Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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venerdì 29 gennaio 2016

E se i gay fossero pessimi genitori? (Come gli etero, del resto)

Forse ho capito cos'è che andato storto con me
sin dall'inizio: poche mamme. 
Io, come ho cercato di spiegare sommariamente in un pezzo qua sotto, non ho molta fiducia nella buona fede della Chiesa su alcuni temi etici. Mi insospettisce il modo in cui spesso procede - alzando steccati nottetempo. Ci svegliamo un giorno e l'embrione è un essere vivente, l'utero un bene concesso in usufrutto (e il subaffitto è peccato mortale). Ho la sensazione che si tratti di paraventi che celano qualcos'altro - banalmente, una concezione di sessualità che non è più la nostra. Da qui la diffidenza per ogni forma di controllo delle nascite, più o meno intrusiva: e per gli omosessuali, anche quelli che in realtà aspirano alla serenità famigliare.

Però.

Lo sapevate che c'era un però.

Quando qualcuno mi pone una domanda, non è che mi metto subito a questionare sulla buona fede di chi me la fa. Prima cerco di capire se ho una risposta. Non credo alla buona fede di chi antepone i diritti dei bambini ai diritti degli omosessuali, ma la domanda resta interessante: esiste il diritto a crescere con un padre o una madre? Se consentiamo a due genitori dello stesso sesso di sposarsi non stiamo in un qualche modo defraudando di qualcosa di fondamentale il bambino?

Di solito a questa domanda si risponde in due modi. I cattolici con una tautologia: la famiglia con due padri o due madri non è una famiglia perché la famiglia è quella con una madre e un padre. I più sottili aggiungono lo spettro del bullismo: il bambino sarà sicuramente preso in giro, in quanto si discosta dallo standard. (Come d'altronde gli orfani. E i figli dei separati. E degli stranieri. Ma anche se la loro esperienza di vita scolastica in sostanza si basa sullo standard di un collegio cattolico, rimane interessante il fatto che riconoscano ai bulli un prezioso ruolo sociale: i cagnolini da guardia dell'eterosessualità).

A tutto questo, i sostenitori della famiglia omo (me compreso) rispondono di solito con un argomento empirico: le statistiche ci dicono che i figli di gay e lesbiche crescono mediamente bene. In realtà di studi statistici se ne sono fatti diversi, alcuni più discussi di altri - però ormai i risultati sembrano andare nella nostra direzione. E così pare che i figli di genitori vadano relativamente bene a scuola, non soffrano di discriminazioni in modo più grave di altre minoranze, ecc.

A questo punto la battaglia sembra vinta. Tra la tautologia e le statistiche non c'è gara. Tu mi dici che crescere con due madri è sbagliato perché è sbagliato, io ti mostro che il loro benessere aumenta del 6%, fine del dibattito. Però.

(Lo sapevate che c'era un però).

Questo modo di argomentare mi ricorda i tempi in cui si discuteva della pena di morte. Per giustificare la mia contrarietà alla pena di morte io facevo sempre notare come la criminalità non fosse calata in diversi Stati che l'adottavano. Finché un giorno qualcuno non mi chiede: e se cambiasse la statistica?
E io gli risposi: "eh?"
"Se cambiasse la statistica?", mi ripeté. "Se a un certo punto da qualche parte la criminalità cominciasse a diminuire perché impiccano a nastro, tu smetteresti di essere contro la pena di morte?"
"Ma cosa stai dicendo? Questo è senz'altro un argomento fallace. È come chiedermi se mia nonna avesse le ruote. Mia nonna non ha le ruote e le esecuzioni capitali non fanno calare la criminalità. È statistica".
"Rispondi".
"Ma..."
"Rispondi".
"...No, non credo che cambierei idea".
"Allora non è una questione di statistica. La statistica è solo una stampella che ti porti per sorreggerti - e darla in testa a chi ti contraddice. Ma tu non sei contro la pena di morte perché non ne vedi i risultati".
"E allora perché sono contro la pena di morte?"
"Se non lo sai tu... forse, dico forse, potrebbe essere un elemento del tuo sistema di valori..."
"Ma se il mio sistema di valori non è basato su dati statistici, su cosa..."
"...della tua ideologia".
"Un'ideologia? Io? Ho... un'ideologia?"
"Non è per forza una brutta parola".
"Tienimi la mano".

Le statistiche sui figli dei gay e delle lesbiche sono molto belle e incoraggianti. Le statistiche sui figli dei gay e delle lesbiche soffrono probabilmente di un errore di prospettiva. I gay che oggi si sposano, e decidono di avere i figli, sono un sottoinsieme particolarmente motivato. Molti di loro hanno lottato contro l'inerzia sociale che fino a dieci anni fa li considerava inetti alla vita famigliare. È facile immaginare che ci tengano a essere buoni genitori (e anche a partecipare a indagini statistiche, com'è il caso dello studio dell'università di Melbourne).

È anche abbastanza scontato ipotizzare che appartengano a una fascia di reddito media o medio-alta. Sotto alla quale probabilmente non diminuiscono soltanto i matrimoni, ma anche i coming out. Non sto dicendo che è giusto, anzi è esattamente quello che si dovrebbe combattere con politiche sociali più avanzate - nonché con campagne antiomofobia, certo - fatto sta che quando confrontiamo le famiglie omo con le famiglie etero, rischiamo di confrontare famiglie di ceto medio e medio-alto con famiglie di tutti i ceti - compreso il medio-basso e il bassissimo. Se scopriamo che i bambini tutto sommato stanno bene, come facciamo a essere sicuri che il reddito non c'entri per nulla?

È come la storia del liceo classico che sforna gli studenti migliori - come facciamo a essere sicuri che non c'entri per niente il reddito, se le famiglie più benestanti iscrivono i loro figli lì? Lo sapremo solo quando cominceranno a mandarli all'istituto tecnico. Allo stesso modo come facciamo a essere sicuri che i figli delle famiglie omo si trovino bene perché hanno i due papà o due mamme, e non perché comunque vivono in un bel quartiere, vanno in buone scuole, i genitori ci tengono particolarmente e hanno i mezzi per garantire un determinato benessere. Lo sapremo soltanto quando anche gli omosessuali poveri si potranno sposare.

Quindi sono davvero uguali a tutti gli altri!
A quel punto però temo che scopriremo che anche i figli degli omosessuali hanno i loro casini. Che possono andare male a scuola ed essere vittime di abusi dentro o fuori casa. Perché in fondo l'uguaglianza è un po' questo - parafrasando Ben Gurion: i gay saranno finalmente persone normali solo quando anche loro falliranno come genitori. Quando i figli non saranno più il risultato di un'epica lotta politica contro l'oscurantismo, ma un diritto che si dà per scontato - e diventeranno anche per i nostri concittadini gay quei puzzolenti fagotti che ti svegliano alle tre del mattino e ti mettono in imbarazzo al ristorante.

Forse un giorno potremo davvero istituire un confronto statistico serio, e allora chissà cosa scopriremo. Magari salterà fuori che crescere con due genitori di un solo sesso non è effettivamente un handicap - del resto c'è chi cresce con tre fratelli maschi, chi cresce solo con la madre, ce n'è già di varietà a questo mondo, cosa vuoi che faccia differenza se in una casa nessuno fa la pipì in piedi.

Ma se scoprissimo il contrario? Che chi cresce in una casa dove nessuno lascia l'asse alzata ha poi difficoltà a interagire nella vita con gli individui di sesso maschile? Cambieremmo idea?

Potete rispondere di sì o di no, ma non potete spiegare il perché, temo. Non ci sono statistiche vere a cui appigliarsi. È ideologia, o se preferite una professione di fede. Voi non volete il matrimonio gay perché è stato dimostrato che non turba il minore. Voi lo volete perché in cuor vostro siete persuasi che sia giusto. E dall'altra parte c'è chi è ugualmente persuaso che sia sbagliato, e anche lui in teoria ha tutto un complesso sistema di credenze che lo portano a pensare così - ma è un'impalcatura fallace, un paravento. Come la nostra. Non siamo migliori di lui. Non possiamo convincerlo. Lo vogliamo battere e basta.

E non lo batteremo perché abbiamo ragione. Avremo ragione solo se lo batteremo.

Buon family day.

giovedì 28 gennaio 2016

Il giorno che hanno fatto santo l'utero

Non so se è successo anche voi, di svegliarvi un mattino e scoprire che affittare un utero era diventato peccato mortale.

D'accordo, la pratica è relativamente moderna; di sicuro non potevano parlarne i padri della Chiesa o i cardinali al concilio di Trento; e nessuno nega di poter trovare discutibile, l'offerta di una facoltà del proprio corpo in cambio di denaro - ma allora, chi di mestiere usa le mani, i piedi, la testa? Non le sta in sostanza "affittando" a un utente in cambio di denaro? E chi si vende un rene? Quello non è affitto, non ti torna più indietro, perché nessun cardinale sembra aver notato lo scandalo della cosa? Perché nessun cattolico alza la voce contro trasfusioni o trapianti? Perché sempre solo in quella zona del corpo? Sono domande interessanti, ma io non le farei a voce troppo alta. C'è il rischio che qualcuno si ponga il problema davvero, e magari domani oltre ai manifestanti contro il mercimonio dell'utero avremmo quelli contro la compravendita dei reni. Perché è così che funziona.

Chi accusa la Chiesa di rimanere attaccata alle proprie tradizioni, non si accorge che la Chiesa le tradizioni le stravolge continuamente: per San Tommaso la vita non cominciava dal concepimento, per papa Francesco sì. Non c'è stata nessuna precisazione dello Spirito Santo, nel frattempo. Ma a un certo punto la modernità è arrivata, ha notato un problema - i costi sociali e umani degli aborti clandestini - ha proposto di risolverli depenalizzando gli aborti, e la Chiesa ha detto di no. Perché?

- Perché la vita comincia dal concepimento.
- Ma chi l'ha detto?
- Noi adesso.
- Funziona così?
- Funziona così.
- Comodo però.
- Vero?

In modo analogo, a un certo punto la modernità ha deciso che l'omosessualità non era una malattia, una tara. Bisogna dire che è stata convincente, se oggi persino molti uomini di Chiesa hanno imbarazzo a trattare i gay da handicappati. Quindi come si fa a negare loro il diritto a sposarsi? Se sono persone come gli altri... ma no, guarda, è facile. Basta ricordare che il matrimonio è finalizzato alla procreazione, e quella Dio l'ha donata soltanto alle coppie etero. Lo dice il Catechismo.

