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lunedì 30 marzo 2020

Pietà per noi 40

Pietà per noi quarantenni, che siamo a fine corsa e non l'abbiamo capito.


Non siamo progettati per capire. Siccome nessuno ci prendeva sul serio abbiamo dovuto cominciare a farlo da soli, tirandoci su dalle sabbie mobili dell'ironia come il barone di Munchausen, con risultati discutibili. Anche adesso non capisci se ci siamo o ci facciamo. Wall Street può crollare, ma non toccateci la passeggiata. Un lockdown è Stato totalitario, una vecchia dal balcone che urla "State a casa" è il panopticon. Se solo Anna Frank potesse leggere i nostri diari on line, che pianti si farebbe, che empatia.

Pietà per noi quarantenni, che non siamo mai stati maggioranza e questo a un certo punto dev'essere diventato un limite cognitivo. Ancora oggi la domanda è: ma se vado al parco da solo, che problema c'è? E se tutti si facessero la stessa domanda, lo capisci che in quel parco saremmo in cinquecento, e un problema forse ci sarebbe? Ma il quarantenne non ragiona così, non si è mai visto massa e adesso è complicato cominciare. Moltiplicare tutti i suoi tic, le sue idiosincrasie, per un milione, dieci milioni, sessanta milioni. Come si fa.

Pietà di noi quarantenni che passiamo la giornata a domandarci di chi è la colpa, a inveire contro il governo e/o contro l'opposizione, contro i cinesi e contro gli inglesi, contro chi corre e contro chi non chiude le fabbriche. L'apocalisse ce la immaginavamo meglio comunicata, meglio descritta; è chiaro che mancano le competenze e manca la visione d'insieme.

Pietà per noi cresciuti alla scuola del cinismo. È inutile che ci racconti che ora tutto cambierà, fosse anche vero è troppo tardi. Se siamo quarantenni ne avevamo venti quando due grattacieli crollarono, sì, è facile dirlo adesso, che in fin dei conti cosa vuoi che fossero due grattacieli. Dovevi esserci quel giorno, e avere vent'anni: dovevi sentirti ripetere che nulla sarebbe mai stato come prima, e poi scoprire – indovina! Che tutto restava abbastanza come prima; magari qualche guerra in più, qualche attentato in più, ma neanche tanti. Adesso che ti aspetti, è il Duemilaeventi e se abbiamo quarant'anni è quel tipo di cifra che da bambini si metteva nel titolo di un film di fantascienza.

Hai un bel da dire che questo virus sarà complicato e poi ce ne saranno altri, e dalle crisi seguiranno crisi, e l'emergenza climatica e tutto il resto. Non è che non ce l'aspettassimo, ma è tardi. Non è che non immaginassimo di dover cambiare il nostro stile di vita, ma un po' prima, non a mutuo sulla casa quasi estinto. Non è che non ci aspettassimo l'arrivo dei Tartari, ma erano schedulati verso il Duemila, al massimo Duemilaecinque: adesso abbiamo famiglia, come si fa.

Pietà di noi che non abbiamo mai avuto una battaglia vera, un nemico chiaro da combattere: stavamo qui, cercavamo di mantenere un minimo di decenza, di difendere un minimo di cose che a un certo punto erano pericolosamente simili a uno status quo che nemmeno ci favoriva, ma insomma, in linea di massima uno deve fare quel che può nel luogo dove gli è capitato di vivere, e così abbiamo fatto: e ovviamente non bastava, e questo ci sarà contato: pietà di noi.

Pietà per noi che stavolta la sfangheremo, e magari non impazziremo – finché gli uffici e le scuole non riapriranno (e alcuni erediteranno cose che non vogliono e non sanno gestire): e allora sì, ci ritroveremo soli in cabina di comando e la prossima sirena adesso lo sappiamo, che suonerà per noi.

mercoledì 25 marzo 2020

Inferno XXXIII 1-78 (lettura notturna e spudorata)

(Chiedo scusa, avrei dovuto lavorarci molto di più per renderla presentabile, ma non mi è possibile. Buon dantedì).

Diui Vdertii apotheosis

Di Uderzo potrei parlare per mesi e non escludo di farlo in un momento più tranquillo. Era il più grande. Ha regnato per un quarto di secolo in una regione impossibile, tra l'iperrealismo e la caricatura. Disegnava gli accampamenti romani più realistici e li riempiva di nanerottoli col nasone, nessuno riusciva a passare dal grottesco al classico con tanta disinvoltura.

È un tipo di arte che siamo sempre meno in grado di apprezzare, la caricatura soprattutto: non so quanto in patria si sia già attivato un movimento per definirlo un razzista, tutti i caricaturisti in un certo senso lo erano e Uderzo non si è mai tirato indietro fino alla fine: in particolare il suo ultimo Asterix trasudava di una xenofobia lungamente negata e repressa.

Bisognerà spiegare ai ragazzini che all'inizio della storia quei nasoni e quelle pance, quei distillati di un'arte grafica secolare, esprimevano sotto i costumi di scena le speranze di un'Europa del dopoguerra in cui i popoli cominciavano timidamente a presentarsi gli uni gli altri (ed erano popoli di mezza età, panciuti e sdentati, proprio come quelli usciti dal conflitto mondiale): ma forse non basterà, forse non riusciremo a farci capire, forse di Asterix rimarrà solo il guscio vuoto, come Mickey Mouse che degli anni della Depressione non conserva nemmeno più la coda. Mi dispiacerebbe però.

domenica 22 marzo 2020

Il più grande nasconditore di preti d'Inghilterra

22 marzo – Nicholas Owen (1562-1606), carpentiere, occultatore di preti

Di santi ce n'è di tutte le misure – Nicholas Owen era quello che si diceva un nanerottolo. Perlomeno le cronache ce lo consegnano così, ed è uno dei tanti dettagli della sua storia troppo perfetti per sembrare veri. Nicholas Owen di mestiere costruiva piccoli nascondigli segreti per i preti cattolici – ovvero, di mestiere faceva il carpentiere come suo padre (e come il padre di Gesù), ma quella era solo la copertura. Di giorno in effetti aveva una sua bottega da carpentiere, dove probabilmente gli capitava di sonnecchiare sulla pialla e tirare martellate a caso per far sentire all'esterno che si stava impegnando; di notte viaggiava in incognito, nome in codice Little John o Little Michael; entrava in case e palazzi e al buio e nel silenzio costruiva armadi a scomparsa, finti corridoi, inganni prospettici, passaggi segreti più a misura di nano che d'uomo, ma utili a un clero cattolico ormai passato in clandestinità. "Priest holes", li chiamavano le guardie al servizio di Sua Maestà, quando li trovavano, buchi da prete. C'è una villa nel Wostercershire che ne ha almeno undici – bisogna dire "almeno" perché gli storici non sono affatto sicuri di averli trovati tutti. Un trucco tipico di Owen era il doppio nascondiglio: ne costruiva uno relativamente facile da trovare che ne nascondeva un altro ben più complesso. Per tutti questi trucchi che salvarono la vita a dozzine di preti, Owen non chiese mai più della paga ordinaria.


Di santi ce n'è di tutti i tipi – Nicholas Owen non sembrava il più adatto a diventare il personaggio di un film d'azione. Aveva l'ernia e un cavallo rotolandogli addosso lo aveva lasciato zoppo di un piede. Almeno un paio di volte fu proprio l'apparenza prosaica a salvarlo, quando veniva arrestato perché cattolico e poi rilasciato perché considerato un pesce piccolo. Tutto il contrario di padre John Gerard, l'agente segreto dei gesuiti, che in un film del genere potrebbe essere il James Bond, o meglio ancora lo Zorro, visto che per ingannare le autorità anglicane fingeva di condurre una vita dissoluta, conciandosi da damerino e giocando d'azzardo. Gerard nel 1594 fu arrestato con Owen: il secondo fu rilasciato dietro cauzione; Gerard aveva l'aria di essere una figura molto più importante e così fu trasferito alla Torre di Londra, l'unico luogo dove era consentito usare il terribile cavalletto per torturare i detenuti. Tra un interrogatorio e l'altro, Gerard ebbe la prontezza di spirito di chiedere a un guardiano delle arance, col succo delle quali avrebbe scritto i messaggi che avrebbero consentito a una task force cattolica di liberarlo. L'architetto dell'epica fuga dalla Torre sarebbe stato proprio Nicholas Owen. La task force, insieme a Gerard (che sarebbe evaso appendendosi a una corda, malgrado i polsi slogati dalla tortura), prelevò anche il guardiano, evidentemente un po' corrotto: il che ci suggerisce che le cose potrebbero anche essere andate in modo meno epico di come lo stesso Gerard le avrebbe raccontate nella sua autobiografia. Ma ormai la sua fuga è parte integrante del folklore della Torre, è una cosa che si racconta ai bambini, non sarebbe così facile rinunciarci. Sia come sia, Padre Gerard non smise mai di onorare il piccolo carpentiere che aveva aiutato lui e i suoi colleghi. "Non credo davvero che nessuno abbia fatto più di lui, tra quelli che lavorarono nella vigna inglese".



Altri nel frattempo stavano tramando disastri – in una cantina di Londra, nel 1605, una cellula di cattolici radicalizzati stava ammucchiando barili di polvere da sparo. Constatata l'impossibilità di riconvertire la classe dirigente al cattolicesimo, l'idea era quella di farla saltare in aria, la classe dirigente: e proprio a Westminster, durante la prima seduta del parlamento. L'unico prete informato del complotto aveva ricevuto la confidenza durante una confessione, e quindi non poteva rivelarlo. L'aveva però a sua volta confessato al superiore, padre Henry Garnet. Garnet scrisse qualche lettera, anche al papa: lasciò intendere che la situazione era, come dire, esplosiva, e forse qualche pulce nell'orecchio degli inquirenti la attivò: il che non lo salvò dalla furia di questi ultimi, una volta sventata la congiura. Trovò rifugio proprio in uno dei priest holes costruiti da Nicholas Owen, in quella villa del Worcestershire in cui ce n'erano almeno undici. In uno di questi a un certo punto le guardie trovarono Nicholas Owen stesso, e la tradizione vuole che sia stato lui a palesarsi nel tentativo di distogliere l'attenzione dall'obiettivo più importante, che era padre Garnet. Ma forse qualche uccellino nel frattempo aveva cantato, insomma stavolta sapevano di aver catturato il pesce giusto.

