fare Civati, se non provarci? Tutto quello che ha fatto fin qui ha una sua logica, che purtroppo non è la logica che ti fa vincere le elezioni, ma pur sempre logica è. Dopo il disastro elettorale del '13 si è ritrovato all'estremità del PD - sullo squarcio vivo del bastimento che affondava. Aveva un senso improvvisarsi pontiere con i grillini, ed era inevitabile che questo lo rendesse inviso ai sacerdoti dell'ortodossia del M5S. Nel frattempo il relitto trovava un nuovo assetto intorno a Renzi, e il suo ex compagno di strada si ritrovava all'estrema sinistra: una posizione inedita per lui, forse mai cercata, ma mantenuta con una certa dignità. Era inevitabile che Civati cercasse di tenere alta la bandiera del dissenso interno, anche se le primarie andarono abbastanza male; era inevitabile che la fuoriuscita del partito, minacciata innumerevoli volte, diventasse una scelta obbligata.

Una volta precipitato nella scena un po' ridicola dei partitini di sinistra - una scena che varrebbe anche il 10%, se finalmente trovasse un progetto serio - che altro poteva fare se non tentare il colpaccio? Le speranze di raccogliere le firme durante l'estate erano senz'altro troppo ottimistiche (tarate probabilmente sulle città, e non sui piccoli centri di cui è fatta l'Italia): l'idea che poi un exploit del genere avrebbe obbligato il governo ad accorpare referendum ed elezioni amministrative era nel caso migliore una pia illusione (nel peggiore, si è abusato della credulità dei volontari). Però davvero, che altro poteva fare? Almeno ha messo fuori i banchetti. Era forse il periodo peggiore dell'anno; i quesiti potevano essere migliori; e il tanto sbandierato entusiasmo di chi ha aderito meritava di cimentarsi con un obiettivo più realistico.

I referendum abrogativi, mediamente, sono un pacco - è come giocare contro il banco, tu ti danni a raccoglier firme e ad autenticarle, poi ti sbatti a far campagna per il Sì, e anche quando vinci, quasi sempre la maggior parte degli italiani non è venuta a votare e quindi in realtà vince il tuo avversario - quello che per tutto il tempo magari è stato lì seduto a non far niente (al limite a controllare che tv e giornali non parlassero troppo di te). In sostanza ci si spezza la schiena per portare legna al proprio avversario. Non è raro sentir citare le Termopili.

Mi dispiace che gli attivisti di Possibile abbiano buttato via tanto tempo ed energia, ma ricordo che se invece fossero riusciti nel loro intento, avrebbero prevedibilmente regalato a Renzi una splendida opportunità per dichiararsi vincitore di una sfida nemmeno combattuta: come fece Berlusconi all'indomani del referendum sull'art. 18 (2003) o i vescovi dopo quello sulla fecondazione assistita (2005). D'altro canto.

D'altro canto prima o poi si andrà a votare - con l'Italicum, ormai - e se Renzi non passa al primo turno, i tanto bistrattati e litigiosi personaggi a sinistra del PD si troveranno in una situazione curiosa. Renzi avrà bisogno dei loro elettori. In quel momento forse scopriremo che non esiste un algoritmo elettorale in grado di eliminare il trasformismo, e che avere mantenuto una posizione, una presenza coerente, un nocciolino duro di adesioni, può renderti un interlocutore privilegiato. In quel momento forse Civati sarà una figura più nitida di altre, e questi due mesi di banchetti gli saranno serviti a qualcosa. Non proprio a combattere Renzi, no, ma comunque a qualcosa. Gli sfottò con cui lo subissano oggi sono pur sempre un attestato di esistenza. Magari un giorno qualcuno se li dovrà rimangiare, in nome di un fronte comune contro il grillismo o il fascio-salvinismo o chissà cos'altro.

Confido che in quel giorno eventuale, Civati non si dimenticherà dei volontari che mandò a combattere la battaglia sbagliata (non parlo di me, io ero al mare).

martedì 7 luglio 2015

Ivan non mangiare tranquillo

La settimana scorsa, mentre eravamo tutti un po' distratti, Ivan Scalfarotto ha deciso di digiunare. Qualcuno lo ha chiamato sciopero della fame, espressione che a lui non piace ("sciopero", in particolare, è un termine che gli ha sempre dato fastidio, persino quando era vicepresidente di un partito che vi aderiva). In un pezzo scritto ieri, ha spiegato più in dettaglio che il digiuno dovrebbe servire a costruire "una consapevolezza, l’inizio di un dibattito un po’ più approfondito di quello a cui abbiamo assistito in questi anni in tema di diritti civili", e che durerà "fino a quando non avremo una certezza sulla data della cessazione di questa grave violazione dei diritti umani che si consuma nel nostro Paese". Per "grave violazione" si intende ovviamente la mancanza, in Italia, di una legislazione sulle unioni civili. Se però a questo punto ci facciamo l'idea che Scalfarotto stia digiunando per ottenere una rapida calendarizzazione del ddl Cirinnà, ebbene, ci sbagliamo. "Il Calendario dei lavori delle Camere è prerogativa dei gruppi parlamentari, la cui autonomia rispetto in modo assoluto. Quello che chiedo è invece che ci sia una presa di coscienza della serietà del problema e del fatto che si tratta di un’assoluta priorità e che, su questa base, mi sia assicurata una data certa entro la quale avremo una legge all’altezza di quella degli altri paesi che hanno già legiferato." C'è scritto così, ognuno si faccia l'idea che preferisce. Quel che ho capito io (e magari mi sbaglio) è che il ddl se la vede male. Non così male da causare le dimissioni del sottosegretario Scalfarotto, ma abbastanza male da portarlo a un gesto clamoroso - almeno nelle intenzioni avrebbe dovuto esserlo; purtroppo eravamo tutti voltati verso la Grecia e c'è da aggiungere che i digiuni sono un mezzo un po' inflazionato, probabilmente per il modo un po' allegro in cui li ha gestiti per troppi anni Pannella.

Questo pezzo era partito per intonare un affettuoso sfottò, "Ivan magna tranquillo", qualcosa del genere. Poi mi è successo qualcosa - forse il caldo - più ci penso e più mi rendo conto che Scalfarotto sta facendo la mossa giusta, delle poche che gli restano a disposizione. Un po' ridicola, e senz'altro la tempistica non lo aiuta, ma l'alternativa è buttarsi a terra e aspettare che l'arbitro conti fino a dieci. Scalfarotto ha già preso una botta abbastanza dura col ddl sull'aggravante omofoba, arenatosi in Senato; ma se lì non c'è la maggioranza per una cosa del genere, non c'è nemmeno per le unioni civili. Il resto - l'ostruzione, gli emendamenti fantasiosi, sono dettagli che Renzi potrebbe spazzar via in un mattino se dalla sua parte avesse i numeri sufficienti. Ce li aveva per la legge elettorale, ce li aveva per la Buona Scuola, ma per le unioni civili non le ha. Su questa cosa mi pare che Alfano e i suoi siano stati chiari sin dall'inizio, e della loro sincerità non c'è da dubitare; al loro elettorato di riferimento, che mal digerisce il loro sostegno a Renzi, cercheranno di rivendersi come i salvatori della famiglia tradizionale. Il ddl non soffre perché un gruppetto di bigotti va in piazza: il ddl soffre perché Renzi non ha una maggioranza senza NCD, e se cercasse la fiducia rischierebbe di perdere anche quella. Questo è tutto quel che importa: non le fiaccolate o le sentinelle, movimenti folkloristici organizzati da battitori liberi che cercano di parassitare la discussione per (ri)costruirsi una carriera politica.

Sull'altro versante è Scalfarotto a giocarsi la sua. Le possibilità di far passare il ddl sono appese a quella filiforme chimera che è il voto trasversale: da qualche parte tra i banchi di M5S e centrodestra dovrebbe trovarsi qualche senatore al passo coi tempi che invece di approfittare della situazione per mandare il governo sotto, dovrebbe vergognarsi perché non abbiamo "una legge all'altezza di quella degli altri paesi". Qualcuno che di fronte al digiuno di Scalfarotto dovrebbe farsi un esame di coscienza. Probabilmente questi senatori non ci sono - non abbastanza - e probabilmente Scalfarotto lo sa meglio di me, ma tanto vale provarci. È una mossa ingenua? Può darsi, ma a questo punto se fossi in lui non me ne verrebbero altre.

