Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.
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giovedì 13 giugno 2024

Ma dove l'avete pescato Vannacci


Se vogliamo poi parlare di Vannacci, forse questo è il momento. Io finché c'era il benché remoto rischio di fargli un po' di campagna elettorale gratis, mi rifiutavo anche di nominarlo. E non è che abbia molto da dire su un personaggio tutto sommato abbastanza lineare. Segnalo soltanto una cosa che ritengo divertente: Vannacci sfondò sui giornali l'estate scorsa, quando un libretto pubblicato a sue spese si ritrovò per primo in una classifica. Qualche mese prima (aprile 2023), io scrivevo questa cosa:

La coincidenza dell'agonia di Berlusconi con la fusione mentale di Calenda mi induce a una riflessione: e adesso cosa s'inventeranno, Loro?

Per "loro" intendo un soggetto forse troppo vago – diciamo quel ventre molle culturalmente un po' succube di una classe proprietaria che ha ancora in mano due o tre giornali a diffusione nazionale, insomma quel blocco sociale che una volta chiamavamo maggioranza silenziosa salvo che in Italia ha dimostrato più volte un'incredibile creatività, ma esclusivamente nei momenti in cui una specie di sinistra anche solo in vago odore di socialdemocrazia sembra potersi aggiudicare uno straccio di maggioranza in parlamento. Siccome la Storia ha la tendenza a ripetersi in farsa, la prima occorrenza di questa creatività è l'unica davvero tragica: la marcia su Roma del 1922, un giornalista a capo di un gruppo di picchiatori che all'improvviso diventa la soluzione a tutti i problemi, compresa un'insurrezione bolscevica che almeno in quel caso non era del tutto implausibile.

Settant'anni più tardi, a muro di Berlino crollato, la minima possibilità che il PDS di Occhetto possa vincere un'elezione trasforma un palazzinaro che sta occupando abusivamente delle frequenza televisive nel Cavaliere che salverà l'Italia dal comunismo.   

Il tizio in effetti i mezzi mediatici per imporsi nell'immaginario degli italiani ce li ha, ma quando si trova al governo non ha la minima idea di cosa fare. Non importa, perché all'orizzonte c'è già la soluzione, ancora più assurda: un movimento di popolo orgogliosamente antipolitico capitanato da un ex comico televisivo. 

Pure lui riesce a mandare la sinistra a casa in diretta streaming; pure lui non sa poi cosa combinare, e quindi che si fa? A quel punto si punta su personaggetti raccattati: prima Renzi, poi questo Calenda, che non si capisce se siano emotivamente instabili in partenza o lo diventino una volta messi sotto luci di riflettori che, è evidente, sono un po' troppo forti per loro. Ma a questo punto insomma Renzi è una barzelletta, Calenda una mina vagante, cosa s'inventeranno stavolta? Da dove lo possono pigliare? Fabrizio Corona è a piede libero? Morgan come sta, è andata bene la trasmissione? Olindo e Rosa sono ancora al gabbio? No così, sto pensando ad alta voce.

Che dire: alla fine Olindo e Rosa sono rimasti al gabbio, Morgan tutto sommato se la cava, anche Corona aveva da fare, vai con l'ufficiale in congedo. Ma capite che siamo al raschio del barile. La scarsa affluenza alle urne è un problema di casting, come all'Isola dei Famosi dove non diventano più famosi neanche dopo esserci andati. E ora? Donne barbute, nani proiettile? Avessi un circo, comincerei a rifletterci.

giovedì 18 maggio 2023

Siamo tutti Salvini (e sprofondiamo)


Che Salvini troppo spesso twitti prima di pensare non lo scopriamo oggi – certo, un ministro che riesce a mettere insieme il Milan e una calamità naturale nello stesso messaggino segna comunque un record, qualcosa che vale la pena appuntarsi, anche solo per evitare che i posteri liquidino l'episodio come una leggenda: no, Maria Antonietta non disse mai quella cosa delle brioches ma sì, Salvini disse quella cosa del Milan. 

E potremmo andare avanti ancora un poco a prendercela con lui. Certo, potrebbe essere interpretato come un espediente per distogliere l'attenzione dalle responsabilità di una classe dirigente locale e sul suo ormai ottantennale modello di sviluppo, che in soldoni consisteva nel cementificare una palude sperando che andasse tutto bene. Non andrà tutto bene. Facile dirlo oggi – ma si poteva dire con una certa sicurezza vent'anni fa, e c'è invece ancora chi non vuole ammetterlo. Del resto in Emilia-Romagna lo sappiamo, sensibilità green e speculazione sui lotti edificabili vanno a braccetto, e Salvini non c'entra un granché: parliamo dell'avvoltoio che viene a vedere se nella catastrofe c'è qualcosa da guadagnarci, non dell'istrice che la catastrofe l'ha pazientemente scavata. 

Siccome comunque Salvini la gogna se la merita (non fosse altro perché dopo una settimana di alluvioni il governo non ha ancora varato lo stato di emergenza), propongo di farne almeno una figura sacrificale; di riconoscere nella sua colpa quella di tutti noi. Siamo tutti Salvini – certo, nessuno è Salvini quanto lui, ma siamo tutti un po' Salvini, ogni volta che commentiamo il disastro del giorno con una botta di benpensantismo e un colpetto di benaltrismo. Siamo tutti Salvini, sempre alla ricerca del primo facile colpevole, anche se non ci crediamo neanche noi: ma abbiamo un profilo pubblico, insomma non possiamo mica far finta di niente anche se non abbiamo niente da dire; vogliamo semplicemente far notare che ci siamo, ci preoccupiamo, invece di pensare ai fatti nostri o al Milan.  

Siamo tutti Salvini, nel senso che l'apocalisse ci troverà in mutande sul divano e contrariati perché insomma, certo, il settimo sigillo e i quattro cavalieri e tutto il resto, ma noi volevamo sapere chi vinceva la Champions. Siamo spettatori, da che siamo nati; da quando c'è internet siamo pure commentatori; di qualsiasi cosa succeda ci piacerebbe trovare un colpevole alla svelta, che sia un istrice o uno speculatore edilizio; così possiamo cambiare canale rapidamente e trovare un'altra cosa più interessante, le alluvioni non sono così interessanti. Siamo tutti Salvini perché, in definitiva, non tolleriamo che il mondo cambi. Benché il mondo cambi da sempre, e molti di noi vivano e lavorino da sempre immersi nelle correnti di questo movimento: lo stesso Salvini, in epoche più stabili si sarebbe ritrovato commesso viaggiatore. Proprio perché tutto cambia, in modi che per lo più non ci piacciono, S. si è ritrovato bello pronto il suo prodotto da smerciare, il suo malcontento quotidiano da assecondare. 

Siamo tutti Salvini ogni volta che ci guardiamo indietro come se indietro ci fosse un equilibrio che pensiamo di aver perso, un'età dell'oro che non tornerà mai, probabilmente a causa di un complotto di persone malvagie che ce l'hanno esattamente con noi. Siamo tutti Salvini, pronti a puntare il dito, verso chi? Non è così importante: l'essenziale è puntare, catalizzare l'attenzione e spostarla in un punto X che può cambiare a piacere – Putin può diventare in pochi mesi da alfiere dei valori tradizionali a orco assassino nemico dell'occidente. L'importante è puntare, magari non essere i primi a estrarre il dito perché poi tocca a te scegliere l'obiettivo e se non trovi il più adatto al momento rischi una brutta figura. Ma se calcoli bene i tempi, se sfoderi l'indice né troppo svelto né troppo tardi, qualche altro intorno a te ti avrà già suggerito una direzione, un obiettivo: a questo punto basta imitarlo, qualcun altro lo sta già imitando, e se in tanti puntano verso lo stesso obiettivo un motivo ci sarà: fino a quella volta, che prima o poi ci capita, quella volta in cui ti accorgi che tocca te, è su di te che stiamo tutti puntando. 

martedì 19 gennaio 2021

Non resta che sperare in Di Maio (rendetevi conto)

Questa crisi politica mi trova dell'umore meno adatto a interessarmene. In teoria non sono di quelli autorizzati a sentirsi nauseati da una conta parlamentare. Prima dell'emergenza ero un fiero parlamentarista; lo sarò anche quando e se l'emergenza finirà: invece uno che parlamentarista non era è Matteo Renzi. Anch'io trovo beffardo che si sia messo a giocare all'ago della bilancia con un partitino, come qualsiasi democristiano post-diaspora che ha sempre finto di non essere; la beffa però mi sembra la stia facendo lui a me. Certo, lui è sempre lo stesso narciso che scalpita per l'attenzione (e per amministrare qualche fondo europeo), ma io? Lui è inquieto, lo sarà sempre finché non tornerà sotto il riflettore più importante (quindi lo sarà sempre), ma io invece perché sono così tranquillo? Davvero credo che il Conte 2 sia il migliore dei governi possibili? Davvero sono così stanco e sfibrato da non notare l'incompetenza generalizzata, i disastri, l'irresponsabilità?

Probabilmente sì.

Uno sguardo ardito e fiero che rincorre l'Aldilà

Non so neanche per chi voterò – no, stavolta è peggio: stavolta non m'interessa. Parto da una constatazione: il partito in cui bene o male mi riconosco (più male che bene) è sempre stato il PD. L'ho votato da quando esiste – 2008 – e non ha mai vinto le elezioni. Anzi, ha sempre perso. Nonostante questo ha governato il Paese quasi per un decennio. Sul serio. 

