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giovedì 29 marzo 2007

il bat-archetipo

Entrare in una vecchia calzamaglia

Sempre a proposito di Frank Miller, non so se qualcuno ha già fatto caso a questa cosa:
è più o meno da dieci anni che il cinema ci sta restituendo, in versione stupida, i fumetti più complessi e intelligenti che avevamo letto da giovani. E continua.

Ma il bello è che questi fumetti complessi è intelligenti, in realtà erano già versioni intellezzualizzate a posteriori di baracconate in calzamaglia. E cioè: in principio ci fu un peplum qualsiasi, poi Miller lo trasformò in un’epica a fumetti, e adesso lo riciclano in un peplum (digitale) qualsiasi.

Oppure: in principio c’era il Batman pacchiano dei telefilm; poi Miller lo ha trasformato in un eroe hard-boiled un po’ fascista ma veramente complesso; a questo punto il cinema se l’è rimangiato, restituendoci un personaggio più o meno pacchiano in calzamaglia. Ma a dire il vero con Batman la storia è ancora più complessa, perché dal 1939 a oggi il pipistrello è diventato ridicolo molte volte – eppure ha sempre trovato qualcuno disposto a riprenderlo sul serio. Va a finire che è un archetipo dell’inconscio collettivo.

Potremmo leggere la cosa in termini di Decenni (un concetto arbitrario che ci piace molto): a metà degli anni Ottanta cercavamo di prenderci sul serio; non credevamo più alla favola Bene/male Usa/Urss e volevamo complicarci il quadro (l’anno di riferimento naturalmente è il 1986: escono il Cavaliere Oscuro e Watchmen). Verso il 2000 ripiombiamo in una situazione manichea: Bene/male Usa/Islam, e abbiamo di nuovo bisogno di eroi semplici. Potrebbe essere andata così.

Oppure potrebbe essere cambiato il pubblico di riferimento. Nel 1986 Miller, Moore e gli altri parlavano a un pubblico di grandicelli, oggi le stesse storie si riciclano per i ragazzini. In realtà vanno a vederle anche i grandicelli di ieri. Magari è una metafora della vecchiaia, come al solito: da ragazzini leggevamo i fumetti, ma volevamo prenderci sul serio ed essere presi sul serio; da adulti vorremmo sembrare ragazzini e allora ci rituffiamo sui vecchi fumetti. Siamo ridicoli e vitali esattamente come il vecchio Wayne, che finché non si rimette la calzamaglia non si sente uomo.

O ancora, potrebbe trattarsi del medium (il cinema) che snatura il messaggio. Del resto, se date la stessa storia a un cartoonist e a un regista, vedrete che il primo la smonterà e la complicherà, mentre il secondo cercherà di semplificarla. In una parola: il fumetto è analitico, il cinema è sintetico. La storia a vignette seleziona un pubblico in grado di mettere insieme una vignetta e l’altra, al cinema basta sedere e non fare troppo rumore col popcorn.

martedì 27 marzo 2007

Fascisti da Sparta

Corso di Martirio Illustrato

1. Insegnate bene ai vostri figli:
Ogni volta che qualcuno tira fuori le Termopili, è per fotterti. Per dire, una volta ci provò persino Bertinotti. 300 intrepidi spartani si fecero massacrare per salvare un popolo che se la spassava alle Olimpiadi: voi lo fareste? E mentre tirate su un muro di cadaveri persiani, non vi sentireste un po' presi per il culo, a fare il cane da guardia alla democrazia e alla libertà degli altri?

2. Fasìsta!
Già sparare giudizi, come si fa in questi maledetti blog, è un po’ antipatico.
Usare poi etichette come “fascista” è veramente tremendo. Puzza di anni ’70 – e gli anni ’70 ormai puzzano parecchio. Detto questo, Frank Miller è un fascista. Ma non è questo il motivo per cui non andrò a vedere il film sulle Termopili.
E perché sarebbe un fascista, sentiamo.

Non c’è un “perché”. Anche se facciamo finta di non credere in nulla, abbiamo tutti un sistema di credenze e di valori, che emerge in quello che scriviamo. Spesso non è esattamente il sistema di credenze e di valori che vorremmo avere. Io, per dire, preferirei essere meno pessimista quando scrivo, ma non ci riesco. Anche Miller forse preferirebbe essere meno fascista. Specie ai tempi del Cavaliere Oscuro aveva sviluppato tutta una serie di anticorpi e controcanti che rendevano la sua opera straordinariamente dialettica e complessa: ma alla fine di tutta questa complessità, comunque, sopravviveva un personaggio marziale e mascellone che si appartava negli inferi a crescere una nuova razza di uomini superiori. Le sue ultime parole erano: “Robin, sta composto!”, e Robin gli rispondeva “Sissignore”. Miller è un fascista perché, in fin dei conti, quel che gli importa è essere Uomini, con la schiena dritta, i valori saldi e i riflessi pronti. Dietro questa grande idea di mascolinità ti aspetti sempre che ci sia qualcosa di più, ma alla fine non c'è.
Non è mica il solo, figurarsi. Prima di lui ci fu la letteratura hard-boiled, con i suoi eroi mascelloni di poche parole e rocciosi ideali. Ma nessuno si sogna (oggi) di dare del fascista al detective Marlowe, che senso avrebbe? Anche gli eroi di Miller, finché si muovono nel mondo depravato di Gotham o Hell's Kitchen o Sin City, sono semplicemente uomini tutti d’un pezzo, senza complicazioni ideologiche. Se Miller si limitasse a disegnare i suoi ribelli, muscolosi e derelitti, quelli che di solito perdono tutto per colpa di una donna e poi risuscitano più forti di prima (gratta l’80% delle sue storie e ci trovi il mito biblico di Sansone)…
Il problema è che Miller non tratteggia solo ribelli: è ugualmente tentato dalla figura del Re. Lo ha ombreggiato nel Batman Oscuro, c’è tornato sopra con Leonida. Ecco, quando disegna i suoi re, Miller non può evitare di suonare certe corde. Forse la canzone suona più sinistra qui in Italia, dove ai mascelloni siamo più vaccinati. In ogni caso è terribilmente significativo che, in un momento di assoluta libertà creativa, abbia scelto per un’epopea a fumetti proprio quei fascistoni degli spartani, una casta chiusa di guerrieri famosi per le pratiche eugenetiche (e dovevano averne bisogno, perché a furia di sposarsi tra consanguinei i parti mostruosi dovevano essere frequenti).

3. Gente che non sopporto.
A questo punto c’è sempre qualcuno che risponde “Dai, ma è solo un fumetto / un film / una canzone, che palle con le tue sovrainterpretazioni, goditelo e basta". Io questa gente non la sopporto. Solo un fumetto? Siete cresciuti con Zio Paperone, il simpatico capitalista in palandrana, e vi domandate perché vi viene istintivo votare Berlusconi? Solo un film? La cinematografia è l’arma più forte, l’ha detto un tale più furbo di voi. Ma sul serio voi siete in grado di “godervi” 300 senza riflettere neanche un momento sul messaggio politico, neanche se è evidente e grosso come una montagna? Come fate? Avete il Giudizio Estetico tutto in un emisfero del cervello, il Giudizio Etico nell’altro, e una manopolina tipo Balance, per cui riuscite a oscillare a comando?
Io ho due cose da dirvi. Prima cosa: non vi credo. Non credo all’autonomia del giudizio estetico. Se 300 vi piace, probabilmente siete sensibili anche al messaggio politico. È solo che vi vergognate ad ammetterlo. Ma io non mi vergogno a giudicare voi.
Seconda cosa: a me 300 (il fumetto) è piaciuto, proprio perché sono sensibile ai messaggi politici di Frank Miller. Anch’io penso talvolta che il mondo girerebbe meglio se i giovani tenessero la schiena diritta. E per inciso, studio la letteratura del fascismo. Mi interessa, mi intriga. Ma soprattutto, credo che sia indispensabile studiarla: capire come funziona, le rare volte che ha funzionato.
Ed è anche (almeno credo) un modo per immunizzarsi: i sultani assumevano veleno dopo i pasti, per diventare invulnerabili. Io non sono del tutto sicuro di essere invulnerabile ai messaggi fascisti, ma col tempo ci arriverò. Anche grazie a Frank Miller, che è stato una fantastica scuola di fascismo illustrato.

