Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.

domenica 28 febbraio 2021

Errare è umano, Bettini è diabolico

È buffo. Se c'è qualcosa che pensavo di aver capito dell'esperienza di governo di Giuseppe Conte, è che un leader non è poi così necessario. È importante, senz'altro, ma a volte basta trovare una persona mediamente capace, dargli fiducia, circondarlo di collaboratori abbastanza validi, e alla fine un leader salta fuori – anche perché i media hanno sempre bisogno di mettere qualcuno sotto i riflettori. Insomma se ce l'ha fatta Giuseppe Conte – se ce l'abbiamo fatta con Giuseppe Conte – non dev'essere così difficile. Magari con un po' di attenzione nella fase di pre-selezione la prossima volta potremmo incrociarne uno ancora migliore. Questo è quello che pensavo di aver capito io. 


Ed è buffo, perché Pd e M5S sembrano aver capito l'esatto contrario, ovvero che Giuseppe Conte è un grande leader, l'uomo del destino che riporterà il Movimento al successo elettorale (secondo Beppe Grillo) e darà una voce e un corpo alla federazione di queste due grandi forze politiche (secondo Goffredo Bettini). Cioè. 

Cioè dopo aver scelto un leader a caso, e averne trovato uno alla fine non totalmente incapace, io sarei portato a pensare che alla fine pescare i leader non sia così difficile: Bettini e Grillo il contrario, in sostanza avremmo vinto alla lotteria dei leader. Del resto il tizio continua a occupare un posto importante nelle classifiche di popolarità, e poi sui social prende un sacco di like eccetera. Segno che l'uomo è quello giusto, non come quello dell'ultima volta o della penultima volta. Ma è anche segno che siete disperati. Oppure che non avete capito la solita banalissima cosa: che la Repubblica Italiana è una democrazia proporzionale. 

Questo dev'essere particolarmente duro da mandar giù soprattutto per Bettini e chi lo ascolta. Se vogliamo è la tragedia del PD, il partito che doveva costruire un'alternativa a Berlusconi e si è trasformato in una specie di caricatura del berlusconismo in negativo. Se Berlusconi per vent'anni ha illuso gli italiani che fosse possibile una svolta uninominale, presidenziale, i più illusi di tutti sono stati proprio i vertici del PD. Da cui la catastrofica strategia (di cui Bettini è in qualche misura responsabile) di farsi il vuoto intorno e soprattutto a sinistra, con l'obiettivo di diventare l'unico punto di riferimento per quella benedetta metà+1 degli italiani. Strategia che si era dimostrata perdente già con Veltroni, nel 2008; ma niente da fare. 

Berlusconi tramontava ma nel frattempo il suo virus presidenziale sopravviveva in quella classe dirigente del PD che ha continuato a fare e disfare leggi elettorali nel tentativo di quadrare il cerchio, ovvero di trovare un sistema per trasformare in presidenziale una repubblica che è parlamentare per costituzione e proporzionale per cultura. Quando Bersani tentò una strada diversa, un'alleanza con la sinistra di Vendola e con un Di Pietro che avrebbe potuto arginare i 5Stelle, i maggioritari appoggiarono Matteo Renzi che invece non voleva allearsi con nessuno (tranne con Berlusconi per il maggioritario), con Matteo Renzi che concepiva ogni elezione come un referendum su sé stesso: non tanto un politico con una mentalità presidenziale, quanto il risultato di quella mentalità. Fu chiarissimo molto presto che un referendum simile Matteo Renzi non poteva che perderlo; che per quanto giovane e simpatico non poteva illudersi di piacere a metà degli italiani: fu chiarissimo molto presto ma gran parte del Pd lo seguì ugualmente nel baratro, perché alla fine il maggioritario è una fede. Tutto questo avrebbe dovuto insegnare qualcosa a qualcuno, ma evidentemente non a Goffredo Bettini che invece è ancora in giro a cercare il leader che salverà la sinistra. 