- Veramente il Catechismo dice che "I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio" (1654). Cioè in pratica se sposo una persona del mio stesso sesso potrei persino adottare, "risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio", c'è scritto così...
- No.
- Perché no?
- Perché se ti sposi con una persona del tuo sesso tu sai già benissimo che Dio non ti concederà di concepire figli.
- Quindi bisogna togliere il diritto di sposarsi a quelli che sanno già di essere sterili?
- Loro possono sperare in un miracolo.
- E un gay non può?
- No.
- Chi lo stabilisce?
- Io in questo momento.
- Non stai ponendo limiti alla misericordia di...
- Sii serio, su.
- Ma insomma, niente fecondazione niente matrimonio?
- Niente matrimonio.
- Senti, mettiamola su un altro piano. Se io fossi cieco, e volessi vedere, e la tecnologia mi consentisse di farlo, Dio si opporrebbe?
- In quel caso la tecnologia sarebbe un dono di Dio.
- Perfetto. Invece sono un gay che vuole avere bambini.
- Cioè smettere di essere gay.
- No. Sono un gay. Non c'è niente di male a essere gay. Ma Dio mi ha dato anche il desiderio di avere un bambino.
- Allora non è più un dono di Dio. È un capriccio.
- Ma la tecnologia mi consente di averlo.
- Allora la tecnologia è immorale.
- Cosa c'è di immorale nel desiderare di avere bambini?
- Ci devo pensare su, ma c'è senz'altro qualcosa... trovato. Devi usare un utero non tuo.
- Embè?
- Lo devi pagare.
- Non necessariamente, ma se anche fosse?
- È un orribile mercimonio.
- Lo hai deciso adesso, vero?
- Creerà un discrimine tra chi si può permettere un utero e chi no.
- Ma anche un sacco di opportunità di lavoro.
- Non è lavoro, è un orribile mercimonio.
- Perché metti a disposizione una parte del tuo corpo? E allora chi lavora con le mani? Con gli occhi? con le corde vocali?
- L'utero è su un altro piano.
- C'entra il sesso, vero?
- Che orribile gioco di parole.
- Alla fine è tutto lì. Non vi piace il controllo delle nascite, e vi inventate l'umanità dell'embrione - tra l'altro a quel punto vi tocca riempire l'inferno di embrioni non nati e quindi non battezzati.
- Abbiamo abolito il Limbo.
- Lo avete fatto l'altro ieri.
- È così che funziona.
- Poi ai gay vien voglia di avere una famiglia, e a quel punto scatta tutta una serie di proposizioni che ci conducono alla sacralità dell'utero. Non fate prima a dire che i gay sono orribili peccatori?
- Mi stai offendendo, io non discrimino nessuno. Ho a cuore gli uteri dei poveri e tutti gli embrioni del mondo. Che hanno il diritto di crescere con un padre e una madre.
- E gli orfani?
- Anche adottati. Ma da un padre e una madre.
- E i figli di separati?
- Eh, fosse stato per noi...
- Senti, non è scritto da nessuna parte che è un diritto.
- Lo scrivo io adesso.
- No. No. Non funziona così.
- E come funziona, sentiamo.
- Dovresti dimostrare che... senti, partiamo da un punto su cui siamo d'accordo. I bambini hanno diritto a crescere nel modo migliore.
- Cioè con una madre e un padre.
- Come fai a essere sicuro che sia il modo migliore?
- È quello naturale.
- Per favore, dai. La natura.
- La natura.
- Anche la peste bubbonica è naturale. I terremoti sono naturali. Non mi vorrai mica dire adori la natura. Che sotto lo zuccotto porti treccine da sciamano.
- Si è sempre fatto così.
- Lo dissero anche a Semmelweis quando si lamentava che le infermiere non si lavassero le mani tra obitorio e maternità. "Si è sempre fatto così", e le donne morivano di parto. Le cose cambiano.
- Certe cose no.
- La famiglia naturale è quella che ha cresciuto miliardi di psicotici. Il luogo dove tuttora avvengono più abusi.
- Chi lascia la vecchia via per la nuova...
- Eh?
- È un proverbio.
- Lo so che è un proverbio, mi hai preso per scemo? Questo è un dibattito tra la Modernità e la Chiesa su temi di bioetica, potremmo citare filosofi e teologi e tu mi citi un proverbio scemo?
- È che alla fine tutto si riduce a questo. Io la vecchia via la conosco. So che produce tot psicotici, tot abusi, tot risultati accettabili. E mi sta bene. Tu invece, la tua via, lo sai a cosa porta?
- ... (Continua) (Sul serio).

martedì 26 gennaio 2016

Il suo nome è sulla lista?

Niente fa gennaio come i corridoi delle scuole, quando tirano via le stelle di Natale e mettono i cartelloni con le svastiche il filo spinato e le stelle di David.

Ciò detto, quest'anno insegno in una classe esposta a sud, con tapparelle discutibili, e se c'è il sole la LIM è nitida solo fino alle 9 del mattino, poi è meglio fare altro. Quindi in terza se voglio proiettare un po' di Schindler's List devo partire subito, l'appello magari lo faccio quando il sole comincia a picchiare.

Ecco. Fare l'appello dopo aver visto un qualsiasi pezzo di Schindler's List è inquietante in un modo che non vi immaginate - cioè adesso che ve l'ho raccontato magari ve lo immaginate, ma anche un po' di più.

(Dall'archivio:





Un genio incompatibile (e il suo sceneggiatore)

Steve Jobs (Danny Boyle, ma soprattutto l'ha scritto Aaron Sorkin, 2015).

Abbiamo mezz'ora e il copione, pardon, intendevo il software,
 è tutto da riscrivere.
Se fosse nato nel Quattrocento, avrebbe fatto l'artista. Avrebbe fatto impazzire tutti i committenti progettando per anni una statua equestre costosissima e irrealizzabile, i cui bozzetti però sarebbero ancora nei musei. Se fosse nato negli anni Quaranta avrebbe formato la sua band - senza saper suonare uno strumento e litigando con tutti i colleghi, ma creando una nuova dimensione musicale fatta di tante cose rubacchiate in giro. Se fosse nato negli anni Cinquanta e si fosse trovato nella Silicon Valley al momento giusto, si sarebbe improvvisato inventore di computer costosi che funzionano benissimo finché non li colleghi a nient'altro. Se invece fosse nato nei Sessanta avrebbe potuto scrivere per il cinema e la tv, costringendo i registi a inventare uno stile tutto per lui e rifiutando di riconoscere i contributi dei colleghi - finché non avrebbe litigato col network, licenziandosi o facendosi licenziare, e meditando immaginosi piani di vendetta.

Questo è Aaron Sorkin, acclamato drammaturgo e sceneggiatore di The West Wing, The Social Network e... no, scusate, questo è Steve Jobs. Ma è anche un po' Sorkin, che ha preso l'immensa biografia di Jobs e ne ha ricavato qualcosa di assolutamente personale e incompatibile con qualsiasi altro film nelle sale; un dramma in tre atti, ambientato nei backstage di tre teatri diversi. Sono pochi i film che ti fanno pensare: chissà come renderebbe su un palco. Steve Jobs sembra pensato apposta per una messa in scena alla vecchia maniera sperimentale: niente sipario, gli attori cominciano a parlare di quello che deve andare in scena, e lo spettacolo consiste in questo. Lo stesso regista Danny Boyle, un po' meno frastornante del solito, sembra aver fatto qualche passo indietro di fronte all'evidenza: Steve Jobs è una questione privata tra Aaron Sorkin e il suo (alter)ego.

Lisa questo è Mac, Mac questa è la tua sorellina, ora
disegnate un po' coi pennarelli e non rompete le palle a papà.
Steve Jobs non è il primo film biografico che taglia fuori gran parte della vita del suo personaggio per concentrarsi soltanto su pochi episodi; è l'evoluzione estrema di una tendenza che a Hollywood negli ultimi dieci anni ha dato soddisfazioni sia a chi vende i biglietti che a chi li compra. Ma di tutto quello che poteva scegliere di raccontare, Sorkin ha scelto con cura proprio quei momenti in cui il manager geniale potrebbe essere l'autore di un dramma che sta per andare in scena: i cancelli stanno per aprirsi, il pubblico per entrare, ma dietro le quinte c'è qualcosa che non va, c'è sempre qualcosa che va risolto all'ultimo momento. Un dialogo da cambiare, un dipendente mediocre da torchiare, un collega che vuol essere ringraziato quando sai che non se lo merita, i parenti con le loro beghe da parenti. Sorkin non è Steve Jobs, ma Steve Jobs è il Ritratto dello Sceneggiatore nei panni del Genio del Computer (continua su +eventi!)
"RICONOSCI LA MIA IMPORTANZA!" "AMMETTI LA TUA SUBALTERNITA''!"
Anche a Sorkin non interessava tanto la tecnologia digitale, né la generazione che l'ha immaginata, quanto il "comeback", l'odissea di un manager che viene scaricato dalla sua stessa azienda e poi torna e si vendica. È una parabola banale - la stessa descritta più convenzionalmente nel biopic di due anni fa - ma terribilmente congeniale all'autore che dopo aver divorziato da The West Wing non è mai riuscito a guardare una puntata della nuova gestione, e ha continuato a raccontarci storie di comeback. L'autore e il produttore di Studio 60, l'anchorman di Newsroom, sono tutti eroi caduti che tornano sui loro passi cercando di riprendersi quello che si meritano. Lo Steve Wozniak del film (Seth Rogen), che continua a chiedere a Jobs di essere ringraziato pubblicamente, più che all'inventore dell'home computer somiglia a Rick Cleveland che si sente umiliato perché Sorkin non riconosce che l'episodio che ha vinto l'Emmy era una sua idea. E così via.
Sorkin non ha mai rifiutato l'autoreferenzialità, ma nelle serie tv almeno la disperde su più personaggi, coinvolgendoci in scene corali che ci fanno dimenticare come tutti i colori provengano dallo stesso prisma. Stavolta il coro non c'è: sulla scena Fassbender è solo. La Winslet, ovviamente ottima, non è che l'appendice del protagonista, necessaria a far risaltare il suo ego. Jeff Daniels ha a disposizione pochi minuti, lungo tre atti, per evocare un tortuoso complesso di Edipo - del resto è un Sorkin formato cinema, tutti camminano e parlano come indiavolati. La versione italiana sarà probabilmente un macello, quella coi sottotitoli va bene se invece di guardare il film vuoi leggerti i sottotitoli.