Altrettanto ingenuo può sembrare il riferimento all'anomalia italiana - che poi anomalia non è: su questo argomento siamo più vicini ai russi e ai turchi che non ai francesi o agli irlandesi. Cambieremo? Ci evolveremo? È probabile, ma ora come ora siamo in spaventoso controtempo, nell'esatto momento in cui persino a sinistra si riscoprono le identità nazionali contro il moloch europeo. Pensare che l'Italia debba naturalmente seguire l'Irlanda è un'altra affettata ingenuità: là c'è stato un riconoscimento graduale dei diritti degli omosessuali - una gradualità che è ancora rifiutata da parte dell'associazionismo LGBT italiano (a costoro Scalfarotto ha poco da rimproverare: anche lui era molto più oltranzista prima di cominciare a scrivere disegni di legge). Ma soprattutto in Irlanda c'è stata una profonda crisi di credito dell'istituzione cattolica, anche a causa degli scandali enormi scoppiati negli ultimi 20 anni. Nel frattempo in Italia ci troviamo l'enciclica di papa Francesco a puntate sull'Unità - e stavolta non è nemmeno così colpa di Renzi, la fascinazione del centrosinistra per il Vaticano dura dai tempi di Veltroni se non da prima. In una situazione del genere, dopo aver promesso per anni una legge ai suoi, Scalfarotto che può fare? Per adesso digiuna. Ho molte riserve su di lui e soprattutto sul suo renzismo, ma se in politica credo che si debba sempre fare quel che si può con i mezzi a propria disposizione, mi pare che in questo caso Scalfarotto ci stia provando, e che si meriti il mio appoggio. Che purtroppo conta veramente pochissimo - ma anche in questo caso, è l'unica cosa che posso offrire.

lunedì 25 maggio 2015

Podemos e la generazione invisibile (in Italia)

È normale che oggi la sinistra italiana guardi a Podemos, come era normale che guardasse a Syriza ieri; mi chiedo lo stesso se questo affannoso voltarsi qua e là in cerca di modelli vincenti non sia un equivoco. Ieri il futuro doveva arrivare dalla Grecia, oggi dalla Spagna; e se invece fosse già passato, e non ce ne fossimo accorti? Se Podemos e Syriza nascono a sinistra ma attraggono fette di elettorato diverse, profittando di un diffuso sentimento anti-austerity; se mettono in crisi il bipolarismo tradizionale, forse il Podemos italiano c’è già stato, e non è passato così inosservato: era il Movimento Cinque Stelle.

Certo, Grillo non è Iglesias. Il primo viene dalla tv e, moderno San Paolo, una volta convertito alla politica dal basso ha emesso una fatwa contro il satanico strumento che pure lo ha reso un volto noto a tutti. Il secondo viene da quella galassia dei movimenti che 14 anni fa protestava a Genova: ha scritto una tesi sui Disobbedienti e fatto un po’ di carriera accademica mentre si faceva conoscere come conduttore e opinionista in tv. Vista da qua la Spagna sembra un’oasi serena, dove l’accademia non è vista con sospetto, e la tv non seleziona urlatori ma leader intelligenti e affabili. E torniamo all’eterna domanda: cos’è andato storto da Genova in poi? se al governo c’è un venditore di pentole, e all’opposizione un vecchio comico stanco, sarà colpa di quei due o di un’intera generazione che in dieci anni non si è fatta viva con leader, con progetti, con qualcosa?

martedì 24 febbraio 2015

Il referendum che Landini non può vincere

Scava una buca / organizza un referendum. 

Il giorno che in Italia la sinistra conterà di nuovo qualcosa sarà il giorno in cui avrà fatto un po' la pace con sé stessa e il suo passato, anche il più recente e avvilente. Se ci sarà bisogno di un leader - e ce ne sarà bisogno - non verrà dalla Grecia, né dalla magistratura, né dalle colonne di Repubblica. Landini ha le carte in regola più di tanti altri. Dipenderà soprattutto da lui; quel che lascia perplessi è la sua strategia, che - se ho capito bene - passa per un referendum abrogativo contro il Jobs Act.

Può darsi che una campagna referendaria di questo tipo possa risultare utile per compattare quel settore della sinistra che raccoglierà le firme, e magari riconoscerà nell'occasione in Landini il suo punto di riferimento. Se questo è l'obiettivo, perché no. Purché sia chiaro un dettaglio: un referendum del genere lo perdiamo.

Nessuno ha dei dubbi su questo, vero?

Cioè il referendum si organizza per ritrovarsi, riprovare il gusto di stare assieme, magari conoscere qualche faccia nuova e fresca: si fanno i banchetti per raccogliere le firme, ci si prende una giornata per portarle a Montecitorio, poi dopo qualche mese si fa il referendum e si perde. Se il piano è questo, e se nessuno ne ha uno migliore, si può anche procedere. Se invece qualcuno è davvero convinto che un referendum abrogativo sul Jobs Act si possa vincere, ecco, scusate ma io scendo subito, anzi non sono nemmeno salito. Un conducente che vuole farmi fare un giro lungo e tortuoso in mancanza di meglio posso anche accettarlo; ma un conducente ubriaco, grazie, no.

Raccogliere firme è un modo come un altro di riorganizzarsi a livello di base. Grillo per esempio in questo stesso momento sta lavorando a un referendum consultivo sull'Euro - quello potrebbe persino vincerlo, visto che non serve il quorum del 50%+1. Peccato che non sia previsto dalla Costituzione e non serva a niente. Evidentemente l'obiettivo di Grillo non è uscire dall'Euro, ma tenere occupata la base e additare un obiettivo a lungo-medio termine, qualcosa che dia la soddisfazione di un lavoro compiuto: ce l'abbiamo fatta! abbiamo raccolto totmila firme inutili, vittoria! Ai soldati, nei periodi di inerzia, si fanno scavare delle buche che poi si fanno riempire. Le campagne referendarie funzionano un po' nello stesso modo.

Il problema è che un referendum sul Jobs Act non equivale a una fumosa consultazione sull'Euro. Ormai lo sappiamo come funziona, no? Il giorno dopo, quando i giornali riporteranno un quorum sotto il 40%, non potrai uscire e dire ai tuoi attivisti "Vabbe', ci abbiamo provato". O meglio, potrai anche provarci. Ma è facile che nello stesso momento Renzi starà esultando a reti unificate per la grande vittoria del non-voto, secondo una tradizione che data dai primi anni duemila.

Ora vorrei chiedere ai gentili lettori se qualcuno si ricorda del referendum del 2003 sull'articolo 18. Alcuni non votavano ancora, lo so. Altri c'erano, magari hanno pure raccolto firme e si ricordano. La cosa più interessante sarebbe contare quelli che c'erano e non se lo ricordano assolutamente: perché io almeno ho questa sensazione, che tra tanti dimenticabili referendum quello del 2003 sia in assoluto il meglio rimosso dalla memoria collettiva. Lo aveva promosso Rifondazione sull'onda della grande manifestazione CGIL del 23/3/02, anche se il sindacato si era tenuto a prudente distanza (come anche vent'anni prima con il referendum promosso dal PCI sulla scala mobile, perso anche quello). Andarono a votare soltanto il 27,5% degli aventi diritto, non il valore più basso in assoluto (due anni dopo per la fecondazione assistita votò il 25%). Comunque pochi, veramente troppo pochi: dodici milioni. (Qualcuno onestamente ritiene che oggi il Jobs Act chiamerebbe alle urne più gente di quante ne richiamava l'articolo 18 nel 2003? Tra le elezioni del 2001 e del 2013 l'astensione è aumentata del 10%).

D'altro canto Fausto Bertinotti in quell'occasione poteva persino dirsi soddisfatto che su dodici milioni di elettori, dieci avessero votato per abrogare le "norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori". Dieci milioni di elettori Rifondazione se li sognava: l'anno dopo ci furono le europee e ne raccolse due milioni scarsi, un soddisfacente 6%. Ora non voglio dire che coinvolgere gli attivisti in raccolte di firme sia la cosa più onesta da fare, visto che alla fine i referendum sono quasi sempre inutili; però magari se il tuo obiettivo è ricontarti e piantare bandierine su una base un po' più ampia, la cosa può anche funzionare. Va da sé che il Jobs Act resterà dov'è, più saldo che mai (Renzi racconterà che la maggioranza degli italiani lo vuole! Ecco perché non è andata a votare!), ma questo evidentemente non è l'obiettivo primario. Insomma come piano è quel che è, in mancanza di meglio...

Ehi, aspetta.