Nel frattempo a Palazzo Chigi c'è un governo che è il trionfo del manuale Cencelli (metto il link per i più giovani), un trionfo della contrattazione proporzionale, dove tutti i partiti in parlamento sono rappresentati secondo il peso effettivo e anche l'unico all'opposizione alla fine ci sta più per dovere d'ufficio (e sarà ricompensato da tante commissioni di vigilanza). Ed è il settimo consecutivo, giuro, il settimo governo consecutivo a non rappresentare una maggioranza uscita dalle urne – cosa che del resto la Costituzione della Repubblica Italiana non prevede – ma la geometria delle forze in parlamento: com'è del resto naturale in una repubblica parlamentare. Contate con me: governo Monti, governo Letta, governo Renzi, governo Gentiloni, governo Conte 1, Conte2, Draghi. Visto che sono sette? Ma nel Pd c'è chi non si rassegna. Verrà il momento in cui le urne incoroneranno il leader. Verrà il momento in cui conosceremo il nostro premier nella notte delle elezioni, e le veglie di Mentana finalmente avranno un senso. In questa cosa non ci crede più nemmeno Silvio Berlusconi ma non ha importanza, la fiaccola presidenziale ormai è passata al PD (prima ce l'aveva un tale Almirante). 

Se poi almeno questa fede nell'Uninominale e nell'Uomo della provvidenza servisse a maturare degli autentici leader di partito, ma no: di solito dev'essere un tizio scelto a sorpresa dal geniale kingmaker, perché se a D'Alema andò bene con Prodi non può essere una coincidenza, no? E quindi occhio ai sondaggi di popolarità, è lì che si nasconde il nostro prossimo De Gasperi. Eppure abbiamo già visto quanto ci mise Veltroni a stancare tutti; abbiamo già visto quanto è durato Renzi, e quanto la popolarità di Salvini sia mutevole come il vento. Giuseppe Conte invece no: per qualche misterioso motivo Giuseppe Conte dovrebbe continuare a essere amato e apprezzato come statista anche adesso che non lo è più e le videocamere cominceranno a snobbarlo. È buffo, perché io da tutta questa storia avevo capito l'esatto contrario di quello che sembrano averne capito al M5S o al PD. E siccome loro sono quelli che fanno politica, evidentemente non ho capito nulla. Quindi che ci fate ancora qui?

venerdì 26 febbraio 2021

A little better all the time


Con la mia consueta intempestività segnalo che tra poco (alle 18:00 andrà in onda su Radio Sverso una puntata di Celsius 232 Circa in cui con Marco Manicardi e Sergio Pilu si discuterà di Getting Better e ne parlerò anch'io, in termini sinceramente positivi (parleranno anche di un romanzo di un tale Steinbeck, ma cercate di non distrarvi). Nell'occasione leggerò un brano, scoprendo peraltro l'ennesimo refuso.

Ne approfitto per segnalare un po' di interventi autopromozionali, che è un po' che non lo faccio. Sul sito di Rai Cultura per esempio c'è una riflessione brevissima sulla morte di John Lennon

Qui invece Donato Zoppo mi intervistava per Rock City Nights su Radio Città Benevento, ma forse il podcast non c'è...

...Invece qui c'è tutta la bella chiacchierata all'Off di Modena in occasione del Lennon Day.

Qui invece la più severa recensione di Maurizio Codogno, che tra l'altro di refusi me ne ha trovati tanti altri che in questo pezzo non ci stanno, ne servirà un altro. A presto (it can't get much worse).

giovedì 25 febbraio 2021

Di un pezzo sbagliato che ho scritto un anno fa

È buffo come invecchino i pezzi che uno scrive. Alcuni funzionano ancora dopo vent'anni, altri dopo pochi mesi sembra che li abbia scritti un altro. Presto o tardi tutti scadono, ma quello che ho pubblicato appena un anno fa ci ha messo davvero pochi giorni. È commovente pensare quanto io sia cambiato, in un periodo di tempo che alla mia età si percepisce come brevissimo: oggi non scriverei mai un pezzo del genere, e se lo leggessi in giro magari mi incazzerei con chi lo scrive. Non mi sembra giusto cancellarlo, ma preferirei corredarlo di una specie di spiegazione, come quelle che le piattaforme di streaming allestiscono per i film del passato che rischiano di scandalizzare gli spettatori che non sono abituati (né obbligati) a contestualizzare. 