Lo stesso Segretario di Stato, Robert Cecil, mette per iscritto un'"incredibile gioia" scatenata dalla notizia del suo arresto, "sapendo la grande abilità di Owen nel costruire nascondigli, e l'innumerevole quantità di oscure tane che ha progettato per nascondere preti in tutta l'Inghilterra". Alla fine presero anche Garnet, dopo otto giorni in cui aveva succhiato nutrimento da una fessura con una cannuccia, in un nascondiglio che Owen non aveva potuto provvedere di servizi igienici, cosicché a un certo punto chi ci stava dentro non poté fare altro che uscirne. Garnet fu giustiziato sulla pubblica piazza con l'accusa di alto tradimento, ma la procedura che prevedeva l'impiccagione, lo sventramento mentre il condannato era ancora vivo e lo squartamento non fu applicata completamente, le cronache dicono che la folla non era d'accordo e Gerard rimase appeso alla forca. A Guy Fawkes e agli altri congiurati non fu fatto lo stesso favore.

Ci santi ce n'è di predicatori, e confessori, e ogni genere di chiacchieroni: Nicholas Owen era del tipo taciturno (come il padre di Gesù). Lo rimase anche alla Torre di Londra, quando lo appesero per i polsi coi pesi alle caviglie finché non ne morì, senza dire un solo nome. Questo almeno è quello che raccontano di lui gli agiografi, e in effetti suona tutto un po' troppo perfetto per essere vero. La Storia ci insegna a diffidare: magari qualche nome alla fine sotto tortura potrebbe averlo fatto, magari qualche nascondiglio non lo aveva costruito lui. Magari Padre Gerard uscì dalla porta di servizio della Torre fischiettando mentre i guardiani contavano le ghinee della mazzetta.  Chi lo sa. Certo è notevole che in una storia tanto sanguinolenta e fetida di polvere da sparo, Owen emerga pulito come un bambino. Sembra davvero il caratterista dei film, quello di poche parole che si trova sempre sul set nel momento giusto, quando c'è da nascondere un eroe o farlo evadere. Verso la fine del film spesso viene sacrificato; è l'occasione per far scendere una lacrima e motivare una riscossa risolutiva. Che in questo caso non ci fu: dopo la Congiura delle Polveri i cattolici divennero ancor più invisi al popolo inglese. Padre Gerard riparò in continente e (su ordine dei superiori) scrisse la sua avventurosa vita ad maiorem Dei gloriam. Non gli riuscì neanche di diventare santo: al suo fido carpentiere sì, è stato canonizzato nel 1970 con altri quaranta martiri inglesi (e gallesi) delle guerre di religione.

sabato 21 marzo 2020

Il roveto di Benedetto

21 marzo - San Benedetto da Norcia (480-547), eremita, fondatore dell'ordine benedettino, patrono d'Europa

[2013]. Benedetto ogni tanto lo volevano ammazzare. Gli intossicavano il vino, gli avvelenavano il pane, a lui ovviamente bastava un segno di croce perché il bicchiere impestato si frantumasse, o un corvo venisse a far sparire il pane avvelenato. Ma chi è che voleva così male a Benedetto? Gli invidiosi, come al solito. Quelli che prima magari avevano strisciato per portarselo nel proprio monastero, per il solito fatto che un teorico della povertà integrale è sempre molto decorativo; però poi quando si rendevano conto che Benedetto non scherzava, che digiunava sul serio e voleva che anche i confratelli lo facessero, cercava un sistema per toglierlo di mezzo. Il tentativo più famoso comunque resta quello di Don Fiorenzo che, constatata l'impossibilità di avvelenare Benedetto, tentò di screditarlo mandando sette giovinette nude a ballare girotondi nel giardino del monastero. Giacché diciamocelo: chi resisterebbe a un girotondo di sette giovinette nude?

Benedetto, per esempio. Vide le giovini, provò una profonda tristezza, fece i bagagli e se ne andò. Pochi minuti dopo lo stavano già richiamando: torna pure indietro, Don Fiorenzo è morto, era sul terrazzo a guardarti partire e sghignazzava così tanto che insomma il terrazzo è crollato, eheh.

Dai, facciamo una cena elegante (È il famoso quadro in cui il Sodoma aveva dipinto le giovani nude, per precisione filologica, ma i monaci di Monte Oliveto non lo pagarono finché non le rivestì).

Qualcun altro si sarebbe inginocchiato e avrebbe reso gloria al Signore, Benedetto invece si rattristò, era pur sempre morta una persona, e redarguì il messaggero: che hai da ridere? vergognati, piuttosto, e penitenziagìsci. Resistere alle coreografie di sette donne nude è già una virtù eroica, ma non accennare nemmeno una smorfia di soddisfazione mentre apprendi che il tuo nemico è morto precipitato tra i rottami mentre ti rideva alle spalle, questo è da superman della santità, questi è Benedetto, primavera del Medioevo. Non amava che i monaci ridessero; la sua Regola tradisce una certa insofferenza per il riso. Ma tutto sommato è un testo ragionevole, poco in sintonia con l'integralismo del Benedetto leggendario, che prima di dirigere o fondare monasteri era stato a lungo un eremita solitario e poi forse, chissà, invecchiando si era di molto addolcito. L'esempio più famoso è quello del vino: il digiunatore Benedetto nella Regola lascia benissimo intendere che lui non ne berrebbe mai ("riteniamo che il vino non sia per il monaco"), ma siccome con i giovani è impossibile ragionarci, vada per un quartino al giorno, e non di più. Una dose di tutto riguardo, considerati gli standard di vita dei secoli bui. Con Benedetto i monasteri occidentali si allontanano dagli eccessi ascetici di oriente e si avviano a diventare luoghi di rifugio per artigiani e intellettuali in quei secoli senza mecenati.

Ai tempi in cui resisteva vittorioso alle sette ballerine nude, Benedetto era ormai trasceso al di là di ogni concupiscenza. Non era stato un percorso graduale o faticoso, come smettere di fumare. Da giovane aveva sperimentato la seguente terapia shock: un giorno che si era sorpreso a pensare a una ragazza vista per strada, si era gettato nudo in un roveto. La libido era cessata all’istante. Son quelle leggende che quando te le leggono da bambino, in refettorio, tu alzi il sopracciglio, mmm, la capriola nel roveto che ti fa passare per sempre la voglia di copulare, certo, certo. Ma poi il tempo passa, e quanto ne passa a inseguire persone di solito inadatte, che magari hanno solo la sfortuna di passare di lì e poi devono sopportarti per mesi, anni, e quanta fatica, per cosa poi? Diciamo la verità: trovassimo il rovo di San Benedetto, non ci getteremmo? Una capriola, un po’ di croste e poi via, tranquilli ed eunuchi per il resto dei nostri giorni. Non ci faremmo un pensiero?

No.


I funerali
Non ci pensa mai nessuno. Solo qualche maniaco, quando lo beccano, chiede la castrazione chimica, ma è comoda così. Noi proprio non ce la facciamo a spegnere il pulsante. È frustrante, è faticoso, ti porta a commettere gli errori peggiori della tua vita, e ciononostante non lo spegne nessuno. Neanche i più intelligenti sono così intelligenti. Neanche i più potenti. Faccio un nome a caso. Silvio Berlusconi. Ma cosa combinava, ma è possibile. Poteva avere tutto quello che voleva, possibile che tutto quello che voleva fosse una corte dei miracoli di sgallettate che avevano un quarto dei suoi anni? Poi la gente dice che è tutta invidia. Può anche darsi che lo sia. Voglio dire, il caso di Berlusconi mi interpella come maschio. Ogni volta che ne leggo una nuova su di lui non posso fare a meno di misurarmi, di pensare: ma se io avessi tutto quello che ha lui, se potessi fare tutto quello che può lui, sul serio mi ritroverei a settant’anni a scambiare appartamenti per pompini? Davvero potrei essere così imbecille? E per quanto la coscienza mi dica di no, perbacco, che io non sono così, non lo sono mai stato, c’è un’altra voce più profonda, dal basso scroto che mi dice Altroché che tu potresti. Siete tutti uguali. Siete maschi. Capite un cazzo. Solo quello. Quando punta, voi seguite.


Colgo l’occasione per salutare un grande re d’Israele che nel calendario non c’è, il saggio Salomone. Su di lui le Scritture si contraddicono allegramente: per parecchi capitoli non fanno che dire quant’era savio, quant’era bravo, e qui e là: ma nei fatti dopo di lui il Regno franò miseramente spezzandosi subito in due. A mo’ di spiegazione la Bibbia accenna al fatto che Salomone, dopo aver chiesto e ottenuto da Dio la saggezza, verso la fine si era un po’ rincoglionito a causa delle troppe concubine, peraltro non tutte 100% ebree. Insomma a un certo punto Dio, scandalizzato avrebbe ritirato il suo dono. Ma se dissipare tutte le energie senili in concubine fosse al contrario la cosa più saggia da fare? Se Salomone, se Berlusconi non fossero semplici vecchietti bavosi, se al contrario avessero capito tutto quello che c’è da capire?

Siamo tutti così. Se non allestiamo un condominio per le nostre concubine è soltanto perché non ce lo possiamo permettere. Io comunque non ho intenzione di invecchiare così, eh, appena trovano il roveto di San Benedetto…

“Trovato”.

“Eh?”

“Sai il roveto di cui parlavi? L’hanno trovato”.

“Ma no ma dai che stai dicendo”.

“È in farmacia”.

“Ah, bene”.

“Quindi vai?”

“Magari domani”.

“Punto la sveglia?”

“Magari tra un anno o due”.

“Google Calendar?”

“Ma cambiamo argomento, è un periodo che mi sento flaccido, stavo pensando di iscrivermi a un corso, qualcosa…”

“Pilates?”

“No pensavo una cosa un po’ più sociale, non so, tipo… la salsa e…”

“Il merengue? Sei pronto per la salsa e il merengue? Sul serio?”