Forse c'è qualcosa di meglio. (Continua).

lunedì 26 gennaio 2015

Vite parallele

Come molti oggi ricordano, Alex Tsipras nel 2001 avrebbe dovuto partecipare alle proteste contro il vertice G8 di Genova: fu fermato dai carabinieri con tutta la sua delegazione nel porto di Ancona, e si prese pure qualche mazzata. Se fosse riuscito a passare, magari le avrebbe prese insieme a noi, marciando tra gli altri insieme a Francesco Caruso, Luca Casarini, Vittorio Agnoletto: quelli che già ai tempi cominciavamo a chiamare "non leader". Il loro scarso carisma, che li rendeva già allora poco interessanti a buona parte di chi li fiancheggiava, era ai tempi rivendicato come un segno di diversità: beata la rivoluzione che non ha bisogno di eroi.

Ai tempi Tsipras era leader dell'area giovanile di Synapsismos; nel 2004 entra nella segreteria politica. Nello stesso anno Agnoletto diventa europarlamentare con Rifondazione Comunista. Caruso ce ne mette due in più per approdare a Montecitorio, sempre con RC (racconterà di aver seminato piantine proibite nei vasi del cortile). Di Casarini nessuno sembra più parlare, ma nel 2005 la sua area di riferimento era ricomparsa sotto i riflettori nazionali per aver candidato alle primarie del PD un anonimo in passamontagna arcobaleno: il "candidato senza volto". Nel 2006 Tsipras è eletto consigliere comunale ad Atene. Due anni dopo è eletto presidente di Synapsismos: fonda Syriza (che si attesta alle elezioni sotto il 5%) ed entra in parlamento.


In quel 2008 cade il governo Prodi, Napolitano scioglie le camere, e non si sa bene che fine faccia Caruso (anche nel suo curriculum il buco è molto vasto). Pansa, in un libro contro la "casta rossa" scrive che avrebbe lavorato nel Parco del Gran Sasso. In compenso nel 2008 fa parlare di sé Casarini, che pubblica un romanzo con Mondadori! Dell'anno successivo è una sua intervista famosa in cui spiega di aver aperto una partita iva e di simpatizzare con gli imprenditori che fanno disubbidienza fiscale. In quel momento immaginarlo come una scheggia impazzita ormai convergente con la Lega era plausibile.

Nel 2009, intanto, Agnoletto riprova a candidarsi per il parlamento europeo, ma Rifondazione ormai non riesce più a superare la soglia del 4%. Gli va male anche l'anno dopo la campagna per il consiglio regionale lombardo. Nel 2014 ritroviamo Casarini nelle liste dell'Altra Europa con Tsipras, anche lui non eletto. L'ultimo dei non leader italiani ad aver dato notizia di sé è Francesco Caruso, per una cattedra di sociologia affidatagli dall'Università Magna Grecia di Catanzaro. I gradini saliti da Tsipras negli ultimi anni (17% e poi 27% nel 2012, 35% oggi) li sapete.

Tutto questo vuol dire qualcosa? Magari no. Magari se Caruso o Casarini avessero insistito con più serietà sulla propria carriera politica, innestandosi con più convinzione in un partito e mantenendo ferma la barra tra una tempesta e l'altra, magari... non sarebbe successo niente di diverso. La Grecia non è l'Italia, anche se a momenti stavamo per regalarle un sistema elettorale altrettanto demenziale. Quel che posso dire è che il composito mondo di sinistra che per più di un decennio non si è preoccupato di costruire nessun leader credibile ha avuto esattamente quel che desiderava: nessun leader credibile. Se c'è stato forse un momento in Italia per costruire qualcosa di diverso, in quel momento nessuno ha voluto o potuto metterci la faccia. Alla fine ce l'ha messa Beppe Grillo, uno che passava di lì e probabilmente voleva soltanto vendere qualche libro, qualche dvd.

mercoledì 8 ottobre 2014

Come dar ragione alle Sentinelle

Trentino - Corriere delle Alpi, 5 ottobre
È molto difficile immaginare ormai come sarebbe la mia vita senza social network - senz'altro più piena, più soddisfacente, e chissà quanti libri avrei letto in più eccetera - in particolare credo che questa settimana non avrei sentito parlare delle Sentinelle, un gruppo non particolarmente numeroso o interessante di attivisti pro-life e anti-gay, che a quanto pare si ritrova nelle piazze a legger libri. Svanito l'effetto novità, un tipo di manifestazione del genere è destinato a scivolare nelle pagine locali dei quotidiani, dove senz'altro non me lo sarei andato a cercare: e probabilmente a questo punto me le sarei anche dimenticate, le Sentinelle. 

Invece è da sabato che sento soltanto parlare di Sentinelle sui social network, il che è molto interessante dal momento che come tutti tendo a selezionare, più o meno consapevolmente, i contatti che condividono con me informazioni e sensazioni. Chi continua a farmi sapere quanto siano fasciste le Sentinelle, intolleranti le Sentinelle, stupide e ignoranti le Sentinelle, è una persona che più o meno la pensa come me su tante cose. Nello specifico, considera l'aborto un diritto, e il matrimonio pure, e ritiene che finché quest'ultimo non sarà esteso anche ai gay, essi saranno vittima di una grave discriminazione. Io perlomeno la penso così, e così più o meno la pensa la nuvola di contatti che mi circonda sui social. Ed è da tre giorni che gran parte di questi contatti mi sembrano scandalizzati, piccati, in alcuni casi persino arrabbiati, perché un gruppo di attivisti che non la pensa come loro sta manifestando in alcune piazze nel modo più pacifico possibile.

È come se l'abitudine di circondarsi di persone che la pensano come noi ci stesse in un qualche modo disabituando a convivere con un dato di fatto: là fuori c'è un mondo, che molto spesso (quasi sempre) non la pensa come noi. In particolare l'omofobia delle Sentinelle, per quanto penosa, si attesta probabilmente intorno alla media nazionale: che è poi il banale motivo per cui in altri Paesi i gay si sposano tranquillamente da anni, ormai, e da noi i politici fanno ancora un po' di fatica a parlarne. Però con le Sentinelle avviene una curiosa inversione: quando sento parlarne sui social, mi sembra quasi che la minoranza siano loro. Insomma, tutti gli danno addosso. Tutti li prendono in giro. Li trovano ridicoli, irridono le loro fisionomie e i libri che leggono, li paragonano a nazisti o mullah, eccetera. Un'altra caratteristica dei social, proprio perché formano comunità più o meno lasche di individui, sono le dinamiche di branco; non importa quanto siamo in pochi, c'è da qualche parte in rete uno spazio in cui siamo la maggioranza, la pensiamo tutti uguale, e quindi possiamo infierire sulla pecora nera. Con le Sentinelle il meccanismo scatta fin troppo facilmente, anche perché pur muovendo da premesse fasciste e omofobe, ostentano in piazza l'atteggiamento più passivo possibile. Si mettono lì in piedi e leggono un libro (va bene uno qualsiasi). Troppo facile prenderli di mira, no? Appunto. Così facile che basta rifletterci appena un po' per fiutare il trabocchetto. Il tizio che va in piazza, e nemmeno ha uno slogan da comunicare; nemmeno prova a convincerti; si mette lì impalato e sfoglia un libro, che altro sta facendo se non offrirsi proprio al tuo sdegno? E se ti sdegnerai, come in fondo è normale che sia se solo accetti di dargli un po' della tua attenzione, non gli starai per caso facendo un favore?

Si fanno chiamare Sentinelle, ma funzionano da esche: si mettono in mostra affinché li odiamo, e in breve riescono a invertire il quadro. Non sono più espressione di una maggioranza silenziosa omofoba o antiabortista, ma eroici difensori di una minoranza perseguitata, vilipesa, e sbeffeggiata. Poi, sì, restano omofobi; ma con poca fatica sono riusciti a dimostrare che sono gli altri a odiarli: gli altri, la maggioranza succube dell'"egemonia omosex". E per farlo è sufficiente passare una mezza giornata in piedi. Non male per un gruppo né particolarmente numeroso né molto interessante. A volte davvero basta avere l'idea giusta. 