E quindi? Chi voleva vedere un film sull'inventore della Apple, potrebbe restarci male - e sarà la seconda volta in due anni. Se invece interessa l'opera di un talento individuale che voleva specchiarsi in un altro talento e raccontarci com'è difficile essere grandi in un mondo di mediocri, Steve Jobs è il pilota di una serie che butteremmo giù tutto d'un fiato, e uno straordinario dramma in scena stasera anche al Cityplex di Alba (19:45, 22:10); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10, 22:40); al Vittoria di Bra (21:30); al Fiamma di Cuneo (21:10); ai Portici di Fossano (18:30, 21:15); al Politeama di Saluzzo (15:30, 17:45, 20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:15, 22:30).

lunedì 25 gennaio 2016

Il segreto del mio insuccesso

Stavo cercando di buttar giù due pensierini sulla Legge di Poe, quando ho avuto una mezza rivelazione - hai presente quando un problema che hai sempre visto da vicino, ti si presenta finalmente dalla giusta distanza, dalla giusta angolazione? Insomma ho capito che io di blog non ho capito mai niente. E di internet in generale.

Ho sempre fatto la cosa sbagliata.

Quasi quindici anni fa, ai tempi di Indymedia, una volta lessi un articoletto cosiddetto satirico, uno di quei pezzi che mettono in bocca a un personaggio le verità indicibili, ad es. Bush: "L'Iraq non c'entra niente con l'11 settembre, ma è più facile da invadere dell'Afganistan", una cosa del genere. Mi piaceva, lo trovavo diretto ed efficace. Fu molto facile clonare una pagina di Repubblica e incollarci sopra l'articoletto. A quel punto era ancora più diretto ed efficace, perché sembrava vero. Lo ripubblicai. Ad alcuni piacque. Altri chiesero di toglierlo immediatamente, perché qualcuno l'avrebbe preso per una vera pagina di Repubblica. Ci leggono anche dall'estero, dicevano. Lì per lì mi misi a ridere - insomma, si capiva che non era una vera pagina di Repubblica. Mancava l'indirizzo.

Però lo tolsi.

Da allora non ho più fatto una cosa del genere.

Oddio, qualche parodia ogni tanto mi è scappata, anche se non è il mio forte. Però i fake li ho lasciati perdere. Sono troppo facili, appunto. E poi credo di aver introiettato quello che mi dissero quel giorno. Ci leggono dall'estero - che non è necessariamente un'altra nazione. Per esempio possono leggerci dal futuro. Non un futuro remoto: bastano cinque o sei anni per non capire letteralmente di cosa si stia parlando. Possono leggerci i bambini. Possono leggerci le persone che non condividono i nostri punti di vista. A meno che - s'intende - non facciamo qualcosa per mandarli via.

Io non ho mai fatto niente per mandarli via. Anzi ci tenevo che restassero. Per me è sempre stato molto importante, ad esempio, non intervenire su un argomento senza prima aver spiegato di cosa si trattasse: era il principio che chiamavo "riassumi le puntate". "Perché ci può essere sempre qualcuno appena arrivato che non sa di cosa si sta parlando, e se glielo spieghi te ne sarà grato". Questa è probabilmente la grande lezione dell'internet che io ho frainteso. Perché se mi guardo attorno, e vedo piccole o grandi storie di successo, mi accorgo sempre di questa cosa: in rete bisogna fare comunità. Tener fuori quelli che non capiscono, e creare una sensazione di familiarità che attiri soltanto quelli che condividono i nostri gusti, valori, punti di vista. Insomma, tutto bisogna fare fuorché riassumere le puntate agli estranei. I messaggi devono essere rivolti solo a chi è in grado di capirli.

Pare infatti che il problema sia questo. Qualcuno commentando il pezzo sulla vignetta di Charlie mi ha spiegato che non è razzista, perché non è rivolta un pubblico razzista. "Solo un razzista distratto potrebbe riderne". Posso capire. A questo punto però è un vero peccato che molti razzisti siano distratti. E che non possiamo impedire loro di leggere Charlie e interpretare le battute come vogliono. La legge di Poe dice che "non è possibile creare una parodia del fondamentalismo in modo tale che qualcuno non la confonda con il vero fondamentalismo", senza almeno usare un segno che chiarisca oltre ogni dubbio l'intento parodico. Questo segno non dovrebbe essere linguistico, ad esempio l'intonazione della voce, o un'emoticon. Come tutti i grafomani, io detesto le emoticon. Vorrei riuscire a dire tutto con la scrittura, ma pare che ci sia un limite. La scrittura non strizza l'occhio, o non lo fa in modo abbastanza chiaro per tutti. E io - è il mio difetto intrinseco - vorrei essere abbastanza chiaro per tutti. Come la Sapienza dei Proverbi, che non si chiude in un circolo di amici selezionati, ma batte i marciapiedi e fa l'occhiolino agli estranei, così ho sempre cercato di fare io. Per me internet era la rete di tutti, e pensavo che questa fosse un'immensa opportunità. Pare che invece sia il principale difetto che ci impedisce di mandare avanti conversazioni interessanti: il rumore di fondo dei passanti che non capiscono, ma vogliono lo stesso intervenire perché credono di aver sentito qualcosa di sbagliato.

E adesso che si fa? Niente. Cioè, no, le solite cose. Continuerò a parlare del più e del meno, a riassumere qualche puntata ai passanti, e a ricevere ogni tanto le mail di qualcuno che mi ha trovato per caso e ha fatto mattina leggendo tutti i pezzi del 2009. Sto facendo questa cosa da così tanto tempo - 15 anni oggi - che non credo di poter più cambiare. Uno sbaglio così lungo ormai non è neanche più uno sbaglio. Diventa un'altra cosa - un record, un esperimento, una forma d'arte, che ne so.

venerdì 22 gennaio 2016

La vendetta è un piatto che si conserva a -40°

 The Revenant (Alejandro González Iñárritu, 2015)

Il Sud Dakota secondo Iñárritu.
Dieci anni dopo il fattaccio, Hugh Glass cacciava ancora il castoro dalle parti di Williston, North Dakota. A chi gli pagava da bere raccontava la storia di quando si era trascinato per duecento miglia fino a Fort Henry, tallonato dagli Arikara, sospinto solo dal desiderio di fare la pelle ai due ragazzi che lo avevano abbandonato mezzo morto dopo lo scontro con l'orso. A ogni racconto la bestia diventava più grande, le ferite più profonde, gli agguati aumentavano, e la steppa si corrugava, rivelando al suo interno rilievi alpini, innevati nel mese di giugno.

Il Sud Dakota com'è davvero. 
"Ma poi li hai ammazzati?"
"Chi?"
"Quei due ragazzi, alla fine li hai ammazzati?"
"Fitzgerald e Bedger? Ah, no".
"E perché no?"
"Bedger era un ragazzino, e quanto a Fitzgerald..."
"Non avevano la stessa età?"
"...Si era già arruolato. Se gli avessi torto un capello mi avrebbero impiccato. Ci siamo messi d'accordo con 400 dollari, e mi restituì il fucile. Questo qui".
"Non erano 300 dollari?"
"Infatti".
"Ma hai appena detto 400".
"Mi sarò sbagliato. Figliolo, quando hai visto la morte in faccia, e hai sopravvissuto a una bufera di neve accucciandoti nella carcassa di un cavallo..."
"Ma era giugno".

(Se vi è piaciuto Il viaggio di Arlo, non perdetevi la versione per adulti, col mille per cento di sangue e cicatrici in più, e un'animazione digitale ancora più raffinata - l'orso sembra vero! Padre e figlio si scambiano le parti, c'è un po' più di sangue e di visioni dall'oltretomba, e Di Caprio presta la voce - il rantolo - a un mammuth ferito ma non domo).

Il salvaschermo più costoso mai realizzato
Per ritrovare la via verso Fort Henry, Glass aveva preso come riferimento la Thunder Butte, la Rocchetta del Tuono - una collina di 800 metri che è l'unico rilievo di rilievo nel Sud Dakota. Tutto il resto è pianura, pianura e ancora pianura. Per girare The Revenant, Iñárritu ha esplorato le cime innevate della Columbia Britannica, girando solo con la luce naturale a 40 gradi, col rischio di ammazzare Di Caprio di broncopolmonite - e quando è arrivato l'inverno ha semplicemente cambiato emisfero, spostando il set in Terra del Fuoco. Per sfuggire agli Arikara che controllano il fiume Missouri, i suoi attori si inerpicano su un sentiero alpino che li porta a un valico di almeno millecinquecento metri - non cresce più l'erba. In sostanza stanno scalando le montagne rocciose, contro ogni verosimiglianza, perché al regista interessava una storia vera di sopravvivenza e di vendetta, ma anche quei paesaggi mozzafiato da salvaschermo di windows.

A Iñárritu interessa il cinema vero, quello senza green screen e altri trucchetti, quello che si fa con la pellicola, e l'esposizione naturale, e gli animali veri, e le ferite e i colpi di tosse veri - come se tutta questa verità non costasse comunque milioni di dollari. Gli interessava il ritorno alla naturalezza, anche se l'orso che cerca di finire Di Caprio battendolo come un materasso è un prodigio di computergrafica. Con l'ipocrisia ingenua e inconsapevole di quei milionari che sognano il ritorno alla natura ma hanno più in mente il triathlon - a proposito, c'è anche il saggio capo indiano che si lamenta perché il viso pallido gli ha tolto tutto. E nessuno che gli dica: senti nonno, tra venticinque anni potrei anche capire, ma siamo nel 1820, "tutto" cosa? A momenti non c'è un solo viso pallido in tutto il Dakota, e comunque appena arriva lo scotenni e gli rubi il bottino di caccia, a chi la vuoi raccontare? Non ci hai fatto gli affari anche tu, coi visi pallidi, finché t'è convenuto? Eh, ma questi bianchi sono cattivi sul serio. Rubano le donne, impiccano per divertimento, aggiungendo un cartello di spiegazione come i nazisti - anche se nessuno sa leggere in un raggio di trecento miglia.

È difficile sfuggire a The Revenant, alla sua fotografia da National Geographic, al titanismo essenziale del suo eroe, maschiaccio di poche parole laddove pare che il vero Hugh Class fosse un affabulatore, magari pure un contaballe. Questa parte del suo ruolo se la prende Tom Hardy che prosegue il suo stato di grazia: un antagonista nervoso e rapace che non sta in scena per più di mezz'ora, ma ha più dialoghi di tutti gli altri personaggi messi assieme. Iñárritu ha coraggio da vendere, e anche stavolta non si può che dargliene atto. Dopo due ore senza una sola scena in interni, cominci a capire quello che intendeva Cimino mentre affondava sul ponte dei Cancelli del cielo: i film dovrebbero essere viaggi, dovrebbero prenderti di peso e portarti in un altro luogo, in un altro tempo.