Dunque, caro pubblico immaginario: è vero, un anno fa consideravo il lockdown una misura inadeguata, che avrebbe causato più danno (economico) che utile (epidemiologico): più che una misura di prevenzione, lo ritenevo il risultato di una particolare circostanza politica, una specie di rivincita di un'autonominatasi élite meritocratica contro il populismo che aveva propulso il M5S al potere. Siffatto fenomeno lo definivo "burionismo" e rileggendomi sembra che mi preoccupasse più del virus. Almeno questa è la sensazione che davo. Una cosa che non traspare affatto dal pezzo è che avevo in realtà fatto già in tempo a spaventarmi: due giorni prima (lunedì 24) mi era già capitato di contattare il mio medico di base e di confessare alcuni sintomi vaghissimamente influenzali – quello che mi preoccupava davvero era che avevo appena scoperto che il genitore di un mio alunno era stato ricoverato. Pochi giorni prima era entrato lui stesso nella mia scuola, per ritirare la pagella; l'indomani, per motivi di lavoro, era transitato nella zona tra Pavia e Lodi in cui era stato localizzato il primo focolaio lombardo. Se la consegna della pagella fosse stata programmata nella settimana successiva, anche la mia scuola sarebbe probabilmente diventata un focolaio. A Carpi fu il paziente zero, ma non il primo a morire, qualche settimana dopo; la tempestività con cui comunicò alle autorità sanitarie i suoi sintomi evitò probabilmente un disastro peggiore. 

Insomma il covid, che in quei giorni era vissuto ancora in gran parte d'Italia come uno spettro lontano (e tale sarebbe rimasto, in molte province fino all'autunno), per me era già una realtà quotidiana: da quel lunedì avevo smesso di andare a scuola, ma non avrei mai immaginato che la scuola non avrebbe più riaperto fino a settembre; che gran parte dei miei ragazzi di terza li avevo già visti dal vivo per l'ultima volta. Il lockdown che immaginavo mentre scrivevo quel pezzo era una banale sospensione didattica di una o due settimane, e dall'alto delle mie improvvisate competenze epidemiologiche lo consideravo un banale palliativo, una specie di scotto da pagare a Burioni e compagnia. Non avrei neanche avuto tutti i torti, se davvero tutto dopo dieci giorni fosse stato riaperto (e di questo ero sicuro). L'eventualità di un lockdown esteso a tutte le regioni d'Italia, e protratto fino all'estate, era per me plausibile tanto quanto quella di una guerra civile: sul serio, per credere che negozianti e ristoratori avrebbero accettato misure così draconiane senza alzare barricate ho dovuto verificarlo coi miei occhi: e tuttora mi chiedo come sia stato possibile. Se potessi prendere una macchina del tempo e avvisare il mio io di un anno fa, sarei il primo a non credermi. Dopo un decennio buono passato a preoccuparsi dei NoVax e di qualsiasi banda di disperati che riuscisse a conquistare una piazza (i forconi!) chi se lo sarebbe aspettato tutto questo? Io non me lo aspettavo. Eravamo veramente all'inizio: si cercava ancora il paziente zero, si parlava di cinesi e pipistrelli. 