Io credo che irridere i propri avversari non faccia avanzare di un passo la lotta per difendere o estendere i diritti civili, e che insomma la migliore risposta alle Sentinelle sia ignorarle. Non mi stupisce che a Bologna si sia fatto l'esatto opposto: nello stemma ideale dei movimenti bolognesi è ormai iscritto il motto "sbagliamo tutto dal '77". Reagire al loro silenzio con un silenzio incomparabilmente superiore: mi rendo conto quanto sia difficile, nel momento in cui pure io sto buttando giù 5000 battute sull'argomento. Da una parte c'è la loro esigenza di trasformarsi in vittime, dall'altra il nostro bisogno di sentirci più intelligenti, più liberi, ma anche più tosti - avrete fatto caso a come una certa goliardica arroganza sia il vestito di ordinanza in ogni comunità che prenda forma su un forum o un network. Ma insomma questi arrivano coi loro libriccini e le loro idee sceme, in sostanza ti supplicano di detestarli - e noi siamo troppo furbi, troppo splendidi per non cascarci a piedi pari. 

giovedì 24 ottobre 2013

Contro la Ka$ta delle placche tettoniche

Su un sito di petizioni on line è possibile da poche ore combattere una delle piaghe che affligge il nostro pianeta da miliardi di anni, la deriva dei continenti: "Ogni giorno, i continenti si allontanano tra loro. Questo rende più difficoltosa la comunicazione tra le popolazioni, e più dispendiosa l'importazione di tecnologia da Cina e Corea verso l'Italia. Dobbiamo fermare questa degenerazione che appare inarrestabile. Se firmiamo tutti questa petizione, può darsi che Dio ce la mandi buona" Ok, è solo uno scherzo. Da dilettanti. Ma mi è venuta voglia lo stesso di firmare, dopo aver letto l'annuncio del prossimo V-Day, una specie di adunata del Movimento 5 Stelle - salvo che chi lo convoca non è ovviamente il M5S, ma lo staff di Beppe Grillo.

Beppe Grillo non è un dilettante. Nel post in cui invita i suoi lettori incazzati a Genova, ci ricorda le tappe che lo hanno portato convocare la terza vaffa-convention. Ricorda per esempio come "Il secondo [VDay] si tenne a Torino il 25 aprile del 2008 per un'informazione libera senza finanziamenti pubblici e senza l'ingerenza dei partiti. Raccogliemmo 1.400.000 firme. Nessuno ritenne di ascoltare i cittadini". Si dimentica di accennare al fatto che più della metà di quelle firme furono ritenute non valide dalla Corte di Cassazione; un classico quando si pretende di raccoglierle in fretta e furia lontano dalla residenza dei firmatari (ogni firma va verificata presso l'ufficio comunale di residenza). E soprattutto tace sul dettaglio più penoso: le firme richieste da Grillo nel 2008 non avrebbe portato comunque a nessun referendum perché, per legge, non è possibile raccoglierle  nell'anno delle elezioni legislative, e il V2-Day si celebrò proprio dieci giorni dopo le elezioni. Grillo conosceva la legge (continua sull'Unita.it, H1t#202).

Grillo, facciamo qualcosa per la deriva dei continenti?


Grillo conosceva la legge: sapeva benissimo che il lavoro di centinaia di volontari nelle piazze di tutt’Italia non avrebbe portato a nessun esito concreto; sapeva benissimo che stava chiedendo agli italiani una firma inutile. Non erano le firme che gli interessavano, non era il referendum di cui adesso ha smesso di parlare. Grillo voleva soltanto fare incazzare il suo popolo un po’ di più, promettendo qualcosa che l’ordinamento repubblicano non gli poteva consentire; sapendo che tutta la responsabilità per il fallimento della raccolta firme si sarebbe potuta attribuire alle ka$te dei politici cattivi e dei giornalisti faziosi. Una mossa spregiudicata che ci avrebbe dovuto far riflettere sulla sua abilità di demagogo e politico. E invece anche in quell’occasione molti lo liquidarono come un dilettante.
Ma Grillo non è un dilettante. Per questo vorrei rivolgergli una sommessa proposta: al prossimo V-Day, oltre alla lotta contro la finanza o l’euro o gli stipendi di tutti i presentatori Rai che portano ricavi all’azienda, non si potrebbe fare davvero qualcosa di serio contro la deriva dei continenti? Non si può lasciare questa emergenza a quattro gatti on line, ci vuole il know-how di Casaleggio. “Con un unico continente tutto sarà a portata di mano, non ci vorranno né barche né aerei né ponti ma potremmo andare tutti in autostrada da un punto all’altro del mondo senza molta fatica.” Qualcosa per cui vale la pena lottare, io trovo. E che Dio ce la mandi buona… http://leonardo.blogspot.com

domenica 21 luglio 2013

Dal G8 a Grillo

Questo anniversario di Genova casca più del solito a sproposito, e mi trova filo-governativo mio malgrado, senza essermi mai iscritto né all'albo né, ahimè, al libro paga. L'altro giorno un tizio è venuto qui sotto nei commenti a postare un intervento di Wu Ming, chiamandomi "servo organico". Ecco, per esempio, i Wu Ming: loro sono ancora intellettuali non asserviti come dodici anni fa, loro sono ovviamente contro il PD, contro Grillo e tutto il resto: e quindi? Cosa pensano che dovrebbe succedere a questo punto? Voi lo avete capito?

Più in generale lo vorrei chiedere a chi passa di qui e inveisce contro il vergognoso governo di compromesso, e contro il compromesso stesso, chiamandosi fuori: come se ci fosse ancora un fuori. Con tutto il garbo che riesco a simulare: ma insomma, voi cosa proponete esattamente? Elezioni in settembre? Con la stessa legge elettorale? E pensate che ne uscirebbe una situazione molto diversa? Siete sicuri che sarebbe una situazione migliore? Vale la pena di rischiare? Ma insomma che governo vorreste, visto che questo vi fa schifo (e fa schifo anche a me: ma voi ci tenete a comunicare che vi fa schifo di più, vi fa schifo in un modo che non riuscite a tollerare, e questa vostra insofferenza è un valore, mentre la mia sopportazione è evidentemente una colpa). Posso capire i renziani: loro probabilmente credono di poter risolvere la situazione a vantaggio loro e di tutti. Ma non sono tutti renziani, anzi. E quindi: se pensate che il PD si sia definitivamente compromesso, con o senza Renzi, cosa vi aspettate esattamente dalla prossima crisi di governo? L'apocalisse grillina? L'insurrezione delle masse? Volevo chiedervelo perché onestamente non lo so.

E in mezzo a tutto questo casca l'anniversario di Genova, e la sirena suona più lugubre del solito. Ho forse tradito la mia gioventù? Gli ideali per cui bla bla bla? Cambio argomento.

Ai tempi di Genova andavano molto di moda i cosiddetti noir italiani. Anche in ambienti tradizionalmente poco sensibili alla letteratura di genere i polizieschi venivano considerati un modo nuovo e originale di descrivere la realtà italiana. Così fu abbastanza naturale che il G8 di Genova finisse in diversi libri del genere, per lo più nello sfondo: persino Camilleri stava per far dimettere il commissario Montalbano dalla vergogna, eccetera. Ma la scena che più mi è rimasto in mente è in Gorilla blues di Sandrone Dazieri, ambientata durante la manifestazione genovese avvenuta un anno esatto dopo - cioè undici anni fa - e che per me e per molti è un ricordo altrettanto vivido del G8 del 2001.

In quelle pagine, se ricordo bene, il protagonista a un certo punto passa per una stanza dove è riunita una cosa fighissima che si chiama "comitato per l'autodifesa". Questo comitato è fatto di giovani, probabilmente ancora in braghe a vita bassa e canottiera, e sicuramente qualcuno porta i dreadlocks. Ma sono fighissimi. Sì, è difficile spiegare, ma nel 2002 si poteva ancora portare i dreadlocks ed essere fighissimi protagonisti della controcultura. Sono hacker, sono videoreporter, sono persino blogger, sono il futuro della sinistra e dell'Italia. Purtroppo sono soltanto un'invenzione letteraria dell'autore, che li descrive in due paginette e poi porta il Gorilla in un altro posto. Nella nota finale Dazieri stesso vorrà precisare che "non esiste nessun comitato di autodifesa come quello che ho descritto". Però, quando uscì Gorilla blues, i lettori di Dazieri in quel comitato ancora ci credevano. Sapevano che da qualche parte nel movimento di Genova c'era gente veramente in gamba (stavo per scrivere "coi controcoglioni", ma ho un'età), che sapeva maneggiare le nuove tecnologie e capiva molto più in fretta degli altri dove stava andando il mondo. Ci speravano. Ci abbiamo sperato. Proprio come il Gorilla, ogni tanto tra un forum e un corteo transitavamo per ambienti dove c'era gente davanti al monitor o con la videocamera in mano e sembravano veramente cazzuti competenti. E alcuni forse lo erano. Ma se ne sono andati presto. Quel che è rimasto era molto, molto inferiore alle attese. Salvo i Wu Ming.

