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venerdì 26 gennaio 2024

Dante potrebbe offendervi, attenzione

Dicevamo qualche giorno fa: sul Post qualcuno ha denunciato "il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie" che sarebbero "una costante" nella letteratura italiana che compare sui manuali scolastici. Questo mi ha fatto arrabbiare, un po' più del necessario, per motivi che sto ancora cercando di spiegarmi. Nel frattempo le autrici hanno ribadito che era una provocazione, avremmo dovuto farci una risata, ecc. Ora non m'interessa ribattere punto per punto che no, i manuali non sono fatti così, la letteratura a scuola non si insegna così. Galatea Vaglio su Valigiablu lo ha fatto, e mi sembra che possa bastare. 

Vorrei riflettere su un piano diverso: cosa porta persone non stupide, non incolte, scrittrici, laureate, a produrre un tipo di testo del genere, una specie di parodia in cui una serie di autori e personaggi di epoche molto lontane dalla nostra vengono fotografati nella situazione che possa apparire più scorretta a un lettore contemporaneo? E cosa porta centinaia di lettori altrettanto colti e sensibili ad apprezzare il testo? Potrebbe essere semplicemente una pagina divertente e scritta bene, ma credo che ci sia di più: è una di quelle pagine che prima o poi su internet qualcuno doveva scrivere, come se troppo forte fosse l'esigenza di certi lettori di leggerla. Che tipo di lettori?

Nel pezzo c'è una "doverosa precisazione" in cui spiegano che non vogliono assolutamente cancellare Dante o Ariosto – ci mancherebbe – ma promuovere "uno sforzo di consapevolezza": il che poi implica che questa consapevolezza sui manuali non ci sia, e che a scuola gli insegnanti non si sforzino in tal senso. Questa è una delle cose che mi ha fatto più arrabbiare (cioè secondo voi esorto i ragazzini a trattare le coetanee come le trattava Nastagio degli Onesti?), ma effettivamente se vado a controllare nei manuali per la scuola media, non è che trabocchino di avvertenze sul fatto che Dante e Ariosto vivessero in epoche diverse con morali molto diverse che potrebbero risultare offensive ai giovani lettori. Quel tipo di disclaimer che la Disney sta mettendo su certi vecchi film, ecco, nei libri di scuola ancora non ci sono, è come se li dessimo per scontati perché insomma, Disney+ è alla portata del telecomando di qualsiasi bambino, mentre Dante deve per forza passare attraverso la mediazione di un insegnante. Insomma tutto dipende dall'insegnante e non posso escludere che ne esistano di quelli che approfittano dell'episodio di Paolo e Francesca per esortare i giovani alla continenza. Voglio sperare che non siano in tanti. Forse alla fine avevo torto ad arrabbiarmi così tanto, perché a loro modo le autrici segnalavano un problema: manuali e insegnanti dovrebbero essere più attenti a fornire, per ogni autore, il contesto storico. E però.

E però non mi pare che le autrici stiano chiedendo questo tipo di contestualizzazione. Anzi il loro "sforzo di consapevolezza" va verso l'esatto opposto: personaggi e autori vengono strappati dai rispettivi contesti storici e trattati da contemporanei (altrimenti come faremmo a scandalizzarcene?): ci viene proposto di riconoscere in Orlando il Vasco Rossi di Colpa d'Alfredo, in Leopardi un incel. 

Il mio fastidio forse nasce da qui: ho un problema con chi ostenta intolleranza per il passato, come se non fosse la terra più straniera di tutte. A Dante credo si debba lo stesso rispetto che dobbiamo all'indigeno dell'Amazzonia: non gli spieghiamo che i suoi usi e i suoi costumi sono sbagliati; anche quando ci ripugnano dobbiamo accettare che sono il risultato di un adattamento al suo ambiente, di una civiltà la cui complessità potrebbe sfuggirci. Se leggiamo Dante, tra le altre cose è per imparare cose su di lui e sul mondo in cui ha vissuto; un mondo interessante anche solo perché era diverso dal nostro. Di sicuro non leggiamo Dante per spiegargli che si sbaglia, e che avrebbe dovuto comportarsi come ci comportiamo noi. Né per sentirci migliori di lui. O lo facciamo?

