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lunedì 5 febbraio 2024

I palloni di Hamas


Avvertenza: questo pezzo contiene descrizioni di atti di violenza che possono impressionare il lettore, così come hanno impressionato me. 

Il 5 febbraio è la festa di Sant'Agata, la martire siciliana a cui il Signore avrebbe fatto ricrescere il seno, dopo che i carnefici glielo avevano amputato. Dunque se devo scrivere un pezzo sui seni-pallone amputati da Hamas, lo farò oggi. 

Ma devo proprio? Su un argomento così macabro, col rischio di indugiare in dettagli morbosi o mancare di rispetto alle vittime di una strage? Scrivere un pezzo che nessun algoritmo si filerà, che ben pochi verranno a leggersi, e quei pochi magari proprio per notarne i difetti, perché?

Pare sia terapeutico. Ho sentito dire che le fobie si superano parlandone. Inoltre ho la sensazione di essere stato preso in giro, da qualcuno che sapeva esattamente come spaventarmi, e mi ha raccontato una storia orribile ben sapendo che i dettagli più sanguinosi mi avrebbero tenuto lontano. Cedere a un trucco simile significa ammettere le proprie debolezze, per cui non lo farò. Siccome ho paura delle mutilazioni, ora scriverò un pezzo lungo e disteso sulle mutilazioni. Chi sperava di impressionarmi col sangue almeno saprà che non funziona.

È stata soprattutto questa fobia a tenermi lontano dai primi resoconti che apparivano sui media immediatamente dopo il 7 ottobre. I dettagli ultraviolenti mi turbano in modo particolare: mi restano in mente e non riesco a liberarmene, è come se contagiassero la mia fantasia. Forse si tratta di una mia fragilità, il motivo per cui ancora oggi ho grossi problemi a guardare film dell'orrore che i miei studenti minorenni mandano giù come Biancaneve. Oppure i miei studenti hanno capito che mandar giù film dell'orrore è un sistema efficace per non invecchiare fragili come sta succedendo a me. Non lo so, né mi ponevo il problema: i più prestigiosi organi di informazione riportavano che in quei giorni erano avvenute cose orribili, che i colpevoli erano i miliziani di Hamas, e io lo ritenevo assodato: senza troppo preoccuparmi di quanto orribili fossero. 

Finché – ma erano già i primi di gennaio, e un pool legale sudafricano stava per accusare all'Aja il governo israeliano di genocidio – lessi che i seni delle vittime erano stati "asportati e usati per giocare a pallone". Lo lessi in questo bizzarro appello, pubblicato su diversi quotidiani:

Trovate il testo per esempio qui.
Ma a chi sono state consegnate le firme?
Chi dovrebbe dichiarare il "femminicidio di massa"? 

E non ci ho creduto. 

Forse era troppo terribile per me, forse c'è un limite all'orrore che riesco a provare: un mostro con otto occhi mi farebbe paura, con cento occhi mi farebbe ridere? Oppure semplicemente il seno-pallone non è plausibile, è qualcosa di cartoonesco, completamente fuori dall'uncanny valley che sfida il mio senso critico. I seni non sono sferici (specie una volta asportati) né rimbalzano; per quello che ne so. E ho la sensazione di saperne di più, sui seni, di chi ha messo in giro questa storia. In mezzo a un resoconto di fatti orripilanti, è un dettaglio che manda in tilt la mia fantasia e sembra messo apposta per farmi dubitare di tutto il resto. Forse da un diabolico antisemita infiltrato che vuole prendersi gioco di chi in buona fede legge e firma... Oppure è una provocazione messa lì perché qualcuno ci caschi. Quel qualcuno sono io? È l'antisemitismo a farmi dubitare dell'equipollenza tra un pallone e un seno umano?

Va bene. Se qualcuno deve, ci cascherò io. Non rappresento nessuno oltre me stesso, non sono un esperto di nulla (senz'altro non sono un esperto di seni), ma ho una certa dimestichezza con le leggende di martiri ormai, e questa ha tutta l'aria di essere una leggenda. 