3. Il senso del ridicolo

Con tutto questo, non credo che andrò a vedere il film. Già Sin City mi lasciò l’amaro in bocca.
Eppure era fedele al fumetto, addirittura ricalcato dalle tavole. Già, è proprio questo il punto. È triste vedere storie che sulla carta sembravano robuste e (relativamente) verosimili, trasformarsi sullo schermo in pagliacciate. Come quella scena di Kill Bill dove Uma Thurman uccide 88 ninja assassini: sembrava già il Wolverine di Miller, eppure era una pacchianata. Il fumetto rende astratte e credibili le più pantagrueliche carneficine. Ma se lo trasformi in pellicola, diventa ridicola, e di riflesso anche il fumetto. Non credo che riprenderò più in mano gli albi di Sin City: grazie regista Rodriguez, adesso mi fanno senso. Perché devo rovinarmi anche 300, trasformando un buon fumetto in un torneo di culturisti? E poi diciamolo, è roba da ragazzini.

4. “I nostri ragazzi!”

I ragazzini, appunto. Non è che io creda veramente che la visione di 300 possa trasformarli in piccoli fasci lacedemoni. Non credo che li spingerà a sostenere un’eventuale guerra americana all’Iran – tutti i film del mondo possono poco, finché gli americani continuano a dare sul campo di battaglia un’immagine così poco vincente. E tuttavia qualcosa mi disturba. Un po’ di fascismo, nell’intrattenimento dei ragazzini, c’è sempre stato. C’è stato John Rambo, e prima di lui John Wayne. Presi a piccole dosi, questi grandi uomini ci aiutavano a immunizzarci dal mito del Grand’Uomo.
Da qualche anno in qua – direi dal Gladiatore in poi – la dose mi sembra sempre più massiccia. Si punta tutto su paroloni come Onore o Gloria, ripescati in extremis dai vocabolari; Mel Gibson sdogana persino i Conquistadores; ed è tutto così sfacciato e palese che ti aspetti da un momento all’altro l’ironia. Ma non c’è nessuna ironia. Gibson è terribilmente serio; e anche Miller lo è. Il film, da quel che ho capito, la butta un po’ sul fantasy, ma senza arretrare di un centimetro dal messaggio milleriano. Mi sembra che stia nascendo un cinema per ragazzini propedeutico alla Guerra di Civiltà. Che dalle sale possano uscire buoni soldati, ripeto, è difficilmente credibile. Ma per le esercitazioni ci sono pur sempre playstation e xbox. E comunque, anche Rambo sparava parecchio; ma il Gladiatore di Scott, il Cristo di Gibson o il Leonida di Miller vanno più in là. Stanno recuperando, a colpi di ralenty ed effetti digitali, l'antiquata nozione di Martirio. La stanno trasformando in qualcosa di moderno, qualcosa di occidentale, qualcosa di cool (che alla fine può piacere anche agli eredi dei persiani, che questi dvd se li comprano volentieri).

Queste son cose che mi angosciano, molto più di sapere se alla fine ha vinto Serse o gli intrepidi difensori dell’occidente. Che importanza ha chi ha prevalso alla fine, se entrambe le fazioni erano unite dall'esaltazione fanatica del martirio? Se per vincere dobbiamo assomigliare a Bin Laden, secondo me Bin Laden ha vinto.

(Mi sembra di ricordare che vinsero i greci, giusto per il gusto di scannarsi tra loro qualche decennio dopo. Ma è roba passata, appunto: mi preoccupano di più i sequel).

sabato 24 marzo 2007

po po po po po po po

A cena con la Segretaria

Il fatto è che in diplomazia siamo fortissimi.
Non molto spettacolari, ma otteniamo tutto quel che ci serve. Proprio come ai mondiali.

E quindi lo abbiamo fatto: abbiamo scambiato un giornalista italiano con cinque pericolosissimi talebani che ci siamo fatti dare da Karzai – il tutto sotto il naso degli americani – che, in teoria, sarebbero la superpotenza che ha il controllo militare dell’Afganistan. Non solo: mentre combinavamo questo capolavoro, D’Alema era a cena con la Rice, che ufficialmente non s’è accorta di niente. Alla fine si è perfino “compiaciuta per l’esito della vicenda”. In seguito qualcuno (forse Blair) le avrà spiegato che la vicenda consisteva in uno scambio di ostaggi. Una cosa che gli americani non avrebbero mai permesso di fare (l'ultima volta che abbiamo provato a fare qualcosa del genere in Iraq, hanno preso a schioppettate il nostro agente) ma noi lo facciamo lo stesso, perché siamo una squadra fortissimi. Po, po po po po, po.

Due considerazioni brevi, ma non serie:

1) La Rice è un bluff. Non basta essere il secondo Segretario di Stato donna (dopo l’Albright), non basta essere il secondo Segretario di Stato nero (dopo Powell), non basta essere il primo Segretario donna e nero. Chi l’ha poi detto che una donna nera debba esser brava per forza? Non potrebbe semplicemente essere scarsa? Dopo sette anni di pasticci in politica estera non possiamo sempre e solo dar la colpa al Texano con gli Occhi da Macaco. Ti sei fatta abbindolare dai baffetti di un tizio che in Italia di solito fa lo sparring partner di Berlusconi. Può l’esercito più potente del mondo perdere una guerra? Se lo metti in mano a gente così, chissà, vediamo.

2) Forse, dopo decenni di prove e riprove e sforzi di un’intera nazione, ce l’abbiamo fatta: abbiamo trovato un lavoro per Massimo D’Alema. Qualcosa che riesce a fare bene: la diplomazia d’alto bordo. Qui da noi non ce la racconta più da un pezzo, ma là fuori c’è tutto un mondo di diplomatici e segretarie che ci cascano ancora. E allora vai. Ministro degli Esteri a vita. Un altro peso in meno.

mercoledì 21 marzo 2007

la classe talebana non piace all'insegnante

Primavera dei papaveri

Ma è solo Fassino, o stiamo diventando tutti scemi?

Probabilmente il peccato originale è stato chiamarla “missione di pace”. Ma a questo punto dovremmo saperlo tutti che si sparacchia un po’, in Afganistan. Che la vita, insomma, costa poco.

Però, come dire, siamo italiani. Siam convinti che non ci sia argomento abbastanza duro per noi. Parla e parla, e vedrai che ammorbidiamo anche i Talebani. Con un po’ di pazienza, un paio di salotti in tv, due giorni di dibattito, tre giri alla frittata, e vedrete che dopo Sircana e il trans riusciremo a cucinarci anche il Tavolo di Pace in Afganistan. Onorevole Fassino: il Tavolo di Pace in Afganistan? Coi talebani? Ma ha presente la situazione?

Mettiamola così. I talebani stanno a sud, ma anche a est. A nord, guerra tagiko-uzbeka permettendo, ci stanno i talebani. Ah, pare che siano anche a ovest. Insomma, alla nostra alleanza, c’è rimasta solo Kabul e periferia. È un assedio, per così dire. Per di più da un paio di mesi gli americani – che queste cose le studiano – se la stanno menando con la prossima offensiva di Primavera. Può anche essere una scusa per le future irradiazioni di uranio e fosforo, ma per quanto ne sappiamo le cose stanno così: ci hanno circondato e adesso ci attaccano. Come i Sioux a Little Big Horn.