Loro sono rimasti. Erano bravi, e lo sono ancora. Ma probabilmente non bastavano. Adesso è il 2013 e diventa molto difficile spiegare alla gente che tu per qualche anno hai pensato che Indymedia fosse un progetto interessante, o sei andato dietro a personaggi come Casarini. E in effetti non è così, se ti ricordi bene, se vai a leggere il blog, tu non hai mai espresso sentimenti di cieca fiducia in Casarini: non lo hai mai considerato nel modo in cui i grillini considerano il Beneamato Beppe. A me, e a tanti come me, è capitato di trovarci in coda a un corteo di Casarini perché ritenevamo che in quel corteo ci fosse gente aggiornata, lungimirante, con le informazioni giuste e con le chiavi di lettura giuste. Come i Wu Ming, per dire. Ma forse a parte i Wu Ming non c'era molto, e gli stessi Wu Ming non hanno sempre azzeccato le chiavi di lettura.

Adesso - se ho capito bene - accusano Grillo di avere occupato lo spazio dei "movimenti radicali" (sempre al plurale, come ai vecchi tempi), impadronendosi di alcune parole d'ordine e virando tutto a destra. Hanno l'onestà di riconoscere che non è stato Grillo a uccidere i movimenti (un lento suicidio di massa era già in atto da tempo), ma adesso che c'è lui non si riesce più a trovare lo spazio per ricominciare da capo, che è quello che probabilmente interessa a loro. Ricominciare da capo con altri movimenti radicali. Come negli altri Paesi dove Grillo non c'è, e infatti ci sono i movimenti radicali, e infatti...

...non sta succedendo niente.

Niente o quasi. Magari mi sbaglio, magari mi sembra la bonaccia definitiva e invece è l'occhio del ciclone. Però un paio di anni fa c'erano gli Indignados in Spagna: risultati? Occupy Wall Street: conseguenze? La rivolta turca come va? In Egitto, Piazza Tahrir ha buttato giù il regime, non si può dir di no. Oppure si potrebbe dire che l'esercito ha mollato Mubarak e ha affittato piazza Tahrir. Vedremo. Cosa resta? In Libia e in Siria più che movimenti sembrano bande armate. Forse in Tunisia. Non è un bilancio entusiasmante. Tornando da questa parte del mediterraneo, si fa fatica a immaginare che oggi possa sorgere un movimento di protesta di base non antieuropeo: è un'altra simpatica conseguenza del rigorismo imposto dalla Germania. Ma a un movimento antieuropeo la sinistra starà sempre stretta: è sempre più difficile non lasciar filtrare istanze di destra, tradizionaliste e identitarie. Insomma, è triste dirlo, ma in questa fase i "movimenti" avrebbero virato verso destra anche se non ci fosse stato Grillo. Grillo poi ci ha messo l'organizzazione - quella che i "movimenti" non hanno mai voluto avere, e infatti sono tutti implosi: il M5S ancora no. I Wu Ming "tifano rivolta" nella base del M5S, esprimono l’auspicio che "le contraddizioni si acuiscano ed esplodano", un sintagma così deliziosamente anni '70 che mi ricorda l'ultima volta che ebbi a che fare con dei tizi di Indymedia (mi augurarono che il mio blog esplodesse in virtù delle sue contraddizioni). Forse ritengono che "destra" e "sinistra" nel M5S si possano ancora separare, come l'acqua dall'olio, perché sono due cose diverse che Grillo ha messo assieme per accidente: ma è destino che non vadano assieme. E quindi prima o poi si separeranno, le contraddizioni scoppieranno, e a sinistra sorgerà di nuovo un movimento, anzi tanti movimenti, radicali.

Io non la penso così.
Per quel che conta.

Ma probabilmente mi sono sempre aspettato molto meno dai movimenti. Per esempio: mai pensato che si potesse fare la rivoluzione, armata o no. La tentazione palingenetica, direbbe Bersani, ecco: mai avuta. Per me i movimenti avrebbero dovuto attirare tanta gente, spostare il baricentro dell'opinione pubblica verso sinistra, e soprattutto portare alla ribalta una nuova classe dirigente. Quelle famose persone fighissime, ancora giovani, ma aggiornate, in grado di padroneggiare le nuove tecnologie e di capire prima degli altri dove stavamo andando. Per me i movimenti erano anche e soprattutto un'occasione per trovare queste persone, che una scuola di partito non avrebbe selezionato mai. E un grosso problema del PD è senz'altro la scarsa selezione nelle vecchie scuole di partito. Ma se nel 2001 mi capitava di pensare al futuro, non m'immaginavo un eden bucolico coi piadinari al posto dei MacDonald's. Speravo che nel 2013 in Italia ci sarebbe stato un solido partito di sinistra guidato e sorretto da gente capace e competente che si era fatta le ossa nel Movimento dei Movimenti. Non è andata così.

E in coscienza non credo che sia stata colpa delle vecchie nomenklature dei partiti di sinistra; non credo che sia stato un complotto di D'Alema o Bertinotti per tenere alla larga le menti migliori della mia generazione. Purtroppo temo di non averle mai viste, le menti migliori della mia generazione. Anche quando i partiti imploravano facce nuove, e D'Alema e Bertinotti si stavano pensionando, non si è presentato nessuno. Nel frattempo i movimenti si erano ridotti al lumicino e candidavano alle primarie PD il Candidato Senza Volto. Una pagliacciata che tutto sommato riassume tutta l'inadeguatezza di una generazione, la mia, che non può neanche dire di aver perso come quella di Gaber, perché per perdere bisogna almeno partecipare, metterci la faccia, e noi no.

Abbiamo cominciato a contestare l'idea di leader, non era giusto esprimere un leader (e quindi nessuno sentiva la necessità di sbattersi per conquistarsi una qualche leadership); bastavano i portavoce. Poi anche i portavoce hanno iniziato a mettersi il passamontagna, sia mai che ti scappasse per sbaglio a qualcuno di diventare una faccia nota, magari (brrrr) televisiva. Abbiamo reclamato la disorganizzazione e l'anonimato, e coerentemente siamo scomparsi nel caos. Poi è arrivato Beppe Grillo, e ha rilevato tutto per due lire. Da quel che ho capito i Wu Ming ritengono sia una specie di errore di percorso, nulla che non si possa correggere con molto ottimismo della volontà. Per me no, per me è l'esito naturale di tutto il movimentismo italiano degli anni Zero. I fermenti di destra c'erano già al G8, magari nascosti nell'insalata del banchetto Bio. Matti con i volantini sul signoraggio e le schie chimiche circolavano già La superficialità, la demagogia, la disorganizzazione, erano già presenti e al tempo ci sembravano inevitabili, qualcosa di cui ci saremmo liberati crescendo. Ma non siamo cresciuti, è la nostra tragedia. Io non credo che oggi ci possa essere in Italia un altro movimentismo fuori da quello di Grillo, che riunisce così bene tante cose disparate che erano saltate fuori nel decennio prima. E non è colpa del solo Grillo se il risultato è catastrofico e oggettivamente prolunga la carriera di Berlusconi (e di D'Alema). Il movimentismo era miope e votato all'autolesionismo prima di incontrare Grillo, che non ha fatto che interpretarne le istanze più riconoscibili: morte al compromesso, qualsiasi compromesso. Viva la verità alternativa, qualsiasi sia la fonte, ogni cazzata ha diritto al suo quarto d'ora. Abbasso i complotti, la trilaterale e Bilderberg: quanto se ne parlava su Indymedia ai tempi. Abbasso l'organizzazione, decide tutto un pool di uomini illuminati e fighissimi blogger e videoreporter nel camper di Grillo: e si vota su internet, la prima volta che sentii proporre di votare su internet ero esattamente a Genova, 12 anni fa. Mi dispiace scriverlo, più che a voi dispiaccia leggerlo, ma io da Genova a Grillo vedo una lunga linea abbastanza rettilinea. Poi vabbe', Casarini mi stava più simpatico di Grillo. Ma non molto di più. Indymedia sembrava più interessante di Beppegrillo.it. Ma non molto di più.