È rientrato nelle stanze dei bottoni col governo Monti (2011), il che ha portato la segreteria Bersani al disastro delle elezioni del 2013. Disastro che non gli ha impedito di mantenere il ruolo di primo partito nella maggioranza che ha sostenuto il governo Letta, il governo Renzi (2014) e il governo Gentiloni (2016). Al termine della legislatura, intaccato da una scissione a sinistra e consegnato dalle primarie a un leader ormai percepito come fallimentare, è sceso alle elezioni del '17 per la prima volta sotto il 20%, una batosta insopportabile per il partito che deteneva l'eredità morale dei due grandi partiti di massa del secondo Novecento. Ciononostante, e malgrado una seconda scissione, non gli è riuscito di stare lontano dal governo che per quindici mesi, gli unici quindici mesi in tutto il decennio 2011-2020 in cui il PD non ha dato alcun contributo al governo del Paese. Sono stati anche i quindici mesi più inquietanti della nostra storia recente, e il solo spettro di un secondo avvento di Salvini dovrebbe terrorizzarmi e spingermi a sostenere qualsiasi alternativa, un monocolore Di Maio, un governo tecnico Pippo Baudo. Ma ecco, ci credo davvero? A Salvini interessa così tanto governare? Mi pare che quanto gli interessi lo dimostrò ampiamente nell'estate del '19. E per quanto si sia attribuita la sua scelta alla tipica ebrezza del Papeete, è abbastanza plausibile che in quel caso Salvini abbia fatto una delle scelte più lucide e razionali della sua vita, ovvero mollare ogni responsabilità quando era ancora giovane e credibile, e in grado di riprendere l'unico mestiere che ha fatto in tutta la sua vita: l'oppositore da fiera, da agitarmi davanti ogni volta che non ho tanta voglia di votare l'ordine e la responsabilità.

Rispettoso, lusinghiero, il giudizio che si dà

Con questo non voglio dire che il sovranismo non sia ancora un pericolo concreto, ma tutti gli avvenimenti importanti del 2020 lo hanno oggettivamente ridimensionato: la Brexit non è un paradiso in terra, la pandemia non è che la prima emergenza planetaria che dimostrerà nei prossimi anni quanto siano anacronistiche e scomode le frontiere europee. Forse siamo in quella fase della partita in cui il pezzo più importante è già stato mangiato (magari era Trump) e il resto del gioco è un dettaglio. Anzi è possibile che i sovranisti in Italia e in Europa abbiano appena iniziato a formare quel partito di massa che nei prossimi anni si opporrà al partito della responsabilità e della pianificazione emergenziale; la massa c'è e non chiede ai suoi leader che parole di speranza, o al limite teorie del complotto immaginose e interessanti. 

Questa cosa Salvini la sa, Meloni la sa, e forse entrambi nel loro segreto tremano di fronte all'enorme responsabilità di guidare un popolo nel deserto. Perché di questo si tratta: di governare no, governare nei prossimi anni sarà complicato e faticoso. Il massimo contributo che possono dare è impugnare la fiaccola del sovranismo, tener buona la loro gente al calore di una speranza di rivoluzione che non si realizzerà mai – più o meno quel che fecero i quadri del PCI nel secondo dopoguerra, con qualche regione in più da gestire, che poi son carriere, affari, butta via. Governare però no: poi bisognerebbe una volta buona spiegare agli elettori se si esce dall'Euro o si resta dentro, se si è con Putin o con Biden, coi novax o coi nocovid, tutte partite ormai decise anche se i tavoli sono ancora ufficialmente aperti. Governare si è già capito che non vogliono e non possono. Quindi governeranno gli altri. Cioè?

Il PD?

Ma cos'è il PD ormai?

Pensate a quanti pezzi ha perso lungo il percorso – era il partito dell'area Prodi, per prima cosa mandò all'aria l'ultimo governo Prodi. Lo fondò Veltroni, uno dei risultati più concreti che raggiunse fu la fine politica di Veltroni (un risultato molto importante, sottolineo, anche dal punto di vista letterario, cinematografico, musicale). Era il partito di Bersani, che ci ha messo anche un po' ad andarsene; poi è stato il partito di Renzi, schizzato fuori pure lui. Al termine di tutte queste scremature, quel che rimane è un partito tranquillo, senza personalità di spicco; verrebbe da dire senza personalità e basta. Lo dirige un amministratore di regione, nel suo tempo libero: in questo periodo non deve averne molto. Si dà per scontato che sia composto da personaggi responsabili, e si chiude un occhio quando si mostrano non molto più avveduti degli altri. È insomma il partito adatto a quel tipo di maggioranza silenziosa che si forma alla fine della crisi, quando la gente è stanca di avventure: come gli elettori della Democrazia Cristiana dal 1948 al 1988. Può darsi che la situazione sia simile: che dopo aver provato Berlusconi, e Renzi, e Grillo, cominci a subentrare una certa stanchezza, una voglia di affidarsi non tanto all'uomo forte e neanche all'uomo competente, ma almeno tranquillo, in grado di dimostrare un minimo di serietà o almeno di simularla. Cosa che riesce più semplice se all'opposizione si rinchiudono in quel castello telematico di illusioni che Facebook, Amazon e Google stanno cominciando a smantellare, non un attimo prima di vedere come andava a finire Trump. Insomma i giochi sono abbastanza fatti, ognuno ha il suo ruolo, chi rimane fuori? Ah giusto.


I Cinque Stelle.

Ecco, vorrei dire che i Cinque Stelle sono la mia unica vera speranza, ma senza essere frainteso. Come amministratori sono stati disastrosi (ho in mente il mio ministro in particolare), né ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da un partito che dell'incompetenza si faceva bandiera. Bisogna dire che la pandemia ha messo in crisi molto più la loro piattaforma che quella dei sovranisti. Erano il rifugio dei NoVax, ora la gente fa carte false per vaccinarsi: ma non è solo quello. Dovevano mandare a casa i politici (e l'hanno fatto), e ora si trovano al loro posto, costretti loro malgrado a fare politica. Non si può dire che ci stiano riuscendo: sinceramente, non si può. Ma alcuni a questo punto potrebbero farcela, e questa è l'unico margine di speranza che in questo momento riesco a intravedere. Da Salvini e Meloni so cosa aspettarmi: tanto fumo sovranista e postfascista che gli adepti inaleranno voluttuosamente, nella speranza che dia più torpore che nervosismo; dal gruppo Mediaset so cosa aspettarmi, anche oltre l'estinzione fisica del suo fondatore (un supporto mediatico ai sovranisti fin tanto che si tratta di tenerli incollati al televisore durante le pubblicità di dentiere e pannoloni, che si eclisserà parzialmente nei momenti di crisi, proprio come la Fox è mancata a Trump nel vero momento del bisogno). Dal PD so cosa aspettarmi: tanta pacata affettazione di competenza, sostenuta da quotidiani autorevoli che non legge più nessuno, stampati da industriali che in Italia non producono più quasi niente, ormai se ci spiegano come stare al mondo è davvero per uno stimolo disinteressato, un capriccio. Da Renzi so cosa aspettarmi: cercherà di attirare l'attenzione su di sé, prestandosi a maneggi vari senza nemmeno accorgersene, insomma era partito Kennedy ed è finito Pannella. Dalla sinistra extraparlamentare, in cui ideologicamente pure mi riconosco, so cosa aspettarmi: tante velleità, e mi dispiace. 

Da Di Maio, ecco, no. Non so veramente cosa farà, non so chi lo voterà e che motivi troverà per farlo. Di Maio (e i suoi compari) sono l'unica variabile che può cambiare davvero la situazione. Possono tentare di ricorrere Salvini sui terreni del sovranismo e perfezionare qualche nuova variante complottista: ma non è soltanto una strada perdente, è l'imitazione di una strada perdente. Oppure possono restare dove non avrebbero dovuto e voluto trovarsi: al governo, e crescere, alla ricerca di una via credibile tra populismo e democrazia. Questa via credibile, prima della pandemia non esisteva: ora la situazione è parecchio cambiata e nei prossimi anni cambierà ancora di più. Insomma dipende quasi tutto da loro, sono il vero ago della bilancia e sono dei maledetti incapaci – ma non sarebbero arrivati lì se non lo fossero stati – e proprio perché maledettamente incapaci, hanno enormi margini di miglioramento. Dopotutto it can't get much worse.

Mi accorgo che questo discorso – tirato in lungo apposta per allontanare il più possibile dei lettori dalla avvilente conclusione – sembra il tentativo disperato di vedere un bicchiere mezzo vuoto dove da un pezzo non c'è più non dico l'acqua, ma il bicchiere stesso; oppure il gesto disperato di chi trovandosi in un tunnel completamente buio, si strizzasse gli occhi per procurarsi qualche fotopsia e dirsi ecco, lo sapevo che c'è una luce in fondo. Scusate, questa crisi mi trova davvero nell'umore meno adatto.

sabato 29 febbraio 2020

Alla fiera dell'est, per 2 ¥

"..."
"Resisti".
"Non ce la faccio".
"Invece sì".
"Sei un adulto".
"Ma è troppo..."
"Una persona rispettabile".
"Mi scappa".
"Hai una dignità".
"LO SAPETE PERCHÉ ZAIA HA PAURA CHE GLI MANGINO I TOPI???"
"Me ne vado addio".
"PERCHÉ POI NON SA COME INGRASSARE IL GATTO AHAHAH".
"Non ci siamo mai conosciuti".


https://www.facebook.com/zaiaufficiale/photos/a.172472189621371/1048409992027582/?type=3&theater

sabato 1 febbraio 2020

Anche Salvini, a Gerusalemme?

[Questo pezzo ci ha messo un po', ma alla fine è uscito su TheVision]. Salvini è un troll. Qualsiasi cosa faccia, la fa per provocare una reazione, possibilmente rabbiosa o scandalizzata. Non è senz'altro il primo a portare nella politica l'antica arte della provocazione; però maestri come Berlusconi e Bossi praticavano il trolling per arrivare a un risultato – attirare l'attenzione, certo, ma anche innervosire gli avversari e lasciarli autoridicolizzarsi con reazioni scomposte. Salvini è un passo oltre: dai maestri ha appreso l'arte ma non il senso; e oggi che ha il campo libero, lo vediamo trollare non tanto per imporre un'agenda politica, ma piuttosto imporre un'agenda politica che gli permetta di trollare.

Questo andrebbe premesso a qualsiasi commento sui comportamenti di Salvini, sia che disturbi la gente al citofono accusandola di reati gravi sia che riconosca Gerusalemme come capitale di Israele (per citare due cose che ha fatto in una surreale settimana di campagna elettorale). Perché si comporta così? Perché è un troll. Vuole la nostra frustrata attenzione, e infatti eccoci qui: stiamo parlando di lui, forse ha vinto. Magari l'idea di un aspirante capo del governo che gioca a fare il Gabibbo ci fa infuriare, ebbene, Salvini voleva esattamente questo da noi, Salvini si nutre della nostra furia.