Ma noi siamo più furbi di Custer, perché ci abbiamo Piero Fassino, noi! Che ha deciso che li invita al Tavolo della Pace! "Qualsiasi persona di buonsenso non può che essere d'accordo", ha detto. Eh, beh, certo, controllano due terzi del Paese e stanno per attaccare, vuoi che non accettino la proposta di Piero Fassino? Non sarebbe buonsenso.

E poi ci sono quelli che non sono d’accordo con Fassino, quelli che i talebani, al Tavolo della Pace, non ce li vogliono. Perché sono brutti e sporchi e cattivi, dei veri tagliagole. Eh, beh, certo, se la butti sui diritti umani, effettivamente... Luca Sofri si augura che i sequestratori di Mastrogiacomo siano arrestati. E anche questo, in fondo, è buonsenso. Voglio dire, non fa una grinza, no? Controllano due terzi del Paese? Chiamiamo la polizia che li arresti, così imparano.
Perché, non c'è una polizia, in Afganistan?
Ah, saremmo noi?
Ah.

È due giorni che ne parlano: tavolo-della-pace sì, tavolo-della-pace no. Quanto buonsenso, gente. Nessuno ancora ha provato a chiedersi cosa ne pensino i Talebani. Probabilmente se lo sapessero ghignerebbero alla grande, i Talebani, con quei denti che Mastrogiacomo ha trovato curati e bianchissimi. C’è un piccolo Paese a ovest della Turchia, dove i cani infedeli litigano se invitarci o no a un tavolo! Il 54% vuole e il 51% 41% non vuole. Non fa ridere?

No, non è solo Fassino: 54 + 41 = 95% di italiani un po' confusi. Siamo in armi in Afganistan da 4 anni e non riusciamo ad accettare che laggiù ci sia un nemico. Uno che al tavolo, con noi, non ha mai detto di volersi sedere. Probabilmente pensiamo che ci sia un bottone, da qualche parte. Lo premi e puf! Il nemico non c’è più. È diventato un simpatico signore che ha voglia di sedersi con noi. Che ci abbiamo tanto buonsenso.

***
Vien da dire: meno male che i giovani non vi ascoltano. E invece no. Qualcosa è arrivato anche ai ragazzini.
Stamattina in classe dovevo spiegare cos’è un Soviet. Non è molto difficile: è un’assemblea dove tutti parlano, e chi ha la voce più grossa spesso vince. La rappresentante ne ha approfittato per chiedere cinque minuti di discussione sull’Annuario. Devono decidere se fare la foto in costume. Bello, sì, ma che costume?

Qualcuno propone: personaggi famosi. Onde prevenire una gara a chi somiglia più a Paris Hilton, intervengo col vocione: guardate che Garelli resta Garelli anche se lo vestite da Brèdpitt. No, nemmeno un cartello con su scritto Brèdpritt lo farà sembrare meno Garelli.

“E allora ci vestiamo tutti da Talebani”.
“Non se ne parla nemmeno, no”.
“Ma prof, perchè?”
“Perché? Mi state chiedendo perché?”
“Sì, perchèèè?”

Perché no.
Perché se vi fate una foto conciati da Talebani finite in prima pagina sulla gazzetta, e ci finisco anch’io.
Perché non è uno scherzo, stavolta: c’è una guerra, e ci siamo anche noi.
Io non posso avere opinioni, ma questa non è un'opinione: è un fatto e basta.
Loro sparano ai nostri soldati.
Arrestano i nostri giornalisti e li scambiano coi loro parenti che noi abbiamo fatto prigionieri, perché loro sono i nostri nemici. Come posso spiegarlo più chiaro di così. Nemici.
Si finanziano col papavero, e voi avete studiato cosa si estrae dal papavero. Hanno fatto saltare la borsa mondiale degli oppiacei. Tra due ore sarete a casa e al tg vi diranno che hanno sequestrato un quintale di eroina afgana in Toscana. Un q u i n t a l e.

Ci sparano, ci sequestrano, ci bombardano di droga. Non vogliono fare la pace con noi. Non hanno mai detto di voler fare la pace con noi. Ci hanno circondato e forse in primavera ci attaccano.
“Ma prof, primavera è oggi”.
“Appunto”.

martedì 20 marzo 2007

ci vorrebbe un Nemico

(Avvertenza: questo pezzo contiene molte informazioni imprecise, perché questo è un pezzo sulle informazioni imprecise. Non ci tiene a dire "la verità" su Iraq o Afganistan: tiene solo a far notare quanto poco sappiamo su Iraq o Afganistan).

Adesso tutti, sull’Afganistan, dovranno farsi un’opinione. Facciamo la guerra? Dialoghiamo coi talebani? Ce ne torniamo a casa e facciam finta di nulla? Ecc ecc.
Il problema è che dell’Afganistan nessuno sa niente.

Qui non è questione di informazione superficiale: l’informazione, semplicemente, non c’è. Non ci sono giornalisti, né da una parte né dall’altra. Possiamo avere mille, centomila opinioni, possiamo aggiornare i nostri blog o guardarci un bel programma di approfondimento: il problema è che non c’è nulla da approfondire, perché al mulino manca l’acqua, e l’acqua la portano soltanto i reporter. Nel giorno in cui siamo tutti felici perché Mastrogiacomo è tornato, vale la pena di notare questa cosa: ora laggiù non c’è nemmeno lui, ed è difficile pensare che qualcuno segua le sue tracce per parecchio tempo.

È un discorso che va esteso anche all’Iraq. Ogni giornalista, ogni cooperatore che è tornato felicemente a casa, è un giornalista o un cooperatore in meno sul territorio. Da quattro anni a questa parte le informazioni che abbiamo su questi due Paesi sono diventate sempre più confuse e frammentarie – il problema è che siamo troppo indaffarati, distratti o partisan per accorgercene. Del resto diamo per scontato di vivere in una piccola sfera dove le informazioni sono ovunque immediatamente accessibili. Sbagliato: Iraq e Afganistan sono due buchi nel medioevo. Non passano più notizie. Nemmeno ai tempi del Vietnam era successo qualcosa del genere: due grandi nazioni scomparse dalla rete mondiale dell’informazione.

Pensate a questa semplice evidenza: non sappiamo contro chi stiamo combattendo. Per dire, gli americani in Vietnam lo sapevano. I russi in Afganistan lo sapevano. Oggi non lo sappiamo. Perché non vogliono dircelo? Oppure non lo sanno proprio?

Proviamo a ragionare da agit-prop: dobbiamo convincere il crasso Occidente a picchiare duro in Iraq e in Afganistan. Ci serve per prima cosa un Nemico. Osama Bin Laden andava benissimo, salvo che da qualche anno in qua comincia un po’ a puzzare, il cinquantenne ex-dializzato nascosto in una caverna. Continuare a insistere sul fatto che sia vivo, a 2-3 anni dall’ultimo filmato, è quasi un boomerang. E infatti sulla carta stampata si comincia timidamente a darlo per morto. Ma se muore, bisognerà trovare un altro Nemico, ugualmente cattivo ed emblematico, e non è semplice.

Qualche anno fa ci fu l’ondata dei Numeri Due. Il Numero Due era un modo abbastanza elegante per scalare dal concetto di “Bin Laden è il Male” a quello di “Il Capo di Al Quaeda in carica è il male”. Io ho onestamente perso il conto di quanti Numeri Due di Al Quaeda gli americani abbiano catturato e processato. Verso il 2004 la carica di Numero Due si è cristallizzata su Al Zarqawi, un tale che ai tempi non lavorava nemmeno nella stessa organizzazione di Bin Laden, ma era comunque il personaggio più sporco e cattivo in circolazione. Tagliava le teste occidentali, metteva gli snuff in rete, aveva ormai le dimensioni del mito.

