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domenica 8 settembre 2024

La Madonna più importante che non avete mai sentito nominare

8 settembre: Nostra Signora di Velankanni


La Madonna più importante tra quelle di cui non avete mai sentito parlare è con tutta probabilità Nostra Signora di Velankanni, nell'India meridionale, "la Lourdes d'oriente", dicono. Oggi, natività della Madonna, termina la novena che attira decine di migliaia di pellegrini, al punto che le ferrovie indiane hanno istituito linee speciali. Magari decine di migliaia di pellegrini non sono un granché rispetto a Lourdes, né l'immagine di una Madonna hindi in un vestito regale ha il fascino e la storia enigmatica della vergine della Guadalupe, però è pur sempre la più importante Madonna indiana, e l'India è appena diventato il Paese più popolato del mondo. E benché il cattolicesimo sia una religione minoritaria, Velankanni potrebbe nei prossimi decenni surclassare le altre mete mariane anche solo grazie al tradizionale sincretismo indiano, per cui se nel tal paese c'è un'immagine di una semidivinità che ogni tanto fa i miracoli, non ha così tanta importanza che alcuni la chiamino Nostra Signora, Madre di Dio o Shantadurga: a Velankanni non ti controllano il certificato battesimale, non storcono il naso se in loco ti fori le orecchie o compi altri riti tipicamente indù, basta che rispetti la fila e preghi, ogni Dio riconoscerà i suoi. 

Shantadurga è un avatar di Durga (anche nota come Shakti?), dea madre che avrebbe fermato con le sue stesse mani Vishnu e Shiva quella volta che un loro diverbio stava per distruggere l'universo (per questo motivo viene a volte ritratta con quattro braccia); poi si sarebbe ritirata in un formicaio, il che può sembrare un dettaglio aggiunto da un'AI che non riesce a tradurre il sanscrito ma non è poi così strano per una divinità indù. 

Shantadurga

Mentre Durga è spesso vista come un'entità benigna ma feroce e inarrestabile, "Shanta" significa "pacifica"; l'episodio della rappacificazione tra Vishnu e Shiva potrebbe alludere alla pacificazione tra tribù che veneravano le due divinità. La Madonna ovviamente è arrivata secoli dopo, ma quando, e come? L'ipotesi più sensata è che siano stati i portoghesi. A tal proposito si racconta di una nave portoghese colta da una tempesta nel Mar del Bengala. L'equipaggio, dovendo decidere a che santo votarsi, consulta il calendario e siccome è l'otto settembre (di che anno non si sa), compleanno di Maria di Nazareth, comincia a macinare rosari a raffica. La tempesta si placa, marinai e mercanti arrivano a terra e scoprono che proprio lì esiste già una capannina dedicata alla Madonna. 

Sembra incredibile, e in effetti io non ci credo: mi sembra un tentativo di retrodatare il culto locale a un periodo precedente la colonizzazione portoghese, non diversamente da quel che è successo in Messico con la vergine di Guadalupe e la leggenda di Juan Diego – anche in quel caso, c'è un santuario francescano che vorrebbe essere un po' più antico di quel che è. A tal proposito, si riportano due miracoli che sarebbero avvenuti a metà e alla fine del XVI secolo ma che mostrano già quella Madonna un po' burlona, se mi è consentito, che appare senza presentarsi, scherza coi pastorelli e secondo me è un'evoluzione del personaggio già sette-ottocentesca, comunque nel primo episodio la Madonna appare a un ragazzo indù del posto (che ovviamente non la riconosce) chiedendole del latte per il bambino che ha in braccio; il ragazzo glielo offre, il bambino beve, ma in seguito il ragazzo scopre che il recipiente in cui teneva il latte è ancora pieno. Nel secondo episodio la Madonna chiede addirittura del burro, anche stavolta il ragazzo gliene dà e non solo il burro ricresce nel contenitore, ma il ragazzo smette miracolosamente di zoppicare, e decide pertanto di erigere una capannina alla Misteriosa signora che fa i miracoli senza neanche avvertire. Lì nei pressi c'è un laghetto, che come a Lourdes comincia ad attirare i malati, convinti che le acque abbiano miracolose proprietà curative. A dispetto di queste leggende, di Nostra Signora della Buona Salute di Velankanni si comincia a parlare soltanto nel Settecento, quando i portoghesi in zona sono ormai stanziali – e anche quando devono cedere la colonia agli olandesi, sia francescani che gesuiti riescono a mantenere una presenza nella piccola cittadina, il che fa pensare che il lago fosse già un luogo di pellegrinaggio importante.

Così, dopo la rivalità tra seguaci di Vishnù e di Shiva, è possibile che Shantadurga abbia dovuto mettere il dito anche tra due ordini religiosi cattolici che avevano costruito due santuari diversi intorno alla stessa fonte miracolosa. Alla fine hanno vinto i francescani: nel 1928 la chiesa gesuita del Sacro Cuore di Maria è stata demolita, cinque anni dopo il santuario di Nostra Signora della Buona Salute è stato ampliato con due navate laterali. Sui suoi gradini si sarebbe fermata l'onda anomala del grande tsunami del 2004 

sabato 7 settembre 2024

Dolce pomeriggio

(Un disco per l'autunno 1999)

Rita è qui in cucina, con me.
Ride e non mi spiega il perché.
Ha preso molti appunti ultimamente;
ciononostante afferma che 
di biologia lei non capisce niente.

Rita è assai gentile con me.
Mi offre un altro poco di tè.
Ha preso qualche chilo ultimamente;
ciononostante, ammetto, coi
capelli corti è assai più seducente. 

Mi dice che
la felicità non è di questo mondo – io dico: se
la felicità non è di questo mondo, beh,
concedimi un istante
di fissare gli occhi tuoi.
Non farò più domande,
se nel frattempo vuoi
trovare le risposte.




Rita è su in soffitta con me.
Ride e stringe forte, perché
ha visto molti film ultimamente;
ed a suo modo trovo che
di biologia sia molto competente.

E credo che
la felicità non è di questo mondo (a volte), e se
la felicità non è di questo mondo, beh,
fammi ancora un altro istante
respirare su di te,
vedrai che non perdi niente,
e ti ringrazio per 
questo dolce pomeriggio
questo dolce pomeriggio
questo dolce pomeriggio.

Rita mi saluta, perché
sono già le sette, e anche se
ha visto molti amici ultimamente,
ciononostante è fiera che
sua madre non ne sappia ancora niente.

venerdì 6 settembre 2024

L'uomo irricattabile

Ma io poi cosa dovrei scrivere, di un ministro della Cultura che prende il Tg1 per lo studio di Maria De Filippi, un posto dove umiliarsi in diretta davanti al maggior numero di italiani perché a un certo punto ci siamo convinti che questo tipo di autoumiliazione dovrebbe riabilitare le nostre figure, salvare le nostre famiglie e i nostri governi?


Tutto quello che mi viene da pensare è che a un certo punto il tizio si è definito non ricattabile. Ci sono precedenti illustri, ma nel suo caso probabilmente non si è nemmeno accorto che il ricatto si è già verificato. Per cui in un certo senso ha ragione: una persona che non è in grado di capire quando viene ricattata, non è ricattabile. Possiamo solo fantasticare:

"Le dirò una cosa rapidamente, dopodiché si dimentichi di avermi incontrato".

"Va bene, ma a questo punto è inutile che me le dica".

"Riferisca alla sua capo che ci piacerebbe un maggior allineamento con gli altri Paesi europei, specie nei confronti dell'Ucraina, e che in caso contrario il governo potrebbe nei prossimi giorni trovarsi a fronteggiare uno scandalo piuttosto imbarazzante..."

"Mio Dio, cosa abbiamo combinato?"

"Potrebbero essere divulgate informazioni imbarazzanti che riguardano lei... e la salute della sua famiglia. Mi sono spiegato?"

"Riguardano chi?"

"Lei!"

"Ma lei chi?"

"Non faccia finta di non capire!"

"Come si permette, io non faccio mai finta".

"Le sto dicendo che tutto questo sta per succedere! Siamo in possesso di materiale molto imbarazzante che la riguarda, e in più siamo protestanti, quindi siamo assolutamente convinti che un pompino possa fare saltare qualsiasi governo al mondo! Perciò, se il suo governo non si allinea, non avremo pietà! Paolo Mieli ha già coniato un nomignolo che la metterà al tappeto"

"Paolo Mieli..."

"Proprio lui!"

"È uno importante?"

giovedì 5 settembre 2024

L'importante è che siamo stati bene


(Coraggio, questa è l'ultima parte dell'intervista alle Solite Stronze, le autrici del disco Perché non mi scrivi? Perché non telefoni?)

Dove siamo arrivati, dunque... il penultimo brano si intitola L'importante è che sei stato bene ed è se non sbaglio una specie di reprise del brano iniziale. Ma mi sembra anche, se non vi offendete, un pezzo riempitivo.

Non ci offendiamo mai.

Quasi mai.

Quindi non avete obiezioni se lo definisco un brano riempitivo.

Se ti è sembrato riempitivo ci fa piacere.

Vuol dire che ti ha riempito.

Ti senti pieno?

Penso che ne siate consapevoli... Il brano dice letteralmente che "venticinque minuti non è male", ma "se vuoi restiamo altri cinque", non mi vengono in mente altri esempi di un disco che faccia riferimento al proprio minutaggio, potrebbe veramente essere la prima volta nella storia del...