Mettiamola così. È noto che da quando su internet siamo tutti diventati i promoter di noi stessi, l'esigenza di esibire le nostre virtù è cresciuta in modo geometrico. Dobbiamo tutti dimostrare di essere in grado di sconfiggere le ingiustizie, o almeno di segnalarle; e siccome non sempre la cronaca ci provvede di ingiustizie fresche di giornata (e comunque la gara a chi le segnala per primo è molto serrata) ripiegare sui libri di Storia diventa un'alternativa comoda e a costi irrisori. Praticamente tutto quello che è successo prima del 2018 è discutibile, qualsiasi manuale è già un libro nero dei crimini dell'uomo bianco. Razzismi, prevaricazioni, femminicidi a ogni pagina. Prima o poi qualcuno doveva denunciare il sessismo di Boccaccio o di Petrarca, era inevitabile: e infatti non è stato evitato. Ovviamente non per cancellarli, no. Per far discutere, questo sì. Creare un po' di attenzione – e chi sono io per giudicare, davvero.

Si tratta di una mossa facile, ma forse più pericolosa di quel che sembra, perché... ma lo avete capito chi c'è là fuori? 

Ci sono gli studenti.

Quelli veri, quelli giovani. Voi siete woke per modo di dire: eravate svegli/sveglie anche venti anni fa. Siete andati tutti a scuola, e per quanto possa essere stato mediocre il vostro insegnante, difficilmente vi ha minacciato di andare all'inferno se commettevate adulterio perché l'Inferno dantesco lo prevedeva. Questa cosa che scrittori di epoche diverse risentano di sistemi di valori molto diversi, l'avete sempre saputa. Fingere all'improvviso di accorgersene, di dover denunciare le pagine più tossiche, può far nascere un'accesa discussione, che è il motivo per cui si scrivono le cose. Ma accendere una discussione del genere in un ambiente dove passano gli studenti, è come lanciare fuochi artificiali a un benzinaio. Voi non volete veramente cancellare Dante e Ariosto, ho capito. Magari gli volete ancora un po' di bene, a quei due. Volete solo provocare una conversazione. Ma là fuori non c'è gente che vuole conversare: c'è gente che vuole leggere meno, o leggere altre cose, più attuali, più facili. Loro Dante e Ariosto non li hanno ancora letti, e se c'è in giro una clausola per non leggerli più, perché non dovrebbero attaccarcisi?   

E non perché siano giovinastri deficienti tutti droga play e netflix – o forse sì, ma la loro ansia cancellatoria ha ragioni molto più serie delle vostre. Tutti gli organismi viventi tendono a minimizzare gli sforzi, e gli studenti sono organismi molto viventi. Potrebbe essere uno dei motivi per cui negli ultimi anni la prima domanda che si fa un giovane lettore davanti a un testo non è più "cosa sta cercando di dirmi questo testo", ma "c'è qualcosa in questo testo che potrebbe offendere me? o qualche altra minoranza sensibile?" Perché se c'è qualcosa, anche solo una parola, il problema è finito: il testo si cancella e si passa ad altro. Io capisco ormai che la parola con la N non sia più presentabile, ma immaginate di leggere una pagina dell'Autobiografia di Malcolm X a una classe che sonnecchia, quand'ecco che echeggia la parola con la N e li vedi svegliarsi di botto, scandalizzati: ehi, ma cosa stiamo leggendo? In realtà niente, non hanno letto niente. Hanno sentito solo la parola N risuonare nel silenzio. Hanno antenne per queste cose, che non percepiscono ciò che noi percepiamo con gli altri cinque sensi. L'indignazione è il sesto senso: riescono a indignarsi per quel che c'è scritto su un libro senza neanche averlo aperto, a volte appena dopo averlo intravisto dalla vetrina della libreria, sono incredibili. 

Non ditemi che un po' non li invidiate. Una certa cultura cancellatoria può anche nascere dall'ansia che i giovani provano di fronte allo scibile umano: quanti libri bisognerebbe leggere prima di capirci qualcosa, non possiamo cominciare a buttarne via un po'? (continua) 

3 commenti:

  1. Il motivo per cui quell'articolo ti ha fatto arrabbiare è ben spiegato qui: https://www.astralcodexten.com/p/the-psychopolitics-of-trauma.