Cosa sta succedendo allora a Hollywood, se Cimino sprofondò e Iñárritu ha preso 12 nomination? Siamo entrati in una nuova età del cinema, o il nuovo regista pazzo è un po' meno pazzo, un po' più paraculo di quanto non voglia sembrarci? Disprezza i fumettoni, ma il suo eroe sembra avere lo stesso fattore rigenerante di Wolverine. Vuole le luci naturali, ma sa che la gente verrà a vedere l'orso finto. Vuole la storia vera, ma poi se la reinventa da capo a piedi, ricattandoci col sentimento più a buon mercato - l'amor paterno. Il vero Glass era un fanfarone che si fece duecento miglia per trecento dollari e un fucile. Il Glass del film deve attraversare canyon e ghiacciai per vendicare un figlio. È una storia talmente costruita che alla fine Iñárritu se ne vergogna - e anche stavolta, come in Birdman, il finale manda un po' a gambe all'aria il film.

Vorrebbe essere profondo, vorrebbe essere autocritico, vorrebbe rivedere le sue stesse premesse. Ha fatto sanguinare Di Caprio, ha opposto bianchi sterminatori a pellerossa in armonia con la natura, e alla fine ci ha ricordato che la vendetta è un buon trucco per costruirci attorno un film - ma che resta sostanzialmente una cosa sbagliata, ragazzi, mi raccomando non vendicatevi a casa. Che gli puoi dire? Bravo è bravo. Ma resta lì sospeso nel bianco delle sue bufere fantastiche, né troppo pazzo né troppo furbo per arrivare davvero al punto. The Revenant è al Cityplex di Alba (21:30), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:30, 22:10), all'Impero di Bra (19:45, 21:45), al Fiamma di Cuneo (21:00), al Baretti di Mondovì (21:00), all'Italia di Saluzzo (21:30), al Cinecittà di Savigliano (21:30)

mercoledì 20 gennaio 2016

L'ultimo gigante

Ettore Scola era l'ultimo. La commedia all'italiana, nella versione ripulita dagli errori di percorso che ci ha tramandato la tv serale e pomeridiana, in quel segmento aureo che grosso modo va dal 1955 al 1975, sembra il risultato del lavoro di un gruppo singolarmente ristretto di talenti. Cinque attori indispensabili, tutti nati nei primi anni Venti, cinque volti immediatamente riconoscibili dal pubblico, ma anche in qualche modo intercambiabili (in Riusciranno i nostri eroi era previsto che Manfredi desse la caccia a Sordi, ma il primo aveva più impegni e così si scambiarono i ruoli). Pochi autori e bravissimi, tra cui gli onnipresenti Age e Scarpelli (classe '19) e lo stesso Scola che comincia a scrivere a vent'anni e mette le mani in tantissimi film. Anche i registi sono una manciata: tra questi, Scola è l'unico nato dopo il 1930. Quando gira la Terrazza, i suoi eroi ingrigiti e terrorizzati dalla vecchiaia e dalla morte stanno intravedendo la boa dei sessant'anni; lui non ne aveva ancora compiuti cinquanta. Era destinato a essere l'epigono: se immaginiamo Risi e Monicelli come i due autori della tarda classicità, potremmo vedere in Scola il manierista - l'allievo precoce che ha saltato qualche classe e si ritrova circondato da compagni più grandi.

Dei tre è il più borghese, quello che meno si vergogna di esserlo: è difficile immaginare Risi e Monicelli alle prese con il manifesto antipauperista di Brutti, sporchi e cattivi (Pasolini invece pare che volesse girarne il prologo, magari una versione in pellicola dell'Abiura). È anche quello che ha più ambizioni autoriali: nel 1970 fora la quarta parete in Dramma della gelosia, ma forse il vero choc del film è che il sex symbol Mastroianni è un marito becco e ingrigito con un destino da straccione; l'anno dopo coinvolge Sordi nella rischiosa trasposizione cinematografica della Panne di Dürrenmatt, La migliore serata della mia vita. Non è che tutto fili liscio, ma si capisce che all'alba degli anni Settanta la commedia gli sta stretta. Ci lavorava da vent'anni; era parte integrante di un sistema che funzionava, che riempiva le sale (restava da conquistare la critica, ma quella ci mette sempre un po' più tempo). Avrebbe potuto riprodurre le stesse formule ancora per parecchio. Ma tutti i suoi uomini stanno invecchiando, e lui è il primo a rendersene conto. Lui e Germi, che muore nel '74 passando a Monicelli la pratica di Amici Miei. Nello stesso anno esce C'eravamo tanto amati. Le maschere della commedia all'italiana si scoprono le rughe; si staccano dalla ribalta del presente e cominciavano a guardarsi intorno: chi eravamo? Cosa siamo diventati? E ora cosa ci succederà?

Dovendo scegliere un film solo di tutto un periodo e di un genere, a malincuore sceglierei C'eravamo tanto amati, che pure non è così tanto rappresentativo. È davvero un film manierista, se non barocco. Dentro c'è tutto: il romanzo generazionale, il conflitto sociale, il gioco delle citazioni non solo cinematografiche ma anche teatrali e televisive, la quarta parete fatta a pezzi. È anche il primo vero film forrestgumpista, in straordinario anticipo rispetto agli epigoni italiani, indegni di comparire al suo cospetto (La meglio gioventù? Per favore, dai). Ogni volta che lo vedo ci trovo qualcosa di nuovo - o che probabilmente mi ero dimenticato, e di nuovo rabbrividisco al pensiero che una volta gli italiani sapevano fare film così. In realtà di film davvero così ce n'è uno solo, e forse si poteva realizzare soltanto in un periodo in cui gli italiani il biglietto l'avrebbero staccato comunque. Bastava che in cartellone ci fossero Gassman e Manfredi - e la Sandrelli, certo.

La commedia all'italiana mi piace tutta, dai Soliti ignoti fino alla Terrazza. È un amore nato davanti alla televisione; maturato con la serale complicità di Retequattro; integrato con qualche videocassetta. Ci ho messo parecchio a capire cosa mi piacesse davvero tanto in quei film, cosa invidiavo ai miei genitori che avevano vissuto in un mondo di mostri di bravura, anche se al cinema loro non ci andavano spesso. Non un attore in particolare, per quanto i loro volti ricorrenti mi rassicurassero; nemmeno un regista. Alla fine mi sono reso conto che sono i dialoghi di Age e Scarpelli, e un po' anche di Scola. Credo che la differenza con quello che è venuto dopo sia tutta qui. Non ho paura ad affermare che oggi in Italia ci sono molto più che cinque attori bravi, per tacere delle attrici (c'erano anche allora, ma lo star system era una cosa molto angusta). Anche i registi: ne abbiamo senz'altro all'altezza dei grandi degli anni Sessanta, se non altro perché sono seduti sulle loro spalle. Il problema è che questi bravi attori, ripresi da ottimi registi, molto spesso non hanno niente d'interessante da dire. Non c'è più Age, non c'è più Scarpelli, adesso non c'è più Scola. Dispiace? Sì, mica da oggi. È da 35 anni che non lavoravano più assieme. Nel frattempo altre due generazioni hanno provato a raccontarsi; il confronto è impietoso.

sabato 16 gennaio 2016

La satira del razzismo è comunque razzismo?

È probabile che nella settimana appena finita vi siate imbattuti in questa vignetta di Charlie Hebdo un po' - come dire - controversa:

Cosa sarebbe diventato il piccolo Aylan se fosse cresciuto?
PALPATORE DI CHIAPPE IN GERMANIA!

Ne hanno parlato Repubblica, il Fatto, il Giornale, e tanti altri che non ho voglia di andare a controllare; ne hanno parlato i vostri amici che l'anno scorso non indossavano la maglietta Je suis Charlie e insistevano dopo la strage della redazione a trovare discutibile l'approccio di Charlie alla satira - è davvero giusto prendere in giro qualsiasi cosa

Ne ha parlato chi invece continua a credere che la satira sia un diritto fondamentale - da difendere se necessario con le guardie armate e i finanziamenti di Stato - e che si sbigottiva che gli interlocutori non capissero la vignetta: ma come? Credete che sia una vignetta razzista? Guardate che è l'esatto contrario. È una vignetta antirazzista. Non prende in giro il povero Aylan - anche se lo disegna adulto e sbavante, le mani sporcaccione protese verso le natiche di una giovane - è una vignetta che si prende gioco del razzista benpensante! Quello che magari l'estate scorsa di fronte a un'immagine toccante aveva avuto un cedimento e si era commosso per lo straniero - purché bambino, purché morto - e alla prima notizia inquietante si è rimesso ad aver paura di tutti gli stranieri, molestatori in quanto stranieri. Ma davvero non capite? È così chiaro.

È così chiaro. 

D'altro canto, se fossi un razzista potrei anche ipotizzare che la vignetta prenda in giro l'antirazzista frignone che si commuove al primo straniero morto - accidenti, ma è geniale questa cosa. Un po' come Checco Zalone che fa ridere sia gli impiegati assenteisti sia i rottamatori renziani. Incredibile. Ma da quand'è che nei giornali di satira e nei film buffi si sono messi a spacciare messaggi ambigui?

Ho pensato di aiutare chi discute di queste cose su internet inaugurando una rubrica - ero incerto se chiamarla L'angolo di Capitan Ovvio, Chiedi a Lapalisse, o Non è mai troppo tardi. Ho scelto il titolo più rassicurante.

Sto prendendo in giro gli analfabeti che scrivono "Hei"
o sto facendo la parodia di chi li tratta con sufficienza?
Non è mai troppo tardi per scoprire che... tutta la satira è ambigua

Non solo i film di Checco Zalone: tutta la satira, politica o di costume. L'ambiguità non è un dato accessorio: è proprio il modo in cui funziona il dispositivo satirico.
Non succede soltanto in una vignetta di Charlie - tutte le vignette sono suscettibili di essere lette su almeno due livelli. Ecco un esempio piuttosto nobile:


Il New Yorker pubblicò questa copertina durante la campagna elettorale del 2008 - nella Sala Ovale, Barack Obama non ci era ancora entrato da presidente. L'illustrazione era un compendio di tutte le critiche più demenziali che i suoi avversari politici gli stavano lanciando: di essere antiamericano, musulmano, sostenitore dei terroristi e ammiratore di Bin Laden. Inoltre sopra il disegnino c'era la testata del "New Yorker", che ai lettori abituali dice "ironia sofisticata", il che nell'intenzione della redazione avrebbe dovuto rendere chiaro che non si trattava di un attacco scomposto a Barack Obama. Insomma, era così chiaro che non se la stavano prendendo con Obama.