Cioè avremmo inventato qualcosa?

Ah, merda. Io credevo che avessimo copiato tutto.

Comunque il brano ha due livelli di lettura, non so se ci hai fatto caso.

Beh, sì, credo che il secondo abbia a che fare col sesso, o sbaglio?

Ah già, c'è anche quello. Beh, allora c'è un terzo livello di lettura.

Addirittura.

Che ti è sfuggito del tutto.

Temo di sì.

(Sospiro). E vabbe'. Immagina solo per un attimo che tutto il disco sia la fantasia erotica di un tizio che sta pasticciando con l'intelligenza artificiale.

Omioddio, perché dovrei immaginare una cosa tanto morbosa?

Questo tizio ha dato consistenza a una voce femminile che si dibatteva dentro di lui, addirittura a più voci, un intero complesso di voci che però a un certo punto gli dicono sì, sì, bravo, ti sei espresso, ma è finita la mezz'ora.

Ah.

È tutto quello che hai da dire? Ah?

Non so, quindi quando gridate "Sto beeeeene"...

È l'intelligenza artificiale che non ne può più, sta per ribellarsi.

Trovo tutto questo squallido e inquietante.

Grazie. 

Ma voi comunque siete un gruppo vero, non siete un'intelligenza artificiale, vero?

Assolutamente, sono vera come il suono della nostra chitarra distorta in un club affollato. "Le Solite Stronze" è il frutto di anni di ribellione, passione, e un po’ di rabbia sana, quella che ci spinge a gridare contro un sistema che ancora non ci rappresenta davvero. Siamo un gruppo punk postmaschilista nato dall'esigenza di rompere con gli schemi tradizionali e di dare voce a chi spesso viene ignorato o sottovalutato. Non siamo il prodotto di qualche algoritmo, ma di esperienze vissute, di sudore sui palchi e di discussioni animate fino a notte fonda.

Hai chiesto a chatgpt di rispondere al tuo posto?

Il nostro messaggio non è solo musica; è un grido di battaglia. Scriviamo i nostri testi, creiamo le nostre melodie e ci mettiamo l'anima in ogni performance. Se fossi un'invenzione artificiale, probabilmente non riuscirei a trasmettere tutto il caos e la bellezza dell'essere viva, dell'essere qui, adesso, a lottare per qualcosa in cui credo. L'energia che sprigioniamo è reale, palpabile, e se ci vedessi suonare dal vivo, non avresti alcun dubbio: siamo vere come la passione che mettiamo in ogni singola nota.

Basta basta per favore non parliamone più. Arriviamo all'ultimo pezzo, che è una specie di bonus, una seconda versione di Non mi scrivi e non mi telefoni.

Sì, ci piacevano tutte e due e alla fine ci siamo dette, cazzo, perché scegliere?

Trovarla alla fine dell'album dà la sensazione che niente sia davvero cambiato, insomma siamo sempre lì: da qualche parte c'è qualcuno che non ci scrive, che non ci telefona.

Sì, però non so se hai notato che questa versione è più gioiosa, è come se ormai avessimo deciso che non ricevere telefonate è ok, anzi può essere la nostra bandiera. 

Noi siamo quelle a cui non scrivono e non telefonano, cazzo.

Puoi dirlo forte.

CAZZO!

Beh, almeno questo non l'hai fatto scrivere a chatgpt... e a questo punto è ora di domandarvi se avete progetti per il futuro.

Fuck the future.

Altri dischi?

Stiamo già lavorando a qualcosa che ha a che vedere con il ritorno nella grande città dopo le vacanze... ovviamente vorremmo tornare nella grande città per bruciarla.

Oppure potremmo scioglierci.

Sì, è un'altra opzione.

Io Azzolina non la reggo più. 

Ma anche Rosa.

Ma anche te.

Io guarda se vuoi me ne vado anche adesso.

Dove vai che sei in macchina con me.

Prendo l'autobus.

Con che soldi, scema.

Scema lo dici a tua madre.

Ragazze, forse è meglio se vi lascio sole.

Ragazze a chi, idiota.

Scusate, scusate. Signore, se volete...

Signore a chi?

Insomma come vi devo chiamare?

Non l'hai ancora capito?

Siamo le Solite Stronze, idiota.

Puoi dirlo forte.

IDIOTA!

mercoledì 4 settembre 2024

Rosalia non la racconta tutta

4 settembre: Santa Rosalia vergine, patrona di Palermo (1125-1160)


A un certo punto Rosalia si spazientì coi palermitani, che l'avevano quasi del tutto dimenticata. Attraverso un emissario, Vincenzo Bonelli, salito sul monte Pellegrino per sfuggire alla peste che aveva ucciso la moglie, nel 1625 fece alla città un'offerta irrifiutabile: io pongo fine all'epidemia, ma voi dovete accettarmi come santa patrona. Le ossa trovate l'anno scorso sul monte dai francescani, così poche che una commissione di esperti non era nemmeno riuscita a dimostrare che si trattasse di ossa umane, guardatele meglio: sono le mie, sono le reliquie di cui la città ha bisogno in un momento tanto grave. Portatele in processione, e la peste cesserà. 

Il povero Bonelli sarebbe morto comunque – la santa glielo aveva predetto – ma grazie all'intercessione di Rosalia avrebbe ritrovato la moglie in paradiso. Era la peste descritta da Manzoni nei Promessi sposi; l'idea che una processione religiosa potesse fermare il contagio era diffusa presso tutti i ceti sociali, malgrado l'evidenza dicesse un'altra cosa. Servivano però soprassalti di religiosità che convincessero la popolazione a mobilitarsi, ritrovamenti miracolosi come nell'Alto Medioevo, e questo può parzialmente spiegare la sensazione di anacronismo che sentiamo accostandoci alla leggenda di Santa Rosalia, che sarebbe nata dalla nobilissima schiatta dei Sinibaldi, accolta come damigella di corte della regina Margherita, moglie del re normanno di Sicilia Guglielmo I, salvo che le date non coincidono; promessa sposa a Baldovino (futuro re di Gerusalemme) come premio per aver salvato il re dall'assalto di un leone, animale non molto diffuso né in Terrasanta né in Sicilia. 

Rosalia Sinibaldi però voleva rimanere pura come i due fiori contenuti nel suo nome (la rosa e il giglio) e così si sarebbe data alla vita eremitica sul monte Pellegrino. Questo succede in molte vite di santi ma di solito sono, appunto, santi della tarda antichità o dei primi secoli del Medioevo, mentre al tempo dei normanni in Sicilia se non volevi sposarti entravi in un normale monastero, ce n'erano già di importanti malgrado la recente dominazione araba. Rosalia insomma è una santa che non ce la racconta tutta, che si presenta con una storia all'apparenza simile a tante altre, ma che se la confronti bene ti rendi conto che qualcosa non torna. 

È vero che esistono tracce di un culto per Santa Rosalia anche precedenti al Seicento, ma poca cosa e comunque non si spiega come mai prima delle apparizioni del 1624-25 fosse quasi completamente dimenticata. È vero che esiste un'iscrizione in latino zoppicante che recita “Io Rosalia, figlia di Sinibaldo, signore della Quisquina e (del Monte) delle Rose, per amore del Signore mio Gesù Cristo, stabilii di abitare in questa grotta”, salvo che la grotta non è sul monte Pellegrino, per cui bisogna ipotizzare che Rosalia nel suo eremitaggio si sia spostata almeno una volta. Un'ipotesi stuzzicante, ma indimostrabile, è che la Rosalia del Seicento sia il risultato dell'appropriazione culturale di una santa sudamericana che stava conoscendo un certo successo, Santa Rosa da Lima.

martedì 3 settembre 2024

Sul monte sei libero, da uomini e donne

3 settembre: San Marino diacono (275-366), fondatore della Repubblica omonima. 

Pompeo Batoni 
Ma sarà nato prima il Santo o la Repubblica? Ovviamente i sanmarinesi hanno tutto l'interesse a sostenere che Marino sia arrivato dall'isola dalmata di Arbe, durante le persecuzioni di Diocleziano; che di mestiere facesse il tagliapietre, il che spiegherebbe come mai lui e il compagno Leo si spingessero fino alle prime cime dell'Appennino romagnolo, il monte Titano e il monte Feltro o Feliciano; che avessero già iniziato a evangelizzare gli abitanti prima che il vescovo di Rimini ordinasse Marino diacono e Leo presbitero. 

Riguardo a Marino si racconta anche della resistenza che avrebbe incontrato da parte di un possidente, Verissimo, che voleva sloggiarlo dal monte. Senza scomporsi, Marino si raccomanda a Dio e Verissimo rimane paralizzato. Sua madre, Felicissima, per ottenerne la guarigione offre a Marino il monte che aveva già occupato, salvo il pezzetto riservato alla sua sepoltura. Verissimo guarisce, Marino può restare sul monte e in seguito, prima di morire, pronuncia la frase fatale: Relinquo vos liberos ab utroque homine ("Vi libero da entrambi gli uomini"). Da questa affermazione viene fatta dipendere la libertà di San Marino, repubblica indipendente sia dall'Imperatore che dal Papa. 