    " Il sistema mediatico è un enorme marchingegno il cui scopo è traumatizzare quante più persone è possibile, in modo che esse diventino trauma-dipendenti e continuino a consumare prodotti mediatici. Questo fatto, associato al desiderio che accomuna un po' tutti di provocare rabbia ai nemici, fa sì che molti individui, anche intelligenti, passino il tempo a massimizzare l'effetto traumatico delle proprie affermazioni. "

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  2. Ho letto sia il pezzo sul post e le sue molteplici risposte (c'è chi cita addirittura Fiordispina e Bradamante), che la prima parte di questa riflessione tondelliana.

    Una domanda che potremo porci è: come mai dobbiamo studiare un po' di classici della nostra lingua? E quando studiamo una lingua straniera, un po' di classici di quella lingua straniera? E quando studiamo una lingua morta, un po' di classici di quella lingua morta?

    Una lingua non è solo un insieme di significanti tenuti insieme da un po' di regole, bensì è lo specchio di modi di pensare presenti e (soprattutto) passati.
    Studiare Dante o Foscolo significa usare la lingua per capire come la pensassero Dante o Foscolo, non perché Dante o Foscolo siano simpatici, bensì in quanto ritenuti rappresentativi del modo di pensare delle persone loro intorno.

    Il modo in cui si decide che Foscolo sia più o meno rappresentativo di Leopardi o se invece siano entrambi rappresentativi e dunque complementari, è oggetto di dibattito.
    Se per il secondo novecento possiamo discutere se scegliere Italo Calvino, Umberto Eco o Mike Buongiorno, per i secoli ormai passati la scelta (nel bene e nel male) è stata fatta. Forse esisteva un qualche Remigio da Pievepelago contemporaneo di Dante e dalle idee perfettamente rappresentative della sua epoca, ma ormai è andato perduto e Dante è quanto di meglio abbiamo.

    Anche perché se decidessimo che Dante, Foscolo, Leopardi, Eco, Buongiorno siano tutto un vecchio ciarpame da mandare al macero, concentrandoci solo sul secolo XXI, un domani potrebbe venire un dittatorello di un qualche stato vicino o lontano a sostenere che in fondo l'Italia non è mai esistita, non ha una propria storia, ed è dunque del tutto lecito conquistarla e cancellarne la lingua.
    In fondo non esiste, giusto?

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    1. Non credo ci sia dubbio alcuno che Fiordispina sia lesbica, anzi lesbicissima.
      Un vero peccato che Ariosto abbia deciso di far intervenire Ricciardetto: l'Orlando Furioso è pieno di gente che copula, una copulata lesbica ci sarebbe stata come il cacio sui maccheroni! E perdipiù fra spade, arazzi e armature, che rendono la faccenda ancora più eccitante ;)
      Ariosto ha però deciso di dedicarsi alla letteratura trans, facendo dire a Ricciardetto "sento in maschio, di femina mutarmi".
      Io non voglio fare la figura della lesbica che discrimina i trans, però con questo trucchetto dei due gemelli l'autore ha perso l'occasione di scrivere quello che sarebbe stato un gran bel pezzo di amore omosessuale.

      Bene, adesso chiudiamo la sfortunata vicenda di Fiordispina e torniamo in argomento.
      Anch'io ho letto il pezzo sul Post e non l'avevo affatto preso come una provocazione, tutt'altro, anche perché di solito il Post non pubblica trollate, bensì analisi e riflessioni supportate da argomenti. Se le autrici avessero voluto scrivere un pezzo provocatorio, sarebbero potuta andare sul Fatto Quotidiano, su Repubblica o andare sotto casa di Galli Della Loggia per suonare il campanello e scappare.

      No, veramente, non riesco a prendere sul serio il pezzo di Pieri e Violante in quanto è un pezzo mediocre, un pezzo che strappa le cose dal loro contesto quasi a voler far dire all'autore cose che non voleva assolutamente dire... una trollata, insomma.

      E di troll ce ne sono già abbastanza.

      Dicevamo di Fiordespina e Bradamante? Proviamo a buttare giù qualche ottava da attaccare in coda all'Orlando Innamorato, nelle quali le facciamo amoreggiare come si deve?
      Solo per vedere cosa salta fuori; se poi vengono male, possiamo sempre buttare via tutto...

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