Sembra successo tutto in un giorno, che per qualche perverso motivo è stato il primo aprile 2024.
Fino a tutto il marzo di quest'anno potevamo ancora essere convinti che:
– I giornalisti avessero ogni diritto di documentare quello che avviene in un teatro di guerra.
– I volontari delle ONG che portano aiuti nelle zone di guerra – col consenso delle forze belligeranti – fossero tutelati, prima ancora che da qualche codicillo internazionale, da un principio di buon senso e di umanità.
– I messaggeri fossero sacri. Lo sono da millenni; è un principio che nell'era contemporanea è stato formalizzato nella definizione di immunità diplomatica. Gli ambasciatori risiedono in sedi extraterritoriali che anche nelle fasi più cruente di una guerra o di un bombardamento non sono mai stati obiettivi militari.
Poi è arrivato il primo aprile, Netanyahu ha annunciato che Al Jazeera non avrà più diritto di operare in Israele (e nei territori che Israele evidentemente occupa), nel mentre che l'esercito israeliano bombardava una sede diplomatica iraniana a Damasco e prendeva di mira, uccidendoli, sette cooperatori internazionali a cui aveva dato il permesso di circolare nella Striscia di Gaza. E a questa organizzazione che prende di mira i giornalisti, prende di mira i cooperatori internazionali, prende di mira i diplomatici, e non lo nega, anzi ormai lo rivendica come suo specifico diritto, noi cosa diremo? La accuseremo di terrorismo, visto che ci terrorizza? La pregheremo di non proseguire quello che un tribunale internazionale ha più volte in questi mesi definito un genocidio? Nel frattempo l'amministrazione Biden le venderà qualche altro jet di guerra di ultima generazione; armi forse un po' esagerate finché l'obiettivo è desertificare la Striscia; ma la speranza ormai evidente è che scoppi presto una guerra diretta con l'Iran; del resto se bombardi un'ambasciata non è che serva un esperto decifratore di messaggi.
E se sembra un po' esagerato aggiungere che domani potrebbe accadere a voi, a me, a noi, a chiunque muova un dito a favore di qualcuno che Israele considera suo nemico, mettiamola semplicemente così: è già successo. L'IDF ha ucciso Saifeddin Issam Ayad Abutaha, ha ucciso Zomi Frankcom; ha ucciso Damian Sobol, Jacob Flickinger, John Chapman, Jim Henderson e James Kirby. Ha ucciso Rachel Corrie e centinaia di giornalisti: lo ha evidentemente fatto per avvertire noi e chiunque altro voglia mettere il naso nel massacro dei palestinesi, e questo avvertimento noi lo abbiamo ricevuto forte e chiaro; altrettanto forte e chiaro sentiamo la necessità di ritrasmetterlo, non per un sussulto di coraggio ma perché magari qualcuno intorno a noi non si è ancora reso conto, non si è ancora spaventato abbastanza.
Tutto questo somiglia sempre più all'inizio di una fine. La fine di un certo diritto internazionale, come ci eravamo illusi che funzionasse perlomeno da Yalta in poi; un ordine internazionale basato sull'idea, forse illusoria, forse consolatoria – che le guerre fossero uno stato di eccezione, e che la pace fosse l'equilibrio a cui le nazioni cercavano di tendere. Che tutto ciò dovesse infrangersi, di tutti i luoghi al mondo, proprio a pochi chilometri da Gerusalemme, è un'evidenza carica di una sinistra ironia.
E allo stesso tempo tutto questo non sembra avere un vero senso storico; tutto intorno l'umanità si evolve vorticosamente, le stagioni e i paesaggi cambiano, miliardi di persone nascono e diventano adulte in un mondo che di Gerusalemme si infischia e se ne infischierà sempre più. Persino quello tra Nato e Ucraina, dal punto di vista di cinesi e indiani, è un conflitto poco più che regionale, tra vecchie superpotenze rancorose; chissà cosa ne pensano di quel vecchio contenzioso su una piccola città del Medio Oriente che si trascina ormai da duemila anni.
Non è vero che stiamo impazzendo tutti per Gerusalemme: in primis sta succedendo agli americani, e non da ieri. Può darsi che Israele alla fine non sia che una concrezione esotica dei loro sogni, delle loro aspirazioni bibliche e messianiche; la conseguenza estrema di un certo modo di concepire la politica come prosecuzione della guerra tra comunità organizzate in gruppi di pressione. Tutto questo che a tanti anche in Europa sembrava un modello, da Tocqueville in poi (ma anche Tocqueville forse andava letto con più attenzione) a un certo punto ha prodotto Bush, ha prodotto Fox News, ha prodotto l'ultrasionismo contemporaneo, ha prodotto Trump. Può persino darsi che abbia prodotto la stessa guerra in Ucraina, che una diplomazia più saggia avrebbe potuto evitare? Non lo so. Quel che so è che è ingiusto prendersela con gli israeliani per quello che fanno, e che possono fare semplicemente perché qualcuno lo consente a loro e soltanto a loro: chi altro potrebbe sognare di prendere di mira ambasciate, volontari e giornalisti, e farla franca. Va a finire che davvero
il vecchio Bob ci aveva azzeccato, con quella canzone neanche troppo ispirata: Israele è solo il bullo del quartiere. Dietro a ogni bullo – Bob questo non ce lo diceva – c'è un boss che lascia fare, finché un giorno forse si stancherà, o non si troverà invischiato in guai ben più grandi. Quel giorno, ammesso arrivi, non è stato il primo aprile.
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