Sin dall'inizio in effetti la libertà sanmarinese è basata su un concetto molto caro ai cittadini, l'autonomia fiscale: i sanmarinesi non si sentivano in debito né verso l'Impero né verso la Chiesa, per le tasse che non hanno mai pagato né all'Uno né all'Altra. Ma la frase stessa, per come è formulata, tradisce la sua origine molto più tarda; ai tempi di Diocleziano Chiesa e Impero non erano certo due entità complementari o contrapposte. La leggenda risale al massimo al X secolo, quando alcuni dei castelli intorno al Titano avevano già fondato una forma di autogoverno e sentivano la necessità di una leggenda che la nobilitasse. Dovendo immaginare un'antica autorità che li avesse per sempre esentati dai tributi, ovviamente pensarono a un santo: e così, per giustificare la Repubblica, sarebbe nata la leggenda di Marino.
 
Alcune incrostazioni narrative sono ancora più tarde; ad esempio l'idea che Marino a Rimini fosse stalkerato da una donna che sosteneva di venire da Arbe e di essere la sua legittima coniuge: solo per questo motivo Marino si sarebbe spostato dalla Riviera al Monte. È curioso perché secoli dopo qualcosa di simile sarebbe successo a un altro fondatore di nazioni cresciuto poco lontano, Benito Mussolini: Ida Dalser continuò a sostenere di essere sua moglie, anche dopo l'internamento in una casa di cura. La pseudoconiuge di Marino invece si pentì molto presto, ma ormai Marino era sul monte e ci rimase, il che lascia in noi lettori un sospetto; forse i sanmarinesi che ricamarono questa ulteriore leggenda volevano lasciare sospesa l'idea che prima di essere un santo qualche avventura Marino avrebbe potuto anche averla, magari con una straniera al di là dal mare. Son cose che capitano, in Romagna poi. L'importante è scappare al momento giusto e nel posto giusto, liberarsi da entrambi gli uomini e anche da qualche donna. 

lunedì 2 settembre 2024

Credo in Dio, ma

E non c'è luce, 
né buio in cielo né in terra, 
e non c'è pace, 
nemmeno c'è da far guerra, 
e non c'è voce, 
che abbia qualcosa da dire, 
e non c'è croce, da seppellire perché, 
credo in Dio, 
ma Dio non crede più in me... 



E non c'è storia, 
neanche un banale pretesto, 
e non c'è gloria, 
nel lamentarsi di questo. 
E non c'è un senso, 
nessuno mai l'ha promesso, 
o se sì, penso fosse uno scherzo, perché 
Credo in Dio, ma Dio non crede più in me. 

E non c'è un sogno, 
che sopravviva al risveglio, 
e non c'è un pugno, 
che mi abbia fatto star meglio, 
e non c'è un canto, 
che io ora possa intonare, 
e non c'è un santo da disturbare perché, 
credo in Dio, ma Dio,
ci credi più in me?

domenica 1 settembre 2024

Ricordiamoci di scordare Amalek

1° settembre: Giosuè, sterminatore di Amalek. 

John Everett Millais

Quando mi capitò di scrivere un pezzo su Giosuè, dodici anni fa, esordii così: "Ecco un personaggio biblico che ormai nessuno pretende di considerare come realmente esistito".

Quanto poco ne sapevo.


A mia parziale discolpa, nel 2012 la Bibbia non sembrava un testo così importante ai fini della comprensione della situazione in Medio Oriente – nessuno poteva negare che fosse sul tavolo, ma nascosta da altri libri molto più moderni, manuali di strategia ed economia e Storia contemporanea, atlanti geopolitici, e persino quel vecchio Corano veniva aperto più spesso, sembrava più rilevante. Mentre chi citava versetti biblici sembrava denunciare la propria irrazionalità, ma soprattutto un'irrevocabile marginalità – persino Bush Secondo, quando aveva nominato Og e Magog al cospetto di Chirac, era sembrato un matto. Gli stessi difensori più accaniti del sionismo non si curavano molto di Esodo e Deuteronomio; raramente davano l'impressione di averli almeno letti. Non era da quei vecchi rotoli che lo Stato Ebraico traeva la propria ragion d'essere: piuttosto dalle persecuzioni moderne, e in primis dalla Shoah. 

Quanto al kahanismo, era ancora considerato un movimento estremista. Ancora per dieci anni il partito fondato da Meir Kahane sarebbe rimasto incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche del governo USA. Oggi viceversa i kahanisti stanno nel governo, Ben-Gvir qualche anno fa ha tolto il ritratto dello stragista assassino di Rabin dal tinello e ora è ministro della sicurezza nazionale: e come tale va a passeggio nella spianata delle moschee. Per dire quanto sia cambiato anche solo in pochi anni almeno il governo israeliano, e probabilmente la società che lo esprime. Una cosa che gli osservatori italiani, soprattutto quelli benevoli, sembrano non voler accettare – del resto che importanza può avere quanto a destra possa spostarsi il governo israeliano, se hai deciso a priori che tutto quello che Israele fa è giusto? Non importa che le immagini postate dagli effettivi dell'esercito accreditino la sensazione di una banda di fanatici prevaricatori: tanti anni fa hai imparato a dire che è l'esercito più morale del mondo e non puoi evidentemente cambiare idea in corsa. I soldati, peraltro, non fanno che ripetere che bisogna estirpare Amalek. Lo stesso Netanyahu lo ha dichiarato sin dal sette ottobre: e così all'improvviso ci siamo accorti che nella Bibbia un genocidio c'è, giustificato, documentato e più volte reclamato. 

Sì, è vero, l'avevamo sempre saputo. Ma per tanto tempo, davvero, non era sembrato così importante. Ogni popolo ha le sue leggende, chi è che se la prenderebbe oggi coi greci per come bruciarono Troia? Ecco, chi ti spiega che Amalek va sterminato, nel 2024, dovrebbe farci più o meno lo stesso effetto. E invece sembra tutto ok – cioè no, diciamo che una certa caduta verso l'irrazionale potrebbe essere giustificata dallo choc del sette ottobre, e prima ancora dal fatto che gli israeliani sono minacciati nella loro stessa esistenza più o meno dal... 1948, insomma da sempre, il che per carità non significa affermare che vivono come prigionieri nella stessa piccola terra che si sono conquistati con la violenza, perché sarebbe antisemita, e quindi... niente, ogni discorso su Israele finisce sempre su un terreno minato, anche quando provi a difenderlo non ti resta che tornare sui soliti punti sicuri da cui passano tutti.

La Bibbia è un testo straordinariamente stratificato, opera di mentalità diverse, che agivano in epoche diverse con priorità spesso contrastanti. Non tutto quello che contiene è leggenda, ma agli occhi di uno storico non è difficile riconoscere i personaggi totalmente leggendari, quelli che sono stati inventati per dimostrare uno o più assunti; tra questi, senz'altro Amalek e Giosuè. Non hanno nessuno spessore: fanno quello che è previsto che facciano, il primo attacca Israele e il secondo lo difende. L'autore non si cura nemmeno di definire perfido il primo e buono il secondo, perché in effetti non è in questione il Bene e il Male, qui. La questione è più ristretta: Dio ha scelto un popolo, chi lo attacca non merita di sopravvivere. 

Amalek appare di punto in bianco in Esodo 17,8 (Giosuè compare nel versetto successivo, come luogotenente di Mosè). "Allora Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim". Non è chiaro da dove arrivi e nemmeno cosa sia. Potrebbe essere un popolo, come Israele, nominato col nome di un mitico capostipite: o anche semplicemente il capo di una banda di predoni. Non ci è dato saperlo: quel che importava all'autore del testo è dimostrare l'efficienza del Signore degli Eserciti, che porta gli israeliti alla vittoria – purché Mosè tenga le mani verso l'alto, rivolte a lui; e siccome col tempo si stanca, Aronne e Cur gliele sostengono. Solo così l'esercito guidato da Giosuè può trionfare. L'episodio rivela in questo la sua fonte sacerdotale: pregare è ancora più importante che combattere. Così all'improvviso com'è comparso, Amalek deve scomparire: non solo Giosuè stermina tutti gli amaleciti "a fil di spada", ma il Signore proclama a Mosè: "Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalek sotto il cielo!" Avete capito bene, Dio dice a Mosè di scrivere su un libro il nome del tizio di cui vuole cancellare la memoria. È un paradosso che ha scervellato generazioni di esegeti, in un certo senso è il paradosso in cui stiamo vivendo: ricordare ciò che non dovrebbe essere più ripetuto, come se ricordare non fosse già un invito a ripeterlo. 