Già ai primi di marzo tutto era cambiato. Ripensando a quel che mi è successo dopo, mi sembra di avere scalato una montagna. In febbraio la vedevo da lontano, e pensavo di aver capito che forma avesse. Appena mi sono avvicinato, non ho più visto nient'altro se non il pezzo di sentiero che avevo davanti: non ho avevo abbastanza energia per preoccuparmi d'altro. C'era da inventare una didattica a distanza, riallacciare i contatti coi colleghi e gli studenti, organizzare gli esami, eccetera. Nel frattempo Burioni spariva all'orizzonte, eclissato da altri specialisti più disponibili a confrontarsi sui media. Oggi, quando lo incrocio su un social, mi sembra sempre un po' più ottimista di me. I numeri (soprattutto quelli della vicina Lombardia) ci suggeriscono che siamo ai prodromi della terza ondata, di tutte la più stupida perché sarebbe bastata un po' di prudenza per contenerla; ma bisognava per forza festeggiare il Natale in compagnia e riaprire le scuole superiori, dato che sono "sicure". 

Oggi mi sembra di vedere tutto chiaramente, ma ecco, la montagna non la vedo più: è tutto intorno a me, in gran parte sotto di me, e non posso escludere che il mio io di un anno fa tutto sommato una certa dimensione del problema, da lontano, l'avesse azzeccata: quanta economia possiamo permetterci di sacrificare per la nostra salute? Non che io pretenda di conoscere la risposta, ma appunto: chi avrebbe oggi la super-competenza necessaria per risolvere un dilemma del genere? Non si poteva pretendere che fosse Conte, un tizio che era stato messo al suo posto proprio da un partito di programmatici incompetenti. 

Oggi è un problema che non mi pongo più – non perché non mi riguardi, ma perché ci sono troppo dentro, appunto: riguarda la salute mia e dei miei cari, alcuni dei quali non ho più abbracciato da allora, alcuni dei quali non abbraccerò più. Sono troppo interessato alla questione per poter formulare un parere equanime, e soprattutto non riesco a non supporre un interesse simile in chi formula un parere diverso dal mio. Su un piano razionale posso capire che abbia senso tenere aperte le scuole – la gente non può restare a casa coi figli – e allo stesso tempo non posso non constatare quanti disastri stia facendo quel falso senso di sicurezza che abbiamo inoculato nelle famiglie, aprendo tutte le mattine degli edifici scolastici dove l'unica barriera tra i bambini e il virus è la mascherina che si portano da casa (quelle della Fiat sono troppo scomode). Un anno fa diffidavo dei Burioni, temevo che capissero più dei virus che delle persone; oggi ho paura dei Bonaccini e dei Salvini che per una manciata di voti in più sono ben disposti a riaprire impianti sciistici o ristoranti quanto prima. Il virus prima o poi lo prenderò, oppure riuscirò a vaccinarmi (la segretaria del mio medico ha detto di citofonare giovedì). Prima o poi insomma il covid passerà, ma i Salvini e i Bonaccini resteranno lì, con la stessa indifferenza per la mia salute. Non so a che punto sono della montagna: la vetta da qui non la vedo, in compenso il paesaggio a valle mi risulta più chiaro. Confesso una certa pietà per quel ragazzo che un anno fa si trovava alle pendici. Tra un anno chissà cosa penserò, e in generale cosa sarà di noi. 

martedì 16 febbraio 2021

Simpatia per Giuseppe

Nessuno sa, e io meno di tutti, cosa riserva il destino a Giuseppe Conte. Il suo ufficio stampa si affanna a divulgare un dato pittoresco – il suo messaggio d'addio ha avuto una quantità di condivisioni straordinaria e questo magari ci convincerebbe di qualcosa, se non avessimo già visto negli ultimi anni personaggi assai più popolari di lui cadere nella polvere: Beppe Grillo, Matteo Renzi, Matteo Salvini hanno tutti illuso per almeno sei mesi di essere i nuovi catalizzatori delle attese e degli odi degli italiani, in breve i successori di Berlusconi; tutti e tre presto o tardi sono tornati coi piedi sulla terra e ora si arrabattano come possono, come tutti. Conte rispetto a loro partiva svantaggiato; era meno divisivo, il che fino a quel momento era sembrato un handicap. Per due anni ci è sembrato poco più che un prestanome. Poi è arrivato il lockdown ed è successo qualcosa di cui dobbiamo ancora prendere le misure. 