E non vedo perché dovrei tifare rivolta, stavolta. Potete anche darmi del servo del potere: siete ottimisti, se pensate che questo straccio di Potere possa ancora pagarsi la servitù. Non penso di dover difendere il governo Letta; penso sia un accrocchio vergognoso; non capisco quale alternativa abbia in mente chi implora la crisi al più presto. Ho una famiglia, un mutuo, queste triviali cose che m'impediscono di unirmi allo spensierato coro del Tanto Peggio Tanto Meglio, di quelli che non vedono l'ora che scoppino le contraddizioni. Per mia esperienza, in Italia le contraddizioni tendono a non scoppiare: trovano un equilibrio e ti prendono per stanchezza. Ovviamente spero di sbagliarmi.

giovedì 30 maggio 2013

E poi?

Prima ti ignorano,
poi ti deridono,
poi ti combattono,
poi vinci!

E poi?

Poi non sai esattamente che fare;
poi combatti quelli che te lo dicono,
poi deridi quelli che non ti ascoltano più,
poi...
poi chissà, adesso vediamo.

giovedì 28 febbraio 2013

No Limits al peggio

Scenari (rigorosamente a caso)


#19. Continuano tutti a discutere Bersani sì / Bersani no, Grillo sì / Grillo no per un mesetto; nel frattempo gli investitori esteri si fanno un'idea della situazione, lo spread schizza a seicento, default, l'Italia esce dall'euro senza neanche bisogno di indire il referendum. Nuove elezioni, vince Berlusconi promettendo più lire per tutti.


#31. Si riuniscono le Camere, Napolitano dà il mandato a Bersani, lui propone un programma di minima al M5S, Grillo col cavolo che accetta: è da anni che dice che PD e PdL sono la stessa cosa, vuole che governino assieme almeno quindici giorni per poi tornare alle urne e stravincere. Cosa che avviene di lì a poco. Entro l'anno il parlamento viene sostituito da un forum gestito dalla Casaleggio che si pianta ogni mezz'ora. I ministri vengono rimpiazzati dai Top Commentator, che risolvono i problemi insultandoli.

#33. Si riuniscono le Camere. Bersani forma un governo, i cinquestelle scelgono di astenersi uscendo dall'aula, purtroppo escono dall'aula anche i berluscones: niente da fare. Ci riprovano col sistema del palo (detto anche "governo di Schrödinger") brevettato da Mau: "I rappresentanti pentastellati se ne stanno vicino alle porte e contano: per ogni pidiellino che non vota uno di loro [entra e] vota contro". Il governo si pianta tre settimane dopo sull'emendamento per pagare la pensione agli esodati rivendendo le traversine del TAV.

#46. Si smette di considerare un interlocutore Grillo - che è un privato cittadino - ci si rivolge direttamente ai 54 senatori e ai 108 deputati eletti dal Movimento 5 Stelle con alcune proposte concrete e abbastanza radicali (dimezzamento dei parlamentari, una pietra sopra il TAV, ecc). Alcuni tentenneranno pubblicamente, Grillo si innervosirà, i media evidenzieranno il paradosso di un partito eletto dal popolo ma nominato da un vertice, le famose contraddizioni scoppieranno, e se 30 senatori ci stanno un governo si fa. Però dura poco e alle elezioni seguenti vince Grillo (non necessariamente il Movimento, sono due cose un po' diverse).

#48. Napolitano dà l'incarico a Grillo. Non sa cosa farsene (non è un negoziatore). Rinuncia quasi subito: elezioni.

#52. Va bene, dice Napolitano, siete una manica di fessi: siccome non posso sciogliervi perché sono entrato nel semestre bianco, mi dimetto io. Alla quindicesima chiamata viene eletto, boh, Roberto Saviano, che prova a fare una cosa creativa: scioglie solo il Senato (non si è mai fatto, ma forse si può). Non serve a niente, vince Grillo o Berlusconi; bisogna sciogliere anche la Camera.

#61. ((c) Thomas): Non si forma nessun governo nuovo: rimane in carica Monti per il disbrigo degli affari correnti, forse è incostituzionale ma in attesa che si pronunci la Corte passano diversi mesi, una specie di stallo alla belga, il tempo di fare ah ah, scusate, stavo dicendo il tempo di fare una nuova legge elettorale che stavolta assicuri, uh, la governabilitàHAHAHAH.

#99. Corsa al Quirinale: Grillo propone Fo, Fo ringrazia e rilancia Petrini, Petrini ci pensa un po' e poi butta lì Margherita Hack, e così da palo in frasca nel giro di una settimana prende sempre più consistenza la candidatura di Amedeo Nazzari.

#104. Berlusconi sale da Napolitano e dice che ci pensa lui. Rivende Balotelli - che ormai il suo dovere l'ha fatto - e col ricavato si compra la Casaleggio Associati.

#105. Uguale alla 104, ma si compra direttamente i 50 senatori che gli servono tra PD montiani e cinquestelle - non fate quella faccia, non avete la minima idea se siano incorruttibili o no; li conoscete appena: molta gente è incorruttibile soltanto perché nessuno le ha mai fatto un prezzo.

#121. Sai che c'è, dice Bersani, mi avete rotto tutti i coglioni, tanto il PD è fottuto comunque, faccio un governo di legislatura con Berlusconi, mi diverto per cinque anni e poi io ad Antigua e voi coi cazzivostri. Gotor affianca immediatamente Greggio a Striscia la Notizia, il Giornale diventa un inserto dell'Unità o viceversa, e via che si va. Renzi passa in clandestinità e fonda il Nuovo Partito Democratico Quello Vero Contro La Ka$ta, che nel 2018 partecipa alle elezioni ma perde perché la gente vuole dei giovani, no le solite facce.

#549. Berlusconi muore. E perché no, capita a tutti almeno una volta nella vita. Un centinaio di senatori pidiellini da un momento all'altro non sa più che ci fa a Palazzo Madama. Decidono di dare un senso alla propria vita appoggiando un esecutivo PD+Monti che rassicura i mercati.  

#745. Nel frattempo al Conclave lo Sprito Santo opta per un italiano, mettiamo Giovanni Battista Re, e nella disperazione collettiva la fumata bianca viene interpretata come un segno divino: la Repubblica si arrende al Papa Re che procede alla nomina dei ministri dello Stato Pontificio (purché giovani, no le solite facce).

#13459. I Maya si erano sbagliati solo di sei mesi, meno male.

venerdì 22 febbraio 2013

Il cattivo, la simpatica e il cialtrone (e tanto fracking)

 Promised Land (Gus Van Sant, 2012).


Matt Damon è il migliore in quello che fa, purtroppo anche stavolta si tratta di raccontare bugie (è incredibile quanti ruoli da bugiardo abbia interpretato, pensateci). Stavolta batte l'anonimo Midwest comprando per un tozzo di pane la terra che la sua Malvagia Compagnia Petrolifera poi frantumerà per estrarne le scisti, per il fracking insomma. Se qualcuno ha qualcosa da dire, lo corrompe. Finché in un paesino sperduto del Sarkazzota non incontra la sua nemesi, il suo Gemello Buono, che ha il sorriso amabile di John Krasinski e rappresenta un'Eroica Associazione Ambientalista. Ma se Matt non è del tutto cattivo, anche John potrebbe non essere del tutto buono... possiamo guardarci cento minuti di Promised Land senza nemmeno accorgerci che, gratta gratta, è proprio lui, il caro vecchio Film Western.

Eppure c'è tutto: il paesino dimenticato da Dio, la Compagnia disposta a tutto per ottenere le terre che gli spettano dai contadini riottosi e ignoranti; i due pistoleri che si fronteggiano – senza pistole, il che non è nemmeno così realistico: considerati i dollari in ballo, qualche pistola dovrebbe pur sparare prima dei titoli di coda, e invece... c'è persino il saloon. Una delle scene più intense è una colluttazione in un saloon, nemmeno Tarantino ci ha provato. C'è la bella del saloon (anche se di giorno fa la prof di scuola media) e indovinate, i due pistoleri se la disputano. È questo il vero film western del 2012/13; Django è troppo meta, e poi è ambientato nel Sud. Promised Land invece non ha nessuna ambizione citazionista; se  racconta la solita vecchia storia di C'era una volta il West o del Petroliere è semplicemente perché questa storia è maledettamente attuale, il petrolio facile sta finendo e le Compagnie stanno realmente comprandosi la terra sotto i piedi dei bifolchi per tentare di spremere qualche succo bituminoso. È l'affare del secolo, ma è anche orribilmente pericoloso e inquinante (continua su +eventi!). Dave Eggers ne approfitta per illustrare il solito conflitto interiore tra soldi e dignità, senza calcare troppo né il bozzetto rurale né la polemica ambientalista (tanto più che nella prima stesura non si parlava di fracking, ma di pale eoliche); a un certo punto poi Krasinski gli ha comprato la sceneggiatura e ci ha lavorato un po' su (Krasinski aveva già interpretato un personaggio di Eggers in Away we go, in Italia ribattezzato American Life); alla fine ci ha messo mano anche Matt Damon che stava per girarlo, ma ha preferito passarlo al sodale Gus Van Sant. In tutti questi passaggi il film potrebbe aver perso un po' di originalità: l'estro visivo di Van Sant compare a sprazzi che appaiono quasi accademici: la sua smodata passione per le Nuche, i bei tempi in cui sognava di fare un film di soli Primi Piani di Nuche (con Elephant ce l'aveva quasi fatta), perché non c'è niente di più espressivo di una Bella Nuca, ecco, quelle cose lì sono ormai alle spalle e dal mio punto di vista è un bene, le nuche mi mettono a disagio. 