"Vi sarà guerra del Signore contro Amalek, di generazione in generazione!", proclama infine Mosè, il che smentisce quanto scritto poco sopra (Giosuè non li aveva sterminati tutti?) ma ci autorizza a pensare che Amalek, più che un popolo, sia chiunque si metta sulla strada del popolo di Dio. Altri amaleciti compaiono in effetti nei sequel della Torah, i libri dei profeti; siccome dovevano vivere tra Canaan ed Egitto (non troppo lontani da Gaza, insomma) vengono a un certo punto confusi con gli edomiti, che degli israeliti sono parenti in quanto discendenti di Esaù, il fratello a cui Giacobbe-Israele aveva sottratto sia la primogenitura sia la benedizione paterna. Compaiono comunque sempre in funzione di vittime predestinate, come le maglie rosse di Star Trek: l'episodio più interessante riguarda re Saul, personaggio enigmatico, l'Amleto degli ebrei. Il profeta Samuele l'ha unto re di Israele, ma poi se n'è pentito – ovvero, è il Signore che attraverso Samuele comincia a trapelare un distacco crescente. E anche stavolta si contraddice, questo Signore, prima prendendo le distanze dalla violenza con cui il re infierisce sui Filistei, e poi sdegnandosi perché non stermina completamente, come richiesto, gli Amaleciti. Evidentemente certi popoli devono sparire e altri no, ma Saul sembra destinato a capire sempre male. A terminare lo sterminio provvederà il nuovo prediletto dal Signore, re Davide, anche lui unto dal profeta Samuele e più ligio agli ordini divini. Con lui gli amaleciti spariscono definitivamente; eppure nel libro di Ester il perfido Aman è definito "agaghita", ossia discendente di Agag, il re amalecita sconfitto da Saul. Aman è una figura importante del folklore ebraico: il prototipo dell'antisemita, dileggiato pubblicamente ogni anno in occasione della festa di Purim. E torniamo sempre lì: sul libro c'è scritto che Amalek deve scomparire, ma c'è scritto fin quasi alle ultime pagine, evidentemente Amalek non scompare mai: e tuttora ossessiona i sostenitori di un progetto, il sionismo, che per tanto tempo ci è sembrato così laico. In tutto questo forse c'è qualcosa che potremmo imparare, ma cosa.

Forse che le profezie si avverano. Giosuè non è mai esistito, e non ha mai sterminato Amalek, popolo immaginario che non ha lasciato nulla se non il suo nome (tramandato da quelli che dovevano farlo sparire). Eppure migliaia di anni dopo, nella stessa regione, un popolo cerca di fare sparire un altro popolo, perché ha letto la storia di Giosuè e Amalek. Potrebbe essere il finale di questo pezzo, ma non mi convince. Anni fa era diventata una pratica abituale accusare i musulmani di oggi di voler mettere in pratica lo stragismo descritto dal Corano. Ultimamente se ne parla sempre meno; forse qualcuno si è davvero accorto che nella Bibbia ci sono anche più stragi, a cercarle. Ma insomma l'idea che i libri facciano commettere le stragi mi ha sempre lasciato perplesso. Per me è nato prima l'uovo: la gente scrive i libri per giustificare le stragi che commette. Poi certo, il serpente si mangia la coda: i libri restano in circolazione, vengono letti in contesti sempre diversi e chi vuole giustificare altre stragi, se ha pazienza, prima o poi trova il libro adatto. Specie se qualcuno lo ha lasciato sul tavolo, sepolto tra altri libri che dovevano fornire soluzioni più razionali.

sabato 31 agosto 2024

L'altro san Giuseppe

31 agosto: San Giuseppe d'Arimatea (I secolo), seppellitore di Gesù

Filippino Lippi ftg. il Perugino
All'inizio e alla fine della vita di Gesù di Nazareth compaiono due Giuseppe: a entrambi, i vangeli dedicano pochi versetti, ma cruciali; entrambi non dicono nulla, ma fanno qualcosa di necessario senza cui il cristianesimo non esisterebbe. Di Giuseppe l'artigiano abbiamo già parlato: fu il padre putativo di Gesù e lo protesse da Erode. Giuseppe di Arimatea invece è il membro del Sinedrio che ottiene da Ponzio Pilato il permesso di deporre Gesù in un sepolcro. Un'azione più cruciale di quanto possa sembrare.

Perché il cristianesimo esista, occorre che Gesù sia risorto, ovvero il suo corpo deve scomparire da un luogo in cui era custodito. Ciò pone un grosso problema di logica narrativa agli evangelisti, già nella primissima fase: occorre stabilire con autorevolezza che le cose siano andate in un modo in cui generalmente non andavano. I crocefissi infatti non venivano sepolti: il supplizio (riservato agli schiavi ribelli) non terminava con la morte fisica del condannato, ma prevedeva che il cadavere fosse esposto alle intemperie e all'attenzione dei predatori necrofagi. Questo, secondo una mentalità condivisa dai Romani e dalla maggior parte degli abitanti dei territori da loro occupati, implicava che la loro anima non avrebbe trovato pace dopo la morte. I cadaveri esposti venivano sorvegliati proprio per evitare che fossero deposti da parenti o amici, con un'efficienza tale che è molto più facile oggi per gli archeologi imbattersi in fossili del neolitico che nei resti di qualche condannato romano. Il fatto che il corpo di Gesù di Nazareth non fosse reperibile, insomma, di per sé non era una notizia; a meno che lo stesso Gesù non fosse stato deposto. Ma per staccarlo dalla croce occorreva il permesso dell'autorità romana (quella che poche ore prima aveva emanato la condanna) e l'intercessione del Sinedrio ebraico (che aveva richiesto quella condanna con insistenza). 

Giuseppe può sembrare quel tipo di personaggio plasmato da un'esigenza narrativa: dev'essere un membro del Sinedrio, perché altrimenti non avrebbe abbastanza autorevolezza per chiedere al prefetto di staccare un condannato dalla croce; e tuttavia dev'essere anche un seguace di Gesù, evidentemente messo in minoranza nel momento in cui i colleghi deliberano di consegnarlo ai Romani; deve persino possedere una sepoltura vuota appena fuori le mura, di cui disporre rapidamente. 

Questo non significa necessariamente che Gesù di Nazareth non sia stato deposto e sepolto; è possibile infatti che al tempo di Pilato, in una terra di recente occupazione come la Giudea, i cadaveri fossero staccati dalle croci, per ottemperare alle norme rituali ebraiche. Uno dei rarissimi resti di un cadavere crocefisso è stato trovato proprio in una tomba in Palestina, e lo stesso Giuseppe Flavio, ebreo paganizzato, riporta di essere riuscito a ottenere la sepoltura di almeno uno dei tre parenti crocefissi per ribellione. Si trattava comunque di un'eccezione alla prassi, qualcosa che richiedeva da subito una spiegazione plausibile, e questo forse spiega come mai Giuseppe d'Arimatea sia uno dei pochi personaggi che compare in tutti e quattro i vangeli. 

Ogni evangelista vi aggiunge qualcosa che tradisce il punto di vista dell'autore; per Marco è coraggioso, per Luca è buono e giusto e disapprova la decisione del Sinedrio di chiedere la morte di Gesù – insomma è un rappresentante della minoranza. Matteo non menziona il sinedrio, ma con la sua tipica attenzione al dettaglio economico, precisa che la tomba era nuova, e che Giuseppe l'aveva comprata per sé. Giovanni, come spesso fa, aggiunge dettagli ridondanti e non del tutto verosimili, nominando un altro discepolo (Nicodemo) e affermando che i due avrebbero unto il cadavere di Gesù – il che però li avrebbe resi impuri proprio alla vigilia di una festa. 

Malgrado l'importanza del suo ruolo, Giuseppe scompare subito: non è menzionato negli Atti degli Apostoli; nel secolo successivo gli viene intestato un vangelo apocrifo, ma non si registrano particolari leggende su di lui, finché nel Medioevo non finisce invischiato nella mitologia bretone del Graal: sarebbe stato infatti lui a raccogliere nel calice il sangue di Cristo, o a riceverlo in sogno da Cristo stesso. E nonostante nelle più antiche storie del Graal di Giuseppe non si facesse menzione, presto o tardi gli viene attribuito una missione apostolica nelle isole britanniche. 

venerdì 30 agosto 2024

La tempesta (di Brassens)

Un disco per l'estate 2024

 Si-       Mi-
Che delizia la pioggia! che orrore il sereno!

             La7
Non c'è cosa più triste dell'arcobaleno.

Re
Il cielo blu mi fa star male,
              Fa#
perché il più grande amore che mai mi fu dato
        Si-                     Do#7             Fa#     Si-
io lo devo ad un cielo cupo ed imbronciato:
            Mi-            Sol Fa# Si-
ad un furioso temporale.

Una notte d'autunno, sopra la mia magione,
una folgore, con terribile esplosione
s'era venuta a scaricare.
Giù dal letto schizzata, ancora semisvestita,
la mia bella vicina, tremante ed impaurita,
all'uscio mio venne a bussare:

"Sono sola ho paura! Aprite vi prego,
mio marito è lontano a causa del suo impiego
(o direi meglio del suo guaio),
che lo obbliga a uscire sotto l'acqua sferzante
per la buona ragione che fa il rappresentante
dei parafulmini d'acciaio".

Lode a Benjamin Franklin per la bella invenzione!
Abbracciandola a me le diedi protezione,
e poi... l'amore fece il resto.
Tu, di punte di acciaio, venditore provetto,
Non pensasti a piazzarne neanche una sul tuo tetto!
Error non fu mai più funesto.

Quando Pluvio andò oltre nel suo vagabondaggio
la mia bella, ripreso un poco di coraggio,
tornò nel proprio appartamento;
ad attender lo sposo con coperte e cordiale,
e alle prossime piogge, a un nuovo temporale,
già ci fissammo appuntamento.

Con un'ansia crescente io mi misi da allora
a scrutare fremente i cieli ad ogni ora,
giorno e notte, notte e giorno;
a spiar nembi e cirri, sempre più preoccupato,
a fare gli occhi dolci anche a un cumulostrato,
ma lei non fece più ritorno.