Intorno ad Al Zarqawi si è detto di tutto. Proprio come Bin Laden, che fino a un certo punto si dava per dializzato, e poi miracolosamente è guarito, anche Al Zarkawi all’inizio sembrava uscisse e rientrasse dall’Iraq con una gamba finta (generoso regalo di Saddam Hussein) – finché a un certo punto non gli è ricresciuta. Viene in mente il personaggio di Gambadilegno: lo sapete perché si chiamava così? Nelle prime strisce americane aveva una gamba di legno, ma i disegnatori perdevano troppo tempo a disegnarla, e soprattutto non si erano mai messi d'accordo su quale gamba fosse. Finché Walt Disney o chi per lui decise di montargli un “modello nuovissimo” di gamba in tutto e per tutto uguale a quella vera: problema risolto. I Nemici degli americani hanno un po’ la consistenza dei cattivi da fumetti, o delle action figures smontabili.

A dicembre del 2004 Al Zarqawi a furia di decapitare occidentali si era fatto una fama talmente cattiva che Bin Laden in persona è resuscitato da qualche grotta di Tora Bora per nominarlo suo luogotenente in Iraq. Bene. Anzi no, perché a differenza di Bin Laden, Al aveva un difetto: era vivo e operante in Iraq. E se sei vivo e operante, prima o poi qualcuno ti cattura (lo stesso Zarqawi pare non fosse molto popolare nemmeno tra gli iracheni, che del resto ha massacrato a centinaia). E quando ti cattura, poi tocca inventarsi un nuovo Numero Due. Ma a questo punto i lettori occidentali cominciano a spazientirsi: sono abituati a trame di telefilm più verosimili (maledetto intrattenimento di qualità).

Dalla cattura in poi di Al Zarqawi non s’è più capito niente – non che prima si capisse molto. A un certo punto nell’autunno del 2005 Falluja è diventata la roccaforte dei sunniti. C’è stata una battaglia terribile, con armi al fosforo, Falluja è stata espugnata, e poi? E poi evidentemente non era la roccaforte, visto che la guerra coi sunniti è proseguita. O no? Giuro, ho provato a informarmi, ma non ci si capisce nulla. I giornalisti a Bagdad e Kabul e tirano i pastoni con quel che possono. Un’espressione ricorrente, nell’identificare il Nemico, è “un mosaico di formazioni”. Quando non è un mosaico è una mescolanza o un caleidoscopio o un ammasso o una pletora o qualunque cosa. Mai un nome. Mai un progetto politico o nazionale. Mai la faccia di un vero Nemico.

Ci servirebbe. Abbiamo bisogno di una faccia. E abbiamo bisogno di sapere se è una faccia nemica o no. Prendiamo quegli altri simpaticoni degli sciiti. Sono nostri alleati o no? Non si sa. Quante volte s’è visto il faccione di Muqtada-al-Sadr. È un nemico? O un amico? L’impressione è che l’ufficio propaganda se lo tenga come jolly, a seconda del momento. Ci sono fasi filo-sciite e fasi in cui gli sciiti ci stressano, evidentemente, e a seconda del momento il gattone sciita diventa un nemico o un alleato di riguardo.

Gli effetti sono paradossali: in gennaio in Occidente abbiamo assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un tribunale legittimo, giusto? Ma in Medio Oriente hanno assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un boia sciita, e circola voce che l’abbiano appeso davanti a Muqtada-al-Sadr. Ognuno ha la sua verità. Persino Camillo, che tra tanti difetti non aveva l’incoerenza, a fine anno si è messo a parlar bene dell’ayatollah Al Sistani. Per carità, ognuno dosi come vuole le sue idealità col realismo: ma partire dall’esportazione della democrazia per arrivare, in capo a tre anni, agli ayatollah, mi sembra abbastanza triste.

Quanto a me: io qualche anno fa avevo una certa idea, su Iraq e Afganistan. Da lì in poi non l’ho cambiata; non per coerenza, ma perché non ci ho più capito nulla. Se mi dimostrassero con dati alla mano che a questo punto è meglio restare là, sarei disponibile a cambiare idea. Penso che le idee abbiano una loro durata, come la biancheria; ogni tanto cambiarle è doveroso.

Il problema è che le informazioni, semplicemente, non arrivano: nessuno si attenta più ad andarle a prendere. Onore a Mastrogiacomo. Tutto il poco che sarà riuscito a portare indietro da questa esperienza, è oro puro per noi.

Il resto è fuffa, teatrino delle ideologie. “Stiamo combattendo contro i talebani”. “Dobbiamo dialogare coi talebani”. Entrambe sono opinioni rispettabili, il problema è che non hanno senso. La parola “talebano” non ha senso. I talebani del 2000 erano diversi da quelli del 2007. Quelli, per dire, pare avessero vietato la coltivazione del papavero da oppio per motivi religiosi - con conseguente crisi mondiale dell'offerta di eroina. Questi invece con l’oppio ci comprano le armi. Ne producono talmente tanto che la quotazione dell’eroina è ai minimi storici. Tra un po’ ai nostri ragazzi cominceranno a offrire schizzi gratis che nemmeno nel ’78. Un buon motivo per restare laggiù? O per andarsene? E chi lo sa? Non ne sappiamo nulla.

Verrebbe voglia di dire “Sì, restiamo”, giusto per ricordarci che l’Afganistan esiste. Bisognava che sequestrassero Mastrogiacomo perché in tv e sulla carta stampata tornassero notizie di attentati, stragi, combattimenti. Se ce ne andiamo, c’è il rischio oggettivo di dimenticarcene. Ma è solo un’opinione come un’altra. Ci scambiamo opinioni, in mancanza di informazioni.

venerdì 16 marzo 2007

voglio rifugiarmi sotto il Patto di Varsavia

Non c’è nessuna foto di Sircana con un trans; e se anche ci fosse, non farebbe così tanto schifo.
Invece, volete vedere una foto che fa veramente schifo? Ecco qui.




O nostalgia, o vergogna

O nostalgia per quel Muro, che quando c’era, tutto era molto più chiaro; c’era un Rosso e c’era un Bianco; e con un po’ di astuzia si poteva essere un po’ rossi di qua e tifare per quelli un po’ bianchi di là, e insomma sentirsi in pace con tutti, in quella vecchia Europa di una volta.
Quell’Europa che a volte ancora mi sorride dalle cartine appese alle aule, quella senza Ucraina e con una Germania in più, ma piccola; l’Europa del BeNeLux e della Coppa Campioni, e della Jugoslavia. O com’era strano e bello confinare con la Jugoslavia.
Quell’Europa campo minato nucleare. O che nostalgia. O che vergogna.

O come ci siamo ridotti, a rimpiangere Bresnev e Gromiko; i Giochi Senza Frontiere e il tempo delle Mele, e la Uno Fiat che ormai non fanno più neanche in Polonia.
Quegli anni che a viverci ti sembravano di fango, coi democristiani sempre uniti e al governo; perché ancora nessuno ti aveva spiegato che peggio di una Grande Balena, ci sono solo due o tre balene piccole, tutte ansiose di far bella figura davanti alla Grande Foca in ermellino. O vergogna tra le vergogne, di provare nostalgia per Aldo Moro, per Fanfani, per Andreot… no, aspetta, per Andreotti no.

O che nostalgia, per i tempi in cui la Russia si chiamava CCCP, si pronunciava urss, e significava Impero del Male; ma un Male talmente Male che più che spavento faceva tenerezza. Perché scusate, qualcuno di voi è mai riuscito veramente a odiare Ivan Drago? Il povero Ivan Drago, in guantoni rossi, concepito in laboratorio per spiazzarti in due?