Dire che ha dimostrato il suo valore nel momento più difficile sembra retorico: non ha perso la testa nel momento in cui nessun altro avrebbe voluto averla al suo posto, questo sì. Può darsi che semplicemente molti italiani si siano identificati in lui, nel bene, nel male e soprattutto in quel che sta in mezzo. È vero, non era l'uomo giusto al posto giusto, ebbene: nessuno di noi lo è stato. Conte non poteva prometterci rivoluzioni o rottamazioni, non aveva un passato da cui liberarci, né facili nemici da additarci; tutto quello che poteva fare era restare calmo e cercar di far funzionare qualcosa, e in questo ha probabilmente intercettato l'ansia e la simpatia di milioni di smarriti padri e madri di famiglia, milioni di professionisti mal qualificati con qualche scheletro nel curriculum. Tutti noi che un mattino mentre ci vestivamo per andare al lavoro abbiamo sentito come una specie di boato nell'aria, un lampo improvviso e ci siamo chiesti: cos'era? E presto lo abbiamo imparato: avevamo appena varcato la soglia di Dunning-Kruger, avevamo rotto il muro della nostra competenza. Da allora ci troviamo in ruoli di responsabilità che richiederebbero persone più capaci, più sveglie, più adatte, e non è che non le stiamo cercando, ma nel frattempo la campana suona per noi, che improvvisiamo e malediciamo quella volta in cui ci hanno proposto una specie di promozione e abbiamo sussurrato una specie di sì. Era facile immaginarlo mentre sopprimeva quelle urla interiori come un qualsiasi padre di famiglia costretto a sorridere ai figli e a trovare parole rassicuranti mentre la barchetta cola a picco. Era impossibile crederci davvero, in Giuseppe Conte, e allo stesso tempo era impossibile non tifare un po' per lui, festeggiare ogni suo (relativo) successo, auspicare un lieto fine in cui il tizio imbarcato dalla ciurma per fare da zavorra si rivela il comandante ideale. E poi?

E poi è successo che – forse anche grazie a lui, ma soprattutto a causa della peggiore pandemia da un secolo a questa parte – questa zattera malgalleggiante che da anni navigava alla deriva, snobbata da tutti i cosiddetti poteri forti, è tornata a essere un asset strategico, qualcosa in cui l'Europa ha deciso di investire i suoi soldi, e per qualche mese Conte probabilmente si è illuso che questi investimenti avrebbe potuto gestirli lui. E invece no: nell'esatto momento in cui siamo tornati a essere interessanti, il destino politico di Giuseppe Conte era probabilmente segnato. E ora? Può anche darsi che la sua popolarità sopravviva al suo governo, ma non bastano senz'altro i like e gli share. Probabilmente non basta neanche il Fatto Quotidiano. (Se Cairo si interessasse al prodotto, chissà). Ormai di questi fenomeni conosciamo i tempi di dimezzamento e forse qualcuno può già calcolare quanto ci metterà l'ex presidente del Consiglio dei Ministri a diventare un ospite di talk show, magari col suo partitino di rappresentanza. Se poi il nuovo governo penta-partisan dovesse fare peggio del suo... ma è improbabile. Qualcuno gli vorrà comunque sempre bene: una generazione di studenti lo ricorderà sempre come l'uomo che ha chiuso le scuole per sei-otto mesi, sono cose che lasciano il segno. 