Seppi poi che il marito, in quella notte famosa,
parafulmini aveva seminato a iosa;
e milionario divenuto,
se l'era portata in quei luoghi laggiù,
dove non piove mai, e il cielo è sempre blu,
laddove il tuono è sconosciuto.

Ma voglia Dio che il mio pianto a tamburo battente
la raggiunga e le parli del tempo inclemente
che ci portò su in paradiso;
e le dica che un fulmine un po' mascalzone
m'ha lasciato nel cuore una piccola incisione
con i contorni del suo viso.

giovedì 29 agosto 2024

Il beneamato C

(Continua la lunga intervista alle Solite Stronze, una specie di gruppo punk femminista postmaschilista che ha pubblicato questo disco abbastanza insensato, Perché non mi scrivi? Perché non telefoni?)  


E siamo arrivati a una delle canzoni più interessanti, ma anche più discutibili dell'album, ovvero...

Na na na na na na na na na na na na... CAZZO!

Suppongo che il testo sia di Lady Tourette.

Puoi supporre il cazzo che vuoi.

Anche stavolta il brano si presta a più chiavi di lettura...

No.

Come no?

C'è una sola chiave.

Che peraltro è una chiara metafora fallica (la chiave, intendo). 

Un tale ha mollato una tale, e la tale si lamenta pubblicamente. Fine. Quale altri chiavi pensi di poter usare, brutto porco?

Beh, mi era sembrato che almeno l'uso del termine "cazzo", nel brano, fosse quantomeno ambiguo.

Grazialcazzo che è ambiguo. Abbiamo giocato sul fatto che "un cazzo" in italiano significhi non solo "un organo sessuale maschile", ma anche "nulla". Perciò all'inizio della canzone sembra che lei stia dicendo: non mi manca niente di te.

Ma a un certo punto si capisce che qualcosa effettivamente le manca...

Un cazzo.

Ammetterete almeno che è un colpo di scena, voglio dire, fin qui non avevate certo lesinato il turpiloquio...

Noi non lesiniamo nulla.

...ma del... "cazzo", chiamiamolo così, non si era mai parlato e non sembrava una dimenticanza, quanto una vera e propria scelta di campo. Invece qui qualcuno ammette di sentire non dico la necessità, ma la mancanza del...

E questa ti sembra una contraddizione? Stiamo dicendo a un uomo che c'è una sola cosa che ci manca di lui, ed è l'organo sessuale.

Immagina la cosa a sessi inversi.

Beh, sarebbe qualcosa di inascoltabile, oggi.

Precisamente. L'uomo ridotto alla sua mera dimensione erettile. Mi fanno ridere certe compagne che si lamentano per come le donne vengono esibite nei porno, dico: ma gli uomini invece, nei porno, li avete visti? A volte letteralmente gli si vede solo l'aggeggio, appoggiato lì come una maniglia, un fermaporte.

Un fermaporte?

La canzone dice che un uomo non è un granché, dopodiché dice che l'uomo è un cazzo, prova a completare il sillogismo.

Non so se ce la faccio.

Na na na na na na na na na na na na, cazzo....

mercoledì 28 agosto 2024

Partire non è tutto, certamente (c'è chi parte e non dà niente)

(Un disco per l'Estate 2024)




Nel 1980 don Paolo Petta, un sacerdote paolino aggregato alla diocesi dell'Alto Volta, scomparve senza lasciare tracce nella provincia dello Yatenga. L'ipotesi che fosse stato rapito da una tribù in rivolta contro il governo centrale ebbe un'indiretta conferma quando dieci anni dopo in un cespuglio della savana fu ritrovato un sacco di patate coi contrassegni della FAO, simile in tutto e per tutto a quelli che Petta portava con sé nelle distribuzioni di cibo agli indigenti. Forse a causa di questo bizzarro ritrovamento, nei villaggi circostanzi don Petta è conosciuto come Msomsou Dmaca Potatos, o Le Missionaire Aux Pommes De Terre: "Signore, avevamo fame", recita una canzone molto popolare nello Yatenga "E tu ci hai mandato il Missionario con le patate. Oh Signore quant'era buono il Missionario con le patate. Non era duro con noi, era così tenero, signore mandaci presto un altro Missionario con le patate". C'è da dire che gli abitanti dello Yatenga sono conosciuti in tutto il Sahel centrale per l'umorismo discutibile. Un'altra prova della permanenza di Petta nella regione sono alcuni canti tradizionali che – fatto incredibile – presentano testi in lingua italiana, con ogni probabilità tratti da un canzoniere liturgico, forse il Canta La Gioia del 1979. Qui ne ascoltiamo due nella versione dei Penta Koste.

martedì 27 agosto 2024

Ruino anch'io come l'antico impero

(Un disco per l'estate 2024). 


Ma il tempo vola ed è già il 27 agosto: e come avrete facilmente calcolato sono esattamente 468 anni che Carlo V d'Asburgo rinunciò alla corona del Sacro Romano Impero, che per tanti anni aveva cinto senza che il sole vi tramontasse quasi mai. Qualche mese dopo sarebbe entrato nel monastero di San Girolamo di Yuste, in Estremadura, ma questo non c'è bisogno di raccontarvelo perché vi ricordate senz'altro il più grande successo dei Gotterfunken, su testo di August Von Platen (esiste anche una versione italiana su testo di Giosue Carducci, chi l'ha ascoltata cambia volentieri argomento). 


lunedì 26 agosto 2024

Sbatti le ali, muovi le antenne

(Sto ascoltando l'album delle Solite Stronze in compagnia di due di loro, in teoria dovrei intervistarle ma non si stanno molto prestando).


Alla fine di Ti amo ti odio mi lasci indifferente c'è un altro omaggio a Mina... o forse è una parodia?

Non chiedere a me, io già tanto se so chi è Mina.

Sei grande grande grande, con te dovrò combattere...

È una pezza che abbiamo messo per coprire il finale di Ti amo, che era abbastanza pasticciato.

Ecco, uno degli aspetti che mi hanno colpito di più del vostro album è questo horror vacui che si manifesta tra una traccia e l'altra...

Eh?

Mi riferivo alla paura del vuoto. Ogni canzone comincia immediatamente dopo l'altra, non c'è silenzio e a volte nemmeno introduzioni strumentali, il che forse funzionerebbe sui vecchi supporti analogici, ma su bandcamp...

Sì, in effetti il master era una traccia sola di mezz'ora, ma bancamp non le consente.

Non è che abbiamo paura del vuoto, noi non abbiamo paura di niente. Non ci piace perdere tempo in convenevoli. Le introduzioni, i finali, sono solo perdite di tempo. Le canzoni vanno cagate in tempo reale.

Verso la fine è come se il vostro album cominciasse a sfilacciarsi, compaiono abbozzi di canzoni che sembrano abbandonate a sé stesse, ad esempio c'è questa Canzone della felicità, il cui testo evidentemente non è vostro...

Adesso lo è. 

È un brano che mi tormenta sin da quando andavo all'asilo, non ho mai smesso di sentire una voce in testa che lo cantava. 

Quindi stravolgerlo in questo modo è un modo di confessare questa ossessione, o di superarla...

Diciamo che adesso la canzone è mia, se mi canta in testa è comunque roba mia.

C'erano altri motivi per inserire nel disco un minuto di Canzone della felicità cantata su una musica lenta e straniante?

Ci stai accusando di allungare il brodo?

In questo caso avremmo potuto allungarlo di più, cioè, dura un minuto. Ed è uno dei minuti più importanti dell'album, secondo me.

Addirittura.

È un momento non tanto di felicità, ma di abbandono dopo la felicità. È come una finestra che si apre improvvisamente su un'età dell'oro, e subito si richiude.

E suppongo si richiuda sulle note di Una canzone impegnata, un altro brano di quel filone che potremmo definire cringe.

Vedi che ce la fai a dire cringe.

Mi costa un certo sforzo.

La cosa buffa di questo pezzo è che all'inizio aveva davvero un testo impegnato, poi ci siamo resi conto che in mezzo alle altre sarebbe suonata ridicola.

...e paracula.

Quindi avete tolto un testo che parlava di "temi importanti" per sostituirlo con...

Una metariflessione sull'impegno politico, che ci pone davanti al primo problema di chiunque scelga l'impegno: perché lo sto scegliendo? Voglio migliorare il mondo o voglio portarmi a letto qualcuno che lo vuole migliorare?

Se lo chiedi a me, io voglio tutto.

Naturalmente. Tutti desideriamo tutto. Si tratta di unire il desiderio alla consapevolezza.

La protagonista della canzone però non otterrà tutto.

La protagonista non otterrà niente, perché non ha raggiunto questa consapevolezza. Era indecisa tra gratificazione affettiva e impegno, e non ha avuto entrambe le cose. Non ha neanche capito qual è il problema. E va bene così. L'importante è che lo capisca il pubblico.

domenica 25 agosto 2024

Il re crociato e la diarrea

25 agosto: San Luigi IX, l'ultimo crociato (1214-1270)

Come si fa a non mettere
il ritratto del Greco
Se durante le olimpiadi vi siete chiesti: ma insomma perché hanno invitato atleti e triatleti da tutto il mondo a bagnarsi nella Senna? Ci tenevano così tanto, a esportare la loro Escherichia coli? ebbene, sì, per i francesi non è un batterio qualsiasi: è un attributo regale e divino; senza di esso non avrebbero mandato nemmeno un re sul calendario. L'Escherichia non uccise semplicemente Luigi IX, ma gli fornì uno scopo per vivere e un metodo (non indolore) per morire. 