Quanto a Gerusalemme, è il classico esempio di minima spesa per massima resa. Riconoscere Gerusalemme capitale dello Stato Ebraico è un gesto che non gli costa nessuna fatica e sarebbe gravido di conseguenze, se Salvini fosse al governo (si tratterebbe di tradire l'approccio UE al problema). Ma Salvini al governo più di tanto non riesce a starci: l'anno scorso è resistito fin quasi a Ferragosto perché in effetti un ministro degli interni a torso nudo al Papeete è ancora un po' provocatorio; ma non un minuto di più. E poi, certo, Salvini dimostra anche in questo caso l'allineamento della Lega alle posizioni del sovranismo europeo, che vede in Netanyahu un alleato in Medio Oriente, sì: ma davvero a Salvini premevano così tanto le sorti del Medio Oriente, e proprio la settimana scorsa? È difficile immaginare che la sorte della Spianata delle Moschee gli interessi più del centro di Bologna, dove le sue provocazioni ancora non sfondano, ma circola ancora qualche fuorisede filopalestinese in kefiah (il tizio ragiona per stereotipi un po' muffiti). Se solo si riuscisse a farli incazzare a portata di videocamera, magari in quello storico campo di battaglia tra via Irnerio e Piazza Verdi, che colpo sarebbe: che fantastico modo di terrorizzare i bolognesi benpensanti e mandarli a votare i candidati della Lega – e invece no, Piazzale VIII Agosto si riempie, ma di placide Sardine che di Gerusalemme non si preoccupano, come di tanti altri problemi.

A indignarsi rimane soltanto una piccola frangia di osservatori, per così dire, professionisti o appassionati; quei pochi che ancora in Italia si ostinano a considerare la marginalizzazione dei palestinesi un problema e non una soluzione. Combattuti, anche questi ultimi, tra la necessità morale di non prendere il troll sul serio e il richiamo della foresta, se non il fascino dell'abisso: perché ci sono livelli davvero sotto i quali nessuno era sceso, e Salvini li sta perforando in caduta libera. Cioè lui ha davvero cercato di rifarsi una verginità invitando a un convegno sull'antisemitismo Liliana Segre (che prontamente ha declinato l'invito). Salvini ha davvero spiegato a un giornale israeliano che l'antisemitismo, in Italia, lo hanno portato gli immigrati islamici – e questo malgrado l'osservatorio sull'antisemitismo continui a registrare con cadenza quotidiana episodi che hanno protagonisti dai nomi e dai cognomi italianissimi. Salvini, il più celebre tra i propagatori italiani di complottismi su George Soros, ha davvero affermato di non avere nulla a che spartire con l'antisemitismo di una "destra tradizionalista", e lo ha fatto proprio mentre il comune di Verona, con una giunta a trazione leghista, intitolava una via a Giorgio Almirante, fascista repubblichino e poi fondatore del Movimento Sociale Italiano. Magari ignorando in buona fede che la leggenda nera sul governo mondiale occulto del perfido Soros non è che la rielaborazione postmoderna di cose che nel 1938 si potevano leggere sulla Difesa della Razza, rivista ufficiale del razzismo fascista. Almirante era il segretario di redazione.

Qualcuno ha già rimarcato il cinismo con cui Salvini si è rivolto a Israele, mostrando di considerarlo, più che una nazione sovrana, un ente morale deputato a rilasciare "una patente di rispettabilità politico-religiosa". Certo, perché il giochino funzioni bisogna che dall'altra parte qualcuno si presti, e Netanyahu ha già dimostrato una certa disponibilità in questo senso: ha ricevuto Duterte, è andato a trovare Orban, perché non dovrebbe accostarsi a Salvini... [continua su TheVision

Per Netanyahu la Storia è subordinata alla politica: ogni nemico di Israele può essere paragonato a Hitler, se necessario (mentre paradossalmente Hitler può essere ridimensionato: non più ideatore della Shoah, ma semplice artefice dei piani genocidi del Gran Muftì). Netanyahu ha un'agenda, che a differenza di Salvini non si esaurisce nel vincere le prossime elezioni; da un punto di vista culturale, il suo obiettivo è includere nella definizione di antisemitismo qualsiasi forma di critica a Israele. Se vuole definirsi amico di Israele, Salvini non solo deve promettere di trasferire l'ambasciata italiana a Gerusalemme, come ha già fatto Trump; deve anche impegnarsi a chiedere "a Bruxelles" di proibire il boicottaggio dei prodotti israeliani. Promessa, quest'ultima, di molto difficile realizzazione: non solo perché Salvini a Bruxelles ci va il meno possibile, disertando in particolare qualsiasi riunione possa ottenere risultati concreti: ma soprattutto perché un boicottaggio è una forma di protesta non violenta e passiva. Certo, il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), può anche essere definito antisemita e messo fuori legge (se ne parla sia negli USA che in Germania), ma nessuna direttiva comunitaria può costringere i consumatori europei a comprare i pompelmi israeliani, se non li vogliono. L'obiettivo di Netanyahu è culturale: si tratta di convincere gli europei che chi non compra i pompelmi israeliani è antisemita, tanto quanto il complottista che ricicla i Protocolli dei Savi di Sion o il nazista che vandalizza i monumenti sulla Shoah.

Quello che a noi europei può sembrare una strumentalizzazione ha comunque un senso storico (e geografico). Netanyahu è il primo ministro di un Paese che vive il ricordo della Shoah in modo sensibilmente diverso da come lo si percepisce in Europa. Per noi europei il 27 gennaio è la ricorrenza annuale del senso di colpa collettivo, il giorno in cui ricordiamo di essere portatori neanche troppo sani di malattie che hanno sconvolto il mondo: nazionalismi, fascismi, xenofobia. Gli israeliani non possono e non devono viverlo con lo stesso senso di colpa: il loro 27 gennaio (che quest'anno celebreranno ospitando delegazioni di 50 Paesi) non può che confortarli nell'idea che se 80 anni fa fosse esistito Israele, la Shoah sarebbe stata impossibile. Questo può spiegare perché per un sionista come Netanyahu la memoria della Shoah combaci totalmente con la difesa a oltranza delle politiche di Israele. Un po' meno spiegabile è che un aspirante leader di una nazione come l'Italia si presti senza un plissé a fargli da megafono: Netanyahu vuole i BDS fuori legge? Salvini andrà a Bruxelles a chiedere i BDS fuorilegge. E tutto questo, badate bene, dopo aver sibilato per anni contro i politici europei servi di una fantomatica lobby ebraica. Un bel paradosso, se solo se ne fosse reso conto. Ma anche se se ne fosse reso conto, non ha molto senso mettere Salvini di fronte alle sue contraddizioni. In fondo, ricordiamolo, non è che un troll.

martedì 28 gennaio 2020

L'Emilia-Romagna non esiste (ma resiste)

[Questo pezzo è stato scritto ieri ed è uscito su TheVision]

Oggi non è una brutta giornata. Ovvero: se do un'occhiata dalla finestra, l'Emilia-Romagna continua a sembrarmi la stessa regione inquinata e decadente di ieri. I problemi sono ancora tutti lì esattamente dove erano sabato, e in parte si tratta di problemi che Stefano Bonaccini non risolverà, perché l'Emilia-Romagna alla fine è semplicemente un pezzo d'Italia, d'Europa e di mondo, ritagliato in modo anche abbastanza casuale.

In alcune zone di questo pezzo d'Italia, la propaganda salviniana funziona, ed è facile notare che sono le zone periferiche di un tessuto che progressivamente si sta trasformando in una grande periferia. I centri resistono, ma sono sotto assedio: oppongono un modello ma non riescono più a irradiare un messaggi alternativi a quelli declinati dalla Mediaset e dalle sua varianti; già prima di arrivare alle tangenziali i discorsi nei bar cominciano ad assomigliare agli stessi discorsi che puoi sentire a Varese, Viterbo, Vibo Valentia. Bibbiano perde i contorni di placido comune in provincia di Reggio nell'Emilia e diventa un campo d'internamento dove bambini rasati venivano sottoposti a elettroshock da assistenti sociali satanisti.

Ma non si tratta soltanto di una gara a spararla grossa (che Salvini comunque era determinato a vincere). Nelle zone montane, in certa Bassa, nelle new town fungate sulle strade statali, Salvini vince come vince il Capo Indiano che chiama a raccolta i nativi messi ai margini dall'avanzata del progresso. Nelle zone industriali dove un capannone su due è una carcassa di cemento, nella riviera che non è soltanto Rimini e Riccione ma migliaia di pensioncine a trazione famigliare che la Croazia spazzerà via, Salvini non vince soltanto perché racconta cazzate. In un certo senso, non è il solo che le dice. In un tessuto sociale che ha smesso da un pezzo di essere competitivo, e mese per mese assiste al suo stesso smembramento, anche chi continua a raccontarci che siamo la terra delle Ferrari, di Farinetti, di Fellini, a volte non ha percezione di quanto ci stia ammorbando di chiacchiere. Modena era una realtà industriale quando c'erano le fonderie, e la Ferrari era poco più di una fabbrichetta – famosa in tutto il mondo ma abbastanza marginale. Ora al posto delle fonderie c'è il museo Enzo Ferrari ma non creerà mai la stessa ricchezza, non è che puoi davvero pensare di sostituire lo storytelling all'acciaio. C'è un limite oltre il quale anche la narrazione delle eccellenze diventa un tormentone non molto meno tossico dell'elettrochoc di Bibbiano, e oltre quel limite perché Matteo Salvini non dovrebbe vincere? Perché non dovrebbe raccontare che l'euro ci sta strangolando, che negli anni Ottanta si stava meglio, che l'immigrazione abbassa il costo del lavoro? È una visione superficiale, ma non più superficiale di quella che propone di risolvere tutto con l'auto di lusso, l'abbigliamento di lusso, la ristorazione di lusso.

(Mesi fa il sindaco di un piccolo centro sull'appennino parmense scrisse una circolare ai genitori degli studenti, chiedendo per favore di non ordinare lo zaino scolastico su Amazon ma di comprarlo nell'unica librocartoleria superstite. Dalla stampa nazionale insorse un editorialista progressista: ma come! Ai ragazzi bisogna insegnare a eccellere, a studiare, a diventare Bezos, non a combatterlo. Sì, in pratica bisogna insegnare ad andarsene dall'appennino, un luogo dove tenere aperta una libreria è ormai un eroismo inutile). (L'editorialista in questione non è cresciuto in appennino ma in una redazione; è figlio di un altro editorialista, perché raccontare i pregi della meritocrazia è un'arte che in Italia non s'impara in una generazione).