Un'altra ipotesi, meno probabile ma più epica, è che Giuseppe Conte se ne torni alla sua università, come Cincinnato ai suoi campi, in attesa di una chiamata che forse non verrà mai. Dopodiché chissà cosa ci riserva il futuro – magari tra vent'anni da qualche parte in un mondo completamente diverso, qualcuno se lo troverà dall'altra parte di una scrivania e gli chiederà: che hai fatto nella vita che possa esserci utile? E lui: ho governato una popolosa nazione nel bel mezzo di una crisi pandemica. Che cosa? Vi giuro, è andata proprio così, nessuno voleva provarci e allora ho fatto io, finché – nonno, insomma, alla tua età stai ancora a truccarti il curriculum?

mercoledì 10 febbraio 2021

Eccone un altro che ci vuole a scuola in luglio

Può darsi che Mario Draghi riesca davvero, come ha anticipato, ad allungare l'anno scolastico a tutto giugno. Un provvedimento del genere, come tutti quelli che si prendono in un'emergenza, ha i suoi pro e i suoi contro. Se pensiamo al virus, ormai abbiamo capito che il contagio avviene per lo più per via aerea in luoghi frequentati (meglio se chiusi); d'estate ci dà tregua perché la gente vive all'aperto. Affollare le classi un altro mese significa prolungare la terza ondata ancora un po' – e se l'anticiclone non ci grazia, non sarà nemmeno il problema principale d'ordine igienico-sanitario: le scuole italiane non sono progettate per essere frequentate in un giugno caldo. Quanto agli insegnanti, non è che di solito in giugno non lavorino: non fanno lezioni, ma per esempio fanno esami, corsi di recupero, preparano le classi dell'anno successivo, eccetera. Tutte cose che andrebbero spostate in luglio. Tecnicamente insomma non è che non si possa fare; e allora perché ho il sospetto che non si farà?


Probabilmente è il ricordo del Mario precedente. Ve lo ricordate Mario Monti? Lo salutammo tutti come un necessario ritorno alla serietà, dopo le mattane del tardo Berlusconi. Con lui finalmente arrivarono a palazzo Chigi ministri competenti, selezionatissimi, ad esempio il ministro della pubblica istruzione veniva dal CNR e... appena insediato si mise a spararne di grossissime. Cominciò suggerendo che l'orario delle lezioni frontali di tutti gli insegnanti si poteva aumentare di un terzo, da 18 ore settimanali a 24, ma senza contrattazione, per carità: gli insegnanti semplicemente avrebbero dovuto entrare in qualche classe in più e lavorare un po' di più. Questa cosa avrebbe portato all'assunzione di più giovani, in un qualche modo non chiaro che forse prevedeva la consunzione fisica degli insegnanti sul luogo di lavoro; altrimenti davvero non si capiva in che modo spostare un terzo del lavoro sugli insegnanti già in organico avrebbe portato a un aumento dell'organico. La logica, il buon senso, ci dicevano il contrario, ma questo era un tecnico, qualche settimana dopo buttò anche lì che sarebbe stato bello abolire l'ora di religione, insomma venir meno al concordato tra Stato e Chiesa: mica male per un ministro tecnico appena arrivato. 

Il risultato pratico di tutte queste boutades fu zero. Come avrete notato il concordato è ancora in piedi e il contratto nazionale prevede ancora 18 ore di lezione che, non stanchiamoci mai di ricordarlo, significano diverse ore in più di gestione del lavoro (riunioni coi colleghi, correzione compiti, dialogo coi genitori: tutte cose che sarebbero aumentate in proporzione con un passaggio da 18 ore a 24). Come mai non se ne fece niente? Furono forse i temibili sindacati? No, perché due su tre nemmeno aderirono a uno sciopero. Comunque in effetti un piccolo risultato pratico ci fu. Mario I smise di essere un tecnico e diventò un politico, ovvero una persona che va in tv a raccontare bugie per farsi eleggere. Piagnucolò da Fazio che era un vero peccato che gli insegnanti non volessero lavorare due ore in più alla settimana. Disse proprio due ore in più, me lo segnai, bisogna essere precisi quando si afferma che la tal persona mente. 