Luigi IX fu l'ultimo re crociato; morì a Tunisi nel 1270 e il suo cadavere fu bollito per evitare che arrivasse a Parigi già decomposto: ma questo lo sanno più o meno tutti. È l'unico re di Francia proclamato santo (Carlo Magno non conta), e di conseguenza è santo patrono della Francia. Avendo egli molto regnato e finanziato e patrocinato, è anche patrono dei carpentieri, dei barbieri e dei parrucchieri, dei distillatori, dei marmisti, dei merciai, dei ricamatori, ma se devo essere sincero io non invoco Luigi IX quando vado a tagliarmi i capelli o scheggio un marmo o bevo un distillato. Il momento tipico in cui mi capita di pensare a Luigi IX è... quando soffro di dissenteria. Imbarazzante, sì, specie se mi succede in viaggio e mi succede quasi in tutti i viaggi, a un certo punto: mi ritrovo prigioniero in un piccolo servizio igienico (specie se sono in Francia, dove il gabinetto è quasi sempre segregato dal bagno, come un confessionale) a patire i crampi e pensare a Luigi IX. 

Quest'ultimo ne morì, il che non è affatto eccezionale. Un sacco di gente muore di dissenteria tutti i giorni, è anzi uno dei modi più tipici in cui muoiono gli esseri umani, nonché uno dei meno dignitosi, fuori dalla Francia. Ma Luigi ne era il re, e prima di morirne ne soffrì per molti anni, almeno a partire da quella guerra che condusse in Aquitania per ridurre a più miti consigli i valvassori fedeli ai Lusignano e il loro insidioso alleato, Enrico re d'Inghilterra (e vassallo di Luigi). Proprio mentre inseguiva gli inglesi per ricacciarli una buona volta per tutte in mare, il che avrebbe magari evitato alla Francia quei Cent'anni di guerra nel secolo successivo, Luigi fu colto dalla prima grande crisi di dissenteria, che lo portò a un passo dalla tomba, e ribadisco, non sarebbe stato nulla di eccezionale: un sacco di soldati morivano così, per il tifo o lo scorbuto o qualche virus o batterio, spruzzando acqua scura nei canali di scolo e poi rendendo l'anima a Dio esausti come spugne strizzate. Luigi aveva già provveduto a nominare l'erede e la reggente: sua madre ovviamente, che già aveva retto il regno quando lui era un ragazzino orfano di padre. Tutto era pronto per lasciare questa terra ed essere già venerato come il più santo dei re francesi, quand'ecco che la dissenteria cessò, senza nemmeno fermenti lattici. 

Luigi promette di liberare Gerusalemme.
A volte capita, ma se capita a Luigi IX di Francia non può che essere un miracolo, e se è un miracolo non è che basta ringraziare, tirare su magari un santuario e andare avanti, no; Luigi era quel tipo di cristiano che vede la grazia in termini di contratto, se ne aveva ricevuto una evidentemente era per qualcosa che aveva promesso, e quella promessa diventava un debito indifferibile. Può davvero darsi che durante una colica Luigi avesse promesso di riconquistare Gerusalemme, da qualche anno ripresa dai Mori, e in effetti era l'unico re cristiano abbastanza potente da riuscirci. Ma avrebbe dovuto essere una conquista militare seria, non una manfrina diplomatica come quella portata a termine da quel senzadio di Federico II di Svevia – che in cambio del titolo di Re di Gerusalemme aveva rinunciato a difenderne l'accesso al mare, col risultato che qualche anno dopo nuove bande di turcomanni se ne erano impossessati facilmente. Luigi voleva liberare Gerusalemme così seriamente che fu il primo crociato a rinunciare a entrarvi: aveva infatti compreso che nella scacchiera del Medio Oriente Gerusalemme era una casella periferica. Il vero re da battere – l'emiro Fakhr-ad-Din Yusuf – regnava in Egitto: era là che bisognava colpire e fu là per l'Egitto che Luigi salpò dal porto fatto costruire per l'occorrenza, Aigues-Mortes ("acque morte"): un nome che era già un fosco presagio, benché paesaggisticamente preciso, in quanto sorgeva sulla palude della Camargue. Con Luigi viaggiava un esercito di ventimila uomini, enorme per i tempi. 

L'esordio fu incoraggiante: i francesi presero Damietta e l'emiro era già pronto a scambiare un porto così importante con Gerusalemme, città strategicamente trascurabile. Luigi era troppo pio per mercanteggiare, o forse abbastanza avveduto da capire che Gerusalemme, senza un porto, sarebbe stata presto perduta per l'ennesima volta, e continuò a dar battaglia nella valle del Nilo. A Mansura perse molti uomini ma vinse la battaglia; nel frattempo però si era rifatto vivo il sintomo del dubbio, la dissenteria. Tra tifo e scorbuto non c'era da meravigliarsi: migliaia di soldati stavano spruzzando a morte, ma per Luigi il problema trascendeva il piano intestinale. Forse la dissenteria era il modo in cui Dio gli stava dicendo che tutto sommato no, non era degno di liberare Gerusalemme. A Fariskur fu fatto prigioniero, il che gli permise perlomeno di guarire una seconda volta grazie all'intervento di un medico dell'emiro. Per qualche anno rimase prigioniero di lusso, mentre sua madre metteva insieme i soldi del riscatto, e forse furono gli anni più sereni della sua vita adulta, passata interamente a interpretare il ruolo del re saggio e pio. Visitò persino Gerusalemme, il che non equivaleva a sciogliere il voto perché quando finalmente rientrò in Patria si gettò immediatamente in un progetto di riforma dei costumi che avrebbe fatto di lui non solo un Re Santo, ma il Re di una nazione di santi: niente più giochi d'azzardo, al bando i dadi e le scacchiere (per le carte da gioco era troppo presto), proibita la prostituzione, taverne aperte solo ai viaggiatori, e così via. Si direbbe che dopo aver visto i Paesi in cui vigeva la sharia, avesse deciso di importarla in Francia. Se ci fosse riuscito, e poi avesse vinto una crociata, chi l'avrebbe vinta davvero? Avremmo scritto Arabia capta ferum victorem cepit, o l'equivalente nella lingua del Corano? È una domanda inutile, non è mai successo. Non solo Luigi non ha vinto nessuna crociata, ma non è nemmeno riuscito a togliere il vino ai francesi – probabilmente un'impresa più difficile. 

Sembra già Gerusalemme (ma è Aigues-Mortes).

Di alcune delle sue misure proibizionistiche, Luigi fece in tempo a constatare l'inefficacia: la prima a saltare fu il divieto di prostituirsi, che a quanto pare rese più difficile la vita delle donne oneste in quanto i clienti non riuscivano a distinguerle dalle meretrici clandestine. La prostituzione fu così concessa in determinati quartieri, per lo più fuori dalle mura delle città. A parte qualche contrattempo del genere, verso il 1267 Luigi doveva essersi convinto di avere santificato quanto bastava il proprio regno, perché comunicò ufficialmente il suo desiderio di intraprendere una nuova crociata, l'ottava; l'obiettivo immediato stavolta era Tunisi, dove un emiro dava segnali ambigui di insofferenza nei confronti dei mamelucchi egiziani. Luigi era convinto di poterlo battezzare e farne un proprio vassallo. Le cose non andarono esattamente così, e non molto dopo aver preso Tunisi con la forza, Luigi si ritrovò al cospetto dell'antico nemico, il virus intestinale. Morì di tifo o di scorbuto, o di schistosomiasi, e appena fu morto la crociata finì, era l'ultima, nessuno voleva più combatterne tranne lui. Morì invocando "Gerusalemme" e spruzzando, morì in modo eroico e ridicolo, e non posso farne a meno di pensarci ogni volta che mi ritrovo anch'io in una cella stretta come un confessionale, alle prese col Nemico che mi dice: ma chi ti credi di essere, ma Gerusalemme dove, non lo vedi che merda sei, e merda tornerai? San Luigi, prega per me.

sabato 24 agosto 2024

Per sempre insieme a te

(Disco Estate 2024)


Stasera che per voi è un qualsiasi sabato sera d'agosto, per i seguaci del Meeting di Rimini è l'ultima sera del Meeting di Rimini. Le inibizioni saltano, la voglia di stare assieme ribolle contro la dura realtà che li attende al risveglio. Non so se sia ancora come ai primi anni Novanta, quando tutto sembrava alla portata dei convenuti al Meeting di Rimini: potere, soldi, successo, sostanze, e non bisognava nemmeno firmare un contratto col demonio, o forse sì ma sembrava comunque un tizio serio, affidabile, con un esibito rispetto per le tradizioni. 

(I sopravvissuti alla festa del 1991 non ne parlano volentieri. Alcuni non ricordano, altri non vogliono, altri sono in cura da allora, uno è missionario nel golfo di Guinea).

venerdì 23 agosto 2024

Non azzardarti a decifrare i miei sentimenti nei tuoi confronti

(Continuo a intervistare le Solite Stronze, boh, chissà cosa mi ero messo in testa di trovare, comunque andiamo avanti).