“Guarda che si bruciano un sacco di calorie, e inoltre…”

“Penitenziagisci”.

giovedì 19 marzo 2020

L'ultimo patriarca, il primo papà

Lo sapevo, tutto sua madre.
19 marzo - San Giuseppe artigiano, padre putativo di Gesù (primo secolo)

[2012]. Giuseppe, dice il messale romano, è l'ultimo patriarca della Bibbia. Buffo, lui che era padre solo in senso lato. Però pensando ai suoi predecessori – Noè che ubriaco si fa ridere dietro da Cam e lo maledice; Abramo che quasi sacrifica Isacco; Isacco che benedice Giacobbe ma solo perché è travestito da figlio maggiore; Giacobbe che ha 12 figli ma sembra curarsi solo di Giuseppe e Beniamino; il profeta Samuele che quasi adotta Saul, lo unge re e poi lo tratta da mentecatto; Saul che quasi adotta Davide e poi cerca di farlo fuori... la lista potrebbe continuare, ma insomma in fondo alla sequela di tutti questi padri e patrigni arrabbiati o distratti, talvolta paranoidi, schizzati, tutte proiezioni di un Dio padre geloso e irascibile... Giuseppe sembra fin troppo tranquillo: un intruso.

In realtà non conosciamo quasi nulla di lui; anche nel suo caso molte cose che crediamo di sapere sono incrostazioni di leggende e chiose che non hanno fondamento nella lettera dei Vangeli. Per esempio ci piace raffigurarcelo come un tizio avanti negli anni ("i vecchi quando accarezzano" cantava De Andrè, "hanno paura di far troppo forte"). L'anzianità di Giuseppe è un dettaglio che diventa sempre più nitido man mano che si chiarisce, nel corso dei primi secoli, l'altro dettaglio fondamentale della verginità di Maria: immaginare il marito anziano era il modo più spiccio per allontanare il sospetto di intimità tra i due sposi.

In realtà i pochi versetti che ce ne parlano hanno dato filo da torcere a chi voleva saltare a certe conclusioni. Di Giuseppe parla soprattutto Matteo, l'evangelista più legato al mondo ebraico dove Gesù era nato e vissuto; Luca, come abbiamo visto, è più liberal, scrive subito in greco e mette donne e proletari in primo piano, il suo Giuseppe è un semplice custode di Maria: è lei che viene visitata dall'angelo, è lei che acconsente, è lei che intona il Magnificat, che medita le cose nel suo cuore, Giuseppe è una semplice scorta. Matteo tratta il marito con più considerazione: nel suo vangelo è lui a ricevere più volte istruzioni dall'angelo. Il problema è che proprio in Matteo (1,25) c'è una parolina maledetta, che anche San Girolamo a malincuore dovette tradurre con "donec", "finché": Giuseppe "non ebbe con lei rapporti coniugali finché Maria non ebbe partorito un figlio".

Non vi dico le arrampicate sugli specchi dei padri della Chiesa per dimostrare che quel finché in realtà non è quel che sembra, e che Maria restò vergine anche in seguito. Arrampicate rese ancor più disagevoli da quel che Matteo combina nel capitolo 13: mette per iscritto una lista di fratelli di Gesù, nientemeno. Hanno tutti nomi familiari. C'è da dire che a parlare è la folla, e si sa, la folla è sempre male informata. Ma comunque:
Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?
Anche qui si sono spesi in centinaia per dimostrare che "fratelli" non vuol dire proprio "fratelli", che al tempo di Gesù si diceva "fratelli" anche ai cugini, agli amici, ai conoscenti, come no, la Galilea era una specie di Bronx dove tutti si dicevano Hey Bro. Giusto per mettere il dito sulla piaga, anche Luca negli Atti degli Apostoli e Paolo nella Lettera ai Galati menzionano un personaggio importante della prima comunità di Gerusalemme chiamandolo Giacomo, "il fratello del Signore". Un'altra spiegazione è che i fratelli fossero in realtà fratellastri, e che Giuseppe avesse sposato Maria da vedovo. Ecco un'altra buona ragione per immaginarlo vecchietto incanutito (ma è anche un tizio che quando l'angelo gli dice in sogno: adesso prendi su con la tua sacra famigliola e ti rechi in Egitto per tot anni fino a nuovo ordine, lui lo fa; non era proprio un viaggetto di piacere da raccomandare a un pensionato).

Il versetto sopra è fondamentale anche per determinare la professione di Giuseppe: falegname. Di questo almeno siamo sicuri, o no? No, nemmeno di questo.

Intanto la parola greca (tekton) è più vaga: un tekton lavorava con materiali duri, senz’altro con il legno, ma poteva essere anche carpentiere o muratore. Persino impresario di cantiere, e in questo caso cadrebbe la tradizione di San Giuseppe artigiano e patrono dei medesimi. Ma c’è di più. Se leggiamo il versetto corrispondente in Marco (6,3), ci accorgiamo che è un po’ diverso

Non è questi il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e di Iose, di Giuda e di Simone? Le sue sorelle non stanno qui da noi?
Dai che ti fai buon sangue

Qui ci sono delle sorelle, addirittura… ma notate: non c’è più il padre. Marco non parla mai del padre. C’è la parola falegname (che in realtà è tekton), e poi la parola figlio. Qui è Gesù a essere chiamato tekton: ma magari suo padre non lo era, chi lo sa? Va bene, quel che sappiamo della mobilità del lavoro nella Galilea del primo secolo ci autorizza a immaginare che Gesù abbia fatto gavetta come tekton semplicemente perché era il mestiere del patrigno. Di quest’ultimo Marco non parla forse perché nel suo breve vangelo ci tiene a sottolineare la vera, divina, paternità di Gesù, e il patrigno diventa un’inutile distrazione. Viceversa Matteo scrive per gli ebrei del suo tempo, che nel perplesso ebreo Giuseppe potevano riconoscersi. Ovviamente non ci siamo mai messi d’accordo su quale dei due vangeli sia stato scritto per primo.

Nell’ultimo episodio evangelico in cui compare Giuseppe, Gesù ha 12 anni. Dopo aver festeggiato la Pasqua a Gerusalemme, come si conviene, la Famiglia è ripartita per la Galilea. Che Gesù fino a quel momento fosse stato un figlio modello lo dimostra il fatto che papà e mamma si facciano un giorno di viaggio senza nemmeno domandarsi come mai Gesù non si faccia sentire, non si lamenti che vuole fare la pipì o comprare un pupazzetto all’autogrill. Solo verso sera si accorgono che non è più nella carovana, e questa è la Sacra Famiglia, figuriamoci quelle ordinarie. Il mattino dopo ripartono per Gerusalemme. Lo cercano per tre giorni, che sembrano un’esagerazione: alla fine lo trovano al tempio che si fa interrogare da scribi e dottori della legge e dà i punti a tutti. A quel punto parla Maria, perché l’evangelista è Luca (2,48); però parla anche per conto del padre, che in tutto il Nuovo Testamento non dice una parola. Forse è davvero un falegname e in mezzo a tutti quei dottoroni si vergogna; oppure è un padre sanguigno, di quelli che se inizia a parlare poi esplode, e Maria sta cercando di contenerlo; oppure è solo triste, come certi padri che non sanno bene come si fa, ci provano tutti i giorni ma non esistono ancora i manuali, insomma Giuseppe tace e frigge, e Maria parla per lui:

«Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?»
Secondo me, sbaglierò, proietterò, mio padre è un artigiano e quando mi laureai era un po’ a disagio, però secondo me in quel momento a papà, volevo dire a Giuseppe, si spezza il cuore: e poi scompare. Lasciamo stare le leggende medievali, se sia stato o no assunto in cielo, sì, d’accordo, glielo auguriamo tutti, però se restiamo alla lettera dei vangeli da lì in poi nessuno ne parla più. Solo i nemici di Gesù per screditarlo, taci tu che sei figlio del tekton. L’evangelista Marco nemmeno lo nomina. Alla fine di tutti i padri padroni della Bibbia, Giuseppe è il padre che non minaccia, che non maledice, che non disereda e non cospira, è il padre che si lascia cancellare così: dopo avere sposato una vergine, dopo averne accudito il figlio, dopo averlo nascosto in Egitto, riportato in Galilea, magari insegnato un mestiere, quando non ha avuto più nulla da dare al figlio suo, lo ha lasciato andare. L’ultimo patriarca, il primo papà.

martedì 17 marzo 2020

Di che ti vanterai, San Lalemant

17 marzo – San Gabriel Lalemant, missionario gesuita, martire in Canada (1610-1649).

"Piccolo Prete, Piccolo Prete".
"Vecchio Falco, che c'è?"
"Oggi noi moriamo".
"Oggi?"


Di che ti vanterai col tuo Signore? Anche se fossi il più forte tra gli uomini, è Lui che così ti ha creato. Del resto si fa per dire, Gabriel Lalemant: tu non sei certo il più forte degli uomini. Sei miope e hai la scoliosi. I polmoni, potessi sputarli a primavera, li vedresti spugnare sangue. Dio ti ha scelto missionario in Canada e ti ha regalato un'allergia a un parassita della corteccia degli aceri, a maggiore sua gloria. Un premolare ti pulsa impazzito, il dentista più vicino è a una settimana di marcia dal villaggio. Hai sempre freddo, hai sempre fame, in un altro secolo saresti depresso; nel diciassettesimo stai per morire.

Gli irochesi, dice Vecchio Falco. Stanno arrivando, sono in tanti. Hanno i colori di guerra ma se volessero combattere avrebbero aspettato che tornassero dalla caccia i maschi atti alle armi. Sono venuti a distruggere il villaggio, Piccolo Prete. Ammazzeranno noi vecchi, stupreranno le donne, adotteranno qualche bambino. È così che fanno gli irochesi.

"Sei ben informato sui loro costumi".
"E va bene, Piccolo Prete, anche noi uroni facevamo così, ma Grande Prete mi ha dato il Perdono".
"Sì sì il Perdono".

Di che ti vanterai al cospetto di Dio? Anche se fossi il più coraggioso tra gli uomini, è Lui che l'ha deciso. Tu ti saresti semplicemente trovato col coraggio necessario al momento giusto. Del resto si fa per dire, Gabriel Lalemant; tu non sei il più coraggioso tra gli uomini. C'è un punto preciso del basso ventre che te lo sta confermando, la pelle ti si fa d'oca come quando al collegio nell'ora di latino cercavi in qualche modo di non fartela addosso.