A dire il vero la prima analogia che mi è venuta in mente, per una pura associazione di idee, è assai più recente: 24 anni fa, alla vigilia delle manifestazioni genovesi anti-G8, i membri delle forze dell'ordine furono informati che i manifestanti li aspettavano al varco con "palloncini di sangue infetto". Era una leggenda metropolitana altrettanto implausibile e cartoonesca: anche in quel caso mescolava subdolamente l'idea del sangue coi liberi giochi all'aria aperta: non si capiva come adulti responsabili avrebbero mai potuto credere in qualcosa del genere. E però può anche darsi che abbia funzionato: in quei giorni poliziotti e carabinieri sembravano spiritati, animati da una furia che non aveva giustificazioni razionali. Magari era paura.

Allo stesso modo, ogni volta che un breve video dell'IDF ci mostra soldati sorridenti che si aggirano in mezzo alle macerie; o cittadini allegri che fanno cordone per non far passare gli aiuti umanitari, e ci domandiamo: ma cosa sta succedendo a tutta questa gente? Ci vorrà molto tempo per capirlo, sempre che qualcuno vorrà dedicarcisi; può darsi che in parte sia quello che succede a normali individui quando persone degne di fede ti raccontano che ci sono uomini cattivi che giocano a pallone con i seni umani. 

La propaganda ha le sue leggi che la ragione non conosce, ma qualcuno le ha studiate e le sa applicare. Quello che inorridisce me, può animare la furia cieca di un soldato di leva. La storia dei seni-palloni faceva parte di un un repertorio di testimonianze che arrivò sui media prestissimo, soprattutto in Israele dove per qualche giorno chiunque si sentiva in dovere di raccontare le peggio cose che gli venivano in mente, che le avesse viste o no. Non lo dico io, lo dicono i giornalisti israeliani sionisti: e non solo quegli eterni brontoloni di Haaretz, ma anche canali generalisti. Nelle ultime settimane quasi tutte le storie più raccapriccianti sono state debunkate (malgrado qualcuno le ripeta ancora ad alta voce, e forse ci creda ancora). Abbiamo saputo abbastanza presto che i miliziani non avevano decapitato quaranta bambini; che non hanno strappato un feto a una donna incinta (quest'ultimo è un vero topos: ricorre nelle testimonianze di molti eccidi in tempo di guerra). Soprattutto Haaretz ci ha raccontato che nei primi giorni l'IDF appaltò la raccolta dei cadaveri del 7 ottobre a un'organizzazione ultrasionista, Zaka, che definire controversa è un eufemismo. Molti dettagli truculenti sono stati forniti proprio dagli operatori di Zaka, che purtroppo hanno mostrato nell'occasione più fantasia nell'inventare mutilazioni non dimostrabili che perizia nella gestione dei corpi delle vittime. E tuttavia la storia dei seni-palloni non proviene da Zaka. Non potrebbe: per assistere a un'amputazione e vedere miliziani giocare a pallone bisognava essere lì durante il fatto. Questa storia richiede dei testimoni oculari. Ci sono?

Ce n'è uno. 

Questo è un problema, per più di un motivo. Nell'appello riportato sopra avete letto di "seni asportati e usati per giocare a pallone". È già una forzatura. L'appello tradisce la volontà di far apparire come sistematica una pratica di mutilazione cui la testimone avrebbe assistito una volta sola, e che difficilmente avrebbe potuto essere ripetuta durante un blitz che sappiamo essere stato molto concitato. I miliziani stavano cercando di tornare nella Striscia portando con sé più ostaggi possibile, e a partire da un certo punto hanno dovuto difendersi dall'esercito che stava intervenendo con gli elicotteri. Che abbiano perso tempo a giocare torturare sadicamente ostaggi che avrebbero dovuto usare come moneta di scambio sembra assurdo, ma è anche vero che in battaglia la gente perde la testa e fa le cose più assurde. 

Comunque la testimone c'è. È una donna – il che è cruciale – ha 22 anni, fa un lavoro di ufficio ("accountant") e si fa chiamare Sapir; non vuole rivelare la sua identità perché, scrive il New York Times, "sarebbe braccata per tutta la vita". La polizia la ritiene una teste chiave e ha divulgato quasi subito un video in cui il suo volto sfuocato racconta la storia che più tardi ha ripetuto al NYT, e che riporto qui

She said that at 8 a.m. on Oct. 7, she was hiding under the low branches of a bushy tamarisk tree, just off Route 232, about four miles southwest of the party. She had been shot in the back. She felt faint. She covered herself in dry grass and lay as still as she could.