Però alla fine oggi non è una brutta giornata, dai. Si è alzata anche la foschia, ora splende il sole, l'aria continua a essere tra le più carbonate sul pianeta, ma non si può pretendere. Di tutto aveva bisogno questo pezzo d'Italia tranne che di un'altra gang di amministratori incompetenti e parolai. La maggior parte degli elettori del vecchio bacino emiliano 5Stelle ha deciso, di fronte a un bivio, che la direzione indicata da Salvini non era praticabile: non era affatto scontato. E soprattutto abbiamo dimostrato che un certo tipo di campagna elettorale non funziona ovunque, e quindi alla lunga non funziona. Da questo punto di vista bisogna ringraziare Salvini, proprio perché in quest'occasione ha dato il peggio di sé e ci ha dato un'occasione gloriosa per dimostrare che Salvini, anche nella sua versione peggiore, non è sostenibile. Non vince neanche se fa il Gabibbo, non vince neanche se fa Cronaca Vera (il martellamento ossessivo su Bibbiano), non vince a imbucarsi in qualsiasi sagra, ad afferrare un prodotto gastronomico e a spararsi un altro selfie con quei poveri sostenitori che ormai in memoria hanno più faccioni di Salvini che foto dei figli. Dopo Craxi, dopo Renzi, Salvini è l'ennesimo avventuriero che due o tre battaglie hanno illuso di poter conquistare almeno mezza Italia: è senz'altro bello pensare che si sia dovuto fermare sul Taro. Significa che l'Emilia rossa resiste? Anche l'Emilia rossa è storytelling. Comunista in senso stretto non lo è mai stata: forse le è capitata in sorte una classe dirigente un po' più pratica, un po' più onesta, ma quello che vedo io dalla finestra è un pezzo d'Italia individualista e frustrato che un candidato di centrodestra decente lo voterebbe. È da almeno vent'anni che lo implora: un candidato liberale, pragmatico, amico delle piccole medie imprese o di quel che ne resta. Ecco, questo candidato la destra italiana non ha mai voluto proporlo. Sia Berlusconi ieri, sia Salvini oggi, si sono sempre lasciati incantare dal mito della fortezza rossa da espugnare con gli slogan e le recriminazioni identitarie: non hanno mai pensato di proporre una vera alternativa a livello di amministrazione, forse semplicemente perché non era disponibile o credibile. Il giorno che lo sarà, qualcosa mi dice che l'Emilia smetterà di essere rossa nel giro di poche ore. Ma è una prospettiva lontana, lontana. Il centrodestra che tira è il centrodestra che la spara più lunga, tant'è che al declino della stella di Salvini sta iniziando a sorgere quella di Giorgia Meloni. Le chiacchiere che producono funzionano in tv, funzionano sui social, funzionano in tante edicole e bar, ma non ti fanno vincere le elezioni, perlomeno tra Taro e Rubicone. È una bella giornata oggi, dai.

sabato 25 gennaio 2020

Caro elettore (emiliano) di sinistra

Ciao, come va? È da un po'.
Esatto, sì, sto per fare quella cosa.
(Sono più imbarazzato di te, credimi).

Domenica come senz'altro sai si vota in Emilia-Romagna, e la coalizione di Bonaccini (PD e altre liste di centrosinistra) potrebbe anche non farcela. Questo non sarebbe necessariamente la fine del mondo in regione: in Emilia-Romagna direi che dopo 50 anni un po' di alternanza potremmo anche permetterla, giusto il tempo di dimostrare l'incapacità del centrodestra locale. La vittoria della Lega salviniana però potrebbe innescare una reazione a livello nazionale, con conseguente crisi del governo e fine della legislatura proprio nel momento in cui finalmente in parlamento si cominciava a parlare di una legge elettorale proporzionale e decente (una legge che potrebbe riportare anche la sinistra in parlamento). E quindi?

E quindi, indovina: sto per chiedere il tuo voto utile. Lo so che Bonaccini non ti piace, e posso anche capire i motivi per cui, da una prospettiva di sinistra, non rappresenta quasi nulla che possa piacerti. Cioè non voglio neanche provare a indorarti la pillola, ok? Anzi, sinceramente considero la sua proposta di autonomia regionale una roba da leghisti, e forse invece di scrivere questo pezzo dovrei scriverne uno per convincere i leghisti a votare Bonaccini. Se avessi il bacino di utenza adatto lo farei. Ma è più facile che mi leggano a sinistra, e quindi caro lettore, eccomi in ginocchio da te: per favore, riflettici. Vale davvero la pena di regalare una chance a Salvini, e qualche anno di amministrazione regionale a chi fa campagna elettorale con le magliette su Bibbiano?

Non potrebbe essere l'occasione per stabilire che no, che questo tipo di campagne elettorali da Cronaca Vera non funzionano – perlomeno da noi? Pensa che precedente sarebbe, caro elettore di sinistra. Un tizio cerca di vincere le elezioni battendo ogni mercato, ogni stand gastronomico della regione con la sua scorta, senza argomenti che non siano recriminazioni e selfie, e malgrado ospiti televisivi e influencer non riescano a parlare di altro... perde. Non sarebbe già un risultato importante?

E se invece vince, non sarebbe un po' la fine della democrazia? Cioè una volta che hai dimostrato che le elezioni le vinci andando a disturbare la gente col citofono, che si fa?

E quindi caro elettore credo che dovresti davvero provarci, stavolta. Anche se.

Anche se sono il primo a trovare la cosa un po' sospetta. Ancora una volta uno scontro finale. Ancora una volta le forze del Male stanno per trionfare e l'unica speranza è spostare una manciata di voti sulle forze del Meno Peggio. È da più di vent'anni che funziona così – ieri era Berlusconi, oggi Salvini, c'è sempre un altro piccolo sforzo da fare, c'è sempre un cattivo da abbattere, c'è sempre un motivo per mettere da parte le proprie ragioni e le proprie necessità. E c'è sempre qualcuno (e a volte sono stato io) che ti chiede di metterti la mano sul cuore e di sacrificare le tue esigenze di elettore, sempre e solo le tue, e perché? Perché è in gioco qualcosa di più importante, il destino dell'Italia, dell'Unione, e del mondo, e vuoi sapere una cosa buffa? Ci credono.

(Io perlomeno sono abbastanza persuaso che l'ascesa di Salvini rappresenti un concreto peggioramento per l'Italia, per l'Unione Europea, e per tutto il quadro internazionale, e sarei veramente molto orgoglioso se la mia regione domani gli desse una spallata fatale – mentre al momento sono abbastanza inorridito dalla prospettiva che gli fornisca la spinta che gli manca).

Quindi mettiamo da parte ancora una volta le obiezioni, anche legittime, al nostro modello di sviluppo. Mettiamo da parte l'ambiente, le politiche per la casa, le rivendicazioni dei lavoratori anche quando sono represse dalla polizia, e quell'oscenità che sono i Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Insomma lasciamo da parte tutte le lotte sacrosante di una sinistra che osi ancora definirsi tale sul territorio, e concentriamoci sull'ennesima battaglia decisiva, che anche qualora si rivelasse davvero decisiva, non sarà comunque quella finale, no? Comunque non pensiamoci, c'è la possibilità di mandare Salvini nella polvere (o sugli altari), tutto il resto passa in secondo piano. Caro elettore di sinistra, a questo punto tu giustamente mi domanderai:

E se fosse solo un fantoccio, Salvini?

(Lo ammetto, anche a me il dubbio viene).

Una caricatura di nazista, un Mussolini versione farsa, un Berlusconi in sedicesimo perfino. Uno che in realtà il potere non lo vuole – quando gli è capitato, se n'è proprio liberato alla prima occasione – e che ora serve proprio come spauracchio per tenere uniti tutti quanti contro di lui. In tempi ancora di maggioritario, mentre tutti aspirano al 51%, forse l'obiettivo di Salvini è il 49%: quel che gli serve per essere sempre minaccioso, sempre sulla cresta dell'onda, sempre in tv e sui social, ospitate, libri, la scorta. Guarda, non escludo affatto che alla fine Salvini non sia che questo. Uno messo lì per catalizzare il malcontento e interpretarlo nella forma più trucida e impresentabile. È una possibilità. Ugualmente, preferirei che i suoi candidati non vincessero, domani.

Caro elettore di sinistra, dovrei tagliarla qui. Più scrivo, meno divento convincente. Ti faccio una proposta un po' più pratica: dà un'occhiata al programma di Emilia Coraggiosa, la lista pro Bonaccini di Elly Schlein (già europarlamentare con Possibile). Misura col tuo giudizio quanto sia meno di sinistra rispetto a quella, mettiamo, di Potere al Popolo. Poi vota per chi ti va, davvero. Ma se scegli di votare per una lista collegata a Bonaccini, e Bonaccini si ritrova per altri cinque anni in Regione, ti prometto che almeno da parte mia non saranno altri cinque anni passati a farmi i cazzi miei mentre il territorio si cementifica, l'ossigeno scompare, gli operai vengono processati perché scioperano. Ti sto chiedendo il mio voto? Ti offro il mio tempo e il mio spazio. Ogni volta che Bonaccini ti farà incazzare, potrai scrivermi e io mi preoccuperò, per quel che posso, di dare risonanza alle tue istanze e alle tue incazzature. Non è molto quel che posso offrirti – ma non è neanche molto quel che ti chiedo: una croce su un simbolo e su un candidato. E poi domenica vada come deve andare, una cosa buona è che almeno non ce lo troveremo più in piazza a spararsi selfie davanti a uno stand di salumi. È finita, almeno la campagna è finita. Ci vediamo.