"Ma c'è una qualche maniera di... non so, è previsto che possiamo arrenderci?"
"Arrenderci, Piccolo Prete?"
"Sì, non combattere".
"Non credo che possiamo combattere".
"E quindi ci arrendiamo e loro..."
"Ammazzano noi vecchi, violentano le donne e rapiscono i bambini".
"Anche se ci arrendiamo".
"Arrenderci, Piccolo Prete?"
"Non conosci la parola, vero?"
"Mi perdoni, Piccolo Prete".
"Ti perdono, ti perdono, possiamo scappare almeno?"
"Le donne e i bambini possono scappare".
"Le donne e i bambini".
"Ma i guerrieri irochesi sono più veloci".
"Sono più veloci".
"Allora Piccolo Prete dobbiamo fare la... non so come si dice in francese, Piccolo Prete".
"Dobbiamo chiuderci nelle capanne e sparare e lanciare frecce e tenerli occupati".
"Anche fare urla di donna nel frattempo, io credo che Piccolo Prete le sa fare".
"Urla di donna?"
"Io ho sentito Piccolo Prete cantare la messa e credo che gli irochesi crederanno di sentire una donna. Anche molte donne".
"Cioè fammi capire".
"Grande Prete ha già radunato le donne, che portino via i bambini nella foresta. Gli altri vecchi saremo una dozzina. Abbiamo frecce e il fucile di Grande Prete, io forse lo so usare".
"No no no, lascia perdere quell'affare, prima che ti esploda in m-"
"Se fa chiasso è comunque utile, e comunque oggi io muoio. Intanto Piccolo Prete canterà per noi".
"Cantare? Cosa dovrei cantare?"
"Quella che più sembra un verso di donna... alla fine della messa, lei sempre canta quella cosa che fa tedeeeeeu...."
"Il Te Deum".
"Aspetta però. Prima Piccolo Prete deve essere sicuro di una cosa. È importante".
"Cosa c'è"
"È sicuro che non Si arrabbierà?"
"Chi?"
"Il Signore nella Grande Casa".
"Ah, Lui".
"Non si arrabbierà se ti sente cantare il Suo Nome? Mentre noi tiriamo frecce e cerchiamo di uccidere gli irochesi, che Grande Prete ci disse essere peccato".
"Sì beh, ecco, io..."
"Piccolo Prete per favore non m'importa di morire oggi, sono vecchio e sono urone. Ma nel Fuoco Eterno non ci voglio andare, quindi la mia domanda è più seria della vita, capisce?"
"Capisco Vecchio Falco, capisco".
"Se tu canti forte e Lui ti sente, Si arrabbierà?"
"Io... io non lo so".
"Come non lo sa?"
"È complicato".
"Ma tu sei Prete! Tu devi sapere".


Di che ti vanterai col tuo Signore? Anche se fossi il più saggio degli uomini, da chi viene tutta la saggezza? Chi l'ha dispensata agli uomini, dandone tanta ad alcuni, poca o punta a molti, e calcola quanta ne deve aver passata al malaticcio Gabriele Lalement, il giorno in cui gli ha instillato la voglia pazza di fare il missionario in America, che non sembra un'idea saggia da qualsiasi parte tu la guardi, e specialmente all'alba di quel 17 marzo 1649 in cui si muore, e davvero bisogna morire cantando il Te Deum in falsetto, chi può dire se a Nostro Signore la cosa piacerà? Magari era persino il giorno in cui Gabriele ci credeva poco – la gente pensa che la Fede scorra sempre copiosa come un grande fiume in chi ne è degno: e invece no, troppo spesso è uno di quei torrenti capricciosi che in inverno sono rivoli quasi secchi e d'estate vanno in piena, o viceversa; e metti che Gabriele fosse in secca proprio in quel giorno in cui gli toccava di morire, Vecchio Falco, che ti dico?

Non solo Dio è imperscrutabile, ma voi indiani chi vi capisce, e io sto qui in culo al mondo a fare l'interprete tra due entità che non ho mai capito, che vita assurda, che mal di denti, chissà quanti me ne caveranno al palo della tortura prima di trovarmi quello che mi pulsa –

– Entra in scena un ragazzo, spalanca l'uscio senza bussare. Zoppica e mugola una cosa che nel dialetto del villaggio vuol dire porcaputtana Vecchiofalco le merde sono qui. È quel tipo di maleducazione che ti sorregge nei colpi di sfortuna. Non fosse caduto su un ginocchio la scorsa settimana starebbe già cacciando col padre o al limite scappando nella foresta con la madre, ma zoppica e quindi anche lui deve morire oggi. Vecchio Falco gli bisbiglia qualcosa del tipo: ma vergognati, non vedi che sono qui col Prete? Il ragazzo fa finta di accorgersi che c'è il prete. China la testa e congiunge le mani in un tentativo di saluto ossequioso, ma è così nervoso che gli salta fuori un applauso, clap!

"Chiedo perdono, Piccolo Prete, io..."
Questi chiedono perdono continuamente, Grande Prete (Jean de Brébeuf) ha messo loro addosso una paura dell'inferno che in certi casi magari è utile; non in questo.
"Ti perdono, Scoiattolo che c'è?"
"Le mer... Gli irochesi sono qui".
"Lo so".
Zang!
(O qualsiasi sia il rumore di una freccia che si conficca nella fessura tra due pali di una capanna).

"Giù la testa" dice in dialetto Vecchio Falco, ma lo dice e non lo fa, e la capanna non ha vetri, quindi un attimo dopo averlo detto sta fissando la punta di una freccia che gli esce dalla spalla, dunque oggi si muore così? Beh, meglio che restare al palo per un giorno di torture. Sul serio, se è una vita che ci pensi, quando arriva magari ti sollevi. Resta quella questione del Fuoco Eterno da chiarire ed è sempre più impellente, Vecchio Falco già ne annusa la fuliggine. Gabriele sta strisciando verso la cassapanca, lì dentro c'è l'archibugio di Père Jean, un affare arrugginito che con ogni probabilità gli esploderà in mano, d'altro canto gli irochesi ti cavano gli occhi e te li rimettono di brace; scottano una punta di freccia e ti ci sodomizzano, e Scoiattolo? Scoiattolo è in un angolo che piange e chiama la mamma perché questo fanno gli esseri umani, in tutte le civiltà, in tutte le latitudini, quando hanno dodici anni e fuori ci sono i cattivi. Oh mamma mamma mamma mamma mamma ma...

Più forte! Grida Vecchio Falco.

"Oh mamma mamma mamma mamma mamma mamma!"

L'archibugio ora è carico, ma bisogna dar fuoco alle polveri. Sul comodino nell'angolo, c'è ancora la candela accesa...

"Oh mamma mamma mamma mamma mamma mamma!"

"Non basta! Devi piangere come dieci! Fuori devono credere che dieci bambini sono qui!"

"Ma io ho una bocca sola! Non posso..."

"E invece Scoiattolo tu devi. Per tuo fratello, per tua madre, ora tu piangi –

BANG!

Gabriele ha dato fuoco a una carica e si è ustionato una mano e ora sta strillando in falsetto, a maggior gloria di Dio. Bravo Prete, bravo, strilla forte, strilla, anche di più, Vecchio Falco approva con tutto il fiato che gli resta. Qualcuno magari un giorno tirerà fuori un romanzo da tutto questo, o una scena da film, un vecchio un bambino e un prete che eroici resistono nella sagrestia che è l'avamposto del villaggio. Ma questo non è ancora un romanzo, questa è una baracca con un ragazzino in un angolo che piange, un prete in un altro angolo che si tiene una mano e strilla, e un vecchio urone al centro del pavimento che sanguina e approva con la testa, più strilli, più strilli per favore. Ci prova anche lui, auauauauauauauauauauau, ma gli manca il fiato di nuovo. Gli irochesi si sono fermati per un istante, forse un fucile non se l'aspettavano. E non va bene, bisogna fare baccano, bisogna far credere chissà cosa. Dalle altre case si sente il sibilar di frecce, qualche altro vecchio risponde, qualche altro ragazzino terrorizzato grida dalle finestre, quanto tempo riusciremo a fargli perdere mentre le donne scappano? Non si sa, non importa, ogni respiro è un dono di Dio.

"Te Deum laudamus: te Dominum confitemur..."

"No, Piccolo Prete, no".

"E perché no".

"Se non ne è sicuro, Piccolo Prete non deve cantare".

"E perché non dovrei esserne sicuro? Sono un prete".

"Giura, Piccolo P..."

"Te lo giuro".

"Sulla tua anima, giura che il Signore non si arrabbierà".

"Vecchio Falco, sulla mia anima ti giuro che il Signore non si arrabbierà se canto il suo nome mentre i tuoi fratelli combattono per salvare le nostre donne e i nostri bambini. Nel nome del Signore".

"Allora mentre Piccolo Prete canta, io posso andare".

"Te aeternum patrem, omnis terra veneratur..."

"...Mi perdona?"

"Tibi omnes angeli... di che ti devo perdonare?"

"Non lo so Piccolo Prete, non lo so".

"Vecchio Falco in verità ti dico: tu mi precedi in paradiso".

"Grazie".

"Tibi caeli et universae potestates:
tibi cherubim et seraphim,
incessabili voce proclam..."

Di che ti vanterai col tuo Signore? Anche se tu fossi il più forte, il più coraggioso, il più saggio degli uomini – ma tu non lo eri. Invece eri Gabriele Lalement: eri malato, e hai salvato un villaggio. Avevi paura e hai combattuto col fucile in braccio, cantando lodi a Dio, e magari era uno di quei giorni in cui nemmeno ci credevi. E sei morto dopo ore di torture, e quando hanno finito ti hanno strappato il cuore e lo hanno mangiato come si mangia il cuore dei condottieri coraggiosi: e al posto dei tuoi occhi miopi avevi due tizzoni ardenti, e di tutto questo quanti possono vantarsi davanti al Signore? Ma se c'è un Regno dei Cieli, è il regno in cui il più forte, il più coraggioso, il più saggio, si chinano al passaggio di San Gabriel Lalemant. E come Scoiattolo giungono le mani, così in fretta che parte l'applauso.

Patrizio e il mal d'Irlanda

San Patrizio (385-481) - Patrono d'Irlanda, scacciatore di serpenti.