Era talmente chiaro che per la prima volta molti repubblicani acquistarono il New Yorker. Perché sulla copertina c'era Obama vestito da musulmano che bruciava la bandiera americana nel camino, e sua moglie era conciata da pantera nera. 

Torniamo alla scorsa settimana. Se bazzicate facebook, forse in questi giorni siete venuti a conoscenza del fatto che Gasparri non riconosce Jim Morrison (al punto che ormai ne rivendica il diritto). Tale importante scoperta è dovuta alla circolazione di questo scambio. 

Bisogna dire che è il volto di Jim Morrison meno conosciuto, cioè son tutti buoni così.

Il meme del Jim Morrison barbuto è preso da una pagina facebook, Vergogna finiamola fate girare, che negli ultimi giorni è letteralmente esplosa, disseminando sui social network centinaia di immagini simili - foto di celebrità associate a slogan "gentisti" dal qualunquismo insostenibile. Si tratta di una parodia di immagini razziste che vengono effettivamente prodotte da anonimi, e che hanno una certa efficacia - se qualcuno sente la necessità di combatterle. 

Via Claudia Vago
E quindi come si combattono? Con l'inflazione - la disseminazione on line di immagini simili, ma false - cioè a dire il vero anche le immagini originali erano false, ma speculavano sulla dabbenaggine di chi le accettava come vere, mentre i memi di Vergogna finiamola... speculano sulla stessa dabbenaggine. Ehi, aspetta.

Che differenza c'è tra un messaggio stupido e razzista e la parodia di un messaggio stupido e razzista?

Nessuna.

Come nessuna? Ma il contesto, l'intenzione...

No.

Basta così per stasera, arrivederci alla prossima puntata di Non è mai troppo tardi, in cui scopriremo la legge di Poe (il poeta non c'entra nulla, purtroppo).

mercoledì 13 gennaio 2016

La grande truffa dei mutui (che nessuno ha capito)

La grande scommessa (The Big Short, Adam McKay, 2015)

A CHRISTIAN, FACCE L'ASPERGER! 
La crisi dei mutui subprime è semplicissima: nessuno immaginava che ci potesse essere una bolla nel mercato immobiliare, e così continuava a soffiarci dentro. La crisi dei mutui subprime è complicata: com'è possibile che nessuno si sia accorto di nulla; broker, banchieri, addetti al rating, giornalisti... Si poteva prevedere? Qualcuno in effetti l'aveva prevista. Ha scommesso contro di noi ed è diventato ricco - ma i soldi non danno la felicità, come si dice in questi casi.

Nel più grande film mai realizzato sui trucchi della finanza - che non è questo, ma più probabilmente The Wolf of Wall Street - ogni tanto Di Caprio ci guarda in camera e comincia a raccontarci uno dei suoi maneggi, per interrompersi subito: non avete capito niente, vero? Fa lo stesso, tanto voi siete qui per vedere il tiro al bersaglio coi nani, le feste al quaalude, il lancio d'aragoste contro i federali. Lasciate perdere la tecnica. Divertitevi.

Mi sa che stavolta non ce la pubblicano
Anche The Big Short vuole divertirci; ma ha la pretesa di spiegarci la tecnica. Con un approccio didattico che non è solo più ingenuo di quello di Scorsese, ma oltre a un certo limite è offensivo: alla quinta volta che ci provi con un esempio diverso, io spettatore magari non mi sarò ancora familiarizzato coi titoli tossici, ma senz'altro ho capito che qualcuno mi sta prendendo per uno scemo. Non escludo di esserlo, ma pensi che mi faccia piacere sentirmi trattato così? Il cuoco di fama internazionale (Bourdain) che mi fa la lezioncina riciclando il vecchio pesce nella nuova zuppa; Selena Gomez che mi spiega gli swap sintetici giocando a blackjack; la sceneggiatura sembra intestardirsi su alcuni dettagli tutto sommato non sono insormontabili - per abbandonarci poi, quando le cose si fanno complesse davvero.

È un po' lungo, ma non annoia, La grande scommessa (continua su +eventi!)
Nei suoi momenti migliori sembra uno spinoff televisivo del Lupo di Wall Street, come se si fossero detti ehi, qui da questa parte c'è materiale per una serie, proviamoci. È uno di quei film che ti servono a capire per contrasto quanto è grande Scorsese, e quante cose apparentemente semplici, così naturali quando c'è lui che guarda in macchina, non siano alla portata dei registi mortali. Non è che Adam McKay non ci provi, anzi forse il guaio è che ci prova troppo. Si prende dei rischi, gioca con quarta parete, con la voce fuori campo, coi salti di inquadratura dal mondo irreale della finanza a quello vero fatto di case invendute e barboni sotto i ponti. Tutto sembra gridare: non sono il solito regista di pilota tv. Io ho una visione.
 
Magari non è la più originale. Un po' confusa. Certo non cinica come quella di Scorsese. I miei eroi non bruciano i risparmi dei loro clienti in pillole e coca, anche a Las Vegas vanno a letto presto. Se si appartano con le lapdancer è solo per capire come gestiscono il loro eccesso di liquidità. Hanno tutti una famiglia o desiderano averla; si arricchiranno grazie alle falle del sistema, ma ogni tanto si sentono in colpa. È una visione un po' benpensante, ma forse è quella che ti può sbloccare il budget. Ci metti la critica sociale, ci metti un po' di valori rassicuranti, ma soprattutto ci metti Bale, Carell, Gosling e Pitt - chi ti potrà più dire niente? Certo, si poteva anche provare a dirigerli. Il film era già centrifugo di suo, forse andava evitata la sensazione di quelle orchestre all-star dove a turno i virtuosi fanno un assolo di dieci minuti. A Bale tocca l'Asperger di talento - ormai è un personaggio codificato, l'Arlecchino del Duemilaedieci: l'asociale stravagante che ha ragione ma non riesce a spiegare il perché. Brad Pitt si immobilizza saggiamente in una posa redfordiana e almeno non dà fastidio. Gosling, nei panni dell'unico vero rampante senza scrupoli, continua a prendersi in giro: è il terzo ruolo antiparodico in tre anni, come se il suo adorabile faccino cominciasse a pesargli. Carell sarebbe sorprendente se non ci avesse già sorpreso in Foxcatcher. Dovrebbe essere il vero perno drammatico del film, ma il copione non lo aiuta: s'incazza a casaccio, e si sorprende di tutto quello che gli succede, come se fino al giorno prima avesse diretto un hedge fund a Disneyland.

Il film va comunque visto, perché gli americani quando cercano di spiegarsi come funziona il loro mondo sono sempre interessanti. A volte ci riescono, a volte annaspano, ma ogni tentativo va incoraggiato. Certo, con un po' di cattiveria in più. Con qualche scrupolo in meno. Che film sarebbe stato. Ma non può farli tutti Scorsese. La grande scommessa è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10, 22:40), al Fiamma di Cuneo e al Multisala di Bra alle 21:15.

martedì 12 gennaio 2016

L'alieno che cadde a casa mia

Una volta questa internet era molto più semplice. Ogni tanto ci lasciava una persona famosa, e a tutti veniva voglia di scrivere due pensierini su quanto fosse stato importante per la propria vita. Molto spesso parlavamo più di noi che di lui, credo sia inevitabile. Non è cambiato particolarmente nulla, salvo che è tutto moltiplicato per mille, e questo rende i lutti on line ridondanti, fastidiosi. Me ne rendo conto. Ma sono un tizio all'antica e non me ne andrò da qui prima di aver scritto due pensierini su quanto è stato importante per me David Bowie. Mi scuso per il disturbo, ma nessuno vi trattiene.

Un'altra cosa inevitabile, è che anche stavolta la musica passerà in secondo piano. Lo chiameranno icona di stile e camaleonte, glorificheranno la sua capacità di aggiornare la sua immagine - tutto assolutamente vero, ma una volta ogni tanto si potrebbe anche segnalare che prima di ogni cosa Bowie è stato un musicista straordinario, un interprete originalissimo e un compositore dallo stile assolutamente peculiare - uno dei motivi per cui poteva permettersi di cambiare maschere e costumi era proprio il fatto di avere una personalità forte e immediatamente riconoscibile, qualsiasi cosa decidesse di fare.

All'inizio dei '70 stava rischiando di diventare semplicemente un cantante rock. The Man Who Sold the World era un disco robusto, giocava nello stesso campionato di Cream e Led Zeppelin, credo che si tratti del disco di Bowie preferito da Kurt Cobain. Toni Visconti in più occasioni ha dato l'impressione di volersi attribuire la paternità dei pezzi, che a suo dire uscivano soprattutto dalle jam session con Mick Ronson, mentre Bowie sembrava sprofondato nell'apatia e faticava a staccarsi dalla moglie appena sposata e a alzarsi dal divano per cantare qualcosa - non sembra già una scena dell'Uomo che cadde sulla terra? Bowie però ha sempre rivendicato la paternità delle canzoni del disco. Guardate i cambi di accordi, diceva. Solo io li scrivo così. Ecco, ogni tanto mi piacerebbe leggere - oltre al solito storytelling sul periodo glam, il periodo berlinese, la deriva degli anni '80, ecc. ecc. - un bel pezzo tecnico su Bowie musicista, perché su questa cosa degli accordi credo che avesse ragione. Solo lui scriveva canzoni pop o rock con certi passaggi, e questo ha continuato a farlo per tutta la sua carriera, indifferentemente dal genere che aveva deciso di mutuare o inventare.

Certo, se ti accosti a Bowie perché t'interessa il trasformista - e non c'è niente di male in questo, sia chiaro - probabilmente fai più caso ai continui cambi di registro: dalle ballate al glam al r'n'b alla disco (il lato B di Diamond Dogs!) al krautrock eccetera. Ma se hai orecchio per gli accordi ti rendi conto che c'è qualcosa di costante in tutta la sua carriera. Sotto la maschera spesso disorientante degli arrangiamenti c'è una dimensione armonica che rende Absolute Beginners o Heroes o Starman molto più simili di quanto vorrebbero sembrare. Non so più dove ho letto che a un certo punto Bowie era incerto se diventare l'Iggy Pop inglese o il nuovo Jacques Brel. Anche il lascito di Kurt Weill va ben oltre il ripescaggio di Moon of Alabama. Bowie era l'unica rockstar degli anni Settanta ad avere queste radici continentali. Te ne accorgi dall'enfasi di certi ritornelli fuori dal tempo, che incastonati in pezzi rock suonano caricaturali - prova a immaginare Sinatra che canta il refrain di Starman. Forse quello che suonava alieno, sotto il cerone argentato o iridescente, non erano che le progressioni armoniche di un passato neanche tanto lontano, ma ormai oltre l'orizzonte dei baby-boomers.