PS: lascia stare il voto disgiunto, è una cabala.

martedì 21 gennaio 2020

Lettera aperta a Lucia Borgonzoni, su Bibbiano e sull'aria che c'è

Senatrice Borgonzoni,
sono un elettore emiliano e fino a poco tempo fa non credevo che l'avrei mai disturbata. Poi ho letto che andava a Bibbiano, ed era molto felice e orgogliosa di andarci, e forse per una coincidenza l'ho letto proprio nel giorno in cui nella mia città il livello di polveri sottili doppiava la soglia massima consentita per legge – la nostra aria è una delle meno respirabili del mondo, come lei ben sa. Io stesso mentre le scrivo sento un po' bruciarmi gli occhi, e i bronchi un po' ruvidi, e all'uscita da scuola vedo un po' troppi bambini tossire – magari è autosuggestione, senatrice, ma insomma in questi giorni mi sembra che mi manchi l'aria e nel frattempo leggo che lei sarà a Bibbiano, non vede l'ora di esserci a Bibbiano, perché è molto preoccupata dei fatti di Bibbiano, e non si darà pace finché non sarà fatta completa luce sui fatti di Bibbiano.

Senatrice Borgonzoni, allora, deve sapere che oltre a essere un elettore sono un papà, e in quanto tale molto turbato da quanto successo a Bibbiano, e anch'io non vedo l'ora che i magistrati facciano completa luce sui fatti. Per cui volevo chiederle, insomma: una volta eletta alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, in che modo esattamente potrebbe aiutare i magistrati a fare luce eccetera? Perché è da un po' che ci penso e giuro, non mi viene in mente – sarà la mia mancanza di fantasia. Cioè, non è che un presidente di regione non abbia niente da fare tutto il giorno, eh? Ci sono tutti i problemi del territorio, la viabilità che potrebbe essere molto, molto migliore di così; i rifiuti, l'urbanistica, e l'aria, mi scusi se insisto sull'aria, ma a volte mi sento quasi soffocare, ho pena per i miei figli e i loro compagni, e in mezzo a tutto questo sento che lei è molto preoccupata per Bibbiano. Del resto la prima volta che ho sentito parlare di lei è proprio perché si era infilata una maglietta su Bibbiano in Senato, e le confesso che ho la sensazione che alla fine Bibbiano per lei sia un po' quella cosa lì: una maglietta da infilarsi davanti alle telecamere. E che anche i problemi della regione per lei siano quella cosa che si può risolvere con una maglietta (e una telecamera).

E allora mi corregga se sbaglio, senatrice Borgonzoni, ma la sensazione che mi sono fatto di lei è che dei bambini di Bibbiano, e della loro oggettiva sofferenza, le freghi tanto quanto della salute dei miei bambini, e di quelli di tutta la nostra inquinatissima regione: cioè un bel niente, senatrice. Bibbiano per lei è solo la quinta per una passerella; se qualcuno ha commesso dei reati indagheranno i magistrati, non lei. Se qualcuno è colpevole lo stabiliranno i giudici, non lei. Lei chi è in tutta questa storia tremenda? A occhio mi sembra una a cui hanno dato una maglietta da infilarsi. Una maglietta tra l'altro assai poco improvvisata, una maglietta coordinata, prodotta già in serie in pochi giorni, con uno slogan coniato all'improvviso e propagato immediatamente da lei e da tutti le bocche da fuoco della propaganda salviniana (nonché da qualche fascista).

Ok senatrice, siete stati bravi: ma in quanto elettore, e più in generale persona che tende a respirare nell'Emilia Romagna, mi domando se questa abilità con le magliette, con gli slogan, con gli hashtag, con le faccine sempre sorridenti anche mentre spalate merda sugli avversari politici e sui semplici cittadini... sinceramente mi domando se tutta questa vostra capacità di macinare propaganda 24 ore al giorno sia quel tipo di abilità che serve nei palazzi della Regione. Prendiamo un problema base, ad esempio (scusi se insisto), l'aria. Cosa ha intenzione di fare per l'aria, che tra un po' non sarà respirabile? Sono andato a cercare il suo programma, che in mezzo a tutti i volantini e le news e le faccine e le magliette è abbastanza difficile da trovare, e scritto molto in piccolo. E dunque alla voce "Qualità dell'aria", si legge che "le rilevazioni degli ultimi anni non sono certo clementi con il livello di qualità dell'aria nella Pianura Padana" (io qua ci sento un po' l'insofferenza verso queste "rilevazioni", maestri severi che avrebbero anche potuto chiudere un occhio e invece no). Ma si legge anche che "le misure messe in campo fino ad oggi hanno prodotto risultati importanti [??? risultati importanti??? abbiamo le polveri sottili al doppio della soglia massima!] ma spesso sono state altamente impattanti per i nostri concittadini".

C'è scritto così: altamente impattanti. Non è chiaro a cosa si riferisca: le traumatiche domeniche senza auto, i centri chiusi alle Euro4? O al supplizio esistenziale di dover differenziare l'umido? Una rottura senz'altro, ma senatrice, se penso a una cosa un po' impattante sulla mia vita di emiliano, penso alle malattie polmonari a cui mi sto esponendo soltanto perché mi è capitato di nascere e abitare qui. E avere figli qui; figli che respirano un'aria che li condanna a una maggior incidenza di malattie polmonari. Questo è impattante, senatrice. Questo è un problema che vorrei porre in sede regionale e nemmeno mi aspetto risposte facili: so che non ci sono. Però, vede, anche solo provarci a volte aiuterebbe – metta il suo concorrente, Bonaccini: lui che pure ha la sua parte di responsabilità per questo stato di cose, sul programma ha quattro milioni e mezzo di alberi in più, bum. È fattibile? Almeno si pone il problema. Energie rinnovabili al 100% entro il 2035, dice. Si può fare? Non ne ho idea, e neanche lei ce l'ha, non ne parla. Il resto del suo paragrafo sull'ambiente serve a rassicurare i contribuenti sul fatto che non vuole chiedere tasse in più per l'ambiente, ma magari incentivare gli imprenditori che rinnovano il parco macchine. Con vetture elettriche? Ah ah ah – non necessariamente, no. Insomma senatrice a lei dell'aria interessa poco ed è comprensibile, fin qui agli emiliani premevano davvero più le tasse che la qualità dell'aria. Non credo però che si possa andare molto più avanti di così in questa direzione – e inoltre le vere tasse le decidono a Roma, via, non è che possiamo prenderci in giro anche su questo.

Senatrice non ce l'ho con lei, per quanto speculare sulle tragedie famigliari dei bambini di Bibbiano sarebbe in effetti un motivo più che sufficiente. Il suo mentore che in queste ore chiede di essere processato perché secondo lui ha difeso il popolo italiano – bloccando un centinaio di naufraghi su una nave, secondo lui i popoli si difendono così – il suo leader, dicevo, una volta ha osato accennare al fatto che bisognava portare in Emilia-Romagna il modello veneto. Magari non proprio il modello tangentaro con cui il centrodestra ha gestito il Mose, ma effettivamente anche in Emilia si potrebbero incentivare un po' più le aziende, senza troppi lacci e lacciuoli, non c'è dubbio. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto che in trenta comuni tra le province di Verona e Vicenza il 60% dei 300 mila abitanti ha il colesterolo sballato, a causa dell'inquinamento industriale – gli acidi perfluoroacrilici immessi nella falda acquifera dalla Miteni di Trissino. Gli esperti ritengono che questi acidi possano favorire lo sviluppo di malattie alla tiroide, nonché compromettere la fertilità che so che è una cosa che anche a voi sta molto a cuore. Inoltre c'è una possibile relazione con l'insorgenza di forme tumorali, e stiamo parlando di un problema per quasi duecentomila cittadini veneti di ogni età, bambini compresi, ma certo capisco che far luce sul problema, e chiedere che i responsabili paghino, non possa essere la priorità per lei o per un partito come il suo, così attento alle esigenze degli industriali anche quando ci ammazzano neanche troppo lentamente. Continui pure a parlarci di Bibbiano, magari voteremo per lei. Magari ci piace davvero essere presi in giro mentre soffochiamo. Non lo escludo, peraltro è noto che l'aria viziata toglie lucidità. Con l'espressione della mia più profonda disistima, suo Leonardo.

giovedì 9 gennaio 2020

Cronache dalla campagna

(Qui intorno era ancora tutta Emilia-Romagna, nell'anno del Signore 2020)


– Avrete notato che è da un po' che non ci sono terremoti in zona Cavezzo, né inondazioni dalle parti di Cavezzo; in compenso l'altro giorno è caduto un meteorite nella campagna di Cavezzo. Le possibilità di trovarlo erano abbastanza basse: e invece l'hanno trovato. È una pietra superficialmente molto nera, l'istituto astronomico ha detto che la chiamerà Cavezzo. Qualcosa del genere è probabilmente successo alla Mecca migliaia di anni fa.


– Il giorno dopo Matteo Salvini lascia detto che verrà a Modena, una città dove fin qui ha fatto un po' fatica a entrare. Andrà a prendere una birra in via Gallucci; gli scappa anche il nome della birreria ma forse non si era inteso bene con il suo impresario, qualcuno si era dimenticato di avvisare il gestore e forse nel nuovo cerchio magico manca un certo tipo di know how, sono bravissimi a pigolare su twitter ma non sanno come rapportarsi con gli esercenti modenesi, il che d'altronde non sorprende. La prima reazione del gestore in questione è infatti annunciare sui social: noi non facciamo politica, ma se viene Salvini siamo in ferie. Simpatég, eh? Il gestore, come chiunque non viva almeno tre ore al giorno sui social, sottovaluta il clima della campagna elettorale: dopo essere stato investito da commentatori ostili che minacciano il boicottaggio si ravvede, e alla fine Salvini ce la fa: entra nel locale, si fa un selfie con la birra in mano tra gli avventori – pochi, perché nel frattempo via Gallucci è stata blindata dalle forze di polizia, in stile corteo di Forza Nuova. Poi già che c'è entra anche in un altro pub, storicamente caro a me e a tutta la mia cerchia (ma ho smesso di bere il primo gennaio, quindi neanche posso boicottarlo): e anche qui selfie e sorrisoni coi gestori. Anche passando a Carpi del resto aveva fatto in modo di farsi trovare proprio davanti alle bancarelle della fiera del cioccolato.