Jatavenne, per dirla
in gaelico antico.
[2013]. In Irlanda non ci sono serpenti. L'unico è l'orbettino, che in realtà non è un vero serpente, è una lucertola che si adattata all'ambiente perdendo le zampe, come io potrei adattarmi a un divano. E anche lui comunque non era stato avvistato fino al 1970, secondo gli esperti è stato portato qui via nave. Non si vede in che altro modo i serpenti potrebbero arrivare in Irlanda dopo l'ultima glaciazione, del resto. Però in Scozia ci sono, in Irlanda no: tra le due terre nel punto più stretto ci sono appena 35 km di mare. Per cui secondo alcuni è stato San Patrizio, che i serpenti avevano infastidito mentre meditava. Posò il bastone a terra ed essi strisciarono in mare ad annegarsi (o a evolversi in serpenti di mare).

Secondo alcuni la leggenda parla di serpenti ma allude ai druidi, quei viscidi sacerdoti pagani: Patrizio, che forse si chiamava Palladio (o forse erano due evangelizzatori diversi) li cacciò dall'isola con relativa facilità. L'Irlanda, da quel che ho capito, è l'unica terra cattolica senza martiri - anche se alcuni, per darsi un contegno, sostengono che Patrizio fu martirizzato (almeno lui) il 17 marzo. Nella sua Confessione, una delle cose più noiose che ho letto (e io leggo storie di Santi, rendetevi conto), Patrizio ammette di avere avuto qualche grana coi locali. A un certo punto lo fermarono in un bosco.

"Quel giorno avevano una gran voglia di uccidermi, "ma non era ancora venuto il tempo" [cf. Giona 7,20-30], e tutto ciò che ci trovarono nei bagagli ce lo presero, e mi incatenarono perfino, ma dopo quattordici giorni il Signore mi liberò dalle loro mani e tutto ciò che era nostro ci fu restituito, «per opera di Dio» [1 Pt 2,13] e di «amici fidati»".


Patrizio si esprime copia-incollando citazioni bibliche. Anche Agostino, suo contemporaneo, fa così; era lo stile del tempo; però Agostino era anche un grande scrittore, mentre Patrizio, per sua ammissione, un "peccator rusticissimus", uno che a scrivere non ha mai veramente imparato, ma non essendo un italiano del XXI secolo la cosa non lo inorgogliva, anzi, lo colmava di vergogna.

Senz'altro ausilio che qualche vecchio tomo della Vulgata da usare anche come vocabolario, Patrizio non è che riesca a spiegarsi molto bene. Potrebbe trattarsi di una persecuzione ordita da qualche druido invidioso del successo dell'evangelizzatore, ma anche di un banalissimo sequestro di persona: gli "amici fidati" potrebbero essere guerrieri cristiani pronti a liberare il loro leader, ma anche più prosaicamente i compagni di Patrizio venuti a pagare un riscatto. Patrizio era ricco, forse il segreto del suo successo con le anime fu tutto qui: evangelizzò l'Irlanda comprandosela. Fu un ottimo affare per tutti, non gli costò neppure tantissimo. Quanto? Per spiegarcelo, Patrizio usa un'unità di misura che ci dice molte cose, la "persona". Coi soldi spesi per beneficiare le autorità delle varie regioni, nelle frequenti visite, Patrizio riteneva

di aver distribuito loro una somma non inferiore al prezzo di quindici persone, per far sì che possiate godere di me e io sempre godere» di voi «in Dio» [cf. Lettera di San Paolo a Filemone]..


I vecchi romanzieri russi tradurrebbero "quindici anime", noi oggi diciamo "15 schiavi" e inorridiamo, ma era il quinto secolo, la compravendita di esseri umani era una cosa normalissima; era successo allo stesso Patrizio (al secolo Maewyin Succat, dicono) di essere rapito a 16 anni e trattenuto in schiavitù per sei. Ecco perché, malgrado fosse di famiglia benestante e cattolica (prete il nonno, diacono il padre) non ebbe un'istruzione all'altezza: negli anni in cui i compagni ci davano dentro col rosa rosae Maewyin pascolava ovini per il suo padrone in quell'isola dimenticata da tutti e quindi in teoria pure da Dio. Lui veniva dall'isola più grande, non si sa bene se dall'Inghilterra o dalla Scozia, ammesso che la divisione avesse un senso ai suoi tempi. È il tempo degli Scoti e dei Pitti, quest'ultimi famosi per l'abitudine a dipingersi il corpo con disegni favolosi e forse anche qualche serpente annodato. Solo con le sue pecore, in quell'isola fuori dal mondo, Maewyn riscopre la fede nel Dio dei suoi padri, che fino a quel momento aveva snobbato. Cristo fu forse l'amico immaginario che lo aiutò a non impazzire - fino al giorno in cui lo condusse a una nave che faceva la traversata.

Tornato miracolosamente agli affetti famigliari, Maewyn cominciò a fare carriera ecclesiastica, visitò l'Europa e forse persino l'Italia. Ma il mal di Britannia che aveva sofferto in quell'isola lontana si era trasformato in mal d'Irlanda. Voleva tornare là. Sognava che Cristo lo volesse là, a proteggere i pochi cristiani che già c'erano e a farne altri. Era l'uomo giusto, se non altro perché conosceva quella lingua impossibile. E la famiglia aveva abbastanza da parte.

Cioè pazzesco sembra verde
Patrizio forse non era colto, ma sull'inculturazione aveva già capito tutto. Il paganesimo non si combatte, il paganesimo si assorbe. Le fonti sacre si riconsacrano ai santi; i pozzi sacri ci mettono in contatto con l'Aldilà; e cari iberni rudi e incolti come me, che avete pascolato le capre tra le pietre come me: volete capire cos'è la Trinità? Il mistero più misterioso di tutti? Ve la spiego, è facile, la Trinità è il trifoglio, uno e trino; a Roma la fanno difficile perché non hanno tutta quest'erba, tutto questo verde. Adorate il disco del Sole? No problem (non so come si scriva in gaelico), il Sole è effettivamente importante, basta che ammettiate che la Croce è più importante, quindi da qui in poi sul disco del Sole ci iscriviamo una croce, che non sarà un simbolo fascista per altri 1500 anni (lo è diventato forse a partire dal Ku Klux Klan, la circostanza non è chiara).

Patrizio forse non è esistito, ma qualcuno che abbia evangelizzato l'Irlanda sarà pure esistito, e non c'è dubbio che abbia fatto un lavoro egregio. Niente persecuzioni, niente martiri. Nei tre secoli a venire, i più oscuri del medioevo, il latino si conservò grazie ai monasteri irlandesi, lontani dalle guerre e dalle pesti del continente. Addirittura a un certo punto furono i monaci irlandesi a sbarcare in Inghilterra e in Francia per rievangelizzarle. Un irlandese, San Colombano, arrivò anche in Italia e fondò il monastero di Bobbio.

Sono l'unico che nota questa cosa?
Secoli più tardi fu il dominio inglese a rendere ancora più caro agli irlandesi il loro santo protettore. La croce di San Patrizio (che non è quella celtica; è una X rossa in campo bianco) diventò lo stendardo ufficiale dell'Irlanda anglizzata, e come tale finì nell'Union Jack quando l'Irlanda fu unita al Regno Unito. È ancora lì, iscritta nel bianco della Croce di Sant'Andrea degli Scozzesi ma sormontata dalla croce rossa di San Giorgio degli inglesi. È un po' asimmetrica, il che consente ai soldati di capire al volo qual è il lato giusto per appendere la bandiera, ma lascia aperti sospetti inquietanti: se alzi la croce di San Giorgio, sotto ci dovrebbe essere un inviluppo rosso simile a una svastica, non so se qualcuno ci ha fatto caso. Comunque gli irlandesi (meno quelli protestanti dell'Ulster) hanno sempre preferito il verde di San Patrizio - che per la verità all'inizio era associato a una sfumatura di blu - ma alla fine fu il trifoglio a vincere su tutto e oggi a Chicago tingono il fiume di verde, e nei pub se la chiedi ti danno pure la birra verde, io una volta l'ho assaggiata e me ne vergogno. Nella bandiera della Repubblica accanto al verde c'è l'Arancione degli orangisti di Guglielmo III, protestanti, che a fine Seicento combatterono contro il re cattolico Giacomo II Stuart suo suocero. Insomma è una bandiera interconfessionale, anche se come tutte le bandiere troppo oberate di simboli il colpo d'occhio non è un granché (un tricolore italiano lavato per sbaglio a 90°).

venerdì 13 marzo 2020

Dov'è la scuola digitale (quando serve)

L'emergenza coronavirus ha rimesso al centro dell'attenzione una delle categorie professionali più bistrattate da pubblico e critica: esatto, gli insegnanti. Mai come in questi giorni, in cui sempre più persone si trovano chiuse in casa coi loro figli, gli insegnanti sono al centro dei loro pensieri. Cosa stanno facendo, perché non si fanno vivi, perché non coinvolgono il mio ragazzo in una videoconferenza di tre-quattro ore sui logaritmi. Sono già arrivati i compiti? Mio figlio li ha già fatti, non saranno troppo pochi? (Notate, i genitori ideologicamente avversi ai compiti in casa sono completamente spariti dall'orizzonte del dibattito più rapidamente dei no-vax. Non è consolante, torneranno: sono stagionali come certi virus, e forse più tenaci).


Gli insegnanti fanno quel che possono, che non è sempre abbastanza. Probabilmente in questi giorni avete sentito parlare in tv o alla radio di docenti smart che già da settimane organizzano videocorsi interattivi on line e somministrano e correggono verifiche digitali a distanza. Ecco. La maggioranza non è così – il che non vuol dire che non si stiano dando da fare. Molti che non erano preparati all'emergenza, ora stanno cercando di lavorare da casa sui supporti digitali, e di conseguenza stanno impazzendo. Improvvisamente tentano di usare le piattaforme digitali che gli editori scolastici hanno realizzato negli ultimi anni. I rappresentanti avevano garantito che fossero facili da usare. Magari in una situazione normale sarebbero davvero facili da usare, ma indovina: non è una situazione normale, e i server dei principali editori scolastici italiani non stanno reggendo il colpo.

Aggiungi che ogni insegnante anche in questo frangente non ha nessuna intenzione di rinunciare al principio costituzionale della libertà di insegnamento, ovvero nello stesso consiglio di classe non sarà infrequente trovare insegnanti che intendono usare due o tre piattaforme diverse e lo hanno già comunicato autonomamente ai genitori. Non che faccia molta differenza: le piattaforme funzionano tutte a strappi, e anche quando funzionano, sono pur sempre prodotti editoriali, anche nel senso che considerano l'utente una fonte di dati da estorcere. Per usarli bisogna aprire l'account. Ed ecco consumarsi la tragedia quotidiana: gli insegnanti, tramite la scuola, informano i genitori che per fare lezioni a distanza bisogna registrarsi presso la tale piattaforma. I genitori reagiscono perplessi: un'altra registrazione. Un altro account. Altra gente che vuole i miei dati. Ma soprattutto: un'altra password da ricordare.