O nostalgia per quel tenero Impero del Male, di facce stanche e tristi come quella di Darth Fener dietro il casco; un Impero di povera gente con un esercito da far paura; con le spie e i cosmonauti, che guardavano il mondo da un oblò e tornati a casa facevano una brutta fine. O terribile poesia dell’Impero del Male Contadino, che lancia le cagne in orbita. La povera Laika, ma l'hai guardata negli occhi? Gli americani, imperialisti, usavano gli scimpanzé. Il Male lo vedi nei dettagli. Che cattiveria, che disperazione, in un Impero contadino che per farsi bello sacrifica anche l’animale da cortile.

E insomma eran cattivi, ma anche poveri; li si poteva temere ma un po' ammirare e un po' anche compatire; e in ogni caso stavano di là dal muro, e quindi tutto era chiaro. Nessuna compromissione. Al massimo compassione.
O terribile nostalgia, di quando i ricchi eravamo noi.

E adesso che ci resta? Di mendicare il gas, ci resta. E pazienza se il padrone dei gasdotti è un mafioso, agente del KGB, istruttore di arti marziali, uno che sembra il cattivo di un film con Sean Connery, uno che insomma non fa alcuna tenerezza. Non c’è più un muro che ci salvi, da uno come lui. Non c’è più decenza. Ci tocca abbracciarlo, sbaciucchiarlo, perché sarà anche un mafioso, un assassino di giornalisti, un corrotto e un corruttore: ma è il padrone dei gasdotti, e il gas ci serve.

Ci fosse almeno un intermediario, un capro espiatorio, un italiano un po’ più schifoso degli altri che facesse questo sporco mestiere per noi. Che si facesse fotografare lui, a braccetto con lo Zar della Mafia. Ci fosse un nanetto da insultare, mentre entriamo in casa e distrattamente alziamo il riscaldamento. Ci fosse un Berlusconi. Ecco, l’ho detto. Ci fosse la faccia pagliaccia del potere, da insultare e adoperare.

E invece no. O schifo, o vergogna, ad abbracciare e baciare Putin ci deve andare l’uomo che ho votato io. Perché sia chiaro che lo schifo è tutto mio, che la vergogna sono io, che i giornalisti a Mosca ho dato una mano ad ammazzarli anch’io. Quando? Ecco, se almeno mi si potesse dire quando. Ogni volta che accendo il gas? Una volta ogni due? Si può misurare la mia complicità nel genocidio ceceno? Dei quattro bossoli accanto Anna Politkovskaja, quanti ne ho pagati io?

E cosa dovrei fare adesso, a parte provare vergogna e nostalgia? E cosa aspetta insomma il riscaldamento globale a lessarci tutti quanti? E dopo sarà tutto sterile e pulito. Niente più gas, niente più mafia, niente. Neanche più la nostalgia. Niente.

giovedì 15 marzo 2007

quest'aula sorda e grigia

Ciò che la vacca disse al mulo

Mi riferisco, è chiaro, alla proposta di fare l’antidoping a scuola. Mah, ministro Amato, che dire:
- Se era una battuta, non era divertente.
- Se era una provocazione, non troppo provocante.
- Al massimo era interessante come lapsus: perché proprio "dopo l'interrogazione"? Ci si droga prima di farsi interrogare? Da bravo politico, Amato è convinto che gli studenti assumano droga per colmare un’ansia da prestazione (come fanno i politici, appunto). Ma studenti così, se esistono, sono una notevole minoranza (il discorso è diverso all’università, col giro di anfetamine che c’era già ai tempi miei). La maggior parte degli studenti sfattoni continua ad assumere droghe per il solito vecchio motivo che le lezioni sono noiose.
- Ma soprattutto, da che pulpito?

Il Ministro Amato non conosce molto gli studenti. E pazienza. Ma gli studenti, lo conoscono, il Ministro Amato?
È gente che a volte studia, più spesso va a spasso, ogni tanto si droga, e inspiegabilmente cambia canale ogni volta che appare un politico in tv (cambia canale spesso).
Dei politici italiani conosce Prodi, forse; Berlusconi, sicuramente; Luxuria, perché è un trans; i più colti hanno sentito parlare anche di Caruso, che seminava le piantine. E basta. Ah, e da qualche giorno c’è questo Ministro Amato, che vuole fare l’antidoping. Ma da che pulpito?

Per la verità una trasmissione che mostra agli studenti il Palazzo c’è. Non è molto raffinata e rispettosa dell’autorità, ma c’è. È la stessa trasmissione che mostra gli accampamenti dei rumeni in Riva Reno e le rotte dei turisti sessuali padani in Padania. E poi, naturalmente, ha la sua percentuale di appostamenti trash e mogli di calciatori. Ma insomma, una trasmissione c’è: le Iene, Italia 1. Il Ministro Amato dovrebbe averci riflettuto bene.

Perché certo, cinque mesi per un Ministro degli Interni sono tanti; ma per gli studenti in fondo no. A cinque mesi dal servizio delle Iene sull’antidoping a Montecitorio, la percezione che gli studenti hanno dei parlamentari italiani è ancora la stessa: tutti-drogati. Al punto che: “prof, ma a Roma andiamo a vedere il Parlamento?”
“Certo che ci andiamo”.
“E c’è anche Luxuria?”
“Se è presente, ma…”
“Ma è vero che sono tutti drogati?”

Insomma, il Ministro Amato dovrebbe tener conto, quando parla agli studenti, di non essere il rappresentante né della maggioranza di governo, né della tradizione socialdemocratica e ancor prima socialista, né del suo partito (ma di che partito è?), né della Fondazione italianieuropei che continua a prender soldi dalla nota multinazionale del tabacco. No, quando parla ai ragazzi, il Ministro Amato sappia di non essere nulla di tutto questo.

Perché quando parla di ragazzini, quando parla ai ragazzini, il Ministro Amato è prima di tutto il rappresentante di una comunità di grassi uomini potenti che in un palazzo a Roma si tira piste a spese della comunità. Più un trans. E tutti pagano i portaborse in nero. E adesso vogliono fare l’antidoping a noi? Ma si curassero.

Un politico che pretende di fare l’antidoping agli studenti. Suvvia. Il ministro Amato rifletta bene sull’exemplum medievale del bue che dice cornuto all’asino. Nelle scuole italiane l’episodio è tramandato con altre parole, ma insomma, c’intendiamo.

martedì 13 marzo 2007

c'era tanto tempo fa un'antica civiltà

Morire per gli Ozpetechi?
Una storia originale e bellissima di amore e amicizia, che si svolge in una famiglia allargata, in cui convivono coppie etero e omosessuali, ex amanti e futuri amanti. (Onemoreblog)

Il peggio del cinema italiano. E non lo si dice esagerando: Saturno Contro ha tutti i difetti possibili immaginabili, tutte le mancanze che tengono ancorato il nostro cinema ad un livello bassissimo, incapace di raccontare altro che "crisi tra quarantenni" e tutte quello che ne consegue.
(Secondavisione)

Sono in mezzo a noi. Sono come noi. Soltanto un po’ più ricchi.
Siccome sono un po’ più ricchi, colti e raffinati, gli Ozpetechi non hanno così tanto bisogno di Pacs o DiCo o QuelCheSia. Già c’è l’amore; poi c’è qualche soldino da parte; se ti muore il partner vedrai che suo padre, legittimo erede, sarà sensibile e recettivo. Anche se era omofobo fino a un istante prima. “Volevo seppellirlo con sua madre, ma lei dice che preferiva essere cremato …” Massì, volemose bbene, no? Tra gente d’un certo livello, vuoi che non ci si metta d’accordo?