Il film in realtà potrebbe meritare una visione per tutt'altro motivo: se condividete l'insana fantasia di avere Frances McDormand come collega di lavoro, ecco, questo è il film in cui l'adorabile Frances divide con Damon il caffè, il film in cui gli guida la macchina perché il biondino è negato col cambio manuale, il film dove gli telefona in camera verso sera per dargli la buonanotte – buttando lì scherzosamente che per lui la sua camera è sempre aperta, e non sai mai fino a che punto eccetera. Ma sul serio, chi non vorrebbe lavorare con Frances McDormand. In teoria è persino un personaggio negativo, il compare del pistolero che ha già definitivamente venduto l'anima e mentre ruba la terra ai bambini borbotta "it's just a job": però è Frances McDormand, il Male non è mai stato così così simpatico, alla mano, così verosimile.

Il finale è davvero interessante. Purtroppo non posso parlarne perché è un finale a sorpresa – e anche la sorpresa, visivamente, si poteva organizzare meglio, ma è un film che si prende pochi rischi. Quindi in questo paragrafo fingerò di parlar d'altro, di politica, mi ricordo per esempio che quando ero tanto giovane le Multinazionali Malvagie nei film e nei libri c'erano già, e c'erano anche già gli Eroici Individui che le contrastavano: erano bravissimi, competentissimi, facevano gli hacker ma questo non significava che sotto la loro Immensa Consapevolezza non brillasse una Specchiata Integrità Morale. Erano i miei eroi, anche se già allora non ero del tutto sicuro che esistessero. Quando andavamo alle manifestazioni contro le Multinazionali Malvagie speravo sempre che ci fossero anche loro da qualche parte, probabilmente stavano riprendendo tutto con la videocamera per mandarlo su Internet – perché loro erano già su Internet, anzi Internet l'avevano inventata loro. E di loro ci si poteva fidare.

Può fare la bella del Saloon finché vuole, tanto la mattina
alle prime ore agli alunni "mostra dei video"
(ha detto proprio così, mi ha trafitto).

Ad anni di distanza, quel poco che ho capito del mondo è che le Multinazionali Malvagie esistono e sono davvero Malvagie. Pensa solo a quel che han combinato nel Golfo del Messico, pensa che potrebbero rifarlo nel Mediterraneo tra un po', pensa che alla fine riuscirebbero a pagare un decimo dei danni che fanno, la spuntano sempre. Magari da piccolo ero ingenuo, ma su di loro avevo ragione. Quello su cui invece mi sbagliavo, purtroppo, era il lato dei Buoni. Non ci sono. Cioè, qualcuno c'è, ma non è così bravo, non è così competente, anzi il più delle volte è un disastro, anche se fa l'hacker molto spesso defaccia la gente sbagliata, e poi quasi sempre si affeziona a qualche teoria del complotto strampalata e diventa paranoico, se non lo era già in partenza. C'è tanto dilettantismo, tanta improvvisazione, tanta cialtroneria: ce ne accorgeremo. Adesso no, adesso è troppo presto, adesso tutti votano il Movimento nella Rete convinti che dietro ci sia della gente che in Rete discute davvero, e condivide conoscenze d'avanguardia: e invece, spero di sbagliarmi, ma in Rete quel poco che c'è davvero è il solito manicomio di complottismi e paranoie. Non so perché debba andare a finire sempre così, perché da una parte ci debbano sempre essere i Malvagi e dall'altra i Cialtroni: probabilmente perché i non-cialtroni se li comprano tutti i Malvagi prima che sviluppino un senso morale. Dopodiché non è detto che debba andare sempre così: dipenderà da noi, da ognuno di noi, il film vuol dirci questo. Ma non riesce a convincere del tutto. E dire che Van Sant ha dimostrato con Milk di sapere come maneggiare argomenti politici per convincerci e commuoverci: forse però perché scatti il meccanismo occorre che GVS sia realmente interessato a quel che succede davanti alla macchina da presa: stavolta non più di tanto.

Promised Land è al Monviso di Cuneo (ore 21) e allo Stella Maris di Alba (21). Buona visione.

domenica 9 settembre 2012

Grillo il Censore

Il non rifiuto di una non leadership.

Siccome il ruolo di Casaleggio nel Movimento5Stelle non si scopre oggi, e il fatto che le stesse Cinque Stelle siano proprietà di Beppe Grillo non è senz'altro una notizia, cerchiamo di allargare un po' il quadro: può darsi che ne salti fuori qualche considerazione più originale. Il M5S non è il primo movimento nato negli anni Zero e cresciuto in Rete anche grazie a un generale sentimento di delusione per la politica tradizionale. Prima ci fu per esempio il Movimento dei Movimenti (qualcuno forse ancora se lo ricorda, i giornalisti ci chiamavano "noglobal"), la Rete di Lilliput, i girotondini. Dopo ci furono ancora i Viola, e l'Onda studentesca, e buoni ultimi i cosiddetti indignados di Occupy. Quanti movimenti. Pure troppi, mi viene istintivo soggiungere. Forse ne sarebbe bastato uno solo, un po' meno instabile, che fosse riuscito a cambiare almeno qualcosa. Ma non è così che funzionano i movimenti. Nascono dal basso, si alimentano con l'entusiasmo, soffrono qualsiasi attrito con la realtà che richieda un minimo di organizzazione, di struttura. Sono perlappunto movimenti: non riescono a star fermi un istante, non è nella loro natura. È anche ingiusto mescolarli nello stesso calderone: ognuno di questi movimenti aveva caratteristiche e rivendicazioni diverse.

Se provo a isolare i tratti comuni a tutti questi movimenti, ne trovo due: l'uso della Rete e il rifiuto della Leadership. La Rete per la verità l'abbiamo usata tutti, negli anni Zero, e non è detto che a usarla meglio siano stati proprio i movimenti (è stato più bravo Obama, ad esempio). Il rifiuto della leadership è un tratto molto più peculiare e interessante. Tutti questi movimenti così diversi (tranne forse i girotondini) hanno tentato in vari modi di eludere il problema. Questa ritrosia ha ispirato episodi grotteschi, come la partecipazione di un "candidato senza nome" alle primarie dell'Unione nel 2005, che avrebbe dovuto (non)rappresentare un'area della sinistra radicale, un'area che trovava scandalosa la sola idea di metterci la faccia, e mandava avanti un tizio incappucciato. La stessa ritrosia ha fatto sì che negli ultimi dieci anni in Italia ci siano stati tanti movimenti ma veramente poche facce nuove. Colpa della Casta, dicono: certo. Ma anche un po' colpa di quei movimenti che le facce preferivano coprirle, prima coi cappucci e poi coi mascheroni di Guy Fawkes. Per dire, il '68 e il gruppettismo successivo qualche leader politico lo sfornarono. I movimenti nati negli ultimi dieci anni sembra che facciano di tutto per scongiurare che la cosa si ripeta. Per quanto diversi in tutto, sono tutti ugualmente pervasi da un'anarcoide insofferenza per ogni cosa che sappia vagamente di delega, di rappresentanza, di democrazia indiretta. E sono tutti rimasti in uno stato nebuloso che dopo un po' li condanna alla dissoluzione. Questa fase finale ha spesso inizio quando nella nebulosa qualcuno comincia a distinguere dei grumi, dei tentativi di organizzarsi in qualcosa di più solido, addirittura degli individui dotati di faccia e nome che cominciano a richiamare l'attenzione dei media e che tendono a comportarsi da portavoce.  La reazione del movimento è una serie di spinte centrifughe che dovrebbero servire a espellere ogni grumo o residuo di struttura, e che spesso hanno ragione del movimento stesso.