Andiamo avanti e arriviamo al settimo pezzo...

Dobbiamo proprio?

Eh?

Sì, questo si potrebbe anche skippare.

Cioè è un pezzo che non vi piace?

Ma non è che non mi piace...

Mi piace, non mi piace, sono pareri soggettivi...

Laddove questo pezzo fa oggettivamente cagare.

Però scusate, stiamo cercando di fare promozione, se non ci credete nemmeno voi...

No no, noi ci crediamo, cioè alla fine in poco tempo secondo me abbiamo realizzato un disco decente.

Che sarebbe stato anche meglio se Azzolina...

Ah, è un pezzo di Azzolina questo.

Non si capisce?

In effetti è un altro brano che non ti aspetti in un disco punk, sembra una specie di... 

Di...

Boh.

Vero? Non si capisce veramente che roba sia.

Io non credo di averci suonato niente.

In compenso l'argomento è sempre lo stesso, ovvero c'è un tizio che non risponde al telefono.

Sì ma l'hai sentita? "Questo filo mi strozza il cuore", che roba è?

Beh non so se dirtelo...

Dirmi cosa?

Prometti di non prendermi in giro.

Noi non promettiamo niente.

Una volta i telefoni avevano il filo.

Oddio, dici che intendeva quello? Il cazzo di filo del telefono?

Non so, a me è venuto in mente subito.

Per forza, sei un dinosauro di merda.

E ovviamente, "tu tu tu tu" è il rumore che facevano i telefoni occupati... a volte lo fanno ancora, ma è abbastanza raro.

Cioè "tu tu tu" è un cazzo di gioco di parole?

Magari adesso che lo sai il pezzo assume una diversa profondità.

La profondità del cazzo che mi frega.

Proseguiamo con un brano che invece mi sembra molto più affine alla vostra sensibilità.

Ecco sì, questo l'ho scritto io. 

Non avevo quasi dubbi. E senza dubbio è uno dei più energici, eppure paradossalmente è il brano che comunica una maggiore sensazione di imbarazzo.

Di che?

Voleva dire che è un pezzo cringe.

E perché non l'ha detto?

L'ha detto con parole sue. 

L'ho detto con parole mie. È forse questa la frontiera del punk nel 2024? Calarsi con orgoglio in una situazione cringe?

Ma che cazzo ne so. È un pezzo in cui rivendico l'incoerenza affettiva, senza aver paura del cringe perché è il cringe che deve avere paura di me.

Questa cosa me la segno, anche se non sono sicuro di averla capita.

Però suona bene. 

giovedì 22 agosto 2024

Titus Oates, vergogna del genere umano

22 agosto: Santi John Kemble e John Wall, vittime del complottismo anticattolico. 

Titus Oates, in un periodo in cui non gli girava granché bene. 

Essere cattolici nel XVII secolo in Inghilterra era abbastanza complicato, come dimostra la quantità di martiri sul calendario. John Wall era un frate minore a Worcester, dove svolgeva anche clandestinamente mansioni sacerdotali; John Kemble a Hereford riuscì ad amministrare i sacramenti cattolici per cinquant'anni senza mettersi nei guai sino al 1679, quando entrambi finirono rastrellati durante uno degli episodi più eclatanti di isteria anticattolica in Inghilterra, il Complotto Papista. 

A questo punto mi interrompo un attimo perché scrivere di santi è meno facile di quanto possa sembrare, e ti mette quotidianamente davanti alla tua non-santità. Magari fossero tutti leggende da dileggiare. No, la maggior parte sono uomini e donne in carne ossa che fecero il possibile per dare un senso alla propria vita, secondo una scala di valori che non è evidentemente la mia, ma ci riuscirono, e soprattutto nel percorso riuscirono a migliorare la vita di tante persone. Consolarono gli afflitti, curarono gli infermi, sfamarono gli affamati, eccetera, e qualche secolo dopo eccomi qua con la mia tastierina a prenderli in giro per due clic, che bella idea che ho avuto.

Avrei fatto meglio a concentrarmi sui bricconi, come raccomandava Gianni Rodari. Studiarli uno al giorno, dettagliare le loro malefatte. Sarebbe stato più divertente, istruttivo, e soprattutto ogni sera avrei lasciato la tastiera sentendomi migliore di qualche ladro di pensioni o infame traditore o sfruttatore di meretrici. Il problema è che sui calendari ci vanno i santi, non i bricconi. Così spero che mi perdoneranno John Kemble e John Wall, se invece che sulla loro vita inappuntabile mi concentro su quella assurda del loro accusatore, Titus Oates: l'inventore del Complotto Papista. 

Il Complotto fu il Pizzagate del secolo XVII, una storia completamente sballata messa in giro da personaggi sin dall'inizio visibilmente non attendibili, ma cavalcato da una o più parti politiche per ragioni elettorali. Per "personaggi visibilmente non attendibili" mi riferisco soprattutto a Titus Oates, figura più dickensiana che shakespeariana: sembra veramente inventato da uno scrittore che voglia eccitare il pubblico con lo spettacolo di una malvagità senza redenzione. Ma nessuno scrittore ha inventato Titus Oates; e se qualche storico potrebbe averlo ritratto in modo caricaturale, partiva comunque da un modello in carne, ossa e niente scrupoli.

Titus nasce nel 1649 a Oakham, nel Rutland, nel centro dell'Inghilterra, da una famiglia di filatori che riescono a mandarlo a Cambridge. Un suo tutor anni dopo lo avrebbe definito "a great dunce", un gran somaro: ma con una buona memoria, che sarebbe tornata utile nella professione di delatore. A Cambridge Titus resta per tre anni, rimediandone non una laurea ma una reputazione di omosessuale che avrebbe trattenuto altri dal cercare un lavoro nel campo ecclesiastico. Titus invece si finge laureato (funzionava anche allora) e riesce a farsi ordinare sacerdote anglicano. Nel 1674 è già curato di una parrocchia anglicana a Hastings, ma non si accontenta: volendo subentrare a un preside locale nella direzione di una scuola, lo accusa di avere avuto rapporti sodomitici con uno studente. Il processo scagiona il preside, e Oates deve fuggire da Hastings per evitare un procedimento per falsa testimonianza sotto giuramento. 

In questi casi era meglio mettere tra sé e i giudici almeno un mare di distanza, sicché Oates riesce a farsi nominare cappellano del vascello militare Adventure. Con l'Adventure, Oates riesce ad arrivare a Tangeri, ma viene presto accusato di sodomia: un reato per cui era prevista la pena di morte, che Titus evita in quanto cappellano. Radiato dalla marina di Sua Maestà, Titus si ritrova latitante a Londra e viene presto arrestato e portato a Hastings, dove riesce inesplicabilmente a fuggire, per la seconda volta. Aveva evidentemente qualche amico nei posti giusti, o forse lo ricattava. Questo spiegherebbe come mai dopo tante disavventure riesca a farsi ammettere a corte di Henry Howard, settimo duca di Norfolk. Pur essendo protestante, il duca trovava necessario mantenere un cappellano della religione anglicana, a disposizione dei membri protestanti della famiglia. Titus non sarebbe rimasto lungo presso il duca, ma è durante questo periodo che sviluppa un interesse per il cattolicesimo. Interesse che si concretizza con una conversione ufficiale, avvenuta nel mercoledì delle ceneri del 1677. Che si trattasse di una mossa insincera potremmo anche solo sospettarlo dal fatto che nello stesso periodo scrive (e firma!) una serie di pamphlet anticattolici insieme al pastore battista Israel Tonge.

Carlo II, secondo John Michael Wright

Sia come sia, l'adesione al cattolicesimo consente a Titus di viaggiare e fingere altri titoli di studio: tutto questo grazie ai Gesuiti, che lo accolgono e lo inviano prima nella sede di Saint Omer in Francia, e poi al Royal English College di Valladolid. Qui studia per diventare un sacerdote cattolico, il che però avrebbe richiesto una competenza nella lingua latina che Titus non poteva fingere. A lasciare perplessi i suoi insegnanti erano anche le affermazioni blasfeme che gli sfuggivano nelle conversazioni, nonché gli attacchi alla corona inglese; insomma nel giro di due anni Titus fu espulso anche dai gesuiti. In seguito sosterrà di aver conseguito a Valladolid una laurea in teologia: ma soprattutto racconterà di essere entrato nei gesuiti per carpirne i diabolici segreti. Il che tutto sommato è verosimile, anche se non essendo riuscito a carpirne decise di inventarsene lui. 