Anche quando gli insegnanti più tecnologicamente sgamati suggeriscono di passare a infrastrutture più universali e affidabili – Google e Dropbox è più difficile che vengano giù – ormai il genitore è esasperato, ha già aperto due o tre account diversi, e adesso che c'è? Volete che scarichi un'app di Google per le videoconferenze? Come se il genitore medio avesse la fibra in casa. A volte non ce l'ha neanche l'insegnante, che magari si concede generoso una prima videolezione di un'ora con lo smartphone per poi scoprire che ha prosciugato il suo piano dati mensile. A quel punto, c'è sempre qualcuno che insorge: "Ma non potevate mettere tutto sul registro elettronico?"

Qualcuno ci ha pure provato. Ci sono registri elettronici che stanno proponendo alle scuole le loro piattaforme digitali, e sì, sono gli stessi benedetti registri elettronici che si piantano ogni mattina alle otto quando qualche migliaia di insegnanti prova a usarli per fare l'appello in classe. Non è tanto il fatto che non siano pronti all'emergenza – nessuno lo era – ma sembra quasi che non se ne rendano conto. È come se tutti gli aeroplani i treni e i tram non potessero più partire e l'autista del pulmino delle medie venisse a dirti che se vuoi ci pensa lui. Chi ha permesso che succedesse questa cosa? (Continua sul Post).

domenica 8 marzo 2020

Come correggere il test che avete composto con Google Moduli

Questo pezzo è il seguito di quello pubblicato qui, Come comporre un test con Google Moduli.
Se lo avete seguito, dovreste essere riusciti a produrre il vostro primo test, e magari a inviarlo ai vostri studenti.

Ma a questo punto sorge spontanea la domanda: dove posso trovare i test che i miei studenti stanno compilando? Sopra c'era scritto che i test si correggono da soli (quelli a risposte chiuse), ma... dove?

Giusto. Abbiamo aspettato un po' perché magari nel frattempo qualche vostro studente ha iniziato a rispondere, e così possiamo osservare tutto dal vero. Ora, se ci fate caso, sopra il titolo del modulo (non del test prodotto dal modulo, mi raccomando), ci sono due 'linguette', "Domande" e "Risposte". Il vostro modulo per ora è settato su "Domande", come in questa immagine.



Ora dovete selezionare "Risposte". Ci troverete statistiche, grafici e tante altre cose interessanti (ad esempio quali sono gli errori più frequenti), ma non c'è esattamente quello che state cercando voi, ovvero i punteggi dei vostri ragazzi. Per avere accesso a quelli dovete creare un foglio elettronico. Come si fa? Si preme il tasto apposta. Se usate Google Fogli avete già riconosciuto l'icona. Comunque è quello cerchiato in rosso qui sotto.





Vi chiederà se creare un nuovo foglio. Premete "crea". (La prossima volta che tornerete qui, vi manderà sul foglio che adesso avete creato). Ora sul vostro pc (o tablet) visualizzerete un foglio elettronico di Google. Alcuni di voi sanno benissimo usare i fogli elettronici, altri no. C'è sempre una prima volta.

Il foglio in questione è molto largo perché contiene tutte le risposte dei vostri studenti a tutte le domande.
Ogni colonna rappresenta una domanda diversa (e quindi 50 domande 50 colonne...)
Su ogni riga c'è la prova di uno studente. In cima ci dovreste essere voi, se siete stati i primi a compilare il test, come vi avevo chiesto di fare.

Qui c'è l'esempio di un foglio elettronico di una mia verifica:





Il foglio è molto ampio ma le cose davvero interessanti sono tutte a sinistra: c'è l'orario in cui ogni ragazzo ha compilato il test e c'è il punteggio. Se il test è stato inviato per mail o raccoglie automaticamente la mail, dovrebbe esserci la mail di ogni ragazzo. Se invece la prima domanda del test è "qual è il tuo cognome", dovrebbe esserci il cognome (ma se avete aggiunto la domanda all'ultimo momento può darsi che la colonna coi cognomi sia molto più a destra. Potete trasportarla a destra se siete pratici di fogli elettronici; anche se non lo siete: selezionate la colonna che v'interessa e trascinatela a sinistra col mouse).

Ho censurato i cognomi dei miei ragazzi perché sai, la pricacy (inoltre alcuni sono davvero scarsi). Come potete notare, c'è sempre qualcuno che si dimentica di scrivere il cognome (come con le verifiche cartacee). Il punteggio è in quarantesimi perché la verifica che ho impartito prevedeva quaranta domande da un punto. Tutto qua. Facile, dai.



Ma io volevo il voto in decimi!

Ma sei sicuro? Ha davvero senso valutare con un voto in decimi una prova che i ragazzi fanno a casa? Possono consultare i libri, internet, i genitori. Possono farla fare direttamente ai genitori. Io dico sempre che queste prove sono allenamento alla prova vera che faranno in classe.

Comunque se proprio insisti un sistema c'è. Serve solo un po' di matematica elementare. Se un test è fatto di 40 domande, il massimo che uno può prendere è 40, il minimo è 0. Possiamo chiamare 40 "denominatore", perché il punteggio dei vostri studenti è una frazione: se qualcuno fa il massimo, è 40/40; se uno fa la metà, 20/40, e così via.
Se volete il punteggio in decimi, dovete dividere il numeratore (il punteggio degli studenti) per il denominatore (il massimo del punteggio della prova) e moltiplicare per 10. Ad esempio: il ragazzo che ha fatto 20 punti su 40 avrebbe preso 20:40✕10=5. (Che ti aspettavi ragazzo? Hai risposto bene a metà delle domande, la metà di 10 è 5).
Dopo un po' credo che venga spontaneo a molti insegnanti dividere il punteggio di ogni ragazzo per il decimo del denominatore. Se il denominatore (che è il massimo dei punti previsti) è 20, si divide il punteggio per 2. Se il denominatore è 40, si divide per 4. Se è 65, si divide per 6,5. Spero sia chiaro. E ovviamente c'è un modo per far fare queste operazioni al foglio elettronico... ma se non siete pratici di fogli elettronici e non volete diventarlo proprio in questo momento, potete usare una calcolatrice.

Se invece ve la sentite (e state usando un Pc, col tablet diventa difficile), selezionate la colonna "Punteggio", cliccate su "Inserisci" e specificate "inserisci una colonna a destra". Poi selezionate la nuova colonna, cliccate su "Formato", selezionate "Numero" e "automatico". Anche se è già selezionato, fatelo lo stesso.



Nella casella C2 di questa colonna, inserirò la formula "=b2/4", ovvero dammi il valore della casella b2 diviso per quattro. Perché diviso per quattro? Per il motivo che abbiamo detto sopra, ma ricordatevi: il divisore è sempre il massimo punteggio possibile diviso per dieci.

Se avete scritto correttamente la formula, ora la casella vi restituirà il valore in decimi.

Adesso selezionate quella cella e copiate la formula (con ctrl+c su PC, credo ancora mela+c su Apple).

Selezionate tutte le altre caselle della colonna C in cui volete visualizzare i valori in decimi, incollate la formula che avete appena copiato (ctrl+v o mela+v) e... ecco i valori in decimi. Se proprio non potete farne a meno.

A questo punto avete consegnato una verifica ai ragazzi, loro ve l'hanno rimandata indietro, e voi conoscete i loro punteggi in decimi. Più di così cosa volete?

Tantissime altre cose, per esempio:

– Correggere le domande aperte a una a una (so che non vedete l'ora). Beh, sul foglio elettronico ci sono tutte, potete confrontarle e valutarle a mano (potete anche intervenire sul foglio elettronico, ma è una cosa che lascerei fare ai più esperti e anche loro sanno che c'è il rischio di danneggiare i dati).

– Cambiare la grafica del test, anche perché il viola non è proprio il massimo... anche in questo, Moduli è facilissimo e molto intuitivo. Date un'occhiata in cima, oltre all'occhio vedrete una tavolozza, ecco, da lì potete intervenire sui colori e addobbare anche la vostra verifica con un banner (una decorazione verticale). Google ne ha già di pronte, ma potete anche caricarne una fatta da voi. A quel punto il Modulo cambia automaticamente i colori per armonizzarli con quelli dell'illustrazione, è quasi inquietante.

– Aggiungere immagini alle domande: utile in geografia, ad esempio, per mostrare ai ragazzi cartine geografiche. E non dovete nemmeno averle caricate prima, Google le va a cercare su... Google.
È sufficiente passare col mouse su una domanda: a destra comparirà una casellina quadrate con il profilo di due montagne. Cliccate sopra e vi proporrà varie opzioni per caricare le immagini, tra cui appunto "Google ricerca immagini". Volete sapere un'altra cosa interessante? Nelle domande a scelta multipla potete aggiungere immagini anche alle opzioni di risposta! Ad esempio, mettere le immagini di tre sculture e poi chiedere quale delle tre è stata scolpita da Raffaello. (Scherzo).

Altre cose ancora che non vi spiego perché riuscirete a trovarle da soli, ormai siete bravissimi:

– Assegnare 0 punti dalla domanda "Come ti chiami", visto che non esiste una risposta corretta a priori).

– Usare altri tipi di domande e non solo quelle "a pallini" (In particolare le griglie, che ci consentono di fare domande Vero/Falso).

– Rendere causale l'ordine delle domande (attenti però, anche la domanda "Qual è il tuo cognome" sarà in ordine casuale).

– Dividere i quiz in sezioni

– Cambiare l'algoritmo del punteggio, magari per livellare i punteggi troppo bassi

– Copiare le domande da altri test

Tutte queste cose in realtà potrete impararle da soli: i moduli di google sono molto intuitivi. Oppure potete scrivermi nei commenti, non so quanto tempo avrò nei prossimi giorni, ma se posso continuo. A presto!

sabato 7 marzo 2020

Come comporre un test di verifica con Google Moduli

Se siete insegnanti, come me, in questi giorni è probabile che vi sentiate bombardati. C'è chi vi propone un'app per la didattica a distanza, chi vi chiede di improvvisarvi videoconferenzieri (basta aprire un account nel tale servizio) eccetera eccetera. Sembrano tutti strumenti fantastici ma anche dopo aver perso pomeriggi a capire come funzionano, a volte non funzionano – anche solo perché stanno cercando di usarli tutti nello stesso momento, e i server non erano pensati per un'affluenza così massiccia.

