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giovedì 29 marzo 2007

il bat-archetipo

Entrare in una vecchia calzamaglia

Sempre a proposito di Frank Miller, non so se qualcuno ha già fatto caso a questa cosa:
è più o meno da dieci anni che il cinema ci sta restituendo, in versione stupida, i fumetti più complessi e intelligenti che avevamo letto da giovani. E continua.

Ma il bello è che questi fumetti complessi è intelligenti, in realtà erano già versioni intellezzualizzate a posteriori di baracconate in calzamaglia. E cioè: in principio ci fu un peplum qualsiasi, poi Miller lo trasformò in un’epica a fumetti, e adesso lo riciclano in un peplum (digitale) qualsiasi.

Oppure: in principio c’era il Batman pacchiano dei telefilm; poi Miller lo ha trasformato in un eroe hard-boiled un po’ fascista ma veramente complesso; a questo punto il cinema se l’è rimangiato, restituendoci un personaggio più o meno pacchiano in calzamaglia. Ma a dire il vero con Batman la storia è ancora più complessa, perché dal 1939 a oggi il pipistrello è diventato ridicolo molte volte – eppure ha sempre trovato qualcuno disposto a riprenderlo sul serio. Va a finire che è un archetipo dell’inconscio collettivo.

Potremmo leggere la cosa in termini di Decenni (un concetto arbitrario che ci piace molto): a metà degli anni Ottanta cercavamo di prenderci sul serio; non credevamo più alla favola Bene/male Usa/Urss e volevamo complicarci il quadro (l’anno di riferimento naturalmente è il 1986: escono il Cavaliere Oscuro e Watchmen). Verso il 2000 ripiombiamo in una situazione manichea: Bene/male Usa/Islam, e abbiamo di nuovo bisogno di eroi semplici. Potrebbe essere andata così.

Oppure potrebbe essere cambiato il pubblico di riferimento. Nel 1986 Miller, Moore e gli altri parlavano a un pubblico di grandicelli, oggi le stesse storie si riciclano per i ragazzini. In realtà vanno a vederle anche i grandicelli di ieri. Magari è una metafora della vecchiaia, come al solito: da ragazzini leggevamo i fumetti, ma volevamo prenderci sul serio ed essere presi sul serio; da adulti vorremmo sembrare ragazzini e allora ci rituffiamo sui vecchi fumetti. Siamo ridicoli e vitali esattamente come il vecchio Wayne, che finché non si rimette la calzamaglia non si sente uomo.

O ancora, potrebbe trattarsi del medium (il cinema) che snatura il messaggio. Del resto, se date la stessa storia a un cartoonist e a un regista, vedrete che il primo la smonterà e la complicherà, mentre il secondo cercherà di semplificarla. In una parola: il fumetto è analitico, il cinema è sintetico. La storia a vignette seleziona un pubblico in grado di mettere insieme una vignetta e l’altra, al cinema basta sedere e non fare troppo rumore col popcorn.

12 commenti:

  1. Purtroppo è Hollywood che prende le graphic novels e le fa diventare baracconate, non il cinema.

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  2. Purtroppo la più crudele e autentica interpretazione è la penultima. Nulla di nuovo, caro Leo... Nulla di nuovo.

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  3. il fatto è che un fumetto trasferito al cinema non sarà mai un fumetto, ma semplicemente un film.

    E' impossibile trasferire la sintesi di un fumetto in un film: il risultato sarà comunque snaturato.

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  4. I fumetti, come i film, possono piacere o non piacere per mille motivi: estetici, filosofici, sociali, gusti, etc. Ma, soprattutto nel caso del fantasy (perchè di qs si tratta) occorre accettare il contesto per potervi "entrare", altrimenti la critica uccide a priori il piacere della fruizione (visione, lettura). Quando leggo Miller entro nel suo mondo ed accetto le sue regole, mi diverto, mi piace. Poi ne esco e ci ripenso. E diventa come quei paradossi spazio-temporali amati da Dick (io esisto oggi perchè 30 anni fa sono tornato dal futuro ed ho fatto incontrare i tuoi genitori, oppure sono io il tuo genitore). Il paradosso è che finchè ci sei dentro ti piace, quando ne sei fuori non capisci perchè ti sia piaciuto, ma se ci rientri ti ripiace. E funziona anche con il passare degli anni: fino a 15 anni fa non mi perdevo un fumetto di Miller (se per questo anche di Nathan Never ....), oggi non li compro più, ma se me ne ritrovo uno sottomano non riesco a smettere di leggerlo. Oggi capisco meglio il sottotesto, ma questo non mi impedisce di gustarmelo. E' come leggere le favole alla luce della psicanalisi o della analisi strutturale: un branco di pedofili, assassini, maniaci, etc.
    tittirossa

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  5. Batman, l'uomo pipistrello archetipico. Sarebbe l'altra faccia del conte Dracula?

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  6. Ciao...bello il blog..ti andrebbe di fare uno scambio link...risp please!

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  7. ti prego, fai uno scambio di link con bergan!! :)

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  8. mi spiace,
    non scambio i link più nemmeno con mia madre

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  9. guarda cosa ha detto in questo sito www.chiccoparla.it un cane quando ha visto la foto!!!!

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  10. non credo che batman sia il paradigma più "calzante" - il batman cinematografico (burtoniano) è figlio diretto del dark knight di miller e, dopo l'inutile parentesi kitsch, il redivivo prequel di nolan riattinge ancora (in parte) a quel modello ed a quelle atmosfere. non credo sia questione di media, francamente.

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  11. Tenderei a pensare che sia un problema inerente al medium. Facciamo il caso degli X-Men, nonostante le storie di Claremont, di fatto, fossero una pazzesca e (a tratti) geniale soap opera,la trasposizione cinematografica non riesce comunque a mantenere, giocoforza, la complessità delle sottotrame, risultando comunque qualcosa di assai inferiore all'originale. Figuriamoci quindi con un'opera complessa come The Return Of The Dark Knight.
    Vi immaginate come sarebbe la trasposizione cinematografica, chessò di Ronin di Miller o degli Watchmen di Moore? Follia...
    Hollywood, per di più, anche se avesse i mezzi, non ha la volontà. Il pubblico di riferimento ormai sono ragazzini tredicenni nelle multisala. E questo direi che si nota...

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