Più o meno è sempre andata così, con un'unica, importantissima eccezione: il Movimento 5 Stelle. L'unico nato negli anni Zero che è riuscito a darsi obiettivi misurabili e li ha conseguiti, riuscendo a far eleggere i suoi uomini nelle amministrazioni locali, e dall'anno prossimo in parlamento. Perché il M5S ci è riuscito e gli altri no? Era meglio organizzato? Non sempre. Il meno confuso? Direi proprio di no. Quello con la base più ampia? Il movimento pacifista contro la guerra in Iraq ne aveva una ancora più ampia. Il M5S è riuscito a darsi una vera forma perché, alla fine della fiera, ha una leadership che tutti riconoscono. È una curiosa forma di leadership recalcitrante, però alla fine c'è, e tanto basta. Grillo e Casaleggio sono stati bravi. Sin da subito hanno messo per iscritto regole che impediscono a Grillo, la figura carismatica, di candidarsi a qualsiasi carica. E ci siamo cascati, perché siamo italiani, e l'unico dittatore che abbiamo avuto aveva ottenuto un incarico di Presidente del Consiglio. Se fossimo un Paese ex sovietico, per dire, sarebbe più facile per noi ricordare che il segretario di un soviet può avere più potere del presidente nominale della repubblica. Io resto convinto che Grillo non si candiderà mai: chi glielo fa fare? Il ruolo di predicatore che si è ritagliato gli è molto più congeniale. Ma non bisogna trascurare un'altra carica che si è assunto (assieme a Casaleggio): quella che nell'antica repubblica Romana spettava ai censori. Grillo possiede le cinque stelle, non ne ha mai fatto mistero: spetta a lui e solo a lui decidere chi se le merita e chi no, chi è dentro e chi è fuori. Non è probabilmente l'idea di democrazia diretta che avevate voi, ma rispetto a modelli più perfetti ha il grosso vantaggio di funzionare. Magari nei prossimi mesi ci saranno spinte e controspinte, ribellioni e scissioni. Ma alla fine di tutto, da una parte starà magari un abbozzo di classe dirigente senza partito; dall'altra Grillo, Casaleggio, il loro blog, e quasi tutti i loro elettori. Elettori che in maggioranza non votano 5 stelle per le proposte varate nei MeetUp (il cui funzionamento resta alquanto farraginoso), o perché hanno partecipato ad assemblee aperte al pubblico. Votano 5 stelle perché quelle 5 stelle le mette Grillo, e di Beppe Grillo si fidano. Sì, alcuni di loro qualche anno fa si fidavano di Berlusconi o di Veltroni, o di altri ancora. Per la verità anch'io, quando voto, decido di fidarmi di qualcuno. A volte mi sbaglio, altre no, ma è l'unica difettosissima democrazia che funzioni. Si chiama democrazia indiretta, e il M5S ne fa parte, anche se finge di no. Se non ne facesse parte, si sarebbe dissolto nella stessa nebbia in cui si è dissolto tutto il resto.

lunedì 17 ottobre 2011

La guerriglia prevedibile

(Fermo così, sei perfetto).


D'altro canto chi poteva aspettarsi che una manifestazione al di sopra delle parti e dei partiti rigorosamente spontanea senza leader e senza servizio d'ordine potesse andare a finire con della gente vestita di nero e organizzata non si capisce da chi e da cosa che brucia le macchine e scrive sui muri e la polizia invece di fermarli carica la povera gente che non se lo poteva aspettare? Chi se lo poteva aspettare?
Mah, per esempio, tutti. La non imprevedibile vittoria dei Caschi Neri (H1t#95) è sull'Unità, e si commenta là. Venite senza casco.

Anche a me è capitato, come a tanti, di restare sbalordito di fronte alle immagini che sabato arrivavano da Roma. E però dopo un po' che guardavo caschi neri e camionette in fiamme mi sono chiesto: ma di cosa oso stupirmi, ancora? Non avrei dovuto aspettarmi tutto questo? Non è lo stesso copione delle marce in Val di Susa, non sono successe cose simili il 14 dicembre, per tacere del g8 di Genova, dopo il quale davvero non dovrei più essere autorizzato a stupirmi di niente? Non è in fondo il solito compitino sulla traccia impartita da Francesco Cossiga (“lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città...”)? No, io non credo di avere il diritto di stupirmi, e non credo che ce l'abbiano i manifestanti del movimento. Che rinasce ormai più volte all'anno con nomi e rivendicazioni diverse, dall'onda viola agli indignados, e ogni volta fa marcare la sua distanza da quello che c'era prima, e dai partiti e dai sindacati, e insomma rivendica il suo diritto a rinascere mondo di ogni peccato e inconsapevole di ogni dinamica di piazza – salvo poi inorridire davanti a disordini e situazioni che chiunque ha frequentato la piazza negli ultimi anni purtroppo non può fingere di non conoscere. E mentre rinasce vergine ogni sei mesi, i parassiti devastatori in casco nero si presentano a ogni appuntamento più organizzati e professionali. Alla fine non dovrebbe davvero sorprenderci se sono loro a prendersi le prime pagine. In fondo se le meritano, sono gli unici che hanno memoria e sanno imparare dai loro errori.

Tra sei mesi, quando soltanto qualche automobilista danneggiato si ricorderà più dei fatti di Roma, e le condanne o le assoluzioni per devastazione e saccheggio finiranno a pagina venti, è facile immaginare che sorgerà un nuovo movimento su facebook o altrove, che difenderà giustissime istanze e sacrosantissime recriminazioni colpevolmente fino a quel momento ignorate eccetera. I leader saranno ovviamente facce nuove, che rifiutano la vecchia politica dei partiti e la vecchia gestione della piazza dei sindacati. Resta da vedere se anche loro commetteranno l'errore di accogliere, nella propria piazza, dietro ai propri slogan, chiunque vorrà venire, pur di far numero. Perché l'errore sta tutto lì. Gli indignados avrebbero potuto mantenere un'identità forte, una piattaforma precisa, e puntare più sull'ostinazione che sul numero: come i loro ispiratori di Wall Street, o gli egiziani di piazza Tahrir che prima di essere migliaia furono centinaia. Ma in Italia non si fa così. In Italia prima si rimarca la distanza tra partiti e associazioni; e poi si fa entrare allegramente chiunque, pazienza se hanno il casco. I dieci anni da Genova avrebbero potuto insegnarci qualcosa, ma noi ci ostiniamo a rinascere tutti gli anni dimentichi degli errori dei padri, o dei fratelli maggiori, o di noi stessi quando invece di essere indignados eravamo noglobal o qualcos'altro.

Nel frattempo Libero e il Giornale festeggiano con la stessa, identica prima pagina. Ieri, come un anno fa, le immagini di Roma in fiamme soccorrono Berlusconi proprio quando ha bisogno di mostrare che l'unica alternativa a sé stesso è il caos. Ora, tagliamo corta la dietrologia. Il metodo Cossiga è pur sempre un metodo, che per essere applicato necessita di risorse e intelligenze, ed è lecito a questo punto domandarsi se al Viminale queste risorse, queste intelligenze ci siano. Ed è pure vero che i tagli hanno colpito anche le forze dell'ordine.

Però non potete venirci a raccontare che gli stessi organi di polizia che riescono ad arrestare boss di mafia e camorra non siano in grado di capire chi siano i caschi neri né quando e dove colpiranno. Va bene, non sono tutti ragazzini; non sono tutti di estrema destra; non sono tutti ultras; non sono tutti dei centri sociali. Ma sono tutti lì. Comunicano con sms e forum, mica pizzini. Non dovrebbero essere così difficili da intercettare o infiltrare. Allora i casi sono due: o li avete intercettati, e magari infiltrati, dando loro una mano a devastare il devastabile; o avete deciso di non intercettarli e infiltrarli, permettendo loro di devastare il devastabile.

Non so quale delle due prospettive mi piaccia meno, ma entrambe portano alla stessa conseguenza: questa è la devastazione che serviva al governo per tenersi in sella e dissodare l'imminente campagna elettorale, questa è la devastazione che i caschi neri prontamente gli hanno servito, questa è la devastazione che le forze dell'ordine si sono ben guardate dal reprimere, contentandosi come sempre di sparare fumogeni e manganellare un po' a casaccio. Tutto stupefacente, se non fosse già successo fin troppe volte. E può darsi perfino che succeda ancora, ma per favore, che nessuno si senta più sbalordito da qui in poi.http://leonardo.blogspot.com

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