Vabbe', lamentarsi non serve. Meglio provare a condividere le cose che funzionano.

Io insegno e uso il computer da anni, e tanti servizi on line preferisco non usarli perché mi creano più problemi di quanti non me ne risolvano. Se devo invece pensare a una cosa che mi ha risolto qualche problema, penso a Google Moduli.

Google Moduli è un'app di Google che ci consente tra le altre cose di realizzare test e questionari e distribuirli ai ragazzi a costo zero. È molto facile. Ho detto che è un'app, ma non va nemmeno scaricata sul tuo dispositivo (pc, tablet o persino smartphone). In questo momento stai usando internet, no? Se mi stai leggendo, sei già in grado di usare Google Moduli senza scaricare niente. Al massimo devi aprire un account gmail (google) se non ce l'hai. E siccome è gratis e molto semplice, cosa aspetti? Vai su www.gmail.com e apri un indirizzo di posta elettronica. Poi torna qui.

Molto probabilmente ti è già capitato di compilare un questionario realizzato con Google Moduli. Qui c'è un esempio di verifica realizzata con Google Moduli. È veramente il livello base, l'equivalente di un compitino a casa in prima media – l'ho fatta in meno di un'ora. La cosa simpatica è che una volta fatta possiamo riutilizzarla o modificarla tutte le volte che vogliamo (si risparmia anche un sacco di carta e di toner).

Un aspetto che di solito piace molto agli insegnanti è che i test si correggono da soli (a meno che non contengano risposte aperte: in quel caso i professori possono controllare tutte le risposte dei ragazzi su un foglio elettronico. È comunque più leggibile di una verifica cartacea, mediamente).

Prima di continuare, attenzione: Google Moduli è molto facile e può essere molto utile, ma non è la risposta a tutti i problemi.

Aspetti positivi:
– È facile (sia per chi produce i test, sia per chi li compila, sia per chi li corregge)
– È gratis (sia per gli insegnanti, sia per gli studenti)
– Gli studenti non devono iscriversi a nulla. Cioè, se avessero anche loro un account google sarebbe preferibile, ma non è obbligatorio.
– I risultati arrivano direttamente all'insegnante senza passare da nessun editore.
– Abbastanza duttile (posso aggiungere immagini, copiare le domande su altri test, ecc. ecc. ecc.)
– È Google, ovvero non dovrete mai preoccuparvi che vada in palla un server, come succede a volte con le piattaforme degli editori italiani (specie in questi giorni che tutti cercano di usarle).

Aspetti negativi:
– È uno strumento perfetto per fare test chiusi (a crocette), e ovviamente questo è molto riduttivo da un punto di vista didattico.
– È così facile da usare che molti studenti tendono a usarlo dallo smartphone, il che significa che se a un certo punto volete mettere nel vostro test una domanda aperta, loro cercheranno di scriverla con lo smartphone, non con una tastiera (non tutti hanno un terminale con tastiera a casa, e anche quelli che ce l'hanno non la sanno usare molto bene).
– Anche alcune forme di esercizi chiusi non funzionano: ad esempio non mi pare che si possano fare i cloze test (brani da completare).



Va bene ma insomma come si fa?
  • Avete aperto un account gmail? 
  • Ora prendete un dispositivo (pc o tablet) e andate su drive.google.com. Potete andarci sia da browser (chrome, safari, edge, ecc.) sia dall'app di Drive se l'avete scaricata. Per chi non è pratico: Drive è una cartella che google mette a disposizione per i vostri file. Se li caricate su Drive, li potrete scaricare da qualsiasi altro computer: basta che vi ricordiate il vostro indirizzo gmail e la vostra password. Capite cosa significa? Mai più chiavette! E potete aprirli anche da smartphone...
  • Create un file. Per crearlo si preme il segno "+" di quattro colori che dovrebbe trovarsi in alto a sinistra.

  • Si apre un menu: cliccate l'ultima voce ("Altro...")
  • Ora cliccate la prima voce ("Moduli Google")
  • Ecco qua: avete creato il vostro primo modulo. Facile, vero?


  • A questo punto molte cose sono intuitive: ad esempio, cliccando su "Modulo senza titolo" potete cambiare nome al Modulo (cliccate anche sul titolo in alto a sinistra, così cambiate nome al file).
  • Cliccando su "Domanda senza titolo", potete cancellare "Domanda senza titolo" e scrivere la vostra prima domanda.
    Ho una proposta: domandate: "Come ti chiami?" È una domanda utile – capiremo presto il perché.
  • A quel punto non sono sicurissimo che succederà anche a voi, ma a me succede una cosa fantastica, ovvero Google capisce che tipo di domanda voglio fare e nella casella a destra indica che è un tipo di domanda a "Risposta breve":

  • Le domande a risposta breve sono quelle a cui i vostri studenti risponderanno digitando un testo di poche lettere (un cognome, ad esempio). Se Google non ha selezionato per voi questo tipo di risposta, potete farlo voi da soli cliccando sul rettangolo che è cerchiato qua sopra. A quel punto vi verranno mostrati tutti i tipi di domande che si possono fare con Moduli. Noi oggi vedremo solo le più semplici: se vi piace lo strumento comincerete a giocarci da soli e scoprirete un sacco di altre cose.
  • Rispondendo alla domanda "come ti chiami" i vostri studenti si identificheranno senza bisogno di iscriversi a nessun account. Certo, potrebbero anche scrivere il nome del cane o del compagno antipatico. Ovvero: questo approccio va bene soltanto se c'è molta fiducia, e se tutti sappiamo che i test servono solo a esercitarsi, non a essere valutati. Se volete usare lo strumento più seriamente, è meglio richiedere un'identificazione via mail – dopo vediamo come si fa.
  • Siccome questa domanda è abbastanza importante, meglio spostare verso destra il pulsante "Obbligatorio" che vedete in fondo a destra. In questo modo il test non potrà essere inviato finché lo studente non risponde alla domanda. 
Ok, ci siete: avete appena scritto la vostra prima domanda. 

  • E adesso vai con la seconda! Premete il tasto "+" che trovare nel piccolo menu a destra, e comparirà di nuovo il box per comporre le domande. Stavolta proviamo la domanda a "scelta multipla", che è quella che serve per domande a risposta chiusa (in pratica saranno pallini da riempire col dito su tablet o col mouse su PC). Ci sono altre possibilità (test a tendina, tabelle, ecc.), ma non tutte sono autocorreggenti e per ora stiamo imparando, quindi restiamo su "Scelta multipla" che è l'opzione più facile.
  • Siccome stiamo lavorando su una domanda a scelta multipla, cliccando su "Opzione 1" possiamo scrivere la prima risposta possibile (giusta o sbagliata); cliccando su "Aggiungi Opzione" scriviamo la seconda, e a quel punto il modulo ne aggiunge una, finché vogliamo noi.
  •  In basso a sinistra, quattro funzioni molto importanti. 
    • La prima è la funzione "copia": se la premiamo, duplichiamo la domanda che abbiamo appena scritto. Può essere utile.
    • La seconda (il cestino) è "cancella": serve ovviamente a cancellare la domanda.
    • La terza serve a rendere la domanda obbligatoria, l'abbiamo già vista.
    • La quarta (i tre puntini verticali) ci apre una serie di funzioni. Per ora ce ne serve soltanto una: "ordina le opzioni in modo casuale". Utilissima. Così anche se i ragazzi rifanno lo stesso test, troveranno le risposte in ordine diverso (in classe questo rende molto più difficile copiare).
Ok. A questo punto avete scritto la vostra seconda domanda. 
Ma... la risposta?
Come fa il Modulo a conoscerla?

Eh, in effetti dovete specificare che quello che state facendo è un quiz, non un modulo qualunque.
Per farlo dovete andare in Impostazioni: è la rotella dentata in alto a destra, di fianco al tasto viola Invia.


Si apre una finestra: selezionate "Quiz" (in alto a destra).
Spuntate la voce "Trasforma in Quiz". A quel punto vi chiede altri dettagli: per ora lasciate stare, siamo ancora al livello base.
Premete "Salva" in basso a destra.

Avete prodotto il vostro primo quiz
Ma non avete ancora scritto la risposta!
Ora però in fondo a sinistra è comparsa la scritta "Chiave di risposta", l'avete vista? Cliccate sopra, e a quel punto il modulo vi chiede due cose:
– di selezionare la risposta giusta col mouse (su pc) o col dito (su tablet). Si colorerà di verde.
– a destra, di specificare quanti punti vale la risposta giusta.
Premete "Fine" e... il vostro primo modulo è pronto!

(Certo, potete aggiungere altre domande: basta premere il tasto "+" nel menu a destra della prima domanda).

Ma siamo sicuri che funziona?
Ovviamente no, potremmo esserci sbagliati a scrivere le domande o le risposte. Per questo è importante 'provare' i test che facciamo. Come?
In alto a destra, vedete quell'occhio? È l'anteprima! cliccandolo, sarete i primi a compilare il vostro quiz e lo vedrete proprio come lo vedranno i ragazzi. In quel momento scoprirete subito di aver fatto questo o quell'errore: è normale, anche dopo anni, tranquilli.
Alla fine premete "invia" e... il modulo dovrebbe restituirvi il punteggio! A questo punto, se il punteggio non è quello che vi aspettavate, ricontrollate le risposte: può darsi che vi siate sbagliati lì.

"Ok, quindi adesso devo solo condividerlo coi miei studenti e..."
NO.
Scusa la rudezza, ma purtroppo questo è l'errore più facile e pericoloso. NON CONDIVIDERE I MODULI CON CHI DEVE COMPILARE I TUOI TEST, MAI.
Perché?
Perché i moduli NON SONO I TEST (anche se ci assomigliano tantissimo). Sono file che producono i test, ma non sono i test che producono. Rifletti: se li condividi con gli studenti, loro vedranno le risposte giuste! Non solo, ma potranno modificarle! E tu non vuoi questo.
Tu vuoi che loro facciano soltanto il test, e quindi (ribadisco) non devi condividere il modulo, ma inviare il test. Come si fa?