(Ma chi l’ha poi detto, che ogni film italiano debba riflettere per forza il dibattito contemporaneo. Uno va al cinema a Una va al cinema a svagarsi con le amiche, per il dibattito contemporaneo c’è Vespa, e Mentana in sovrappiù. Non è che se tutti parlano di DiCo Ozpetek debba per forza dire la sua. E se avesse voluto soltanto fare un film sugli amici suoi? Qualcosa in contrario? In fondo ci sono due attori maschi che si baciano, per il pubblico italiano è già abbastanza forte).

La coppia di gay benestanti. Uno stereotipo oppure no? Esistono in Italia coppie di gay non benestanti? Se ci penso bene, altroché. Per esempio, gli studenti. Esiste gente che a venti, trent’anni convive, e non è benestante per forza. Insomma, questa idea che si possa essere gay consapevoli solo a partire da un certo scalino di reddito, è uno stereotipo e anche pericoloso. Lo scalino c’è, ma non è economico.

Probabilmente è culturale. Dati in mano non ne ho, ma potrei scommetterci qualcosa: si è gay consapevoli solo a partire da un certo titolo di studio. I soldi insomma c’entrano, ma indirettamente. In fondo anche gli Ozpetechi, per quanto benestanti, sono abbastanza sobri nei gusti e nei consumi. Non voglio dire che bisogna essere colti per essere gay. Ma senz’altro la cultura aiuta a capire che si è gay, e che si può esserlo in modo relativamente sereno.

Il problema è che in Italia – solo in Italia? – la cultura è un lusso. Di conseguenza è un lusso anche la possibilità di farsi una serena esistenza gay. E qui arriviamo al punto: per quanto possa essere irritante la campagna anti-DiCo dei cattolici, io non credo che i DiCo siano una priorità. La priorità è la cultura. In Italia non ce n’è ancora abbastanza per tutti. Ce ne deve essere di più.
In Italia non esistono solo rodate coppie di ozpetechi che leggono buoni libri e si guardano un film tutte le sere. Oso dire che gli ozpetechi non sono che la punta di un iceberg. D’accordo che bisogna tutelare le minoranze, ma ricordiamoci che sotto il pelo dell’acqua c’è una quantità enorme di persone che potrebbe essere gay ma non lo sa, o non lo dice, o non lo ammette, perché non ha avuto a disposizione gli strumenti per capirlo, o per accettarlo. Questi strumenti sono culturali.

Io non so se l’orientamento sessuale sia un destino o una scelta, ma sono abbastanza convinto che la cultura sia lo sbarramento fondamentale, e non solo in materia di sesso. Da una parte c’è chi ha i mezzi per capire gli altri e capire sé stesso: dall’altra c’è chi deve attenersi a una serie di moduli stereotipati di comportamento: maschio vs culattone, in questo caso. Detto questo, siete liberi di combattere per i propri diritti di qua o di là. Io continuo a pensare che vada abbattuto lo sbarramento. Tutti dobbiamo avere libero accesso alla cultura; tutti dobbiamo essere liberi di indirizzare la nostra preferenza sessuale, o almeno di riconoscerla. Un’Italia un po’ più democratica, un po’ più scolarizzata, un po’ più colta, sarebbe anche un po’ più gay. E un Italia un po’ più gay non avrebbe bisogno di tanti cortei e chiacchiere per vedere riconosciuti i propri diritti in Parlamento, Vaticano o non Vaticano.

Viceversa in questa Italia, con la scuola e l’università un po’ allo sfascio, sembra che il governo debba cadere perché non riconosce qualche diritto in più a una minoranza di fighetti con appartamento di proprietà in centro. Sul serio, questo è il messaggio che rischia di passare. Attenzione. Con tutte le minoranze da tutelare che ci sono in giro, a me non va di morire proprio per gli Ozpetechi. C’è gente che sta peggio (anch’io, forse, per esempio).

venerdì 9 marzo 2007

la scrittura è un'invenzione senza futuro

Italiano, punto a capo

Qual è la prima cosa che vi è venuta in mente, leggendo la lettera del ragazzo Giuseppe?
Che bravo, che sveglio, finalmente un ragazzo che ci dà la scossa, non ne possiamo più di giornalisti sensazionalisti e prof sfiduciati (che poi alla fine è sempre solo Marco Lodoli che legge i suoi editoriali e si deprime da solo). Finalmente qualcuno che ricorda a tutti che stare a scuola è ganzo! C’è l’intervallo, il campo di calcetto, i ciliegi sono in fiore! È il posto dove la più stupida cosa che accade, accade per la prima volta! Voi che fingete di compiangerci, dareste un occhio della testa per assaggiare ancora un po’ di quel gusto della prima volta che a scuola è acqua corrente. Ecc. ecc.

Questa è la prima cosa che viene in mente. A voi.
La prima cosa che è venuta in mente a me è: che bravo, che sveglio, finalmente un ragazzo che ci dà la scossa, peccato che non sappia usare la punteggiatura.

Mi presento: il mio nome è Giuseppe Rosario Esposito. Sono un ragazzo napoletano, uno di quelli che ha la fortuna di poter andare a scuola; un ragazzo come tanti, uno di quelli che può sedersi di fronte ad un Pc per scrivere una lettera che probabilmente sarà ignorata poiché non fa abbastanza "Spettacolo". Non siamo forse nella società dello spettacolo ad ogni costo?

Ed allora Guardando la televisione, leggendo i quotidiani, non sento che parlare della "Non scuola". Non leggo altro che articoli interminabili sull'ennesimo video caricato su YouTube, che riprende chissà quale altro atto di vandalismo o di bullismo.

Si parla solo di questa "non scuola" che ormai sembra aver preso il sopravvento su tutto e tutti!

E la scuola? Quella vera, quella dei ragazzi che scrivono per far sentire la loro voce, quelli che in centinaia e centinaia parlano della "scuola che c'è" su di un forum on-line di cui nessuno ha scritto, quelli che si interessano dei reali problemi dei sistemi di istruzione, quelli che hanno deciso di creare un manifesto europeo degli studenti?
Che fine ha fatto quella scuola? Indubbiamente è più spettacolare far parlare di sé piuttosto che parlare di sé. Allora, forse, più che scrivere una lettera, dovrei filmarmi con uno di quei videofonini mentre riempio di botte qualche insegnante. Non lo so! Forse sono un folle, se penso che a qualcuno importerà questa lettera; sono un sognatore, quando ogni mattina cerco sui titoli dei giornali "la scuola che c'è", restando puntualmente deluso da quei caratteri cubitali.

Forse dovrei già sapere che nessuno risponderà a questa lettera. E forse mi dovrei abituare a non sapere cosa sono gli obbiettivi di Lisbona 2010, in fondo cosa importa! So cos'è YouTube. Ma scusate se non posso fare a meno di sognare.

Sei scusato per i sogni; un po' meno per le virgole.

Deformazione professionale, d’accordo; ma attenti. La mia professione è per l'appunto la scuola. Secondo voi è un errore mettersi a correggere i punti e le virgole a questo ragazzo?
Significa che la punteggiatura, per voi, non è un problema? Significa che è inutile insegnarla ai giovani? Che soprattutto, non ha senso correggere la punteggiatura nelle lettere che i giovani scrivono ai giornali, perché perderebbero in freschezza e in genuinità?

Niente di male, basta dirlo. E io smetterò di correggere la punteggiatura a scuola. Che roba da fare ce n'è comunque. Se decidiamo che è inutile, che è roba pallosa da adulti, che l’italiano si capisce anche senza, facciamone a meno. Resterà più tempo per i verbi irregolari e la Guerra Fredda (“si chiama così perché la combattevano d’inverno”).