Magari invece Mario II è sincero. Però capite che uno parte prevenuto. Il vento è un po' cambiato, la retorica sovranista non si porta più bene, anche i populisti segnano il passo, e di conseguenza torna a farsi sentire la retorica liberale. Quella italiana è particolarmente insopportabile, dal momento che in Italia un vero movimento liberale non c'è veramente stato: se escludi i padroni, i cani da guardia, le pulci dei cani e chi brama di sostituirle, non ti rimane fuori un solo cantore della libera impresa. I cosiddetti liberali italiani vivono i lockdown scolastico come una vera sofferenza, per loro in fondo la formazione consiste in un'enorme gara mondiale con l'Ocse Pisa che tiene il punteggio, e questa cosa che gli studenti italiani siano rimasti fermi al box un mese più di altri è insopportabile, rischiamo probabilmente di essere doppiati dalla monoposto di Singapore. Non resta che fare straordinari, sì, ovviamente senza pagarli agli insegnanti che poi si sa sono mangiapane a tradimento. Mario II non è senz'altro un imbecille, ma deve parlare a questa gente qui, alla loro pancia: alla fine basta che passi anche solo un'immagine, l'idea di uno statale a posto fisso che si scioglie nel sudore mentre intrattiene il pubblico sulla perifrastica passiva, ecco, questo per i liberaloidi italiani è meglio del porno. Che poi all'atto pratico tutto questo sia o meno fattibile, è un dettaglio, anche perché con calma si può sempre tornare in tv e raccontare che sono stati gli insegnanti a impuntarsi, coi loro perfidi sindacati eccetera. Insomma, ci siamo già passati. Dove Mario I ha fallito, Mario II potrebbe farcela.  

Soltanto, per favore, non dite che tutto questo è la fine del populismo o del sovranismo. È l'esatto contrario, populismo e sovranismo hanno vinto. Chi sostiene che le difficoltà del lockdown si possano risolvere tenendo due o tre settimane in più gli studenti e gli insegnanti in un luogo caldo e affollato vi sta facendo un discorso populista: sa che ce l'avete con i prof e il loro posto fisso e propone di punirveli; sa che siete in pensiero per la sorte della gioventù italiana che l'anno scorso è andata a scuola un mese in meno di quella tedesca, e propone di rimediare con una spedizione punitiva. È una mentalità sovranista. Certo, suona tutto un po' più raffinato di quanto era prima. Ma è un po' l'effetto che fanno le macchine nuove. Poi si vedrà. Probabilmente Mario II è davvero un po' più bravo del precedente. Ma noi purtroppo siamo gli stessi scemi di ieri: prova ne è che abbocchiamo agli stessi ami. 

sabato 6 febbraio 2021

Meglio un giorno da pecorella

Lo so che ci sono tante cose più importanti e interessanti, ma ieri sera, provato dagli scrutini, sono restato su una poltrona e ho visto un po' del Cantante mascherato; quanto basta per scoprire Alessandra Mussolini sotto la maschera della pecorella. Ecco, per me questa piccola cosa è abbastanza interessante.


Mi ha fatto venire in mente un tweet o qualcos'altro di un americano o di un inglese, non mi ricordo più, che qualche mese fa scoprì tutto scandalizzato che la sopradetta Alessandra Mussolini, nipote di tanto nonno, invece di vivere per sempre marchiata dall'indelebile infamia, partecipava alla versione italiana di Dancing with the Stars (Ballando con le stelle). Anche in quel periodo c'erano tante cose più importanti o interessanti per cui anche se avevo voglia di rispondergli non l'ho fatto. 