Probabilmente hai già capito che quel tasto "Invia" in alto a destra c'entra per qualcosa. Esatto.
Clicca pure.

Si apre una finestra (un'altra! eh, lo so. E pensa che questo è uno strumento facile).
La finestra ti fornisce varie opzioni.
Un'opzione è la mail: se la clicchi, il questionario arriverà ai ragazzi sotto forma di mail. Molto comodo... se tutti hanno una mail e tu hai la mail di tutti.
Un'altra opzione è la "catena", ovvero il link. Se la selezioni, il modulo ti dà un link da copiare. Purtroppo è un link lunghissimo, ma subito sotto c'è l'opzione "abbrevia URL", che lo rende un po' più semplice. Questo link puoi mandarlo ai ragazzi in altri modi, ad esempio ricopiandolo sul registro elettronico o su WhatsApp (auguri, mi raccomando alla differenza tra maiuscole o minuscole). Il link manda al test (non al modulo che serve per modificarlo).

Ok, quindi adesso è tutto a posto.
Sicuro?

Certo: ho scritto le domande, ho messo le risposte, ho inviato il test ai ragazzi... fine.
E le risposte dei ragazzi dove pensi che le troverai?

Ah già, dove?
Eh, per saperlo... arrivederci alla prossima puntata! (ma è molto facile, prometto).

venerdì 6 marzo 2020

C'è un romanzo attualissimo che dovremmo studiare in tutte le scuole, l'ha scritto Alessandro Manzoni

Due ragazzi vorrebbero diventare grandi, mettere su famiglia, cominciare un'attività. Ma un boss che già da settimane stalkerava la ragazza è di un altro parere, e manda i suoi picciotti a intimidire le autorità. Costretti a dividersi, i due protagonisti perdono le proprie tracce in un contesto apocalittico: crisi economica, guerra, epidemia. Le autorità sono completamente incompetenti, la popolazione crede a qualsiasi fake news. La ragazza trova rifugio in una comunità chiusa femminile dove però scopre che l'autoreclusione non abolisce i rigidi rapporti di forza della società, anzi li esalta. La sua protettrice, ricattata a causa di un torbido passato, la consegna a un altro boss. Il ragazzo, frustrato, si radicalizza: coinvolto nei moti di piazza viene criminalizzato come un terrorista dal potere costituito, in caccia di capri espiatori. E così via.


Partendo da un piccolo caso di provincia – un banale caso di molestie, un'intimidazione di stampo mafioso  – l'autore allarga il quadro fino a dipingere un'intera società in stato disfunzionale. Le leggi descrivono i reati invece di reprimerli; il governo, ignorando i più elementari concetti di economia conduce la popolazione alla fame e al caos; i ricchi vivono in una bolla, cosplayer di una fiction in costume medievale; la cultura è custodita da eruditi ottusi che disprezzano la scienza; le guerre sono il risultato di farraginosi meccanismi diplomatici che scattano quasi automaticamente, decidendo il destino di milioni di persone. E proprio quando le cose sembrano volgersi al meglio, un'apocalittica epidemia travolge la vita di tutti i personaggi. Il romanzo italiano più attuale che possiate aprire oggi forse è stato scritto nel 1827, quando ancora non era chiaro se in Italia si potessero scrivere libri – e in che lingua andassero scritti.

Quante volte, anche in questi giorni, di fronte ai tweet di qualche sovranista esagitato che cercava di cavalcare la paura del coronavirus per chiedere la chiusura dei porti, ci siamo detti: dagli all'untore. Quante volte di fronte a quel meccanismo giornalistico conosciuto come macchina del fango, non abbiamo pensato alla colonna infame. Un cosiddetto intellettuale si lamenta della crisi del liceo classico, senza nemmeno disporre degli strumenti statistici per stabilire se il classico sia in crisi o no: l'ennesimo Don Ferrante. C'è crisi, qualcuno propone di stampare moneta all'infinito, che problema c'è? come Ferrer coi forni e la farina – salvo che sappiamo già come andrà a finire, appunto: ce l'ha spiegato Alessandro Manzoni. Viene emanata una legge per risolvere un problema che ha già ispirato tante altre leggi rimaste inapplicate: come non pensare allo scrittoio ingombro di carte dell'Azzeccagarbugli, mentre cerca la grida più recente perché quelle fresche di stampa fanno "più para". C'è una manifestazione, qualcuno fa dei danni, qualcun altro rimane impalato davanti alla telecamera del giornalista: domani sarà su tutte le homepage come il leader dei facinorosi, la stessa storia sin dai tempi di Renzo Tramaglino. E a proposito di Renzo, il suo rancore per chiunque abbia avuto il tempo e la facoltà di studiare, non lo vediamo all'opera tutti i giorni sui profili di milioni di laureati all'università della vita? La dinamica con cui le folle deformano ogni informazione, qualcuno l'aveva già descritta così bene prima della notte delle beffe? Per farla breve: se cercate un romanzo italiano che ci descriva meglio di quello scritto da Manzoni duecento anni fa, e ambientato duecento anni prima, non è detto che lo troviate.

Andrebbe letto in tutte le scuole – il problema è che lo facciamo già. E tante volte ci siamo detti che forse proprio questo era il problema coi Promessi sposi: l'obbligo scolastico. Un libro che ci racconta con abbondanza di dettagli un'avventurosa vicenda di soprusi, duelli, malintesi, drammi interiori e quant'altro, in un periodo storico così apparentemente lontano dal nostro, evoca in tutti noi per prima cosa la fornica sciupata dei banchi di scuola. Ogni tanto qualcuno butta lì la provocazione: e se smettessimo di imporlo agli studenti? Magari a quel punto sì, comincerebbero davvero ad apprezzarlo. Qualcuno senz'altro lo leggerebbe di nascosto, mentre il prof spiega Tolstoj o la Ferrante.



Purtroppo niente lascia pensare che le cose andrebbero così... (continua su TheVision)
Le classifiche dei libri ci dicono l'esatto contrario: gli unici classici della letteratura italiana a salire ciclicamente le classifiche sono i testi che vengono assegnati dagli insegnanti come letture estive in giugno, o imposti nel pacchetto dei libri di testo a settembre. Il Fu Mattia Pascal, La Storia di Elsa Morante, i Malavoglia di Verga e così via. Tutti testi interessanti e ancora attuali, ma se la scuola non li riproponesse, nel medio termine rimarrebbero materia per gli specialisti. La stessa cosa succederebbe per i Promessi sposi, che tra questi è anche uno dei meno facili da leggere. La prosa di Manzoni è quanto di più diverso si possa immaginare da quella svelta e spesso cinematografica che siamo abituati a trovare nei best seller di oggi, anche quelli con pretese letterarie: è tornita, abbondante, si dipana come la lezione di un professore di Storia a cui nessuno abbia imposto limiti di tempo. È uno stile quasi miracoloso per gli anni in cui Manzoni lo produsse, e che per molto tempo fu uno standard ineguagliato, ma oggi ha bisogno del filtro scolastico per essere apprezzato: molti testi postmoderni che fondano il proprio successo di nicchia sul fatto di essere quasi impossibili da leggere (penso a Infinite Jest, o L'arcobaleno della gravità) sono per certi versi più facili da leggere con comodo in poltrona o persino sotto l'ombrellone. Un altro aspetto che ci aliena ineluttabilmente da Manzoni è proprio quello che più contribuì a renderlo una lettura obbligatoria per così tanto tempo: il cattolicesimo. Perché per quanto sia tragico e decadente il mondo descritto da Manzoni, non può che urtare la nostra sensibilità postmoderna il fatto che ci abbia messo la soluzione davanti al naso: la Provvidenza. Ovviamente le cose sono molto più complesse di così, e anche il cattolicesimo di Manzoni, a conoscerlo, è un sentimento religioso molto sui generis: in un Paese dove tutti nascono cattolici e smettono di crederci dopo aver preso i sacramenti, Manzoni fece il percorso contrario, convertendosi in età adulta, e rimanendo molto vicino a una corrente abbastanza esotica per la sensibilità italiana, il giansenismo. La fede di Manzoni non gli impedisce di muovere critiche severe al clero, anzi: due dei personaggi meglio definiti dall'autore, con precisione spietata, sono com'è noto due figure di religiosi: Don Abbondio e Gertrude. Per quanto si avvicini a loro, per quanto li descriva nei moti più reconditi, Manzoni non sospende mai un fermo giudizio morale nei loro confronti: per quanto non smetta di riconoscere e di descrivere come il loro carattere e le loro mancanze siano il risultato delle pressioni sociali subite sino dalla nascita, Manzoni non smette di affermare che a queste pressioni, in qualsiasi momento, il timido prete e la monaca reclusa avrebbero potuto e dovuto dire di no. Non esattamente il cattolicesimo bonario delle nostre sacrestie, come si vede: da integralista del libero arbitrio Manzoni non può perdonare Gertrude: è "sventurata", è vero, ma nessuno la obbligava a rispondere. Mentre in Italia è passato molto spesso per cattolicesimo un dispositivo morale che ci allontana dalle nostre responsabilità individuali, Manzoni non ha pudore a rimettercele costantemente davanti agli occhi, con quell'insistenza che passa per paternalismo (e in un certo senso lo è davvero): siamo noi che scriviamo troppe leggi invece di preoccuparci e farle rispettare, siamo noi che di fronte a una minaccia più o meno vaga ci inchiniamo come davanti don Abbondio davanti ai bravi "troppo giusti, troppo ragionevoli". Siamo noi che malgrado ogni tentativo di contenerci, di fronte alle provocazioni di un interlocutore nemmeno troppo astuto cominciamo a vedere rosso e ci facciamo possedere dall'ira, come fra Cristoforo davanti a don Rodrigo. Siamo noi che di fronte a una difficoltà, invece di lottare per ciò che abbiamo di più caro, decidiamo di rinunciarci come se Dio ce lo chiedesse, come Lucia nella sua notte più terribile. Siamo noi i personaggi dei Promessi Sposi, e questo ci fa arrabbiare: tutti gli altri popoli europei vivono in romanzi più recenti. Noi forse no: uno scrittore pietoso e spietato insieme come Manzoni forse non lo abbiamo trovato e a questo punto magari è troppo tardi.

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