Io però sono cresciuto negli '80 - non è colpa mia. David Bowie faceva parte del paesaggio, molto più di tutti gli altri dinosauri rock pre-77: per esempio, in edicola c'era sempre la sua faccia. Rockstar lo metteva almeno su una copertina all'anno, che uscisse con un disco o no. Era un mondo musicale molto diverso: esisteva soltanto il presente. I video avevano ucciso le star della radio e alzato un argine invalicabile tra il mondo del passato e il nostro. Il nostro era un mondo a colori: canzoni e videoclip erano la stessa cosa, e Videomusic non trasmetteva pezzi anteriori al 1982. Credo che il video più antico fosse proprio China Girl (la versione censurata, ovvio). A metà anni Ottanta non avevo mai ascoltato gli Zeppelin e più di una canzone dei Pink Floyd; avevo una nozione vaghissima di Beatles e di Rolling Stones; Bowie era l'unico eroe del passato che riconoscevo al primo colpo. Soprattutto sapevo che dietro di lui c'era una storia lunga e complicata, che prima o poi qualcuno mi avrebbe raccontato. Nel frattempo però capivo che il passato era una terra straniera - e probabilmente più intrigante del presente: quel poco di Bowie che passava in tv (Heroes, Ashes to Ashes, Let's Dance, Look Back in Anger) era completamente diverso da tutto il resto. Suonava strano, o come si diceva allora, "poco commerciale".

Questa opinione di preadolescente scemo, Bowie ovviamente non la condivideva, come ho scoperto più tardi. Non è colpa mia, ma sembra proprio che io abbia conosciuto B. nel suo periodo peggiore. Lui nelle interviste parla malissimo del sé stesso anni '80 e dei brutti dischi che faceva. È un giudizio che riguarda senz'altro Never Let Me Down, ma non ho mai capito se lo estendesse anche alle colonne sonore di Absolute Beginners o Labyrinth o Tonight - per me quella roba era in effetti incredibile, distante mille miglia dai suoni di allora che mi sembravano falsi come la plastica. Quello che mi sorprendeva sempre di Bowie era il modo che aveva di incastrare strofe e ritornelli che sembravano non avere nulla in comune. Prendi Let's Dance. La strofa è puro Nile Rodgers, avrebbe potuto stare in un disco degli Chic di tre anni prima. Il ritornello se ne va dalle parti di Brel, con tutto l'annesso melodramma: because my love for you could break my heart in two. Poi si materializza dal nulla un coretto alla Twist and Shout, e quando stai per intonare Shake it up baby, ritornano gli Chic. Nel video intanto esplodeva una bomba atomica. Anche nel mio cervello. Ci sono altri pezzi di quegli anni che nessuno vi citerà tra i migliori di Bowie - Loving the Aliens, Underground, in cui succede qualcosa del genere. Avventure musicali di quattro minuti. Erano cose da classifica, ma mi sembravano esperimenti di un pazzo. Mi piacevano. David Bowie era la mia risposta preferita al paradosso dei viaggi nel tempo: se sono possibili, perché nessuno viene a visitarci dal futuro? E un viaggiatore del futuro catapultato negli anni '60, che altro avrebbe potuto desiderare di diventare se non una rockstar decadente? 

In seguito, come avevo previsto, qualcuno mi raccontò la storia per esteso. Conobbi i personaggi, Major Tom, Ziggy Stardust, il Duca Bianco e tutto il resto. Oggi la mia idea di Bowie si sovrappone con quella del quarantenne medio europeo che esprime il suo cordoglio su facebook. Ho naturalmente le mie idiosincrasie - preferisco il lato B di Diamond Dogs a quello di "Heroes" - ma non è che siano così interessanti. Il Bowie che vorrei salvare è l'alieno che precipitò nella mia infanzia, coi suoi accordi stranamente familiari ma diversi da quelli di chiunque altro. È stato davvero lui a insegnarmi a fare quel che mi pare, con la chitarra e sulla pagina, mescolando alto e basso, George Orwell e la disco? Non lo so. Di sicuro lui in quegli anni c'era. Tanti altri erano già scomparsi, o poco accessibili. Lui c'era, e non se n'è mai davvero andato - sempre diverso da tutti, uguale a sé stesso. L'idea che stavolta ci abbia lasciato davvero mi turba più di quanto non dovrebbe.

lunedì 11 gennaio 2016

Anche oggi tutti teologi

10 gennaio - San Gregorio di Nissa (335-395), teologo patentato

(Questo pezzo si legge tutto intero qui).

"Anche oggi c'è gente che, come quei famosi ateniesi, non trova di meglio da fare che discutere di argomenti inediti od originali. Braccia rubate al mercato o al cantiere che si improvvisano maestri di teologia: avanzi di schiavitù da prendere a mazzate, che d'un tratto ci filosofeggiano con solennità di cose incomprensibili.

Lo sapete di chi stiamo parlando: la città ne è piena. Le strade, i crocicchi, i fori, i parchi... venditori di tappeti, cambiavalute, friggitori ambulanti. Tu chiedi di scambiare una moneta, ti rispondono disquisendo sulla natura del Generato e dell'Ingenerato; vuoi sapere quanto costa una pagnotta, “Il Padre è il maggiore”, ti dicono, “e il figlio gli è soggetto”: domandi se ai bagni l'acqua è calda, e ti informano che il Figlio ha origine dal nulla...

padri cappadoci
Padri cappadoci. Nissa dovrebbe essere quello con la barba lunga e nera, ma è davvero facile confonderli.


Certe citazioni ormai galleggiano nel vuoto, non siamo nemmeno sicuri del libro da cui sarebbero ritagliate. Hanno maturato significati diversi da quelli previsti in partenza; diventano meme, parole di un linguaggio nuovo, incomprensibile ai non iniziati. Tra i miei amici di facebook non è infrequente rimproverarsi di parlare di astrofisica. Citiamo ovviamente la battuta di un regista frustrato, protagonista di un film di Nanni Moretti - no, non l'ultimo - neanche il terzultimo - forse il terzo? Lamentandosi della mania che hanno tutti di parlare di cinema senza mai aver studiato l'argomento, gridava: parlo di astrofisica io?

Molti anni prima dell'invenzione del cinema, e della stessa astrofisica, il problema era già avvertito dagli intellettuali. Non potendo citare Moretti, ripiegavano su San Gregorio vescovo di Nissa, che nel IV secolo scrisse in mezzo a un migliaio di pagine fitte di patristica l'esilarante bozzetto che ho tradotto sopra un po' liberamente. È un brano famoso in senso molto relativo: ci ho messo anni a rintracciarlo. Poi mi sono reso conto che lo cercavo nel volume di patristica sbagliato, perché tutti questi professori che si lamentano dell'incompetenza popolare... sbagliano quasi sempre a segnalare la fonte della citazione, attribuendola a un amico di famiglia di Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo. Anche lui vescovo in Cappadocia e padre della Chiesa, per cui non è così difficile confondersi.

È un errore illustre, condiviso dallo stesso Hegel; lui del resto non aveva perso tempo a sfogliare i padri cappadoci, ma si era fidato di Gibbon che nel suo best seller Declino e caduta dell'Impero Romano aveva a sua volta citato il Gregorio sbagliato, mutuando l'errore da un teologo dei suoi tempi, tale John Jortin che nelle note del suo volume aveva fatto confusione tra i due Gregori ed era morto prima di correggere le bozze. Che storia affascinante. Morale: non si è mai abbastanza competenti.

Va bene, ma di che stava parlando Gregorio esattamente? In quel frammento dell'orazione Sulla divinità del Figlio e dello Spirito Santo, 46esimo volume della Patrologia greca, il vescovo di Nissa si distrae per un attimo dal problema trinitario, e si volta a dare un'occhiata a quel che succede nella grande città: Costantinopoli. Quando mi imbattei per la prima volta nei due Gregori, a metà anni Novanta, in società si parlava più che altro di calcio e politica. Tutti ne erano esperti, tutti ritenevano di avere pareri interessanti, giuro, non è una frenesia nata con facebook: Zuckerberg ci ha fornito soltanto un impietosissimo specchio. A volte mi mancava l'aria e così frequentavo lezioni strane, ad esempio Storia del Cristianesimo Antico.

Scoprivo che secoli prima, gli abitanti di una lontana metropoli, dovendo pur trovare qualcosa su cui litigare in attesa dell'invenzione del calcio, si scannavano intorno alla teologia. Il dibattito sulla Trinità, e sulla generazione del Figlio, era uscito dai capitoli e dai sinodi e circolava sulle bocche di tutti, pizzaioli e rigattieri. Venivano alle mani spesso, e a volte ci scappava il morto. L'altro Gregorio - non quello di Nissa - fu quasi linciato nella sua stessa cappella privata, perché era stato ordinato vescovo niceno di Costantinopoli, in un periodo in cui in città andavano per la maggiore gli ariani. Questi ultimi credevano che il Padre avesse creato il Figlio in un secondo momento; i niceni invece credevano in un Figlio generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. I niceni avevano già vinto un Concilio nel 325, e col tempo avrebbero prevalso, massacrato gli ariani e distrutto i loro libri. Ma in quel periodo erano un po' in crisi: gli imperatori, dopo averli favoriti, se ne erano stancati e a volte sponsorizzavano apertamente gli avversari. Il bello di studiare queste cose, quando sei giovane, è che ti chiedono la stessa sospensione dell'incredulità di una saga fantasy - pensateci, si accapigliavano per stabilire se il Figlio fosse stato "creato" o "generato" dal padre. Un dibattito che oggi non interessa più nemmeno i cristiani. Già. Oggi parliamo d'altro. Ma, ecco, di che parliamo? (continua sul Post)

giovedì 7 gennaio 2016

No, il registro elettronico non vi impedisce di chiacchierare coi vostri figli

Il 7 gennaio è il giorno in cui arrivo a scuola con un pacco di compiti corretti durante le vacanze (sì, lavoro durante le vacanze. Non c’è altro modo). Fino all’anno scorso, dovevo verificare che gli studenti scrivessero il voto corretto sul loro diario, e poi firmare. Nei giorni successivi, avrei perso altro tempo prezioso - minuti di lezione pagati dalla collettività - per controllare che accanto a quel voto comparisse la firma dei genitori, possibilmente autentica (anche se scritta in alfabeti che non sempre conosco). Si tratta di una trafila lunga, che crea anche nelle classi più tranquille un momento di caos. Nizzoli, ma ti avevo davvero dato 6 più? Non era un 6 meno? Questa firma sembra quella di un bambino, ma mio zio non è che firmasse molto meglio. Nel frattempo Nizzoli si sta infilando una matita in naso perché gli do le spalle. E così via. Ho spesso avuto la sensazione che i veterani controllassero solo una volta ogni tanto: giustizia sommaria. Se il prezzo da pagare era un genitore infuriato che scopriva a febbraio i voti di novembre, amen.