Però ripensandoci avrei dovuto, qualcuno avrebbe dovuto rispondergli, ehi Mister, Sir, qual è il problema? Con tutti quelli che abbiamo, una Mussolini che balla è interessante? È vero, a differenza di voi imperialisti abbiamo avuto un dittatore certificato. Non c'è dubbio, è successo, e molti di noi hanno ancora un grosso problema ad accettarlo; resta fermo però il principio che le colpe del padre non ricadono sul figlio (tantomeno sul nipote). Quindi la signora Mussolini non solo ha fatto la ballerina, e l'attrice, ma è stata pure eletta in parlamento: ne aveva il diritto, si è candidata, e qualcuno aveva il diritto di votarla. Però alla fine non ha funzionato, e adesso fa l'ospite televisiva. Il che dovrebbe essere avvilente, ma per chi? Lei si diverte, la gente è moderatamente contenta di riconoscere una faccia nota, il cognome così terribile si associa un po' meno agli orrori del Novecento e un po' più alle copertine dei rotocalchi, e questo in qualche modo dovremmo sentirlo ingiusto. Per me è il contrario, e forse è una delle particolarità italiane che esporterei. La tv come camera di compensazione per i rampolli di famiglie celebri per il motivo sbagliato. 

Remembering China’s last emperor, Puyi, 50 years after his death 

Ho sempre trovato incredibile il modo in cui i comunisti cinesi trattarono l'ultimo imperatore, quel Pu Yi che pure si era macchiato di un tradimento e aveva permesso orrori che fanno impallidire quelli del nostro Mussolini e del nostro Savoia. Come sa anche solo chi ha visto il film di Bertolucci, quando i comunisti riuscirono a farsi consegnare Pu Yi dai sovietici, lo trasformarono in un... giardiniere. Non fu un trattamento indolore: dovette passare per un campo di rieducazione. Ma l'idea era potente: prendere l'ultimo erede di una dinastia, e di una storia millenaria, e trasformarlo in un cittadino qualunque. Una cosa del genere noi non potremmo farla – è ingiusto anche solo sognarla – però qualche buona idea a volte ci viene, ad esempio prendere il nipote di un re esiliato, o la nipote di un dittatore ancora rimpianto da molti italiani e trasformarli in celebrità sospese tra mainstream e trash. Per loro è sempre meglio che lavorare; per chi rimpiange i fasti dei nonni è un'offesa alla memoria, per noi che guardiamo è un modo per confiscare loro un'eredità che non hanno richiesto e che non meritano, nel bene e nel male.  

Quindi, o popoli: avete figli di dittatori da gestire, o eredi a un trono che non c'è più, e vi sembra ingiusto fucilarli? Mandateli in tv a ballare e cantare, in Italia facciamo così e secondo me funziona. Non fate il contrario, come gli americani, non mandate i personaggi televisivi in politica: quello sì che è pericoloso. (Allo stesso Trump, forse sarebbe bastato offrire di nuovo una stagione di The Apprentice e magari avrebbe acconsentito a lasciare la Casa Bianca con meno strascichi). 

(E ora che ci penso, quando ci lamentiamo di Renzi che continua a far politica, dobbiamo ammettere che lui a un certo punto ci aveva anche provato, a passare alla televisione; e non era una idea così sbagliata: dopo che aver vissuto per anni in quel trip egotico che è la politica ad alto livello, circondato e riverito da lacchè, quale altra cosa puoi fare, che ti produca una soddisfazione lontanamente paragonabile? La tv generalista funziona, ha salvato Giulio Ferrara, Claudio Martelli, chissà quanti altri. Avrebbe potuto salvare anche lui, e lui ci ha provato, non dite di no. Ha fatto quel documentario... l'avete guardato? Sì, lo so. È tv generalista, bisogna essere molto stanchi o disperati. Tra un po' bisognerà pagare qualcuno per guardarla).

(Ho chiesto in classe: avete visto il Cantante Mascherato? Nessuno. E li capisco, però comincio ad aver paura). 

(Ma insomma quando qualcuno si mette a dire che Renzi è un sagace politico, ricordate un attimo che si è dovuto rimettere a far politica perché neanche in tv funzionava. Cioè la politica come camera di compensazione della camera di compensazione).

Altri pezzi