– Il fatto che Salvini si faccia molto spesso inquadrare mentre mangia e beve ha fin qui generato più parodie che riflessioni (come qualsiasi altro fenomeno al mondo, sospetto, e questo malgrado sia più facile riflettere che scrivere battute divertenti). È un'intuizione che parte da lontano (anche Renzi veniva talvolta descritto come in preda a un'infantile bulimia) e si affina negli anni passati a fare campagna elettorale e poco altro. Senz'altro è un espediente efficace per ridurre la sua distanza col cittadino medio, ma è anche una conseguenza diretta del fatto che molto spesso la gente è già lì per bere e per mangiare, sennò Matteo Salvini neanche si scomoda. Poi certo, ogni tanto fa pure dei comizi, però in molti casi l'approccio di Salvini alla folla è parassitario: non è lui a radunarli, lui si fa trovare in un posto dove ci sono già, e siccome di solito sono lì per mangiare, Salvini deve mangiare. Nella maggior parte dei casi va tutto bene, al limite c'è da gestire qualche contestatore ma la maggior parte della folla è comunque contenta di trovarsi vicino a una celebrità, proprio come quando passa un calciatore o il tale che ha fatto un reality. A volte qualcosa va storto (a Modena, tipicamente) e allora o si molla l'osso, come a novembre, in cui si riparò fuori dal centro sardinizzato. Oppure si militarizza l'area, perché quel selfie col boccale in mano evidentemente è importante, chissà quanti voti pesa.

– Salvini le elezioni in Emilia-Romagna potrebbe anche vincerle. Lo dico, ovviamente, per dimostrarmi attento alla situazione e consapevole della distanza tra desideri e realtà: è il senso di ogni rituale scaramantico. Ma lo dico anche perché alla fine la possibilità c'è, e non ha a che vedere più di tanto con la fine del cosiddetto modello emiliano, che è in crisi già da anni, per motivi strutturali che sono gli stessi per cui è in crisi il modello padano, e l'Italia, e l'Europa il genere umano l'ecosistema. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle banalmente, perché ci tiene davvero, e non ha niente da fare tutto il giorno tranne battere la campagna, e soprattutto ci tengono i suoi fan, polarizzati e nervosi come non mai. Non è che siano la maggioranza (non in E-R, di certo), ma hanno una voglia di andare a votare che schizza da tutti i pori, mentre cinque anni fa il Pd di Bonaccini vinse con un'astensione altissima. Una tornata elettorale sui generis, in una stagione diversa dal solito, senza copertura sui media nazionali rischierebbe di premiare più le minoranze polarizzate che il famoso centro moderato. I salviniani hanno voglia di votare e sanno anche per chi voteranno; i grillini potrebbero davvero, quella domenica, svegliarsi depressi e restare in pigiama; le sardine sono state importanti da un punto di vista mediatico (sono state loro a comunicare al mondo che c'era un'elezione importante in arrivo), ma se da riempitori spontanei di piazze diventano testimonial di un partito preciso, rischiano di bruciarsi. Quanto agli elettori del PD, stanno semplicemente invecchiando. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle perché c'è gente che le perde da cinquant'anni e scalpita, e si venderebbe al diavolo purché fosse la volta buona. Dove "vendersi al diavolo" è una simpatica iperbole che temo non renda l'idea. Mettiamola così: è gente che pur di vincere voterebbe per Matteo Salvini.

– Il quale Salvini ormai non ha neanche nulla da promettere – nessuna promessa che non abbia già bruciato nei mesi di governo – toglierà le accise? uscirà dall'euro? chiuderà frontiere che peraltro non erano molto aperte neanche prima e non si sono aperte dopo? Nulla, non ha più nulla da promettere che non sia un altro anno fighissimo che passerà a spararsi selfie e streetfood. Berlusconi almeno era una figura aspirazionale, il milionario fatto da sé; Salvini è una figura tribale, un feticcio, nessuno spera di diventare come lui, è lui che si sforza di diventare come tutti noi. Mette le felpe, guarda i cantieri, mangia i panini, è un Checco Zalone senza ironia, il vicino di casa un po' scemo che mette allegria e anche quando la spara grossa sai che non lo fa per cattiveria, è il suo modo di reagire alle difficoltà, di tenersi a galla. Tutto questo non lo rende veramente un leader credibile, ma se per questo neanche Trump: evidentemente c'è gente disposta a credere a qualsiasi cosa, succede quando le prospettive sono molto brutte. Salvini a livello nazionale in realtà starebbe anche declinando: l'unico evento che potrebbe rimetterlo rapidamente in sella è una storica vittoria in Emilia-Romagna, e questo rende particolarmente surreali queste elezioni invernali – da una parte le forze del Caos, dall'altra Stefano Bonaccini. Che senso ha.

– Non ha nessun senso, io abolirei le regioni. Non si riesce a parlare di politica locale, non si riesce a valutare un'amministrazione, ci si riduce sempre a una specie di Risiko in cui l'importante è conservare o perdere un territorio. Come quella volta di Emilio Fede con le bandierine (quanto sono vecchio dio mio), o Renzi che diceva: dobbiamo vincere otto a due! e non era nemmeno più importante quali fossero le otto e quali le due, il Molise valeva quanto la Puglia, l'importante è il punteggio, la fatica che si fa a interpretare la realtà quando sei abituato per cultura e inclinazione a osservarla come un gioco, le cui regole arbitrarie diventano leggi fondamentali della natura e il Molise da bizzarria statistica si trasforma in ente reale, dotato di volontà politica e diritto a esprimere tot senatori. Salvini potrebbe vincere proprio perché se si tratta di giocare, non c'è avversario più temibile di un ragazzino con tanto tempo libero. Motivi per votare il centrosinistra: dal dopoguerra in poi ha espresso una classe dirigente che ha saputo amministrare il territorio, con alti e bassi, e inevitabili opacità e collusioni che è quello che succede quando per cinquant'anni nessuno ti scalza dalle posizioni di potere. Motivi per votare Salvini: stiamo arrivando! rrrrruspa! vi mandiamo a casa!

– Alcuni ne sono convinti. Ci sono intere categorie che si stanno radicalizzando, non credono nella fine dei tempi o nell'avvento del Califfato, ma nel secondo avvento di Matteo Salvini, con lui la piccola media impresa rifiorirà (pur restando piccola e media) e le partite Iva troveranno nel regno dei cieli un senso al loro lungo patire sulla terra. Non fosse un'elezione decisiva – l'ennesima elezione decisiva, l'ennesima ultima battaglia contro le forze del Caos – verrebbe voglia, davvero, di aprire la diga e amen, volete la bandierina? Tenete la bandierina. Giusto per offrirvi un'occasione in più per scoprire che non succede niente, nessuna diabolica coop rossa viene espulsa dal territorio, le strade rimangono storte e i fiumi non smettono di andare in piena. Che è successo a Parma quando ha vinto il centrodestra? Dopo un po' hanno dovuto commissariare il comune per banali questioni di tangenti, tutto qui. Che è successo a Bologna, a Ferrara? Le partite Iva stanno meglio? La camorra ha smesso di infiltrarsi? I nomadi hanno spostato il campo nomadi dall'altra parte di un canale di confine, il che qui da noi è molto spesso il modo in cui si risolve la terribile emergenza nomadi? Davvero, mi verrebbe da dire, mettiamoli alla prova, vediamo il loro bluff, dopo cinquant'anni sarebbe anche ora. Poi mi ricordo che se vincono stavolta casca il governo, l'Europa è a un bivio, il mondo fronteggia l'estinzione di massa. Nel frattempo mi arriva una notifica, a Cavezzo è caduto un meteorite. E quindi niente, andiamo avanti così. I salviniani d'Emilia e Romagna saranno pure ridicoli nella loro attesa messianica, ma prima o poi chi chiama l'apocalisse ci azzeccherà. Preferirei non essere io, ma

mercoledì 20 novembre 2019

In Emilia non sta succedendo niente?

Circolate, non c'è niente da vedere
Vorrei riuscire a scriverlo senza nessun intento polemico nei confronti delle adunate delle Sardine – perché davvero, settemila persone che sotto la pioggia di questi giorni decidono di scendere in piazza contro Salvini non sono affatto una cattiva notizia – ma qualcuno dovrà pure scriverlo: settemila persone furiose contro Salvini non sono nemmeno una notizia, a Modena.

Nel centro di una città universitaria, di una provincia con una delle più alte percentuali in Italia di residenti di origine non italiana: e ciononostante, nessuna impennata nella criminalità: un luogo dove anche un opinionista tremebondo alla Rampini la sera non solo non avrebbe paura a circolare, ma diciamolo, si annoierebbe parecchio; che settemila persone si diano appuntamento anche in una serata così fredda e umida è cosa che fa piacere, ma stupisce? Si sa che poi in amore e in campagna elettorale tutto è permesso, e se c'è la possibilità di incorniciare un frame in cui Salvini finalmente diventa l'antipatico rosicone, tanto meglio. A Modena lunedì non è neanche voluto entrare, si è fermato ai margini: meglio così. Ma non significa che in febbraio non possa vincere in Emilia-Romagna, anzi. Dipende da quanta gente andrà a votare, e da questo punto di vista lasciate perdere i sondaggi: si tratta di un vero mistero.
Morisi la sta prendendo bene,
da consumato social media manager
quale egli è
Le ultime elezioni per la Regione Emilia-Romagna si celebrarono cinque anni fa, e oltre alla consueta (ma non scontata) vittoria del centrosinistra, registrarono un dato realmente bizzarro: un'affluenza alle urne bassissima. Fino a quel momento l'Emilia era considerata una delle regioni in cui si votava di più. Cinque anni fa erano già stati fatti tutti i discorsi sulla stanchezza del centrosinistra locale, sul lento declino della sua classe dirigente-digerente, sull'inevitabilità del tracollo di quella che solo da molto lontano, e attraverso lenti opportunamente deformate e colorate poteva ancora essere vista come una regione "rossa". Poi si andò alle urne e Bonaccini (PD) surclassò il suo contendente 50% a 30%: tutti i discorsi sull'inevitabile declino ecc. furono messi nel cassetto, ed eccoci qui. Cos'è cambiato in cinque anni? Quasi niente, direi io, ma è un effetto dell'età: il 2014 mi sembra ieri. La società post-industriale è rimasta post-industriale, la crisi in certi comparti non è finita, il livello delle acque è sempre più allarmante e i mezzi per correre al riparo non sono tutti a disposizione di Bonaccini.