Se avete studiato un po’ di Storia della Lingua, sapete che ogni lingua moderna nasce dagli errori di quella antica (se non l’avete studiata, fidatevi: ogni lingua moderna nasce dagli errori di quella antica). I primi documenti delle lingue neolatine sono i cataloghi degli errori più correnti stilati dai professori di grammatica tardo-antichi: monaci stressatissimi che non ne potevano più di correggere sempre le solite vocali e le solite desinenze. A un certo punto gli errori hanno vinto: è nato il volgare. Ogni lingua nasce volgare.

Se vogliamo sapere come sarà l’italiano di domani, non abbiamo che da leggere Giuseppe Esposito. Chiaro? Io non correggo Esposito perché non mi va come scrive. Può scrivere come gli pare, se la vede poi lui coi suoi insegnanti. Io lo correggo per capire che lingua parleranno domani. È una cosa che m’interessa: non so voi, ma io ho intenzione di farmi capire ancora per cinquant’anni almeno.

Prima sorpresa: più o meno è lo stesso italiano nostro. Esposito usa le stesse parole (poche) che usiamo noi. L’italiano non è che stia cambiando molto, dopotutto (non date retta ai lessicologi: quelli vogliono solo vendervi il dizionario nuovo con “blog” e “ipod”, come avete fatto a viver senza?) La nostra lingua si evolveva molto di più nei secoli scorsi, quando l’Italia era divisa in Stati diversi, i dialetti imperversavano, e radio e televisione non avevano ancora cristallizzato la lingua nazionale. I nostri nonni facevano fatica a parlare italiano; noi non dovremmo fare fatica a comunicare coi nipoti. Questa è una buona notizia, forse.

La principale differenza è - appunto - la punteggiatura. Esposito non la sa usare. O meglio: la usa in un modo molto diverso da quello di noi vegliardi. Virgole e punti sono jolly, più o meno intercambiabili. Il punto interrogativo non è obbligatorio. Il punto-a-capo è praticamente abolito. In fondo la cosa ha un senso: se vai a capo, che bisogno c’è di metter punto? L’economia degli SMS si fa sentire: inutile premere un tasto in più, è pleonastico. Ridondante. Propongo l’abolizione del punto-a-capo: se devi andare a capo, fallo e basta.

(L’alternativa è continuare a sbraitare come un ossesso: perché non mettete mai i punti a fine frase? Eh? Perché non mettete mai quei c***** di punti? Lo fate apposta? È una questione personale tra me e voi? Cosa vi costano?)

Giuseppe si è messo al PC, ma quella che gli è venuta sulle dita non è una lettera. È un discorso. La lingua orale sta vincendo sulla lingua scritta. Tra qualche anno il fratellino di Giuseppe non siederà più al PC: si inquadrerà con la webcam e farà un discorso alla nazione. Se già lo fa Di Pietro...

La punteggiatura si perde, come si è persa l’abilità a scrivere e leggere la musica. Una volta era indispensabile: non esistevano radio e giradischi, la musica girava sotto forma di spartiti da interpretare. Oggi siamo un popolo di esperti di musica, ma nessuno la legge più. Ormai è raro anche tra i musicisti di professione.
Può darsi che alla scrittura stia succedendo la stessa cosa: forse non è una vera arte, ma solo un medium. Può darsi che la tecnologia lo stia rendendo desueto, com’è successo al Codice Morse o ai dischi in vinile. Esposito non impara più la punteggiatura perché, sostanzialmente, non gli serve. E allora perché devo perdere tempo a insegnargliela?

Non ha più senso imparare a improvvisare un discorso davanti a una webcam, senza pause e balbettamenti? La sintassi di domani sarà orale o non sarà! La gente guarderà ai punti e virgola come noi guardiamo le cacchine di mosca su uno spartito: cosa avran voluto dire, mah.

E io mi arrendo. Ho passato gli anni migliori della mia vita a combattere contro le virgole, gli apostrofi, gli accenti; e ho perso.

giovedì 8 marzo 2007

Women from Venus, lizards from Mars

L'invasione dei rettili

Oggi è la festa della donna, e le donne stanno male.
Questa è la copertina di Velvet, il super-inserto per donne truzze della Repubblica.


È talmente grosso che non ci stava tutto intero nello scanner. Velvet non ha nemmeno un sito internet: scelta oculata, perché se cerchi su google “Velvet repubblica” trovi solo blog e testimonianze di donne che hanno provato a prenderlo e si sono lussate una spalla, o sono andate in overdose di pubblicità patinata. (L’essere in copertina, per esempio, non riuscirebbe a sollevare Velvet; probabilmente pesa meno di Velvet). Insomma, non è un prodotto rappresentativo del genere femminile, questo no. Ma qualcosa, comunque, mi rappresenta.

Mi rappresenta, per esempio, la decadenza e la morte del senso estetico. Ed è fantastico, perché probabilmente non abbiamo mai lavorato sul senso estetico come negli ultimi trent’anni. C’è mai stata un’epoca in cui si è speso altrettanto non solo per le cose belle, ma per i sussidi, gli indicatori che ci aiutassero a capire cosa è bello e cosa no? E questo è il risultato. Trent’anni di corsi di bellezza (più o meno obbligatori, in Occidente) et voilà, non siamo in grado di distinguere una donna da un rettile in caschetto.

Dove siete in questo momento? In ufficio? Maledetti assenteisti, gettatevi sulla prima collega femmina che incrociate, fatele gli auguri e chiedetele se quella nella foto è una donna o no. Cercherà di scantonare, si metterà a disquisire sul vestito. (Il vestito tra l’altro è orrendo: un’accozzaglia di colori e idee che non quagliano e non si sposano con nulla; violare l’embargo sugli indumenti viola in copertina per esibire una simile ciofeca è l’affronto finale a quel che resta del buon gusto, ma qui si parla di ben altro). Se messe alle strette, le donne diranno che, beh, sì, quella nella foto è una donna. Insomma, è chiaro che è una donna, no?
Le donne stanno male. Ormai puoi far loro qualunque cosa.


La prossima volta metteranno un’iguana in completo nero e cappello da cow-boy, tanto ormai chi se ne frega. Anzi, pensandoci bene, probabilmente oggi è già domani: l’iguana è questa. Guardate che collo che c’ha. La cosa più grossa che ha è il collo. E se guardate bene l’originale, si intravedono le squame verdi sotto il cerone.

È chiaro che il fotografo non ama le donne. Ma probabilmente neanche gli uomini, chi vive in un immaginario così non ama i mammiferi tout court. Forse da bambino ha amato David Bowie (il suo inconscio continua a cagar fuori lo stesso video di Heroes da trent’anni), ma col cavolo che Bowie lo corrisponde. Lui esce con le modelle sode, lui.

È chiaro altresì che l’autore di questa offesa al gusto e al senso comune sta facendo tutto quello che è in suo potere di fare per accelerare l’estinzione del genere umano: così finalmente potrà accoppiarsi coi rettili senza che nessuno lo giudichi male. Ma se anche fosse? Il problema non è tanto che sulla copertina di un femminile (ancorché truzzo) ci vada un rettile che non ha più nulla di femminile o semplicemente umano: il problema è che le donne, le nostre donne, si berranno anche il rettile, come si sono bevuti gli ultimi dieci anni di merda patinata: sempre più patinata e sempre più merda. Messe di fronte all’evidenza (insomma, si vede che assomiglia più a Bowie eroinomane a Berlino che a una donna vera, no?) fanno sì col capo – ma nel loro cuore stanno già pensando a quanti pasti possono saltare per riuscire a entrare nel completo viola per iguana.

Ed è inutile metterla sul fisico, far presente che un uomo, con un essere così, non si accoppierebbe mai, perché non è l’accoppiamento in discussione, qui. La donna che sfoglia velvet non vuole, evidentemente, accoppiarsi. Non vuole nemmeno essere bella. Tutto quello che vuole, ormai, è sfogliare cataloghi patinati di rettili ancheggianti. Le donne stanno male.