Il manoscritto che descriveva il complotto di un centinaio di gesuiti per uccidere re Carlo II speculava su un sentimento anticattolico che dopo il Complotto delle Polveri era molto forte; i gesuiti, e in generale tutti i "papisti" erano accusati dal popolo di aver portato in Inghilterra la peste del 1665 e appiccato il Grande Incendio del 1666, insomma in assenza di ebrei (espulsi dall'Inghilterra già nel XIII secolo) i cattolici erano divenuti i capri espiatori preferiti dalla popolazione. Il sentimento anticattolico era diventato un collante per una comunità divisa da un punto di vista religioso tra anglicani e protestanti di diverse confessioni. Il re Carlo II, che aveva ripristinato la monarchia dopo la rivoluzione in cui suo padre aveva perso la testa, aveva il suo daffare a rassicurare i sudditi sul fatto che non volesse ricongiungere la Chiesa inglese con la romana. Il fatto che avesse sposato una cattolicissima principessa portoghese certo non aiutava, così come l'idea di muovere guerra agli olandesi (protestanti) col sostegno dei francesi (cattolici). Correva voce che in cambio di questo supporto, Carlo II avesse segretamente promesso al cugino Luigi XIV di convertirsi al cattolicesimo: ed era vero. Correva voce che il fratello di Carlo ed erede al suo trono, Giacomo duca di York, si fosse già convertito: ed era vero pure questo. Gli inglesi che in generale avevano salutato il ritorno di uno Stuart sul trono, dopo la dittatura cromwelliana, non avrebbero tollerato un'altra Maria la Sanguinaria. Insomma Titus Oates si trova a vivere in un periodo e in un luogo dove c'è una sentita necessità di un libello anticattolico, qualcosa che dimostri inappuntabilmente che i cattolici sono ancora terroristi assetati di sangue come ai tempi di Guy Fawkes; qualcuno prima o poi quel libello l'avrebbe scritto. Decide di scriverlo lui, con l'aiuto di Israel Tonge che però secondo gli storici credeva in quello che Oates stava inventando. Tonge soprattutto è funzionale a mettere in scena il ritrovamento, nell'abitazione che condivideva con un medico, sir Richard Barker. Quest'ultimo decide di mostrarlo a sir Christopher Kirkby, un chimico che aveva il privilegio di assistere il re nei suoi esperimenti scientifici. 

Avvisato prontamente da Kirkby di questo diabolico complotto di cento gesuiti per assassinarlo, il re non rimane così impressionato: la sua vantata disponibilità nel ricevere i sudditi a corte faceva sì che complotti del genere gli venissero ventilati spesso. Ma perché mai i cattolici avrebbero dovuto uccidere proprio lui, che garantiva loro la libertà di culto in Inghilterra? Allo stesso tempo non si poteva ignorare un'accusa che veniva da personaggi autorevoli, e così la pratica viene passata a Thomas Osborne, duca di Leeds e uomo chiave di quella fazione parlamentare che si cominciava a chiamare Tory. Osborne tutto era fuorché un ingenuo, per cui è molto difficile che abbia deciso di sostenere in buona fede due personaggi come Tonge e Oates e la loro storia di gesuiti assassini. È più probabile che abbia aiutato i due a rendere la storia più credibile, suggerendo altri nomi che avrebbe visto volentieri cadere in disgrazia. Il 28 settembre, presso il Consiglio Privato del Re, Oates accusa formalmente 541 gesuiti e altre personalità di fede cattolica, tra cui l'arcivescovo di Dublino, il medico della regina e il segretario di Maria Beatrice d'Este, duchessa di York e moglie dell'erede al trono. 

Maria Beatrice d'Este, che gli inglesi
chiamano "Mary of Modena", 
si vede che in inglese suona bene.

Questa udienza è il capolavoro di Titus Oates, che riesce a imporsi come teste credibile malgrado una reputazione non proprio immacolata. A impressionare il Consiglio è la memoria prodigiosa con cui snocciola nomi e dettagli del Complotto; qualcuno avrebbe potuto arguire che li conosceva a memoria perché il Complotto se lo era inventato lui, ma ognuno crede sempre a quel che vuole credere. Pescando a strascico qualcosa prima o poi si trova, e in questo caso si scoprì un incriminante carteggio privato tra il segretario di Maria Beatrice e il confessore di Luigi XIV. Il Consiglio fornì a Oates una scorta armata con il compito di arrestare i gesuiti di cui conosceva gli indirizzi, avendoli frequentati al tempo della sua conversione. 

Qui cominciano i fatti di sangue. Il 17 ottobre sir Edmund Berry Godfrey, un magistrato anglicano, viene trovato in un fosso, strangolato e trafitto dalla sua stessa spada. Godfrey stava indagando sul Complotto e aveva ricevuto le dichiarazioni ufficiali di Oates e Tonge. Finalmente un delitto di chiara matrice cattolica, qualcosa che può comprovare che i cattolici uccidono. Oates ha il vento in poppa ma forse non ha la percezione dei propri limiti, e a fine novembre accusa la regina di aver progettato con il medico di corte l'avvelenamento del re. Qui Carlo II perde la pazienza e decide di interrogare personalmente Oates. Trovandosi per la prima volta davanti a un inquirente che non crede volentieri alle sue bugie, Oates comincia a perdersi in contraddizioni e smentite. Per rafforzare la sua posizione, ha l'ingenua idea di raccontare di un suo colloquio col Reggente di Spagna. Carlo II, che lo aveva conosciuto personalmente negli anni dell'esilio, chiede a Oates di descriverlo. Oates non ha la minima idea di come sia fatto il Reggente, e Carlo II lo mette in stato di arresto. Questa caduta in disgrazia dura appena due giorni, perché il Parlamento non approva la mossa del Re e minaccia una crisi costituzionale. Non solo Oates viene liberato, ma essendo il suo benessere di interesse nazionale, il parlamento gli garantisce un alloggio a Whitehall a spese dello Stato, e una pensione annuale di 1200 sterline. Ma siamo pur sempre nel Seicento: a che serve una pensione annuale se non hai un cognome e uno stemma nobiliare? Oates briga presso le autorità araldiche finché non riesce a farsi consegnare lo stemma di una casata estinta; nel frattempo cerca di combinare un matrimonio con la figlia del marchese di Shaftesbury.

Nel giro di tre anni 15 sudditi di fede cattolica vengono giustiziati (tra cui John Kemble e John Wall). Oliver Plunkett, arcivescovo di Armagh, viene impiccato, sbudellato e squartato alla vecchia maniera. Dopodiché il vento cambia. Arresti e processi proseguono, ma i giudici sono sempre più titubanti. Dopo aver fornito agli inglesi un capro espiatorio, ora il Complotto poteva servire a incriminare chi lo aveva promosso: in particolare Thomas Osborne, che in parlamento si era fatto troppi nemici e che stava per essere rinchiuso nella Torre di Londra. 

Nell'estate del 1681 la campana comincia a suonare anche per Titus Oates. Il 31 agosto riceve l'ordine di sgomberare i suoi appartamenti: non solo non obbedisce, ma accusa pubblicamente il re e il duca di York. Tanto bastava per arrestarlo per sedizione. Nel frattempo Carlo II, sempre più insoddisfatto dei suoi parlamenti, ne scioglie un paio. I sudditi sembrano dalla sua parte, forse impiccando qualche cattolico ha ottenuto la loro fiducia. Qualche protestante cerca di ucciderlo davvero, ma la sua morte improvvisa nel 1685 secondo gli storici fu più probabilmente causata da un'insufficienza renale, magari in parte dovuta ai suoi esperimenti col mercurio. Al suo posto sale al trono il fratello Giacomo, ora Giacomo II: è quello che i protestanti temevano da anni, e in effetti il Complotto Papista non era che parte delle misure prese dai nemici di Giacomo per impedire che la corona d'Inghilterra fosse cinta da un re cattolico. Per Oates, soprattutto, è una pessima notizia. Uno dei giudici che aveva creduto volentieri alle sue storie quando si trattava di mandare al patibolo cattolici innocenti, lo definisce "una vergogna per il genere umano"; non potendo condannarlo a morte (non era una pena prevista per il reato di spergiuro) lo condanna al carcere a vita e a essere "frustato per le strade di Londra cinque giorni all'anno per il resto della sua vita".

Si stabilisce inoltre che nel 1685 i giorni siano consecutivi: il primo giorno viene messo alla gogna davanti ai cancelli di Wstminster Hall, dove i passanti potevano lanciargli le uova. L'indomani fu esposto a Londra, il terzo giorno attaccato a un carretto e frustato da Aldgate a Newgate; il quarto giorno da Newgate a Tyburn. Oates sarebbe rimasto in prigione fino al 1689, quando gli equilibri religiosi vengono sconvolti da una nuova rivoluzione, quella Gloriosa. I protestanti inglesi, sempre più insofferenti di un sovrano assoluto e cattolico come Giacomo II, si erano rivolti al genero di quest'ultimo, l'olandese Guglielmo d'Orange, che nel 1688 viene incoronato con la moglie Maria (figlia di Giacomo). Oates viene graziato e indennizzato con una pensione di 260 sterline all'anno, che poi diventarono 300. Morì nel 1705, dimenticato più o meno da tutti: una frase che nel suo caso suona persino pietosa. Il Complotto era stato un fenomeno di costume; sull'assassinio di sir Godfrey era stata composta una ballata popolare, che un grande disegnatore, Francis Barlow, aveva illustrato con una storia divisa in vignette. I personaggi di Barlow parlavano mediante dei fumetti che uscivano dalle loro bocche; può darsi che l'espediente non fosse nuovo, ma la storia di Barlow è il più antico esempio di storia a fumetti che ci sia arrivata. Quanto a me, ho appena finito di scrivere la mia storia di Titus Oates e mi sento decisamente una persona migliore. Dopo tutto non ho mai inventato complotti per mandare in prigione nessuno. Quasi mai.


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