Temo che la vera differenza tra il 2014 e il 2019 non abbia molto a che vedere con le istanze del territorio, ma con i cicli della politica italiana che vista da qua sembra una specie di carrozzone che si ferma ogni tanto, un Cantagiro: il 2014 era l'anno di grazia di Renzi, il 2019 è l'anno della caduta di Salvini. Già nel 2014 i politici locali si erano ridotti a chiamare Renzi, per cercare di fare notizia su tv e quotidiani (anche solo di informare gli elettori sul fatto che in novembre si votava). Nel 2019 succede lo stesso, salvo che a fare notizia è Salvini: entra a Modena o si ferma fuori? eccetera. Con Bonaccini che nel frattempo probabilmente si domanda: ma tutta questa attenzione, mi serve davvero? Perché è vero che cinque anni fa vinse col 50% (in realtà un 49%, ma non sottilizziamo), ma lo ottenne con appena seicentomila voti, più o meno la metà di quelli raccolti da Vasco Errani cinque anni prima. Fu quasi una vittoria per abbandono, e avrebbe dovuto far riflettere già allora gli osservatori che sostenevano inevitabile lo sfondamento di Renzi al centro.

Sia alle elezioni europee che alle emiliane di quel magico 2014, Renzi non sfondò esattamente al centro, ma fece una cosa più curiosa: tolse agli elettori di centrodestra la voglia di andare a votare. Che non è un effetto da sottovalutare, anzi. Di fronte a un candidato di centrodestra insipido (e il centrodestra emiliano è sempre riuscito a trovare candidati particolarmente insipidi), l'elettore-tipo di centrodestra si guarda intorno e scopre che comunque il candidato di centrosinistra non solo non mangia i bambini ma ha atteggiamenti e mentalità parzialmente sovrapponibili a quelli del centrodestra (l'ansia per il "decoro", l'ossessione per le "eccellenze"). A quel punto lo va a votare? naaah. Sta a casa. E giustamente: che vinca l'uno o l'altro, che differenza fa per lui? Ha già vinto in partenza.

Questo è più o meno lo schema con cui il PD ha tenuto in Emilia-Romagna, perlomeno fino all'arrivo di Salvini. Qui le cose potrebbero complicarsi, perché l'elettore-tipo di Salvini è un po' meno moderato e ha una serie di istanze che con tutta la più buona volontà il PD locale non può assorbire: no tasse, no euro, no gender, no tutto. A questo punto, se fossi in Bonaccini, spererei che di elezioni in Emilia-Romagna si parlasse il meno possibile: con un po' di culo magari un sacco di gente si sveglierà un lunedì di febbraio scoprendo che bisognava votare il giorno prima. Ma a questo punto arrivano le Sardine e tutti si mettono a parlare delle elezioni in Emilia-Romagna, ahi, qui ora bisogna inventarsi qualcosa. E intanto piove, e i ponti sono chiusi.

mercoledì 13 novembre 2019

Il problema coi boomer: Mattia Feltri

Internet è così: sono bastati pochi giorni perché il tormentone "ok boomer" diventasse fastidioso. E allo stesso tempo è un meme che ha un senso e racconta davvero qualcosa di diffuso: l'insofferenza per una generazione che continua imperterrita a spiegare ai giovani un mondo che non esiste più, quel mondo che studiava a scuola e ammirava al Carosello. Facciamo un esempio? I quotidiani italiani, indovinate, sono pieni di esempi. Mattia Feltri, oggi:

A Bedonia, in provincia di Parma, gli studenti delle elementari e delle medie hanno ricevuto un’offerta allettante da Amazon: uno sconto su prodotti di cancelleria, zaini, strumenti musicali. Il sindaco non l’ha presa benissimo. Ha mandato una lettera ai ragazzi e, non potendo rilanciare sul prezzo, s’è giocato l’orgoglio di campanile: voi siete il futuro di Bedonia, comprate nei negozi del paese e lo salverete dalla multinazionale che, dietro la favola del progresso, sfrutta i nuovi schiavi (il succo è questo, la lettera è molto più garbata). 

State visualizzando la situazione? Bedonia, paesino della Val di Cento, a un'ora e mezza di strada da Parma o da La Spezia. Tremila abitanti. È lecito immaginare che esista una sola cartoleria, e che se l'indotto degli studenti venisse a cessare, chiuderebbe. Arriva Amazon e fa quello per cui è nata Amazon, ovvero dumping. Per portare zaini e cancelleria in Val di Cento, la cartoleria locale ha dei costi, Amazon li abbatte. Amazon è un prodotto della fase terminale del capitalismo: sradica i piccoli esercenti come erbacce. In attesa che la grande politica a Roma o a Bruxelles decida come tassarlo, la piccola politica è impotente. Il sindaco può solo fare un bel discorso autarchico, o come si dice oggi, sovranista.

Per carità, qui di Bismarck non se ne vedono, figuriamoci nella deliziosa Bedonia, ma era difficile mettere insieme un discorso più scalcinato e suicida. 

Un bel discorso che al giornalista boomer non piace, del resto egli è un professionista dei discorsi. Sentiamo quello che avrebbe prodotto lui.

Agli scolari, seduti ai banchi per edificare un domani da cui non siano travolti, toccherebbe invece dire: è in corso la quarta rivoluzione industriale, quella del digitale, dopo quelle del vapore, dell’elettricità e dell’informatica; le rivoluzioni destano spavento e provocano disoccupazione, e questa, più veloce, fa ancora più paura e genera ancora più diseguaglianze, ma dalle rivoluzioni si è sempre usciti con più ricchezza e più diritti... 

Ok Mattia Feltri, dunque, da dove cominciare.

Diamo per scontato che tu abbia frequentato le migliori scuole nel miglior momento della storia del mondo: sul serio ne hai portato a casa la nozione che "dalle rivoluzioni si è sempre usciti con più ricchezza e più diritti"? Ecco, vedi, questo è essere boomer. Pensare che la Storia sia solo un insieme di storie a lieto fine, dove il lieto fine era appunto la tua felicità. Più ricchezza per tutti, più diritti per tutti, Mattia Feltri, ma sei sicuro che per dire, Maria Antonietta fosse d'accordo? Più ricchezza per tutti, salvo che per i Borbone che ci hanno perso un po' di teste.

E i latifondisti?
E i vandeani?
E i Romanov?
E i kulaki?

Allora, vedi, tendenzialmente una rivoluzione è una cosa violenta, che fa sì che una classe sociale prima esclusa dalla distribuzione della ricchezza, irrompa improvvisamente in scena e si prenda quello che le spetta, e a volta anche qualcosa in più. E in ogni rivoluzione, davvero, in ogni rivoluzione ci sono vincitori e vinti. Questa cosa a scuola ti è sfuggita e in parte è comprensibile, perché la storia di ogni rivoluzione la scrivono i vincitori, mentre le tesi dei vinti tendono a scomparire (a volte scompaiono anche i vinti, letteralmente). Questo tra l'altro è il motivo per cui lo studio della Storia è una pratica tutt'altro che banale: si tratta quasi sempre di demistificare chi la racconta. Lo abbiamo sempre fatto, in realtà, ma in alcuni periodi si è rivelato più difficile.

Ad esempio nel periodo in cui crescevi tu c'era questa idea, che il benessere perlomeno in Occidente fosse ormai un diritto acquisito e inalienabile; e che il progresso fosse inarrestabile. Le cose andavano bene, e quindi sarebbero andate sempre meglio: non solo, ma a quel punto leggendo i libri di Storia vi siete convinti che anche in passato funzionasse così, che anche il passato non fosse che un'inarrestabile sequenza di vittorie, excelsior! no, sul serio, i positivisti di fine Ottocento vi facevano un baffo. Se c'era una rivoluzione su un libro di Storia, di sicuro i vincitori eravamo noi. Avevamo vinto con Cromwell, con Washington, con Robespierre (ma anche con Napoleone), e anche tutte le rivoluzioni industriali comunque le avevamo vinte noi in quanto aspiranti imprenditori, o al limite consumatori. Solo la rivoluzione russa meritava un discorso a parte, perché i russi non facevano parte della trionfante Storia Occidentale. Ok, Mattia Feltri, e magari ne sei ancora convinto.

Ma pensi che un giovane di oggi possa lasciarsi convincere da te?

Allora ti spiego, qualsiasi leghista con la terza media – no, non c'è bisogno della Bestia di Salvini, non c'è bisogno dei social network e dei fondi russi – qualsiasi leghista poco acculturato, magari uno di quelli pittoreschi che andava a Pontida con le capigliature da pellerossa: qualsiasi leghista del genere ha capito il problema di Bedonia meglio di te. Magari non ha fatto le tue buone scuole, ma in scuole peggiori ha comunque capito che ogni rivoluzione ha vincitori e vinti, e noi non siamo sempre i primi.

Non siamo sempre i giacobini. A volte siamo i vandeani, magari non avremmo voluto, ma le Rivoluzioni non sono un gioco in cui puoi scegliere all'inizio da che parte stai. La rivoluzione americana non l'hanno vinta tutti. Gli inglesi per esempio l'hanno persa, e i pellerossa nel medio termine ancor di più. Se vivi a Bedonia, e la rivoluzione è Amazon, il pellerossa sei tu, e questa cosa l'aveva capita persino Umberto Bossi – anche lui un boomer, tecnicamente. Perché ce n'è anche di svegli.

Tu invece, caro Mattia Feltri, ai pellerosse della Val di Cento, cosa vorresti raccontare? Fammi indovinare: che resistere è inutile, un'illusione, e si salveranno soltanto scappando in città? Ma non mi dire.

...e resistere al mondo che cambia è un’illusione nella quale l’uomo si è spesso malamente impantanato; la politica dovrà fare il suo, ma voi studiate perché nei Paesi più tecnologicamente avanzati di disoccupazione ce n’è meno; studiate qui e poi andate in un’università a studiare l’interazione tra uomo e macchina, l’intelligenza artificiale, la robotica, il management, l’ingegneria, prendetevelo questo mondo, non scappate, prendetelo per il bavero e rendetelo migliore.