Quest’anno però ho il registro elettronico. I voti li ho già messi da casa, perché il registro elettronico è a mia disposizione anche la notte di Natale, se mi va. I genitori possono controllare quando vogliono. Anche mai, se non vogliono. Quel che proprio non possono più fare è lamentarsi del fatto che non li teniamo al corrente.

Ecco, questo forse è il problema.

Se togli a un genitore la facoltà di lamentarsi, lui si sente a disagio - forse defraudato di una prerogativa? Sul Sole 24 Ore, Monica D’Ascenzo confessa che la comunicazione della password le ha fatto sentire un “fastidio”, che “si è trasformato velocemente in disagio” quando ha scoperto che nel registro, oltre alle assenze, “i genitori possono consultare quanto fatto in classe in ogni singola materia, i compiti assegnati e (orrore!) i voti del proprio figlio”.

Ho chiuso in fretta il tutto come se mi fosse capitato in mano il suo diario dei pensieri.
Ma che roba è? Posso in qualunque momento sapere cosa fa mio figlio prima ancora che lui pensi anche solo se raccontarmelo o meno. Che fine fanno le chiacchiere da cena: cosa avete fatto oggi? Com’è andata la giornata? Ti ha interrogato?

E quindi insomma niente. Speravo che per una volta la tecnologia mi avesse davvero semplificato la vita, ma sbagliavo. Ovvero, sì, mi avrebbe liberato da inutili passeggiate in mezzo all’aula per controllare decine di voti; da scenate di genitori che trovano voti diversi e firme false e altri spiacevoli affanni - ma se il prezzo da pagare sono “le chiacchiere da cena” di una mamma con un figliolo, non mi resta che tornare al cartaceo. Costa di più, prende più tempo, è più scomodo. Ma le chiacchiere da cene saranno salve.

Non si può evitare che tutti parlino di scuola. Tutti ci hanno passato più di dieci anni, quindi tutti hanno diritto a un'opinione. Ma nel caso dei genitori è troppo spesso modellata sulla loro esperienza, individuale, positiva o spiacevole. Se hanno avuto insegnanti sfaccendati, sono portati a pensare che tutti gli insegnanti lo siano. Se a tavola chiacchieravano amabilmente coi genitori di voti in classe, tendono a pensare che a tutti risultasse altrettanto piacevole, e formativo, questo tipo di chiacchiere.

Dall’altra parte c’è un insegnante che ha lavorato con migliaia di studenti, migliaia di genitori: che conosce tutte le falle del sistema, per esserci caduto a piè pari più volte. Lui vi dice che il registro elettronico è più comodo per tutti, ma in fondo che ne sa?

Dove è finita la possibilità di scelta del bambino di raccontare o meno se è stato interrogato o se la maestra ha fatto una verifica a sorpresa? Dove è finita la libertà di confessare a un genitore un’insufficienza o invece decidere di gestirla da solo magari studiando, recuperando la volta successiva e spuntando una sufficienza in pagella?
Cara genitrice, quella possibilità di scelta è ancora lì, non l’ha toccata nessuno. Se non vuole usare il registro elettronico, non lo usi. Chieda a suo figlio di scrivere i voti sul diario, e li controlli. Se con lei ha funzionato, non è affatto improbabile che funzioni anche a suo figlio. Se poi ogni tanto vuole dare una sbirciatina... nessuno la giudicherà.

E lei non giudichi me se invece di passare ore di lavoro a controllare firme, ne approfitto per fare lezione. Mi diverto di più.

mercoledì 6 gennaio 2016

Emiglio è ancora meglio?

Secondo me è andata così: a metà anni Novanta qualcuno alla Giochi Preziosi scrisse un numero sbagliato su un documento. Una virgola spostata, o uno zero in più. Cose che succedono.

Il risultato è che il signor Preziosi ha capannoni dismessi pieni di Robot Emiglio, e continua a comprare spazi pubblicitari sotto le feste per ricordarci che Emiglio è meglio. Lo stesso spot (non questo) da dieci anni. Lo stesso robot di plastica che andava ai tempi della Fiat Tipo. Stavano sostituendo i telefoni a gettone coi telefoni a schede magnetiche. Se siete passati per qualche negozio di giocattoli sotto le feste avrete visto uno dei simboli del lato oscuro del Natale - la piramide degli scatoloni di Robot Emiglio. Costa pure un sacco di soldi.

Voi però nel negozio ci andavate per cercare i Paw Patrol.

Non li ha promossi nessuno. Sono introvabili. Quando arrivate alla corsia giusta, tra l'oggettistica dell'orsetto Paddington e il merchandising di Peppa in offerta speciale da due anni, c'è il classico buco. Sono gli animaletti di Paw Patrol. Nessuno intendeva venderteli a Natale. Poi Cartoonito aveva un buco nel palinsesto e lo ha riempito con le repliche del simpatico cartone animato in cui i cuccioli forniscono servizi socialmente utili in cambio di crocchette.

E adesso Skye è introvabile.

Skye è la cucciola che pilota l'elicottero - è anche l'unica di cui si può desumere il sesso femminile (secondo me è femmina anche il dalmata pompiere, ma non è chiaro). Il lupetto poliziotto e il bulldog cantierista te li tirano dietro, ma Skye non si trova. Tutti i negozi di giocattoli di tre popolose province italiane. Amazon. Ebay. Niente. Santa Lucia non ce l'ha fatta, e ha passato la pratica a Babbo Natale. Babbo Natale ha chiesto alla Befana. La Befana ha proposto uno sconto sul robot Emiglio.

(E anche queste feste ce le siamo messe alle spalle. Sarà un grande 2016).

martedì 5 gennaio 2016

Nessuno ci odia più di Checco

Quo vado? (Gennaro Nunziante, 2015).

C'è un mondo là fuori. Può essere la giungla africana o il circolo polare, ma è sempre un mondo più civile. Laggiù, sapeste! non si suona il clacson appena il semaforo è verde. Non ci si fa svegliare dalla mamma a quarant'anni. Non si critica un film comico soltanto perché ha fatto più di venti milioni in meno di una settimana. Non lo si rimpalla tra destra e sinistra, non si approfitta dello spazio di una recensione per parlare di Renzi o della storia della commedia all'italiana. C'è un mondo là fuori, e avremmo tutti una gran voglia di andarci, anzi di esserci già! e invece restiamo qui. Nessuno sa perché. Forse è il prezzo delle ciliegie.

Quelle che alcuni non perdonano a Checco sono in sostanza le regole d'ingaggio della satira di costume. Certo, Checco proietta i nostri difetti rendendoli più tollerabili. Certo, si offre al pubblico più vasto possibile con un prodotto che ha almeno due livelli di lettura - un occhiolino a chi non sopporta più le auto in seconda fila, un cenno d'intesa a chi l'ha parcheggiata sul marciapiede del cinema. Come se questa doppiezza non fosse la formula della commedia all'italiana dai Soliti ignoti fino a Fantozzi e alle sue derive cinepanettonesche. Il fatto che si rimproveri a Zalone di fare bene il suo mestiere significa come minimo che non siamo più abituati a vedere qualcuno che quel mestiere sappia farlo. Che dovrebbe fare un comico, a parte farci ridere mentre suggerisce che come popolo siamo da rottamare? Pretendiamo qualcosa di più? Deve entrare in  politica, pure lui? E dopo saremo contenti?

Alcuni si premurano di informarci che Checco non è Totò, né Alberto Sordi - grazie, correvamo il rischio di confonderci - ma il confronto andrebbe fatto con quel che passa in convento negli anni Dieci. Checco continua a sembrare uno dei pochi che ha capito che l'Italia non è un giardino fiorito stuprato da consorterie di uomini cattivi, politici e imprenditori. No, l'Italia è quel che è perché gli italiani sono così. I politici - vedi Lino Banfi, retrocesso con affetto a caratterista - non sono che emanazioni di una civiltà che è da buttar via e rifondare da capo.

A un certo punto del film c'è un bambino razzista. (Continua su +eventi!) 

A un certo punto del film c'è un bambino razzista. I bambini di solito nei nostri film sono creature naturalmente buone, che dicono sempre la verità. Nel film di Checco no. Ci sono bambini educati (in Norvegia), che credono in qualsiasi Dio o anche in nessuno, e poi ci sono bambini razzisti. E sono proprio i tipici bambini italiani pettinati da calciatore, che giocano a pallone in piazza e non ti fanno entrare in squadra se non parli il loro dialetto. Veltroni non li vede, Checco sì. Checco vive nella mia Italia, Veltroni non so. Poi dite che è di destra. Un film in cui i cattivi sono i bambini pettinati da calciatori, e i buoni sono gli scienziati con la famiglia aperta. Un personaggio comico che continua a ribadire, film dopo film, che gli italiani non possono più vivere alle spalle dei genitori e dei figli; che devono cambiare: non perché lo impone il Politico cattivo o l'Euro assassino, ma perché oltre a essere necessario, sarà bello. A un comico così si perdona anche il fisiologico calo del secondo tempo (del resto il primo era partito a razzo), e il finale coi lacrimoni e i buoni sentimenti e l'Africa e la medicine.

Checco non sarà Sordi, ma il minimo che si possa dire è che si sta impegnando. A questo punto della favola Luca Medici e Gennaro Nunziante potrebbero riempire un'ora e mezza di pellicola di gag da quattro soldi, e invece insistono a cercare cose nuove, a cambiare situazioni e ambientazioni. Potrebbero restare anche loro nel casolare in campagna, e invece vanno al circolo polare a scherzare sul riscaldamento globale. Un esempio qualsiasi: non si ride quasi più dei gay. È un dettaglio, ma pensate a quanto era centrale la figura dei gay in Cado dalle nubi. Qualcun altro al suo posto avrebbe replicato la ricetta (per dire, sui gay di Cado dalle nubi hanno girato uno spinoff l'anno scorso senza Checco ma con Belén). Invece Medici e Nunziante, con un solo personaggio a disposizione hanno già fatto quattro film senza ripetersi. Villaggio e Salce con Fantozzi non ci sono riusciti.