Io l’invasione dei Visitors, da bambino, me l’immaginavo diversa. Così mi fa ancora più paura. Buon otto marzo.

martedì 6 marzo 2007

Identificato il mandante

Il complottardo

È un tipo come te, come me. A volte siamo io o te.
Quando il governo è caduto, ci siamo rimasti male. Che il governo non ci soddisfacesse era naturale, ovvio, quasi programmatico. Ma che Prodi dovesse andarsene a casa dopo nove mesi per un equivoco, un Turigliatto, un errore di conteggio, un De Gregorio, un Pallaro, una palla, écche diamine, no.

Dopodiché? Scenario 1, si torna al voto, con Berlusconi ancora abbastanza in forma. Brutto lavoro. Scenario 2, resta Prodi, ma svolta un po’ al centro. Per cui dai, tutto sommato poteva andare peggio. Ma non festeggeremo certo, io e te, se dal centro-centro-sinistra si svolta al centro-centro-centro-sinistra. E tutto per cosa? per un equivoco, un Turigliatto, di un errore di conteggio, di un De Gregorio, di un Pallaro, di una palla? È possibile viverla così? No, non è possibile.

È a quel punto che scatta il complotto. Io e te ci troviamo in un bar, o su un blog, o in qualunque posto, e cominciamo a raccontarci che è stato tutto un complotto. Di chi? Ma di D’Alema, naturalmente. Con quell’aria un po’ così, con quei baffetti lì, vuoi che non passi il tempo a complottare? E beh, certo: prima promette di dimettersi se in Senato non passa il suo documento; poi minaccia la caduta del governo intero; e infatti il governo cade. È chiaro che c’è un complotto.

E Prodi? E non vuoi che non fosse d’accordo pure Prodi? Certo, lui è nove mesi che giura che il governo durerà una legislatura; però intanto complotta per cadere; prima cade, prima può risorgere più bello di pria. Non fa una grinza. E valeva ben la pena di dimettersi, no?, per conquistar Follini.

Si capisce che ci vuole un po’ di fantasia per trasformare questo anziano professore, un po’ ottuso nella sua ostinazione a governare con un voto di scarto, in un genio del male aduso a complotti e machiavellici infingimenti (profetico fu Corrado Guzzanti). Ma l’alternativa è crederci appesi a un filo, a un Turigliatto o a un Pallaro. No. Meglio un complotto, di un Turigliatto. Mille volte meglio.

E questo spiegherebbe anche il fascino discreto di D’Alema. Più volte mi sono chiesto il segreto della sua sopravvivenza politica. Chiunque al suo posto, se avesse commesso in 15 anni gli errori che ha fatto lui, avrebbe abbandonato da tempo qualsiasi poltrona di rilievo. Né si può dire che il personaggio compensi la sua miopia politica con la simpatia umana. Insomma, non ne azzecca una e non è neanche simpatico a nessuno: eppure in un qualche modo è sempre lì, e ce lo abbiamo messo noi. Ma come fa?

Forse il segreto è tutto qua: D’Alema ci piace perché ci permette di sfogare su di lui la nostra gran sete e fame di complotti. Con quei baffetti e con quell’alterigia, sembra che tacendo dica ai complottardi: non prendetevela col povero Turigliatto, prendetevela con me. Non vedete che son qua apposta? Turigliatto non è che una pedina. Pallaro, De Gregorio, tutte marionette nelle mie sapienti mani. Non è più riposante sapere che siete nelle mani di un burattinaio, piuttosto che in quelle del caso, del Caos?

Adesso va molto meglio. Tutto finalmente acquista un senso. La crisi di governo è stata pilotata. Da D’Alema. Da mesi sognava di spostare la barra da centro-centro-sx a centro-centro-centro eccetera. Il corteo di Vicenza gli ha fornito l’occasione propizia. Altro che Turigliatto, ma va, Turigliatto. Come si fa a dar la colpa a un Turigliatto? Siam gente seria, noi, gente informata. Abbiam bisogno di nemici seri. D’Alema è il tipo giusto.
E ce lo meritiamo.
Vorrei sapere chi è il mandante di tutte le cazzate che faccio. (Altan)

domenica 4 marzo 2007

a's'v'dam

Sui modenesi, appunto

Appunto sui modenesi: ai modenesi piace ridere di sé stessi.
Questo in genere è un bene: meglio ridere di sé che prendersi sul serio, in assoluto. E tuttavia.

Io non so, nessuno sa, di cos’è fatto esattamente Infinite Jest, il cortometraggio di James O. Incandenza che nell’omonimo romanzo trasforma gli spettatori in amebe desiderose unicamente di vedere Infinite Jest all’infinito (sicché nessuno può tornare vivo a raccontarne il contenuto); e tuttavia, se fossi James e lo dovessi girare a Modena, mi basterebbe riprendere un modenese che, nell’atto di recitare in un film, fatica a stare serio, pregustando il momento in cui rivedendosi riderà. Di sé stesso, che sorride a denti stretti, pregustando il momento in cui rivedendosi riderà di sé stesso, e la cosa può ben andare avanti all’infinito, e sarà comunque divertente. Per un modenese, certo.

Ma perché poi essere m. dovrebbe essere intrinsecamente divertente, vediamo.
Primo, non invidiamo nessuno. A una certa età è una selezione naturale: chi avrebbe voluto vivere in un altro posto ormai c’è andato.
Secondo: siamo noi stessi sinceramente divertiti di trovarci qui. Cresciuti a tv e internet, è sempre stato buffo mettere il naso fuori di casa e trovarci una piccola città con tutti che parlano strano, e ancora più buffo sentire che anche noi parliamo così. Con nessuno sforzo. Ma insomma sembra tutto messo lì per finta, in attesa di montare una città vera, una vita vera. È un posto dove crescere (con calma) o nascondersi proprio.

Cerco di spiegarmi meglio. Quando autoindulgiamo in quella cadenza, simile a certe che sentite negli spot di generi alimentari, è molto difficile capire dove finisce l’eredità o l’ambiente, e dove comincia la posa. Taglio corto: modenesi non si nasce. Apparentemente. Sei tu che scegli di parlar così, ma non sarà mai una scelta seria. Avrai sempre l’impressione che puoi metterti a parlar normale, da un momento all’altro, se solo lo volessi. Certo, basterebbe prendere un treno per scoprire che non è vero, che l’accento è un destino ancestrale che ti trascini dietro.
Allora fa’ così: quel treno lì, non prenderlo. Problema risolto.

Non so se sono stato chiaro: ogni volta che un modenese parla, è come se prendesse in giro il modenese che è in lui. Siamo la caricatura di noi stessi, e ci divertiamo.
(Il parlare bolognese è inadatto alle lettere d’amore, diceva uno scrittore di quelle parti. Il nostro è inadatto, ormai, a qualunque cosa non sia una barzelletta).
E tutto questo non è colpa della provincia. In provincia ci si prenderebbe anche sul serio, è sempre stata una cosa seria la vita. Ma la provincia più la tv ottiene uno strano effetto. A furia di vedere NY e LA sullo schermo, cominci a pensare che quel che si vede fuori dalla finestra non sia tanto serio.
Quando non avevano ancora i mezzi per ascoltarsi e guardarsi e farsi il verso, i modenesi erano probabilmente gente più seria. Lo sappiamo dagli annali. Tra le altre cose, Medaglia d’oro della Resistenza. Ecco, immaginati i modenesi d’oggi che riparano in montagna con fucili e bombe a mano per resistere all’invasor. Non ce la fai, sembra subito la trama di un cortometraggio ridicolo.

Fortunatamente la Storia non passa più di qui in tank e bombardieri. Ma – la solita prevedibile domanda – se ricapitasse? Che figura ci facciamo?

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