Ecco. Non solo è l'unica testimone, ma era ferita alla schiena. Si sentiva debole. Ciononostante, dal suo nascondiglio (un cespuglio sotto un tamarindo) avrebbe assistito a una scena molto lunga e complessa, di fronte alla quale altri avrebbero certamente distolto lo sguardo.

About 15 meters from her hiding place, she said, she saw motorcycles, cars and trucks pulling up. She said that she saw “about 100 men,” most of them dressed in military fatigues and combat boots, a few in dark sweatsuits, getting in and out of the vehicles. She said the men congregated along the road and passed between them assault rifles, grenades, small missiles — and badly wounded women.

“It was like an assembly point,” she said.

The first victim she said she saw was a young woman with copper-color hair, blood running down her back, pants pushed down to her knees. One man pulled her by the hair and made her bend over. Another penetrated her, Sapir said, and every time she flinched, he plunged a knife into her back.

She said she then watched another woman “shredded into pieces.” While one terrorist raped her, she said, another pulled out a box cutter and sliced off her breast.

“One continues to rape her, and the other throws her breast to someone else, and they play with it, throw it, and it falls on the road,” Sapir said.

She said the men sliced her face and then the woman fell out of view. Around the same time, she said, she saw three other women raped and terrorists carrying the severed heads of three more women.

Le tre teste non sono state trovate – ma è anche vero che i volontari di Zaka raccolsero i cadaveri in modo molto approssimativo, e che in certi bodybag furono trovate più teste. Non sono stati trovati nemmeno i seni, né il taglierino da cartone ("box cutter") che Sapir sostiene essere stato adoperato per asportarli. Per ora non è stato trovato niente di quello che racconta Sapir, la quale del resto era ferita alla schiena mentre osservava una scena che sembra presa da un torture porn. 

Per credere che tutto questo sia successo dobbiamo prendere per buona una testimone unica,  probabilmente sotto choc, che era ferita alla schiena e nascosta in un cespuglio, che ha fotografato il cespuglio in cui era nascosta ma non i resti delle mutilazioni che racconta di avere visto. In coscienza, non posso dimostrare che sia una storia falsa: ma è una storia a cui non credo. Non credo che tagliare i seni con un taglierino (durante uno stupro) sia così facile. Non posso escludere che una persona ferita e sotto choc sia vittima di allucinazioni, o che subisca la pressione di organi di propaganda che sin dall'inizio della crisi erano determinati a far funzionare l'equazione Hamas=Isis. Giova ricordare che la mutilazione dei seni delle vittime era praticata dai miliziani di Isis in Siria, e che foto e resoconti delle loro torture rimbalzavano con gli smartphone negli anni in cui "Sapir" era adolescente. Per noi l'Isis ormai è una sigla lontana, ma per i giovani che stanno minando la striscia di Gaza è stato un incubo concreto, che ha nutrito la loro fantasia negli anni della formazione.  

Allo stesso momento, non posso escludere che la storia sia vera. Improbabile, ma non impossibile. Ci sono persone che in stato di choc dimostrano lucidità e presenza di spirito; un taglierino, se è abbastanza grosso, può anche recidere muscoli; se poi la vittima aveva protesi, ecco, si tratta di sacchetti di silicone che i miliziani avrebbero anche potuto lanciarsi per scherno. Forse il vero motivo per cui non voglio crederci è quello per cui fatico a credere alle leggende di santi torturati e mutilati. Se non ci credo, smetto di essere vero. Quei seni non sono mai stati tagliati: come il Salvatore, li faccio ricrescere. Forse sto scrivendo la mia leggenda anch'io... (continua) .

1 commento:

  1. Jeremy Scahill giornalista investigativo di, The Intercept, ieri sera su DemocracyNOW.org
    Dice che non c'e evidenza delle torture peggiori che sono state descritte , bambini decapitati, il 7 ottobre, anche su un articolo pubblicato sul newyork times 2 giorni fa

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