Farei prima a scrivere i cinema in cui non proiettano Quo vado. La sala Lux di Busca, ad esempio (fanno Timbuktu), onm il cinema San Giacomo di Roburent dove c'è Star Wars. Invece al Cityplex di Alba (17:30, 19:30, 20:00, 21:30, 22:00), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (14:15, 15:20, 16:20, 17:30, 18:30, 20:20, 20:40, 21:00, 22:35, 22:45), al Multisala Impero di Bra (20:20, 22:30), alla Sala Borsi di Ceva (16:00, 18:00, 21:00), al Fiamma di Cuneo (15:30, 17:40, 20:30, 22:40), ai Portici di Fossano (18:30, 20:30, 22:30), al Bertola di Mondovì (18:00, 21:00), all'Italia di Saluzzo (20:00, 22:15), al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30) c'è Quo Vado. Tanto ci siete già andati

domenica 3 gennaio 2016

Il meglio del mio meglio, più o meno

(Grazie ancora per le vostre risposte al sondaggio, anche se ce n'è una che mi sta buttando un po' giù:



Devo dire che non me lo aspettavo, anche perché ho praticamente smesso di parlare di calcio e... boh, ma sul serio? Bisogna fare qualcosa. Non so cosa).

Nel frattempo ho deciso, molto vanitosamente, di pubblicare tutte le risposte che ho ricevuto sul "post del 2015 che ti ricordi meglio".. Avevo anche iniziato a linkarle, ma sono più di quattrocento e il sonno prevale. Butto tutto on line così alla carlona, credo che sarà lo spirito di questo 2016).


Un gioco che facevamo i primi anni: mi dici qual è il post del 2015 che ti ricordi meglio? Così, senza pensarci troppo: il primo che ti viene in mente.
recensioni (tutte)
Claudio Augusto: so che sono stato quasi l'unico, ma ho amato quello spunto e in generale ogni pezzo in cui appare Ognibene
renzi e salvini, febbraio
quelli dopo gli attentati di Parigi
Gara degli spunti, quello su David Bowie, che tristezza che non te l’abbiano preso
...impossibile senza andare a sbirciare
Quando Hollywood riscrive la Storia  [2013, 2014, 2015]
antisemita
parigi piu vicina di africa
buona scuola
Tutti i romanzi di agosto, pubblicane uno e compro il primo numero :)
post su gender e famiglia cristiana ( spero sia del 2015 ) [è del 2014]
Recensione del conto de li cunti (ma forse era il 2014)
recensione di Suburra (e tutte le altre)
Ho una pessima memoria
ops! encefalogramma piatto
non è di quest'anno ma l'ho letto quest'anno: la madonna di Loreto e la sua casetta volante
Nessuno, sei pedante.
uno in cui facevi i conti di quanto costano le scuole private allo stato (o erano 2? o erano nel 2014? boh) [erano tre]. 
nessuno
Senza ombra di dubbio: Vincenzo, così poco originale
boh
booo
Marinetti duce, ma ciò non implica che sia stato il mio preferito.
eh, boh
gara degli spunti: la roba con gesù che viaggia nel tempo. Almeno credo
non ricordo niente
quello dove insulti gli Ebrei [???? Un aiutino? Un saluto a tutti gli amici ebrei che ci seguono da casa]
boooo
???
Nessuno.
boh
Forse quelli sulla vocazione autoritaria dell'italicum
Islam non è la risposta
Erri De Luca
...
recensione di interstellar
dopo Parigi, a scuola
Gara di spunti
Sono troppi. No vabbe', questo qua allora :D
Uno sull'unità
forse un post su interstellar
non mi ricordo, mi scusi?
mha... bhe...
la gara degli spunti
boh
qualcosa sulla scuola
gara spunti
Devo mettere 2008 alla domanda prima perché non so rispondere a questa, ma direi circa 2006
L'ultimo! Ho la memoria corta
I procioni!
Quelli che non sono mai stati continuati, mannaggia a te
Direi la recensione cinematografica di Gone Girl, sperando che fosse del 2015
Preside e riforma scuola
Lo spunto sui Catari
figlia della generazione del telecomando, assimilo informazioni bulimicamente, quindi non saprei dire perché leggo, ma poi dimentico o incrocio i flussi, quindi andando a caso potrei confondere un post tuo con un articolo di Vice. Sono pessima, lo so.
Fiume
Assolto per non aver commesso un fatto interessante
Gara degli spunti
Vincitore gara spunti astronave etc.
I procioni
L’infinita lista di argomenti per scrivere il tuo libro. Ma alla fine lo scrivi?
Gara degli spunti
boh
PROCIONI!
il bambino ben vestito e nutrito
Oltre alla gara, tutti quelli sugli esteri (ok, mi hai sgamato)
la gara degli spunti (e spero ancora in gesù procione)
Quelli sulla riforma della scuola in generale
Marinetti Duce
il quart'ultimo
"C'è una sola cosa sicura nella vita, ed è brutta come Houellebecq"
Charlie è un martire
quello dopo gli attentati di parigi, sulla necessità di essere adulti quando si parla di guerra
recensione interstellar
Populismi complementari
Populismi complementari
discussione su contributi a scuola privata
Gara degli spunti
grillo non fa ridere
Questo
il pianeta dei procioni
Quello in cui riveli che la buona scuola di Renzi è in realtà un'invenzione dei procioni extraterrestri, e per questo hai deciso di votare M5S.
Quello
Alcuni degli spunti
ah ah ah... credo vivimuoriripeti, sempre che sia del 2015 ;-)
Non mi ricordo neanche come mi chiamo se non lo leggo sulla patente
Spunti
l'ultimo film dimenticabile di Woody Allen, uno bello sul terrorismo ma era partito da un santo, quello su san Paolo, quello su Bogdanovich
...
gara degli spunti
Sant'Ambrogio
San Dasio
Prof, è morta mia nonna di 104 anni e...
recensione star wars perché è la più recente
rece Il viaggio di Arlo
Il post a puntate sulla fenomenologia del renzismo e la bozza del romanzo sul tipo ibernato che vede le fasi di una civiltà su una navicella.
Populismi complementari
gesù crononauta
il commento a Houellebecq
Gli spunti sui Catari! Se la Grande Gara non conta la recensione de Il nome del figlio
Genova
Le rece cinematografiche
mah
Quello su Houllebecq
quello su Civati
recensione mia madre
uno degli spunti
Quello in cui fingevi di voler votare i cinque stelle
Gara degli spunti
i procioni
I populismi complementari
Pasolini doveva fare il prete.
Recensione Inside Up
I procioni!
Impero recalcitranti
Inside out
islamici che bloccano le gite
La gara degli spunti
Charlie è un martire e io l'ho tradito
Uno sulle province, ma non ricordo il titolo orda
Che sia Fronte o che sia Islam, purché magnam
Tre motivi per cui passo coi 5 stelle
renzi/italicum
Boh
Qualcuno su Renzo e grillo e prospettive varie
charlie hebdo
Il gender non esiste
?
L'Islam è un problema (non una soluzione)
Gara di spunti
Quello su star wars
Gara di spunti
Lo spunto dei procioni
renzi
gara degli spunti: perpendicolare
Il post che ha vinto la gara degli spunti
ciccio, mica siamo sposati! non ricordo nemmeno la data di nascita di mia moglie...
uno sulla CIGL che mi ha fatto cambiare idea sul sindacato
Grillo e.......
vari Islam
gara degli spunti:i catari
uno di quelli sulla "buona" scuola?
Vuoi più bene all'aritmetica o a Renzi
Quello in cui spacchi il culo a quel saputello renziano di Francesco Costa. L'argomento era la legge elettorale, mi pare.
il.primo pezzo tuo che ho letto; la recensione del film "cosa voglio di più?"
L?Isis è tra noi e non vuole che andiamo in gita.
guerra degli spunti
la finalissima degli spunti
Se è una guerra siate adulti, per favore.
Copernico
qualcosa sulla buona scuola
Renzi
Ti piaccio? Ma quanto ti piaccio?
No, la tua scuola privata non mi fa risparmiare
...................... :)
La recensione di star wars 7
sul conflitto in palestina
Gara degli spunti
i procioni
gender a scuola
L'Isis non vuole che andiamo in gita
quello del genitore che passa per pedofilo per controllare l'insegnamento del gender a scuola
possiam oconvivere con chi crede nel corano
La gara degli spunti
E se fare un partito al 5% fosse invece un'ottima idea?
La bulimia non consente selezione (non credo sia un post)
Quello sul film di Shyamalan
Pasoliniexploitation
Lucia nel cielo coi regali
"Buon compleanno!" "Eh, no! Ieri sai quanta gente ha compiuto gli anni in Kenya, e tu non hai detto niente?"
questo
I pezzi sulla Francia e Houllebecq
non possiamo non dirci renziani (mi pare)
il gender non esiste
gli imperi recalcitranti
La gara degli spunti
"L'isis è tra noi" (in realtà i primi che mi vengono in mente sono le recensioni di star wars e il viaggio di Arlo, ma anche Non andremo in pensione.. e "perché i cristiani non ammazzano..", ma che vuoi, sono tra i più recenti)
Tutti un po' piu' fanatici domani
L'ultimo che ho letto, che cazzo di domanda...
Come fanno le scuole private a fare risparmiare 6 miliardi allo stato.
I Procioni
Io renziano mio malgrado
i post sui santi
Tutti un po' più fanatici, domani (gennaio 2015)
uno di economia... dove purtroppo capisci poco e ti rifiuti di documentarti
Soffro di amnesia a breve termine.
quello sugli studenti musulmani. scuola, insomma.
Siamo in guerra, facciamo gli adulti (più o meno)
uno su grillo e m5s
critico musicale album beatles
abbaso grillo:)
Quello di Beckett non è del 2015, vero? Bhe, comunque, quello!
Quello su Corano / Bibbia
quello sul bimbo che non dorme
La gara degli spunti
Se è una guerra siate adulti
Quello con le donnine nude.
post elezioni regionali francesi
Non so
monnalisa
il racconto sui procioni
fenomenologia di renzi
La teoria 'gender 'a scuola
quello su woody allen
Erode e la strage degli innocenti
eclissi
la storia del tipo che si sveglia ogni 100 anni
Scuola privata
Charlie è un martire e io l'ho tradito
scuola privata
Il viaggio di Arlo
First We Take Torpignattara
Don bosco
Gara degli spunti
Don bosco
scuola e gender
No
Quello sul decalogo del gender nelle scuole
la recensione di un film che nin mi ricordo più
La tua recensione di Star Wars
4 pezzi in ordine cronologico inverso: Spero che Erri De Luca non sia un buffone - Guerra di religione nell'intervallo - Charlie è un martire, e io l'ho tradito - Soffia sulle candeline
Santa Lucia
recension di star wars (per forza)
Recensione The Martian
Gender e scuola
La recensione a Still Alice, perché a me ha fatto cagare

Altri pezzi