Studiate intelligenza artificiale, studiate robotica, e vincerete. Tutti? C'è posto per tutti nelle facoltà di ingegneria e robotica? Il senso stesso della robotica non è ridurre i compiti degli esseri umani? Il boomer sa benissimo che la sua ricetta, la "ricerca della felicità", è un sentiero stretto che lascia indietro la maggior parte dei concorrenti. Ma non ha importanza: importa soltanto che chi arriva alla fine del talent show possa raccontare a tutti che ha vinto, e se ha vinto lui tutti possono seguirlo. I ragazzi se ne vadano tutti a studiare lontano: uno su cento ce la farà, gli altri falliranno ma non avranno spazio per lamentarsene sui giornali, qualcuno tornerà al paesino tra i monti e lo troverà disabitato, o occupato da immigrati più poveri, o nel caso migliore (migliore?) trasformato nel museo delle cere di sé stesso mediante Airbnb. Cosa dire.

Davvero, cosa dire a Mattia Feltri ancora convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili. Qualche argomento potrebbe fargli cambiare idea? In fondo per lui è stato davvero il migliore dei mondi: non cambierà idea. E non si sposterà da dov'è, e continuerà a spiegarci che per vincere basta impegnarsi. Ok.

Sul serio, che altro dirgli – ok boomer.

mercoledì 16 ottobre 2019

Renzi 1 – Salvini 1 – giornalisti 0





Anche se può essere ugualmente teso ed emozionante, un "duello" televisivo non è un vero duello; non è un match, non è una partita. La differenza sostanziale sta nel risultato: un duello è definito dal fatto che non possa che esserci un vincitore. Quando il vincitore non c'è, come in quel film di Ridley Scott, il duello non è davvero finito. Anche nello sport è quasi sempre così (il calcio è un'eccezione). I dibattiti televisivi non sono così, anche quando cercano di vendersi come "duelli", come quello di ieri sera da Vespa. A proposito: secondo voi ha vinto Matteo Renzi o Matteo Salvini? È una domanda retorica, scusate, in realtà non m'importa così tanto del vostro parere. Suppongo che dipenda molto da quanto vi risulta simpatico uno dei due, o a quanto vi stiano antipatici entrambi. Ma il solo fatto che il giorno dopo se ne possa discutere ("chi ha vinto"?) dimostra che non stiamo parlando di un duello – che viceversa è la negazione di un dibattito. Fino a qualche decennio fa spesso serviva a terminarlo una volta per tutte: io dico che tu sei un farabutto, tu neghi l'affermazione, per decidere chi ha ragione ci si vede domattina dietro al convento dei carmelitani scalzi.

(Fermatevi per un attimo, gustatevi l'immagine dei due Mattei in manica di camicia, che si allontanano nella bruma con una pistola in mano, mentre su un lato Bruno Vespa conta i passi. Quello sarebbe stato un duello).

Invece in un dibattito televisivo possono vincere entrambi, anzi; il motivo per cui a volte due politici acconsentono a un "duello" è proprio che entrambi ritengono di poter ottenere qualcosa senza rimetterci molto (non sono mica politici per caso). È più o meno il caso del dibattito di ieri sera: entrambi avevano un'occasione per mettersi in mostra al loro pubblico di riferimento, ed entrambi hanno cercato di impiegarla al meglio. Entrambi ora possono pubblicare sui loro profili social qualche spezzone che dimostri in modo equivocabile ai loro fan che hanno 'asfaltato' l'avversario. Quanto a noi, possiamo anche assegnarci il ruolo di esperti di comunicazione (su internet è gratis), inforcare un monocolo immaginario e cercare di capire/spiegare chi dei due abbia fornito la prestazione migliore. Boh. Quasi quasi direi Renzi: ha rischiato di più, anche perché aveva meno da perdere. Ma a questo punto è chiaro che non stiamo più parlando di una competizione tra i due, quanto di una gara che ognuno stava ingaggiando con sé stesso, e con le aspettative che ormai il pubblico ha nei suoi confronti. Salvini da questo punto di vista ha giocato in difesa, recitando senza sbavature il ruolo di Matteo Salvini: ma non è quello che i suoi elettori pretendono da lui?

E quindi ci troveremmo di fronte a un esempio lampante di gioco win/win: entrambi vincono, entrambi ci guadagnano. E allora perché io spettatore mi sento defraudato? Mi aspettavo davvero che almeno uno stramazzasse al suolo? No, onestamente non ci speravo: queste cose non succedono, da Vespa poi. Però devo ammettere che per quanto basse fossero le mie aspettative, sono rimasto deluso, in alcuni momenti persino disgustato. Non tanto da Renzi e Salvini, che stavano facendo il loro mestiere. Forse nemmeno da Vespa, che si limitava a contare i minuti e a prevenire quei corpo-a-corpo che sul ring diventano anti-spettacolari. Quelli che mi hanno messo davvero in imbarazzo sono i "giornalisti".

Lo scrivo tra virgolette perché la considero una citazione: a un certo punto Vespa ha annunciato che nella seconda parte del dibattito ci sarebbero stati i "giornalisti". Voi li avete sentiti? Uno in effetti a un certo punto ha osato fare una domanda, ma è stata un'eccezione. Gli altri si sono fatti un'ora e mezza di diretta tv per niente e umanamente mi spiace per loro; immagino che sia faticoso rimanere per tanto tempo sotto i riflettori cercando di mantenere un'aria concentrata, contenere gli sbadigli eccetera. Poi spero che abbiano protestato, perché, insomma, che ci sono andati a fare? Già.

E allo stesso tempo, che ci aspettavamo da loro? Cosa avrebbero dovuto fare? Le domande. Quelle scomode, quelle che avrebbero dovuto mettere in difficoltà i due duellanti. Ma come Vespa ha prontamente capito, non ce n'è stato bisogno: i due le domande se le stavano già facendo tra loro e sembravano già abbastanza 'scomode'. Un intervento terzo sarebbe stato ridondante. Renzi e Salvini non solo hanno vinto, ma hanno sconfitto i giornalisti, li hanno ammutoliti. Alla fine anche la loro tacita presenza ha avuto un senso: hanno rappresentato per un'ora e mezza la sconfitta del "giornalismo" da talk-show. Nessuno ha dato loro la parola perché nessuno ne sentiva il bisogno; i politici le domande se le sanno fare da soli.

Ora immagino un'obiezione: forse i giornalisti non dovrebbero semplicemente fare le domande, forse da loro ci aspettiamo qualcosa di più. Il fact-checking? Ho letto qualcuno proporre un fact-checking, magari approfittando dei break pubblicitari per appurare se quanto dicevano i due fosse vero o falso. Sono un po' scettico. Il fact-checking è una cosa delicata: se lo fai in diretta rischi di commettere ulteriori errori davanti a due contendenti che non vedono l'ora di strumentalizzarli. Ma non credo nemmeno che avrebbero accettato un rischio del genere: un tizio super partes che a un certo punto del duello si mette tra i due e si mette a contare per filo e per segno tutte le affermazioni false? Non è così che funziona in tv, perlomeno da noi. Il fact checking si può fare sui giornali del giorno dopo: ecco una delle tante cose a cui i giornali possono ancora servire. Giusto.

E tuttavia.


E tuttavia, davvero possiamo permettere che i politici in televisione affermino tutto quello che vogliono senza che nessuno mai si alzi a chiedere, semplicemente: ma cosa sta dicendo costui? Anche questa è una domanda retorica: Porta a Porta funziona così, e funziona da così tanto tempo che ormai in Italia un'intera generazione, se cambiando canale inciampa in Via col vento, si domanda cosa sia questo film che ha rubato la sigla a Bruno Vespa. Ma in generale i talk italiani sono così. Se vuoi un politico, lo devi ascoltare e al massimo ogni tanto annuire. Se vuoi più azione puoi mandargli contro un altro politico, e a quel punto le domande se le faranno da soli, e anche al fact-checking dovranno pensarci loro. Non è un'iperbole, ieri a un certo punto Renzi ha deciso di interpretare il ruolo di fact-checker di Salvini, con risultati non sempre soddisfacenti: per più di una volta gli ha permesso di affermare serenamente che grazie a lui i morti annegati nel Mediterraneo sarebbero diminuiti. Ecco, quando parlavo di disgusto mi riferivo a cose del genere: possibile che nessuno in quel momento abbia osato chiedergli in che modo li stava contando, i morti annegati nel Mediterraneo? Ormai sappiamo che il famoso "pull factor" non esiste; sappiamo che non basta chiudere i porti (o dichiarare i porti "chiusi") per evitare che la gente in Libia si imbarchi. Quindi Salvini è davvero convinto che basta mandare meno navi a contare meno morti annegati per risolvere il problema? Ovvio che no, ovvio che sta semplicemente prendendo in giro i suoi interlocutori. Davvero nessuno poteva farglielo presente, in quel momento, se Renzi in quel momento pensava ad altro o non voleva insistere? Davvero l'unico limite alle sparate di uno dei due contendenti dev'essere l'attenzione dell'altro? E se a entrambi conviene dichiarare il falso su un argomento?

La cosa più disgustosa è successa alla fine, e almeno su questo livello io posso dichiarare un vincitore: a disgustarmi di più è stato Matteo Salvini che ha chiuso il dibattito facendo con le mani il segno delle forbici, a indicare il trattamento che gli piacerebbe riservare nei confronti dei molestatori dei bambini. Dove il linguaggio verbale non poteva arrivare, il gesto è arrivato forte e chiaro e a quel punto non c'era comunque il tempo, né lo spazio, né l'opportunità di alzarsi e domandare: onorevole Salvini, ma a chi la vuole dare a bere? Lei non castra nessuno. Non ne ha il potere, non ne avrebbe la forza, le mancherebbe il coraggio. Tutto quello che ha osato fare è proporre in parlamento una cosa che dietro un nome minaccioso ("castrazione chimica") nasconde una banale cura ormonale: una terapia che in teoria, solo in teoria, dovrebbe inibire gli atteggiamenti violenti dei maniaci sessuali. Niente forbici, onorevole Salvini, non siamo all'asilo e non ci vanno nemmeno i suoi elettori. Ecco, qualcuno avrebbe dovuto rispondergli così. Non poteva essere il suo avversario, che doveva coprirsi e non poteva rischiare di passare davanti ai telespettatori assonnati come un difensore dei maledetti pedofili. Non poteva essere l'arbitro-presentatore. Avrebbero potuto essere i giornalisti, ma a quel punto forse si erano addormentati anche loro: e li capisco.

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